- AISA - Associazione Italiana per la storia dell`Automobile

Transcript

- AISA - Associazione Italiana per la storia dell`Automobile
Forme e creatività dell’automobile
cento anni di carrozzeria
1911-2011
AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile
AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile
C.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it
MONOGRAFIA AISA 94
Forme e creatività dell’automobile
cento anni di carrozzeria
1911-2011
AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile
in collaborazione con
Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
Torino, 29 ottobre 2011
3Introduzione
Lorenzo Boscarelli
4
I carrozzieri e la Fiat: cento anni di collaborazione
Alessandro Sannia
18
I miei anni alla Zagato
Ercole Spada
22
Prospettive per i carrozzieri di domani
Leonardo Fioravanti
In copertina: la concept-car “Sguanà” realizzata da Bertone nel 2006 su base Fiat Grande Punto ed
una Fiat 525 allestita con carrozzeria D’Orsay de Ville da Viotti nel 1928.
In IV di copertina: una panoramica su un secolo di vetture Fiat “vestite” dai carrozzieri italiani.
MONOGRAFIA AISA 94
1
Prefazione
Lorenzo Boscarelli
U
n secolo è un lungo periodo per un prodotto dell’industria, come l’automobile, tanto più se nel suo corso
le evoluzioni della tecnologia, dell’economia, della società
hanno inciso così profondamente sull’oggetto e sul suo
ambiente da rendere arduo il paragone tra i due estremi
temporali.
È quindi ancor più ammirevole e – per noi italiani – occasione di orgoglio, che si possa celebrare il centesimo anniversario della costituzione del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA non commemorando il tempo che fu, ma riflettendo
sul modo di essere carrozziere oggi e con la possibilità di
guardare al futuro con ragionevole fiducia, consapevoli dei
successi passati così come delle sfide e delle incognite del
futuro, forti delle proprie capacità e del riconoscimento che
i nostri carrozzieri hanno in tutto il mondo.
Compito istituzionale dell’AISA è la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico del motorismo italiano.
Pertanto, l’incontro odierno si apre con un panorama della collaborazione tra i carrozzieri e la Fiat, che ha segnato
in modo rilevante tutta la storia dell’azienda torinese, con
risultati spesso molto lusinghieri. La vicenda Fiat è emblematica, ma tutti i costruttori italiani hanno avuto dalla col-
laborazione con i carrozzieri un contributo rilevante all’affermazione dei loro prodotti. Possiamo ben dire che questo
risultato è stata la conseguenza di un virtuoso “triangolo”,
i cui vertici sono rappresentati dall’azienda committente,
dall’impresa di carrozzeria, dallo stilista (oggi detto designer), con questi ultimi due attori che hanno saputo evolvere nel tempo, assumendo connotazioni e ruoli consoni
alle mutate condizioni tecniche, organizzative, di mercato.
Il fatto che da tutto il mondo giovani designers si trasferiscano in Italia, in particolare a Torino, per apprendere la
loro professione e per esprimere le loro capacità è il segno
che il nostro gusto e tradizione sono un punto di riferimento, pur disponendo ormai tutti o quasi i grandi costruttori
di automobili di centri stile molto competenti.
Come sempre, si mantiene sul mercato e si sviluppa chi
offre qualcosa di diverso e migliore dei concorrenti; è ciò
che i nostri carrozzieri hanno fatto e fanno ancor oggi e
che ci auguriamo continuino a fare, perché tutti noi, da appassionati dell’automobile e di ciò che è bello ed attraente,
desideriamo poter ammirare anche in futuro le loro opere,
per esserne sorpresi e avvinti, come in tante occasioni ci è
accaduto in passato.
Un’immagine della splendida Fiat 514 “Coppa delle Alpi”, tratta da un catalogo pubblicitario del 1931. Per la costruzione di un modello così
particolare, la Fiat preferì rivolgersi ad uno specialista, la Carrozzeria Ghia, che certamente era più adatta per le piccole serie di lusso rispetto al
grande stabilimento industriale del Lingotto. Si tratta di un ottimo esempio della stretta collaborazione che fin dalla nascita dell’automobile si è
instaurata fra case costruttrici e carrozzieri.
Lorenzo Boscarelli, presidente Aisa e studioso di storia dell’automobile.
2
3
I carrozzieri e la Fiat: cento anni di collaborazione
Alessandro Sannia
Praticamente tutte le innovazioni tecnologiche che portarono alla
nascita dell’automobile sul finire del XIX secolo furono concentrate
sulla meccanica poiché per la carrozzeria esisteva già una tradizione
consolidata, che si poteva sfruttare senza grandi modifiche.
Questo spiega la fortissima somiglianza fra la carrozza leggera da
passeggio, di costruzione americana datata 1900, e l’allestimento di
Marcello Alessio per la contemporanea Fiat 4 Hp.
L
a nascita dell’automobile negli ultimi decenni del Diciannovesimo secolo non ha, in realtà, risposto ad un
bisogno primario dell’uomo –come accade sovente con le
invenzioni che rivoluzionano la vita quotidiana- ma ha semplicemente offerto una risposta più semplice, più pratica
e più razionale a quella necessità di mobilità che esisteva
da sempre. Molto tempo prima dell’invenzione del motore,
l’uomo aveva già trovato una risposta nella trazione animale; la geniale invenzione di padre Eugenio Barsanti e dell’ingegner Felice Matteucci, semplicemente, offriva un’alternativa migliore. Per fare un paragone moderno, potremmo
dire che al bisogno di comunicare a distanza avevano già
risposto le invenzioni di Antonio Meucci e Alexander Graham Bell alla fine dell’Ottocento, ma che i cellulari diffusi
da Motorola hanno portato una rivoluzione nelle nostre
abitudini perché rendevano il telefonare più semplice e disponibile ovunque.
Questa premessa è fondamentale per inquadrare il rapporto fra la nascente industria automobilistica ed i carrozzieri, mettendo in evidenza come i secondi esistessero già e
come, di conseguenza, tutta la parte fortemente innovativa
fosse nelle mani e nelle idee dei pionieri della prima. In altre
parole, la carrozza a trazione animale era ormai un prodotto maturo e possedeva già in quegli anni molte caratteristiche che avremmo poi ritrovato nelle prime automobili,
sia dal punto di vista stilistico sia da quello tecnico, come
le molle a balestra o i freni. Se si confrontano le immagini
di una carrozza e di una delle prime automobili, si vede
che l’innovazione sta tutta nel diverso tipo di forza motrice,
mentre la carrozzeria è adattata solo il minimo indispensabile per alloggiare il motore.
Le prime industrie automobilistiche, dunque, non ebbero
fra gli innumerevoli problemi da risolvere quello della carrozzeria: era più che sufficiente rivolgersi ad uno dei numerosi specialisti del settore già ben noti ed affermati per
avere ciò che desideravano. Nel caso specifico della Fiat, il
fornitore prescelto fu l’atelier di Marcello Alessio, che in
quegli anni godeva di ottima fama ed era particolarmente di
moda fra l’alta borghesia e la nobiltà della capitale sabauda.
Nei primi tempi nessuno sentì la necessità di avere un ap-
L’automobile non è, in realtà, così importante per aver fornito all’uomo
un mezzo per muoversi, cosa che la trazione animale faceva già da
millenni, ma per averlo reso estremamente più semplice e pratico.
proccio diverso alla carrozzeria e, anzi, l’abitudine Fiat di
offrire i propri telai anche con una proposta già definita di
Alessio era di per sé già abbastanza insolita. I concorrenti,
normalmente, fornivano lo châssis nudo e il cliente lo faceva abbigliare dal proprio carrozziere di fiducia, così come
mai allora avrebbe concepito un abito prêt-à-porter.
Tutto questo fece sì che in un primo momento ci sia stato
un certo disallineamento fra la velocità con cui si evolveva
la meccanica e quella con cui la carrozzeria le si adattava.
Persino in un esempio eccellente come la Fiat 28/40 Hp
“Sparviero” carrozzata nel 1906 da Castagna per S.A.R. la
Regina Madre Margherita di Savoia, si nota ancora una certa discontinuità fra il compartimento passeggeri ed il cofano motore. Pur nella raffinatezza dell’esecuzione, gran parte delle attenzioni vengono riservate alla forma del salotto
della sovrana, mentre il cofano ed i parafanghi “vestono” in
modo piuttosto semplice le parti meccaniche.
I primi cenni di armonizzazione della carrozzeria come
una forma unica ed intera si vedono attorno al 1908 nelle
realizzazioni dei carrozzieri del nuovo tipo “torpedo”, ma
in casa Fiat il vero punto di svolta è la nascita della 12/15
Hp “Zero” nel 1912. Per la prima volta, infatti, veniva definito un “tipo standard” di carrozzeria, così da vendere
l’automobile completa e pronta ad andare su strada anziché
lo châssis da allestire. La “Zero” porta con sé anche un
altro significativo primato: è stata, infatti, definita con una
metodologia incredibilmente avanzata per l’epoca e concettualmente assai vicina alle procedure di sviluppo prodotto
moderne. La Fiat, infatti, individuato nella “torpedo” la
tipologia più diffusa, ha contemporaneamente incaricato
Alessandro Sannia è nato a Torino nel 1974 e si occupa di automobili a trecentosessanta gradi. Laureato in architettura, dopo precedenti esperienze nel campo dello stile
e in quello dei motori, si occupa di strategie di prodotto in Fiat Group Automobiles.
Da sempre appassionato e studioso di storia dell’automobile, è membro della Commissione Cultura dell’Automotoclub Storico Italiano, della prestigiosa Associazione
Italiana per la Storia dell’Automobile e della Society of Automotive Historians americana. Collabora come giornalista freelance con diverse testate specializzate italiane e
straniere ed è autore di numerosi libri, dedicati soprattutto alle automobili Fiat e alle
loro derivate.
4
soddisfare le esigenze specifiche della clientela, sia professionali sia ludiche, a cui il prodotto di grande serie non poteva rispondere. Dall’altro si consolidarono nelle forniture
alle case costruttrici per quelle tipologie più di nicchia per
le quali una produzione industriale di grande serie sarebbe
risultata antieconomica.
Ecco, dunque, che accanto ad un’offerta “ufficiale” della
Fiat che si consolida su un certo numero di tipologie di carrozzeria standardizzate si sviluppa un fiorente panorama di
allestimenti speciali ad opera degli artigiani “indipendenti”.
La scena, soprattutto torinese, è molto vivace e movimentata. Oltre alle costruzioni tradizionali, fatte per soddisfare
i clienti che ancora vogliono un prodotto esclusivo e “su
misura” anche per le tipologie di vettura normali, come le
berline e le torpedo, nascono idee più originali e innovative.
Alcune sarebbero state destinate a durare nel tempo, altre a
scomparire nel giro di una stagione. Un esempio potrebbe
essere la Carrozzeria Moderna, che fu attiva per poco tempo a cavallo della metà degli anni Venti e che, però, nella sua
breve esistenza si fece notare per l’originalità delle propo-
il proprio Reparto Carrozzerie ed un’importante azienda
esterna, gli Stabilimenti Farina, di realizzare due prototipi,
per poi scegliere quello meglio riuscito dal punto di vista
stilistico. La selezione premiò il secondo e si racconta che
alla scelta abbia partecipato un giovanissimo Pinin Farina
che, alla domanda del senatore Agnelli di quale delle due
preferisse, aveva risposto: “Questa, perché l’ho fatta io”.
Accanto alla versione torpedo, che fu disegnata da Farina
ma veniva costruita dalla Fiat, fu proposta anche una bella
spider. Per questa, invece, l’azienda fece nuovamente ricorso ad una fornitura esterna, assegnandone la costruzione
alla Carrozzeria Locati & Torretta, ma la presentò comunque come un prodotto proprio, omettendo il nome del carrozziere nelle pubblicità.
Quest’abitudine di vendere vetture complete soppiantò nel
giro di pochi anni il sistema precedente e creò un rapporto
diverso fra case costruttrici e carrozzieri. La rapida espansione dell’automobile, però, favorì la crescita dei fornitori
di carrozzerie, che si crearono un ruolo diverso ma altrettanto importante. Da un lato, infatti, si specializzarono nel
Anche in una realizzazione
d’eccellenza come la “Sparviero”
allestita da Castagna su châssis
Fiat 24/40 Hp nel 1906 per S.A.R.
la Regina Madre Margherita
di Savoia, la parte meccanica
sembra ancora integrarsi con
una certa difficoltà. Tutte le
attenzioni sono concentrate nella
parte riservata ai passeggeri,
mentre il resto sembra solo
essere mascherato dai
parafanghi a vomere, all’ultima
moda in quegli anni.
5
Per la sua capacità di costruire carrozzerie di alta qualità rispettando
tempi e modi della produzione in serie, Viotti divenne nel corso degli
anni Trenta un partner privilegiato della Fiat.
Dopo i pochi esemplari della 525 SS Spider, supportò la casa torinese
nell’offrire una versione della 508 Balilla, aerodinamica e a quattro
porte (a destra), che fosse esteticamente accattivante, in alternativa
alla fin troppo tradizionale berlina di serie. La collaborazione proseguì
negli anni successivi con la 508 C/1100 “Nuova Balilla”. La Fiat,
infatti, decise di inserire nel proprio listino la bella Spider a due
posti proposta da Viotti (sotto, a sinistra) e gli commissionò anche
la realizzazione di una più comoda cabriolet a quattro posti (sotto, a
destra).
Per lo stile della 12/15 Hp “Zero” la Fiat ebbe un approccio incredibilmente moderno per quei tempi: scelse fra un prototipo realizzato internamente
ed uno disegnato da un giovanissimo Pinin Farina, apprendista presso la carrozzeria del fratello Giovanni. La scelta ricadde sul secondo, che divenne
il torpedo standard che appare nella foto a sinistra e che fu anche la prima vettura della casa torinese ad essere venduta completa, cioè con una
carrozzeria prodotta in serie e non come châssis nudo.
Per la versione spider, nella pubblicità riprodotta a destra, invece, la Fiat si rivolse ad uno specialista del settore, commissionandone l’esecuzione
alla Carrozzeria Locati & Torretta, il cui nome, però, come si vede, non veniva mai menzionato.
ste; ricordiamo il sistema “Doublentrée” che permetteva di
aprire le porte in entrambe le direzioni, in avanti o indietro,
agendo su due maniglie, e il brevetto “Ognitempo” per una
carrozzeria smontabile che permetteva di passare dalla berlina a guida interna alla torpedo, passando per quattro configurazioni intermedie di dorsay giocando sulla posizione di
vetri e montanti. Questo ebbe più successo e fu acquistato
dalla stessa Fiat, che lo propose sui nuovi modelli a sei ci-
lindri di fine decennio.
E’ interessante, inoltre, rilevare quanto cosmopolita fosse il clima in cui agivano i professionisti dell’automobile;
i numerosi saloni che si tenevano a livello europeo erano
già allora vetrine eccellenti per il pubblico quanto per gli
addetti ai lavori, che vi scambiavano informazioni, contratti
e brevetti. Per esempio, Viotti costruiva innovative scocche
con struttura in alpacca secondo il metodo “Clairalpax” su
licenza del francese Paul Audineau mentre Garavini sfruttava inizialmente il sistema Weymann per il rivestimento delle
carrozzerie in pegamoide, che poi avrebbe evoluto nei suoi
brevetti “Plumelastica” e “Plumacciaio”, a loro volta concessi in licenza a costruttori esteri.
L’eccellenza raggiunta negli anni Venti dai professionisti
della carrozzeria fece sì che l’industria riconoscesse nel loro
lavoro un valore aggiunto quando si trattava di offrire al
pubblico versioni di lusso. La Fiat lo fece scegliendo due
dei più importanti atelier torinesi per affidare loro la costruzione di due splendide sportive: la 525 SS Spider che
fu “vestita” da Vittorino Viotti e la 514 “Coppa delle Alpi”
da Giacinto Ghia; a quest’ultima sarebbe seguita poco più
tardi la celebre 508 S Balilla “Coppa d’Oro”.
Queste immagini mostrano come i carrozzieri siano stati i protagonisti della creatività e del lusso degli anni Venti.
In alto a sinistra, la vettura brevettata “Ognitempo” realizzata dalla Carrozzeria Moderna di Torino, fervido innovatore in fatto di sistemi e meccanismi;
la vettura della foto, allestita su châssis Fiat 507 nel 1927, aveva un padiglione smontabile che permetteva di trasformarla da berlina a guida interna a
torpedo passando per altre quattro configurazioni intermedie, a seconda di come venivano posizionati i vetri.
In alto a destra, una straordinaria dorsay de ville su châssis Fiat 519 realizzata nel 1928 da uno dei marchi di lusso più apprezzati del momento, la
Carrozzeria Viotti di Torino.
Sopra a sinistra: un’eccezionale carrozzeria del tipo “Flying Star” con parafanghi ad ala di farfalla realizzata nel 1931 da Touring; nonostante le
dimensioni relativamente piccole dello châssis Fiat 522 C continua a colpire ancora oggi per l’originalità e l’eleganza.
Sopra a destra: una delle sportive Fiat più celebri, la 525 SS Spider del 1931, la cui carrozzeria fu commissionata dalla casa torinese a Viotti.
La clientela più raffinata ed esigente era certa di trovare nei carrozzieri la giusta risposta alle proprie aspettarive. Nella foto, una cabriolet su châssis
Fiat 2800 a sei cilindri allestita da Bertone nel 1938.
6
7
Un altro interessante esempio del potenziale della collaborazione fra carrozzieri e grande industria ci è dato proprio
dalla Balilla, nella sua versione berlina. Vettura fortemente
attesa sia dalla clientela sia dal Regime fascista, che vedeva
in essa uno strumento di progresso dell’industria e della
motorizzazione del Paese, fu lanciata troppo in fretta. Pur
con tutti i suoi pregi, era troppo tradizionale sia meccanicamente sia, soprattutto, nell’estetica, limitandosi a ricordare
in piccolo una 514. La Fiat, naturalmente, ne era del tutto consapevole, ma non aveva potuto mancare l’appuntamento della primavera 1932 per la commercializzazione. In
contemporanea, però, aveva portato avanti uno sviluppo
per ammodernarla, potenziando il motore e introducendo
un cambio a quattro marce al posto di quello, ormai anacronistico, a sole tre. Queste modifiche furono pronte già
un anno più tardi, ma l’aggiornamento della carrozzeria,
che ormai era completamente stampata in lamiera d’acciaio con grandi e complesse attrezzature industriali, richiedeva più tempo e non sarebbe stato disponibile prima del
1934. Per prevenire, nel frattempo, il rischio di prematura
obsolescenza della piccola berlina a due porte la Fiat commissionò a Viotti un lotto delle sue apprezzatissime berline aerodinamiche a quattro porte, di disegno decisamente
più moderno ed accattivante. Questa collaborazione si fece
sempre più stretta e proseguì nel corso degli anni Trenta. Il
carrozziere torinese, infatti, fornì alla Fiat anche le carrozzerie cabriolet per la 508 C/1100 “Nuova Balilla” mentre la
casa, per un breve periodo, propose nel suo listino l’accattivante versione spider a due porte che lui realizzava autonomamente. Lo scambio di idee, progetti, lavori e forniture
era continuo e grandemente proficuo.
Gli anni Trenta furono indubbiamente la “golden age”
delle fuoriserie, con i grandi nomi italiani come Touring,
Pininfarina, Bertone, Viotti, Boneschi, Castagna sempre
più famosi e apprezzati a livello internazionale. L’eccellenza
tecnica andava di pari passo con quella estetica. Basti, infatti, ricordare le innovazioni stilistiche introdotte da personaggi del calibro del Conte Mario Revelli di Beaumont, che
rivoluzionò gli stilemi classici dell’automobile accogliendo
i principi della aerodinamica, o sistemi di costruzione che
per quei tempi erano avveniristici come il “Superleggera”
di Touring.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale pose bruscamente fine a tutto questo. Le ultime realizzazioni di lusso
si videro nel 1940, con pochissime eccezioni successive.
Tutti gli sforzi vennero, poi, concentrati per la produzione
bellica. Per sfruttarne le capacità tecniche nel modo più efficace, alle carrozzerie specializzate in automobili vennero
assegnate produzioni affini: ad esempio, Viotti e Pininfarina costruivano le berline e le torpedo militari sugli châssis
Lancia Aprilia e Artena, Bertone e Garavini le ambulanze
su Fiat 1100, Savio le Fiat 2800 CMC.
Con il procedere del conflitto, fra bombardamenti angloamericani e scarsità di materie prime, la situazione divenne
sempre più difficile e, come talvolta accade in questi casi,
fu l’inventiva a permettere di andare avanti. Quando il poco
Gli anni Trenta sono stati la “golden age” delle carrozzerie fuoriserie.
Dall’alto: un esemplare dell’innovativo tipo “Superleggera”, realizzato
in alluminio su un’intelaiatura di sottili profili d’acciaio da Touring su
châssis Fiat 2800 nel 1939; una piccola 500 “Topolino” carrozzata
Spider da Bertone nel 1939, prova che il lusso era per pochi, ma
non pochissimi; una pubblicità della modernissima 1500 Cabriolet
Gran Turismo proposta da Viotti nel 1940 su disegno del conte Mario
Revelli di Beaumont; una delle ultime fuoriserie del tempo di guerra,
un’eccezionale Fiat 2800 costruita da Bertone nel 1943 per l’ingegner
Giovanni Lurani Cernuschi, conte di Calvenzano.
8
Sotto: la guerra spazzò via il mondo delle fuoriserie di lusso, ma
non la creatività dei carrozzieri, che seppero fare fronte anche ai
momenti più drammatici; nella foto, un’ambulanza su châssis Fiat
1100 L allestita da Viberti per la Wermacht nel 1944 con scocca quasi
interamente in legno per sopperire alla scarsità di acciaio.
A destra: con grande difficoltà ma altrettanta determinazione, a
conflitto appena concluso reiniziò la costruzione di carrozzerie di
lusso, come dimostra questa pubblicità della Ghia che ritrae una
splendida 1500 “flamboyant” disegnata da Felice Mario Boano e
premiata al Concorso d’Eleganza di Montecarlo del 1946.
acciaio a disposizione veniva destinato solo ai prodotti
dove era indispensabile, nella meccanica e nelle armi, i carrozzieri pensarono di utilizzare il legno per le carrozzerie.
In questo fu all’avanguardia il marchio torinese Viberti, che
iniziò con i camioncini Fiat 1100 per il Regio Esercito e
arrivò a costruire, durante il periodo di amministrazione tedesca dell’azienda, fra il ’44 e il ’45, intere ambulanze con
carrozzeria in listelli di legno.
A guerra conclusa furono ancora una volta i carrozzieri
a dare un contributo fondamentale alla ripresa. Le grandi industrie avevano subito danni enormi e per riavviare
le produzioni in serie ci vollero diversi mesi. I piccoli laboratori artigianali, che pure avevano patito altrettanto la
distruzione portata dai bombardieri inglesi, reagirono più
in fretta e, con la consueta propositività italiana, crearono un nuovo mercato: la riconversione di mezzi obsoleti
e residuati bellici. Fu un fenomeno rapido e che coinvolse
l’industria automobilistica a tutti i livelli. In mancanza di
chassis nuovi, i carrozzieri trasformarono, adattarono e resero nuovamente utilizzabile qualsiasi cosa fosse in grado
di muoversi ancora. L’unico obiettivo comune era quello
di fornire dei mezzi di trasporto ad una nazione che aveva un disperato bisogno di rimettersi in movimento, sotto
ogni punto di vista; questo accomunava i piccoli meccanici di campagna che trasformavano le Jeep in trattori così
come i grandi carrozzieri. L’esempio più noto e geniale è
La risposta al bisogno di mobilità di un’Italia uscita distrutta dalla guerra fu la geniale invenzione della “Giardinetta” ad opera di Vittorino Viotti con la
consulenza del conte Mario Revelli di Beaumont come stilista. Sopra, a sinistra, la pubblicità del primo tipo del 1946, che poteva essere allestito su
qualsiasi versione di vecchia Fiat 1100 ancora circolante, in mancanza di châssis nuovi di fabbrica.
Copiatissima dagli altri carrozzieri, questa formula fu adottata dalla Fiat solamente nel 1948, con la piccola 500 B Giardiniera (sopra, a destra), che
dovette cambiare nome perché “Giardinetta” era stato brevettato da Viotti.
9
senza dubbio quello di Vittorino Viotti che, con l’aiuto del
conte Mario Revelli di Beaumont, inventò la “Giardinetta”:
una vettura promiscua, pratica e capace di trasportare sia
materiali sia numerosi passeggeri, facile ed economica da
costruire grazie alla scocca parzialmente in legno e, soprattutto, adattabile a qualsiasi vecchio châssis, anche di veicolo
commerciale. Nata come risposta razionale ad un’esigenza
contingente, si trasformò rapidamente in una moda e, con i
modelli disegnati da altri grandi stilisti come Giovanni Michelotti, Felice Mario Boano e Pietro Frua, raggiunse livelli
estetici straordinari.
La Fiat, affannata nel riprendere il lavoro all’interno delle fabbriche distrutte, districandosi allo stesso tempo nelle
faccende politiche, fra epurazioni e mire di conquista americane, sottovalutò il fenomeno. Quando fu chiaro a tutti
che la piccola Topolino a due posti aveva fatto il suo tempo
ma neppure c’era denaro sufficiente per sostituirla con un
nuovo modello, la risposta fu la giardinetta a quattro posti,
che però dovette essere chiamata “Giardiniera” perché il
nome era già stato brevettato da Viotti. Per farla anche la
La spinta creativa dei carrozzieri riprese velocemente dopo la guerra. I risultati non furono sempre eccellenti, ma bisogna riconoscere che ci fu una
grande voglia di sperimentare, correndo anche il rischio di non incontrare i favori della stampa. I due esempi in alto rientrano nella categoria di quelli
meno riusciti, per quanto originali: a sinistra la “B.Junior” di un giovanissimo Gian Paolo Boano, allestita da Ghia su autotelaio Fiat 1400 nel 1952,
con una tale abbondanza di siluri cromati nel frontale da far impallidire uno stilista americano; a destra la “Stella Filante” costruita dallo Stabilimento
Monviso su base Fiat 1100/103 TV su disegno di Giovanni Michelotti, con un’incredibile cupola smontabile in plexiglas, fissata con ganci aeronautici.
Sotto, un modello decisamente meglio riuscito, che può essere considerato la massima evoluzione della Giardinetta Viotti, quando ormai la
costruzione mista in acciaio e legno era divenuta un fatto di moda e non più una necessità contingente. L’esemplare nella foto è stato allestito nel
1952 su autotelaio Fiat 1900, ma veniva proposto uguale anche su Lancia Aurelia B10 e su Alfa Romeo 6C 2500.
Durante il cosiddetto “boom” economico degli anni Cinquanta i carrozzieri seppero integrare l’offerta delle grandi case, fortemente orientata alla
massima standardizzazione possibile per ridurre i costi, con modelli fuoriserie di prezzo ragionevole allestiti anche sugli autotelai meno prestigiosi.
Un fenomeno importante fu quello delle cosiddette “elaborate”, vetture modificate e migliorate esteticamente per distinguersi dalla moltitudine di
esemplari tutti identici che uscivano dalle catene di montaggio. In alto, una 500 realizzata da Canta, uno specialista del genere, e la 1100 “Smart” di
Bertone, segno che anche i marchi più illustri non disdegnavano questo mercato, forse poco gratificante ma utile per fare cassa.
Sopra, due esempi della varietà di proposte su di uno stesso autotelaio, pur modesto come quello della Fiat 600; a sinistra la bella “Amica 56” della
Siata e a destra la goffa berlina a quattro porte di Mantelli, che pure ebbe una sua clientela poiché costava meno, in termini di acquisto e gestione di
una 1100.
Sotto: i carrozzieri continuarono anche dopo la guerra a collaborare strettamente con le case costruttrici. Pininfarina propose nel 1958 una bella
sportiva che andò già dall’anno successivo a sostituire l’eccentrica 1100 Trasformabile con una nuova e moderna 1500 Cabriolet con motore bialbero
OSCA. Oltre alla versione aperta, che veniva costruita per conto della Fiat, il carrozziere torinese proponeva per proprio conto la coupé.
Fiat copiò i metodi dei carrozzieri e ne affidò la produzione al Lingotto, in un “Reparto Carrozzerie Speciali” che,
in pratica, era un atelier artigianale, solo molto grande. In
un secondo momento, quando le vendite divennero troppo
numerose per proseguire con questi metodi, la produzione
fu spostata a Mirafiori e la scocca stampata interamente in
acciaio, ma la guerra era ormai lontana, seppure conclusa
da appena sei anni.
10
11
Le sei cilindri Fiat 1800 e 2100 del 1959 sono una dimostrazione di
quanto stretta fosse l’interconnessione fra la grande industria ed il
mondo dei carrozzieri.
La berlina di serie fu disegnata alla Fiat, me per un’ultima messa a punto dello stile fu indispensabile il tocco di Pininfarina, che
seppe darle quell’aspetto moderno, vagamente americaneggiante e
fortemente internazionale. Per la Familiare, invece, viste le modeste
prospettiva di vendita di una versione così particolare di una vettura di
fascia alta, fu deciso di affidare la costruzione delle scocche all’esterno, alla Carrozzeria Savio, che sarebbe stata senz’altro più efficiente
delle grandi catene di montaggio di Mirafiori. La limousine a passo
allungato, infine, arrivò come proposta indipendente da uno specialista del settore, il vercellese Francis Lombardi, e fu poi inserita dalla
stessa Fiat nei suoi listini, intravedendone le potenzialità commerciali.
La 850 inaugurò una tradizione per le sportive Fiat che si sarebbe ripetuta diverse volte: realizzare in proprio la versione chiusa ed affidare all’esterno la costruzione di quella aperta. In questo caso, fu Bertone a proporsi e, convinto il management dell’azienda, riuscì nell’impresa di disegnare,
industrializzare e mettere in produzione la Spider in tempo per essere lanciata insieme con la Coupé , in appena un anno di tempo.
In basso: con la fine degli anni Sessanta i carrozzieri furono investiti da una profonda crisi, dovuta alla difficile situazione economica dell’industria
nazionale ed ai crescenti costi della manodopera. Nonostante i tentativi di differenziare la propria produzione, molti furono costretti a chiudere. In
senso orario, partendo da sinistra in alto: la 125 “Eveline” di Vignale (1967), di disegno molto moderno e piacevole; la 500 “Gamine” (1967), sempre
di Vignale, fu un tentativo di rilanciare la produzione con un modello in stile retró che, nonostante il successo riscosso, non salvò il carrozziere dalla
chiusura; un altro filone fu quello delle piccole fuoristrada per il tempo libero, come la “Jungla 600” di Savio (1965); la 127 Coupé di Moretti (1972),
disegnata da Dany Brawand, è stata una delle ultime fuoriserie nel senso tradizionale del termine.
Il mondo dei carrozzieri, che si era ripreso assai rapidamente, aveva anche ricominciato l’allestimento di fuoriserie di lusso, un filone numericamente esiguo ma sempre
redditizio, dove estro, originalità e sperimentazione erano
all’ordine del giorno. Certo, non tutte le vetture erano dei
capolavori, ma la vivacità delle proposte lascia davvero stupiti. Con il boom economico dei primi anni Cinquanta il
mercato di queste vetture poté spostare il proprio target
più in basso e ci fu un continuo proliferare di modelli spor-
tivi allestiti anche su châssis modesti, come quelli delle Fiat
1100 e persino 600, con prezzi che andavano a posizionarsi
appena il 25-30% al di sopra del modello di serie. Ancora
una volta i carrozzieri completavano l’offerta delle grandi
case che, alla continua ricerca della massima economia di
scala, limitavano fortemente non solo i modelli, ma anche
le versioni e la scelta di optional. Era così possibile acquistare una 1100 spider per poco meno di quanto costava una
Giulietta, ma anche una 600 berlina a quattro porte che,
per quanto stilisticamente discutibile, costava meno di una
1100 di serie e, soprattutto, pagava meno tasse e consumava
meno benzina. Poi, la standardizzazione spinta all’eccesso
dalla Fiat portò i clienti che non amavano avere una 500
bianca esattamente uguale a quella di metà dei loro vicini di
casa a rivolgersi ai carrozzieri per un’alternativa a costo ragionevole. Nasceva così il fenomeno delle cosiddette “elaborate”, un termine che fra gli anni Cinquanta e gli anni
Sessanta si riferiva esclusivamente all’estetica e che solo più
tardi avrebbe avuto connotazioni meccaniche e prestazionali. Fu un mercato molto ampio, che consentì ai carrozzieri di fare facile cassa con volumi di vetture mai trattati
prima di allora, un altro aspetto del “miracolo economico”
italiano. Con un dieci percento di prezzo in più si poteva
avere un’auto con colori, rivestimenti e accessori su misura
o, in alternativa, in pronta consegna, quando la Fiat faceva
attendere anche sei mesi. Fu un’opportunità allettante per
tutti gli operatori del settore, tanto che ci furono aziende
specializzate in vetture elaborate, come Canta, Scioneri,
Monviso e Fissore, ma ci si dedicarono anche nomi illustri
come Bertone, Viotti, Pininfarina, Touring e Ghia.
Oltre alla complementarietà di offerta fra la gamma “ufficiale” dei modelli di grande serie e quelli proposti parallelamente dai carrozzieri, negli anni del dopoguerra andò
consolidandosi a tutti i livelli di collaborazione industriale
il rapporto già avviato in passato. Il primo esempio, datato
Venuta a mancare una sostituta della 1900 Granluce, i carrozzieri
intuirono che la Fiat sarebbe stata interessata ad una versione
sportiva da allestire sul nuovo autotelaio 2100 a sei cilindri. Ne
nacque una sorta di tacita competizione a cui parteciparono
praticamente tutti i nomi più importanti del settore. Sopra a sinistra la
proposta di Vignale, l’avveniristica “Enplain” disegnata da Giovanni
Michelotti; sopra a destra, l’elegante proposta di Viotti, disegnata da
Pietro Frua; a sinistra, il modello che fu scelto al primo sguardo dal
professor Valletta: la coupé di Ghia disegnata da Sergio Sartorelli. La
Fiat ne affidò la costruzione in serie allo stesso carrozziere, che la
portò avanti per mezzo della OSI, una società creata appositamente
per questo tipo di commesse di piccole serie insieme con la Fergat e
la famiglia Olivetti.
12
13
La Fiat X1/9 è ancora una volta
una dimostrazione di quanto
la grande industria debba alla
spinta innovativa dei carrozzieri.
Senza la pertinacia di Bertone,
non ci sarebbe mai stata una
piccola sportiva a motore
centrale prodotta in serie.
Gli anni Settanta hanno
profondamente mutato il ruolo
dei carrozzieri, portando in primo
piano l’aspetto creativo rispetto
a quello industriale. L’Italdesign
di Giorgetto Giugiaro (sotto, un
figurino della Fiat Panda) si è
sempre solo occupata di stile e
mai di produzione.
I carrozzieri che continuavano
a modificare le vetture si
limitavano a trasformazioni
sempre più semplici, come la
Panda Rock di Moretti (in basso).
già 1947, era stata la prima novità postbellica della Fiat, la
1100 S Berlinetta Mille Miglia: la scocca grezza veniva costruita da Rocco Motto per essere poi verniciata ed allestita
al Reparto Carrozzerie Speciali del Lingotto. La successiva 1100 ES Coupé fu, invece, completamente disegnata e
costruita da Pininfarina per conto Fiat. Simili forniture da
parte di carrozzerie esterne si ebbero nuovamente per le
scocche della 1400 Cabriolet e della 1900 Granluce, realizzate la prima da Colli e la seconda da Boano e poi da
Ellena.
Le sei cilindri 1800/2100 lanciate nel 1959 offrono in un
solo modello tutte le possibili varianti di questo strettissimo
rapporto di collaborazione fra grande industria e carrozzieri. Lo stile delle berline di serie, impostato da Dante Giacosa e dal capo-modellatore della Fiat Giuseppe Alberti, fu
poi rifinito e migliorato da Pininfarina, che diede l’ultimo
tocco prima della produzione, svolgendo quel ruolo di consulente per la definizione estetica di una vettura di serie che
sarebbe divenuto in taluni casi predominante nei decenni
successivi. Per la versione Familiare, invece, la Fiat affidò a
Savio la commessa per la costruzione delle scocche grezze,
i cui volumi produttivi erano troppo piccoli perché fosse
conveniente farlo direttamente a Mirafiori come le berline.
La limousine a passo allungato, invece, arrivò dal carrozziere vercellese Francis Lombardi, specialista di questo genere
di trasformazioni già sulle 1400 e le 1900; in questo caso,
però, fu trovata commercialmente interessante dalla stessa
Fiat, che decise di inserirla nel proprio listino. Infine, per
la versione sportiva furono i carrozzieri i primi a rendersi
conto che, mancando una diretta sostituzione della 1900
Granluce, ci sarebbe stata l’opportunità di proporre qualcosa di nuovo e accattivante; si scatenò una sorta di tacita
competizione e al Salone dell’Automobile di Torino tutti
fecero la loro proposta; quelle interessanti furono molte
ma, è storia nota, il professor Valletta si innamorò di quella
14
Sopra: due esempi opposti dell’attività dei carrozzieri negli anni Ottanta. A sinistra, la Fiat Croma del 1985, il cui stile è stato definito dall’Italdesign
di Giorgetto Giugiaro; a destra la Uno Style di Coriasco, nella quale le modifiche si sono ormai ridotte ad un semplice intervento estetico di gusto
discutibile.
In basso, quattro esempi scelti fra le concept-car realizzate dai carrozzieri italiani su proposta della Fiat per le tre Rassegne Internazionali dello Stile
che hanno accompagnato tre edizioni del Salone dell’Automobile di Torino, interpretando ogni volta una novità della casa torinese. In senso orario,
partendo da sinistra in alto: la “Frog” di Bertone su base Cinquecento (1992), la “Spunto” di Pininfarina e la “Wind” di Giannini su base Punto (1994) e
la “Vuscià” dell’I.De.A. Institute su base Brava (1994).
di Ghia e la volle in produzione così com’era il prototipo,
senza nessuna modifica.
Situazioni simili, dove fu la propositività dei carrozzieri a
far nascere nuovi modelli e versioni si riscontra nel corso di tutti gli anni Sessanta. La timida ed eccentrica 1100
Trasformabile divenne la splendida 1500 Cabriolet grazie
alla fortunata coincidenza delle proposte di Pininfarina per
la carrozzeria e dei fratelli Maserati per il motore bialbero
OSCA. Poi, Pininfarina completò l’offerta verso il pubblico costruendo per conto proprio la versione coupé, che la
Fiat giudicava non abbastanza interessante per occuparsene
direttamente.
Similmente, quando fu deciso di lanciare una versione
coupé della 850, fu solo la pertinacia di Nuccio Bertone a
convincere l’azienda ad affiancarle una piccola spider. I suoi
collaboratori la disegnarono, industrializzarono e misero in
produzione nel tempo record di appena un anno, in modo
da rispettare le richieste dell’ing. Bono, che la accettò solo
a patto di averla in contemporanea alla coupé. Storie simili
si ripeterono ancora per la 124 Spider, per le Dino e per la
130 Coupé. Anche la X1/9 nacque dalle insistenze di Bertone, che convinse la direzione Fiat che una piccola spider
a motore centrale non era pura utopia ma poteva diventare,
come effettivamente accadde, un grande successo di immagine e di vendite.
Accanto alla produzione di versioni di nicchia per la grande
industria, sopravviveva, naturalmente, la tradizionale attività di costruzione di vetture elaborate e di fuoriserie vere e
proprie. Il tempo del boom, però, era ormai finito e il Paese
si avviava verso la sua più grande crisi del dopoguerra, che
15
certa popolarità con le sue versioni torpedo della Uno e,
soprattutto, della Panda, le “Folk” e le “Rock”; altri, come
Coriasco, Giannini e Scioneri, si sono limitati a elaborazioni
estetiche di gusto sempre più vicino al moderno tuning.
Una vetrina d’eccellenza per i carrozzieri italiani ci fu ancora una volta nel corso degli anni Novanta grazie all’organizzazione delle “Rassegne Internazionali dello Stile” in contemporanea al Salone dell’Automobile di Torino nel 1992,
1994 e 1996. La Fiat, infatti, promosse la partecipazione
degli specialisti fornendo loro autotelai ed un contributo
affinché, come era avvenuto nel 1957 per la 500, interpretassero a modo loro la novità del momento. Dieci grandi
firme dello stile nazionale si dedicarono nelle tre edizioni
alla Cinquecento, alla Punto ed a Bravo e Brava. Come sempre, gli approcci furono assai diversi fra loro, ciascuno con
le sue logiche e le sue motivazioni, spaziando dalla creatività spinta verso l’innovazione più estrema alla razionalità
dell’uso quotidiano. Si andava, dunque, dalle pratiche realiz-
zazioni di Boneschi, come il Baby-Taxi urbano e la Punto a
pickup a sei ruote “Doblone”, a puri esercizi di stile come
la “Frog” di Bertone, la “Wind” di Giannini e la “Lampo”
dell’I.De.A. Institute. Altri sfruttarono queste occasioni per
mettere in mostra il proprio pensiero d’avanguardia nella
tecnologia, come per lo studio aerodinamico “Flair” di Fioravanti, o nel concetto in sé, come la “Spunto” di Pininfarina, antenata, in avanti di oltre un decennio sui tempi, dei
moderni crossover sportivi.
Oggi, in un periodo di forte crisi per la produzione industriale, rimane, però, ancora ben viva e vivace la creatività
dei carrozzieri. Lo dimostrano le concept-car avveniristiche che si vedono ogni anno ai saloni, ma anche il lavoro
quotidiano per dare alle auto di grande serie lo stile inconfondibile italiano che tutti nel mondo apprezzano. Di tutto questo, però, parlerà con maggiore autorevolezza di me
l’ingegner Fioravanti.
Sopra: quattro esempi recenti di automobili di grande serie disegnate da carrozzieri esterni al Centro Stile Fiat. In senso orario, partendo da sinistra
in alto: la Punto del 1993, la Punto Cabrio del 1994, l’Idea del 2004 e la Panda del 2003. Le prime tre sono dell’Italdesign mentre l’ultima è di Bertone,
che si è anche occupato della produzione in serie della Punto Cabrio.
sarebbe esplosa nel 1968 con la contestazione studentesca e
quella operaia. Prima ancora del colpo di grazia che sarebbe
stato calato sull’industria automobilistica dalla crisi petrolifera del 1974 arrivò la stagione degli scioperi per il rinnovo
del contratto dei metalmeccanici nell’”autunno caldo” del
1969. La Fiat resistette con grande fatica e con un enorme
supporto da parte dello stato. Altri, a partire dalla stessa
Lancia, ormai in crisi da tempo, dovettero chiudere.
La creatività fu ancora una volta impiegata come estremo
tentativo per trovare una via d’uscita; i carrozzieri inventarono nuovi concetti da proporre accanto alle classiche berlinette sportive: nacquero le vetture “vecchio stile”, come
la Gamine di Vignale o l’Alfa Romeo 1750 “Quattroruote”
di Zagato, e le piccole fuoristrada, come la Jungla di Savio,
la Minimaxi di Moretti, lo Scoiattolo e il Ferves Ranger.
Ma tutto questo non bastò. Per varie ragioni legate alla
congiuntura negativa scomparvero nomi come Touring,
Vignale e Francis Lombardi, mentre la Ghia fu assorbita
dalla Ford. Proprio quanto accadde a quest’ultimo grande
marchio della carrozzeria italiana indica il nuovo corso che
gli specialisti del settore avrebbero intrapreso nei decenni successivi: concentrarsi nel fornire stile e creatività alle
grandi case, anziché automobili ai clienti finali.
Se l’Alfa Romeo affidò ad un giovane Giorgetto Giugiaro
lo stile dell’Alfasud ancora alla fine degli anni Sessanta, per
la Fiat ci volle più tempo e solo la forte crisi sociale degli
anni Settanta convinse l’azienda ad affidare completamente
all’esterno lo sviluppo di un progetto considerato inizialmente minore. Si trattava della Panda, di cui fu incaricata
anche in questo caso l’Italdesign, ormai forte dei successi ottenuti non solo con il modello di Pomigliano ma anche con altri capolavori che spaziavano dalla Volkswagen
Golf alla Maserati Bora, passando per la Lancia Delta. La
collaborazione con Giugiaro sarebbe diventata una prassi
consolidata nei decenni successivi, rafforzando la posizione degli stilisti nei confronti delle case. L’Italdesign, infatti,
non ha mai costruito altro che i prototipi per lo sviluppo e
non ha mai, dunque, lavorato come carrozziere per la fornitura di vetture di serie. Nell’azienda di Moncalieri sono nati
molti modelli, alcuni dei quali fondamentali per la storia
della Fiat: dopo la Panda, la Uno, entrambe le generazioni
della Croma, due della Punto, l’Idea e la Sedici. Analogo
ruolo ha avuto l’I.De.A. Institute, al quale si deve, con la
collaborazione di Ercole Spada, lo stile di Tipo e Tempra.
Pininfarina e Bertone, invece, hanno mantenuto anche in
tempi più recenti il doppio ruolo di stilisti e di costruttori,
come nel caso di Punto Cabrio e Coupé, per le quali hanno
soltanto curato la parte industriale e non quella creativa.
Per i piccoli carrozzieri, invece, l’epoca delle fuoriserie stava inesorabilmente tramontando. Pochi hanno continuato
ancora negli anni Ottanta a costruire versioni speciali, pur
di sempre più semplice evoluzione. Moretti mantenne una
16
Ancora negli anni più recenti
i carrozzieri continuano a
supportare la grande industria
con le proprie creazioni, siano
esse innovazioni tecnologiche
facilmente adattabili alla
produzione in serie, come il tetto
rigido apribile montato sulla
Punto Wind di Fioravanti (sopra)
o proposte di stile avveniristiche
e stimolanti come la “Barchetta”
su base Fiat Panda di Bertone
(sotto).
17
I miei anni alla Zagato
Ercole Spada
C
ome è stato ricordato, io ho cominciato nel ’60 e credo di essere uno dei più anziani designer italiani. Ho
sempre voluto lavorare nel campo dell’automobile, ma non
sapevo neanche che esistesse un lavoro che si chiamasse stilista o designer; allora non esistevano scuole di questo tipo
perciò io ho fatto una scuola prettamente tecnica, dove c’era molto disegno. Ho imparato a fare disegni in proiezione,
sezioni, ribaltamenti; questa è stata una cosa che mi ha facilitato moltissimo per entrare a fare disegni di carrozzeria.
Abitando vicino a Milano e avendo la passione per le auto
sportive ho pensato di rivolgermi alla carrozzeria Zagato,
che in quegli anni partecipava attivamente alle corse. La mia
passione e la mia grande fortuna è stata che il titolare, Elio
Zagato, correva lui stesso; non era solo una carrozzeria: era
un punto in cui si riunivano tutti i gentlemen driver della
scuderia Sant’Ambroeus e lì ho conosciuto piloti come Mario Poltronieri, Giancarlo Baghetti, il Marchese Frescobaldi,
Giulio Cabianca, questi personaggi degli anni ’60 di cui io
leggevo prima solo sulle riviste. In quegli anni, naturalmente, per correre si costruiva la Giulietta SZ, che era rimasta
imbattibile nella categoria 1300. Appena sono arrivato mi
hanno detto: “C’è da disegnare una Aston Martin”. “Va
bene!” “E’ capace di disegnare in scala 1 a 1?” “Sì!” Faccio
quelli da 1 a 10 -ho pensato- basta farli un po’ più grandi.
A quest’epoca la carrozzeria Zagato era una cosa molto
primitiva, era appena uscita dalla guerra, c’era uno stabilimento buio e polveroso e dietro un angolo c’era un enorme
tavolone lungo sei metri dove scorreva una specie di squadra con cui tiravo le linee orizzontali e verticali prendendo
tutte le misure, questo era il posto dove io dovevo fare i
disegni in scala 1 a 1, su una carta abbastanza rudimentale perché il tempo era sempre limitatissimo: “C’è da fare
questo, dobbiamo finire”. Allora, man mano che io disegnavo, tracciavo i profili, mi facevo le sezioni: prendevo
tutti i punti e dovevo andare a fare le sezioni a destra e a
sinistra. Alla fine della giornata avevo fatto un bel po’ di
chilometri: è molto diverso da quello che si fa oggi, seduti
davanti a un computer a una distanza di cinquanta centimetri; però, nel frattempo in cui io disegnavo le sezioni,
arrivava un collaboratore, un operaio con il suo blocco di
legno con su un’incudine e ricopiava esattamente le sezioni
con un tondino di ferro, alla fine il mio disegno era tutto
nero di manate ma nello stesso tempo lui riprendeva questi
tondini e li saldava direttamente sull’autotelaio. Quando era
finito, avevamo questa gabbia che oggi si chiama wireframe
su cui il battilastra andava a far correre direttamente le sue
lamiere. E’ chiaro che se oggi due sezioni non si incontrano
per un centesimo di millimetro il computer dà errore; qui
la cosa era diversa: se la sezione era più bassa il battilastra
faceva il suo parafango, il suo pezzo che correva sopra; le
superfici correvano sempre. Se per caso una superficie era
alta bastava una martellata e andava giù e correva sempre.
Questo sistema permetteva che alla fine, togliendo la gabbia, c’erano già tutti i pezzi di lamiera, venivano saldati sulla
vettura, andavamo in finizione ed era pronta: i tempi erano
molto ristretti.
Ercole Spada è nato a Busto Arsizio nel 1938. Da sempre grande appassionato di
automobili ha iniziato a lavorare alla Zagato nel 1960 e la sua prima creazione è stata
l’Aston Martin DB4 GTZ. Nel decennio trascorso presso la carrozzeria milanese
ha disegnato numerosi capolavori fra cui le Alfa Romeo Giulietta GTZ, 2600 SZ,
Giulia TZ e Junior, le Lancia Flavia e Fulvia Sport e numerosi prototipi. Nel 1970
è passato alla carrozzeria Ghia, dove ha disegnato per Ford la concept-car GT70. Nel
1973, dopo un brevissimo periodo all’Audi, ha iniziato a lavorare alla BMW, dove
ha sviluppato modelli significativi come le Serie 5 e 7 degli anni Ottanta. Dieci anni
più tardi è rientrato in Italia andando a collaborare con l’I.De.A. Institute, dove è stato
responsabile di una famiglia di vetture del Gruppo Fiat: Tipo, Tempra, Delta e Dedra.
Oggi è presidente della Spadaconcept che, insieme a suo figlio Paolo, realizza vetture
sportive che conservano il suo tratto stilistico inconfondibile: le Codatronca.
Alcune delle più importanti
vetture Alfa Romeo disegnate
da Ercole Spada nei suoi anni
presso la Carrozzeria Zagato.
Dall’alto: la Giulietta SZ del
1961, sulla quale è stato applicato per la prima volta il concetto
della coda tronca; la Giulia TZ
del 1963; la Giulia TZ2 del 1964;
la 1750 Gran Sport, replica della
celebre vettura degli anni Trenta
realizzata nel 1965 su iniziativa
della rivista Quattroruote.
L’Alfa Romeo aveva messo nel proprio listino e ci aveva
ordinato almeno 100 Giulietta SZ perché potevano rientrare nella categoria Gran Turismo; la vettura era imbattibile,
ci correva lo stesso Elio Zagato e se per caso la domenica
non avesse vinto il lunedì eravamo lì a pensare cosa fare per
andare avanti. Io ho capito che a questo punto il designer
aveva la funzione di far vincere le corse, fare tutto quello
che poteva servire: la leggerezza, l’aerodinamica. Qui arriva il punto dell’aerodinamica, arrivano concorrenti come le
Lotus Elite che erano vetture non derivate da una berlina di
serie con motore davanti al posto di guida, ma ben centrate,
perciò erano una minaccia; anzi, non avevamo più chance. Allora abbiamo dovuto pensare a qualcosa di nuovo;
i motori oramai oltre i 6000, 6500 giri non reggevano più.
“Proviamo a incrementare l’aerodinamica” ci siamo detti.
Io cercavo un po’ di elementi di quella teoria che diceva
che una linea aerodinamica con un taglio netto non si perdeva in penetrazione e, anzi, diminuiva un po’ la portanza
posteriore. Per prima cosa avevamo fatto un tentativo: nel
’57 Zagato aveva costruito per la Maserati su disegno di
Frank Costin, che era un progettista di aerei specializzato in aerodinamica, una vettura che doveva correre a Le
Mans. Allora io ho ripreso questi disegni rimpiccioliti sulla
Giulietta. Io disegnavo la nuova coda, che veniva applicata,
avvitata sulla vettura, poi andavamo sull’autostrada MilanoBergamo -che era un’autostrada a tre corsie, nel senso che
quella centrale era quella degli scontri frontali come succedeva prima sulla Torino-Savona- con Elio Zagato alla guida e io di fianco. Prendevo chilometro dopo chilometro il
tempo; tornando indietro toglievamo tutto quanto, rifacevamo gli stessi chilometri riprendendo gli stessi tempi nelle
stesse condizioni, cioè lo stesso giorno, con la stessa densità
dell’aria, stesso rotolamento, stessa lunghezza di chilometro. Il paragone era esatto e vedevo se c’era qualche miglioramento. La prima versione non è andata, allora abbiamo
provato a fare questa coda tronca: una forma abbastanza
Le prime due creazioni di Ercole Spada presso la Carrozzeria Zagato,
disegnate entrambe nel 1961.
In alto la Bristol 407 GTZ e sopra l’Aston Martin DB4 GTZ.
18
19
Sopra: due Lancia costruite da Zagato e disegnate da Spada con uno stile decisamente anticonvenzionale. A sinistra la Flavia Sport del 1963 e a
destra la Fulvia Sport del 1965.
In basso: altri due modelli costruiti da Zagato per l’Alfa Romeo su disegno di Spada. A sinistra la 2600 SZ del 1965 e a destra la Junior Z., una vettura
dallo stile decisamente innovativo che ha debuttato nel 1969.
strana. Però abbiamo fatto un chilometro in 18 secondi e
qualcosa. Io dico: “Mi sembra un po’ strano…” “No, no
il tachimetro è andato su da 200 a 218 chilometri all’ora!”
Torniamo indietro e guardiamo questa strana forma. “E
adesso che facciamo?” “Bisogna farla…” E da lì è nata la
coda tronca; la carrozzeria è stata completata, abbiamo partecipato alla gara e vinto di nuovo. Questa esperienza è stata
per me così fondamentale che poi non ho mai più dimenticato questo problema; infatti, dopo, nelle mie esperienze
lavorative, quando sono andato in BMW, dove c’era una
galleria del vento, ci ho passato delle settimane. C’era una
collaborazione stretta e anche lì ho applicato il principio
della coda tronca, poi pian piano utilizzata un po’ da tutti.
La mia esperienza lavorativa si può dividere in quattro periodi. Il primo è stato questo del carrozziere, in una carrozzeria che era allora abbastanza artigianale, molto primitiva,
però di spirito sportivo; non c’era quella qualità, quella definizione che avevano i carrozzieri torinesi. Finito questo
periodo sono passato alla grande industria, che è stata prima quella della Ford, poi quella della BMW; sono passato
anche attraverso l’esperienza di lavorare all’estero, che è
molto diverso dal fare in Italia un lavoro per un’azienda
estera, perché secondo me vivere sul posto ti fa respirare
l’ambiente e questo mi ha dato successo, tanto è vero che
due vetture sono state prese dalla BMW e messe in produzione. Il terzo periodo è stato quello di un’organizzazione
che lavorava per diverse case, sia italiane -ha lavorato tanto
per la Fiat- sia straniere, per Giapponesi, per Americani, e
questo è stato anche un ampliamento della mia esperienza. Il quarto periodo è quello attuale, dove io credevo di
essere in pensione e invece mio figlio mi ha detto: “No,
no! Dobbiamo continuare, perché un’esperienza così non
dobbiamo buttarla via.” Allora cinque anni fa abbiamo fondato la Spadaconcept, un centro di progettazione dove abbiamo già fatto qualche nostro prodotto -che naturalmente
ha la coda tronca- che si chiama Codatronca e vuole far
rivivere quello che era lo spirito delle carrozzerie torinesi.
L’unico problema che abbiamo adesso è che non c’è più la
libertà che avevamo allora; io penso, però, che negli altri
paesi europei -come la Germania o l’Inghilterra- si possano
mettere sul mercato delle vetture molto diverse; io spero
che adesso, col nostro presidente dell’ANFIA Fioravanti,
cerchiamo di spingere, di portare avanti un po’ di facilitazioni. Non dico di poter rifare carrozzerie fuoriserie, ma
di poter mettere in circolazione, poter omologare queste
vetture speciali come queste fatte in un unico esemplare.
Dopo aver fatto questo studio, abbiamo fatto una seconda
vettura -sempre coda tronca- e adesso abbiamo altri modelli allo studio, dove cerchiamo di mettere tutta quella che è
stata la mia esperienza globale perché, come dicevo prima,
io non ho fatto solo il carrozziere della parte estetica stilistica, ma ho vissuto proprio l’automobile dall’interno. Nei
primi dieci anni, che sono stati quelli formativi -a parte che
erano i più belli perché avevo vent’anni, a parte che erano
gli anni ’60 c’era tanto entusiasmo- il mio posto di lavoro
era passare dal tavolo da lavoro in officina, perciò vedevo
le macchine come erano fatte. Se dovevo fare qualcosa nella progettazione, sapevo quando non potevo fare qualcosa
perché poi non si poteva fare. E poi, stando seduto vicino
ad un pilota, sapevo benissimo quali erano le esigenze e anche lui mi diceva: “Io per andare forte non devo solo avere
tanti cavalli, ma devo vedere bene dove metto la vettura,
devo essere ancorato, non essere attaccato al volante nelle
curve.” Perciò abbiamo anche sviluppato dei sedili con il
contenimento laterale. E poi anche il distacco geografico
dalla carrozzeria torinese mi permetteva di fare delle cose
un po’ diverse. Ero molto attaccato all’Alfa Romeo, perciò
dopo le Giulietta ho fatto le TZ, che hanno permesso di
vincere tante e tante gare, ho fatto la Junior Z, che è stata una vettura allora considerata forse troppo moderna ma
che però ho visto vent’anni dopo ripresa dalla Honda sulla
CRX, che praticamente ne è la copia. Questa tensione di
essere sempre avanti io cerco di proseguirla ed è stata recepita benissimo anche da mio figlio Paolo con cui collaboro
e con cui spero di farvi vedere presto le nostre novità.
In alto a sinistra: la BMW Serie 7 (E32) del 1987, disegnata da Ercole Spada durante la sua attività presso la casa bavarese, insieme alla successiva
Serie 5 (E34) del 1988.
In alto a destra: la Fiat Tipo che fu disegnata da Spada presso l’I.De.A. Institute insieme agli altri modelli della medesima famiglia: Fiat Tempra,
Lancia Dedra e Delta e Alfa Romeo 155.
Sopra: l’ultima creazione di Ercole Spada è la Codatronca sviluppata su base Chevrolet Corvette insieme a suo figlio Paolo dalla Spadaconcept, di cui
è presidente.
20
21
Prospettive per i carrozzieri di domani
Leonardo Fioravanti
E
rcole Spada lo conosco da una vita. Ha detto molto
bene alcune cose che connotano il nostro mestiere;
a me piace chiamarlo così perché effettivamente la nostra
attività è fatta di una parte mentale e di una parte manuale,
e anche se oggi la parte manuale è fatta dai computer, ha
una importanza enorme. Mi è piaciuto straordinariamente
sentire da Ercole la citazione di un’altra vettura ispirata alla
sua perché è un tratto che ci contraddistingue: quando noi
disegniamo, creiamo qualcosa, lo abbiamo così nostro che
poi quando qualcuno fa qualcosa anche magari di lontanamente simile, non ce lo dimentichiamo mai più. La citazione della Honda CRX... fa parte del nostro mestiere. La
nostra intimità di creativi -così si dice- quando inventiamo
qualcosa, guai a chi la tocca.
Ma veniamo a noi. I momenti sono non difficili: molto difficili. Quando si parla di carrozzieri italiani, oggi viene in
mente di tutto tranne che delle note positive; molti hanno
chiuso nei decenni passati, alcuni hanno ridotto fortemente
la loro attività abbandonando quella industriale, altri hanno
delle difficoltà correnti. Benissimo. Perché benissimo? Vi
citerò una frase di un signore che di difficoltà se ne intendeva parecchio, tale Mr. Winston Churchill, frase che disse
nei momenti difficili della guerra: “Gli aquiloni volano più
alti quando vanno controvento, non nella stessa direzione
del vento.” Allora, per gente come noi che è abituata a gettare il sogno al di là della realtà, il fatto che i momenti siano
difficili da un certo punto di vista ci costringe ad essere
ancora più bravi. Nessuno di noi, è sicuro -io sono presidente di questi “matti” da qualche anno- ha mai avuto la
minima idea di smettere di fare quella che è la caratteristica
propria del nostro mestiere, cioè di sognare, di disegnare, di
creare. Si parla tanto di creatività, ma non tutti sanno che è
composta da due elementi principali. Il primo è ovviamente
la fantasia, ma la fantasia da sola non basta perché la fantasia è la cosa più immateriale che ci sia; quando la fantasia si
congiunge con l’immaginazione -che è un complemento
della fantasia- ecco allora che si ha la creatività. Per gente
come noi il fatto che oggi la realtà di questi ultimi decenni
ci abbia costretto a ritirarci nella sola creatività è uno spunto fortissimo. Mi è piaciuta molto l’immagine di Sannia con
Due concept-car, recenti esempi della creatività di due carrozzieri
torinesi: in alto la “Birusa” di Bertone, su meccanica BMW Z8 (2003)
e sopra la Kite di Fioravanti (2004), esplorazione di nuovi concetti
strutturali orientati alla leggerezza.
quei dromedari, allora, se posso fare una sintesi del mestiere del “carossé”, detto alla torinese, potrebbe essere la seguente: finché il motore ce l’ha dato la natura -il cavallo o i
dromedari- siamo stati dei re, perché noi dietro il motore
della natura facevamo tutto, il telaio, le sospensioni, la carrozza vera e propria. Poi l’uomo ha inventato il motore, ha
inventato la meccanica, ha inventato il telaio, da quel momento il “carossé” era un complemento indispensabile
-come giustamente ha detto Sannia- perché il costruttore
della meccanica non faceva la carrozzeria, quindi la demandava all’esterno; poi ha imparato a farle e allora il “carossé” è
andato in secondo piano, tranne per quelle persone che volevano qualcosa di speciale -è stato detto molto chiaramente- e il carrozziere è diventato il realizzatore di sogni di poche persone, questo è storicamente provato. Qual è stata
Leonardo Fioravanti è nato nel 1938; laureato in ingegneria al Politecnico di Milano
e specializzato in aerodinamica, ha lavorato per lungo tempo per Pininfarina. Ha
disegnato numerose delle più importanti vetture Ferrari, dalla Dino 206 alla 365
Daytona, dalla 512 BB alla 308. Dopo essere stato Amministratore Delegato di Pininfarina Studi e Ricerche, nel 1998 è passato al Gruppo Fiat, prima presso la Ferrari
e poi come direttore del Centro Stile dei tre marchi Fiat, Lancia e Alfa Romeo. Dal
1991 lavora autonomanente nei settori dello stile, dell’ingegneria e dell’architettura.
Attualmente, è anche presidente del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA.
22
l’intuizione dei carrozzieri italiani? Perché all’epoca c’erano
carrozzieri in Europa molto forti dal punto di vista sia
mentale che realizzativo. L’intuizione dei carrozzieri italiani
è stata quella di fare in piccola serie i sogni. Queste piccole
serie hanno illustrato la storia dell’automobile italiana in
maniera francamente magistrale. Io sono un vecchione, ma
quando andavo le prime volte in America, lá l’automobile
italiana era conosciuta perché c’era lo Spider di Pininfarina
e quando si diceva che la meccanica era della Fiat, loro chiedevano “cos’è la Fiat?” Questo è bene ricordarselo sempre,
questo non vuol dire togliere i meriti del Senatore Agnelli
che inventò la Fiat, però dal punto di vista della comunicazione -che oggi ha un valore estremamente importante- in
certi casi si comunicano cose che poi non si fanno. Noi,
invece, siamo sempre stati abituati a fare e poi, forse sbagliando, comunicandolo malamente o in ritardo. Quindi,
dopo questo passaggio alla piccola serie cosa arriva? La Toyota inventa la lean-production, che è la produzione flessibile. Allora -come è stato detto- all’inizio le costruzioni
fuoriserie sarebbero state un incubo per il grande costruttore, che aveva progettato degli stabilimenti per fare tremila
macchine al giorno, e andare a fare sulle stesse linee forse
qualche decina al giorno era impensabile. Bene, il mondo va
avanti e la Toyota inventa la lean-production, il che vuol
dire avere la possibilità di saturare degli impianti che sono
sempre stati da parecchi decenni sovradimensionati. Apro
una parentesi per dire che il grosso problema dell’automobile, che c’è sempre stato, è quello della sovracapacità produttiva mondiale, che non è di qualche punto percentuale,
ma nell’ordine del 30, 35%, alcuni osano dire il 40%. Allora
trovare un modo per saturare gli impianti fu fondamentale
per la grossa industria e questo volle dire togliere le commesse ai carrozzieri: le grandi industrie hanno preso dentro
di sé la costruzione anche di oggetti fatti in numeri incomparabili con quelli per cui lo stabilimento era stato progettato. E’ rimasta la parte creativa, questo è indubitabile: non
lo diciamo noi, lo dice chi ci compra. Perché il Signor Piech
-che conosco da tanto tempo- ha comperato Giugiaro? Perché lo ritiene un valore obiettivo importante: il Gruppo
Volkswagen ha una strategia di prodotto che va sui decenni
e non sui mesi e aveva già acquisito precedentemente Walter De Silva, che è un altro stilista di peso formatosi anch’esso alla Fiat. Giugiaro non si è formato alla Fiat, ma vi ha
collaborato molto, come abbiamo visto. Questi valori non
ce li diciamo noi addosso, non ci autoelogiamo, ma esistono, ed esistono in particolar modo su questo territorio. Perché questa gente che ci sta comprando non ci porta via,
acquisisce il nome, ma la Giugiaro è tuttora radicata a Torino, Bolloré, di cui si parla come forse futuro acquirente
della Pininfarina, non si sognerebbe mai di spostare Cambiano a Parigi; la Tata ha acquisito delle società torinesi che
sono tuttora a Torino. I Cinesi sono arrivati in misura importante, hanno comprato, stanno comprando, in questo
momento sono gli unici che danno del lavoro ai carrozzieri,
lavoro che è fatto -vi assicuro- con modalità impensabili
fino ad anni fa: si va in Cina, si affittano le persone, il cosiddetto body-rental, cose che sarebbero state impronunciabili qualche decennio fa. Perché avviene questo? Perché questa capacità degli Italiani è effettivamente -e io il mondo
l’ho girato in lungo e in largo- proprio solo degli Italiani. Lo
dimostrano, appunto, degli stranieri per noi: questo orgoglio del design è vero, è uno dei pochi settori dove l’Italia
importa cervelli perché la gente viene a studiare. Qua, noi
abbiamo delle scuole importanti, abbiamo questo knowhow, questo modo di sapere fare le cose che, purtroppo, è
una cosa trasmissibile. Fin dagli anni ’50 c’è stato il sig. Michelotti che era una monade: c’era lui, disegnava lui, aveva
solo qualche modellista. Questo ragazzo negli anni ’50 ha
disegnato un’automobile giapponese che si chiamava Hino
Contessa; in Italia nessuno sapeva cos’era la Hino, in Giappone nessuno sapeva cosa era una Contessa, però lui disegnò questo macchina. Quindi, quando si parla di globalizzazione, di internazionalizzazione, di esigenze di
internazionalizzare le imprese, nel caso dei carrozzieri italiani è una parola fuori luogo perché i carrozzieri italiani
sono nati italiani ma si sono sviluppati collaborando con
tutte le industrie del mondo. Alcune cose si sanno, altre non
si sanno. Forse quelle più importanti sono quelle che hanno
portato fama e danaro ai carrozzieri italiani. Quindi oggi la
situazione è che siamo tornati a essere un po’ quello che
eravamo all’origine, cioè il nostro valore non è più nel produrre. Quindi noi in questo momento presente che cosa
abbiamo? Abbiamo la nostra creatività, che non è poco,
abbiamo dei nuovi associati, dei giovani. I giovani sono il
nostro futuro, è una frase trita e ritrita -la dicono perfino i
politici- però è verissima. Qual è la difficoltà di creare dei
La spinta propositiva dei carrozzieri non si limita allo stile esterno. In queste due immagini sono raffigurati gli studi fortemente innovativi di Bertone
per gli interni di due concept-car. A sinistra la Filo del 2001, studio di veicolo dive-by-wire su meccanica Opel; a destra, la B99 del 2011, che
reinterpreta gli stilemi classici Jaguar utilizzando il legno in un modo nuovo.
23
e mezzo ma alle dodici e venticinque o all’una meno un
quarto. Allora, questa cosa è sempre una pulsione così forte
che permette di sognare e di crederci; questa cosa è indipendente da come va il mondo, è indipendente dai tempi, è indipendente dalle tecnologie. Un vero progettista ha
sempre questa capacità di rischio, che è enorme perché a
priori non si saprà mai come andrà a finire il prodotto che
nascerà dal nostro sogno, e che è purtroppo il nostro limite. E’ un argomento che ho affrontato in un convegno,
sempre dell’ANFIA, alle OGR quest’anno per celebrare il
centenario del Gruppo Carrozzieri e cioè: qual è la nostra
vera difficoltà? La nostra vera difficoltà è che, essendo dei
creativi ed essendo la creatività un valore difficilmente spiegabile, difficilmente insegnabile ma che c’è, bisogna valutarla giustamente.
Ci stiamo risollevando. Vi parlerò di qualche flash futuro.
La nostra difficoltà è che le nostre idee non si pesano: il
titolo del convegno era “il peso delle idee”, sottotitolo “l’insostenibile leggerezza dell’essere creativi”. Questa è una caratteristica che ha sempre connotato questo tipo di attività.
Una volta si chiamavano artisti; noi non siamo degli artisti,
però una caratteristica profonda degli Italiani è sempre stata quella di dover andare a pietire ovunque per vivere.
Leonardo Da Vinci quando fece la sua Madonna delle Rocce non aveva magari nessuna intenzione; gliela commissionò Visconti, poi andò in Francia; non voglio fare paragoni
esagerati, ma quando si va nella pura attività mentale, la
vera difficoltà obiettiva è di valutarla: non si sa quanto vale
a priori ma poi, dopo che la Uno e la Punto hanno tenuto
in piedi la Fiat per anni, Giugiaro è stato comprato da un tedesco. Però prima non lo si sapeva; lo si è saputo dopo, alla
fine di questi grossi programmi industriali si constata che
il lavoro di progettazione -fatto conto che tutto il business
di un modello di successo di qualsiasi paese esso sia- sfiora
l’1%. Qual è il nostro segreto? Trovarci di fronte le grosse
industrie, i grossi committenti che ci prendono come vogliono perché noi non possiamo dimostrare a priori che
quello che stiamo dando ti terrà in piedi per dieci anni.
Veniamo da questi discorsi più vasti a dei discorsi più pregnanti: il nostro presente. Faccio un minimo di retrospettiva; se vogliamo cominciare con il nuovo millennio, sono
macchine che tutti conoscete. C’è la Filo di Bertone, con un
interno molto italiano, cioè semplice, originale e innovativo;
c’è la Skill, un prodotto di Fioravanti connotato da un particolare brevetto su un tetto rigido apribile che non va nel
Il contributo creativo dei carrozzieri non si limita solo alle normali
automobili: nella foto sopra, il prototipo LF1 di Fioravanti (2009) per
una monoposto di Formula 1 che superi alcuni degli attuali limiti
della massima categoria: più semplice, più economica e più sicura,
senza il rischio di “agganciare” le ruote, con sospensioni attive e
un’aerodinamica ottimizzata tramite calcoli CFD (Computer Fluyd
Dynamics).
In basso: la vettura elettrica Bluecar disegnata da Pininfarina e
costruita da Cecomp per il gruppo francese Bolloré.
giovani che creano? Che la creatività non si insegna; si insegnano dei modi correlati alla produttività. E’ come una
piantina la creatività: se le si dà troppa acqua muore; se le si
dà troppo sole muore; se è troppo secca muore; ci vogliono
dei componenti correlati di manovrabilità estremamente
delicati. Ecco, questo noi in Italia lo sappiamo fare. Recentemente un giapponese mi ha detto: “Voi quando siete bravi e fortunati fate la bellezza, però avete una cosa che altri
non hanno: la sapete riconoscere anche nelle cose fatte da
altri”. Cosa vuol dire raggiungere la bellezza? Vuol dire sapersi fermare al momento giusto. Alcune di queste grandi
organizzazioni che hanno decine e decine di centri-stile nel
mondo cosa fanno? O si fermano un po’ prima o vanno un
po’ dopo; il modo di capire esattamente che questo è il momento giusto per fermarsi è una delle caratteristiche degli
Italiani cosiddetti “creativi”. Queste cose non si insegnano,
quindi perché per noi i giovani sono importanti? Io, come
ANFIA, inventai nel ’96 il concorso “Stile Italiano Giovani”, che è tuttora alla decima edizione, aperto a tutti i giovani del mondo perché il modo di pensare italiano è tipico
degli Italiani, ma non si può escludere a priori che ci sia
un’altra persona che la pensa come noi, il che è un valore
aggiunto, come poi vi dirò. In questo SIG abbiamo fatto
un’opera di reclutamento dei giovani, ha avuto grande successo, con centinaia di partecipanti ogni due anni; era a Torino, poi siamo andati al Salone di Ginevra: sempre un
grande successo, sempre tanti giovani. Cosa abbiamo premiato l’anno scorso, nel 2010? Un giovane russo che ha
pensato in un modo tipicamente italiano, cioè ha pensato a
un’automobile fatta sul nastro di Moebius.
E’ stato citato prima giustamente che l’automobile privata
è il complemento più fantastico che ci sia della mobilità di
una persona o di più persone fisiche. Come siete venuti
qua? Probabilmente in automobile, all’ora che avete voluto, e ve ne andrete via all’ora che volete, non alle dodici
24
In alto a sinistra: la Icona, realizzata da Cecomp per il Motor Show di Shanghai del 2010, è un’altra dimostrazione della portata internazionale del
lavoro dei carrozzieri italiani, che sempre più spesso negli ultimi anni trovano importanti commesse sul mercato cinese.
In alto a destra: il prototipo Vola di Fioravanti (2001), che reinterpreta i classici stilemi degli spider Alfa Romeo integrandoli con contenuti innovativi
come il tetto rigido rotante.
Sopra a sinistra: anticipato dalla concept-car Vola del 2001, il tetto rigido rotante è stato adottato su un modello di produzione nel 2005 con la Ferrari
575 M Superamerica.
Sopra a destra: oggi costruire fuoriserie in esemplare unico è diventato molto complesso per ragioni normative, ma la Ferrari ha lanciato un programma per soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. La prima vettura, realizzata nel 2008 per un facoltoso collezionista giapponese, è stata la SP1
su base F430, disegnata da Leonardo Fioravanti.
baule ma sta sopra il baule, lasciandone la capacità costante;
c’è la Ferrari Enzo di Pininfarina, la Brera dell’Italdesign,
un’Alfa Romeo. Sono state giustamente citate la Panda e
la Punto; la Panda è di Bertone, la Punto cominciò da Bertone e venne magistralmente terminata da Giugiaro. Sono
ancora oggi i prodotti che si vendono di più del gruppo
Fiat. Si vende bene anche la 500, che è una operazione retró fatta sulla 500 dell’Ing. Giacosa. Questi sono i prodotti
che si vendono, quindi l’apporto dei carrozzieri magnifico
e divino dei capolavori degli anni passati, oggi è tuttora importante. Non ieri, oggi. Oggi, a conti fatti, le macchine
che si vendono sono quelle disegnate dai carrozzieri italiani.
Come la Maserati Quattroporte. Ferrari e Maserati sono depositarie in tutto il mondo di grandi valori sportivi, tecnici,
economici; quando parlate nel mondo della Ferrari Testa
Rossa dicono: “Ah. è vero quella carrozzeria magnifica!”
Le ricordano per la carrozzeria; ma i tecnici, non il pubblico appassionato di ricconi che se le possono permettere;
perché? Perché oggi ancora più di ieri la carrozzeria è la
sintesi comunicativa dei contenuti di un veicolo; i contenuti
meccanici di un veicolo oggi sono quasi banali: le cosiddette piattaforme. Tutti i grandi gruppi dicono “Ne abbiamo
due, tre al massimo”. Quindi lasciamo perdere sospensioni,
telai, i motori. Per rispettare le norme antinquinamento in
tutto il mondo, in alcuni paesi ancora più severe, ci sono
gruppi di investimento così grossi che si arriva -una volta
sarebbe stato un assurdo- ai motori della BMW fatti insieme alla Peugeot, alla Mercedes che fa i motori assieme ad
un altro. Quel connotato di valore vuol dire solo rispetto
delle norme e dei consumi e di come è fatto non interessa
più a nessuno. Cos’è quello che conta? La funzione del veicolo. Voglio dire, la Giardinetta -che è un bellissimo nomeo una Spider o una vettura da famiglia, un SUV, e poi, subito dopo, che cosa scelgono? Quella più bella. Le macchine
oggi si vendono in tutto il mondo, sono assistite in tutto il
mondo: questa è la globalizzazione, cioè essere in una situazione in cui i valori aggiunti che ci sono bisogna tenerseli
carissimi. Si parla sempre del “brand”. Oggi ci vuole uno
specialista ben preparato per riconoscere una macchina
dall’altra, perché il modo lavorativo di oggi è giustamente
basato sui computer che sono un aiuto enorme. Cosa fanno i ragazzi delle grandi case automobilistiche? Vengono
magari in Italia ad imparare, vanno nelle grandi case, hanno
a disposizione grandi computer, grandi schermi. Una volta
c’era la realtà virtuale, che per noi è già passato; si parla
della realtà aumentata, che è un mostro sacro, ci sono del25
le cose che non esisteranno mai ma che uno le fa esistere
virtualmente. Questi ragazzi, sono consci che le decisioni
sul prodotto vengono fatte essenzialmente da chi governa il marketing e da chi dà gli incarichi pubblicitari; questi
ragazzi guardano le vendite, vedono che questa si vende
tanto, prendono uno dei dettagli, copiano, incollano, lo modificano un po’ perché vogliono essere considerati come la
persona che ha contribuito ad aumentare le vendite. Non
gliene frega niente se c’è un vero contenuto o se assomiglia
a questa o un’altra macchina. Allora io sfido chiunque a riconoscere certe macchine dello stesso segmento; è lì che gli
Italiani hanno da aggiungere, perché noi per costituzione
siamo alla ricerca forsennata sempre di una cosa originale.
Abbiamo copiato anche noi, intendiamoci, e anche in Italia
si è copiato molto, però la nostra pulsione prima è: come
prima cosa non fare quello che hanno fatto gli altri. E’ difficile fare le cose semplici; nonostante sembri un nonsense,
è difficilissimo perché è un impegno veramente forte. Questo tipo di contesto ci permette di sperare. Recentemente
il Gruppo Carrozzieri è stato invitato nel mondo perché
evidentemente si riconoscono certi valori.
Un’altra Fioravanti è la prima one-off ufficiale fatta dalla
Ferrari. In questo mondo globalizzato, dove le macchine
costano un po’ meno, dove inquinano meno, dove consumano meno, però alcune persone hanno ancora la voglia di
affiancarsi al sogno del creativo; da un punto di vista eco-
Due Maserati molto diverse fra
loro, disegnate entrambe da
Pininfarina.
In alto: la GranCabrio, vettura
di normale produzione lanciata
nel 2010.
In basso: la Birdcage 75th,
una concept-car costruita in
collaborazione con Motorola nel
2005 su meccanica MC12.
26
L’Alfa Romeo Brera è la
dimostrazione di come da una
concept-car possa poi derivare
una vettura si serie.
Nell’immagine, lo studio
esposto da Italdesign al Salone
dell’Automobile di Ginevra del
2002.
nomico questo è rilevante perché uno di questi esemplari
costa una cifra irriferibile, però dal punto di vista creativo
è importantissimo. Quando si fa quello che si vuole il vantaggio non è quello economico di aver dato a un cliente il
suo sogno, ma di essere progrediti noi nel nostro sogno.
Non è, però, neanche completamente vero che quando si
è completamente liberi sia l’ideale per chi crea; il creativo
ha bisogno di certi limiti per essere sollecitato. Nell’ambito
della difficoltà normativa deve essere completamente libero, mentre questo nella produzione in grande serie non può
avvenire perché se no effettivamente si osa troppa.
Poi c’è una nostra proposta per la Formula Uno, dove le
macchine non si aggancino, non saltino e non siano così
lontane dalla produzione di serie. Questo è un nostro sogno, i regolamentatori della Formula Uno sono molto interessati, ma siccome è un business enorme si può toccare
pochissimo; le differenze regolamentative nell’ambito della
Formula Uno sono di qualche millimetro da un anno all’altro, proposte dalle varie case che corrono.
Il Gruppo Carrozzieri Italiani è stato invitato al Qatar
Motor Show. E’ alla prima edizione, c’è stata a gennaio di quest’anno; il Qatar è il terzo azionista del Gruppo
Volkswagen, che è il gruppo costruttore di automobili che
quest’anno potrebbe diventare il primo al mondo. Questi
signori hanno il diciassette percento della Volkswagen,
dopo la Famiglia Piech e dopo il Land della Sassonia, hanno
tre persone nel consiglio di amministrazione. Questo salo-
ne è stato organizzato perché una delle nostre possibilità
future è il mondo arabo delle nazioni più evolute, perché lì
ci sono grossi mercati in prospettiva. Era organizzato con
una ampiezza di mezzi incredibile, con personalità da tutto
il mondo, invitati in maniera tale che non si poteva dire no.
Uno dei nostri associati è la Prototipo con l’impianto di
Nardò. Sono stato molto contento della loro domanda
perché in Italia possiamo dire di andare dal foglio bianco
cominciando con la matita, poi passiamo al computer, fino
ad omologare le preserie e testarle su strada. Qui c’è veramente dallo zero alla fine del progetto. Al Salone di Ginevra
di quest’anno c’era la nuova Ferrari di Pininfarina, c’era soprattutto l’interno -magnifico, trovo- della Jaguar di Bertone, che l’anno prossimo festeggerà i cento anni. L’esterno
non era male, non particolarmente innovativo, pulito ed
elegante, ma quello che mi ha affascinato personalmente è
stato l’interno. Perché fare l’interno di una Jaguar che abbia le caratteristiche della Jaguar è una cosa estremamente
difficile oggi, perché il legno l’ha sempre caratterizzata, ma
oggi il legno con gli airbag e tutto il resto... Questa idea è
magnifica perché usa il legno in una maniera molto innovativa perché è piegato; l’idea è semplice, è originale, quando
una la vede una volta non se la dimentica mai più. Bastava
pensare che il legno con certe caratteristiche, con certe lavorazioni, con spessori evidentemente consoni, si può piegare; allora questo vuol dire avere una grande idea, fare una
cosa originale, che oggi tutti cercano e che pochi trovano.
27
Anche la Cecomp ha iniziato a occuparsi di creatività e a
Shanghai di quest’anno ha presentato l’Icona. E’ un segno
di evoluzione dei nostri associati: siamo tutt’altro che morti
e tutt’altro che fermi.
Ora veniamo veramente al futuro: che cosa ha fatto il
Gruppo Carrozzieri l’anno scorso? Per la prima volta nella
storia di cent’anni ha fatto quello che oggi si chiama in mille
maniere. Una volta si chiamava semplicemente collaborazione, poi si è chiamata sinergia, oggi si chiamano reti di
impresa; è un modo di dire molto usato dai politici perché
pare che le reti di imprese siano la soluzione ai molti mali
del mondo... Per la prima volta in cent’anni ci siamo messi
tutti insieme auto-scegliendoci i nostri compiti; è una cosa
che i nostri clienti ci hanno chiesto molte volte in passato:
uno lo stile, l’altro i modelli e l’altro i prototipi. Questa volta
ce lo siamo detti noi su di noi e abbiamo scelto un progetto,
che per essere in linea con i tempi è un veicolo economico, molto economico. Oggi si chiamano low-cost; questo è
ultra-low-cost. E’ sempre stato un campo dove gli Italiani
hanno detto la loro parola alta. Allora in questo ambito siamo in otto del Gruppo più altre industrie importanti degli
altri Gruppi dell’ANFIA, principalmente i componentisti:
ad esempio, Pirelli ci potrebbe dare gli pneumatici a basso
rotolamento, Brembo dei freni innovativi. Intorno a questo
progetto, che l’ANFIA chiama “progetto cerniera”, confluiscono varie capacità dei vari Gruppi dell’Associazione.
Qual è la caratteristica principale della nostra vettura? Si
chiama Tris perché ha tre porte uguali. E’ un veicolo del
segmento B, ma da che mondo e mondo l’automobile è
stata fatta nel campo dei segmento B a tre porte con una
porta a destra, una porta a sinistra diversa dalla precedente
e una portellone diverso dalle due precedenti. La Tris è un
veicolo nel quale non cerchiamo la bellezza, evidentemente,
però cerchiamo una funzionalità così spinta che potrebbe
diventare non dico la bellezza, ma un forte elemento emozionale. Allora quando una persona, il guidatore entra per
andare al volante fa esattamente gli stessi movimenti che
fa il passeggero quando entra dall’altra parte cioè sposta
il suo baricentro da una certa altezza e lo mette sul sedile.
Non c’è nessun motivo al mondo perché queste due porte
non siano uguali. Per il portellone è più difficile perché viene coinvolta l’altezza del paraurti da certe normative, ma si
La concept-car Tris sviluppata
da alcuni membri del Gruppo
Carrozzieri dell’ANFIA. Si
tratta di una vettura low-cost
caratterizzata dall’impiego di un
numero estremamente ridotto di
componenti standard: tre porte
uguali, quattro fanali uguali, due
paraurti e due vetri uguali.
può, si deve fare quel piccolo rigonfiamento sul padiglione
per rispettare l’altezza da terra del paraurti; una volta sarebbe stato scandaloso, oggi assolutamente no: queste forme
un po’ più “bizzarre” sono molto ben viste soprattutto dai
giovani. Paraurti anteriore uguale al paraurti posteriore, l’unica differenza è una ripresa di stampo per l’entrata dell’aria. I fanali: un fanale solo, messo ai quattro angoli con lo
stesso profilo in pianta e in sezione, in un unico pezzo; la
differenza qual è? Che il sistema che c’è dentro la macchina
riconosce la posizione e dimma la potenza dei vari LED;
i colori sono sempre gli stessi: bianco davanti, rosso dietro, arancio sia davanti che dietro per la direzione. Ci siamo
spinti fino a fare il quarter, il vetro fisso simmetrico intorno
ad un asse inclinato, per cui il pezzo destro è uguale a quello
sinistro. Il pianale fruisce di altri brevetti che permettono di
fare veramente qualche cosa di leggero ed economico. Il
veicolo è pensato per una motorizzazione ibrida o elettrica
totalmente, poiché l’ibrido necessita di batterie e l’elettrico
ovviamente anche, ma pure una normale motorizzazione:
oggi i piccoli diesel sono installabili dove si mette un motore benzina. Il vano motore di un veicolo moderno non
cambia a seconda di che tipo di motore ci sia dentro: per la
tecnologia di oggi a parità di ingombro ci sono almeno tre
scelte, benzina diesel, ibrido ed elettrico. Quello che conta è
l’uomo, cioè l’architettura del veicolo è fatta dall’uomo -che
è cresciuto e quindi i veicoli di oggi sono più grandi di ierie della capacità o meno di trasportare i bagagli.
Recentemente, siamo stati invitati al Salone di Lione in
Francia, che è quello che sostituisce il Salone di Parigi negli
anni dispari; erano presenti tre dei nostri. Anche lì grande successo; l’anno prossimo saremo invitati di nuovo in
Qatar. Su che cosa si basa la nostra speranza nel futuro?
Proprio sul fatto che questo tipo di caratteristiche degli Italiani non siano insegnabili e siano proprio nostre; quello
che ci manca che cos’è? Avere dei capitali sufficienti per
dire queste cose un po’ più ad alta voce invece che dirle
solo alla casa che conosce me e che mi viene a commettere un lavoro. In questo momento devo dire, purtroppo,
che i capitali italiani non ci sono più; prima è stato citato
giustamente un lavoro che Fiat commetteva ai carrozzieri
quando lanciava un nuovo modello: dava ai carrozzieri dei
pianali e una cifra non enorme, ma consistente perché ogni
carrozziere esprimesse quello che pensava sul tale pianale.
Ottenendo un duplice scopo -non era solo bontà d’animometteva un forte accento sul nuovo modello perché alcune
proposte, anche se magari bizzarre, facevano comunicazione, facevano stampa e nei casi più fortunati, quando il modello era veramente interessante, otteneva una consulenza
che gli costava la metà della metà. Il vantaggio per noi qual
era? Che ci riempiva i periodi che potevano essere di bassa.
Noi oggi siamo con le stesse caratteristiche di una volta nel
settore della creatività -e questo ci fa solo piacere- ma soffriamo della mancanza di capitali italiani, perché noi continueremo a lavorare ma saremo o dei Tedeschi o dei Cinesi
o dei Francesi, saremo bravi lo stesso però questo valore
tipicamente italiano perderà un po’ il connotato di essere
“Made in Italy”. Questa è una cosa che io ho segnalato alle
istituzioni così dette in varie occasioni, la più importante è
quella del convegno al quale ho partecipato e questo è un
po’ un dolore perché effettivamente è vero che tutti hanno
le circostanze per poter chiedere qualcosa ed è altrettanto
vero che i governi -qualunque essi siano- in questo momento non possono fare quasi niente, quindi è bene stare
con i piedi per terra, però alcuni angoli di intervento sono
possibili. Ne cito solo uno: l’Italia, purtroppo, sia al sud
sia al nord, non è stata in grado in questi anni -e non lo è
ancora adesso- di spendere i soldi che già abbiamo ricevuto
dall’Europa o dalle istituzioni italiane. Questo veramente è
insopportabile; se sono avanzati dei soldi, alcuni di questi
soldi potrebbero andare utilmente in un sostegno nostro,
temporaneo, che verrebbe anche restituito, per realizzare,
per esempio, il progetto Tris che ci vede tutti uniti e che è
un veicolo proprio di oggi, economico.
Questa è la situazione presente e futura nostra; io ci credo
molto, alcuni dei nostri associati anche. Vi ho segnalato che
ci sono delle giovani società fatte di giovani che si stanno
iscrivendo al Gruppo Carrozzieri, ci sono società fresche
portate avanti da persone se proprio non del liceo forse
dell’università, come Ercole che è quasi mio coevo, quindi
questo fermento c’è ancora; questo deve essere ben chiaro
e ben noto. Quello che manca è l’altra parte del cielo, che
non è poco.
Due immagini del grande stand del Gruppo Carrozzieri dell’ANFIA ospite al Motor Show di Dubai del 2011.
28
29
LE MONOGRAFIE AISA
94
Forme e creatività dell’automobile
cento anni di carrozzeria 1911-2011
A. Sannia, E. Spada, L. Fioravanti
Torino, 29 ottobre 2011
93
Materiali e metodologie
per la storiografia dell’automobile
Giornata in onore di Andrea Curami
ed Angelo Tito Anselmi
Conferenza Aisa
Milano, 16 aprile 2011
92 L’Alfa Romeo di Ugo Gobbato
(1933-1945)
Conferenza Aisa in collaborazione con
Università Commerciale Bocconi
Milano, 2 aprile 2011
91 Giorgio Valentini progettista indipendente
eclettico e innovativo
Settembre 2011
90
Abarth: l’uomo e le sue auto
Conferenza Aisa
in collaborazione con CPAE
Fiorenzuola d’Adda (PC), 9 maggio 2010
89
MV Agusta tre cilindri
Conferenza Aisa
in collaborazione con GLSAA-MV
Cascina Costa di Samarate (VA),
22 maggio 2010
88 Il Futurismo, la velocità e l’automobile
Conferenza Aisa
in collaborazione con CMAE
Milano, 21 novembre 2009
87 Mercedes-Benz 300SL
Tecnica corse storia
Lorenzo Boscarelli, Andrea Curami,
Aldo Zana
in collaborazione con CMAE
Milano, 17 ottobre 2009
86 Pier Ugo e Ugo Gobbato,
due vite per l’automobile
con il patrocinio del Comune
di Volpago del Montello
Milano, 14 marzo 2009
85 Jean-Pierre Wimille
il più grande prima del mondiale
Alessandro Silva
in collaborazione con Alfa Blue Team
Milano, 24 gennaio 2009
84 Strumento o sogno. Il messaggio
pubblicitario dell’automobile
in Europa e Usa 1888-1970
Aldo Zana
in collaborazione con CMAE
Milano, 29 novembre 2008
83 La Formula Junior cinquanta anni dopo
1958-2008
Andrea Curami
Monza, 7 giugno 2008
82 Alle radici del mito. Giuseppe Merosi,
l’Alfa Romeo e il Portello
Conferenza Aisa-Cpae
Piacenza, 11 maggio 2008
81 I primi veicoli in Italia 1882-1899
Conferenza Aisa-Historic Club Schio
Vicenza, 29 marzo 2008
80 Automobili made in Italy.
Più di un secolo tra miti e rarità
Tavola rotonda
Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar
Romano d’Ezzelino, 1 marzo 2008
79 Aisa 20 anni 1988-2008
Riedizione della Monografia 1
I progettisti della Fiat nei primi 40 anni:
da Faccioli a Fessia
di Dante Giacosa
Milano, 15 marzo 2008
78 Vittorio Valletta e la Fiat
Tavola rotonda Aisa-Fiat
Torino, 1 dicembre 2007
77 Dalla Bianchi alla Bianchina
Alessandro Colombo
Milano, 16 settembre 2007
76
60 anni dal Circuito di Piacenza,
debutto della Ferrari
Tavola rotonda Aisa-Cpae
Palazzo Farnese,
Piacenza, 16 giugno 2007
75 Giuseppe Luraghi nella storia
dell’industria automobilistica italiana
Tavola rotonda Aisa-Ise Università Bocconi
Università Bocconi, Milano, 26 maggio 2007
74 La Pechino-Parigi degli altri
Antonio Amadelli
Palazzo Turati, Milano, 24 marzo 2007
73 Laverda, le moto, le corse
Tavola rotonda
Università di Vicenza, 3 marzo 2007
72 100 anni di Lancia
Tavola rotonda
Museo Nicolis, Villafranca,25 novembre 2006
71 1950-1965.
Lo stile italiano alla conquista dell’Europa
Lorenzo Ramaciotti
Milano, 14 ottobre 2006
70
Fiat 124 Sport Spider,
40 anni tra attualità e storia
Tavola Rotonda
Torino, 21 maggio 2006
69
L’evoluzione della tecnica
motociclistica in 120 anni
Alessandro Colombo
Milano, 25 marzo 2006
68
Dalle corse alla serie:
l’esperienza Pirelli nelle competizioni
Mario Mezzanotte
Milano, 25 febbraio 2006
67
Giulio Carcano,
il grande progettista della Moto Guzzi
Alessandro Colombo, Augusto Farneti,
Stefano Milani
Milano, 26 novembre 2005
(con la collaborazione del CMAE)
66 Corse Grand Prix e Formule Libre 1945-1949
Alessandro Silva
Torino, 22 ottobre 2005
65 Ascari. Un mito italiano
Tavola rotonda
Milano, 28 maggio 2005
30
64 Itala, splendore e declino di una marca prestigiosa
Donatella Biffignandi
Milano, 12 marzo 2005
46 Maserati 3500 GT una svolta aperta al mondo
The Maserati 3500 GT (English text)
Giulio Alfieri
Milano, 12 aprile 2000
63
Piloti italiani: gli anni del boom
Tavola Rotonda
Autodromo di Monza,
29 gennaio 2005
62
Autodelta, dieci anni di successi
Tavola rotonda
Arese, Museo Alfa Romeo,
23 ottobre 2004
44 Il record assoluto di velocità su terra
Gli anni d’oro: 1927-1939
Ugo Fadini
Milano, 21 ottobre 1999
61
Carlo Felice Bianchi Anderloni: l’uomo e l’opera
Tavola rotonda
Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar
Romano d’Ezzelino, 8 maggio 2004
43 L’aerodinamica negli anni Venti e Trenta
Teorie e sperimentazioni
Franz Engler
Milano, 4 giugno 1999
42 Adalberto Garelli
e le sue rivoluzionarie due tempi
Augusto Farneti
Milano, 17 aprile 1999
60 I mille giorni di Bernd Rosemeyer
Aldo Zana
Milano, 20 marzo 2004
45 Lancia Stratos
Pierugo Gobbato
Milano, 11 marzo 2000
27 Ricordo di Ugo Gobbato 1945-1995
Duccio Bigazzi
Milano, 25 novembre 1995
26 Intensamente Cisitalia
Nino Balestra
Milano, 28 ottobre 1995
25 Cesare Bossaglia: ricordi e testimonianze
a dieci anni dalla scomparsa
Tavola rotonda
Milano, 21 ottobre 1995
24 Moto Guzzi e Gilera:
due tecniche a confronto
Alessandro Colombo
Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar
Romano d’Ezzelino, 7 giugno 1995
23 Le Benelli bialbero (1931-1951)
Augusto Farneti
Milano, 18 febbraio 1995
41 La Carrozzeria Zagato vista da...
Tavola rotonda
Trieste, 13 settembre 1998
22 Tecniche e tecnologie innovative
nelle vetture Itala
Carlo Otto Brambilla
Milano, 8 ottobre 1994
40 Tenni e Varzi
nel cinquantenario della loro scomparsa
Convegno
Milano, 7 ottobre 1998
21 I record italiani: la stagione di Abarth
Tavola rotonda
Museo dell’Automobile Bonfanti-Vimar
Romano d’Ezzelino, 16 aprile 1994
57 Dalla carrozza all’automobile
Aspetti, Boscarelli, Pronti
Piacenza, 22 marzo 2003
39 Il futurismo e l’automobile
Convegno
Milano, 16 maggio 1998
20 Lancia Aurelia
Francesco De Virgilio
Milano, 26 marzo 1994
56 Le moto pluricilindriche
Stefano Milani
Milano, 30 novembre 2002
38 I fratelli Maserati e la OSCA
Tavola rotonda
Genova, 22 febbraio 1998
19 Battista Pininfarina 1893-1993
Tavola rotonda
Torino, 29 ottobre 1993
55 Carrozzeria Bertone 1912 - 2002
Tavola rotonda
Torino, 30 ottobre 2002
37 Enzo Ferrari a cento anni dalla nascita
Tavola rotonda
Milano, 18 aprile 1998
54 L’ingegner Piero Puricelli e le autostrade
Francesco Ogliari
Milano, 18 maggio 2002
36 La Carrozzeria Pininfarina vista da...
Tavola rotonda
Trieste, 14 settembre 1997
18 53 Come correvamo negli anni Cinquanta
Tavola rotonda
Milano, 12 gennaio 2002
35 Passato e presente dell’auto elettrica
Tavola rotonda
Milano, 26 maggio 1997
52 L’evoluzione dell’auto fra tecnica e design
Sandro Colombo
Verona, 8 ottobre 2001
34 Gli archivi di disegni automobilistici
Tavola rotonda
Milano, 19 aprile 1997
59 Moto e corse: gli anni Settanta
Tavola rotonda
Milano, 29 novembre 2003
58 Le automobili che hanno fatto la storia della
Fiat. Progressi della motorizzazione e società italiana.
Giorgio Valentini, Lorenzo Boscarelli
Milano, 7 giugno 2003
51 Quarant’anni di evoluzione
delle monoposto di formula
Giampaolo Dallara
Milano, 8 maggio 2001
50 Carrozzeria Ghia - Design a tutto campo
Tavola rotonda
Milano, 24 marzo 2001
49 Moto e Piloti Italiani
Campioni del Mondo 1950
Alessandro Colombo
Milano, 2 dicembre 2000
48 1950: le nuove proposte
Alfa Romeo 1900, Fiat 1400, Lancia Aurelia
Giorgio Valentini
Milano, 8 ottobre 2000
47 Come nasce un’automobile negli anni 2000
Tavola rotonda
Torino, 23 settembre 2000
33 D’Annunzio e l’automobile
Tavola rotonda
Milano, 22 marzo 1997
32 Lancia - evoluzione e tradizione
Vittorio Fano
Milano, 30 novembre 1996
31 Gli aerei della Coppa Schneider
Ermanno Bazzocchi
Milano, 26 ottobre 1996
30 I motori degli anni d’oro Ferrari
Mauro Forghieri
Milano, 24 settembre 1996
29 La Carrozzeria Touring vista da...
Tavola rotonda
Trieste, 15 settembre 1996
28 75-esimo Anniversario
del 1° GranPremio d’Italia
Tavola rotonda
Brescia, 5 settembre 1996
Antonio Chiribiri,
pioniere del motorismo italiano
Giovanni Chiribiri
Milano, 27 marzo 1993
17 Gilera 4 - Tecnica e storia
Sandro Colombo
Milano, 13 febbraio 1993
16 Tazio Nuvolari tra storia e leggenda
Tavola rotonda
Milano, 17 ottobre 1992
15 La vocazione automobilistica di Torino:
l’industria, il Salone,il Museo, il design
Alberto Bersani
Milano, 21 settembre 1992
14 Pubblicità auto sui quotidiani (1919-1940)
Enrico Portalupi
Milano, 28 marzo 1992
13 La nascita dell’Alfasud
Rudolf Hruska e Domenico Chirico
Milano, 13 giugno 1991
12 Tre vetture da competizione:
esperienze di un progettista indipendente
Giorgio Valentini
Milano, 20 aprile 1991
11 Aspetti meno noti delle produzioni Alfa Romeo: i veicoli industriali
Carlo F. Zampini Salazar
Milano, 24 novembre 1990
10 Mezzo secolo di corse automobilistiche
nei ricordi di un pilota
Giovanni Lurani-Cernuschi
Milano, 20 giugno 1990
31
9
L’evoluzione del concetto di sicurezza
nella storia dell’automobile
Tavola rotonda
Torino, 28 aprile 1990
8 Teoria e storia del desmodromico Ducati
Fabio Taglioni
Milano, 25 novembre 1989
7 Archivi di storia dell’automobile
Convegno
Milano, 27 ottobre 1989
6
La progettazione automobilistica
prima e dopo l’avvento del computer
Tavola rotonda
Milano, 10 giugno 1989
5
Il rapporto fra estetica e funzionalità
nella storia della carrozzeria italiana
Tavola rotonda
Torino, 18 febbraio 1989
4
Le moto Guzzi da corsa
degli anni Cinquanta: da uno a otto cilindri
Giulio Carcano
Milano, 5 novembre 1988
3 Maserati Birdcage, una risposta ai bisogni
Giulio Alfieri
Torino, 30 aprile 1988
2
Alfa Romeo:
dalle trazioni anteriori di Satta alla 164
Giuseppe Busso
Milano, 8 ottobre 1987
1
I progettisti della Fiat nei primi 40anni:
da Faccioli a Fessia
Dante Giacosa
Torino, 9 luglio 1987
AISA
Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile
Aisa è l’associazione culturale che dal 1988 promuove studi
e ricerche sulla storia e sulla cultura dell’automobile, della
moto e di altri mezzi di trasporto. I suoi soci sono persone,
enti, associazioni o società che condividono questo interesse per passione o ragioni professionali.
L’obiettivo fondante dell’Aisa è la salvaguardia di un patrimonio di irripetibili esperienze vissute e di documenti di
grande interesse storico.
Nella sua attività, l’Associazione ha coinvolto protagonisti
di primo piano e testimoni privilegiati del mondo dell’auto
e della moto: sono state organizzate conferenze e tavole
rotonde, il cui contenuto è registrato nelle Monografie distribuite ai soci. La qualità e quantità delle informazioni e
dei documenti delle Monografie ne fanno un riferimento di
grande valore.
Per diventare soci è sufficiente compilare l’apposita richiesta sul sito dell’Associazione: www.aisastoryauto.it
© AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile (febbraio 2012)
Si ringraziano per la collaborazione:
Donatella Biffignandi, Giovanni Bossi, Lorenzo Boscarelli, Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, Aldo Zana.
Foto: Archivio Alessandro Sannia, Leonardo Fioravanti
Pubblicazione a cura della Società Editrice Il Cammello, Torino - Stampa: Graficat, Torino
32
Alessandro Sannia - Ercole Spada - Leonardo Fioravanti
Forme e creatività dell’automobile
cento anni di carrozzeria
1911-2011
AISA - Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile
AISA • Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile
C.so di Porta Vigentina, 32 - 20122 Milano - www.aisastoryauto.it
MONOGRAFIA AISA 94