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Gli analisti concordano. Il fair value (prezzo corretto) dell'euro nei confronti del dollaro sarebbe di
1,2-1,25 dollari. Sui mercati valutario invece il fixing delcambio euro/dollaro viaggia ormai a ridosso
di 1,4 dollari e, secondo le ultime previsioni, potrebbe arrivare a breve giro anche fino a quota 1,5
dollari.
Per quale motivo l'euro quota quindi oltre quello che sarebbe il suo valore effettivo? Una domanda
non da poco dato che il super-euro fa certo comodo quando si va in vacanza all'estero, ma non certo
al Pil dei Paesi che lo adottano perché le esportazioni si fanno più care con una moneta forte e questo
mette a rischio la bilancia commerciale di un Paese e il contributo stesso che questa può dare al Pil
in un'economia, ormai globalizzata e, dove il saldo delle partite correnti tende a seguire, volenti o
nolenti, una logica (iper)mercantile.
La stessa cancelliera Angela Merkel ha più volte detto che un euro fino a 1,4 dollari può andar bene,
oltre invece indebolirebbe la potentissima macchina da export tedesca che ormai genera surplus
superiore ai 200 miliardi l'anno e ha superato persino in questo campo la Cina. Ma se 1,4 dollari è
un benchmark per la Germania non è detto che lo sia per le altre economie, più deboli, dell'area euro
che iniziano a soffrire su soglie più basse. E questo è un altro motivo, che a detta degli esperti,
condiziona la politica della Bce finita in un limbo. Da un lato i Paesi della periferia, a cui si aggiunge
la Francia, vorrebbero misure espansive. Dall'altro la Germania pare restia verso nuovi allentamenti.
Perché
vale
oltre
il
suo
prezzo
corretto
e
può
salire
ancora
Cerchiamo adesso di rispondere alle domande che ci siamo posti sopra. Gli esperti non hanno dubbi
sui motivi per cui l'euro sia "caro". La causa principale risiede nelle differenti strategie di politica
monetaria adottate dalla Banca centrale europea rispetto alle altre principali banche centrali.
«L'euro è da anni una delle valute più care a livello globale, per via di politiche monetarie meno
aggressive
rispetto
a
quelle
praticate
da
Fed,
BoJ
e
BoE.
In assenza di interventi attivi della Bce il deprezzamento del dollaro potrebbe arrivare a livelli ancora
più estremi, 1,45-1,5 - spiega Caludio Barbaris, responsabile asset allocation di Moneyfarm -. Alle
condizioni attuali, l'unica ragione per una inversione di tendenza potrebbe essere il semplice fatto
che altrove (Usa, Uk) le politiche monetarie diventeranno lentamente meno espansive. Questo però
potrebbe richiedere molto tempo, poichè il tapering negli Stati Uniti sarà un percorso molto più lento
di quanto temuto inizialmente dai mercati».
La Bce si sta impegnando a combattere i rischi di deflazione ma in realtà, al di là del dato medio
(inflazione 1% in Eurozona a febbraio) alcuni Paesi dell'area sono già in deflazione. La Grecia è in
deflazione da 12 mesi (-1%), il Portogallo da quattro mesi (-0,1%), in Spagna la crescita dei prezzi si
è azzerata e l'Italia è in evidente stato di disinflazione (a febbraio +0,5% su base annua rispetto allo
0,7% di gennaio). Questi Paesi avrebbero bisogno di una politica monetaria più espansiva. Ma la
politica monetaria al momento è ferma. Bisogna anche dire che, in assenza di azioni, il Sud Europa
sta automaticamente andando incontro a un periodo di deflazione/disinflazione per provare
recuperare competitività rispetto al Nord Europa. Nei primi 15 anni di euro, infatti, la Germania è il
Paese che ha generato meno inflazione di tutti, divenendo incredibilmente più competitiva in virtù
della logica del tasso di cambio reale (quando due Paesi hanno una stessa valuta chi genera meno
inflazione diviene più competitivo perché le sue merci costano meno rispetto al partner/competitor).
Dal 1999 al 2012 la Germania ha generato un'inflazione del 25% contro il 38% dell'Italia, il 47% di
Spagna, il 43% di Grecia, il 42% del Portogallo e così via, come dimostra questa tabella suitassi di
cambio reali nell'Eurozona.
Adesso è in corso un percorso di aggiustamento tramite il quale sono i Paesi del Sud a generare meno
inflazione e a recuperare lentamente la competitivà persa (a fronte di un processo di svalutazione
interna che colpisce perlopiù i salari). Un esempio? Nell'ultimo anno la Grecia ha fatto -1% di
inflazione e la Germania +1,3% Ciò significa che le merci greche quest'anno hanno recuperato 2,3
punti e costano un po' meno rispetto a quelle tedesche rispetto all'anno scorso. Stesso discorso per
l'Italia (+0,5% contro +1,3% equivale a un recupero di 0,8). Ovviamente, questo spontaneo e
doloroso (per la domanda interna dei Paesi del Sud Europa) processo di aggiustamento potrebbe
durare diversi anni, se nel frattempo non arrivano altre indicazioni da parte della Commissione
europea e della Bce (non a caso il Fondo monetario internazionale ha più volte indicato che anche la
Germania dovrebbe fare la sua parte in questo aumentando la domanda interna e diminuendo le
esportazioni).
In ogni caso le scelte per la Bce non sono semplici. Se non fa nulla l'euro tende a rafforzarsi sulle altre
valute indebolendo l'export di tutti i membri. Inoltre, lasciando rivalutare l'euro alimenta la
deflazione dato che la stessa Bce ha detto che un apprezzamento dell'euro del 10% sul dollaro
corrisponde a un calo dell'inflazione di 50 punti base. Allora perché non agisce? Secondo alcuni
esperti nell'attuale scelto di stallo nella forward guidance della Bce incidono le pressioni tedesche,
da sempre contrarie a misure espansionistiche che susciterebbero timori di inflazione. Va peraltro
detto che tra Nord Europa e Sud Europa in questo momento c'è un conflitto tra creditore e debitore.
Il primo vanta forti crediti (come documentato i saldi Target 2) e sarebbe svantaggiato
dall'inflazione, così come risulta avvantaggiato (nel riscuotere il suo credito con moneta non
svalutata, anzi rivalutata deflazione) invece dalla caduta nei prezzi dell'area del Sud.
«La Bce ha forti vincoli statutari da rispettare e deve anche essere molto cauta a non creare possibile
malcontento presso gli esponenti della Banca centrale tedesca. La Germania si è già dimostrata ostile
anche a strumernti come l'Omt (scudo anti spread, ndr) che ha salvato l'Europa nel momento più
acuto della crisi. Ancora pende la decisione finale sull'Omt e sulla sua legittimità, anche se per
fortuna la decisione finale è stata affidata a un organismo sovranazionale e non più alla Corte
Costituzionale tedesca. È quindi difficile pensare a quali strumenti la Bce potrebbe varare. Un nuovo
round di Ltro - spiega Maria Paola Toschi, market strategist di Jp morgan asset management potrebbe essere la strada più percorribile. Avrebbe anche il vantaggio di aumentare ancora la
liquidità delle banche favorendone l'increamento della attività di lending. Tuttavia la Bcein passato
ci ha abituato alle sorprese e non è da escludere che possa farlo ancora. Il taglio dei tassi non sembra
più una strada percorrible e soprattutto avrebbe una efficacia limitata. Il rischio deflazione non
senbra così forte. Tuttavia la bassa inflazione soprattutto nei Paesi più fragili dell'Europa non aiuta
questi Paesi a fronteggiare meglio la sostenibilità del debito pubblico. Un po' di inflazione aiuta
infatti a ridimensionare lo stock di debito».
Secondo Matteo Paganini, chief analyst di DailyFx/Fxcm «la Bce continua a rifugiarsi dietro la
giustificazione che le aspettative di medio periodo sull'inflazione rimangono saldamente ancorate,
ma la vera motivazione per evitare di tagliare i tassi di interesse ulteriormente sta dietro al fatto che
tale mossa sarebbe inutile e soprattutto inefficace (cosa che molto probabilmente sarà anche il livello
attuale dei tassi di interesse, portati in quest'area con estremo ritardo rispetto a quando essi
avrebbero potuto mostrare effetti concreti) senza l'implementazione di un Quantitative Easing vero
e proprio. Non si tratta soltanto di andare a voler riequilibrare Paesi del Sud e Paesi del Nord, siamo
arrivati ad un pericoloso punto di non ritorno, dov anche tassi negativi sui depositi con un'inflazione
così bassa potrebbero divenire pericolosi».
Perché
la
Bce
dovrebbe
attuare
una
politica
espansiva
Per Matteo Carnelli, Strategist di Banca Cesare Ponti «sul tema, Draghi ha osservato che la leva del
tasso di cambio è molto importante per la crescita e la stabilità dei prezzi, aggiungendo che, dal 2012,
l'apprezzamento registrato dall'euro ha ridotto di circa lo 0,4% il tasso di inflazione. A questo
proposito facciamo notare che:-1) una stima della cosiddetta "regola di Taylor" (una relazione teorica
che lega pil, tasso di inflazione e tasso di politica monetaria) suggerisce che, a differenza delle altre
principali economie avanzate (USA, Inghilterra, Giappone) il tasso Bce «dovrebbe» essere
ulteriormente abbassato, con connesso probabile indebolimento della divisa;-2) se analizziamo la
dinamica della deviazione standard a 12 mesi dal 1999 dei governativi italiani osserviamo che,
successivamente al discorso di metà 2012 di Draghi a difesa dell'euro i btp a scadenza 1-10 anni
stanno convergendo velocemente verso la propria volatilità "storica", dopo avere raggiunto nel
2011/2012 livelli di deviazione standard rischio quasi equiparabili a quelli di un indice di mercato
azionario. Di conseguenza, se l'obiettivo Bce di "normalizzazione del "rischio percepito" sui bond
periferici è ormai da considerarsi "quasi del tutto centrato", si riduce prospetticamente l'incentivo
della banca centrale a "sopportare" un euro "eccessivamente forte", specie in una situazione in cui la
banca centrale stessa ha aumentato di recente la sua enfasi sui rischi di deflazione».
Prospettive
a
medio
termine
per
l'euro
Al di là delle scorribande di breve periodo (che secondo alcuni analisti potrebbero portare l'euro a
1,5 dollari) il cambio è destinato a normalizzarsi nel medio. «Nonostante l'immobilismo della BCE
legato ai forti contrasti tra i membri votanti del Consiglio Direttivo (Periferia e Francia da una parte,
Germania e Nord Europa dall'altra) reputiamo molto probabile nel medio termine una correzione
importante del cambio sulla scia della diminuzione degli stimoli monetari da parte della Fed - spiega
Filippo Diodovich, Market Strategist di IG- . Riteniamo che il fair value del cambio euro/dollaro
possa attestarsi in area 1,22».
«Abbiamo a lungo sostenuto che i fondamentali economici indicano un apprezzamento del dollaro
rispetto all'euro. Finora questo apprezzamento non è riuscito a concretizzarsi, forse perché gli Stati
Uniti iniettano ancora miliardi di dollari nell'economia ogni mese - indica Helge Pedersen, capo
economista globale di Nordea -. Ma non appena questi importi saranno ridotti e il differenziale di
tasso di interesse si allargherà a favore degli Stati Uniti, verremo più vicino al punto di svolta. La
nostra previsione è di un euro/dollaro a 1,25».