newsletter 39-2010

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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
OCHE: UNA VITA DI DOLORE
Non tutti sanno quanta sofferenza si nasconde dietro
un piumino d‟oca; la soffice imbottitura cela un dolore indicibile: quello delle oche,
delle anatre spennate vive e senza anestesia.
Le piume vengono strappate, dalla pelle di questi animali molto
sensibili, più volte nel corso della loro vita, tra sofferenze così
atroci che alcuni di loro muoiono addirittura di crepacuore
perché la paura e il dolore fisico sono tali da provocare loro
addirittura un infarto.
Lo spiumaggio da vive – definito estremamente crudele dai
veterinari e persino dagli stessi avicoltori – consiste nel
rimuovere il manto più morbido, quello che precede la
formazione delle penne vere e proprie, ed è per questo motivo
che ne sono vittime i pulcini. Le oche, infatti, vengono spennate
ad appena 2 mesi di vita.
Dopo averle afferrate, appese per il collo ed aver loro legato le zampe, vengono strappate tutte
le piume di questi piccoli che si contorcono e urlano dal dolore, impotenti. In seguito, le oche,
così traumatizzate e spogliate, vengono ributtate nel recinto (già la vita, tipica degli
allevamenti intensivi, in grandi capannoni al chiuso, è causa di stress per gli animali); lì
giaceranno a terra tremanti, per ore, in uno stato di apatia e di vero shock, sofferenti per il
freddo e per le ferite aperte provocate dalla violenza dello strappo durante lo spiumaggio.
La piuma è una produzione cornea dell‟epidermide di tutti gli uccelli: costituisce il rivestimento
contro il freddo ed ha finalità di termoregolazione per cui assolve a funzioni fisiologiche
fondamentali. Per questo motivo, oltre al momento, terribile, dello spiumaggio, questi animali
risentono del fatto di rimanere sprovvisti del loro manto nel periodo successivo, per cui
possono morire, oltre che per lo stress cui vengono sottoposti, anche per il freddo che devono
poi sopportare.
Dopo due mesi questa operazione verrà ripetuta, e poi per altre 2 volte. A circa 8 mesi di vita,
quando la qualità delle piume comincia a risentire dei ripetuti „strappi‟, per alcune oche, le più
fortunate, il calvario finirà, in maniera cruenta, ma comunque finirà. Le altre invece andranno
incontro all‟ingozzamento forzato per la produzione di fegato grasso d‟oca; poi saranno uccise.
Il metodo per uccidere piccoli numeri di animali è quello di appendere l‟oca ed infilarla in un
imbuto, a testa in giù in modo che sporga la testa.
Le viene, quindi, troncata la giugulare con un‟incisione sul lato sinistro, senza tagliarle la testa.
L‟imbuto impedisce lo sbattere delle ali e permette al sangue di fluire mentre l‟oca sofferente è
ancora viva. Negli impianti meccanizzati, invece, si procede con lo stordimento
elettrico……..(continua questo articolo cliccando QUI)
(da www.promiseland.it - ottobre 2010)
GLI AUDIT DEGLI ANTICHI ROMANI
Dell'etimologia latina del temine Audit si è già scritto.
Esiste un'interessante testimonianza di questa attività, ai
tempi dell'Impero romano, in un bel Museo della città di
Mérida in Estremadura, la regione più occidentale della
Spagna, confinante con il Portogallo.
Mérida è stata capitale della Lusitania, un'importante ed
estesa provincia dell'impero romano. Qui si trovano
numerosi siti archeologici particolarmente ben conservati.
Si possono visitare un Circo Romano, un Anfiteatro con a
fianco un Teatro; un ponte di 60 arcate, due acquedotti, una casa romana con pavimenti a
mosaici, e altro ancora. In più, ai resti Romani, si sovrappongono quelli Arabi e dunque una
bellissima Alcazaba con una cisterna d'acqua sotterranea in perfette condizioni.
Il Museo Nazionale di Arte Romana, edificato sopra una cripta e un bellissimo tratto di strada
romana, è opera a sua volta degna di attenzione, poiché il bravissimo architetto spagnolo
Raphael Moneo, è riuscito con la sua ispirazione creativa a realizzare un contenitore
perfettamente adatto: una basilica moderna che allude alle antiche costruzioni romane e
all'interno della quale gli oggetti collocati sembrano virtualmente ricollocati nel loro spazio
originario. Un'opera che certamente amplifica l'impatto emotivo dello spettatore
nell'osservazione della grandiosità dei simboli e delle edificazioni romane.
All'interno sono conservati i resti più preziosi rinvenuti nei vari siti. Ed è qui che all'occhio
divertito di un valutatore non può sfuggire la "Teja con documento epistogràfico" esposto in
una delle sue sale. Si tratta di una piastrella del III secolo d.C. la cui superficie è interamente
occupata da incisioni. La definizione data dagli archivisti del Museo è di un supporto utilizzato
per trasmettere una complessa rete di infedeltà registrate nell'area rurale. (clicca QUI per
ingrandire la tavoletta).
Al visitatore-valutatore, non può, inevitabilmente, che scattare l'associazione mentale: non può
che trattarsi di un rapporto di verifica, comprensivo di registrazione di non conformità! A
questo punto la domanda nasce spontanea: il Console di Mérida, avrà chiesto il trattamento
della non conformità, l'azione correttiva, e la verifica della sua efficacia? Poi riflettendo, viene il
dubbio che forse, suo malgrado, aveva cose più urgenti da fare quel giorno.
(da CCPB News On Line - ottobre 2010)
EFSA. JOSÉ BOVÉ CHIEDERE LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE DEL
CDA, PER CONFLITTO D'INTERESSI
L'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, è stata creata nel 2002 a seguito degli
scandali della mucca pazza e della diossina. Ha una missione chiara, assicurare a 500 milioni di
consumatori che i prodotti che consumano non sono pericolosi per la salute o per l'ambiente.
Ma L'EFSA è infiltrata da ILSI, la più grande lobby alimentare del pianeta che contiene le 400
più grandi aziende nella catena alimentare (tra cui Monsanto, Cargill, Nestlé, Bayer, Basf,
Coca-Cola). A denunciarlo e José Bovè, europarlamentare del gruppo Verdi/Ale, nonché
vicepresidente della Commissione per l'Agricoltura del Parlamento europeo. Nel luglio del 2008,
Diana Bánáti è diventata presidente del Consiglio di Amministrazione dell'EFSA.
Per raggiungere questo obiettivo, ha mentito nel suo manifestazione di interesse, dichiarando
solo un ruolo minore nell'ILSI. Ma Bánáti è in realtà un membro del Consiglio di
Amministrazione della lobby agroalimentare.
Pochi giorni fa, in fretta e furia, L'EFSA ha modificato la dichiarazione di interesse
Signora Bánáti per riparare alla curiosa omissione.
della
“Questa pratica è scandalosa! - afferma Bové, che aggiunge: già il 14 luglio, ho avvertito il
commissario John Dallidi di questo conflitto di interessi che impedisce all'EFSA di svolgere il
suo ruolo e fornire pareri scientifici imparziali. Gli ho portato la dichiarazione di interessi di
Bánáti e ho suggerito di scegliere un'altra personalità in fretta per colmare questa funzione.
L'ho anche messo in guardia sulla natura dell'ILSI e sugli interessi finanziari che questo istituto
difende. Due mesi e mezzo dopo, la Commissione europea non ha ancora reagito”.
Per Bovè, vista la situazione, “l'UE dovrebbe dichiarare una moratoria completa alle
autorizzazioni di OGM e sospendere i dati in proprio possesso. La modalità operativa dell'EFSA
deve essere riesaminata a fondo come già aveva chiesto unanimemente il Consiglio dei ministri
dell'Ambiente nel dicembre 2008. L'Autorità europea deve di conseguenza disporre i mezzi
finanziari adeguati al fine di condurre senza soluzione di continuità una valutazione scientifica,
economica, sociale e ambientale dei rischi associati all'uso di OGM in agricoltura”.
(da Bioagricultura Notizie - ottobre 2010)
"ALTRE" ECONOMIE
«Per economia - dal greco oikos, "casa" inteso anche come "beni di famiglia", e nomos,
"norma" o "legge" - si intende sia l'utilizzo di risorse scarse per soddisfare al meglio bisogni
individuali e collettivi contenendo la spesa, sia un sistema di organizzazione delle attività di
tale natura poste in essere da un insieme di persone, organizzazioni e istituzioni (sistema
economico)»: stando a questa definizione di economia (che abbiamo preso dall'edizione
italiana di Wikipedia) si direbbe che quella capitalistica, fondata sui miraggi del profitto e della
crescita illimitata, sia solo una delle tante possibili accezioni del termine - e nemmeno la più
indovinata, vista l'insanabile crisi da cui è scossa.
Eppure, a chi oggi pensa diversamente l'economia tocca sempre scusarsi, spiegare che sta
parlando di qualcosa d'"altro" che non segue le leggi scritte nella pietra che governano quella
particolare accezione: come se, con quello del mercato, essa avesse conquistato anche il
monopolio del pensiero e della parola; come se, in quanto "altro", qualunque modello non
conforme non avesse diritto di cittadinanza nel mondo che essa, malgrado tutto, domina
tuttora militarmente.
Capita anche che, a un certo punto, qualcuno decida di disfarsi completamente di un manipolo
di presunti visionari che, a dispetto di tutti i rivolgimenti amministrativi e culturali, continuano
imperterriti a fare esperimenti in quelle "altre" direzioni: é così che il Comune di Roma, scaduti
proprio ieri i termini del contratto d'affitto, vuole assegnare ad altri - mediante un apposito
bando - la gestione degli spazi che negli ultimi anni hanno ospitato la Città dell'Altra
Economia, un luogo in cui il Nuovo Municipio é di casa in senso sia concreto sia figurato.
Al di là delle mobilitazioni (tradizionali e mediatiche), degli appelli, della preoccupazione e della
delusione (di cui trovate sotto), vogliamo porre una semplice domanda a chi non vede nulla di
male in questo disegno: cosa vi dà il diritto di considerare eccentrica e irrilevante una forma di
economia che è, a tutti gli effetti, più vicina di quella corrente al senso reale del termine?
Qual è la vera stravaganza, un'economia che cerca di produrre valore, di riprodurlo e di
renderlo accessibile a tutti, o un sistema incancrenito di relazioni vessatorie giustificate da
vuote mitologie? A voi la risposta.
(dalla Newsletter di Nuovi Municipi - ottobre 2010)
NEL BELLUNESE UN PATTO PER «COLTIVARE CONDIVIDENDO»
Alla base di tutto c'è un patto. Una ventina di imprese agricole dell'associazione Dolomiti bio,
sette gruppi di acquisto solidali, una manciata di piccoli coltivatori del gruppo «Coltivare
condividendo», gruppi di cittadini consapevoli, comitati e associazioni hanno stretto un patto:
favorire un circuito di economia locale basata sul rispetto dell'ambiente, sulle tipicità locali,
sulla consapevolezza del valore del lavoro. E il bello è che lo stanno facendo.
Questa primavera sono nate 4 nuove aziende biologiche che contano di poter vendere i propri
prodotti ai GAS della provincia e grazie al patto tutto questo sarà possibile. Il contesto è la
provincia di Belluno, dove l'agricoltura da qualche decennio è stata relegata ai margini della
monocultura del turismo e, in alcune zone, dell'industria (l'occhialeria) oggi in grave crisi. «Se
c'è un futuro per l'agricoltura in questa provincia di montagna – assicura Tiziano Fantinel, tra i
promotori del patto – è quello delle produzione tipiche e biologiche che salvaguardi il
paesaggio e la biodiversità. Se scimmiottiamo l'agricoltura intensiva della pianura siamo finiti».
Oltre a collezionare nuovi aderenti - in arrivo un'associazione bellunese che si occupa di
educazione alimentare - il patto si è preoccupato in questi mesi di promuovere la
comunicazione anche attraverso una mostra sulle sementi antiche che sta facendo il giro delle
diverse sagre e feste paesane, «un modo – ci spiega Fantinel – per mantenere in vita l’antica
pratica dello scambio dei semi, in contrapposizione a chi vorrebbe brevettare le sementi e
impedirne lo scambio».
I promotori hanno aperto un dialogo anche con gli enti locali proponendo l'adozione di
«regolamenti rurali» che disciplinino seriamente l'utilizzo di diserbanti e pesticidi e tutelino le
produzioni biologiche. L'iniziativa sta contagiando nuovi soggetti: due consorzi dei prodotti
tipici bellunesi, quello dell'orzo o del fagiolo gialet, stanno studiando la possibilità di una
certificazione biologica di gruppo, modalità suggerita dai promotori del patto, che coinvolga
tutte le aziende e possa far sì che anche le più piccole arrivino alla coltivazione biologica.
Una strada, quella indicata dal patto, diametralmente opposta a quella praticata dalla società
agricola La Feltrina, di cui è presidente Gabriele Calliari, presidente anche della Coldiretti del
Trentino Alto Adige, che a Cesiomaggiore, conduce 20 ettari di meleto intensivo sul modello
della Val di Non. «Siamo fermamente convinti che il cosiddetto 'modello trentino', dopato da
finanziamenti pubblici, basato su un agricoltura intensiva, super trattata e super concimata
non sia l’ideale per questa nostra provincia - scrivono i responsabili del gruppo Coltivare
Condividendo -, né dal punto di vista ambientale e paesaggistico; né
da quello economico ed occupazionale».
Il prossimo appuntamento è per il 27 novembre quando il patto
chiamerà al «raccolto» per verificare la strada fatta, incontrare nuovi
compagni e capire come proseguire ancora.
Informazioni QUI.
(dal Bollettino Est Nord - ottobre 2010)
NEL PAESE DEI CORSI: I FORZATI DI PUNTILANDIA? VOLANO IN
SPAGNA
C'è chi sogna una cattedra. E chi se ne approfitta. Fino a 2mila euro
per scalare di tre punti la graduatoria scolastica provinciale. Più di
10mila euro per ottenere l'abilitazione all'insegnamento.
Costretti in un diabolico meccanismo da bollini della spesa che non
assicura a nessuno il posto fisso, ogni anno i precari della scuola
italiana sono disposti a sborsare migliaia di euro pur di conquistare
una cattedra: si iscrivono a master di formazione online (con cui si
ottengono fino a 10 punti) o volano in Spagna per frequentare corsi di
abilitazione, che in qualche caso durano solo tre mesi (in Italia, con le
vecchie SSIS, ci volevano almeno due anni).
Si chiama “Puntilandia” l'Italia dei master-scorciatoia e della
formazione a distanza per gli insegnanti: un sottobosco di agenzie
che si arricchiscono sui guai della scuola italiana, raccontato nel
numero di ottobre di Terre di mezzo Street Magazine, in
distribuzione in questi giorni.
“A me avevano chiesto 10mila euro per frequentare un corso di tre mesi in Spagna -dice
Marta, giovane precaria in attesa di abilitazione-: agli incontri preliminari l'omertà regnava
sovrana, alla fine non ci sono andata”. Tanti altri, però, si sono fatti convincere: nei soli mesi di
luglio e agosto, lo Stato italiano ha concesso l'abilitazione a 14 persone reduci da un master
spagnolo. Uno stratagemma consentito dalla normativa europea ma che sarebbe “da rivedere”,
dice Max Bruschi, consigliere del ministro Gelmini, che stigmatizza ancor più duramente i
master a distanza che permettono, ai docenti già abilitati, di scalare i punti in graduatoria:
“Dovremmo riservare loro lo stesso trattamento che il senato romano riservò a Cartagine: in
cenere e col solae sparso sulle rovine”. Pur riconoscendo che ci sono “ottimi corsi” anche
online, Bruschi ammette che il sistema della formazione in servizio è da “rivoluzionare”,
innanzitutto “cancellando il sistema di vendita dei punti e distinguendo i corsi che il docente
sceglie per migliorare la propria didattica da quelli frequentati solo per scalare la graduatoria”.
In attesa di questa rivoluzione copernicana, secondo una stima di Terre di mezzo, nel 2010 tre
fra le maggiori agenzie che organizzano master di formazione per insegnanti esamineranno
oltre 10mila docenti, incassando complessivamente più di 11 milioni di euro.
E agli insegnanti cosa resta? In qualche caso, soltanto
amarezza: “Le dispense contengono errori e creano
confusione - si sfoga un precario messinese -: nulla a che
vedere con un corso universitario. E si dice che non sia
mai stato bocciato nessuno”.
(da Terre di Mezzo Street Magazine - ottobre 2010)
GOOGLE: CUCINA BIOLOGICA PER GLI ADDETTI AI
LAVORI
Nel 1999 Charlie Ayers, giovane cuoco di Chicago, viene assunto da
due 26enni, Larry e Sergey, nella loro nuova azienda, una certa Google. Il suo compito, quello
di creare una mensa sana e gratuita per i quaranta dipendenti, che li stimolasse invece di farli
addormentare. A Mountain View partì così un'altra rivoluzione: quella gastronomica che ha
permesso di creare un regime alimentare capace di stimolare i dipendenti anziché farli
addormentare davanti alla scrivania subito dopo pranzo. immaginando una mensa sana,
biologica e gratuita per tutti.
La svolta, nel 2001, l'azienda guadagna 150mila dollari ogni due secondi e Ayers gestisce un
budget di dieci milioni e con tale disponibilità economica sono state gettate le basi per un
sistema-ristorazione collettiva bio che oggi funziona in tutti gli uffici Google del mondo.
(da Bioagricultura Notizie - ottobre 2010)
AGEVOLATE LE OP DI SOLI PRODUTTORI BIO
Il Coordinatore della sezione produttori di Federbio, Ignazio Cirronis,
ha diffuso una nota in cui si afferma che il MIPAF ha approvato, su
richiesta della stessa sezione Federbio e dopo alcuni mesi di
discussione che ha coinvolto la Conferenza Stato-Regioni, una
norma che prevede per le Organizzazioni di Produttori (OP)
ortofrutticoli formate solo da produttori biologici, una riduzione del 30% del fatturato
necessario per essere riconosciuti come OP ed avere diritto ai contributi comunitari e nazionali
per le OP.
In pratica - si legge nella nota - se per una OP di produttori convenzionali occorre, per
esempio, per la categoria ortaggi, avere un fatturato di due milioni di euro per essere
riconosciuta, se la OP è costituita da produttori biologici, invece, basta un fatturato di
1.400.000 euro. Grazie alla OCM ortofrutta ed al Reg. CE 1580/2007, alle OP del settore
ortofrutta viene concesso un contributo a fondo perduto del 4,1% del proprio fatturato per la
realizzazione di programmi operativi basati su politiche commerciali e organizzative e sistemi
di qualità.
Con i limiti di fatturato richiesti fino ad oggi era quasi impossibile costituire e far riconoscere
una OP di soli produttori biologici, col risultato che i produttori bio dovevano obbligatoriamente
aderire ad una OP non biologica oppure non far parte di una OP e non beneficiare dei sostegni
previsti per le aggregazioni di produttori.
Il risultato è importante anche sotto il profilo politico: il MIPAF con questo provvedimento
ammette che debbano esistere norme specifiche e più vantaggiose per il comparto biologico.
Un notizia importante per coloro che credono nelle politiche di aggregazione come unica
possibilità di competere su mercati sempre più globali e difficili da affrontare, commenta
Ignazio Cirronis, sostenendo una linea che è perfettamente condivisa anche dallo staff
redazionale di Greenplanet.
(dal Bollettino Bio di Greenplanet - ottobre 2010)
FESTA DELL’ALTRAECONOMIA - GIORNATA
MONDIALE DELL'ALIMENTAZIONE
9 e 10 ottobre a Mestre (VE)
Sabato 9
e domenica
10
ottobre
a
Mestre la
Festa
dell'AltraEconomia organizzata dall'Associazione Aeres con la
collaborazione del Comune di Venezia - Assessorato all'Ambiente.
Filo conduttore e obiettivo della manifestazione sarà quello di puntare i
riflettori su un progetto di "Filiera corta del pane".
Il programma prevede per sabato 9 ottobre alla sede del Palaplip spettacoli vari e un
buffet; Domenica 10 ottobre per l'intera giornata Piazza Ferretto sarà animata con la fiera
mercato dell'Altra Economia con la presenza di espositori di prodotti alimentari, saranno
inoltre organizzati laboratori didattici e spettacoli per i più piccini e la cittadinanza sarà
informata con la distribuzione di materiale informativo.
In tale contesto si celebra anche la Giornata Mondiale dell'Alimentazione alla quale il
Comune di Venezia partecipa organizzando una conferenza dal titolo "Diritto al Cibo", con
relatrice la Dott.sa Paola Trionfi, biologa e nutrizionista esperta di ristorazione collettiva
per AIAB. La conferenza avrà luogo alle ore 16.30 presso la sede del Laurentianum in piazza
Ferretto. La partecipazione è libera e gratuita.
Per saperne di più sulle celebrazioni della giornata mondiale dell'alimentazione segui questo
link: clicca su questo Link; per scaricare il volantino con la scaletta di tutte le manifestazioni
clicca QUI.
(da www.aeresvenezia.it - ottobre 2010)
PARAPENSIONATI
Dalle prossime settimane, tramite il sito dell‟Inps, anche i precari conosceranno l‟ammontare
dei contributi versati. Non potranno invece conoscere la loro pensione futura, come accade ai
colleghi con il posto fisso. Un difetto del computer? No, una misura di ordine pubblico, ha
ammesso con amara ironia il presidente dell‟ente previdenziale: «Se dovessimo dare la
simulazione della pensione ai parasubordinati, rischieremmo un sommovimento sociale».
E questo perché i para, anzi i paria-subordinati sono attesi da un assegno mensile molto
inferiore al minimo. Non è gentile sbatterglielo in faccia, e per giunta con così largo anticipo. Si
teme di demoralizzare il paziente o di procurargli un‟ulcera. Peggio: di mettergli in corpo il
desiderio di farla venire agli altri. Meglio procedere a una bella anestesia totale.
E di colpo si comprende quale delicata missione strategica svolgano le barzellette sconce, le
pajate in piazza e le mille sciocchezze di pessimo gusto di cui è infarcita la politica di ogni
giorno. Servono a far dimenticare la realtà.
Questa, per esempio: che milioni di lavoratori guadagnano un para-stipendio e che da anziani
riceveranno una para-pensione. Pur rientrando nella casella benedetta degli occupati. Ma
occupati a para-vivere, senza la possibilità di progettare un matrimonio, un figlio, una
vecchiaia decente. Solo allora, rigirandosi fra le mani rugose lo smunto assegno dell‟Inps, si
renderanno conto di essere stati fregati. E se la prenderanno con i barzellettieri che
comanderanno in quel momento. Rimpiangendo, per amnesia, quelli di oggi.
(scritto da Massimo Gramellini su www.lastampa.it - ottobre 2010)
CHE LA MUSICA CONCORDI CON IL VERDE
Ora che il nuovo parcheggio multipiano costruito sopra l'ex Cledca è visibile a tutti, è diventato
assolutamente evidente quanto la scelta di buttare altro cemento in una zona già così
densamente edificata, sia poco consona con uno sviluppo razionale dell'area, purtroppo già
gravemente compromesso. Senza voler entrare nel merito delle motivazioni viabilistiche per
cui quel parcheggio non dovrebbe essere lì, ovvero che la politica dei trasporti dovrebbe
prevedere parcheggi all'esterno della città e non a ridosso della cinta muraria, la scelta è, a dir
poco, criticabile per questioni urbanistiche ed estetiche.
Ma purtroppo i problemi di quell'area che secondo il piano regolatore di Piccinato doveva
essere destinata al Parco delle Mura, non sembrano finire qui, visto che il Sindaco Zanonato,
sordo a tutte le grida d'allarme per i rischi idrogeologici della zona, prosegue dritto per la sua
strada: quella di costruire un cubo di cemento nell'ultima zona libera dell'area, quella di
Piazzale Boschetti. Cubo di cemento che dovrebbe ospitare l'auditorium; un auditorium di cui
Padova ha assoluta necessità, ma che non può essere edificato in quello che già oggi è il regno
del cemento.
Proposte? Ce ne sono, eccome, se l'amministrazione volesse ascoltarle. Tante per dirne una:
perché non costruire l'auditorium in Fiera? Una soluzione, questa, che vedrebbe d'accordo
ambientalisti e costruttori, una insolita accoppiata, un'alleanza non banale. Pare però che il
comune, con le ultime scelte di cui si è letto recentemente sulla stampa, non abbia voluto
tenere conto di questa inedita condivisione di idee . L'auditorium in Fiera avrebbe inoltre il
vantaggio di poter funzionare anche come centro congressi, altro luogo di cultura che necessita
la città di Padova per sviluppare un profilo europeo. Inoltre, accorpare auditorium e centro
congressi permetterebbe una razionalizzazione delle spese, oggi più che mai necessaria.
Insomma l'alternativa (e questa è solo una delle possibili) ci sarebbe: ma il Sindaco continua
ad andare per la sua strada, anche se dubitiamo che la commissione di esperti nominata su
proposta del Consiglio comunale confermi che la Cappella degli Scrovegni risulti al riparo da
eventuali rischi di ordine idrogeologico. Un ultima appello va però lanciato ai musicisti, che
qualche giorno fa hanno tenuto un concerto in favore dell'auditorium. Hanno ragione, eccome,
a protestare. Ma loro che sono uomini d'arte, capiscano che lo sviluppo di un'arte, in questo
caso della musica, non può avvenire a discapito o ignorando questioni urbanistiche e di
mobilità.
La musica può aiutare a vivere meglio, ma anche scelte urbanistiche più lungimiranti possono
farlo. Ecco, a noi piacerebbe che queste cose andassero, è proprio il caso di dirlo, in sintonia.
Andrea Ragona - Presidente Legambiente Padova
(da Ecopolis Newsletter - ottobre 2010)
CON I PETRODOLLARI, URBANISTICA A IMPATTO ZERO
La scorsa settimana, nell'editorial dedicato alla nascita degli imprenditori green, abbiamo posto
attenzione all'iniziativa di un italiano che sta realizzando a Rimini un grande edificio green,
battezzato Ecoarea, con lo scopo di farne una piattaforma per iniziative economiche,
commerciali, culturali destinate a diffondere la green economy in Italia.
L'edilizia a impatto zero comincia a prendere piede in Europa ma chi può,
avendo a disposizione i soldi derivanti dal petrolio, sta facendo di più, tentando
di realizzare l'urbanistica a impatto zero, proponendo modelli che vanno
considerati come primi approcci per una possibile, per ora utopica, applicazione
su più larga scala.
Ci sono progetti in Libia, lungo la costa mediterranea, che coinvolgono
complessi destinati a un turismo ecologico di elite. Il New York Times, nel primo
di una serie di articoli dedicati ai progetti urbanistici che stanno cambiando il
mondo arabo, ha scritto domenica 26 settembre di uno straordinario progetto
messo a punto dall'architetto Norman Foster e un vasto staff di collaboratori di ambiti diversi,
riguardante la realizzazione di un'intera città a impatto zero, Masdar, che sorgerà a 20 miglia
da Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti.
L'articolo descrive aspetti del progetto che sembrano lontani da concrete possibilità realizzative
ma, si sa, gli enormi investimenti previsti possono fare miracoli. La città sarà a misura di
pedone, niente auto ma mezzi elettrici che si muovono senza autista. Grande utilizzo di
energia solare e di energia eolica. La brezza del deserto sarà intrappolata ad un'altezza ideale
e riportata al livello stradale secondo metodi messi a punto dopo aver studiato le architetture
dell'antica cittadella di Aleppo, in Siria, e delle torri di Shibam nello Yemen, risalenti al
sedicesimo secolo. I servizi "heavy-duty", come l'inceneritore, gli impianti per il trattamento
dell'acqua, il campo fotovoltaico, sono fuori dal centro abitato, che è caratterizzato da edifici
alti, che ricordano Aleppo e Shibam, battezzati wind towers.
L'articolo di NYT non accenna a tempi e investimenti ma assicura che il progetto sta
procedendo con decisione. Che i soldi del petrolio possano servire a sperimentare la eco-città
del futuro ci sembra uno dei migliori impieghi possibili, anche se, ovviamente, non il solo.
(dal Bollettino Bio di Greenplanet - ottobre 2010)
Ma qui si pensa!!!!: guardate – cliccando QUI – il
“Discorso tipico dello schiavo” di Silvano Agosti
«UNHAPPY MEALS»: LO SPOT CHOC CONTRO
MCDONALD’S
Non è proprio il caso di illudersi perché la forza inerziale della
massa, messa in moto dagli infernali e potenti meccanismi delle
multinazionali, è ancora enorme.
Tuttavia, il portale di vidia della roccaforte della disinformazione e della superficialità sta
cominciando a subire duri colpi. L‟ariete del buon senso questa volta ha puntato – finalmente,
aggiungiamo – contro McDonald‟s (e non che Burger King e altri mercanti della morte siano
esenti dalla meritata botta).
Questa volta il colpaccio è inferto da nientepopodimenoche: dal Physicians Committee for
Responsible Medicine (PCRM) con un tagliente spot che, impazzando sul web, sta svegliando
centinaia di migliaia di persone. Eccolo di seguito: clicca su questo Link
E‟ stato trasmesso per la prima volta il 16 settembre scorso nella città di Washington per
mettere in guardia i cittadini contro la loro scellerata dieta a base di hamburger e per
denunciare gli alti tassi di attacchi cardiaci mortali che attanagliano la città: un sottofondo
musicale inquietante e un uomo che giace senza vita su uno squallido letto d‟obitorio pianto
dall‟inconsolabile moglie. Una stazza da buona forchetta: il lenzuolo in corrispondenza della
pancia si innalza abbondantemente e la mano destra che regge un “Big Mac” addentato.
L‟onnipresente logo a “M” di McDonald‟s ricalca poi in modo macabro la sagoma dei piedi del
cadavere. Il tormentone “I’m lovin it” (mi piace..) si trasforma nel disincantato “I was lovin’ it”
(mi piaceva..) e la voce fuori campo conclude perentoria: “Colesterolo elevato, pressione alta,
infarti. Mangia vegetariano”. Benvenuta provocazione!
Il goloso cadavere tiene ancora l‟arma del delitto in mano: un suicidio vero o inscenato? Oserei
dire entrambi, in tutto questo c‟è un‟indubbia corresponsabilità. Possiamo dire che questa
morte sia davvero un suicidio e un omicidio nel contempo. Il suicidio di una persona che non si
poneva il minimo dubbio ad ingoiare hamburger e l‟omicidio di un uomo da parte di chi è
accecato dal profitto a tutti i costi: costi in vite umane, falciate a suon di infarti, diabete,
tumori, e costi in vite animali, trasformati a miliardi in una lurida e triste poltiglia con calcolo e
freddezza……(continua la lettura di questo articolo cliccando QUI)
(da www.promiseland.it - ottobre 2010)
IL NUOVO MUNICIPIO E "L'ASSESSORE CHE NON TI
ASPETTI"
Oggi le consuete chiacchiere dell'estensore di questo foglio sono rimpiazzate
da un allegato che riporta per intero l'intervista da poco rilasciata a Carta da
Anna Marson (Anna Marson, l’Assessore che non ti aspetti), già
vicepresidente della Rete del Nuovo Municipio, e ora Assessore
all'Urbanistica della Regione Toscana.
Anna è "l'Assessore che non ti aspetti" perché, da quando è in carica, ha messo in moto una
serie di trasformazioni dell'azione amministrativa che, pur fra le prevedibili difficoltà
procedurali e politiche, stanno di fatto trascinando la Toscana su posizioni sempre più vicine a
quelle del Nuovo Municipio.
Quello allegato (vedi link soprastante) é così un testo che si presta in modo esemplare a
descrivere la buona pratica locale (ciò di cui questa rubrica dovrebbe vivere, di settimana in
settimana) di chi non intende avallare nemmeno con l'inazione la pratica sconsiderata di
spoliazione del bene comune territorio che da decenni travolge quello che, una volta, era detto
a ragione "il Bel Paese". Lo lasciamo dunque alla vostra riflessione, come invito a considerare
quanto poco di utopistico e visionario - e quanto invece di concreto buon senso - si trovi nelle
storie che vi raccontiamo da quattro anni a questa parte.
(dalla Newsletter di Nuovi Municipi - ottobre 2010)
LEGAMBIENTE: “IL GOVERNO FACCIA MARCIA INDIETRO SUL
BENZO(A)PIRENE”. LA PETIZIONE SUL WEB
Aleggia nell‟aria delle nostre città insieme alle polveri sottili e all‟ozono ma è meno conosciuto
e molto pericoloso per la salute umana. E‟ il benzo(a)pirene, un microinquinante classificato
come cancerogeno dall‟Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, salito agli onori delle
cronache nazionali negli ultimi anni, insieme alle diossine, per l‟inquinamento che caratterizza
la città di Taranto, causato dall‟area industriale e soprattutto dallo stabilimento siderurgico
dell‟Ilva.
Con un iter subdolo, il Governo italiano in piena estate (13 agosto 2010) ha approvato il
decreto legislativo 155/2010 con cui ha peggiorato pesantemente la legge sul benzo(a)pirene,
posticipando dal 1 gennaio 1999 al 31 dicembre 2012 il termine temporale per ottenere la
riduzione di questo inquinante nell‟aria ambiente sotto la soglia di 1 nanogrammo per metro
cubo previsto per le città con oltre 150mila abitanti. Una modifica molto dannosa che prolunga
l‟esposizione di milioni di cittadini a un pericoloso cancerogeno, il cui inquinamento, secondo i
dati pubblicati da diverse Agenzie regionali per la protezione dell‟ambiente, non riguarda solo
città industriali come Taranto, Trieste o Venezia, ma anche capoluoghi come Padova o aree
metropolitane come quelle di Milano e Torino, dove è rilevante anche il contributo del traffico.
Per questo Legambiente lancia una petizione nazionale da far firmare ai cittadini per chiedere
al Governo di modificare la legge sul benzo(a)pirene in favore di un maggior controllo e una
maggiore protezione per la qualità dell‟aria che respiriamo nelle nostre città.
“Per tutelare la salute dei cittadini italiani – ha dichiarato il responsabile scientifico di
Legambiente Stefano Ciafani - è necessaria una normativa rigorosa e stringente e l’adozione di
interventi di risanamento per ridurre le emissioni atmosferiche di benzo(a)pirene.
Il Governo italiano riveda dunque con urgenza il testo del decreto legislativo e si attivi perché
sia raggiunto in tutte le grandi città l’obiettivo di qualità di 1 nanogrammo per metro cubo”.
Per firmare la petizione clicca sul link: www.legambiente.it
(da www.legambiente.it - ottobre 2010)
L'ORO DI GORO
Famoso per il mercato dei sussurri, il borgo sul delta del Po ha
scoperto che la fortuna arriva dalla Filippine. Sotto forma di una
vongola.
Il giovane battitore d‟asta, orecchino e donna nuda tatuata sul braccio
sinistro, li scruta con gli occhi socchiusi, per capire meglio le loro
intenzioni. Intorno a una quindicina di cassette colme di canocchie pescate
nella notte, i grossisti con un gesto richiamano la sua attenzione. Ciascuno
gli bisbiglia il suo prezzo all‟orecchio.
Due tra i più anziani parlottano, sembra si stiano accordando: “L’astator son me”, li richiama
all‟ordine. Fra borbottamenti, cenni, sguardi e sussurri, alla fine il battitore scandisce il nome di
cinque grossisti. A ognuno assegna tre cassette a 3 euro al chilo.
Al mercato ittico di Goro, in provincia di Ferrara, dal lunedì al venerdì alle quattro del
pomeriggio c‟è l‟asta del pesce, con il rito dell’offerta a orecchio (vedi foto). È stato
introdotto nel 1980, prima si faceva tutto a voce alta: l‟astatore stabiliva un prezzo massimo e
scendeva fino a quando uno degli acquirenti se lo aggiudicava con un‟alzata di mano. Il prezzo
era fissato in scudi, memoria di quando il ferrarese era ancora feudo pontificio: uno scudo
equivaleva a circa 500 lire. “Si scelse il metodo del bisbiglio per evitare che i grossisti si
accordassero puntando al ribasso”, racconta Pierpaolo Piva, direttore del mercato, oggi gestito
dal consorzio Pescatori di Goro, che conta 600 associati.
Un sistema condannato a scomparire. “Ormai è anacronistico -ammette il direttore-: appena
ristruttureremo il mercato, introdurremo l’asta elettronica”. Su un tabellone luminoso
comparirà il prezzo di base e ogni acquirente digiterà la propria offerta su una pulsantiera:
“Così vi sarà più certezza nella contrattazione”. Un fatturato di 3 milioni e mezzo di euro
l‟anno. La vera ricchezza di questo borgo, però, non deriva dalla pesca, ma da un altro
prodotto del mare: le vongole, che qui hanno un giro d‟affari annuo di oltre 100 milioni di euro.
Su 4mila abitanti, gli allevatori di vongole sono mille, riuniti in 33 cooperative.
“L‟oro di Goro” cresce nelle sabbie della “sacca”, la fetta di mare antistante il paese, racchiusa
dalle barriere naturali costruite nei secoli dal Po. L‟incontro dell‟acqua dolce con quella salata e
i fondali bassi, ne rappresentano l‟habitat ideale. Fino al 1985 nessuno immaginava che la
fortuna fosse lì, a portata di mano. È stato un giovane del luogo, fresco di laurea in biologia
marina, ad avere l‟idea. “A Venezia ho conosciuto degli studiosi americani che mi hanno
raccontato che in Spagna e Francia veniva allevata una vongola filippina – ricorda Francesco
Paesanti -. Ho pensato che potesse andare bene anche da noi, visto che avevamo già dei
banchi naturali di vongole. Ma a Goro nessuno voleva credermi”.
E se nessuno è profeta in patria, Francesco decide di spostarsi 48 km più a Nord, a Caleri, in
Veneto. Funziona: la vongola filippina cresce a meraviglia. I suoi compaesani lo richiamano,
questa volta per accoglierlo a braccia aperte. “I pescatori hanno capito che potevano
guadagnare di più senza rischiare la vita in alto mare”, spiega Pierpaolo Piva.
Di pescatori “veri”, in tutto il paese, ne sono rimasti 40. Mentre è cresciuto a dismisura il
numero degli allevatori. Tra i 600 soci del consorzio, ad esempio, 570 hanno rinunciato alle reti
per dedicarsi alle vongole. Un‟attività certo redditizia, visto che si guadagnano dai 2mila ai
4mila euro netti al mese, a seconda dalle quotazioni.
E la crisi economica non ha causato nemmeno troppi danni: il prezzo è sceso (dai 4,50 euro al
chilo del 2008, ai 3,50 di oggi), ma nessuna delle 33 cooperative di Goro ha chiuso. Nel 2009
solo il consorzio dei Pescatori ha raccolto 7.600 tonnellate di vongole, la metà di tutta la
produzione locale. Sebbene queste vongole abbiano antenati filippini, i goresi hanno finito per
considerarle emiliane a tutti gli effetti. Tanto che le cooperative hanno chiesto all‟Unione
europea la concessione del marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) e sul sito della
Provincia, “i frutti” di Goro sono annoverati fra le “17 perle” gastronomiche del ferrarese, con
tanto di sagra estiva. Un caso di immigrazione e di integrazione perfettamente riuscito.
La filiera della vongola è ben collaudata. In un angolo della sacca c‟è la nursery, di proprietà
della Regione: lì nascono i cuccioli che vengono affidati ai singoli allevatori che li “seminano”
nei loro appezzamenti. Ciascuno ha infatti in concessione 8mila metri quadrati di laguna.
L‟allevatore deve curarne la crescita (fino ai 18 mesi) e fare in modo che nel suo territorio ci
siano vongole in stadi di sviluppo diverso, così da garantire il prodotto tutto l‟anno.
Ogni mattina nel porto di Goro arrivano le piccole imbarcazioni con il “raccolto” che finisce
negli “stabulari”: in questi capannoni, provvisti di grandi vasche, le vongole vengono lasciate a
spurgare per 24 ore.
Confezionate in sacchetti di rete, partono poi per i mercati d‟Europa. “Al consumatore devono
giungere vive e vitali -precisa Piva-: a non più di cinque giorni dalla lavorazione”. “La vongola
è la nostra forza - dice Vincenzino Soncini, sindaco di Goro -, e la nostra debolezza. Quando il
Lambro si è riempito di petrolio, ci tremavano i polsi. Se fosse arrivato qui sarebbe stato un
disastro”.
La sacca e il dedalo di canali e canneti che la circondano, fanno parte del parco del Delta,
patrimonio dell‟Unesco. “Ora - conclude il sindaco - manca solo un turismo capace di
apprezzare questo ecosistema così unico”.
(da Terre di Mezzo Street Magazine - ottobre 2010)
L’Associazione Mimosa e la Cooperativa
Equality, in collaborazione con il Comune di
Padova, Banca Popolare Etica e Coop
Adriatica, sono lieti di invitarVi al
BALLO POPOLARE in Piazza De Gasperi
Sabato 9 ottobre 2010, alle ore 16,30
Musiche e Balli a cura dell’Associazione
Culturale “El Filò”
L’iniziativa si colloca nel più ampio progetto di rivitalizzazione della zona
adiacente la stazione ferroviaria “La Città Partecipata”.
(scarica QUI il volantino della manifestazione)