- AISA - Associazione Italiana per la storia dell`Automobile
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Forme e creatività dell’automobile cento anni di carrozzeria 1911-2011 AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile C.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it MONOGRAFIA AISA 94 Forme e creatività dell’automobile cento anni di carrozzeria 1911-2011 AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile in collaborazione con Museo Nazionale dell’Automobile di Torino Torino, 29 ottobre 2011 3Introduzione Lorenzo Boscarelli 4 I carrozzieri e la Fiat: cento anni di collaborazione Alessandro Sannia 18 I miei anni alla Zagato Ercole Spada 22 Prospettive per i carrozzieri di domani Leonardo Fioravanti In copertina: la concept-car “Sguanà” realizzata da Bertone nel 2006 su base Fiat Grande Punto ed una Fiat 525 allestita con carrozzeria D’Orsay de Ville da Viotti nel 1928. In IV di copertina: una panoramica su un secolo di vetture Fiat “vestite” dai carrozzieri italiani. MONOGRAFIA AISA 94 1 Prefazione Lorenzo Boscarelli U n secolo è un lungo periodo per un prodotto dell’industria, come l’automobile, tanto più se nel suo corso le evoluzioni della tecnologia, dell’economia, della società hanno inciso così profondamente sull’oggetto e sul suo ambiente da rendere arduo il paragone tra i due estremi temporali. È quindi ancor più ammirevole e – per noi italiani – occasione di orgoglio, che si possa celebrare il centesimo anniversario della costituzione del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA non commemorando il tempo che fu, ma riflettendo sul modo di essere carrozziere oggi e con la possibilità di guardare al futuro con ragionevole fiducia, consapevoli dei successi passati così come delle sfide e delle incognite del futuro, forti delle proprie capacità e del riconoscimento che i nostri carrozzieri hanno in tutto il mondo. Compito istituzionale dell’AISA è la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico del motorismo italiano. Pertanto, l’incontro odierno si apre con un panorama della collaborazione tra i carrozzieri e la Fiat, che ha segnato in modo rilevante tutta la storia dell’azienda torinese, con risultati spesso molto lusinghieri. La vicenda Fiat è emblematica, ma tutti i costruttori italiani hanno avuto dalla col- laborazione con i carrozzieri un contributo rilevante all’affermazione dei loro prodotti. Possiamo ben dire che questo risultato è stata la conseguenza di un virtuoso “triangolo”, i cui vertici sono rappresentati dall’azienda committente, dall’impresa di carrozzeria, dallo stilista (oggi detto designer), con questi ultimi due attori che hanno saputo evolvere nel tempo, assumendo connotazioni e ruoli consoni alle mutate condizioni tecniche, organizzative, di mercato. Il fatto che da tutto il mondo giovani designers si trasferiscano in Italia, in particolare a Torino, per apprendere la loro professione e per esprimere le loro capacità è il segno che il nostro gusto e tradizione sono un punto di riferimento, pur disponendo ormai tutti o quasi i grandi costruttori di automobili di centri stile molto competenti. Come sempre, si mantiene sul mercato e si sviluppa chi offre qualcosa di diverso e migliore dei concorrenti; è ciò che i nostri carrozzieri hanno fatto e fanno ancor oggi e che ci auguriamo continuino a fare, perché tutti noi, da appassionati dell’automobile e di ciò che è bello ed attraente, desideriamo poter ammirare anche in futuro le loro opere, per esserne sorpresi e avvinti, come in tante occasioni ci è accaduto in passato. Un’immagine della splendida Fiat 514 “Coppa delle Alpi”, tratta da un catalogo pubblicitario del 1931. Per la costruzione di un modello così particolare, la Fiat preferì rivolgersi ad uno specialista, la Carrozzeria Ghia, che certamente era più adatta per le piccole serie di lusso rispetto al grande stabilimento industriale del Lingotto. Si tratta di un ottimo esempio della stretta collaborazione che fin dalla nascita dell’automobile si è instaurata fra case costruttrici e carrozzieri. Lorenzo Boscarelli, presidente Aisa e studioso di storia dell’automobile. 2 3 I carrozzieri e la Fiat: cento anni di collaborazione Alessandro Sannia Praticamente tutte le innovazioni tecnologiche che portarono alla nascita dell’automobile sul finire del XIX secolo furono concentrate sulla meccanica poiché per la carrozzeria esisteva già una tradizione consolidata, che si poteva sfruttare senza grandi modifiche. Questo spiega la fortissima somiglianza fra la carrozza leggera da passeggio, di costruzione americana datata 1900, e l’allestimento di Marcello Alessio per la contemporanea Fiat 4 Hp. L a nascita dell’automobile negli ultimi decenni del Diciannovesimo secolo non ha, in realtà, risposto ad un bisogno primario dell’uomo –come accade sovente con le invenzioni che rivoluzionano la vita quotidiana- ma ha semplicemente offerto una risposta più semplice, più pratica e più razionale a quella necessità di mobilità che esisteva da sempre. Molto tempo prima dell’invenzione del motore, l’uomo aveva già trovato una risposta nella trazione animale; la geniale invenzione di padre Eugenio Barsanti e dell’ingegner Felice Matteucci, semplicemente, offriva un’alternativa migliore. Per fare un paragone moderno, potremmo dire che al bisogno di comunicare a distanza avevano già risposto le invenzioni di Antonio Meucci e Alexander Graham Bell alla fine dell’Ottocento, ma che i cellulari diffusi da Motorola hanno portato una rivoluzione nelle nostre abitudini perché rendevano il telefonare più semplice e disponibile ovunque. Questa premessa è fondamentale per inquadrare il rapporto fra la nascente industria automobilistica ed i carrozzieri, mettendo in evidenza come i secondi esistessero già e come, di conseguenza, tutta la parte fortemente innovativa fosse nelle mani e nelle idee dei pionieri della prima. In altre parole, la carrozza a trazione animale era ormai un prodotto maturo e possedeva già in quegli anni molte caratteristiche che avremmo poi ritrovato nelle prime automobili, sia dal punto di vista stilistico sia da quello tecnico, come le molle a balestra o i freni. Se si confrontano le immagini di una carrozza e di una delle prime automobili, si vede che l’innovazione sta tutta nel diverso tipo di forza motrice, mentre la carrozzeria è adattata solo il minimo indispensabile per alloggiare il motore. Le prime industrie automobilistiche, dunque, non ebbero fra gli innumerevoli problemi da risolvere quello della carrozzeria: era più che sufficiente rivolgersi ad uno dei numerosi specialisti del settore già ben noti ed affermati per avere ciò che desideravano. Nel caso specifico della Fiat, il fornitore prescelto fu l’atelier di Marcello Alessio, che in quegli anni godeva di ottima fama ed era particolarmente di moda fra l’alta borghesia e la nobiltà della capitale sabauda. Nei primi tempi nessuno sentì la necessità di avere un ap- L’automobile non è, in realtà, così importante per aver fornito all’uomo un mezzo per muoversi, cosa che la trazione animale faceva già da millenni, ma per averlo reso estremamente più semplice e pratico. proccio diverso alla carrozzeria e, anzi, l’abitudine Fiat di offrire i propri telai anche con una proposta già definita di Alessio era di per sé già abbastanza insolita. I concorrenti, normalmente, fornivano lo châssis nudo e il cliente lo faceva abbigliare dal proprio carrozziere di fiducia, così come mai allora avrebbe concepito un abito prêt-à-porter. Tutto questo fece sì che in un primo momento ci sia stato un certo disallineamento fra la velocità con cui si evolveva la meccanica e quella con cui la carrozzeria le si adattava. Persino in un esempio eccellente come la Fiat 28/40 Hp “Sparviero” carrozzata nel 1906 da Castagna per S.A.R. la Regina Madre Margherita di Savoia, si nota ancora una certa discontinuità fra il compartimento passeggeri ed il cofano motore. Pur nella raffinatezza dell’esecuzione, gran parte delle attenzioni vengono riservate alla forma del salotto della sovrana, mentre il cofano ed i parafanghi “vestono” in modo piuttosto semplice le parti meccaniche. I primi cenni di armonizzazione della carrozzeria come una forma unica ed intera si vedono attorno al 1908 nelle realizzazioni dei carrozzieri del nuovo tipo “torpedo”, ma in casa Fiat il vero punto di svolta è la nascita della 12/15 Hp “Zero” nel 1912. Per la prima volta, infatti, veniva definito un “tipo standard” di carrozzeria, così da vendere l’automobile completa e pronta ad andare su strada anziché lo châssis da allestire. La “Zero” porta con sé anche un altro significativo primato: è stata, infatti, definita con una metodologia incredibilmente avanzata per l’epoca e concettualmente assai vicina alle procedure di sviluppo prodotto moderne. La Fiat, infatti, individuato nella “torpedo” la tipologia più diffusa, ha contemporaneamente incaricato Alessandro Sannia è nato a Torino nel 1974 e si occupa di automobili a trecentosessanta gradi. Laureato in architettura, dopo precedenti esperienze nel campo dello stile e in quello dei motori, si occupa di strategie di prodotto in Fiat Group Automobiles. Da sempre appassionato e studioso di storia dell’automobile, è membro della Commissione Cultura dell’Automotoclub Storico Italiano, della prestigiosa Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile e della Society of Automotive Historians americana. Collabora come giornalista freelance con diverse testate specializzate italiane e straniere ed è autore di numerosi libri, dedicati soprattutto alle automobili Fiat e alle loro derivate. 4 soddisfare le esigenze specifiche della clientela, sia professionali sia ludiche, a cui il prodotto di grande serie non poteva rispondere. Dall’altro si consolidarono nelle forniture alle case costruttrici per quelle tipologie più di nicchia per le quali una produzione industriale di grande serie sarebbe risultata antieconomica. Ecco, dunque, che accanto ad un’offerta “ufficiale” della Fiat che si consolida su un certo numero di tipologie di carrozzeria standardizzate si sviluppa un fiorente panorama di allestimenti speciali ad opera degli artigiani “indipendenti”. La scena, soprattutto torinese, è molto vivace e movimentata. Oltre alle costruzioni tradizionali, fatte per soddisfare i clienti che ancora vogliono un prodotto esclusivo e “su misura” anche per le tipologie di vettura normali, come le berline e le torpedo, nascono idee più originali e innovative. Alcune sarebbero state destinate a durare nel tempo, altre a scomparire nel giro di una stagione. Un esempio potrebbe essere la Carrozzeria Moderna, che fu attiva per poco tempo a cavallo della metà degli anni Venti e che, però, nella sua breve esistenza si fece notare per l’originalità delle propo- il proprio Reparto Carrozzerie ed un’importante azienda esterna, gli Stabilimenti Farina, di realizzare due prototipi, per poi scegliere quello meglio riuscito dal punto di vista stilistico. La selezione premiò il secondo e si racconta che alla scelta abbia partecipato un giovanissimo Pinin Farina che, alla domanda del senatore Agnelli di quale delle due preferisse, aveva risposto: “Questa, perché l’ho fatta io”. Accanto alla versione torpedo, che fu disegnata da Farina ma veniva costruita dalla Fiat, fu proposta anche una bella spider. Per questa, invece, l’azienda fece nuovamente ricorso ad una fornitura esterna, assegnandone la costruzione alla Carrozzeria Locati & Torretta, ma la presentò comunque come un prodotto proprio, omettendo il nome del carrozziere nelle pubblicità. Quest’abitudine di vendere vetture complete soppiantò nel giro di pochi anni il sistema precedente e creò un rapporto diverso fra case costruttrici e carrozzieri. La rapida espansione dell’automobile, però, favorì la crescita dei fornitori di carrozzerie, che si crearono un ruolo diverso ma altrettanto importante. Da un lato, infatti, si specializzarono nel Anche in una realizzazione d’eccellenza come la “Sparviero” allestita da Castagna su châssis Fiat 24/40 Hp nel 1906 per S.A.R. la Regina Madre Margherita di Savoia, la parte meccanica sembra ancora integrarsi con una certa difficoltà. Tutte le attenzioni sono concentrate nella parte riservata ai passeggeri, mentre il resto sembra solo essere mascherato dai parafanghi a vomere, all’ultima moda in quegli anni. 5 Per la sua capacità di costruire carrozzerie di alta qualità rispettando tempi e modi della produzione in serie, Viotti divenne nel corso degli anni Trenta un partner privilegiato della Fiat. Dopo i pochi esemplari della 525 SS Spider, supportò la casa torinese nell’offrire una versione della 508 Balilla, aerodinamica e a quattro porte (a destra), che fosse esteticamente accattivante, in alternativa alla fin troppo tradizionale berlina di serie. La collaborazione proseguì negli anni successivi con la 508 C/1100 “Nuova Balilla”. La Fiat, infatti, decise di inserire nel proprio listino la bella Spider a due posti proposta da Viotti (sotto, a sinistra) e gli commissionò anche la realizzazione di una più comoda cabriolet a quattro posti (sotto, a destra). Per lo stile della 12/15 Hp “Zero” la Fiat ebbe un approccio incredibilmente moderno per quei tempi: scelse fra un prototipo realizzato internamente ed uno disegnato da un giovanissimo Pinin Farina, apprendista presso la carrozzeria del fratello Giovanni. La scelta ricadde sul secondo, che divenne il torpedo standard che appare nella foto a sinistra e che fu anche la prima vettura della casa torinese ad essere venduta completa, cioè con una carrozzeria prodotta in serie e non come châssis nudo. Per la versione spider, nella pubblicità riprodotta a destra, invece, la Fiat si rivolse ad uno specialista del settore, commissionandone l’esecuzione alla Carrozzeria Locati & Torretta, il cui nome, però, come si vede, non veniva mai menzionato. ste; ricordiamo il sistema “Doublentrée” che permetteva di aprire le porte in entrambe le direzioni, in avanti o indietro, agendo su due maniglie, e il brevetto “Ognitempo” per una carrozzeria smontabile che permetteva di passare dalla berlina a guida interna alla torpedo, passando per quattro configurazioni intermedie di dorsay giocando sulla posizione di vetri e montanti. Questo ebbe più successo e fu acquistato dalla stessa Fiat, che lo propose sui nuovi modelli a sei ci- lindri di fine decennio. E’ interessante, inoltre, rilevare quanto cosmopolita fosse il clima in cui agivano i professionisti dell’automobile; i numerosi saloni che si tenevano a livello europeo erano già allora vetrine eccellenti per il pubblico quanto per gli addetti ai lavori, che vi scambiavano informazioni, contratti e brevetti. Per esempio, Viotti costruiva innovative scocche con struttura in alpacca secondo il metodo “Clairalpax” su licenza del francese Paul Audineau mentre Garavini sfruttava inizialmente il sistema Weymann per il rivestimento delle carrozzerie in pegamoide, che poi avrebbe evoluto nei suoi brevetti “Plumelastica” e “Plumacciaio”, a loro volta concessi in licenza a costruttori esteri. L’eccellenza raggiunta negli anni Venti dai professionisti della carrozzeria fece sì che l’industria riconoscesse nel loro lavoro un valore aggiunto quando si trattava di offrire al pubblico versioni di lusso. La Fiat lo fece scegliendo due dei più importanti atelier torinesi per affidare loro la costruzione di due splendide sportive: la 525 SS Spider che fu “vestita” da Vittorino Viotti e la 514 “Coppa delle Alpi” da Giacinto Ghia; a quest’ultima sarebbe seguita poco più tardi la celebre 508 S Balilla “Coppa d’Oro”. Queste immagini mostrano come i carrozzieri siano stati i protagonisti della creatività e del lusso degli anni Venti. In alto a sinistra, la vettura brevettata “Ognitempo” realizzata dalla Carrozzeria Moderna di Torino, fervido innovatore in fatto di sistemi e meccanismi; la vettura della foto, allestita su châssis Fiat 507 nel 1927, aveva un padiglione smontabile che permetteva di trasformarla da berlina a guida interna a torpedo passando per altre quattro configurazioni intermedie, a seconda di come venivano posizionati i vetri. In alto a destra, una straordinaria dorsay de ville su châssis Fiat 519 realizzata nel 1928 da uno dei marchi di lusso più apprezzati del momento, la Carrozzeria Viotti di Torino. Sopra a sinistra: un’eccezionale carrozzeria del tipo “Flying Star” con parafanghi ad ala di farfalla realizzata nel 1931 da Touring; nonostante le dimensioni relativamente piccole dello châssis Fiat 522 C continua a colpire ancora oggi per l’originalità e l’eleganza. Sopra a destra: una delle sportive Fiat più celebri, la 525 SS Spider del 1931, la cui carrozzeria fu commissionata dalla casa torinese a Viotti. La clientela più raffinata ed esigente era certa di trovare nei carrozzieri la giusta risposta alle proprie aspettarive. Nella foto, una cabriolet su châssis Fiat 2800 a sei cilindri allestita da Bertone nel 1938. 6 7 Un altro interessante esempio del potenziale della collaborazione fra carrozzieri e grande industria ci è dato proprio dalla Balilla, nella sua versione berlina. Vettura fortemente attesa sia dalla clientela sia dal Regime fascista, che vedeva in essa uno strumento di progresso dell’industria e della motorizzazione del Paese, fu lanciata troppo in fretta. Pur con tutti i suoi pregi, era troppo tradizionale sia meccanicamente sia, soprattutto, nell’estetica, limitandosi a ricordare in piccolo una 514. La Fiat, naturalmente, ne era del tutto consapevole, ma non aveva potuto mancare l’appuntamento della primavera 1932 per la commercializzazione. In contemporanea, però, aveva portato avanti uno sviluppo per ammodernarla, potenziando il motore e introducendo un cambio a quattro marce al posto di quello, ormai anacronistico, a sole tre. Queste modifiche furono pronte già un anno più tardi, ma l’aggiornamento della carrozzeria, che ormai era completamente stampata in lamiera d’acciaio con grandi e complesse attrezzature industriali, richiedeva più tempo e non sarebbe stato disponibile prima del 1934. Per prevenire, nel frattempo, il rischio di prematura obsolescenza della piccola berlina a due porte la Fiat commissionò a Viotti un lotto delle sue apprezzatissime berline aerodinamiche a quattro porte, di disegno decisamente più moderno ed accattivante. Questa collaborazione si fece sempre più stretta e proseguì nel corso degli anni Trenta. Il carrozziere torinese, infatti, fornì alla Fiat anche le carrozzerie cabriolet per la 508 C/1100 “Nuova Balilla” mentre la casa, per un breve periodo, propose nel suo listino l’accattivante versione spider a due porte che lui realizzava autonomamente. Lo scambio di idee, progetti, lavori e forniture era continuo e grandemente proficuo. Gli anni Trenta furono indubbiamente la “golden age” delle fuoriserie, con i grandi nomi italiani come Touring, Pininfarina, Bertone, Viotti, Boneschi, Castagna sempre più famosi e apprezzati a livello internazionale. L’eccellenza tecnica andava di pari passo con quella estetica. Basti, infatti, ricordare le innovazioni stilistiche introdotte da personaggi del calibro del Conte Mario Revelli di Beaumont, che rivoluzionò gli stilemi classici dell’automobile accogliendo i principi della aerodinamica, o sistemi di costruzione che per quei tempi erano avveniristici come il “Superleggera” di Touring. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale pose bruscamente fine a tutto questo. Le ultime realizzazioni di lusso si videro nel 1940, con pochissime eccezioni successive. Tutti gli sforzi vennero, poi, concentrati per la produzione bellica. Per sfruttarne le capacità tecniche nel modo più efficace, alle carrozzerie specializzate in automobili vennero assegnate produzioni affini: ad esempio, Viotti e Pininfarina costruivano le berline e le torpedo militari sugli châssis Lancia Aprilia e Artena, Bertone e Garavini le ambulanze su Fiat 1100, Savio le Fiat 2800 CMC. Con il procedere del conflitto, fra bombardamenti angloamericani e scarsità di materie prime, la situazione divenne sempre più difficile e, come talvolta accade in questi casi, fu l’inventiva a permettere di andare avanti. Quando il poco Gli anni Trenta sono stati la “golden age” delle carrozzerie fuoriserie. Dall’alto: un esemplare dell’innovativo tipo “Superleggera”, realizzato in alluminio su un’intelaiatura di sottili profili d’acciaio da Touring su châssis Fiat 2800 nel 1939; una piccola 500 “Topolino” carrozzata Spider da Bertone nel 1939, prova che il lusso era per pochi, ma non pochissimi; una pubblicità della modernissima 1500 Cabriolet Gran Turismo proposta da Viotti nel 1940 su disegno del conte Mario Revelli di Beaumont; una delle ultime fuoriserie del tempo di guerra, un’eccezionale Fiat 2800 costruita da Bertone nel 1943 per l’ingegner Giovanni Lurani Cernuschi, conte di Calvenzano. 8 Sotto: la guerra spazzò via il mondo delle fuoriserie di lusso, ma non la creatività dei carrozzieri, che seppero fare fronte anche ai momenti più drammatici; nella foto, un’ambulanza su châssis Fiat 1100 L allestita da Viberti per la Wermacht nel 1944 con scocca quasi interamente in legno per sopperire alla scarsità di acciaio. A destra: con grande difficoltà ma altrettanta determinazione, a conflitto appena concluso reiniziò la costruzione di carrozzerie di lusso, come dimostra questa pubblicità della Ghia che ritrae una splendida 1500 “flamboyant” disegnata da Felice Mario Boano e premiata al Concorso d’Eleganza di Montecarlo del 1946. acciaio a disposizione veniva destinato solo ai prodotti dove era indispensabile, nella meccanica e nelle armi, i carrozzieri pensarono di utilizzare il legno per le carrozzerie. In questo fu all’avanguardia il marchio torinese Viberti, che iniziò con i camioncini Fiat 1100 per il Regio Esercito e arrivò a costruire, durante il periodo di amministrazione tedesca dell’azienda, fra il ’44 e il ’45, intere ambulanze con carrozzeria in listelli di legno. A guerra conclusa furono ancora una volta i carrozzieri a dare un contributo fondamentale alla ripresa. Le grandi industrie avevano subito danni enormi e per riavviare le produzioni in serie ci vollero diversi mesi. I piccoli laboratori artigianali, che pure avevano patito altrettanto la distruzione portata dai bombardieri inglesi, reagirono più in fretta e, con la consueta propositività italiana, crearono un nuovo mercato: la riconversione di mezzi obsoleti e residuati bellici. Fu un fenomeno rapido e che coinvolse l’industria automobilistica a tutti i livelli. In mancanza di chassis nuovi, i carrozzieri trasformarono, adattarono e resero nuovamente utilizzabile qualsiasi cosa fosse in grado di muoversi ancora. L’unico obiettivo comune era quello di fornire dei mezzi di trasporto ad una nazione che aveva un disperato bisogno di rimettersi in movimento, sotto ogni punto di vista; questo accomunava i piccoli meccanici di campagna che trasformavano le Jeep in trattori così come i grandi carrozzieri. L’esempio più noto e geniale è La risposta al bisogno di mobilità di un’Italia uscita distrutta dalla guerra fu la geniale invenzione della “Giardinetta” ad opera di Vittorino Viotti con la consulenza del conte Mario Revelli di Beaumont come stilista. Sopra, a sinistra, la pubblicità del primo tipo del 1946, che poteva essere allestito su qualsiasi versione di vecchia Fiat 1100 ancora circolante, in mancanza di châssis nuovi di fabbrica. Copiatissima dagli altri carrozzieri, questa formula fu adottata dalla Fiat solamente nel 1948, con la piccola 500 B Giardiniera (sopra, a destra), che dovette cambiare nome perché “Giardinetta” era stato brevettato da Viotti. 9 senza dubbio quello di Vittorino Viotti che, con l’aiuto del conte Mario Revelli di Beaumont, inventò la “Giardinetta”: una vettura promiscua, pratica e capace di trasportare sia materiali sia numerosi passeggeri, facile ed economica da costruire grazie alla scocca parzialmente in legno e, soprattutto, adattabile a qualsiasi vecchio châssis, anche di veicolo commerciale. Nata come risposta razionale ad un’esigenza contingente, si trasformò rapidamente in una moda e, con i modelli disegnati da altri grandi stilisti come Giovanni Michelotti, Felice Mario Boano e Pietro Frua, raggiunse livelli estetici straordinari. La Fiat, affannata nel riprendere il lavoro all’interno delle fabbriche distrutte, districandosi allo stesso tempo nelle faccende politiche, fra epurazioni e mire di conquista americane, sottovalutò il fenomeno. Quando fu chiaro a tutti che la piccola Topolino a due posti aveva fatto il suo tempo ma neppure c’era denaro sufficiente per sostituirla con un nuovo modello, la risposta fu la giardinetta a quattro posti, che però dovette essere chiamata “Giardiniera” perché il nome era già stato brevettato da Viotti. Per farla anche la La spinta creativa dei carrozzieri riprese velocemente dopo la guerra. I risultati non furono sempre eccellenti, ma bisogna riconoscere che ci fu una grande voglia di sperimentare, correndo anche il rischio di non incontrare i favori della stampa. I due esempi in alto rientrano nella categoria di quelli meno riusciti, per quanto originali: a sinistra la “B.Junior” di un giovanissimo Gian Paolo Boano, allestita da Ghia su autotelaio Fiat 1400 nel 1952, con una tale abbondanza di siluri cromati nel frontale da far impallidire uno stilista americano; a destra la “Stella Filante” costruita dallo Stabilimento Monviso su base Fiat 1100/103 TV su disegno di Giovanni Michelotti, con un’incredibile cupola smontabile in plexiglas, fissata con ganci aeronautici. Sotto, un modello decisamente meglio riuscito, che può essere considerato la massima evoluzione della Giardinetta Viotti, quando ormai la costruzione mista in acciaio e legno era divenuta un fatto di moda e non più una necessità contingente. L’esemplare nella foto è stato allestito nel 1952 su autotelaio Fiat 1900, ma veniva proposto uguale anche su Lancia Aurelia B10 e su Alfa Romeo 6C 2500. Durante il cosiddetto “boom” economico degli anni Cinquanta i carrozzieri seppero integrare l’offerta delle grandi case, fortemente orientata alla massima standardizzazione possibile per ridurre i costi, con modelli fuoriserie di prezzo ragionevole allestiti anche sugli autotelai meno prestigiosi. Un fenomeno importante fu quello delle cosiddette “elaborate”, vetture modificate e migliorate esteticamente per distinguersi dalla moltitudine di esemplari tutti identici che uscivano dalle catene di montaggio. In alto, una 500 realizzata da Canta, uno specialista del genere, e la 1100 “Smart” di Bertone, segno che anche i marchi più illustri non disdegnavano questo mercato, forse poco gratificante ma utile per fare cassa. Sopra, due esempi della varietà di proposte su di uno stesso autotelaio, pur modesto come quello della Fiat 600; a sinistra la bella “Amica 56” della Siata e a destra la goffa berlina a quattro porte di Mantelli, che pure ebbe una sua clientela poiché costava meno, in termini di acquisto e gestione di una 1100. Sotto: i carrozzieri continuarono anche dopo la guerra a collaborare strettamente con le case costruttrici. Pininfarina propose nel 1958 una bella sportiva che andò già dall’anno successivo a sostituire l’eccentrica 1100 Trasformabile con una nuova e moderna 1500 Cabriolet con motore bialbero OSCA. Oltre alla versione aperta, che veniva costruita per conto della Fiat, il carrozziere torinese proponeva per proprio conto la coupé. Fiat copiò i metodi dei carrozzieri e ne affidò la produzione al Lingotto, in un “Reparto Carrozzerie Speciali” che, in pratica, era un atelier artigianale, solo molto grande. In un secondo momento, quando le vendite divennero troppo numerose per proseguire con questi metodi, la produzione fu spostata a Mirafiori e la scocca stampata interamente in acciaio, ma la guerra era ormai lontana, seppure conclusa da appena sei anni. 10 11 Le sei cilindri Fiat 1800 e 2100 del 1959 sono una dimostrazione di quanto stretta fosse l’interconnessione fra la grande industria ed il mondo dei carrozzieri. La berlina di serie fu disegnata alla Fiat, me per un’ultima messa a punto dello stile fu indispensabile il tocco di Pininfarina, che seppe darle quell’aspetto moderno, vagamente americaneggiante e fortemente internazionale. Per la Familiare, invece, viste le modeste prospettiva di vendita di una versione così particolare di una vettura di fascia alta, fu deciso di affidare la costruzione delle scocche all’esterno, alla Carrozzeria Savio, che sarebbe stata senz’altro più efficiente delle grandi catene di montaggio di Mirafiori. La limousine a passo allungato, infine, arrivò come proposta indipendente da uno specialista del settore, il vercellese Francis Lombardi, e fu poi inserita dalla stessa Fiat nei suoi listini, intravedendone le potenzialità commerciali. La 850 inaugurò una tradizione per le sportive Fiat che si sarebbe ripetuta diverse volte: realizzare in proprio la versione chiusa ed affidare all’esterno la costruzione di quella aperta. In questo caso, fu Bertone a proporsi e, convinto il management dell’azienda, riuscì nell’impresa di disegnare, industrializzare e mettere in produzione la Spider in tempo per essere lanciata insieme con la Coupé , in appena un anno di tempo. In basso: con la fine degli anni Sessanta i carrozzieri furono investiti da una profonda crisi, dovuta alla difficile situazione economica dell’industria nazionale ed ai crescenti costi della manodopera. Nonostante i tentativi di differenziare la propria produzione, molti furono costretti a chiudere. In senso orario, partendo da sinistra in alto: la 125 “Eveline” di Vignale (1967), di disegno molto moderno e piacevole; la 500 “Gamine” (1967), sempre di Vignale, fu un tentativo di rilanciare la produzione con un modello in stile retró che, nonostante il successo riscosso, non salvò il carrozziere dalla chiusura; un altro filone fu quello delle piccole fuoristrada per il tempo libero, come la “Jungla 600” di Savio (1965); la 127 Coupé di Moretti (1972), disegnata da Dany Brawand, è stata una delle ultime fuoriserie nel senso tradizionale del termine. Il mondo dei carrozzieri, che si era ripreso assai rapidamente, aveva anche ricominciato l’allestimento di fuoriserie di lusso, un filone numericamente esiguo ma sempre redditizio, dove estro, originalità e sperimentazione erano all’ordine del giorno. Certo, non tutte le vetture erano dei capolavori, ma la vivacità delle proposte lascia davvero stupiti. Con il boom economico dei primi anni Cinquanta il mercato di queste vetture poté spostare il proprio target più in basso e ci fu un continuo proliferare di modelli spor- tivi allestiti anche su châssis modesti, come quelli delle Fiat 1100 e persino 600, con prezzi che andavano a posizionarsi appena il 25-30% al di sopra del modello di serie. Ancora una volta i carrozzieri completavano l’offerta delle grandi case che, alla continua ricerca della massima economia di scala, limitavano fortemente non solo i modelli, ma anche le versioni e la scelta di optional. Era così possibile acquistare una 1100 spider per poco meno di quanto costava una Giulietta, ma anche una 600 berlina a quattro porte che, per quanto stilisticamente discutibile, costava meno di una 1100 di serie e, soprattutto, pagava meno tasse e consumava meno benzina. Poi, la standardizzazione spinta all’eccesso dalla Fiat portò i clienti che non amavano avere una 500 bianca esattamente uguale a quella di metà dei loro vicini di casa a rivolgersi ai carrozzieri per un’alternativa a costo ragionevole. Nasceva così il fenomeno delle cosiddette “elaborate”, un termine che fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta si riferiva esclusivamente all’estetica e che solo più tardi avrebbe avuto connotazioni meccaniche e prestazionali. Fu un mercato molto ampio, che consentì ai carrozzieri di fare facile cassa con volumi di vetture mai trattati prima di allora, un altro aspetto del “miracolo economico” italiano. Con un dieci percento di prezzo in più si poteva avere un’auto con colori, rivestimenti e accessori su misura o, in alternativa, in pronta consegna, quando la Fiat faceva attendere anche sei mesi. Fu un’opportunità allettante per tutti gli operatori del settore, tanto che ci furono aziende specializzate in vetture elaborate, come Canta, Scioneri, Monviso e Fissore, ma ci si dedicarono anche nomi illustri come Bertone, Viotti, Pininfarina, Touring e Ghia. Oltre alla complementarietà di offerta fra la gamma “ufficiale” dei modelli di grande serie e quelli proposti parallelamente dai carrozzieri, negli anni del dopoguerra andò consolidandosi a tutti i livelli di collaborazione industriale il rapporto già avviato in passato. Il primo esempio, datato Venuta a mancare una sostituta della 1900 Granluce, i carrozzieri intuirono che la Fiat sarebbe stata interessata ad una versione sportiva da allestire sul nuovo autotelaio 2100 a sei cilindri. Ne nacque una sorta di tacita competizione a cui parteciparono praticamente tutti i nomi più importanti del settore. Sopra a sinistra la proposta di Vignale, l’avveniristica “Enplain” disegnata da Giovanni Michelotti; sopra a destra, l’elegante proposta di Viotti, disegnata da Pietro Frua; a sinistra, il modello che fu scelto al primo sguardo dal professor Valletta: la coupé di Ghia disegnata da Sergio Sartorelli. La Fiat ne affidò la costruzione in serie allo stesso carrozziere, che la portò avanti per mezzo della OSI, una società creata appositamente per questo tipo di commesse di piccole serie insieme con la Fergat e la famiglia Olivetti. 12 13 La Fiat X1/9 è ancora una volta una dimostrazione di quanto la grande industria debba alla spinta innovativa dei carrozzieri. Senza la pertinacia di Bertone, non ci sarebbe mai stata una piccola sportiva a motore centrale prodotta in serie. Gli anni Settanta hanno profondamente mutato il ruolo dei carrozzieri, portando in primo piano l’aspetto creativo rispetto a quello industriale. L’Italdesign di Giorgetto Giugiaro (sotto, un figurino della Fiat Panda) si è sempre solo occupata di stile e mai di produzione. I carrozzieri che continuavano a modificare le vetture si limitavano a trasformazioni sempre più semplici, come la Panda Rock di Moretti (in basso). già 1947, era stata la prima novità postbellica della Fiat, la 1100 S Berlinetta Mille Miglia: la scocca grezza veniva costruita da Rocco Motto per essere poi verniciata ed allestita al Reparto Carrozzerie Speciali del Lingotto. La successiva 1100 ES Coupé fu, invece, completamente disegnata e costruita da Pininfarina per conto Fiat. Simili forniture da parte di carrozzerie esterne si ebbero nuovamente per le scocche della 1400 Cabriolet e della 1900 Granluce, realizzate la prima da Colli e la seconda da Boano e poi da Ellena. Le sei cilindri 1800/2100 lanciate nel 1959 offrono in un solo modello tutte le possibili varianti di questo strettissimo rapporto di collaborazione fra grande industria e carrozzieri. Lo stile delle berline di serie, impostato da Dante Giacosa e dal capo-modellatore della Fiat Giuseppe Alberti, fu poi rifinito e migliorato da Pininfarina, che diede l’ultimo tocco prima della produzione, svolgendo quel ruolo di consulente per la definizione estetica di una vettura di serie che sarebbe divenuto in taluni casi predominante nei decenni successivi. Per la versione Familiare, invece, la Fiat affidò a Savio la commessa per la costruzione delle scocche grezze, i cui volumi produttivi erano troppo piccoli perché fosse conveniente farlo direttamente a Mirafiori come le berline. La limousine a passo allungato, invece, arrivò dal carrozziere vercellese Francis Lombardi, specialista di questo genere di trasformazioni già sulle 1400 e le 1900; in questo caso, però, fu trovata commercialmente interessante dalla stessa Fiat, che decise di inserirla nel proprio listino. Infine, per la versione sportiva furono i carrozzieri i primi a rendersi conto che, mancando una diretta sostituzione della 1900 Granluce, ci sarebbe stata l’opportunità di proporre qualcosa di nuovo e accattivante; si scatenò una sorta di tacita competizione e al Salone dell’Automobile di Torino tutti fecero la loro proposta; quelle interessanti furono molte ma, è storia nota, il professor Valletta si innamorò di quella 14 Sopra: due esempi opposti dell’attività dei carrozzieri negli anni Ottanta. A sinistra, la Fiat Croma del 1985, il cui stile è stato definito dall’Italdesign di Giorgetto Giugiaro; a destra la Uno Style di Coriasco, nella quale le modifiche si sono ormai ridotte ad un semplice intervento estetico di gusto discutibile. In basso, quattro esempi scelti fra le concept-car realizzate dai carrozzieri italiani su proposta della Fiat per le tre Rassegne Internazionali dello Stile che hanno accompagnato tre edizioni del Salone dell’Automobile di Torino, interpretando ogni volta una novità della casa torinese. In senso orario, partendo da sinistra in alto: la “Frog” di Bertone su base Cinquecento (1992), la “Spunto” di Pininfarina e la “Wind” di Giannini su base Punto (1994) e la “Vuscià” dell’I.De.A. Institute su base Brava (1994). di Ghia e la volle in produzione così com’era il prototipo, senza nessuna modifica. Situazioni simili, dove fu la propositività dei carrozzieri a far nascere nuovi modelli e versioni si riscontra nel corso di tutti gli anni Sessanta. La timida ed eccentrica 1100 Trasformabile divenne la splendida 1500 Cabriolet grazie alla fortunata coincidenza delle proposte di Pininfarina per la carrozzeria e dei fratelli Maserati per il motore bialbero OSCA. Poi, Pininfarina completò l’offerta verso il pubblico costruendo per conto proprio la versione coupé, che la Fiat giudicava non abbastanza interessante per occuparsene direttamente. Similmente, quando fu deciso di lanciare una versione coupé della 850, fu solo la pertinacia di Nuccio Bertone a convincere l’azienda ad affiancarle una piccola spider. I suoi collaboratori la disegnarono, industrializzarono e misero in produzione nel tempo record di appena un anno, in modo da rispettare le richieste dell’ing. Bono, che la accettò solo a patto di averla in contemporanea alla coupé. Storie simili si ripeterono ancora per la 124 Spider, per le Dino e per la 130 Coupé. Anche la X1/9 nacque dalle insistenze di Bertone, che convinse la direzione Fiat che una piccola spider a motore centrale non era pura utopia ma poteva diventare, come effettivamente accadde, un grande successo di immagine e di vendite. Accanto alla produzione di versioni di nicchia per la grande industria, sopravviveva, naturalmente, la tradizionale attività di costruzione di vetture elaborate e di fuoriserie vere e proprie. Il tempo del boom, però, era ormai finito e il Paese si avviava verso la sua più grande crisi del dopoguerra, che 15 certa popolarità con le sue versioni torpedo della Uno e, soprattutto, della Panda, le “Folk” e le “Rock”; altri, come Coriasco, Giannini e Scioneri, si sono limitati a elaborazioni estetiche di gusto sempre più vicino al moderno tuning. Una vetrina d’eccellenza per i carrozzieri italiani ci fu ancora una volta nel corso degli anni Novanta grazie all’organizzazione delle “Rassegne Internazionali dello Stile” in contemporanea al Salone dell’Automobile di Torino nel 1992, 1994 e 1996. La Fiat, infatti, promosse la partecipazione degli specialisti fornendo loro autotelai ed un contributo affinché, come era avvenuto nel 1957 per la 500, interpretassero a modo loro la novità del momento. Dieci grandi firme dello stile nazionale si dedicarono nelle tre edizioni alla Cinquecento, alla Punto ed a Bravo e Brava. Come sempre, gli approcci furono assai diversi fra loro, ciascuno con le sue logiche e le sue motivazioni, spaziando dalla creatività spinta verso l’innovazione più estrema alla razionalità dell’uso quotidiano. Si andava, dunque, dalle pratiche realiz- zazioni di Boneschi, come il Baby-Taxi urbano e la Punto a pickup a sei ruote “Doblone”, a puri esercizi di stile come la “Frog” di Bertone, la “Wind” di Giannini e la “Lampo” dell’I.De.A. Institute. Altri sfruttarono queste occasioni per mettere in mostra il proprio pensiero d’avanguardia nella tecnologia, come per lo studio aerodinamico “Flair” di Fioravanti, o nel concetto in sé, come la “Spunto” di Pininfarina, antenata, in avanti di oltre un decennio sui tempi, dei moderni crossover sportivi. Oggi, in un periodo di forte crisi per la produzione industriale, rimane, però, ancora ben viva e vivace la creatività dei carrozzieri. Lo dimostrano le concept-car avveniristiche che si vedono ogni anno ai saloni, ma anche il lavoro quotidiano per dare alle auto di grande serie lo stile inconfondibile italiano che tutti nel mondo apprezzano. Di tutto questo, però, parlerà con maggiore autorevolezza di me l’ingegner Fioravanti. Sopra: quattro esempi recenti di automobili di grande serie disegnate da carrozzieri esterni al Centro Stile Fiat. In senso orario, partendo da sinistra in alto: la Punto del 1993, la Punto Cabrio del 1994, l’Idea del 2004 e la Panda del 2003. Le prime tre sono dell’Italdesign mentre l’ultima è di Bertone, che si è anche occupato della produzione in serie della Punto Cabrio. sarebbe esplosa nel 1968 con la contestazione studentesca e quella operaia. Prima ancora del colpo di grazia che sarebbe stato calato sull’industria automobilistica dalla crisi petrolifera del 1974 arrivò la stagione degli scioperi per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici nell’”autunno caldo” del 1969. La Fiat resistette con grande fatica e con un enorme supporto da parte dello stato. Altri, a partire dalla stessa Lancia, ormai in crisi da tempo, dovettero chiudere. La creatività fu ancora una volta impiegata come estremo tentativo per trovare una via d’uscita; i carrozzieri inventarono nuovi concetti da proporre accanto alle classiche berlinette sportive: nacquero le vetture “vecchio stile”, come la Gamine di Vignale o l’Alfa Romeo 1750 “Quattroruote” di Zagato, e le piccole fuoristrada, come la Jungla di Savio, la Minimaxi di Moretti, lo Scoiattolo e il Ferves Ranger. Ma tutto questo non bastò. Per varie ragioni legate alla congiuntura negativa scomparvero nomi come Touring, Vignale e Francis Lombardi, mentre la Ghia fu assorbita dalla Ford. Proprio quanto accadde a quest’ultimo grande marchio della carrozzeria italiana indica il nuovo corso che gli specialisti del settore avrebbero intrapreso nei decenni successivi: concentrarsi nel fornire stile e creatività alle grandi case, anziché automobili ai clienti finali. Se l’Alfa Romeo affidò ad un giovane Giorgetto Giugiaro lo stile dell’Alfasud ancora alla fine degli anni Sessanta, per la Fiat ci volle più tempo e solo la forte crisi sociale degli anni Settanta convinse l’azienda ad affidare completamente all’esterno lo sviluppo di un progetto considerato inizialmente minore. Si trattava della Panda, di cui fu incaricata anche in questo caso l’Italdesign, ormai forte dei successi ottenuti non solo con il modello di Pomigliano ma anche con altri capolavori che spaziavano dalla Volkswagen Golf alla Maserati Bora, passando per la Lancia Delta. La collaborazione con Giugiaro sarebbe diventata una prassi consolidata nei decenni successivi, rafforzando la posizione degli stilisti nei confronti delle case. L’Italdesign, infatti, non ha mai costruito altro che i prototipi per lo sviluppo e non ha mai, dunque, lavorato come carrozziere per la fornitura di vetture di serie. Nell’azienda di Moncalieri sono nati molti modelli, alcuni dei quali fondamentali per la storia della Fiat: dopo la Panda, la Uno, entrambe le generazioni della Croma, due della Punto, l’Idea e la Sedici. Analogo ruolo ha avuto l’I.De.A. Institute, al quale si deve, con la collaborazione di Ercole Spada, lo stile di Tipo e Tempra. Pininfarina e Bertone, invece, hanno mantenuto anche in tempi più recenti il doppio ruolo di stilisti e di costruttori, come nel caso di Punto Cabrio e Coupé, per le quali hanno soltanto curato la parte industriale e non quella creativa. Per i piccoli carrozzieri, invece, l’epoca delle fuoriserie stava inesorabilmente tramontando. Pochi hanno continuato ancora negli anni Ottanta a costruire versioni speciali, pur di sempre più semplice evoluzione. Moretti mantenne una 16 Ancora negli anni più recenti i carrozzieri continuano a supportare la grande industria con le proprie creazioni, siano esse innovazioni tecnologiche facilmente adattabili alla produzione in serie, come il tetto rigido apribile montato sulla Punto Wind di Fioravanti (sopra) o proposte di stile avveniristiche e stimolanti come la “Barchetta” su base Fiat Panda di Bertone (sotto). 17 I miei anni alla Zagato Ercole Spada C ome è stato ricordato, io ho cominciato nel ’60 e credo di essere uno dei più anziani designer italiani. Ho sempre voluto lavorare nel campo dell’automobile, ma non sapevo neanche che esistesse un lavoro che si chiamasse stilista o designer; allora non esistevano scuole di questo tipo perciò io ho fatto una scuola prettamente tecnica, dove c’era molto disegno. Ho imparato a fare disegni in proiezione, sezioni, ribaltamenti; questa è stata una cosa che mi ha facilitato moltissimo per entrare a fare disegni di carrozzeria. Abitando vicino a Milano e avendo la passione per le auto sportive ho pensato di rivolgermi alla carrozzeria Zagato, che in quegli anni partecipava attivamente alle corse. La mia passione e la mia grande fortuna è stata che il titolare, Elio Zagato, correva lui stesso; non era solo una carrozzeria: era un punto in cui si riunivano tutti i gentlemen driver della scuderia Sant’Ambroeus e lì ho conosciuto piloti come Mario Poltronieri, Giancarlo Baghetti, il Marchese Frescobaldi, Giulio Cabianca, questi personaggi degli anni ’60 di cui io leggevo prima solo sulle riviste. In quegli anni, naturalmente, per correre si costruiva la Giulietta SZ, che era rimasta imbattibile nella categoria 1300. Appena sono arrivato mi hanno detto: “C’è da disegnare una Aston Martin”. “Va bene!” “E’ capace di disegnare in scala 1 a 1?” “Sì!” Faccio quelli da 1 a 10 -ho pensato- basta farli un po’ più grandi. A quest’epoca la carrozzeria Zagato era una cosa molto primitiva, era appena uscita dalla guerra, c’era uno stabilimento buio e polveroso e dietro un angolo c’era un enorme tavolone lungo sei metri dove scorreva una specie di squadra con cui tiravo le linee orizzontali e verticali prendendo tutte le misure, questo era il posto dove io dovevo fare i disegni in scala 1 a 1, su una carta abbastanza rudimentale perché il tempo era sempre limitatissimo: “C’è da fare questo, dobbiamo finire”. Allora, man mano che io disegnavo, tracciavo i profili, mi facevo le sezioni: prendevo tutti i punti e dovevo andare a fare le sezioni a destra e a sinistra. Alla fine della giornata avevo fatto un bel po’ di chilometri: è molto diverso da quello che si fa oggi, seduti davanti a un computer a una distanza di cinquanta centimetri; però, nel frattempo in cui io disegnavo le sezioni, arrivava un collaboratore, un operaio con il suo blocco di legno con su un’incudine e ricopiava esattamente le sezioni con un tondino di ferro, alla fine il mio disegno era tutto nero di manate ma nello stesso tempo lui riprendeva questi tondini e li saldava direttamente sull’autotelaio. Quando era finito, avevamo questa gabbia che oggi si chiama wireframe su cui il battilastra andava a far correre direttamente le sue lamiere. E’ chiaro che se oggi due sezioni non si incontrano per un centesimo di millimetro il computer dà errore; qui la cosa era diversa: se la sezione era più bassa il battilastra faceva il suo parafango, il suo pezzo che correva sopra; le superfici correvano sempre. Se per caso una superficie era alta bastava una martellata e andava giù e correva sempre. Questo sistema permetteva che alla fine, togliendo la gabbia, c’erano già tutti i pezzi di lamiera, venivano saldati sulla vettura, andavamo in finizione ed era pronta: i tempi erano molto ristretti. Ercole Spada è nato a Busto Arsizio nel 1938. Da sempre grande appassionato di automobili ha iniziato a lavorare alla Zagato nel 1960 e la sua prima creazione è stata l’Aston Martin DB4 GTZ. Nel decennio trascorso presso la carrozzeria milanese ha disegnato numerosi capolavori fra cui le Alfa Romeo Giulietta GTZ, 2600 SZ, Giulia TZ e Junior, le Lancia Flavia e Fulvia Sport e numerosi prototipi. Nel 1970 è passato alla carrozzeria Ghia, dove ha disegnato per Ford la concept-car GT70. Nel 1973, dopo un brevissimo periodo all’Audi, ha iniziato a lavorare alla BMW, dove ha sviluppato modelli significativi come le Serie 5 e 7 degli anni Ottanta. Dieci anni più tardi è rientrato in Italia andando a collaborare con l’I.De.A. Institute, dove è stato responsabile di una famiglia di vetture del Gruppo Fiat: Tipo, Tempra, Delta e Dedra. Oggi è presidente della Spadaconcept che, insieme a suo figlio Paolo, realizza vetture sportive che conservano il suo tratto stilistico inconfondibile: le Codatronca. Alcune delle più importanti vetture Alfa Romeo disegnate da Ercole Spada nei suoi anni presso la Carrozzeria Zagato. Dall’alto: la Giulietta SZ del 1961, sulla quale è stato applicato per la prima volta il concetto della coda tronca; la Giulia TZ del 1963; la Giulia TZ2 del 1964; la 1750 Gran Sport, replica della celebre vettura degli anni Trenta realizzata nel 1965 su iniziativa della rivista Quattroruote. L’Alfa Romeo aveva messo nel proprio listino e ci aveva ordinato almeno 100 Giulietta SZ perché potevano rientrare nella categoria Gran Turismo; la vettura era imbattibile, ci correva lo stesso Elio Zagato e se per caso la domenica non avesse vinto il lunedì eravamo lì a pensare cosa fare per andare avanti. Io ho capito che a questo punto il designer aveva la funzione di far vincere le corse, fare tutto quello che poteva servire: la leggerezza, l’aerodinamica. Qui arriva il punto dell’aerodinamica, arrivano concorrenti come le Lotus Elite che erano vetture non derivate da una berlina di serie con motore davanti al posto di guida, ma ben centrate, perciò erano una minaccia; anzi, non avevamo più chance. Allora abbiamo dovuto pensare a qualcosa di nuovo; i motori oramai oltre i 6000, 6500 giri non reggevano più. “Proviamo a incrementare l’aerodinamica” ci siamo detti. Io cercavo un po’ di elementi di quella teoria che diceva che una linea aerodinamica con un taglio netto non si perdeva in penetrazione e, anzi, diminuiva un po’ la portanza posteriore. Per prima cosa avevamo fatto un tentativo: nel ’57 Zagato aveva costruito per la Maserati su disegno di Frank Costin, che era un progettista di aerei specializzato in aerodinamica, una vettura che doveva correre a Le Mans. Allora io ho ripreso questi disegni rimpiccioliti sulla Giulietta. Io disegnavo la nuova coda, che veniva applicata, avvitata sulla vettura, poi andavamo sull’autostrada MilanoBergamo -che era un’autostrada a tre corsie, nel senso che quella centrale era quella degli scontri frontali come succedeva prima sulla Torino-Savona- con Elio Zagato alla guida e io di fianco. Prendevo chilometro dopo chilometro il tempo; tornando indietro toglievamo tutto quanto, rifacevamo gli stessi chilometri riprendendo gli stessi tempi nelle stesse condizioni, cioè lo stesso giorno, con la stessa densità dell’aria, stesso rotolamento, stessa lunghezza di chilometro. Il paragone era esatto e vedevo se c’era qualche miglioramento. La prima versione non è andata, allora abbiamo provato a fare questa coda tronca: una forma abbastanza Le prime due creazioni di Ercole Spada presso la Carrozzeria Zagato, disegnate entrambe nel 1961. In alto la Bristol 407 GTZ e sopra l’Aston Martin DB4 GTZ. 18 19 Sopra: due Lancia costruite da Zagato e disegnate da Spada con uno stile decisamente anticonvenzionale. A sinistra la Flavia Sport del 1963 e a destra la Fulvia Sport del 1965. In basso: altri due modelli costruiti da Zagato per l’Alfa Romeo su disegno di Spada. A sinistra la 2600 SZ del 1965 e a destra la Junior Z., una vettura dallo stile decisamente innovativo che ha debuttato nel 1969. strana. Però abbiamo fatto un chilometro in 18 secondi e qualcosa. Io dico: “Mi sembra un po’ strano…” “No, no il tachimetro è andato su da 200 a 218 chilometri all’ora!” Torniamo indietro e guardiamo questa strana forma. “E adesso che facciamo?” “Bisogna farla…” E da lì è nata la coda tronca; la carrozzeria è stata completata, abbiamo partecipato alla gara e vinto di nuovo. Questa esperienza è stata per me così fondamentale che poi non ho mai più dimenticato questo problema; infatti, dopo, nelle mie esperienze lavorative, quando sono andato in BMW, dove c’era una galleria del vento, ci ho passato delle settimane. C’era una collaborazione stretta e anche lì ho applicato il principio della coda tronca, poi pian piano utilizzata un po’ da tutti. La mia esperienza lavorativa si può dividere in quattro periodi. Il primo è stato questo del carrozziere, in una carrozzeria che era allora abbastanza artigianale, molto primitiva, però di spirito sportivo; non c’era quella qualità, quella definizione che avevano i carrozzieri torinesi. Finito questo periodo sono passato alla grande industria, che è stata prima quella della Ford, poi quella della BMW; sono passato anche attraverso l’esperienza di lavorare all’estero, che è molto diverso dal fare in Italia un lavoro per un’azienda estera, perché secondo me vivere sul posto ti fa respirare l’ambiente e questo mi ha dato successo, tanto è vero che due vetture sono state prese dalla BMW e messe in produzione. Il terzo periodo è stato quello di un’organizzazione che lavorava per diverse case, sia italiane -ha lavorato tanto per la Fiat- sia straniere, per Giapponesi, per Americani, e questo è stato anche un ampliamento della mia esperienza. Il quarto periodo è quello attuale, dove io credevo di essere in pensione e invece mio figlio mi ha detto: “No, no! Dobbiamo continuare, perché un’esperienza così non dobbiamo buttarla via.” Allora cinque anni fa abbiamo fondato la Spadaconcept, un centro di progettazione dove abbiamo già fatto qualche nostro prodotto -che naturalmente ha la coda tronca- che si chiama Codatronca e vuole far rivivere quello che era lo spirito delle carrozzerie torinesi. L’unico problema che abbiamo adesso è che non c’è più la libertà che avevamo allora; io penso, però, che negli altri paesi europei -come la Germania o l’Inghilterra- si possano mettere sul mercato delle vetture molto diverse; io spero che adesso, col nostro presidente dell’ANFIA Fioravanti, cerchiamo di spingere, di portare avanti un po’ di facilitazioni. Non dico di poter rifare carrozzerie fuoriserie, ma di poter mettere in circolazione, poter omologare queste vetture speciali come queste fatte in un unico esemplare. Dopo aver fatto questo studio, abbiamo fatto una seconda vettura -sempre coda tronca- e adesso abbiamo altri modelli allo studio, dove cerchiamo di mettere tutta quella che è stata la mia esperienza globale perché, come dicevo prima, io non ho fatto solo il carrozziere della parte estetica stilistica, ma ho vissuto proprio l’automobile dall’interno. Nei primi dieci anni, che sono stati quelli formativi -a parte che erano i più belli perché avevo vent’anni, a parte che erano gli anni ’60 c’era tanto entusiasmo- il mio posto di lavoro era passare dal tavolo da lavoro in officina, perciò vedevo le macchine come erano fatte. Se dovevo fare qualcosa nella progettazione, sapevo quando non potevo fare qualcosa perché poi non si poteva fare. E poi, stando seduto vicino ad un pilota, sapevo benissimo quali erano le esigenze e anche lui mi diceva: “Io per andare forte non devo solo avere tanti cavalli, ma devo vedere bene dove metto la vettura, devo essere ancorato, non essere attaccato al volante nelle curve.” Perciò abbiamo anche sviluppato dei sedili con il contenimento laterale. E poi anche il distacco geografico dalla carrozzeria torinese mi permetteva di fare delle cose un po’ diverse. Ero molto attaccato all’Alfa Romeo, perciò dopo le Giulietta ho fatto le TZ, che hanno permesso di vincere tante e tante gare, ho fatto la Junior Z, che è stata una vettura allora considerata forse troppo moderna ma che però ho visto vent’anni dopo ripresa dalla Honda sulla CRX, che praticamente ne è la copia. Questa tensione di essere sempre avanti io cerco di proseguirla ed è stata recepita benissimo anche da mio figlio Paolo con cui collaboro e con cui spero di farvi vedere presto le nostre novità. In alto a sinistra: la BMW Serie 7 (E32) del 1987, disegnata da Ercole Spada durante la sua attività presso la casa bavarese, insieme alla successiva Serie 5 (E34) del 1988. In alto a destra: la Fiat Tipo che fu disegnata da Spada presso l’I.De.A. Institute insieme agli altri modelli della medesima famiglia: Fiat Tempra, Lancia Dedra e Delta e Alfa Romeo 155. Sopra: l’ultima creazione di Ercole Spada è la Codatronca sviluppata su base Chevrolet Corvette insieme a suo figlio Paolo dalla Spadaconcept, di cui è presidente. 20 21 Prospettive per i carrozzieri di domani Leonardo Fioravanti E rcole Spada lo conosco da una vita. Ha detto molto bene alcune cose che connotano il nostro mestiere; a me piace chiamarlo così perché effettivamente la nostra attività è fatta di una parte mentale e di una parte manuale, e anche se oggi la parte manuale è fatta dai computer, ha una importanza enorme. Mi è piaciuto straordinariamente sentire da Ercole la citazione di un’altra vettura ispirata alla sua perché è un tratto che ci contraddistingue: quando noi disegniamo, creiamo qualcosa, lo abbiamo così nostro che poi quando qualcuno fa qualcosa anche magari di lontanamente simile, non ce lo dimentichiamo mai più. La citazione della Honda CRX... fa parte del nostro mestiere. La nostra intimità di creativi -così si dice- quando inventiamo qualcosa, guai a chi la tocca. Ma veniamo a noi. I momenti sono non difficili: molto difficili. Quando si parla di carrozzieri italiani, oggi viene in mente di tutto tranne che delle note positive; molti hanno chiuso nei decenni passati, alcuni hanno ridotto fortemente la loro attività abbandonando quella industriale, altri hanno delle difficoltà correnti. Benissimo. Perché benissimo? Vi citerò una frase di un signore che di difficoltà se ne intendeva parecchio, tale Mr. Winston Churchill, frase che disse nei momenti difficili della guerra: “Gli aquiloni volano più alti quando vanno controvento, non nella stessa direzione del vento.” Allora, per gente come noi che è abituata a gettare il sogno al di là della realtà, il fatto che i momenti siano difficili da un certo punto di vista ci costringe ad essere ancora più bravi. Nessuno di noi, è sicuro -io sono presidente di questi “matti” da qualche anno- ha mai avuto la minima idea di smettere di fare quella che è la caratteristica propria del nostro mestiere, cioè di sognare, di disegnare, di creare. Si parla tanto di creatività, ma non tutti sanno che è composta da due elementi principali. Il primo è ovviamente la fantasia, ma la fantasia da sola non basta perché la fantasia è la cosa più immateriale che ci sia; quando la fantasia si congiunge con l’immaginazione -che è un complemento della fantasia- ecco allora che si ha la creatività. Per gente come noi il fatto che oggi la realtà di questi ultimi decenni ci abbia costretto a ritirarci nella sola creatività è uno spunto fortissimo. Mi è piaciuta molto l’immagine di Sannia con Due concept-car, recenti esempi della creatività di due carrozzieri torinesi: in alto la “Birusa” di Bertone, su meccanica BMW Z8 (2003) e sopra la Kite di Fioravanti (2004), esplorazione di nuovi concetti strutturali orientati alla leggerezza. quei dromedari, allora, se posso fare una sintesi del mestiere del “carossé”, detto alla torinese, potrebbe essere la seguente: finché il motore ce l’ha dato la natura -il cavallo o i dromedari- siamo stati dei re, perché noi dietro il motore della natura facevamo tutto, il telaio, le sospensioni, la carrozza vera e propria. Poi l’uomo ha inventato il motore, ha inventato la meccanica, ha inventato il telaio, da quel momento il “carossé” era un complemento indispensabile -come giustamente ha detto Sannia- perché il costruttore della meccanica non faceva la carrozzeria, quindi la demandava all’esterno; poi ha imparato a farle e allora il “carossé” è andato in secondo piano, tranne per quelle persone che volevano qualcosa di speciale -è stato detto molto chiaramente- e il carrozziere è diventato il realizzatore di sogni di poche persone, questo è storicamente provato. Qual è stata Leonardo Fioravanti è nato nel 1938; laureato in ingegneria al Politecnico di Milano e specializzato in aerodinamica, ha lavorato per lungo tempo per Pininfarina. Ha disegnato numerose delle più importanti vetture Ferrari, dalla Dino 206 alla 365 Daytona, dalla 512 BB alla 308. Dopo essere stato Amministratore Delegato di Pininfarina Studi e Ricerche, nel 1998 è passato al Gruppo Fiat, prima presso la Ferrari e poi come direttore del Centro Stile dei tre marchi Fiat, Lancia e Alfa Romeo. Dal 1991 lavora autonomanente nei settori dello stile, dell’ingegneria e dell’architettura. Attualmente, è anche presidente del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA. 22 l’intuizione dei carrozzieri italiani? Perché all’epoca c’erano carrozzieri in Europa molto forti dal punto di vista sia mentale che realizzativo. L’intuizione dei carrozzieri italiani è stata quella di fare in piccola serie i sogni. Queste piccole serie hanno illustrato la storia dell’automobile italiana in maniera francamente magistrale. Io sono un vecchione, ma quando andavo le prime volte in America, lá l’automobile italiana era conosciuta perché c’era lo Spider di Pininfarina e quando si diceva che la meccanica era della Fiat, loro chiedevano “cos’è la Fiat?” Questo è bene ricordarselo sempre, questo non vuol dire togliere i meriti del Senatore Agnelli che inventò la Fiat, però dal punto di vista della comunicazione -che oggi ha un valore estremamente importante- in certi casi si comunicano cose che poi non si fanno. Noi, invece, siamo sempre stati abituati a fare e poi, forse sbagliando, comunicandolo malamente o in ritardo. Quindi, dopo questo passaggio alla piccola serie cosa arriva? La Toyota inventa la lean-production, che è la produzione flessibile. Allora -come è stato detto- all’inizio le costruzioni fuoriserie sarebbero state un incubo per il grande costruttore, che aveva progettato degli stabilimenti per fare tremila macchine al giorno, e andare a fare sulle stesse linee forse qualche decina al giorno era impensabile. Bene, il mondo va avanti e la Toyota inventa la lean-production, il che vuol dire avere la possibilità di saturare degli impianti che sono sempre stati da parecchi decenni sovradimensionati. Apro una parentesi per dire che il grosso problema dell’automobile, che c’è sempre stato, è quello della sovracapacità produttiva mondiale, che non è di qualche punto percentuale, ma nell’ordine del 30, 35%, alcuni osano dire il 40%. Allora trovare un modo per saturare gli impianti fu fondamentale per la grossa industria e questo volle dire togliere le commesse ai carrozzieri: le grandi industrie hanno preso dentro di sé la costruzione anche di oggetti fatti in numeri incomparabili con quelli per cui lo stabilimento era stato progettato. E’ rimasta la parte creativa, questo è indubitabile: non lo diciamo noi, lo dice chi ci compra. Perché il Signor Piech -che conosco da tanto tempo- ha comperato Giugiaro? Perché lo ritiene un valore obiettivo importante: il Gruppo Volkswagen ha una strategia di prodotto che va sui decenni e non sui mesi e aveva già acquisito precedentemente Walter De Silva, che è un altro stilista di peso formatosi anch’esso alla Fiat. Giugiaro non si è formato alla Fiat, ma vi ha collaborato molto, come abbiamo visto. Questi valori non ce li diciamo noi addosso, non ci autoelogiamo, ma esistono, ed esistono in particolar modo su questo territorio. Perché questa gente che ci sta comprando non ci porta via, acquisisce il nome, ma la Giugiaro è tuttora radicata a Torino, Bolloré, di cui si parla come forse futuro acquirente della Pininfarina, non si sognerebbe mai di spostare Cambiano a Parigi; la Tata ha acquisito delle società torinesi che sono tuttora a Torino. I Cinesi sono arrivati in misura importante, hanno comprato, stanno comprando, in questo momento sono gli unici che danno del lavoro ai carrozzieri, lavoro che è fatto -vi assicuro- con modalità impensabili fino ad anni fa: si va in Cina, si affittano le persone, il cosiddetto body-rental, cose che sarebbero state impronunciabili qualche decennio fa. Perché avviene questo? Perché questa capacità degli Italiani è effettivamente -e io il mondo l’ho girato in lungo e in largo- proprio solo degli Italiani. Lo dimostrano, appunto, degli stranieri per noi: questo orgoglio del design è vero, è uno dei pochi settori dove l’Italia importa cervelli perché la gente viene a studiare. Qua, noi abbiamo delle scuole importanti, abbiamo questo knowhow, questo modo di sapere fare le cose che, purtroppo, è una cosa trasmissibile. Fin dagli anni ’50 c’è stato il sig. Michelotti che era una monade: c’era lui, disegnava lui, aveva solo qualche modellista. Questo ragazzo negli anni ’50 ha disegnato un’automobile giapponese che si chiamava Hino Contessa; in Italia nessuno sapeva cos’era la Hino, in Giappone nessuno sapeva cosa era una Contessa, però lui disegnò questo macchina. Quindi, quando si parla di globalizzazione, di internazionalizzazione, di esigenze di internazionalizzare le imprese, nel caso dei carrozzieri italiani è una parola fuori luogo perché i carrozzieri italiani sono nati italiani ma si sono sviluppati collaborando con tutte le industrie del mondo. Alcune cose si sanno, altre non si sanno. Forse quelle più importanti sono quelle che hanno portato fama e danaro ai carrozzieri italiani. Quindi oggi la situazione è che siamo tornati a essere un po’ quello che eravamo all’origine, cioè il nostro valore non è più nel produrre. Quindi noi in questo momento presente che cosa abbiamo? Abbiamo la nostra creatività, che non è poco, abbiamo dei nuovi associati, dei giovani. I giovani sono il nostro futuro, è una frase trita e ritrita -la dicono perfino i politici- però è verissima. Qual è la difficoltà di creare dei La spinta propositiva dei carrozzieri non si limita allo stile esterno. In queste due immagini sono raffigurati gli studi fortemente innovativi di Bertone per gli interni di due concept-car. A sinistra la Filo del 2001, studio di veicolo dive-by-wire su meccanica Opel; a destra, la B99 del 2011, che reinterpreta gli stilemi classici Jaguar utilizzando il legno in un modo nuovo. 23 e mezzo ma alle dodici e venticinque o all’una meno un quarto. Allora, questa cosa è sempre una pulsione così forte che permette di sognare e di crederci; questa cosa è indipendente da come va il mondo, è indipendente dai tempi, è indipendente dalle tecnologie. Un vero progettista ha sempre questa capacità di rischio, che è enorme perché a priori non si saprà mai come andrà a finire il prodotto che nascerà dal nostro sogno, e che è purtroppo il nostro limite. E’ un argomento che ho affrontato in un convegno, sempre dell’ANFIA, alle OGR quest’anno per celebrare il centenario del Gruppo Carrozzieri e cioè: qual è la nostra vera difficoltà? La nostra vera difficoltà è che, essendo dei creativi ed essendo la creatività un valore difficilmente spiegabile, difficilmente insegnabile ma che c’è, bisogna valutarla giustamente. Ci stiamo risollevando. Vi parlerò di qualche flash futuro. La nostra difficoltà è che le nostre idee non si pesano: il titolo del convegno era “il peso delle idee”, sottotitolo “l’insostenibile leggerezza dell’essere creativi”. Questa è una caratteristica che ha sempre connotato questo tipo di attività. Una volta si chiamavano artisti; noi non siamo degli artisti, però una caratteristica profonda degli Italiani è sempre stata quella di dover andare a pietire ovunque per vivere. Leonardo Da Vinci quando fece la sua Madonna delle Rocce non aveva magari nessuna intenzione; gliela commissionò Visconti, poi andò in Francia; non voglio fare paragoni esagerati, ma quando si va nella pura attività mentale, la vera difficoltà obiettiva è di valutarla: non si sa quanto vale a priori ma poi, dopo che la Uno e la Punto hanno tenuto in piedi la Fiat per anni, Giugiaro è stato comprato da un tedesco. Però prima non lo si sapeva; lo si è saputo dopo, alla fine di questi grossi programmi industriali si constata che il lavoro di progettazione -fatto conto che tutto il business di un modello di successo di qualsiasi paese esso sia- sfiora l’1%. Qual è il nostro segreto? Trovarci di fronte le grosse industrie, i grossi committenti che ci prendono come vogliono perché noi non possiamo dimostrare a priori che quello che stiamo dando ti terrà in piedi per dieci anni. Veniamo da questi discorsi più vasti a dei discorsi più pregnanti: il nostro presente. Faccio un minimo di retrospettiva; se vogliamo cominciare con il nuovo millennio, sono macchine che tutti conoscete. C’è la Filo di Bertone, con un interno molto italiano, cioè semplice, originale e innovativo; c’è la Skill, un prodotto di Fioravanti connotato da un particolare brevetto su un tetto rigido apribile che non va nel Il contributo creativo dei carrozzieri non si limita solo alle normali automobili: nella foto sopra, il prototipo LF1 di Fioravanti (2009) per una monoposto di Formula 1 che superi alcuni degli attuali limiti della massima categoria: più semplice, più economica e più sicura, senza il rischio di “agganciare” le ruote, con sospensioni attive e un’aerodinamica ottimizzata tramite calcoli CFD (Computer Fluyd Dynamics). In basso: la vettura elettrica Bluecar disegnata da Pininfarina e costruita da Cecomp per il gruppo francese Bolloré. giovani che creano? Che la creatività non si insegna; si insegnano dei modi correlati alla produttività. E’ come una piantina la creatività: se le si dà troppa acqua muore; se le si dà troppo sole muore; se è troppo secca muore; ci vogliono dei componenti correlati di manovrabilità estremamente delicati. Ecco, questo noi in Italia lo sappiamo fare. Recentemente un giapponese mi ha detto: “Voi quando siete bravi e fortunati fate la bellezza, però avete una cosa che altri non hanno: la sapete riconoscere anche nelle cose fatte da altri”. Cosa vuol dire raggiungere la bellezza? Vuol dire sapersi fermare al momento giusto. Alcune di queste grandi organizzazioni che hanno decine e decine di centri-stile nel mondo cosa fanno? O si fermano un po’ prima o vanno un po’ dopo; il modo di capire esattamente che questo è il momento giusto per fermarsi è una delle caratteristiche degli Italiani cosiddetti “creativi”. Queste cose non si insegnano, quindi perché per noi i giovani sono importanti? Io, come ANFIA, inventai nel ’96 il concorso “Stile Italiano Giovani”, che è tuttora alla decima edizione, aperto a tutti i giovani del mondo perché il modo di pensare italiano è tipico degli Italiani, ma non si può escludere a priori che ci sia un’altra persona che la pensa come noi, il che è un valore aggiunto, come poi vi dirò. In questo SIG abbiamo fatto un’opera di reclutamento dei giovani, ha avuto grande successo, con centinaia di partecipanti ogni due anni; era a Torino, poi siamo andati al Salone di Ginevra: sempre un grande successo, sempre tanti giovani. Cosa abbiamo premiato l’anno scorso, nel 2010? Un giovane russo che ha pensato in un modo tipicamente italiano, cioè ha pensato a un’automobile fatta sul nastro di Moebius. E’ stato citato prima giustamente che l’automobile privata è il complemento più fantastico che ci sia della mobilità di una persona o di più persone fisiche. Come siete venuti qua? Probabilmente in automobile, all’ora che avete voluto, e ve ne andrete via all’ora che volete, non alle dodici 24 In alto a sinistra: la Icona, realizzata da Cecomp per il Motor Show di Shanghai del 2010, è un’altra dimostrazione della portata internazionale del lavoro dei carrozzieri italiani, che sempre più spesso negli ultimi anni trovano importanti commesse sul mercato cinese. In alto a destra: il prototipo Vola di Fioravanti (2001), che reinterpreta i classici stilemi degli spider Alfa Romeo integrandoli con contenuti innovativi come il tetto rigido rotante. Sopra a sinistra: anticipato dalla concept-car Vola del 2001, il tetto rigido rotante è stato adottato su un modello di produzione nel 2005 con la Ferrari 575 M Superamerica. Sopra a destra: oggi costruire fuoriserie in esemplare unico è diventato molto complesso per ragioni normative, ma la Ferrari ha lanciato un programma per soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. La prima vettura, realizzata nel 2008 per un facoltoso collezionista giapponese, è stata la SP1 su base F430, disegnata da Leonardo Fioravanti. baule ma sta sopra il baule, lasciandone la capacità costante; c’è la Ferrari Enzo di Pininfarina, la Brera dell’Italdesign, un’Alfa Romeo. Sono state giustamente citate la Panda e la Punto; la Panda è di Bertone, la Punto cominciò da Bertone e venne magistralmente terminata da Giugiaro. Sono ancora oggi i prodotti che si vendono di più del gruppo Fiat. Si vende bene anche la 500, che è una operazione retró fatta sulla 500 dell’Ing. Giacosa. Questi sono i prodotti che si vendono, quindi l’apporto dei carrozzieri magnifico e divino dei capolavori degli anni passati, oggi è tuttora importante. Non ieri, oggi. Oggi, a conti fatti, le macchine che si vendono sono quelle disegnate dai carrozzieri italiani. Come la Maserati Quattroporte. Ferrari e Maserati sono depositarie in tutto il mondo di grandi valori sportivi, tecnici, economici; quando parlate nel mondo della Ferrari Testa Rossa dicono: “Ah. è vero quella carrozzeria magnifica!” Le ricordano per la carrozzeria; ma i tecnici, non il pubblico appassionato di ricconi che se le possono permettere; perché? Perché oggi ancora più di ieri la carrozzeria è la sintesi comunicativa dei contenuti di un veicolo; i contenuti meccanici di un veicolo oggi sono quasi banali: le cosiddette piattaforme. Tutti i grandi gruppi dicono “Ne abbiamo due, tre al massimo”. Quindi lasciamo perdere sospensioni, telai, i motori. Per rispettare le norme antinquinamento in tutto il mondo, in alcuni paesi ancora più severe, ci sono gruppi di investimento così grossi che si arriva -una volta sarebbe stato un assurdo- ai motori della BMW fatti insieme alla Peugeot, alla Mercedes che fa i motori assieme ad un altro. Quel connotato di valore vuol dire solo rispetto delle norme e dei consumi e di come è fatto non interessa più a nessuno. Cos’è quello che conta? La funzione del veicolo. Voglio dire, la Giardinetta -che è un bellissimo nomeo una Spider o una vettura da famiglia, un SUV, e poi, subito dopo, che cosa scelgono? Quella più bella. Le macchine oggi si vendono in tutto il mondo, sono assistite in tutto il mondo: questa è la globalizzazione, cioè essere in una situazione in cui i valori aggiunti che ci sono bisogna tenerseli carissimi. Si parla sempre del “brand”. Oggi ci vuole uno specialista ben preparato per riconoscere una macchina dall’altra, perché il modo lavorativo di oggi è giustamente basato sui computer che sono un aiuto enorme. Cosa fanno i ragazzi delle grandi case automobilistiche? Vengono magari in Italia ad imparare, vanno nelle grandi case, hanno a disposizione grandi computer, grandi schermi. Una volta c’era la realtà virtuale, che per noi è già passato; si parla della realtà aumentata, che è un mostro sacro, ci sono del25 le cose che non esisteranno mai ma che uno le fa esistere virtualmente. Questi ragazzi, sono consci che le decisioni sul prodotto vengono fatte essenzialmente da chi governa il marketing e da chi dà gli incarichi pubblicitari; questi ragazzi guardano le vendite, vedono che questa si vende tanto, prendono uno dei dettagli, copiano, incollano, lo modificano un po’ perché vogliono essere considerati come la persona che ha contribuito ad aumentare le vendite. Non gliene frega niente se c’è un vero contenuto o se assomiglia a questa o un’altra macchina. Allora io sfido chiunque a riconoscere certe macchine dello stesso segmento; è lì che gli Italiani hanno da aggiungere, perché noi per costituzione siamo alla ricerca forsennata sempre di una cosa originale. Abbiamo copiato anche noi, intendiamoci, e anche in Italia si è copiato molto, però la nostra pulsione prima è: come prima cosa non fare quello che hanno fatto gli altri. E’ difficile fare le cose semplici; nonostante sembri un nonsense, è difficilissimo perché è un impegno veramente forte. Questo tipo di contesto ci permette di sperare. Recentemente il Gruppo Carrozzieri è stato invitato nel mondo perché evidentemente si riconoscono certi valori. Un’altra Fioravanti è la prima one-off ufficiale fatta dalla Ferrari. In questo mondo globalizzato, dove le macchine costano un po’ meno, dove inquinano meno, dove consumano meno, però alcune persone hanno ancora la voglia di affiancarsi al sogno del creativo; da un punto di vista eco- Due Maserati molto diverse fra loro, disegnate entrambe da Pininfarina. In alto: la GranCabrio, vettura di normale produzione lanciata nel 2010. In basso: la Birdcage 75th, una concept-car costruita in collaborazione con Motorola nel 2005 su meccanica MC12. 26 L’Alfa Romeo Brera è la dimostrazione di come da una concept-car possa poi derivare una vettura si serie. Nell’immagine, lo studio esposto da Italdesign al Salone dell’Automobile di Ginevra del 2002. nomico questo è rilevante perché uno di questi esemplari costa una cifra irriferibile, però dal punto di vista creativo è importantissimo. Quando si fa quello che si vuole il vantaggio non è quello economico di aver dato a un cliente il suo sogno, ma di essere progrediti noi nel nostro sogno. Non è, però, neanche completamente vero che quando si è completamente liberi sia l’ideale per chi crea; il creativo ha bisogno di certi limiti per essere sollecitato. Nell’ambito della difficoltà normativa deve essere completamente libero, mentre questo nella produzione in grande serie non può avvenire perché se no effettivamente si osa troppa. Poi c’è una nostra proposta per la Formula Uno, dove le macchine non si aggancino, non saltino e non siano così lontane dalla produzione di serie. Questo è un nostro sogno, i regolamentatori della Formula Uno sono molto interessati, ma siccome è un business enorme si può toccare pochissimo; le differenze regolamentative nell’ambito della Formula Uno sono di qualche millimetro da un anno all’altro, proposte dalle varie case che corrono. Il Gruppo Carrozzieri Italiani è stato invitato al Qatar Motor Show. E’ alla prima edizione, c’è stata a gennaio di quest’anno; il Qatar è il terzo azionista del Gruppo Volkswagen, che è il gruppo costruttore di automobili che quest’anno potrebbe diventare il primo al mondo. Questi signori hanno il diciassette percento della Volkswagen, dopo la Famiglia Piech e dopo il Land della Sassonia, hanno tre persone nel consiglio di amministrazione. Questo salo- ne è stato organizzato perché una delle nostre possibilità future è il mondo arabo delle nazioni più evolute, perché lì ci sono grossi mercati in prospettiva. Era organizzato con una ampiezza di mezzi incredibile, con personalità da tutto il mondo, invitati in maniera tale che non si poteva dire no. Uno dei nostri associati è la Prototipo con l’impianto di Nardò. Sono stato molto contento della loro domanda perché in Italia possiamo dire di andare dal foglio bianco cominciando con la matita, poi passiamo al computer, fino ad omologare le preserie e testarle su strada. Qui c’è veramente dallo zero alla fine del progetto. Al Salone di Ginevra di quest’anno c’era la nuova Ferrari di Pininfarina, c’era soprattutto l’interno -magnifico, trovo- della Jaguar di Bertone, che l’anno prossimo festeggerà i cento anni. L’esterno non era male, non particolarmente innovativo, pulito ed elegante, ma quello che mi ha affascinato personalmente è stato l’interno. Perché fare l’interno di una Jaguar che abbia le caratteristiche della Jaguar è una cosa estremamente difficile oggi, perché il legno l’ha sempre caratterizzata, ma oggi il legno con gli airbag e tutto il resto... Questa idea è magnifica perché usa il legno in una maniera molto innovativa perché è piegato; l’idea è semplice, è originale, quando una la vede una volta non se la dimentica mai più. Bastava pensare che il legno con certe caratteristiche, con certe lavorazioni, con spessori evidentemente consoni, si può piegare; allora questo vuol dire avere una grande idea, fare una cosa originale, che oggi tutti cercano e che pochi trovano. 27 Anche la Cecomp ha iniziato a occuparsi di creatività e a Shanghai di quest’anno ha presentato l’Icona. E’ un segno di evoluzione dei nostri associati: siamo tutt’altro che morti e tutt’altro che fermi. Ora veniamo veramente al futuro: che cosa ha fatto il Gruppo Carrozzieri l’anno scorso? Per la prima volta nella storia di cent’anni ha fatto quello che oggi si chiama in mille maniere. Una volta si chiamava semplicemente collaborazione, poi si è chiamata sinergia, oggi si chiamano reti di impresa; è un modo di dire molto usato dai politici perché pare che le reti di imprese siano la soluzione ai molti mali del mondo... Per la prima volta in cent’anni ci siamo messi tutti insieme auto-scegliendoci i nostri compiti; è una cosa che i nostri clienti ci hanno chiesto molte volte in passato: uno lo stile, l’altro i modelli e l’altro i prototipi. Questa volta ce lo siamo detti noi su di noi e abbiamo scelto un progetto, che per essere in linea con i tempi è un veicolo economico, molto economico. Oggi si chiamano low-cost; questo è ultra-low-cost. E’ sempre stato un campo dove gli Italiani hanno detto la loro parola alta. Allora in questo ambito siamo in otto del Gruppo più altre industrie importanti degli altri Gruppi dell’ANFIA, principalmente i componentisti: ad esempio, Pirelli ci potrebbe dare gli pneumatici a basso rotolamento, Brembo dei freni innovativi. Intorno a questo progetto, che l’ANFIA chiama “progetto cerniera”, confluiscono varie capacità dei vari Gruppi dell’Associazione. Qual è la caratteristica principale della nostra vettura? Si chiama Tris perché ha tre porte uguali. E’ un veicolo del segmento B, ma da che mondo e mondo l’automobile è stata fatta nel campo dei segmento B a tre porte con una porta a destra, una porta a sinistra diversa dalla precedente e una portellone diverso dalle due precedenti. La Tris è un veicolo nel quale non cerchiamo la bellezza, evidentemente, però cerchiamo una funzionalità così spinta che potrebbe diventare non dico la bellezza, ma un forte elemento emozionale. Allora quando una persona, il guidatore entra per andare al volante fa esattamente gli stessi movimenti che fa il passeggero quando entra dall’altra parte cioè sposta il suo baricentro da una certa altezza e lo mette sul sedile. Non c’è nessun motivo al mondo perché queste due porte non siano uguali. Per il portellone è più difficile perché viene coinvolta l’altezza del paraurti da certe normative, ma si La concept-car Tris sviluppata da alcuni membri del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA. Si tratta di una vettura low-cost caratterizzata dall’impiego di un numero estremamente ridotto di componenti standard: tre porte uguali, quattro fanali uguali, due paraurti e due vetri uguali. può, si deve fare quel piccolo rigonfiamento sul padiglione per rispettare l’altezza da terra del paraurti; una volta sarebbe stato scandaloso, oggi assolutamente no: queste forme un po’ più “bizzarre” sono molto ben viste soprattutto dai giovani. Paraurti anteriore uguale al paraurti posteriore, l’unica differenza è una ripresa di stampo per l’entrata dell’aria. I fanali: un fanale solo, messo ai quattro angoli con lo stesso profilo in pianta e in sezione, in un unico pezzo; la differenza qual è? Che il sistema che c’è dentro la macchina riconosce la posizione e dimma la potenza dei vari LED; i colori sono sempre gli stessi: bianco davanti, rosso dietro, arancio sia davanti che dietro per la direzione. Ci siamo spinti fino a fare il quarter, il vetro fisso simmetrico intorno ad un asse inclinato, per cui il pezzo destro è uguale a quello sinistro. Il pianale fruisce di altri brevetti che permettono di fare veramente qualche cosa di leggero ed economico. Il veicolo è pensato per una motorizzazione ibrida o elettrica totalmente, poiché l’ibrido necessita di batterie e l’elettrico ovviamente anche, ma pure una normale motorizzazione: oggi i piccoli diesel sono installabili dove si mette un motore benzina. Il vano motore di un veicolo moderno non cambia a seconda di che tipo di motore ci sia dentro: per la tecnologia di oggi a parità di ingombro ci sono almeno tre scelte, benzina diesel, ibrido ed elettrico. Quello che conta è l’uomo, cioè l’architettura del veicolo è fatta dall’uomo -che è cresciuto e quindi i veicoli di oggi sono più grandi di ierie della capacità o meno di trasportare i bagagli. Recentemente, siamo stati invitati al Salone di Lione in Francia, che è quello che sostituisce il Salone di Parigi negli anni dispari; erano presenti tre dei nostri. Anche lì grande successo; l’anno prossimo saremo invitati di nuovo in Qatar. Su che cosa si basa la nostra speranza nel futuro? Proprio sul fatto che questo tipo di caratteristiche degli Italiani non siano insegnabili e siano proprio nostre; quello che ci manca che cos’è? Avere dei capitali sufficienti per dire queste cose un po’ più ad alta voce invece che dirle solo alla casa che conosce me e che mi viene a commettere un lavoro. In questo momento devo dire, purtroppo, che i capitali italiani non ci sono più; prima è stato citato giustamente un lavoro che Fiat commetteva ai carrozzieri quando lanciava un nuovo modello: dava ai carrozzieri dei pianali e una cifra non enorme, ma consistente perché ogni carrozziere esprimesse quello che pensava sul tale pianale. Ottenendo un duplice scopo -non era solo bontà d’animometteva un forte accento sul nuovo modello perché alcune proposte, anche se magari bizzarre, facevano comunicazione, facevano stampa e nei casi più fortunati, quando il modello era veramente interessante, otteneva una consulenza che gli costava la metà della metà. Il vantaggio per noi qual era? Che ci riempiva i periodi che potevano essere di bassa. Noi oggi siamo con le stesse caratteristiche di una volta nel settore della creatività -e questo ci fa solo piacere- ma soffriamo della mancanza di capitali italiani, perché noi continueremo a lavorare ma saremo o dei Tedeschi o dei Cinesi o dei Francesi, saremo bravi lo stesso però questo valore tipicamente italiano perderà un po’ il connotato di essere “Made in Italy”. Questa è una cosa che io ho segnalato alle istituzioni così dette in varie occasioni, la più importante è quella del convegno al quale ho partecipato e questo è un po’ un dolore perché effettivamente è vero che tutti hanno le circostanze per poter chiedere qualcosa ed è altrettanto vero che i governi -qualunque essi siano- in questo momento non possono fare quasi niente, quindi è bene stare con i piedi per terra, però alcuni angoli di intervento sono possibili. Ne cito solo uno: l’Italia, purtroppo, sia al sud sia al nord, non è stata in grado in questi anni -e non lo è ancora adesso- di spendere i soldi che già abbiamo ricevuto dall’Europa o dalle istituzioni italiane. Questo veramente è insopportabile; se sono avanzati dei soldi, alcuni di questi soldi potrebbero andare utilmente in un sostegno nostro, temporaneo, che verrebbe anche restituito, per realizzare, per esempio, il progetto Tris che ci vede tutti uniti e che è un veicolo proprio di oggi, economico. Questa è la situazione presente e futura nostra; io ci credo molto, alcuni dei nostri associati anche. Vi ho segnalato che ci sono delle giovani società fatte di giovani che si stanno iscrivendo al Gruppo Carrozzieri, ci sono società fresche portate avanti da persone se proprio non del liceo forse dell’università, come Ercole che è quasi mio coevo, quindi questo fermento c’è ancora; questo deve essere ben chiaro e ben noto. Quello che manca è l’altra parte del cielo, che non è poco. Due immagini del grande stand del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA ospite al Motor Show di Dubai del 2011. 28 29 LE MONOGRAFIE AISA 94 Forme e creatività dell’automobile cento anni di carrozzeria 1911-2011 A. Sannia, E. Spada, L. Fioravanti Torino, 29 ottobre 2011 93 Materiali e metodologie per la storiografia dell’automobile Giornata in onore di Andrea Curami ed Angelo Tito Anselmi Conferenza Aisa Milano, 16 aprile 2011 92 L’Alfa Romeo di Ugo Gobbato (1933-1945) Conferenza Aisa in collaborazione con Università Commerciale Bocconi Milano, 2 aprile 2011 91 Giorgio Valentini progettista indipendente eclettico e innovativo Settembre 2011 90 Abarth: l’uomo e le sue auto Conferenza Aisa in collaborazione con CPAE Fiorenzuola d’Adda (PC), 9 maggio 2010 89 MV Agusta tre cilindri Conferenza Aisa in collaborazione con GLSAA-MV Cascina Costa di Samarate (VA), 22 maggio 2010 88 Il Futurismo, la velocità e l’automobile Conferenza Aisa in collaborazione con CMAE Milano, 21 novembre 2009 87 Mercedes-Benz 300SL Tecnica corse storia Lorenzo Boscarelli, Andrea Curami, Aldo Zana in collaborazione con CMAE Milano, 17 ottobre 2009 86 Pier Ugo e Ugo Gobbato, due vite per l’automobile con il patrocinio del Comune di Volpago del Montello Milano, 14 marzo 2009 85 Jean-Pierre Wimille il più grande prima del mondiale Alessandro Silva in collaborazione con Alfa Blue Team Milano, 24 gennaio 2009 84 Strumento o sogno. Il messaggio pubblicitario dell’automobile in Europa e Usa 1888-1970 Aldo Zana in collaborazione con CMAE Milano, 29 novembre 2008 83 La Formula Junior cinquanta anni dopo 1958-2008 Andrea Curami Monza, 7 giugno 2008 82 Alle radici del mito. Giuseppe Merosi, l’Alfa Romeo e il Portello Conferenza Aisa-Cpae Piacenza, 11 maggio 2008 81 I primi veicoli in Italia 1882-1899 Conferenza Aisa-Historic Club Schio Vicenza, 29 marzo 2008 80 Automobili made in Italy. Più di un secolo tra miti e rarità Tavola rotonda Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar Romano d’Ezzelino, 1 marzo 2008 79 Aisa 20 anni 1988-2008 Riedizione della Monografia 1 I progettisti della Fiat nei primi 40 anni: da Faccioli a Fessia di Dante Giacosa Milano, 15 marzo 2008 78 Vittorio Valletta e la Fiat Tavola rotonda Aisa-Fiat Torino, 1 dicembre 2007 77 Dalla Bianchi alla Bianchina Alessandro Colombo Milano, 16 settembre 2007 76 60 anni dal Circuito di Piacenza, debutto della Ferrari Tavola rotonda Aisa-Cpae Palazzo Farnese, Piacenza, 16 giugno 2007 75 Giuseppe Luraghi nella storia dell’industria automobilistica italiana Tavola rotonda Aisa-Ise Università Bocconi Università Bocconi, Milano, 26 maggio 2007 74 La Pechino-Parigi degli altri Antonio Amadelli Palazzo Turati, Milano, 24 marzo 2007 73 Laverda, le moto, le corse Tavola rotonda Università di Vicenza, 3 marzo 2007 72 100 anni di Lancia Tavola rotonda Museo Nicolis, Villafranca,25 novembre 2006 71 1950-1965. Lo stile italiano alla conquista dell’Europa Lorenzo Ramaciotti Milano, 14 ottobre 2006 70 Fiat 124 Sport Spider, 40 anni tra attualità e storia Tavola Rotonda Torino, 21 maggio 2006 69 L’evoluzione della tecnica motociclistica in 120 anni Alessandro Colombo Milano, 25 marzo 2006 68 Dalle corse alla serie: l’esperienza Pirelli nelle competizioni Mario Mezzanotte Milano, 25 febbraio 2006 67 Giulio Carcano, il grande progettista della Moto Guzzi Alessandro Colombo, Augusto Farneti, Stefano Milani Milano, 26 novembre 2005 (con la collaborazione del CMAE) 66 Corse Grand Prix e Formule Libre 1945-1949 Alessandro Silva Torino, 22 ottobre 2005 65 Ascari. Un mito italiano Tavola rotonda Milano, 28 maggio 2005 30 64 Itala, splendore e declino di una marca prestigiosa Donatella Biffignandi Milano, 12 marzo 2005 46 Maserati 3500 GT una svolta aperta al mondo The Maserati 3500 GT (English text) Giulio Alfieri Milano, 12 aprile 2000 63 Piloti italiani: gli anni del boom Tavola Rotonda Autodromo di Monza, 29 gennaio 2005 62 Autodelta, dieci anni di successi Tavola rotonda Arese, Museo Alfa Romeo, 23 ottobre 2004 44 Il record assoluto di velocità su terra Gli anni d’oro: 1927-1939 Ugo Fadini Milano, 21 ottobre 1999 61 Carlo Felice Bianchi Anderloni: l’uomo e l’opera Tavola rotonda Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar Romano d’Ezzelino, 8 maggio 2004 43 L’aerodinamica negli anni Venti e Trenta Teorie e sperimentazioni Franz Engler Milano, 4 giugno 1999 42 Adalberto Garelli e le sue rivoluzionarie due tempi Augusto Farneti Milano, 17 aprile 1999 60 I mille giorni di Bernd Rosemeyer Aldo Zana Milano, 20 marzo 2004 45 Lancia Stratos Pierugo Gobbato Milano, 11 marzo 2000 27 Ricordo di Ugo Gobbato 1945-1995 Duccio Bigazzi Milano, 25 novembre 1995 26 Intensamente Cisitalia Nino Balestra Milano, 28 ottobre 1995 25 Cesare Bossaglia: ricordi e testimonianze a dieci anni dalla scomparsa Tavola rotonda Milano, 21 ottobre 1995 24 Moto Guzzi e Gilera: due tecniche a confronto Alessandro Colombo Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar Romano d’Ezzelino, 7 giugno 1995 23 Le Benelli bialbero (1931-1951) Augusto Farneti Milano, 18 febbraio 1995 41 La Carrozzeria Zagato vista da... Tavola rotonda Trieste, 13 settembre 1998 22 Tecniche e tecnologie innovative nelle vetture Itala Carlo Otto Brambilla Milano, 8 ottobre 1994 40 Tenni e Varzi nel cinquantenario della loro scomparsa Convegno Milano, 7 ottobre 1998 21 I record italiani: la stagione di Abarth Tavola rotonda Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar Romano d’Ezzelino, 16 aprile 1994 57 Dalla carrozza all’automobile Aspetti, Boscarelli, Pronti Piacenza, 22 marzo 2003 39 Il futurismo e l’automobile Convegno Milano, 16 maggio 1998 20 Lancia Aurelia Francesco De Virgilio Milano, 26 marzo 1994 56 Le moto pluricilindriche Stefano Milani Milano, 30 novembre 2002 38 I fratelli Maserati e la OSCA Tavola rotonda Genova, 22 febbraio 1998 19 Battista Pininfarina 1893-1993 Tavola rotonda Torino, 29 ottobre 1993 55 Carrozzeria Bertone 1912 - 2002 Tavola rotonda Torino, 30 ottobre 2002 37 Enzo Ferrari a cento anni dalla nascita Tavola rotonda Milano, 18 aprile 1998 54 L’ingegner Piero Puricelli e le autostrade Francesco Ogliari Milano, 18 maggio 2002 36 La Carrozzeria Pininfarina vista da... Tavola rotonda Trieste, 14 settembre 1997 18 53 Come correvamo negli anni Cinquanta Tavola rotonda Milano, 12 gennaio 2002 35 Passato e presente dell’auto elettrica Tavola rotonda Milano, 26 maggio 1997 52 L’evoluzione dell’auto fra tecnica e design Sandro Colombo Verona, 8 ottobre 2001 34 Gli archivi di disegni automobilistici Tavola rotonda Milano, 19 aprile 1997 59 Moto e corse: gli anni Settanta Tavola rotonda Milano, 29 novembre 2003 58 Le automobili che hanno fatto la storia della Fiat. Progressi della motorizzazione e società italiana. Giorgio Valentini, Lorenzo Boscarelli Milano, 7 giugno 2003 51 Quarant’anni di evoluzione delle monoposto di formula Giampaolo Dallara Milano, 8 maggio 2001 50 Carrozzeria Ghia - Design a tutto campo Tavola rotonda Milano, 24 marzo 2001 49 Moto e Piloti Italiani Campioni del Mondo 1950 Alessandro Colombo Milano, 2 dicembre 2000 48 1950: le nuove proposte Alfa Romeo 1900, Fiat 1400, Lancia Aurelia Giorgio Valentini Milano, 8 ottobre 2000 47 Come nasce un’automobile negli anni 2000 Tavola rotonda Torino, 23 settembre 2000 33 D’Annunzio e l’automobile Tavola rotonda Milano, 22 marzo 1997 32 Lancia - evoluzione e tradizione Vittorio Fano Milano, 30 novembre 1996 31 Gli aerei della Coppa Schneider Ermanno Bazzocchi Milano, 26 ottobre 1996 30 I motori degli anni d’oro Ferrari Mauro Forghieri Milano, 24 settembre 1996 29 La Carrozzeria Touring vista da... Tavola rotonda Trieste, 15 settembre 1996 28 75-esimo Anniversario del 1° GranPremio d’Italia Tavola rotonda Brescia, 5 settembre 1996 Antonio Chiribiri, pioniere del motorismo italiano Giovanni Chiribiri Milano, 27 marzo 1993 17 Gilera 4 - Tecnica e storia Sandro Colombo Milano, 13 febbraio 1993 16 Tazio Nuvolari tra storia e leggenda Tavola rotonda Milano, 17 ottobre 1992 15 La vocazione automobilistica di Torino: l’industria, il Salone,il Museo, il design Alberto Bersani Milano, 21 settembre 1992 14 Pubblicità auto sui quotidiani (1919-1940) Enrico Portalupi Milano, 28 marzo 1992 13 La nascita dell’Alfasud Rudolf Hruska e Domenico Chirico Milano, 13 giugno 1991 12 Tre vetture da competizione: esperienze di un progettista indipendente Giorgio Valentini Milano, 20 aprile 1991 11 Aspetti meno noti delle produzioni Alfa Romeo: i veicoli industriali Carlo F. Zampini Salazar Milano, 24 novembre 1990 10 Mezzo secolo di corse automobilistiche nei ricordi di un pilota Giovanni Lurani-Cernuschi Milano, 20 giugno 1990 31 9 L’evoluzione del concetto di sicurezza nella storia dell’automobile Tavola rotonda Torino, 28 aprile 1990 8 Teoria e storia del desmodromico Ducati Fabio Taglioni Milano, 25 novembre 1989 7 Archivi di storia dell’automobile Convegno Milano, 27 ottobre 1989 6 La progettazione automobilistica prima e dopo l’avvento del computer Tavola rotonda Milano, 10 giugno 1989 5 Il rapporto fra estetica e funzionalità nella storia della carrozzeria italiana Tavola rotonda Torino, 18 febbraio 1989 4 Le moto Guzzi da corsa degli anni Cinquanta: da uno a otto cilindri Giulio Carcano Milano, 5 novembre 1988 3 Maserati Birdcage, una risposta ai bisogni Giulio Alfieri Torino, 30 aprile 1988 2 Alfa Romeo: dalle trazioni anteriori di Satta alla 164 Giuseppe Busso Milano, 8 ottobre 1987 1 I progettisti della Fiat nei primi 40anni: da Faccioli a Fessia Dante Giacosa Torino, 9 luglio 1987 AISA Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile Aisa è l’associazione culturale che dal 1988 promuove studi e ricerche sulla storia e sulla cultura dell’automobile, della moto e di altri mezzi di trasporto. I suoi soci sono persone, enti, associazioni o società che condividono questo interesse per passione o ragioni professionali. L’obiettivo fondante dell’Aisa è la salvaguardia di un patrimonio di irripetibili esperienze vissute e di documenti di grande interesse storico. Nella sua attività, l’Associazione ha coinvolto protagonisti di primo piano e testimoni privilegiati del mondo dell’auto e della moto: sono state organizzate conferenze e tavole rotonde, il cui contenuto è registrato nelle Monografie distribuite ai soci. La qualità e quantità delle informazioni e dei documenti delle Monografie ne fanno un riferimento di grande valore. Per diventare soci è sufficiente compilare l’apposita richiesta sul sito dell’Associazione: www.aisastoryauto.it © AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile (febbraio 2012) Si ringraziano per la collaborazione: Donatella Biffignandi, Giovanni Bossi, Lorenzo Boscarelli, Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, Aldo Zana. Foto: Archivio Alessandro Sannia, Leonardo Fioravanti Pubblicazione a cura della Società Editrice Il Cammello, Torino - Stampa: Graficat, Torino 32 Alessandro Sannia - Ercole Spada - Leonardo Fioravanti Forme e creatività dell’automobile cento anni di carrozzeria 1911-2011 AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile C.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it MONOGRAFIA AISA 94