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Presentazione
«Sono davvero contento di aver chiarito le cose. In ogni caso resteremo sempre buoni
amici, giusto?» Quando un ragazzo dice così
a una ragazza non è che la renda
pazzamente felice. Se poi il ragazzo in questione è Gideon de Villiers, occhi verdi e capelli
corvini, Gwendolyn Shepherd, la destinataria del messaggio, si sente precipitare
decisamente negli abissi dell’infelicità. E sì , perché, nelle due settimane che le hanno
sconvolto la vita, facendole quasi dimenticare di essere una normale studentessa di sedici
anni di una normale scuola londinese, Gideon le era sembrato la sua unica ancora di
salvezza. Solo da due settimane, infatti, Gwen ha scoperto di essere predestinata a
viaggiare nel tempo per portare a termine una missione pericolosissima da cui dipende il
destino dell’umanità intera. Una faccenda che, in realtà, non le interessa affatto,
diversamente dalla cugina Charlotte, che era convinta di essere lei la predestinata e che era
stata educata ad affrontare situazioni e persone di ogni tempo e ogni luogo. Solo per
Gideon, il suo compagno di viaggi nel passato, Gwen ha trovato sopportabile l’essere
sballottata da un secolo all’altro alla ricerca di un cronografo perduto, ma ora perché
dovrebbe continuare a lasciarsi tiranneggiare dall’implacabile setta dei Guardiani? D’altra
parte, è vero che a poco a poco sta scoprendo segreti insospettabili sulla propria famiglia
che la riguardano molto da vicino. E poi, finché è sostenuta da amiche come Leslie e da
piccoli gargoyle impiccioni e simpatici come Xemerius, la sua vita, oltre a essere piena di
pericoli, può essere anche molto eccitante... Imprevedibile e appassionante, Green
conferma il talento di Kerstin Gier come autrice di bestseller, dopo Red e Blue.Per tutte le
ragazze dal cuore di marzapane (e intendo proprio tutte le ragazze del mondo.
L’emozione è sempre la stessa, a quattordici anni come a quarantuno).
La «speranza» è la pennuta creatura –
Che si posa nell’anima –
E canta melodie senza parole –
E non smette mai – proprio mai –
Emily DickinsonPrologo Belgravia, Londra 3 luglio 1912
«Le resterà una brutta cicatrice» disse il medico senza alzare la testa.
Paul fece un sorriso storto. «In ogni caso sempre meglio dell’amputazione che mi aveva
prospettato la qui presente Mrs Fifona.» «Che ridere!» lo rimproverò Lucy. «Io non
sono fifona e tu... Mr Testa-vuota-scapestrato, non scherzare! Sai benissimo che una
ferita del genere può infettarsi con molta facilità e allora di questi tempi è già una fortuna
sopravvivere: nessuna traccia di antibiotici e i medici sono tutti degli ottusi ignoranti!»
«Molte grazie davvero» rispose il medico mentre applicava un unguento marroncino
sulla ferita appena ricucita. Paul trattenne a stento una smorfia per il bruciore. Si augurò
di non aver lasciato macchie sulla chaise-longue buona di Lady Tilney.
«Non è colpa sua.» Paul notò che Lucy si sforzava di essere più amichevole, anzi, cercava
addirittura di sorridere. I l risultato fu un ghigno piuttosto tetro, ma era l’intenzione che
contava. «Sono convinta che lei sta facendo del suo meglio» proseguì .
«I l dottor Harrison è il migliore» garantì Lady Tilney.
«E anche l’unico...» mormorò Paul. Di colpo si sentiva stanchissimo. Lo sciroppo che il
medico gli aveva somministrato doveva per forza contenere un sonnifero.
«E soprattutto il più discreto» completò il dottor Harrison. I l braccio di Paul venne
fasciato con una candida benda. «Sinceramente non riesco a pensare che tra ottant’anni le
ferite da taglio e da punta verranno trattate in modo diverso da come ho fatto io.» Lucy
sospirò e Paul non faticò a immaginare che cosa sarebbe successo. Una ciocca di
capelli era scivolata fuori dalla sua elaborata acconciatura e lei se la scostò dietro
l’orecchio con un gesto bellicoso. «Certo, a grandi linee forse no, ma con la scoperta dei
batteri... ovvero organismi unicellulari che...» «Basta così , Lucy!» la interruppe Paul. «I l
dottor Harrison sa perfettamente che cosa sono i batteri!» La ferita gli bruciava ancora da
morire e la stanchezza che lo aveva assalito gli faceva desiderare di chiudere gli occhi e
appisolarsi per un po’. Ma questo sarebbe servito solo a indispettire di più Lucy.
Nonostante la luce radiosa nei suoi occhi azzurri, lui sapeva che dietro si nascondeva
solo preoccupazione e – peggio ancora – paura. Per il suo bene non doveva mostrarle le
sue cattive condizioni fisiche né la sua disperazione. Per questo continuò a parlare. «Dopo
tutto non ci troviamo nel Medioevo, bensì nel XX secolo, il secolo delle grandi scoperte
scientifiche. I l primo ECG è roba recente, da un paio d’anni è stato scoperto anche il
fattore scatenante della sifilide e un trattamento per curarla.» «Ah, vedo che qualcuno è
stato molto attento durante le lezioni di misteri.» Lucy sembrava sul punto di esplodere da
un momento all’altro. «Buon per te!» «E lo scorso anno Marie Curie ha ricevuto il premio
Nobel per la chimica» aggiunse il dottor Harrison.
«Bella roba! E che cosa ha scoperto subito dopo? La bomba atomica!» «A volte sei davvero
impossibile. Marie Curie ha scoperto il radio...» «Zitto!» Lucy teneva le braccia conserte sul
petto e fissava Paul con rabbia. Non si accorse affatto dell’espressione critica di Lady
Tilney.
«Puoi benissimo rimandare le tue conferenze a un altro momento! Hai-rischiato-dimorire. Puoi spiegarmi, se non ti dispiace, come potrei impedire questa catastrofe senza di
te?» A questo punto le mancò la voce. «Oppure come potrei continuare a vivere senza di
te?» «Mi spiace davvero, principessa.» Lei non poteva nemmeno immaginare quanto.
«Bah» sbuffò Lucy. «È inutile che tu assuma quell’espressione da cane bastonato.»
«Bambina mia, non serve a niente pensare a che cosa sarebbe potuto accadere» osservò
Lady Tilney scuotendo il capo, mentre aiutava il dottor Harrison a riporre gli strumenti
nella valigetta. «In fondo è andato tutto bene. Paul è stato fortunato nella sfortuna.» «I l
fatto che potesse andare peggio non significa che sia andato tutto bene!» esclamò Lucy.
«Non è andato bene niente, proprio niente!» Gli occhi le si riempirono di lacrime e a
questa vista Paul si sentì straziare il cuore. «Siamo qui da tre mesi e non abbiamo ottenuto
nulla di ciò che avevamo progettato, al contrario: abbiamo solo peggiorato le cose!
Finalmente c’eravamo impossessati di quei documenti e Paul li ha dati via senza
riflettere!» «In effetti sono stato un po’ avventato.» Paul lasciò cadere la testa sul cuscino.
«Ma in quel momento mi è sembrata la cosa giusta da fare.» Esattamente perché proprio in
quel momento si era sentito molto vicino alla morte. Non c’era mancato poi tanto e la
punta della spada di Lord Alastair avrebbe fatto il resto. Ma era meglio se taceva questo
particolare con Lucy. «Se Gideon fosse dalla nostra parte, ci sarebbe ancora una possibilità.
Non appena leggerà i documenti, scoprirà quale sia il nostro obiettivo.» Almeno lo spero.
«Ma non sappiamo neppure noi che cosa sta scritto in quei documenti! Forse sono criptati
oppure... accidenti, non sai neppure che cosa hai consegnato a Gideon» lo rimproverò
Lucy. «Lord Alastair potrebbe averti rifilato qualunque cosa: vecchie fatture, lettere
d’amore, fogli bianchi...» Anche a Paul era venuta in mente la stessa cosa, ma ormai era
cosa fatta. «A volte bisogna avere un po’ più di fiducia nelle cose» mormorò, augurandosi
che funzionasse anche per lui. Ciò che lo tormentava ancora di più del pensiero di aver
dato a Gideon documenti senza valore era l’idea che il ragazzo li consegnasse al conte di
Saint Germain. Sarebbe stato come rinunciare al loro unico asso nella manica. Ma Gideon
aveva detto di amare Gwendolyn e il modo in cui lo aveva affermato era sembrato
abbastanza... convincente.
«Me lo ha promesso» avrebbe voluto dire Paul, ma tutto quello che riuscì a pronunciare fu
un mormorio incomprensibile. E comunque sarebbe stata una bugia. Non aveva affatto
sentito la risposta di Gideon.
«L’idea di collaborare con l’Alleanza fiorentina è stata una sciocchezza» sentì dire da
Lucy. Gli si erano chiusi gli occhi. Qualunque cosa gli avesse somministrato il dottor
Harrison, stava facendo effetto molto rapidamente.
«Sì , lo so, lo so» proseguì Lucy. «È stata una mia idea. Avremmo fatto meglio a occuparci
personalmente della faccenda.» «Ma voi non siete due assassini, bambina mia» osservò
Lady Tilney.
«Che differenza c’è da un punto di vista morale tra l’uccidere di persona o dare l’ordine di
farlo?» Lucy fece un profondo respiro e, nonostante l’appassionata replica di Lady Tilney
(«Ma ragazza mia, non dire così ! Voi non avete dato l’ordine di uccidere proprio nessuno,
avete soltanto trasmesso delle
informazioni!»), di colpo sembrava
inconsolabile:
«Abbiamo sbagliato proprio tutto, dal principio alla fine, Paul. Nel giro di tre mesi
abbiamo sprecato un sacco di tempo e i soldi di Lady Margret. Inoltre abbiamo coinvolto
nella cosa troppe persone».«I
soldi sono di Lord Tilney» precisò Lady Tilney. «Ti
stupiresti di sapere dove è abituato a buttarli. Corse di cavalli e ballerine sono le spese più
innocenti; non si sarà nemmeno accorto del poco che ho messo da parte per il nostro
piano. E, anche se fosse, dovrebbe essere abbastanza gentiluomo da non farne parola.»
«Per quanto mi riguarda ci sarei rimasto molto male se non mi aveste coinvolto nella
faccenda» dichiarò il dottor Harrison compiaciuto. «Avevo giusto cominciato a trovare
la vita un po’ noiosa. Del resto non capita tutti i giorni di avere a che fare con
due viaggiatori nel tempo che provengono dal futuro e sanno un sacco di cose. E detto
tra noi: lo stile dirigenziale dei de Villiers e dei Pinkerton-Smythe obbligherebbe chiunque
a una rivolta segreta.» «Non dimentichiamoci» riprese Lady Tilney «che quell’arrogante di
un Jonathan ha minacciato sua moglie di tenerla chiusa in casa se dovesse simpatizzare
ancora con le suffragette.» Imitò una burbera voce maschile: «Di questo passo dove
andremo a finire? A dare il diritto di voto ai cani?» «Già, proprio per questo lei lo ha
minacciato di dargli uno scapaccione» disse il dottor Harrison. «È stato un ricevimento per
il tè per niente noioso quello.» «In realtà non è esatto. Ho detto solo che non ero
responsabile di ciò che avrebbe potuto fare la mia mano destra se lui avesse continuato
con quelle sue inqualificabili dichiarazioni.» «Se avesse continuato con tali idiozie, è stata
questa l’espressione che ha usato» la corresse il dottor Harrison. «Me lo ricordo bene
perché mi ha colpito molto.» Lady Tilney scoppiò a ridere e porse il braccio al dottore.
«L’accompagno alla porta, dottor Harrison.» Paul cercò di aprire gli occhi e di alzarsi per
ringraziare il dottore. Non gli riuscì né l’una né l’altra cosa. «Gna...sie» biascicò con le
ultime forze.
«Si può sapere che cosa diavolo gli ha fatto bere?» gli chiese Lucy mentre il dottore usciva.
Lui si voltò sulla porta. «Solo qualche goccia di tintura di morfina. Niente di che!» Paul
non riuscì a sentire l’esclamazione indignata di Lucy.Dagli Annali dei Guardiani 30 marzo
1916
Parola d’ordine del giorno: «Potius sero quam numquam» (Livio)
Siccome le nostre fonti segrete ci hanno informato che nei prossimi giorni Londra sarà di
nuovo obiettivo di attacchi aerei da parte di bombardieri tedeschi, abbiamo deciso di
procedere subito ad applicare il primo stadio del protocollo di sicurezza. I l cronografo
verrà collocato a tempo indeterminato nell’archivio e io, Lady Tilney e mio fratello
Jonathan trasmigreremo insieme da lì , per limitare a tre ore il tempo da utilizzare ogni
giorno. Viaggiare nel XIX secolo in quella stanza non dovrebbe creare problemi; di notte è
poco frequentata e negli Annali non c’è traccia di visitatori dal futuro, e questo lascia
supporre che la nostra presenza non sia mai stata notata.
Com’era prevedibile, Lady Tilney si è opposta all’idea di una variazione nelle sue
abitudini, e ha dichiarato testualmente di non «riuscire a trovare nessuna logica nelle
nostre argomentazioni», ma alla fine si è piegata alla decisione del nostro Gran Maestro. In
periodi di guerra sono necessarie misure speciali.
La trasmigrazione di oggi pomeriggio nell’anno 1851 si è svolta in maniera molto
piacevole, forse grazie ai pasticcini da tè che ci aveva fornito la mia premurosa consorte e
in quanto abbiamo evitato temi come il diritto di voto per le donne che in passato avevano
suscitato accesi dibattiti. Lady Tilney si è rammaricata di non poter visitare l’esposizione
mondiale di Hyde Park, ma siccome anche noi condividevamo questo sentimento il
dialogo non è sfociato in una discussione.
Subito dopo ci ha dimostrato il suo lato eccentrico proponendo come passatempo per
l’indomani di giocare a poker.
I l clima di oggi: pioggerellina leggera con una temperatura primaverile di 16 gradi.
Autore: Timothy de Villiers, cerchia interna1
La punta della spada era rivolta proprio verso il mio cuore e gli occhi del mio assassino
erano due buchi neri che minacciavano di inghiottire tutto ciò che si avvicinava a loro.
Sapevo di non avere scampo. Barcollai faticosamente all’indietro di qualche passo.
L’uomo mi seguì . «Cancellerò dalla faccia della terra ciò che non è voluto da Dio. I l tuo
sangue imbeverà la terra!» Mi vennero in mente almeno un paio di risposte argute a quella
minaccia sussurrata con voce pateticamente roca (imbevere la terra? E come?
Ma se il pavimento è piastrellato!), ma il panico mi impedì
di spiccicare parola. E
comunque quell’uomo non mi dava l’idea di essere in grado di apprezzare il mio senso
dell’umorismo in quel frangente. Anzi, quasi sicuramente non apprezzava l’umorismo in
generale.
Feci un altro passo indietro e mi ritrovai con le spalle al muro. I l mio avversario scoppiò
in una fragorosa risata. Benissimo, forse anche lui aveva un certo senso dell’umorismo,
solo diverso dal mio.
«Ora morirai, demone!» esclamò trafiggendomi il petto con la spada senza ulteriori
esitazioni.
Mi sollevai impetuosamente gridando. Ero madida di sudore e provavo un dolore al
cuore, come se qualcuno mi avesse trafitto sul serio. Che incubo orribile. Ma, del resto, di
cosa mi stupivo?
Gli avvenimenti del giorno precedente (e di quelli prima ancora) non erano certo tali da
invitare a rannicchiarsi sotto le coperte e dormire il sonno dei giusti. Era scontato che
pensieri indesiderati si insinuassero nella mia mente come voraci piante carnivore. Gideon
mi ha preso in giro.
Non mi ama.
«Probabilmente non deve muovere neppure un dito perché le fanciulle cadano ai suoi
piedi.» La voce morbida e profonda del conte di Saint Germain mi ripeteva queste parole
all’orecchio. E poi: «Non c’è niente di più prevedibile della reazione di una donna
innamorata».
Già, e come reagisce una donna innamorata quando viene a sapere di essere stata
ingannata e manipolata? Giusto: resta al telefono per ore con la sua migliore amica, per poi
starsene seduta insonne al buio chiedendosi perché mai si sia innamorata proprio di un
tipo del genere, mentre piange a dirotto sopraffatta dalla nostalgia... davvero molto
prevedibile.
Le cifre digitali sulla sveglia accanto al letto segnavano le tre e dieci, il che stava a
significare che in realtà mi ero appisolata e avevo dormito addirittura più di due ore.
Qualcuno – la mamma? – doveva essere entrato a coprirmi, perché io ricordavo soltanto di
essermi raggomitolata sul letto con le ginocchia al petto ad ascoltare i battiti troppo rapidi
del mio cuore.
Era davvero strano che un cuore spezzato fosse ancora in grado di battere.
«Mi sembra come se fosse fatto di schegge rosse appuntite che mi trafiggono da dentro e
mi fanno sanguinare!» Con queste parole avevo cercato di descrivere lo stato del mio
cuore a Leslie (ok, lo ammetto, è patetico almeno quanto il tipo ansimante nel mio sogno,
ma a volte la realtà è un po’... kitsch). Leslie mi aveva compatito dicendo: «So bene come ti
senti. Quando Max mi ha mollato, al principio ho pensato che sarei morta di dolore. Per la
precisione a causa di un blackout simultaneo di diversi organi, perché c’è qualcosa di vero
in tutti quei modi di dire: l’amore ti toglie il respiro, è come un pugno allo stomaco, spezza
il cuore, stringe il petto e... rode il fegato... ma devi ricordare che, prima di tutto, passa,
secondo, la cosa non è disperata come sembra e, terzo, il tuo cuore non è di vetro».
«Pietra, non vetro» la corressi singhiozzando. «I l mio cuore è una pietra preziosa che
Gideon ha frantumato in mille schegge, proprio come nella visione di zia Maddy.» «Certo,
detto così suona figo, invece no! In realtà i cuori sono fatti di un materiale del tutto
diverso. Puoi credermi.» Leslie si schiarì la voce e proseguì in tono gioioso, quasi mi
stesse per rivelare il più grande segreto della storia del mondo: «È un materiale molto più
robusto, indistruttibile e ogni volta riplasmabile. Creato secondo una ricetta segreta».
Un altro colpo di tosse per aumentare la tensione. Io trattenni involontariamente il fiato.
«Sono di marzapane!» esclamò.
«Marzapane?» Per un istante smisi di singhiozzare e sogghignai.
«Esatto, marzapane!» ripeté Leslie serissima. «Di quello buono, con un alto contenuto di
mandorle.» Fui quasi tentata di ridere. Ma poi mi tornò in mente che ero la ragazza più
sfortunata del mondo e allora dissi, tirando su col naso: «Se è così , allora Gideon mi ha
strappato un morso del mio cuore! E si è mangiato anche tutto il rivestimento di
cioccolato. Avresti dovuto vedere
la sua espressione quando...» Prima che potessi
ricominciare da capo, Leslie fece un sospiro esasperato.
«Gwenny, senti, mi spiace molto dirlo, ma i tuoi piagnistei sono inutili. Devi piantarla!»
«Non lo faccio apposta» le assicurai. «Mi viene spontaneo. Un attimo prima ero la ragazza
più felice del mondo e poi lui viene a dirmi che...» «E va bene, Gideon si è comportato
proprio da stronzo» si affrettò a interrompermi Leslie. «Anche se non si riesce a capire
perché. Voglio dire, pronto? Perché
le ragazze
innamorate dovrebbero essere più
facilmente manipolabili? Io direi che è l’esatto contrario. Le ragazze innamorate sono
come bombe a orologeria. Non si può mai sapere che cosa faranno. Io credo che Gideon e
il suo amico sciovinista, il conte, abbiano preso una cantonata colossale.» «Credevo
davvero che mi amasse. Sapere che era solo un gioco, è così ...» Brutto? Terribile? Mi
sembrava che non ci fosse una parola in grado di descrivere le mie emozioni.
«Ah, tesoro! Fosse per me, in altre circostanze potresti crogiolarti per settimane nella tua
infelicità. Ma ora non te lo puoi permettere. Devi conservare le energie per altre cose.
Per esempio per sopravvivere.» Leslie aveva un tono insolitamente severo. «Quindi
vedi di darti una mossa!» «Me l’ha già detto anche Xemerius. Prima di scomparire e di
lasciarmi sola.» «Quel mostriciattolo invisibile ha ragione! Dobbiamo mantenere la
calma e analizzare tutti i fatti. Bah, che puzza! Aspetta, devo aprire la finestra, Bertie
ha sganciato una delle sue
terribili scoregge anestetizzanti... cane cattivo! Dov’ero
rimasta? Sì , giusto, dobbiamo scoprire che cosa ha nascosto tuo nonno in casa vostra.» I l
tono di voce di Leslie si alzò di un’ottava. «Raphael si è dimostrato molto utile, secondo
me. Forse non è stupido come si può pensare.» «Vorresti dire come pensi tu.» Raphael era
il fratello minore di Gideon e si era trasferito nella nostra scuola di recente. Aveva
scoperto che l’indovinello lasciatomi da mio nonno in realtà era una serie di coordinate
geografiche. Che indicavano proprio casa nostra. «Mi piacerebbe davvero tanto sapere
quanto sa Raphael dei segreti dei Guardiani e dei viaggi nel tempo di Gideon.»
«Probabilmente più di quanto si potrebbe supporre» disse Leslie. «Di sicuro non si è
bevuto la mia storia che le cacce al tesoro siano all’ultimo grido qui a Londra. Però è stato
abbastanza intelligente da non fare domande.» Fece una breve pausa. «Ha due occhi
davvero belli.» «Questo sì .» I suoi occhi erano proprio belli, e questo mi ricordò che quelli
di Gideon erano identici. Verdi con lunghe ciglia scure.«Non che ne sia rimasta in qualche
modo colpita, la mia è solo una constatazione...» «Mi sono innamorato di te.» Gideon lo
aveva detto con la massima serietà, guardandomi negli occhi. E io avevo ricambiato il suo
sguardo, credendo alle sue parole! Ricominciai a piangere e quasi non sentii più ciò che
stava dicendo Leslie.
«...ma spero che si tratti di una lunga lettera, oppure una specie di diario dove tuo nonno
ti spiega tutto ciò che gli altri ti tengono nascosto, e anche qualcosa in più. In questo modo
non brancoleremmo più nel buio e potremmo elaborare un piano efficace...» Occhi come
quelli avrebbero dovuto essere vietati. Oppure bisognava promulgare una legge in base
alla quale i ragazzi con occhi così belli potevano circolare solo con gli occhiali da sole. A
meno che, per compensare, non avessero enormi orecchie a sventola o cose del genere...
«Gwenny? Ti sei rimessa a piangere?» Ora Leslie aveva assunto lo stesso tono di Mrs
Counter, la nostra professoressa di geografia, quando le dicevamo di aver dimenticato i
compiti a casa. «Tesoro, non va bene! Devi smetterla di rigirarti nel petto il coltello del
tradimento! Dobbiamo...» «...mantenere la calma! Hai ragione.» Per quanto mi costasse
fatica, cercai di scacciare dalla mente il ricordo degli occhi di Gideon e di infondere un
po’ di fiducia alla mia voce. Se non altro lo dovevo a Leslie. Dopo tutto era lei che da
giorni mi sosteneva senza se e senza ma.
Prima che riattaccasse dovevo quindi assolutamente dirle quanto fossi felice di averla
come amica. (Anche se nel farlo mi venne di nuovo da piangere, ma questa volta per la
commozione.)
«Per me è lo stesso!» mi assicurò Leslie. «Come sarebbe noiosa la mia vita senza di te!»
Quando ci salutammo era quasi mezzanotte e per qualche minuto ero riuscita a sentirmi
un po’ meglio, ma ora, alle tre e dieci, avrei tanto voluto richiamarla e ricominciare
daccapo.
Per mia natura non ero incline all’autocommiserazione, era la prima volta nella mia vita
che soffrivo per pene d’amore. Pene d’amore di quelle serie, intendo. Quelle che fanno
proprio male. Al
loro confronto
tutto
il
resto diventa
insignificante. Persino
la
sopravvivenza è secondaria. Sul serio: il pensiero della morte in quel momento non era
tanto spiacevole. In fondo non sarei stata la prima a morire di crepacuore, ma mi trovavo
in ottima compagnia: la Sirenetta, Pocahontas, Giulietta, la Signora delle Camelie,
Madama Butterfly, e adesso io, Gwendolyn Shepherd. L’aspetto positivo era che mi sarei
potuta risparmiare la scena con il pugnale (del tradimento), perché da come stavo male di
sicuro ero già stata contagiata dalla tisi e la mia morte sarebbe stata molto più pittoresca.
Sarei finita sdraiata sul mio letto, pallida e bella come Biancaneve, con i capelli sparsi sul
cuscino. Gideon si sarebbe inginocchiato accanto a me tormentato dai rimorsi per ciò che
mi aveva fatto quando gli avrei rivolto le mie ultime parole con un filo di voce...
Ma prima dovevo andare subito in bagno.
I l tè alla menta con molto zucchero e limone era una specie di panacea contro le
preoccupazioni nella nostra famiglia e io me n’ero bevuta un’intera teiera. Mia madre si
era accorta subito che c’era qualcosa che non andava appena ero entrata in casa. Del resto
non serviva un grosso intuito per farlo, visto che a forza di piangere somigliavo a un
coniglio albino. Di sicuro non mi avrebbe creduto se le avessi raccontato che durante il
tragitto dal quartier generale dei Guardiani fino a casa con la limousine avevo dovuto
pelare delle cipolle, come mi aveva suggerito di dire Xemerius.
«Quei maledetti Guardiani ti hanno fatto qualcosa? Che cosa è successo?» mi aveva
chiesto ed era riuscita nell’impresa impossibile di assumere un’espressione carica di
compassione e di collera nello stesso momento. «Ucciderò Falk se...» «Nessuno mi ha fatto
niente, mamma» mi ero affrettata a tranquillizzarla. «E non è successo niente.» «Come no!
Perché non le hai detto delle cipolle? Non mi stai mai ad ascoltare.» Xemerius aveva
battuto una zampa per terra. Era il piccolo demone di un doccione in pietra con grandi
orecchie, ali da pipistrello, una lunga coda da drago ricoperta di squame e due piccole
corna su un muso da gatto. Purtroppo non era così tenero come sembrava e purtroppo ero
l’unica a poter sentire i suoi commenti sfacciati e rispondergli come si meritava. I l fatto
che vedessi demoni di doccioni e altri fantasmi e riuscissi a parlarci fin da piccola era una
delle bizzarre qualità con cui dovevo convivere. L’altra era ancora più stramba e io stessa
la conoscevo solo da due settimane – per la precisione che appartenevo a un cerchio
(segreto!) di dodici viaggiatori nel tempo e che ogni giorno dovevo saltare da qualche
parte nel passato per qualche ora. In realtà la maledizione, pardon, il dono, di saper
viaggiare nel tempo avrebbe dovuto ereditarlo mia cugina Charlotte, molto più adatta di
me a tale scopo, ma alla fine era emerso che la sfortunata ero io. La cosa non avrebbe
dovuto sorprendermi a priori, in quanto ero sempre stata io a pescare, per così dire,
l’Uomo Nero come nel giro delle carte. Quando c’era da fare i regali di Natale, era a me
che capitava il foglietto con il nome della maestra (mi sapete dire che cosa si regala alla
propria maestra?), quando avevo i biglietti per un concerto, era matematico che mi sarei
ammalata (come accadeva spesso anche durante le vacanze), e quando volevo essere
particolarmente carina mi spuntava un foruncolo sulla fronte, grosso quanto un terzo
occhio. Certo, a prima vista non si possono paragonare i viaggi nel tempo con i foruncoli e
potrebbero sembrare anche qualcosa di invidiabile e divertente, ma non è così . Sono
molto fastidiosi, irritanti e pericolosi. Inoltre, non bisogna dimenticare che, se non avessi
ereditato questo stupido dono, non avrei mai incontrato Gideon, vale a dire che il mio
cuore – che fosse di marzapane o no – in quel momento sarebbe stato ancora intatto.
Quello stronzo apparteneva a sua volta al cerchio dei dodici viaggiatori nel tempo. Era
uno dei pochi ancora in vita. Gli altri si potevano incontrare solo nel passato.
«Hai pianto» aveva constatato mia madre in tono pragmatico.
«Ben ti sta» aveva esclamato Xemerius. «Ora ti spremerà come un limone e non ti
perderà più d’occhio nemmeno per un istante, così per stanotte potremo scordarci la
caccia al tesoro.» Gli avevo fatto una linguaccia, per fargli capire che tanto quella notte
non avrei avuto nessuna voglia di andare a caccia di tesori. Ma sì , di nascosto, proprio
come si fa con gli amici invisibili quando non si vuole passare per pazzi perché si parla
con il vuoto.
«Di’ che hai voluto provare lo spray al peperoncino e per sbaglio te lo sei spruzzato negli
occhi» aveva gracchiato il vuoto.
Io però mi sentivo troppo sfinita per mentire. Avevo guardato la mamma con gli occhi
arrossati di pianto e avevo tentato la strada della verità.
Con qualche omissione. «È solo... non sto bene, perché... una faccenda da ragazze,
capisci?» «Ah, tesoro...» «Una telefonata a Leslie mi farà sentire meglio.» Con grande
sorpresa mia e di Xemerius la mamma si era accontentata di questa spiegazione. Mi aveva
preparato il tè, me lo aveva portato in camera insieme alla mia tazza a pois preferita, mi
aveva accarezzato la testa e poi mi aveva lasciato in pace. Aveva rinunciato persino alle
solite indicazioni d’orario («Gwen! Sono le dieci passate, sei al telefono da quaranta
minuti! Vi vedete domani a scuola!»). A volte era davvero la mamma più brava del
mondo.
Con un sospiro gettai le gambe oltre il bordo del letto e trotterellai verso il bagno. Fui
accarezzata da un alito d’aria fredda.
«Xemerius? Sei tu?» domandai sottovoce cercando a tentoni l’interruttore della luce.
«Dipende.» Xemerius era appeso a testa in giù al lampadario del corridoio e sbatté gli
occhi accecato dalla luce. «Promettimi che non ti trasformerai di nuovo in una fontana da
camera!» piagnucolò con voce stridula facendo un’imitazione purtroppo azzeccata di me.
«E poi ha detto che non avevo idea che cosa parlassi, e poi ho detto sì oppure no, e quindi
ha detto, sì, ma per favore smettila di piangere...» Fece un sospiro teatrale. «Le ragazze
sono davvero il genere umano più stressante che esista. Subito dopo i bancari in pensione,
le commesse delle mercerie e i presidenti delle unioni giardini.»«Non posso assicurarti
niente» bisbigliai per non svegliare il resto della famiglia. «Consiglierei di non parlare di
tu-sai-chi, altrimenti... ecco... la fontana potrebbe riaprirsi.» «Guarda, non riesco più
nemmeno a sentire il suo nome. Vogliamo fare qualcosa di ragionevole, finalmente? Per
esempio andare a cercare un tesoro?» Dormire forse sarebbe stato ragionevole, ma
purtroppo ero perfettamente sveglia. «Per quanto mi riguarda possiamo cominciare a
cercare. Ma prima vado a svuotare il tè.» «Eh?» Indicai la porta del bagno.
«Ah, ho capito» disse Xemerius. «Ti aspetterò qui.» Guardandomi allo specchio del bagno
mi trovai in condizioni migliori di quanto mi aspettassi. Purtroppo nemmeno una traccia
di tisi. Soltanto le palpebre un po’ gonfie, come se mi fossi applicata uno strato troppo
spesso di ombretto rosa.
«Dove sei stato tutto questo tempo, Xemerius?» domandai tornando in corridoio. «Non
sarai mica andato da...?» «Da chi?» Xemerius assunse un’espressione offesa. «Mi stai forse
chiedendo di colui che non può essere nominato?» «Hmmm, sì .» Morivo dalla voglia di
sapere che cosa avesse fatto Gideon quella sera. Come stava la ferita al braccio? Aveva
forse parlato di me con qualcuno? Della serie: «È stato tutto un equivoco. È naturale che
amo Gw endolyn. Non ho mai finto con lei».
«No, no, non ci casco.» Xemerius spiegò le ali e svolazzò sul pavimento. Accovacciato
davanti a me mi arrivava appena al ginocchio. «In realtà non sono nemmeno stato via. Ho
dato un’occhiata accurata qui dentro casa. Se c’è qualcuno che può trovare un tesoro,
quello sono io. Se non altro perché nessuno di voi è in grado di attraversare i muri.
Oppure di rovistare nei cassetti del comò di tua nonna senza essere scoperto.»
«L’invisibilità avrà pure i suoi vantaggi» osservai rinunciando a precisare che Xemerius
non era affatto in grado di rovistare, perché con i suoi artigli da fantasma non poteva
neppure aprire un cassetto. Nessuno degli spettri che avevo conosciuto finora era capace
di muovere oggetti. La maggior parte di essi non sapeva produrre neppure una ventata
fredda. «Sai che non cerchiamo un tesoro, bensì soltanto un indizio di mio nonno che
possa aiutarci ad andare avanti, vero?» «Questa casa è piena di cianfrusaglie da caccia al
tesoro. Per non parlare di tutti i possibili nascondigli» proseguì Xemerius indisturbato. «I
muri al primo piano, per esempio, hanno delle intercapedini che formano corridoi
decisamente non adatti per persone grasse, visto quanto sono stretti.» «Sul serio?» Non
avevo ancora scoperto nessuno di questi corridoi. «E come ci si entra?» «Di solito nelle
stanze ci sono porte ormai rivestite di tappezzeria, però è rimasto un accesso nell’armadio
a muro di tua nonna e un altro dietro l’orribile buffet in sala da pranzo. E in biblioteca c’è
la classica parete girevole. Tra l’altro, sempre dalla biblioteca, si può accedere alla scala che
porta all’appartamento di Mr Bernhard e a un’altra che sale al primo piano.» «Questo
spiegherebbe come faccia Mr Bernhard a spuntare sempre dal nulla» mormorai.
«Ma non è tutto: nella grande canna fumaria sulla parete adiacente al numero 83 c’è una
scala che permette di salire fino al tetto. Dalla cucina non si può più accedere alla canna
fumaria, perché il camino è murato, ma nell’armadio a muro in fondo al corridoio del
pianterreno c’è una botola, abbastanza grande per Babbo Natale. Oppure per il vostro
inquietante maggiordomo.» «Oppure per lo spazzacamino.» «Non ti dico poi in cantina!»
Xemerius fece finta di non aver sentito la mia osservazione. «Chissà se i vostri vicini sanno
che esiste una porta segreta che dà accesso a casa loro? E che sotto la loro cantina ne esiste
un’altra? C’è da dire che non bisogna avere paura dei ragni se si vuole andare a cercare
qualcosa là sotto.» «Allora direi di cominciare le ricerche da un’altra parte» tagliai corto,
dimenticando di tenere la voce bassa.
«Certo, se sapessimo che cosa cercare sarebbe più facile.» Xemerius si grattò il mento
con una delle zampe posteriori. «Così potrebbe trattarsi di qualunque cosa: il coccodrillo
impagliato nel sottotetto, la bottiglia di scotch dietro i libri in biblioteca, il plico di lettere
nello scomparto segreto dello scrittoio della tua prozia, la cassa nascosta in un vano tra i
mattoni...» «Una cassa nascosta nel muro?» lo interruppi. E che cos’era la storia della
cantina?
Xemerius annuì . «Oh, credo che tu abbia svegliato tuo fratello.» Mi voltai di scatto. Mio
fratello dodicenne Nick era sulla porta della sua camera e si passava le mani tra i capelli
rossi spettinati. «Con chi stai parlando, Gwenny?» «È notte fonda» bisbigliai. «Torna a
dormire, Nick.» Nick mi guardò interdetto, e io lo vidi risvegliarsi di botto. «Che cos’è la
storia della cassa nascosta nel muro?» «Io... volevo andarla a cercare, ma credo che sia
meglio aspettare che faccia giorno.» «Ma che dici!» esclamò Xemerius. «Io al buio ci vedo
come... diciamo un gufo. E poi non ti sarà facile frugare dentro casa quando sono tutti
svegli. A meno che tu non voglia più compagnia ancora.» «Io ho una torcia» disse Nick.
«Che cosa c’è nella cassa?» «Non lo so di preciso.» Mi soffermai un istante a riflettere.
«Probabilmente qualcosa appartenuto al nonno.» «Oh» esclamò Nick interessato. «E dove
sarebbe nascosta questa cassa?» Rivolsi un’occhiata interrogativa a Xemerius.
«L’ho vista murata nel passaggio segreto dietro il ritratto dell’uomo grasso e barbuto a
cavallo» rispose lui. «Ma chi potrebbe nascondere segreti... hmmm... tesori in una banale
cassa? I l coccodrillo sarebbe molto più esaltante. Chissà con che cosa è stato imbottito. Io
direi di aprirlo.» Siccome avevo già avuto modo di fare conoscenza con il coccodrillo,
l’idea non mi esaltava. «Per prima cosa guarderemo nella cassa. Un nascondiglio nel muro
non suona tanto male.» «Che noiaaa!» protestò Xemerius. «Probabilmente uno dei tuoi
antenati c’ha nascosto il suo tabacco da pipa... oppure...» Evidentemente gli era venuta
un’idea che lo esaltò di punto in bianco. «...oppure il cadavere fatto a pezzi di una
cameriera maleducata!» «La cassa si trova nel passaggio segreto dietro il ritratto del propro-prozio Hugh» spiegai a Nick. «Ma...» «Vado subito a prendere la torcia!» Mio fratello
si era già voltato.
Sospirai.
«Che cosa hai da sospirare di nuovo?» Xemerius alzò gli occhi al cielo. «Che male c’è se
viene anche lui?» Spiegò le ali. «Faccio un giro veloce e controllo che il resto della
famiglia dorma ancora. Non vorremo certo farci sorprendere dalla zia col naso aquilino
quando troveremo i diamanti.» «Quali diamanti?» «Pensa positivo!» Xemerius si era già
alzato in volo. «Che cosa preferiresti? Dei diamanti o i resti putrefatti della cameriera
maleducata? È tutta questione di aspettative. Ci vediamo davanti allo zio grassone sul
ronzino.»«Stavi parlando con un fantasma?» Nick era rispuntato alle mie spalle, spense la
luce in corridoio e al suo posto accese la torcia.
Feci cenno di sì . Nick non aveva mai messo in dubbio che io fossi in grado di vedere i
fantasmi, al contrario. Già quando aveva quattro anni (all’epoca io ne avevo otto) mi
difendeva a spada tratta quando qualcuno non voleva credermi. Come zia Glenda, per
esempio. Tutte le volte che andavamo da Harrods insieme, finivamo per litigare quando
mi
fermavo a scambiare due chiacchiere con Mr Grizzle,
il simpatico portiere
in
uniforme. Siccome Mr Grizzle era morto da cinquant’anni, nessuno riusciva a capire
perché di colpo mi fermassi e cominciassi a parlare dei Windsor (Mr Grizzle era un
fervente suddito della regina) e del clima troppo umido di giugno (il tempo era il secondo
argomento preferito di Mr Grizzle). C’era chi scoppiava a ridere, chi trovava «divina»
la fantasia dei bambini (e in genere sottolineava questa idea scompigliandomi i
capelli), qualcuno si limitava a scrollare il capo, ma nessuno si irritava quanto zia Glenda.
Molto imbarazzata, mi strattonava via, mi rimproverava quando io piantavo i piedi per
terra, diceva che dovevo prendere esempio da Charlotte (all’epoca già tanto perfetta che
non le si spostava neppure una molletta per i capelli), e – cosa peggiore di tutte – mi
minacciava di togliermi il dessert. Ma sebbene mettesse in atto le sue minacce (e io ero una
patita di dessert di tutti i tipi, persino la composta di prugne) non ci riuscivo proprio a
passare davanti a Mr Grizzle senza rivolgergli la parola. Tutte le volte Nick cercava di
aiutarmi, implorando zia Glenda di lasciarmi andare, altrimenti il povero Mr Grizzle non
avrebbe avuto nessun altro con cui parlare, e tutte le volte zia Glenda lo metteva
abilmente fuori gioco dicendogli con voce zuccherina: «Mio piccolo Nick, quando ti
deciderai a capire che tua sorella lo fa solo per darsi importanza? I fantasmi non esistono!
Tu ne vedi forse qualcuno?» Nick a quel punto doveva sempre scuotere la testa
scoraggiato e zia Glenda poteva sorridere trionfante. I l giorno in cui decise di non portarci
mai più insieme a lei da Harrods, Nick aveva sorprendentemente cambiato tattica. Piccolo
e paffuto come era (ah, quant’era tenero da piccolo e com’era buffa la sua parlata blesa!), si
era drizzato in tutta la sua statura davanti a zia Glenda e aveva esclamato: «Sai che cosa
mi ha appena detto Mr Grizzle, zia Glenda? Ha detto che sei una strega cattiva e
pesuntosa!» Naturalmente Mr Grizzle non aveva detto niente del genere (era troppo
educato per farlo e zia Glenda era una cliente troppo preziosa), ma mia madre aveva
espresso un’opinione analoga la sera prima. Zia Glenda aveva stretto le labbra e si era
allontanata impettita prendendo per mano Charlotte. A casa era scoppiato un litigio
piuttosto violento con mia madre (la mamma era imbufalita perché avevamo dovuto
trovare da soli la strada di casa e zia Glenda aveva dedotto senza indugi che l’espressione
strega pesuntosa era uscita dalla bocca della sorella) e alla fine della fiera non avevamo più
potuto andare a fare compere con zia Glenda. L’aggettivo pesuntoso, invece, continuiamo
a usarlo volentieri anche oggi.
Crescendo, smisi di raccontare a tutti che potevo vedere cose che per gli altri erano
invisibili. È la cosa più saggia da fare se non si vuole essere presi per pazzi. Gli unici con
cui non avevo bisogno di mentire erano Leslie e i miei fratelli, perché mi credevano. Della
mamma e della prozia Maddy non ero tanto sicura, ma se non altro non si erano mai
prese gioco di me. Siccome zia Maddy di tanto in tanto era assalita da inspiegabili
visioni, sapeva benissimo che cosa si provava a non essere creduti.
«È simpatico?» bisbigliò Nick. I l fascio di luce della sua torcia rimbalzava sui gradini.
«Chi?» «Ma il fantasma.» «Abbastanza» mormorai incerta.
«Che aspetto ha?» «È carino, ma crede di essere pericoloso.» Mentre scendevamo in punta
di piedi al secondo piano dove alloggiavano zia Glenda e Charlotte, provai a descrivere
Xemerius meglio che potevo.
«Forte!» sussurrò Nick. «Un animale domestico invisibile. Che invidia mi fai!» «Ma che
animale domestico! Non dirlo più in presenza di Xemerius.» Avrei quasi sperato di sentire
mia cugina che russava oltre la porta della camera, ma naturalmente Charlotte non
russava. Le persone perfette non emettono rumori molesti nel sonno. Pesuntose.
Metà rampa più in basso, mio fratello sbadigliò e io fui assalita dai sensi di colpa.
«Stammi a sentire, Nick, sono le tre e mezzo di notte e domani devi andare a scuola. La
mamma mi ucciderà se scopre che ti ho tenuto sveglio.» «Non sono affatto stanco! E tu sei
cattiva se vai avanti senza di me! Che cosa ha nascosto il nonno?» «Non ne ho idea. Forse
un libro in cui mi spiega tutto. Oppure almeno la lettera. I l nonno era Gran Maestro dei
Guardiani. Sapeva della mia esistenza ed era a conoscenza di questa storia di viaggi nel
tempo e sapeva pure che non era Charlotte ad aver ereditato
il gene.
Infatti
l’ho
incontrato di persona nel passato e gli ho raccontato tutto quanto.» «Beata te» mormorò
Nick, aggiungendo in tono quasi colpevole: «In tutta sincerità non riesco a ricordarmi di
lui. So solo che era sempre di buon umore e per niente severo, l’esatto contrario della
nonna. Inoltre aveva un odore di caramello e di qualcosa di buffo e speziato.» «Era l’odore
del suo tabacco da pipa. Attenzione!» Riuscii a fermare Nick appena in tempo. Nel
frattempo avevamo superato il secondo piano e, nella rampa di scale successiva c’erano
alcuni gradini che scricchiolavano da far paura. Anni di pratica nello sgattaiolare di
nascosto in cucina erano pur serviti a qualcosa. Oltrepassammo i punti critici e finalmente
raggiungemmo il ritratto del pro-pro-prozio Hugh.
«Ok. Ci siamo!» Nick illuminò la faccia del nostro antenato con la torcia. «Non è giusto che
chiamasse il suo cavallo Fat Annie! È un animale tutto pelle e ossa mentre lui sembra un
porcellino con la barba!» «Sì , hai ragione.» Tastai dietro la cornice per cercare la leva che
sbloccava la porta segreta. Come al solito era un po’ dura.
«Dormono tutti come bebè.» Xemerius atterrò frusciando accanto a noi sui gradini. «Tutti
tranne Mr Bernhard. Evidentemente soffre di insonnia.
Ma non c’è da preoccuparsi, non ci intralcerà: si è sistemato in cucina con un piatto di
arrosto freddo a guardare un film con Clint Eastwood.» «Molto bene.» I l ritratto ruotò
in avanti con il solito cigolio, mostrando l’accesso ad alcuni gradini tra le pareti che a
pochi metri di distanza finivano contro un’altra porta. Questa dava sulla stanza da bagno
del primo piano dov’era camuffata dietro uno specchio a parete. In passato ci divertivamo
ad attraversare quel passaggio segreto (l’eccitazione stava nel fatto che non si poteva mai
sapere se il bagno era occupato), ma a che cosa servisse davvero nessuno di noi l’aveva
ancora scoperto. Forse a qualcuno dei nostri antenati piaceva sapere di potersi eclissare da
un posticino tranquillo ogni volta che voleva.
«Dov’è la cassa, Xemerius?» domandai.
«A scinistra, nel muro.» Non riuscivo a vederlo al buio, ma da come parlava sembrava che
tenesse qualcosa in bocca.
«Xemerius è un vero scioglilingua» disse Nick. «Io lo chiamerei Xemi. Oppure Merry.
Posso prendere io la cassa?» «È a sinistra» dissi.
«Scioglilingua sciarai tu» disse Xemerius. «Xscemi o Merry – ti piacerebbe, vero? I miei
antenati erano potenti demoni e il nostro nome...» «Dimmi un po’, che cosa hai in bocca?»
Xemerius sputò e schioccò la lingua. «Ora niente. Mi sono divorato quel piccione che
dormiva sul tetto. Mannaggia alle penne.» «Ma tu non puoi mangiare!» «Ma sentitela, non
sa niente e sputa sentenze» disse Xemerius offeso. «E non mi offre neppure un
piccioncino.» «Tu non puoi mangiare un piccione» ripetei. «Sei un fantasma.»«Io sono un
demone. Posso mangiare tutto quello che mi va! Una volta ho mangiato addirittura un
parroco tutto intero. Con tanto di sottana e colletto inamidato. Perché mi guardi con
quell’aria incredula?» «Piuttosto fa’ attenzione che non arrivi nessuno.» «Ehi, non mi
credi?» Nick aveva già sceso i gradini e illuminava il muro con la torcia. «Non vedo
niente.» «La cassa è dietro i mattoni. In una buca segreta, testa vuota» disse Xemerius. «E
io non dico bugie! Se ti dico che ho mangiato un piccione, significa che ho mangiato un
piccione.» «È in una buca segreta dietro i mattoni» riferii a Nick.
«Non ce n’è nessuno che sembri allentato.» I l mio fratellino si era inginocchiato per terra e
tastava i mattoni del muro con le mani.
«Pronto? Sto parlando con te!» esclamò Xemerius. «Fai forse finta di niente,
piagnucolona?» Vedendo che non rispondevo, gridò: «E va bene, era un piccione
fantasma! Però vale lo stesso».
«Un piccione fantasma, ma fammi il piacere. Anche se esistessero – e io non ne ho ancora
mai visti – tu non potresti comunque mangiarli: i fantasmi non possono uccidersi tra loro.»
«Questi mattoni sono tutti bloccati» dichiarò Nick.
Xemerius sbuffò irritato. «T anto per cominciare, anche i piccioni possono decidere di
tanto in tanto di restare sulla terra come fantasmi, va’ a capire perché. Forse hanno ancora
un conto
in sospeso con un gatto. E, secondariamente, spiegami come
faresti a
distinguere un piccione fantasma da tutti gli altri! T erzo, se lo mangio, la sua vita di
fantasma finisce. Perché io non sono un fantasma comune, bensì – non so quante volte te
l’ho già ripetuto – sono un demone. Può darsi che non abbia molti poteri nel vostro
mondo, ma nel mondo degli spiriti conto parecchio. Quando ti deciderai a capirlo?» Nick
tornò ad accucciarsi e spinse di nuovo la parete qua e là. «No, niente da fare.» «Ssshh!
Smettila di fare tutto questo rumore.» Sfilai la testa dal passaggio segreto e lanciai
un’occhiata risentita a Xemerius. «Allora, grande demone, come facciamo adesso?» «Che
cosa c’è? Chi ha mai parlato di mattoni allentati?» «Allora come facciamo a toglierli?» La
risposta «con martello e scalpello» fu davvero illuminante. L’unico problema era che non
fu Xemerius a pronunciarla, bensì Mr Bernhard.
Rimasi paralizzata per lo spavento. Me lo vidi a meno di un metro da me. Nella penombra
vidi luccicare i suoi occhiali da gufo con la montatura d’oro. E i suoi denti. Possibile che
stesse sorridendo?
«Ah, merda!» Per lo spavento Xemerius gettò un fiotto d’acqua sulla scala. «Deve aver
inalato l’arrosto. Oppure il film era una schifezza. Non ci si può più fidare di Clint
Eastwood.» Io purtroppo non fui in grado di balbettare altro se non: «Co-come?»
«Martello
e
scalpello
sarebbero
la
soluzione
giusta»
ripeté Mr
Bernhard
imperturbabile. «Tuttavia le consiglierei di rimandare a più tardi quest’impresa.
Prima di tutto per non disturbare il riposo notturno degli altri abitanti della casa, quando
tirerete fuori la cassa dal nascondiglio. Ah, vedo che c’è anche il padroncino Nick.»
Guardò il fascio di luce della torcia di Nick senza batter ciglio. «A piedi scalzi! Si
prenderà un raffreddore.» Da parte sua, il nostro maggiordomo sfoggiava un paio di
pantofole e un’elegante vestaglia da camera con ricamato il monogramma W.B. (Walter?
Willy? Wigand? Per me Mr Bernhard era sempre stato un uomo senza nome.)
«Come fa a sapere che cerchiamo una cassa?» domandò Nick. I l suo tono di voce era
sfacciato, ma i suoi occhi sgranati mi lasciavano capire che era spaventato e sbigottito
almeno quanto me.
Mr Bernhard si raddrizzò gli occhiali. «Ecco, forse perché ho murato personalmente
questa... hmmm... cassa lì dentro. Si tratta di un baule con preziosi intarsi, un pezzo
d’antiquariato dell’inizio del XVI I I secolo, appartenuto a vostro nonno.» «E che cosa
contiene?» domandai, ritrovando finalmente la parola.
Mr Bernhard mi rivolse un’occhiata carica di biasimo. «Naturalmente non mi competeva
chiederlo. Mi sono limitato a collocare il baule su richiesta di vostro nonno.» «Questo
qui non mi convince» commentò Xemerius sospettoso. «Di solito è sempre pronto a
ficcare il suo naso curioso dappertutto. E poi viene qui di soppiatto mentre lo credevamo
al sicuro davanti al suo bel piatto di arrosto. Ma è tutta colpa tua, brutta fontana incredula
che non sei altro! Se non mi avessi accusato ingiustamente di mentire, ora questo vecchio
insonne non ci avrebbe colto di sorpresa.» «Ovviamente l’aiuto volentieri a recuperare il
baule da lì dentro» proseguì Mr Bernhard. «Preferibilmente però stasera, quando vostra
nonna e vostra zia saranno alla riunione delle dame del Rotary Club. Per questo ora
suggerirei di tornare tutti quanti a letto, visto che domani dovete andare a scuola.» «Certo,
come no, così nel frattempo lui si porta via tutto» obiettò Xemerius. «Sgraffigna i diamanti
e al loro posto mette qualche noce ammuffita.
Conosco il tipo.» «Che assurdità» mormorai. Se Mr Bernhard avesse voluto ingannarci,
avrebbe potuto farlo molto prima, dal momento che era l’unico a conoscenza della
cassa. Che cosa diavolo poteva contenere, che il nonno l’aveva murata addirittura dentro
casa sua?
«Perché vuole aiutarci?» chiese Nick, formulando in maniera schietta e sfrontata la
domanda che anch’io avevo sulla punta della lingua.
«Perché sono bravo con martello e scalpello» rispose Mr Bernhard. Poi aggiunse sottovoce:
«E perché purtroppo vostro nonno non può essere qui per sostenere Miss Gwendolyn».
Di colpo provai di nuovo quel nodo in gola e ricacciai indietro le lacrime. «Grazie»
mormorai.
«Non esulti troppo presto. La chiave del baule... è andata persa. Non so se avrò il
coraggio di maltrattare quel pezzo d’antiquariato con un grimaldello.» Mr Bernhard
sospirò.
«Significa che non ha intenzione di dire niente alla mamma e a Lady Arisa?» chiese ancora
Nick.
«Non lo farò, se andrete subito a letto.» Vidi di nuovo brillare i suoi denti nella penombra,
prima che si girasse e risalisse le scale. «Buonanotte.
Cercate di dormire almeno un po’.» «Buonanotte, Mr Bernhard» mormorammo io e Nick.
«Vecchio farabutto» disse Xemerius. «Non credere che ti perderò di vista!»I l cerchio di
sangue giunge a conclusione, la pietra è dell’eterno realizzazione.
La veste della gioventù si accresce di nuova energia, che dà potere immortale a colui che
porta la magia.
Ma, attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà il destino di quanto è terreno si
compirà.
La gioventù si scioglie, la quercia è condannata a decomporsi in quest’epoca buia e odiata.
Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella, l’aquila raggiungerà per sempre la sua
meta più bella.
Sappi dunque, una stella si consuma per amore, se sceglie liberamente di struggersi il
cuore.
Dagli scritti segreti del conte di Saint Germain2
«Allora?» La nostra compagna di classe Cynthia ci bloccò l’accesso al primo piano
parandosi davanti a noi con le mani sui fianchi. Gli studenti costretti a incunearsi alla
nostra destra e alla nostra sinistra protestavano per l’intoppo. Cynthia non batteva ciglio.
Con aria truce si attorcigliava tra le dita l’orribile cravatta che faceva parte dell’uniforme
scolastica della Saint Lennox. «Come saranno i vostri costumi?» Mancavano pochi giorni
al suo compleanno ed eravamo state invitate alla sua festa in costume.
Leslie scrollò il capo spazientita. «Sai che stai diventando sempre più stramba, Cyn? Sei
sempre stata un po’ fuori di testa, ma negli ultimi tempi la cosa è peggiorata. Non si
chiede agli invitati come si vestiranno per la propria festa!» «Esatto! Così
rischi di
festeggiare da sola, alla fine.» Cercai di oltrepassare Cynthia di lato, ma lei protese
fulminea la mano e mi afferrò il braccio.
«Tutte le volte invento i titoli più interessanti, e poi spuntano sempre dei
guastafeste che non li rispettano» disse. «Mi ricordo ancora il Carnevale degli animali
e quelli che si sono presentati con una piuma nei capelli sostenevano di essere travestiti da
pollo! Esatto, Gwenny, fai bene ad assumere quell’aria colpevole. Ricordo ancora di chi fu
l’idea.» «Non tutti hanno una madre che per hobby costruisce maschere da elefanti di
cartapesta» intervenne Leslie mentre io mormoravo di pessimo umore: «Dobbiamo
andare.» Mi astenni dall’aggiungere quanto poco mi fregasse della festa di Cynthia in quel
momento. T anto ero sicura che mi si leggesse in faccia.
La stretta sul mio braccio diventò ancora più forte. «E che dire della festa Barbie sulla
spiaggia?» Al ricordo di quella festa Cynthia venne assalita da un brivido lungo la
schiena – del tutto legittimo, tra parentesi – e fece un profondo respiro. «Stavolta
voglio andare sul sicuro.
Verdeggia così verde è un tema meraviglioso e non permetterò a nessuno di rovinarlo. Per
capirci bene: non bastano smalto verde o una sciarpa verde.» «Ti andrebbe bene se ti
facessi un occhio nero?» ringhiai. «Per la festa sarà diventato di sicuro verde.» Cynthia
finse di non avermi sentito. «Io per esempio mi vestirò come la fioraia vittoriana
Elisa Doolittle. Sarah ha un geniale costume da peperone, anche se non so bene come
farà nel caso dovesse andare al bagno. Gordon verrà travestito da prato fiorito, ricoperto
da capo a piedi di prato sintetico.» «Cyn...» Purtroppo non c’era verso di schiodarla da lì .
«E Charlotte si farà cucire un vestito apposta da una sarta. Ma il suo travestimento è
ancora un segreto. Vero, Charlotte?» Mia cugina Charlotte, incuneata tra gli studenti di
quinta, cercava di restare ferma, ma veniva sospinta implacabilmente su per la scala
dalla moltitudine inarrestabile. «Diciamo solo che non è poi così difficile da indovinare.
Un solo indizio: tulle in sette diverse tonalità di verde. E sarò accompagnata da re
Oberon.» Queste ultime parole fu costretta a gridarle girando la testa all’indietro. Mi
lanciò un’occhiata e mi sorrise in maniera strana. Lo aveva già fatto a colazione. Io ero
stata sul punto di lanciarle un pomodoro.
«E brava Charlotte» disse Cynthia soddisfatta. «Verrà in verde e con un accompagnatore
maschile. Sono gli invitati che preferisco.» Non era possibile che l’accompagnatore
maschile di Charlotte fosse... no, lo escludevo. Gideon non si sarebbe mai messo un paio di
orecchie a punta. Oppure sì? Seguii Charlotte con lo sguardo. Anche in mezzo alla ressa si
muoveva come una regina. Aveva raccolto la sua chioma rossa e scintillante in una specie
di treccia in stile retrò e le ragazzine delle classi inferiori la fissavano con quel misto di
disprezzo e meraviglia che solo un’autentica invidia poteva causare. Con molta probabilità
l’indomani il cortile della scuola sarebbe stato pieno di acconciature simili.
«Ve lo chiedo di nuovo: come e con chi verrete?» domandò Cynthia.
«Vestite da marziane, o eccelsa festeggiata» rispose Leslie con un sospiro rassegnato. «E
chi ci accompagnerà sarà una sorpresa.» «Oh, d’accordo.» Cynthia mi lasciò il braccio.
«Marziane. Non bello, ma originale. Guai a voi se ci ripensate.» Senza salutarci si diresse
verso la vittima successiva. «Katie! Ciao! Fermati! Devo parlarti della mia festa!»
«Marziane?» ripetei mentre per abitudine giravo lo sguardo verso la nicchia dove di solito
stava James, il fantasma della scuola. Quella mattina però la trovai vuota.
«Dovevamo pur liberarci di lei» commentò Leslie. «Una festa! Pfui, a chi interessa una
cosa del genere?» «Ho sentito bene, c’è una festa? Vengo anch’io.» Raphael, il fratello di
Gideon, era spuntato alle nostre spalle e con la massima naturalezza si spinse in mezzo a
noi, prendendo sottobraccio me e cingendo Leslie in vita. Aveva annodato la cravatta in
modo davvero singolare. In realtà si era limitato a fare un doppio nodo. «E io che pensavo
già che agli inglesi non piacessero le feste. Basta pensare agli orari di chiusura dei pub.»
Leslie si staccò con forza da lui. «Purtroppo devo deluderti. L’annuale festa in costume
di Cynthia non ha niente a che fare con una festa. A meno che non ti piacciano le feste
dove i genitori sorvegliano il buffet per evitare che qualcuno versi qualche alcolico nelle
bevande oppure nel dessert.» «È vero, ma in compenso fanno sempre giochi
divertentissimi con noi» obiettai in difesa dei genitori di Cynthia. «E di solito sono anche
gli unici che ballano.» Lanciai un’occhiata in tralice a Raphael e distolsi subito lo
sguardo, perché somigliava tanto a suo fratello. «Sinceramente mi meraviglia che Cyn
non ti abbia ancora invitato.» «In realtà l’ha fatto» sospirò Raphael. «Le ho risposto
che purtroppo avevo già un impegno. Detesto le feste a tema con obbligo di
travestimento. Ma se avessi saputo che c’eravate anche voi due...» Stavo per offrirmi di
annodargli la cravatta in maniera più decente (a tale proposito il regolamento scolastico
era alquanto severo), quando lui posò di nuovo il braccio intorno alla vita di Leslie e disse
allegramente: «Hai raccontato a Gwendolyn che abbiamo localizzato il tesoro della sua
caccia al tesoro? Lo ha già trovato?» «Sì» rispose Leslie brusca. Mi accorsi che stavolta non
tentò di liberarsi.
«E come va avanti il gioco, mignonne?» «Veramente non si tratta di...» intervenni per
correggerlo, ma Leslie mi interruppe.
«Mi spiace molto, Raphael, ma non puoi continuare a giocare con noi» disse freddamente.
«Come, scusa? Ma non lo trovo giusto!» Nemmeno io lo trovavo giusto. Dopo tutto non
si trattava di un gioco dal quale potevamo escludere il povero Raphael. «Leslie intende
dire semplicemente che...» Leslie mi interruppe di nuovo. «Già, la vita spesso è ingiusta»
disse se possibile in tono ancora più distaccato. «Devi ringraziare tuo fratello perquesto.
Come sai di certo, in questo gioco apparteniamo a squadre diverse. E non possiamo
rischiare che tu dia delle informazioni a Gideon.
Che, detto per inciso, è un colossale s... non è una persona troppo simpatica.» «Leslie!»
Aveva perso del tutto la ragione?
«Pardon? Questa caccia al tesoro ha forse qualcosa a che fare con mio fratello e i viaggi nel
tempo?» Raphael si era staccato da entrambe ed era rimasto immobile dove si trovava. «Se
non vi spiace, posso chiedervi che cosa vi ha fatto?» «Ora non fingerti tanto sorpreso»
disse Leslie. «Di sicuro tu e Gideon parlate di tutto.» Mi rivolse un cenno ammiccante. Io
la fissai perplessa.
«Non è affatto vero!» esclamò Raphael. «Non abbiamo mai un momento libero per stare
insieme! Gideon è sempre impegnato in qualche missione segreta. E quando è a casa
rimugina su documenti segreti oppure fissa buchi segreti nel soffitto. A volte poi, cosa
ancora peggiore, arriva Charlotte a tormentarci.» Assunse un’espressione così infelice
che avrei voluto abbracciarlo, soprattutto quando aggiunse sottovoce: «Pensavo che
fossimo amici. Ieri pomeriggio ho avuto l’impressione che andassimo proprio d’accordo».
Leslie – o forse dovrei dire «la mia amica, il frigorifero»? – si limitò a stringersi nelle
spalle. «Sì , ieri è stato divertente. Ma sinceramente ci conosciamo appena. Non si può
certo parlare di amicizia.» «Significa che mi hai sfruttato solo per decifrare quelle
coordinate» disse Raphael guardando serio Leslie, probabilmente nella speranza che lei lo
contraddicesse.
«Come ho già detto, la vita a volte è ingiusta.» Con questo Leslie considerava
evidentemente conclusa la faccenda. Mi trascinò via. «Gwen, dobbiamo spicciarci» disse.
«Oggi Mrs Counter assegnerà i temi per la ricerca. E non ho nessuna intenzione di
dovermi occupare dell’espansione del delta del Gange orientale.» Cercai con lo sguardo
Raphael che ci fissava con aria piuttosto impacciata. Cercò di infilarsi le mani nelle tasche
dei pantaloni, ma fu costretto a constatare che l’uniforme scolastica non ne aveva.
«Ma dai, Les!» dissi.
«...e nemmeno di etnie dai nomi impronunciabili.» L’afferrai per un braccio come aveva
fatto prima Cynthia con me. «Si può sapere che cosa ti succede, raggio di sole?» bisbigliai.
«Per quale ragione tratti Raphael in questo modo? Fa parte di un piano di cui non sono
ancora a conoscenza?» «La mia è solo prudenza.» Leslie guardò la bacheca oltre di me.
«Che bello! C’è in offerta un ciondolo Swarovski nuovo! A proposito di ciondoli.» Infilò
la mano nella camicetta e tirò fuori una catenina. «Guarda, ho ancora la chiave che avevi
riportato da uno dei tuoi viaggi nel tempo.
Non è forte? A tutti dico che si tratta della chiave del mio cuore.» La sua manovra
diversiva non ebbe effetto su di me. «Leslie, non è certo colpa di Raphael se suo fratello è
un pezzo di merda. Io gli credo quando dice che non sa nulla dei segreti di Gideon. È
appena arrivato in Inghilterra e a scuola non conosce nessuno...» «Sono sicura che troverà
un sacco di persone pronte a occuparsi volentieri di lui.» Leslie continuava a fissare
testarda oltre di me. Le lentiggini le danzavano sul naso. «Vedrai: domani mi avrà già
dimenticata e chiamerà mignonne qualcun’altra.» «Sì , ma...» Solo quando notai il
rossore rivelatore sulla faccia di Leslie, mi si accese una lampadina. «Oh, capisco! I l
tuo atteggiamento distaccato non ha niente a che fare con Gideon! È solo che hai paura di
innamorarti di Raphael!» «Che assurdità. Non è affatto il mio tipo.» Come no. Questo la
diceva lunga. Dopotutto ero la sua migliore amica e la conoscevo da un’eternità. E
comunque la sua risposta non avrebbe convinto neppure Cynthia.
«Ma dai, Les. A chi vuoi darla a bere?» Mi venne da ridere.
Leslie
finalmente distolse
lo sguardo dalla bacheca degli annunci e mi guardò
sogghignando. «E anche se fosse? In questo momento non possiamo permetterci di essere
entrambe vittima di tempeste ormonali. Basta già che una di noi non sia più in grado di
ragionare.» «Grazie tante.» «Ma è la verità! Sei troppo occupata con Gideon per renderti
conto della gravità della situazione. Hai bisogno di qualcuno che pensi con razionalità. E
quella sono io. Non mi farò abbindolare da questo francese, questo è poco ma sicuro.»
«Ah, Les!» Le gettai le braccia al collo di slancio. Nessuno, nessuno, nessuno al mondo
aveva un’amica del cuore così meravigliosa, folle e intelligente. «Sarebbe terribile se per
colpa mia tu dovessi rinunciare all’amore.» «Adesso non esagerare.» Leslie mi sbuffò
all’orecchio. «Se il tipo assomiglia anche solo lontanamente a suo fratello, nel giro di una
settimana mi avrebbe spezzato il cuore.» «E allora?» replicai dandole una spinta. «Lo hai
detto tu che è fatto di marzapane e può essere rimodellato a piacimento.» «Non prendermi
in giro. Sono molto fiera della mia metafora del cuore di marzapane.» «Sicuro. Un giorno
verrà citata sui calendari di tutto il mondo» ribattei. «Nessun cuore può essere
spezzato, perché tutti sono fatti di marzapane. Metafora della saggia Leslie Hay.» «Mi
spiace, ma è sbagliato» disse una voce accanto a noi. Era quella del nostro professore
d’inglese, Mr Whitman, che anche quella mattina era troppo bello per essere un
insegnante.
«Che cosa ne capisce lei della consistenza dei cuori femminili?» mi sarebbe piaciuto
chiedergli, ma con Mr Whitman era meglio non esagerare. Proprio come Mrs Counter,
gli piaceva fin troppo dare compiti extra su temi astrusi e, nonostante l’aspetto bonario,
poteva essere implacabile.
«Che cosa ci sarebbe di sbagliato?» chiese Leslie dimenticandosi ogni prudenza.
Lui ci guardò scrollando la testa. «Credevo che avessimo chiarito a sufficienza le
differenze tra metafore, paragoni, simboli e immagini. A mio parere il modo di dire sul
cuore infranto può essere considerato una metafora, ma il marzapane è un’altra cosa, no?»
E a lui che cosa diavolo importava? E da quando le sue lezioni cominciavano in corridoio?
«Un simbolo... hmmm... un paragone?» azzardai.
Mr Whitman annuì . «Per quanto poco azzeccato» disse ridendo. Poi tornò serio. «Hai
l’aria stanca, Gwendolyn. Sei rimasta sveglia tutta la notte, angosciata, senza riuscire più a
capire il mondo, vero?» Veramente... questo non era proprio affar suo. E poteva
risparmiarsi anche quel tono compassionevole.
Sospirò. «È davvero un po’ troppo per te.» Si toccò l’anello con sigillo che lo
identificava come appartenente ai Guardiani. «C’era da aspettarselo. Forse il dottor
White dovrebbe prescriverti qualcosa che almeno ti faccia riposare la notte.» Liquidò la
mia occhiata stizzita con un sorriso di incoraggiamento, prima di voltarsi e di precederci in
classe.
«Sbaglio, o Mr Whitman mi ha appena consigliato di prendere dei sonniferi?» mi informai
con Leslie. «Subito dopo aver detto che sembro uno straccio?» «Già, scommetto che gli
piacerebbe!» sbuffò Leslie. «Di giorno una marionetta dei Guardiani, di notte anestetizzata
per impedirti di pensare a cose strane. Ma con noi non funziona.» Si scostò energicamente
una ciocca di capelli dal viso. «Gli faremo vedere che ti hanno sottovalutato.» «Hmmm»
borbottai, ma Leslie mi guardò con aria truce.«Al primo intervallo nel bagno delle ragazze
per escogitare un piano d’azione.» «Agli ordini» replicai.
Mr Whitman dopo tutto si sbagliava: non avevo l’aria stanca (lo avevo verificato più
volte nello specchio del bagno delle ragazze durante gli intervalli), e stranamente non mi
sentivo neppure così . Dopo la caccia al tesoro notturna, mi ero addormentata subito e per
fortuna non avevo avuto incubi. Forse avevo addirittura sognato qualcosa di bello perché
nei magici istanti tra il sonno e la veglia mi ero sentita fiduciosa e piena di speranza. Al
risveglio, tuttavia, la triste realtà dei fatti era affiorata alla mia mente, soprattutto questa:
Gideon ha solo finto con me.
Dovevo ammettere però che un pizzico di quella sensazione positiva mi aveva
accompagnato per tutta la giornata. Forse dipendeva dal fatto di essere riuscita a dormire
per qualche ora di fila, oppure anche in sogno mi ero resa conto che la tisi era ormai
curabile. Oppure i miei condotti lacrimali si erano svuotati del tutto.
«Secondo te è possibile che Gideon abbia finto di essersi innamorato di me e che poi però
– diciamo per sbaglio – si sia innamorato sul serio?» domandai cauta a Leslie mentre
mettevamo via i libri alla fine della lezione. Avevo evitato l’argomento per tutta la
mattinata per cercare di mantenere la mente lucida durante l’elaborazione del nostro
piano, ma ora dovevo parlarne, altrimenti sarei scoppiata.
«Sì» rispose Leslie dopo una breve pausa.
«Davvero?» domandai sorpresa.
«Forse era proprio questo che voleva dirti ieri a ogni costo. Nei film questi equivoci
artificiosi che creano tensione prima del lieto fine ci irritano sempre tantissimo. E pensare
che potrebbero essere spazzati via con un minimo sforzo comunicativo.» «È vero! È il
punto in cui tu esclami sempre: ‘Che aspetti a dirglielo, brutto idiota!’» Leslie assentì .
«Però nel film succede sempre qualcosa che lo impedisce. I l cane ha rosicchiato il cavo del
telefono, la perfida antagonista non trasmette la notizia, la madre sostiene che la figlia si
è trasferita in California... cose del genere.» Mi porse la sua spazzola e mi osservò con
attenzione. «Sai, più ci penso più trovo assurdo che lui non si sia innamorato di te.» Per il
sollievo mi sentii salire le lacrime agli occhi. «Allora sarebbe lo stesso un pezzo di merda,
ma... credo che potrei perdonarlo.» «Anch’io» disse Leslie guardandomi raggiante. «Ho
con me del mascara waterproof e del lucidalabbra. Li vuoi?» Di sicuro non potevano
guastare.
Come al solito uscimmo dalla classe per ultime. Ero così di buon umore che Leslie si sentì
in dovere di darmi una gomitata nelle costole. «Non vorrei raffreddare il tuo entusiasmo,
ma potrebbe darsi anche che ci sbagliamo. Perché abbiamo visto troppi film d’amore.»
«Sì , lo so» dissi. «Oh, guarda, c’è James.» Mi guardai intorno. La maggior parte degli
studenti era già fuori, così ne restavano pochi che potevano stupirsi nel vedermi parlare
con una nicchia nel muro.
«Ciao, James!» «Buongiorno, Miss Gwendolyn.» Come sempre portava una finanziera a
fiori, pantaloni al ginocchio e calze color crema. Ai piedi aveva calzature di broccato
con fibbie d’argento mentre il nodo alla cravatta era così artisticamente complicato che era
impossibile se lo fosse fatto da solo. I particolari più strambi erano la parrucca di boccoli,
lo strato di cipria sul viso e i nei finti che per ragioni a me oscure lui definiva «puntini di
bellezza». Senza tutti quegli ammennicoli e in abiti ragionevoli sarebbe stato proprio un
bel ragazzo.
«Dove sei stato stamattina, James? Non ti ricordi che avevamo appuntamento per il
secondo intervallo?» James scrollò la testa. «Quanto odio questa febbre. E non mi piace
nemmeno questo sogno, qui è tutto così ... orribile!» Fece un profondo sospiro e indicò il
soffitto. «Mi chiedo solo a quale testa bacata possa essere venuto in mente di coprire gli
affreschi. Mio padre ci ha speso una fortuna. A me piace molto la pastorella al centro, è
dipinta davvero bene, anche se mia madre ripete sempre che indossa abiti troppo
discinti.» Lanciò un’occhiata ostile prima a me, poi a Leslie, indugiando soprattutto sulla
gonna a pieghe della nostra uniforme e sulle nostre ginocchia. «Se mia madre sapesse
come vanno in giro vestite le persone nel mio sogno, resterebbe sconvolta! Io stesso sono
sconvolto. In vita mia non mi sarei mai sognato di avere una fantasia tanto degenerata.»
James sembrava in una delle sue giornate no. Per fortuna Xemerius (che James detestava!)
aveva preferito restare a casa. (Per tener d’occhio il tesoro e Mr Bernhard, a quanto aveva
detto. Da parte mia sospettavo che volesse di nuovo guardare sopra la spalla di zia
Maddy mentre leggeva; sembrava molto interessato al librone che lei stava leggendo.)
«Degenerata! Che affascinante complimento, James» dissi benevola. Avevo rinunciato da
tempo a tentare di spiegare a James che non stava sognando, ma che in realtà era morto
all’incirca da duecentotrent’anni. Probabilmente a nessuno piace sentirsi dire una cosa del
genere.
«Prima il dottor Barrow mi ha fatto un altro salasso e sono riuscito persino a bere qualche
sorso» proseguì . «Speravo di sognare qualcosa di diverso stavolta, invece... bah, eccomi di
nuovo qui.» «È una vera fortuna» dissi con sincerità. «Altrimenti sentirei molto la tua
mancanza.» James sorrise suo malgrado. «È vero, sarebbe una bugia se dicessi che non mi
sono affezionato a voi. Ora vogliamo passare alla lezione di buone maniere?» «Purtroppo
non abbiamo più tempo. Però ci rivediamo domani, va bene?» Mi girai ancora una volta
sulle scale. «Un’ultima cosa, James. Nel settembre del 1782 come si chiamava il tuo cavallo
preferito?» Due ragazzi, che spingevano lungo il corridoio un tavolo con sopra il
proiettore, si fermarono e Leslie ridacchiò quando entrambi chiesero in coro: «Dici a me?»
«Nel settembre dello scorso anno?» domandò James. «Hector, naturalmente. Resterà per
sempre il mio preferito. È il pomellato più splendido che tu possa immaginare.» «E la tua
pietanza preferita?» I due ragazzi con il proiettore mi guardarono come se avessi perduto
il senno. Anche James corrugò la fronte. «Che razza di domande sono? Al momento non
ho proprio appetito.» «D’accordo, me lo dirai domani. Arrivederci, James.» «Mi chiamo
Finley, brutta svampita» disse uno degli studenti, al che l’altro sogghignò e aggiunse: «E io
Adam. Comunque non fa niente, puoi chiamarmi anche James.» Io li ignorai e presi Leslie
sottobraccio.
«Fragole!» ci gridò dietro James. «I l mio cibo preferito sono le fragole!» «Che cosa
significa tutto ciò?» mi domandò Leslie mentre scendevamo di sotto.
«Se incontrerò James al ballo, voglio metterlo in guardia perché non si prenda il vaiolo» le
spiegai. «Non ha compiuto nemmeno ventun anni. È troppo giovane per morire, non
trovi?» «Non so se è opportuno immischiarsi in certe cose» obiettò Leslie. «Hai presente: il
destino, la predeterminazione, e cose simili.»«Lo so, ma deve esserci pur un motivo per cui
continua a restare qui. Forse il mio scopo è di aiutarlo.» «Perché devi andare a quel ballo?»
si informò Leslie.
Mi strinsi nelle spalle. «Lo ha deciso il conte di Saint Germain in quei suoi astrusi Annali.
Per conoscermi meglio o roba del genere.» Leslie alzò le sopracciglia. «O roba del genere.»
Sospirai. «Non lo so. In ogni caso il ballo si terrà nel settembre 1782, mentre James si
ammalerà solo nel 1783. Se riuscirò ad avvisarlo, potrebbe andare in campagna allo
scoppiare dell’epidemia. O almeno tenersi alla larga da quel Lord vattelapesca. Che cos’è
quel sorrisetto?» «Vuoi dirgli che vieni dal futuro e sai che verrà contagiato dal vaiolo? E
come prova gli dirai il nome del suo cavallo preferito?» «Ecco, in effetti... il piano non è
ancora del tutto definito.» «Sarebbe meglio una bella vaccinazione» osservò Leslie aprendo
la porta che dava sul cortile. «Però non sarebbe facile nemmeno questo.» «Già. Che cosa
c’è di facile in questi giorni?» esclamai con un sospiro. «Maledizione!» Accanto alla
limousine
in attesa c’era Charlotte che come ogni giorno doveva accompagnarmi al
quartier generale dei Guardiani. E questo poteva voler dire una cosa soltanto: sarei stata di
nuovo torturata con minuetti, riverenze e l’assedio di Gibilterra. Nozioni di importanza
fondamentale per un ballo del 1782, almeno secondo i Guardiani.
Stranamente oggi la cosa mi lasciò piuttosto indifferente. Forse perché ero troppo agitata
per quanto riguardava il mio incontro con Gideon.
Leslie socchiuse gli occhi. «Chi sarebbe quel tipetto accanto a Charlotte?» Indicò il fulvo
Mr Marley, un adepto di primo grado, che, a parte il suo titolo, si distingueva soprattutto
per la sua capacità di arrossire fino alle orecchie. Stava vicino a Charlotte con la testa
rincagnata.
Spiegai a Leslie chi fosse. «Credo che Charlotte lo intimidisca» aggiunsi, «però nel
contempo lui la trova fantastica.» Charlotte ci aveva individuato e ci rivolse un gesto
impaziente.
«Di sicuro sarebbero un’ottima coppia dal punto di vista di tinta di capelli» osservò Leslie
abbracciandomi. «Buona fortuna. Pensa a tutto ciò che abbiamo detto. E sii prudente. E,
per favore, fa’ una foto a questo Mr Giordano!» «Giordano, solo Giordano, se non ti
spiace» la corressi imitando la voce nasale del mio insegnante. «A stasera.» «Un’altra cosa,
Gwenny. Non rendere le cose troppo facili a Gideon, ok?» «Finalmente, era ora!» sbuffò
Charlotte quando salii in macchina. «Ti stiamo aspettando da un’eternità. Ci guardano
tutti.» «Come se la cosa ti desse fastidio. Salve, Mr Marley. Come sta?» «Hmmm, bene,
hmmm. E lei?» Mr Marley era già avvampato. Mi faceva pena. Anch’io tendevo ad
arrossire, ma Mr Marley diventava paonazzo non solo sulle guance, in lui anche le
orecchie e il collo prendevano il colore di un pomodoro maturo. Spaventoso!
«Magnificamente» risposi, anche se mi sarebbe piaciuto vedere la sua faccia se avessi
detto: «Uno schifo.» Ci aprì la portiera e Charlotte si accomodò all’interno con grazia.
Io mi lasciai cadere sul sedile di fronte.
L’auto si mise in moto. Charlotte guardava fuori dal finestrino e io fissavo il nulla,
mentre riflettevo se fosse meglio affrontare Gideon con atteggiamento ostile e offeso,
oppure amichevole ma sostenuto. Ero irritata perché non ne avevamo discusso con Leslie.
Quando la limousine raggiunse lo Strand, Charlotte smise di guardarsi intorno e passò a
fissarsi le unghie. Poi alzò lo sguardo di scatto, mi contemplò da capo a piedi e domandò
in tono bellicoso: «Con chi verrai alla festa di Cynthia?» Evidentemente voleva litigare.
Per fortuna eravamo quasi arrivati. La limousine si stava dirigendo verso il parcheggio
di Crown Office Road.
«Non ho ancora deciso tra Kermit e Shrek, ammesso che abbia tempo. E tu?» «Gideon si è
offerto di accompagnarmi» rispose lei guardandomi intensamente. Era chiaro che voleva
vedere la mia reazione.
«È molto carino da parte sua» dissi con un sorriso benevolo. Non mi risultò affatto
difficile, perché nel frattempo ero abbastanza sicura di me per quanto riguardava Gideon.
«In effetti non so se sia il caso di accettare.» Charlotte sospirò, ma la sua espressione
rimase guardinga. «Di sicuro si sentirà molto a disagio in mezzo a tutti quei bambini.
Spesso si lamenta con me dell’ingenuità e dell’immaturità di certe sedicenni...» Per una
frazione di secondo presi in considerazione l’idea che stesse dicendo la verità e non
volesse soltanto farmi arrabbiare. Ma, anche in quel caso, non
le avrei dato
la
soddisfazione di mostrarmi ferita. Annuii con un cenno pieno di condiscendenza. «In ogni
caso avrebbe la tua compagnia matura e illuminata, Charlotte, e, se non gli bastasse,
potrà sempre discutere con Mr Dale delle fatali conseguenze del consumo di alcol tra i
giovani.» L’auto si fermò in uno dei posti riservati di fronte all’edificio che ospitava da
secoli la sede della società segreta dei Guardiani. L’autista spense il motore e nello stesso
istante Mr Marley balzò fuori dal sedile del passeggero. Feci appena in tempo ad aprire la
portiera prima di lui. Ormai sapevo fin troppo bene come dovesse sentirsi la regina. Non
era permesso neppure scendere da soli da un’auto.
Presi lo zaino, scesi dalla macchina ignorando volutamente la mano di Mr Marley e dissi
con la massima giovialità: «E poi direi che il verde è il colore di Gideon».
Ah! Charlotte non batté ciglio, ma era chiaro che questo round lo avevo vinto io. Fatto
qualche passo, una volta sicura che nessuno potesse vedermi, mi concessi un minuscolo
sorrisetto di trionfo che tuttavia mi si raggelò subito sul viso. Sui gradini d’ingresso del
quartier generale dei Guardiani era seduto Gideon al sole. Accidenti! Ero stata troppo
concentrata su come rispondere in maniera adeguata a Charlotte e non mi ero guardata
intorno. Quello stupido cuore di marzapane che avevo nel petto non sapeva se contrarsi
per l’imbarazzo oppure battere più forte per la gioia.
Quando ci vide, Gideon si alzò e si spazzolò la polvere dai jeans. Io rallentai il passo
cercando di decidere come mostrarmi verso di lui. Con il labbro inferiore che tremava, la
variante «amichevole ma decisamente sostenuta» non sarebbe risultata troppo credibile.
Purtroppo anche quella «ostile e legittimamente offesa» non era applicabile, dato il
prorompente desiderio di gettarmi tra le sue braccia. Mi morsi quindi il labbro ribelle e
cercai di assumere un’espressione neutra. Avvicinandomi, notai con una certa
soddisfazione che anche Gideon si mordicchiava il labbro inferiore e aveva in generale
un’aria piuttosto nervosa. Sebbene non si fosse rasato e la sua chioma di riccioli castani
sembrava ravvivata soltanto con le dita, ancora una volta rimasi rapita dalla sua bellezza.
Mi fermai indecisa ai piedi della scala e restammo a guardarci negli occhi per circa due
secondi. Poi lui spostò lo sguardo sull’edificio dirimpetto e lo salutò con un «ciao». Io di
sicuro non mi sentii interpellata mentre Charlotte mi superò di slancio e salì i gradini.
Cinse con un braccio il collo di Gideon e lo baciò sulle guance.
«Ciao a te» disse.
Certo era molto più elegante che restare piantata sul marciapiede con sguardo ebete. I l
mio comportamento fu interpretato da Mr Marley come un lieve attacco di debolezza,
perché mi chiese: «Vuole che le prenda lo zaino, miss?» «No, grazie, non ce n’è bisogno.»
Mi diedi una scrollata, afferrai lo zaino che mi era scivolato dalla spalla e mi rimisi in
movimento. Invece di gettarmi i capelli all’indietro e superare Gideon e Charlotte con aria
solenne, affrontai i gradini con lo slancio di una lumaca appesantita dagli anni.
Evidentemente io e Leslie avevamo visto troppi film d’amore. Ma a quel punto Gideon si
staccò da Charlotte e mi prese per un braccio.
«Posso scambiare due parole con te, Gwen?» mi chiese.
Le ginocchia mi si piegarono per il sollievo. «Certo.»Mr Marley si dondolava nervoso da
un piede all’altro. «Siamo già un po’ in ritardo» mormorò con le orecchie in fiamme.
«Ha ragione» squittì Charlotte. «Gwenny ha ancora lezione prima di trasmigrare e sai
anche tu come diventa Giordano se lo si fa aspettare.» Non sapevo proprio come ci
riuscisse, ma la sua risata argentina sembrava autentica. «Vieni, Gwenny?» «Arriva tra
dieci minuti» rispose Gideon al posto mio.
«Non potete aspettare dopo? Giordano...» «Ho detto dieci minuti!» I l tono di voce di
Gideon aveva superato di un soffio il limite della scortesia e Mr Marley appariva
decisamente scioccato. Come probabilmente anch’io.
Charlotte scrollò le spalle. «Va bene, come vuoi» disse, poi gettò la testa all’indietro e si
allontanò altera. A lei riusciva perfettamente. Mr Marley si affrettò a seguirla.
Scomparvero oltre la soglia, mentre Gideon sembrava essersi dimenticato quello che
voleva dire. Fissava di nuovo quella stupida casa di fronte e intanto si massaggiava la
nuca come se avesse una brutta contrattura. Alla fine tirammo il fiato insieme. «Come va il
braccio?» domandai e contemporaneamente Gideon chiese: «Stai bene?» Allora
sorridemmo entrambi.
«I l braccio è a posto.» Alla fine si decise a guardarmi. Oddio! Che occhi! Le ginocchia mi
tornarono molli e fui contenta che Mr Marley non fosse più nei paraggi.
«Gwendolyn, mi spiace moltissimo. Mi sono comportato in maniera... irresponsabile. Non
te lo meritavi proprio.» La sua aria infelice mi faceva soffrire. «Ieri sera ho provato a
chiamarti almeno un centinaio di volte sul cellulare, ma era sempre occupato.» Valutai se
fosse il caso di troncare lì la cosa e gettarmi direttamente tra le sue braccia. Ma Leslie
aveva detto che non dovevo rendergli le cose troppo facili. Così mi limitai ad alzare le
sopracciglia condiscendente.
«Non volevo ferirti, credimi» disse con la voce arrochita dalla sincerità. «Ieri sera ti ho
vista così triste e delusa.» «Non è stato poi niente di così grave» ribattei sottovoce. Una
bugia scusabile, secondo me. Non era il caso di sbattergli sotto il naso le lacrime che avevo
versato e il mio impulso di morire di tisi. «Ero solo... mi ha fatto un po’ male...» – ok, era la
minimizzazione del secolo! – «...pensare che da parte tua fosse stata solo una finta: i baci,
la dichiarazione d’amore...» Tacqui impacciata.
Se possibile lui aveva un’aria ancora più straziata. «Ti prometto che non succederà mai
più.» Che cosa intendeva dire con precisione? Non ci capivo più niente. «Be’, sai, ora che
lo so comunque non funzionerebbe più» dissi un po’ più energica. «Detto tra noi, era un
piano davvero demenziale. Le persone innamorate non sono più influenzabili delle altre,
al contrario! A causa di tutti gli ormoni in circolo non si può mai prevedere che cosa
faranno.» Io del resto ero l’esempio migliore di questa tesi.
«Però per amore si fanno cose che altrimenti non si farebbero.» Gideon alzò una mano,
come se volesse accarezzarmi la guancia, poi la lasciò ricadere. «Quando si ama, l’altro
improvvisamente diventa più importante di noi stessi.» Se non lo avessi conosciuto bene,
avrei potuto pensare che stesse per scoppiare a piangere. «Ci si sacrifica... è proprio questo
che intende dire il conte.» «Secondo me quel brav’uomo non sa neppure lontanamente di
che cosa parla» osservai sprezzante. «Se vuoi saperlo, l’amore non è una sua specialità e le
sue conoscenze della psiche femminile sono... patetiche!» E ora baciami, voglio sapere se la
barba lunga fa il solletico.
Un sorriso illuminò il volto di Gideon. «Forse hai ragione tu» disse facendo un profondo
respiro, come qualcuno che si è tolto un grande peso dal cuore. «Sono davvero contento di
aver chiarito le cose. In ogni caso resteremo sempre buoni amici, giusto?» Come, prego?
«Buoni amici?» ripetei, con la bocca improvvisamente secca.
«Buoni amici, che sanno di potersi fidare l’uno dell’altra» disse Gideon. «È importante che
tu ti fidi di me.» Impiegai ancora un paio di secondi prima di rendermi conto che in questo
dialogo entrambi a un certo punto avevamo preso svolte diverse. Ciò che Gideon aveva
cercato di dirmi non era: «Ti prego, perdonami, ti amo», bensì : «Restiamo buoni amici» e
anche l’ultimo degli idioti sa che sono due cose del tutto diverse.
Significava che non era innamorato di me.
Significava che io e Leslie avevamo visto troppi film d’amore.
Significava...
«...sei uno stronzo» esclamai. Fui invasa da un’ondata di rabbia violenta, ardente, che mi
arrochì la voce. «Come si può essere tanto impudenti!
I l giorno prima mi baci e dichiari di esserti innamorato di me, quello dopo dici che ti
dispiace di essere stato un tale viscido bugiardo, e vorresti che io mi fidassi di te?» Ora
anche Gideon si rese conto del malinteso tra di noi. I l sorriso svanì dalla sua faccia.
«Gwen...» «Vuoi sapere una cosa? Rimpiango ogni singola lacrima che ho versato per te!»
Avrei voluto inveire contro di lui, ma l’effetto fu patetico. «E non credere che siano state
tante!» fu l’unica cosa che mi riuscì di gracchiare.
«Gwen!» Gideon cercò di prendermi per mano. «Oddio, mi spiace tanto! Non volevo... ti
prego!» Ti prego che cosa? Gli scoccai un’occhiata rabbiosa. Non si rendeva conto che così
peggiorava soltanto le cose? Credeva forse che il suo sguardo da cane bastonato avrebbe
cambiato la situazione? Volevo girarmi, ma Gideon mi teneva per il polso.
«Gwen, ascoltami. Abbiamo di fronte a noi tempi molto pericolosi ed è importante restare
uniti, io e te! Io... ti voglio bene, e voglio che noi...» Non si sarebbe azzardato a ripeterlo.
Non quella frase abusata. Invece fu proprio quello che fece.
«...siamo amici. Non capisci? Solo se possiamo fidarci l’uno dell’altra...» Mi staccai
bruscamente da lui. «Credi che io voglia avere un amico come te?» Avevo ritrovato la voce
ed era così forte da far spiccare il volo ai colombi sul tetto. «Tu non hai la minima idea di
che cosa sia l’amicizia!» E di colpo mi riuscì con grande facilità. Gettai la testa all’indietro,
mi girai e me ne andai impettita.Salta! E mentre cadi lascia che ti spuntino le ali.
(Ray Bradbury)3
«Restiamo amici.» Era veramente il colmo.
«Sono sicura che da qualche parte nel mondo, ogni volta che questa frase viene
pronunciata, muore una fata» dissi. Mi ero rinchiusa in bagno con il cellulare e mi
sforzavo di non alzare la voce, anche se continuavo ad averne una gran voglia, mezz’ora
dopo il mio dialogo con Gideon.
«Lui ha detto che vuole che siate amici» mi corresse Leslie, che come sempre aveva preso
nota di ogni parola.
«È proprio la stessa cosa» ribattei.
«No. Cioè, forse sì .» Leslie sospirò. «Non riesco a capire. Sei proprio sicura di averlo
lasciato parlare fino in fondo questa volta? Hai presente 10 cose che odio di te, dove...»
«L’ho lasciato parlare fino in fondo, purtroppo, direi.» Guardai l’ora. «Merda. Ho
promesso a Mr George che sarei stata via solo un minuto.» Lanciai un’occhiata allo
specchio appeso sopra il lavandino di foggia antiquata. «Merda» ripetei. Avevo due
chiazze rosse sulle guance. «Credo di avere una reazione allergica.» «Sono solo chiazze di
rabbia» diagnosticò Leslie dopo che le ebbi descritto quello che vedevo. «Come sono i
tuoi occhi? Lampeggiano minacciosi?» Guardai la mia immagine riflessa. «Direi di sì .
Somiglio un po’ a Helena Bonham-Carter nella parte di Bellatrix Lestrange in Harry
Potter.
Decisamente minacciosi.» «Mi sembra giusto. Senti, adesso esci da lì e inceneriscili tutti
uno a uno, ok?» Assentii ubbidiente e glielo promisi.
La telefonata mi aveva risollevato un pochino, sebbene l’acqua fredda non fu in grado di
far scomparire né la rabbia né le chiazze sulle guance.
Mr George si comportò come se non si fosse accorto della mia prolungata assenza.
«Tutto a posto?» si informò premuroso. Era rimasto ad aspettarmi davanti al vecchio
refettorio.
«Certo.» Lanciai un’occhiata oltre la porta aperta, ma stranamente non c’era traccia di
Giordano e Charlotte. E pensare che ero già molto in ritardo per la lezione. «Dovevo solo...
hmmm... rinfrescare il fard.» Mr George sorrise. A parte le rughe d’espressione intorno
agli occhi e agli angoli della bocca, niente nel suo viso tondo e amichevole tradiva il fatto
che avesse superato da parecchio la settantina. La luce si rifletteva sulla sua pelata, la
sua testa sembrava una palla da bowling tirata a lucido.
Non potei fare a meno di ricambiare il suo sorriso. La vista di Mr George aveva sempre un
effetto calmante su di me. «Sul serio, ora si porta così» dichiarai indicando le chiazze che
avevo sulle guance.
Mr George mi porse il braccio. «Andiamo, mia coraggiosa ragazza. Ho già preparato tutto
di sotto per la trasmigrazione.» Lo fissai confusa. «E la lezione di Giordano sulla politica
coloniale del XVI I I secolo?» Mr George sorrise. «Mettiamola così . Ho approfittato della
breve pausa quando sei andata in bagno per spiegare a Mr Giordano che purtroppo oggi
non hai tempo di seguire la lezione.» I l caro e affidabile Mr George! Era l’unico dei
Guardiani che sembrava provare qualcosa per me. Anche se forse mi sarei calmata un po’
ballando il minuetto. Così
come certe persone scaricano la collera con il punchbag.
Oppure vanno in palestra. Viceversa potevo benissimo fare a meno del sorrisetto
arrogante di Charlotte in questo momento.
Mr George mi porse il braccio. «I l cronografo ci aspetta.» Una volta tanto ero ansiosa di
affrontare la trasmigrazione, il mio quotidiano salto nel tempo controllato, e non solo
per sfuggire all’orribile presente di nome Gideon. I l salto odierno, infatti, era il punto
cruciale del piano escogitato da me e Leslie. Sempre ammesso che funzionasse.
Io e Mr George attraversammo il quartier generale dei Guardiani per dirigerci verso le
profondità dell’enorme sotterraneo a volta. La sede della società segreta era molto vasta e
articolata e occupava diversi edifici. Già nei tortuosi corridoi c’era così tanto da vedere
che si poteva quasi pensare di trovarsi in un museo. Innumerevoli ritratti incorniciati,
antiche cartine geografiche, tappeti intrecciati a mano e intere collezioni di spade erano
appesi alle pareti. Nelle vetrine erano esposti oggetti di porcellana dall’aria preziosa, libri
rivestiti in pelle e antichi strumenti musicali e poi c’era una gran quantità di bauli e
cassettoni intagliati nei quali, in altre circostanze, mi sarebbe piaciuto tanto frugare.
«Io non ci capisco niente, ma se hai bisogno di qualcuno con cui parlare di Gideon sono un
ottimo ascoltatore» disse Mr George.
«Gideon?» ripetei lentamente, come se dovessi ricordare addirittura chi fosse. «Tra me e
Gideon è tutto a posto.» Come no! A postissimo.
Mentre camminavamo diedi un pugno alla parete. «Siamo amici. Nient’altro che amici.»
Purtroppo la parola «amici» non risultò troppo naturale sulle mie labbra, perché la
ringhiai a denti stretti.
«Anch’io ho avuto sedici anni, Gwendolyn.» Gli occhietti di Mr George mi guardarono
con un lampo d’affetto. «E ti prometto che non dirò che ti avevo avvertito. Anche se in
effetti l’ho fatto.» «Sono sicura che lei a sedici anni era un ragazzo simpatico.» Era
impensabile che Mr George fosse stato in grado di raggirare con eleganza qualcuno e
ingannarlo con baci e belle parole. «...Basta che siamo nella stessa stanza, e sento il bisogno
di toccarti e di baciarti.» Cercai di scrollarmi di dosso il ricordo dell’intenso sguardo di
Gideon, battendo risolutamente i piedi per terra mentre camminavo. Le porcellane nelle
vetrine tintinnarono.
Meglio così . A chi poteva essere utile il minuetto per sfogare l’aggressività? Bastava
questo. Anche se mandare in frantumi uno di quegli inestimabili vasi avrebbe forse
aumentato l’effetto.
Mr George mi guardò a lungo di sottecchi, ma alla fine si accontentò di stringermi il
braccio e di sospirare. A intervalli irregolari passavamo davanti ad armature e come
sempre provavo la spiacevole sensazione di essere osservata.
«C’è qualcuno lì dentro, vero?» bisbigliai a Mr George. «Un povero novizio che non può
andare al bagno per tutta la giornata, giusto? Sento che ci sta fissando.» «Ma no» rispose
Mr George ridendo piano. «Però ci sono telecamere di sicurezza fissate alle visiere, forse è
per questo che hai la sensazione di essere osservata.» Aha, telecamere di sicurezza. Se non
altro non dovevo provare compassione per loro.
Raggiunta la prima scala che scendeva nei sotterranei, mi resi conto che Mr George si era
dimenticato qualcosa.
«Non mi benda questa volta?»«Credo che per oggi possiamo risparmiarcelo» rispose lui.
«Dopo tutto non c’è nessuno che ce lo impedisca, giusto?» Lo guardai sconcertata. Di
solito dovevo percorrere il tragitto con gli occhi bendati, perché i Guardiani non volevano
che scoprissi il luogo in cui veniva custodito il cronografo, lo strumento che ci permetteva
di viaggiare nel tempo. Per qualche motivo ritenevano assai probabile che io lo avrei
rubato. Naturalmente era una solenne idiozia. Quel coso non solo mi metteva i brividi –
funzionava con il sangue! – ma non avevo la più pallida idea di come si azionassero le sue
innumerevoli rotelle, leve e scomparti. Però i Guardiani erano davvero paranoici riguardo
alla possibilità di un furto.
Forse dipendeva dal fatto che un tempo c’erano stati due cronografi. Uno di essi era stato
sottratto quasi diciassette anni prima dai miei cugini Lucy e Paul, rispettivamente numero
nove e dieci del cerchio dei dodici viaggiatori nel tempo. Non ero ancora riuscita a
scoprire le ragioni del furto, anzi, in genere sulla faccenda brancolavo nel buio.
«A proposito, Madame Rossini ha fatto sapere che ha scelto un altro colore per il tuo
vestito da ballo. Purtroppo ho dimenticato quale, ma sono convinto che ti starà d’incanto.»
Mr George ridacchiò. «Nonostante il fatto che Giordano prima mi abbia di nuovo
tratteggiato a tinte fosche i passi falsi che sei destinata a fare nel XVI I I secolo.» Provai un
tuffo al cuore. Dovevo partecipare a quel ballo insieme a Gideon e non riuscivo proprio a
immaginare come avrei potuto ballare tranquillamente un minuetto con lui l’indomani
senza rovinare effettivamente qualcosa. Per esempio i suoi piedi.
«Come mai tutta questa fretta?» domandai. «Perché è necessario, dal nostro punto di
vista, che il ballo sia già domani sera? Perché non possiamo aspettare ancora un paio di
settimane?
I
l
ballo
si
terrà
comunque
quel
determinato
giorno
del
1782,
indipendentemente da quando noi ci ritorneremo dal futuro, giusto?» A parte Gideon,
questa era l’altra domanda che mi tormentava da tempo.
«È stato il conte di Saint Germain a indicare con precisione quanto tempo nel presente
deve passare tra le vostre visite» rispose Mr George lasciandomi passare davanti sulla
scala a chiocciola.
Più ci inoltravamo nel labirinto dei sotterranei più l’aria era ammuffita e stantia. Lì sotto
non c’erano quadri appesi alle pareti e, sebbene
i sensori di movimento
facessero
accendere le luci dovunque si andasse, i passaggi che si diramavano a volte a sinistra, a
volte a destra dalla nostra galleria terminavano nel buio più completo dopo pochi metri.
Si diceva che molte persone si fossero perse lì
sotto, che altre fossero ricomparse a
distanza di giorni in luoghi dall’altra parte della città. Ma erano soltanto voci.
«Ma perché il conte ha dato indicazioni così ferree? E perché i Guardiani le rispettano così
pedissequamente?» Mr George non mi rispose, limitandosi a sospirare.
«Voglio dire, se ci prendessimo qualche settimana di pausa, il conte non se ne
accorgerebbe neppure, no?» proseguii. «Lui se ne sta lì nel 1782 e per lui il tempo non
passa più lentamente. Io però potrei imparare meglio quei dannati passi di minuetto e
magari saprei anche chi ha assediato chi a Gibilterra e perché.» Preferii lasciar perdere la
storia di Gideon. «In questo modo nessuno ce l’avrebbe con me, e non ci sarebbe pericolo
che al ballo io faccia una orribile figura e tradisca, con il mio comportamento inadeguato, il
fatto che vengo dal futuro. Allora mi chiedo, perché il conte vuole assolutamente che per
me sia domani il giorno del ballo?» «Già, perché?» mormorò Mr George. «Sembra quasi
che lui abbia paura di te. E di ciò che potresti ancora scoprire se avessi più tempo a
disposizione.» Mancava ormai poco al laboratorio alchemico. Se non sbagliavo, si trovava
proprio dietro l’angolo. Per questo rallentai il passo. «Paura di me?
Quel tipo mi ha strangolato senza neppure toccarmi e, siccome sa leggere nel
pensiero, sa benissimo che sono terrorizzata da lui e non il contrario.» «Ti ha
strangolato? Senza toccarti?» Mr George si era fermato di scatto e mi guardava scioccato.
«Santo cielo, Gwendolyn, perché non lo hai mai detto?» «Lei mi avrebbe creduto?» Mr
George si strofinò la pelata con il dorso della mano e aprì la bocca per dire qualcosa,
quando udimmo dei passi che si avvicinavano seguiti dal rumore di una pesante porta
che veniva chiusa. Mr George assunse un’espressione piuttosto spaventata, mi sospinse
oltre l’angolo nella direzione da cui era provenuto il rumore e pescò dalla tasca della
giacca una sciarpa nera.
Era proprio Falk de Villiers, zio di Gideon e Gran Maestro della loggia che percorreva a
grandi passi il corridoio. Quando ci vide, però, sorrise.
«Oh, eccovi qua. I l povero Marley ha fatto chiedere per interfono dove foste finiti, e allora
ho pensato di dare un’occhiata di persona.» Sbattei le palpebre e mi strofinai gli occhi
come se Mr George mi avesse appena tolto la benda, ma era una messinscena inutile,
perché Falk de Villiers non ci fece affatto caso. Aprì la porta della stanza del cronografo,
ovvero del vecchio laboratorio alchemico.
Falk doveva avere qualche anno più di mia madre ed era proprio un bell’uomo, come tutti
i de Villiers che avevo conosciuto finora. Mi faceva sempre pensare a un lupo capobranco.
La folta chioma era già brizzolata e creava un netto contrasto con gli occhi color ambra.
«Ecco qua, Mr Marley, nessuno si è perduto» annunciò in tono gioviale rivolto a Mr
Marley che stava seduto su una seggiola dentro la stanza e ora balzò in piedi
intrecciandosi nervoso le dita.
«Io avevo... pensavo, per sicurezza...» balbettò. «La prego di scusarmi, sir...» «Ci fa molto
piacere vedere che prende tanto sul serio i suoi doveri» replicò Mr George e Falk chiese:
«Dov’è Mr Whitman? Siamo stati invitati a prendere il tè con il decano Smythe e volevo
passare a prenderlo.» «È appena uscito» disse Mr Marley. «Avrebbe dovuto incrociarlo.»
«Allora mi sbrigo, così magari riesco a raggiungerlo. Vieni anche tu poi, Thomas?» Mr
George mi lanciò una breve occhiata di sottecchi, poi annuì . «Noi ci vediamo domani,
Gwendolyn. I l giorno del gran ballo.» Giunto sulla porta, Falk si voltò un’ultima volta e
disse in tono quasi casuale: «Saluta tua madre da parte mia. Sta bene, vero?» «Mia madre?
Sì , benissimo.» «Mi fa molto piacere.» Evidentemente dovevo avere un’espressione
piuttosto costernata, perché si schiarì la gola e aggiunse: «Di questi tempi di certo non è
facile essere una madre sola e lavoratrice, per questo mi fa piacere».
A questo punto assunsi apposta un’espressione sconcertata.
«O forse... non è affatto sola? Una donna attraente come Grace riscuote successo con gli
uomini, magari ha addirittura un compagno...» Falk mi
guardò
trepidante, ma
vedendomi aggrottare la fronte si affrettò a guardare l’orologio esclamando:
«Accidenti, com’è tardi. Devo proprio andare».
«Che razza di domanda era?» mi chiesi, dopo che Falk ebbe chiuso la porta.
«Già»
confermarono Mr George
e Mr Marley
all’unisono. Mr Marley
arrossì
violentemente. «Hmmm, secondo me voleva sapere se ha un compagno» mormorò.
Mr George scoppiò a ridere. «Falk ha ragione, è proprio tardi. Se il nostro rubino non
vuole perdere tutta la serata, dobbiamo mandarla subito nel passato. Quale anno
prendiamo, Gwendolyn?» Con la massima indifferenza, come avevamo concordato con
Leslie, risposi: «Per me fa lo stesso. Ultimamente, nel 1956 – era il 1956, giusto?– la cantina
era senza ratti e piuttosto accogliente». Ovviamente tralasciai di dire di essermi incontrata
con il nonno in quell’atmosfera accogliente e senza ratti. «Potrei studiare con tranquillità i
vocaboli francesi senza dover sobbalzare di paura.» «Benissimo, allora» disse Mr George.
Aprì
un voluminoso diario, mentre Mr Marley scostava l’arazzo dietro il quale era
nascosta la cassaforte con il cronografo.
Cercai di sbirciare sopra la spalla di Mr George mentre sfogliava il volume, ma la sua
ampia schiena mi schermava la vista.
«Vediamo, era il 24 luglio 1956» disse Mr George. «Sei rimasta lì tutto il pomeriggio e sei
tornata alle sei e mezzo.» «Le sei e mezzo sarebbe un ottimo orario» dissi, incrociando le
dita nella speranza che il piano funzionasse. Se riuscivo a saltare indietro nel tempo al
momento preciso in cui la volta prima avevo lasciato la stanza, avrei trovato mio nonno
ancora lì , e non avrei perso tempo a cercarlo.
«Sarà meglio fare le sei e trentuno» disse Mr George, «per evitare il rischio che tu ti
imbatta in te stessa.» Mr Marley, che intanto aveva posato sul tavolo la scatola del
cronografo e stava togliendo delicatamente dall’astuccio di velluto lo strumento grosso
quanto un orologio da parete, mormorò: «Ma a quell’ora non è ancora notte. Mr Whitman
ha detto...» «Sì , sappiamo che Mr Whitman prende le istruzioni alla lettera» lo interruppe
Mr George armeggiando con gli ingranaggi. Tra minuscoli disegni a colori di pianeti,
animali e piante e motivi decorativi che ornavano la superficie del singolare apparecchio,
erano incastonate pietre preziose, tanto grandi e scintillanti da sembrare false, come le
pietruzze sintetiche autoadesive che piacevano tanto alla mia sorellina. A ogni viaggiatore
nel cerchio dei dodici era assegnata una pietra diversa. La mia era il rubino, mentre a
Gideon «apparteneva» il diamante, tanto gigantesco che il suo controvalore avrebbe
permesso di acquistare una villa plurifamiliare alla periferia della città. «Ma io credo che
siamo abbastanza cavallereschi da non voler lasciare una giovane di notte da sola in un
sotterraneo, non ho ragione, Leo?» Mr Marley annuì poco convinto.
«Che bel nome, Leo» dissi.
«È il diminutivo di Leopold» spiegò Mr Marley mentre le orecchie gli diventavano rosse
come i fanali posteriori di un’auto. Si mise seduto al tavolo, prese il diario e svitò una
penna stilografica. La calligrafia minuta e precisa con cui erano annotate lunghe schiere di
date, ore e nomi doveva certo essere la sua. «Mia madre lo detestava, ma tutti i
primogeniti della nostra famiglia si chiamano così , è la tradizione.» «Leo è un diretto
discendente del barone Miroslaw Alexander Leopold Rakoczy» mi spiegò Mr George
voltandosi brevemente verso di me e guardandomi negli occhi. «Già conosci quel
leggendario compagno di viaggi del conte di Saint Germain che negli Annali viene
chiamato il leopardo nero.» Io ero allibita. «Ma davvero?» Confrontai mentalmente Mr
Marley con il pallido e secco Rakoczy, che tanta paura mi aveva fatto con i suoi occhi neri.
Tuttavia non sapevo se fosse il caso di dire: «Bene, deve essere contento di non somigliare
al suo sinistro antenato», oppure se in fin dei conti non fosse persino peggio avere i capelli
rossi, le lentiggini e la faccia come una luna piena.
«Ecco, il mio nonno da parte paterna...» fece per dire Mr Marley, ma Mr George lo
interruppe bruscamente. «Suo nonno sarebbe sicuramente fiero di lei» dichiarò in tono
deciso. «Soprattutto se sapesse quanto è stato bravo a superare gli esami.» «A parte Uso
delle armi tradizionali» precisò Mr Marley. «Lì ho preso solo sufficiente.» «Suvvia, non
servono a nessuno, è una disciplina ormai superata.» Mr George mi porse la mano. «Io
sarei pronto, Gwendolyn. Puoi partire per il 1956. Ho regolato il cronografo a tre ore e
mezzo precise. Tieni ben stretta la borsa e ricorda di non dimenticare nulla nella stanza, va
bene? Mr Marley resterà qui ad aspettarti.» Strinsi forte al petto lo zaino con una mano e
porsi l’altra a Mr George. Lui mi infilò l’indice in uno dei minuscoli scomparti del
cronografo. Un ago mi bucò la carne, uno sfavillante rubino si accese e riempì tutta la
stanza di luce rossa. Chiusi gli occhi mentre mi sentivo assalita da una violenta vertigine.
Quando riaprii gli occhi un secondo dopo, Mr Marley e Mr George erano scomparsi,
insieme al tavolo.
Era più buio, la stanza era illuminata da una semplice lampadina sotto cui, a un metro
soltanto da me, stava nonno Lucas che mi fissava allibito.
«T ... tu... non ha funzionato?» domandò allarmato. Nel 1956 aveva trentadue anni e non
somigliava ancora all’ottantenne che io ricordavo da bambina. «Eri appena sparita e
adesso sei ricomparsa.» «Esatto» confermai fiera, trattenendo l’impulso di saltargli al
collo. Come in occasione dei nostri precedenti incontri, averlo davanti mi provocava
un groppo in gola. I l nonno era morto quando avevo dieci anni ed era sconvolgente e
meraviglioso al tempo stesso incontrarlo di nuovo sei anni dopo il suo funerale. Non era
sconvolgente il fatto che nei nostri incontri nel passato lui non fosse il nonno che
conoscevo, bensì una sua versione incompleta, quello che mi sgomentava era il fatto che
io fossi per lui una perfetta estranea. Non aveva idea di quante volte mi sarei seduta
sulle sue ginocchia, non sapeva di essere stato lui a consolarmi con le sue storie quando
mio padre era morto, né conosceva la lingua segreta con cui ci dicevamo buonanotte. Non
immaginava quanto gli volessi bene e io non potevo dirglielo. Nessuno si sente dire
volentieri certe cose da una persona con cui ha trascorso appena poche ore. Cercai di
ignorare il groppo in gola per quanto possibile. «Immagino che per te sia passato solo un
minuto, e quindi ti perdono il fatto che non ti sia ancora tolto la barba. Per me sono stati
un paio di giorni durante i quali sono accadute tantissime cose.» Lucas si accarezzò la
barba sogghignando. «Ti sei fatta rispedire... complimenti, molto astuto da parte tua, cara
nipote.» «Lo pensi anche tu, vero? A essere sinceri, l’idea è venuta alla mia amica Leslie.
In modo da essere sicura di incontrarti ancora. E per non perdere ulteriore tempo.»
«Certo, peccato però che io non abbia ancora avuto tempo di riflettere su come
comportarci. Stavo giusto cominciando a riprendermi dalla tua visita e a rimuginare su
tutto quanto...» Mi osservò piegando la testa di lato. «In effetti sei cambiata da prima. Non
avevi questa molletta nei capelli e sembri dimagrita.» «Grazie» risposi.
«Non era un complimento. Hai l’aria di non stare bene.» Fece un passo avanti e mi
guardò più da vicino. «È tutto a posto?» si informò dolcemente.
«Tutto alla grande» avrei voluto dire, ma, con mia stessa sorpresa, scoppiai a piangere.
«Tutto alla grande» singhiozzai.
«Mamma mia» disse Lucas battendomi impacciato la mano sulle spalle. «È così grave?»
Per qualche minuto non fui in grado di frenare le lacrime. E pensare che credevo di aver
superato la cosa. La rabbia mi era sembrata la reazione più adeguata al comportamento
di Gideon, era così matura e coraggiosa. Inoltre era più efficace dei continui piagnistei;
purtroppo il paragone di Xemerius con una fontana da interni era più che azzeccato.
«Amici!» singhiozzai alla fine, dato che il nonno aveva il diritto a una spiegazione. «Vuole
che restiamo amici. E che mi fidi di lui.» Lucas smise di darmi pacche sulle spalle e
aggrottò la fronte senza capire. «E perché ci sarebbe da piangere in questo...?» «Perché
appena ieri invece mi ha detto di amarmi!» Lucas sembrava ancora più sconcertato, se
possibile. «A me non sembra il fondamento peggiore per un’amicizia.» Le mie lacrime si
fermarono come se qualcuno avesse tolto la spina alla fontana. «Nonno! Non essere così
ottuso!» esclamai. «Prima mi bacia,poi scopro che è stata solo una manovra per
manipolarmi e quindi se ne esce con questa storia del restiamo amici!» «Oh. Ho capito.
Che razza di... farabutto!» Lucas non sembrava ancora del tutto convinto. «Scusa la mia
domanda sciocca, ma non stiamo parlando di quel giovane de Villiers, il numero undici, il
diamante?» «Invece sì» ribattei. «Stiamo parlando proprio di lui.» Mio nonno sbuffò.
«Questa poi! È inaudito!! Come se le cose non fossero già abbastanza complicate.» Mi offrì
un fazzoletto, mi prese lo zaino e dichiarò energico: «Adesso basta con i piagnistei. Quanto
tempo abbiamo?» «T ornerò indietro alle dieci.» Stranamente piangere mi aveva fatto
bene, molto meglio dell’alternativa con la rabbia. «Senti, prima di cominciare, sarebbe
possibile mangiare un boccone? Ho un certo appetito.» Lucas scoppiò a ridere.
«D’accordo, saliamo di sopra. Qui sotto l’aria è soffocante. Inoltre devo chiamare a casa e
avvertire che farò tardi.» Aprì la porta. «Andiamo, nipotina mia. Lungo la strada potrai
raccontarmi tutto. E ricorda, se qualcuno dovesse vederti: sei mia cugina Hazel venuta
dalla campagna.» Un’ora più tardi eravamo seduti con le meningi fumanti nell’ufficio di
Lucas, in mezzo a foglietti di appunti per la maggior parte pieni di date, cerchi, frecce e
punti interrogativi oltre a voluminosi tomi in cuoio (diversi decenni degli Annali dei
Guardiani) e l’obbligatorio piatto con biscotti di cui i Guardiani sembravano sempre avere
a disposizione scorte abbondanti.
«Troppe poche informazioni, troppo poco tempo» continuava a ripetere Lucas.
Camminava nervoso da un angolo all’altro della stanza, scompigliandosi la chioma.
Nonostante la brillantina aveva i capelli tutti spettinati. «Che cosa posso aver nascosto in
quel baule?» «Forse un libro con tutte le informazioni che mi servono» suggerii. Avevamo
superato senza problemi la guardia in cima alla scala, il giovane dormiva ancora come
durante la mia ultima visita. I l suo fiato alcolico faceva venire la nausea solo a passarci
accanto. Nel 1956 l’atmosfera dai Guardiani era molto più rilassata di quanto pensassi.
Nessuno trovava strano che Lucas facesse straordinari, e nessuno si irritava se sua cugina
Hazel dalla campagna gli faceva compagnia. In ogni caso a quell’ora c’erano ben poche
persone nell’edificio. I l giovane Mr George se n’era già andato per il fine settimana, e
questo mi rincresceva, perché mi avrebbe fatto piacere rivederlo.
«Un libro... sì , forse» disse Lucas addentando un biscotto con aria assorta. Aveva cercato
per tre volte di accendersi una sigaretta, ma io gliel’avevo sempre tolta di mano. Non
volevo puzzare di nuovo di fumo di sigaretta al mio ritorno. «La faccenda delle coordinate
cifrate ha senso, mi piace, sì , mi si addice. Ho sempre avuto un debole per certe cose.
Solo... com’è possibile che Lucy e Paul fossero al corrente di questo codice in quel coso...
nel libro del cavallo giallo?» «I l cavaliere verde, nonno» lo corressi paziente. «È un libro
nella tua biblioteca e tra le sue pagine c’era il foglietto con il codice. Forse sono stati Lucy e
Paul a mettercelo.» «Ma non ha senso. Se loro sono scomparsi nel passato nel 1994, che
senso avrebbe avuto per me murare anni dopo un baule dentro casa mia!» Si fermò e si
chinò sui libri. «Mi sembra di impazzire! Sai quando hai la sensazione di avere la
soluzione a portata di mano? Vorrei che fosse possibile viaggiare anche nel futuro con il
cronografo, così potresti intervistarmi tu stessa...» All’improvviso mi venne un’idea, tanto
geniale che fui tentata di darmi una pacca sulle spalle da sola per complimentarmi. Pensai
a ciò che il nonno mi aveva raccontato l’ultima volta. In pratica Lucy e Paul, annoiati
durante una trasmigrazione, erano saltati ulteriormente all’indietro nel tempo vivendo
esperienze emozionanti come assistere a una rappresentazione shakespeariana originale.
«Ci sono!» esclamai, cimentandomi in una piccola danza di gioia.
I l nonno aggrottò la fronte. «Dove sei, esattamente?» domandò irritato.
«Che ne diresti di spedirmi indietro nel passato con il vostro cronografo?» sbottai. «Così
potrei incontrare Lucy e Paul e chiedere direttamente a loro.» Lucas alzò la testa. «E
quando vorresti incontrarli? Non sappiamo in quale epoca si nascondano.» «Già, però
sappiamo per esempio quando sono venuti a trovarti qui. Se li raggiungessi, potremmo
parlare e insieme...» I l nonno mi interruppe. «Durante le loro visite qui nel 1948 e nel 1949
e dal 1992 al 1993» – a ogni anno il nonno indicava i nostri appunti e tracciava con il dito
diverse frecce –, «Lucy e Paul non sapevano ancora abbastanza, e tutto ciò che sapevano
me lo hanno raccontato. No, semmai dovresti incontrarli dopo che sono fuggiti con il
cronografo.» Consultò di nuovo freneticamente i nostri appunti. «Questo avrebbe senso,
tutto il resto aumenterebbe solo la confusione.» «Allora... allora tornerò nel 1912, là dove li
ho incontrati già una volta, a casa di Lady Tilney in Eaton Place.» «Sarebbe una possibilità,
ma non funzionerebbe da un punto di vista temporale...» Lucas lanciò un’occhiata torva
all’orologio appeso al muro.
«T anto per cominciare, non eri sicura della data, per non dire dell’ora. E non bisogna
dimenticare che prima dovremmo inserire il tuo sangue nel cronografo, altrimenti non
potresti usarlo.» Si scompigliò di nuovo i capelli. «Per concludere, dovresti arrivare da
sola da qui a Belgravia e nel 1912 non è ancora così facile... già, ci vorrebbe anche un
costume adatto... no, con l’intervallo di tempo limitato a nostra disposizione, non
potremmo mai farcela. Dobbiamo escogitare qualcos’altro. Sento di avere la soluzione
sulla punta della lingua... devo solo rifletterci ancora qualche istante... magari con una
sigaretta...» Scrollai la testa. No, non avrei rinunciato così
in fretta. Sapevo che era
un’ottima idea. «Potremmo portare il cronografo adesso direttamente davanti a casa di
Lady Tilney, così mi ritroverei subito lì – risparmiando un sacco di tempo. E per quanto
riguarda il costume... perché mi guardi in quel modo?» Lucas aveva sgranato di colpo gli
occhi. «Santo cielo!» bisbigliò. «Ecco la soluzione!» «Quale?» «I l cronografo! Nipotina, sei
un genio!» Lucas girò intorno alla scrivania e mi abbracciò.
«Sono un genio?» ripetei, mentre stavolta era il nonno a cimentarsi in una specie di danza
di gioia.
«Sì ! E anch’io. Siamo due geni, perché ora sappiamo che cosa è nascosto nel baule.»
Veramente io non lo sapevo. «E sarebbe?» «I l cronografo!» esclamò Lucas.
«I l cronografo?» gli feci eco io.
«È logico! In qualunque momento Lucy e Paul lo abbiano sottratto, in qualche maniera e
per qualche motivo ha ritrovato la strada per tornare da me e io l’ho nascosto. Per te! In
casa mia. Non è una trovata tanto originale, ma molto logica!» «Dici?» Lo guardai poco
convinta. Mi sembrava un’ipotesi piuttosto tirata, ma del resto la logica non era mai stata
una mia prerogativa.
«Fidati, nipotina, ne sono certo.» L’entusiasmo sui lineamenti di Lucas si trasformò in una
ruga sulla fronte. «Questo naturalmente ci apre nuove possibilità. Ora dobbiamo
soltanto... soltanto riflettere bene.» Tornò a guardare l’orologio. «Maledizione, abbiamo
bisogno di più tempo.» «Posso tentare di farmi rispedire nel 1956 alla prossima
trasmigrazione» dissi. «Domani pomeriggio però non sarà possibile, perché dovrò
rivedere il conte a quel ballo.» Quella prospettiva mi scatenò una ridda di emozioni poco
piacevoli, e non solo a causa di Gideon.«No, no, no!» esclamò Lucas. «Non è
assolutamente possibile. Dobbiamo essere un passo avanti prima che tu affronti il conte.»
Si massaggiò la fronte. «Pensapensapensapensa.» «Non vedi il fumo che mi esce dalle
orecchie! È da un’ora che non faccio altro» gli assicurai, ma evidentemente stava parlando
con se stesso.
«Per prima cosa dobbiamo inserire il tuo sangue nel cronografo. Senza aiuto non puoi
farcela da sola nel 2011, è troppo complicato. Poi ti devo spiegare come si usa il
cronografo.» Un’altra occhiata allarmata all’orologio. «Se chiamo il nostro dottore,
potrebbe arrivare tra mezz’ora, sempre ammesso di avere la fortuna di trovarlo a casa... il
problema è come spiegargli che devo fare un prelievo di sangue a mia cugina Hazel.
All’epoca, nel caso di Lucy e Paul, abbiamo prelevato il sangue in maniera ufficiale per
motivi scientifici, ma tu sei qui in incognito e tale devi restare, altrimenti...» «Aspetta»
lo interruppi. «Non potremmo sbrigare da soli la faccenda del sangue?» Lucas mi guardò
spazientito. «Senti, è vero che sono molto colto, ma con le siringhe non me la cavo proprio.
A essere sinceri, non sopporto nemmeno la vista del sangue. Mi viene subito la nausea...»
«Posso togliermelo da sola» proposi.
«Davvero?» Nei suoi occhi si rifletteva un sincero stupore. «Alla tua epoca a scuola
insegnano come usare le siringhe?» «No, nonno, non lo impariamo a scuola» risposi
irritata. «Però sappiamo che quando ci tagliamo con un coltello esce il sangue. Ce ne hai
uno?» Lucas esitò. «Ecco... veramente non mi sembra una grande idea.» «Non importa, ce
l’ho io.» Aprii lo zaino e presi l’astuccio per occhiali dove Leslie aveva nascosto il coltello
da cucina giapponese, da usare in caso di necessità se avessi avuto bisogno di un’arma
durante un salto nel tempo. Mio nonno sgranò gli occhi quando aprii l’astuccio.
«Prima che tu me lo chieda, no, non è l’attrezzatura standard degli studenti del 2011»
dissi.
Lucas deglutì , poi raddrizzò le spalle e annunciò: «D’accordo. Allora andiamo nella sala
del drago, con una piccola deviazione nello studio del dottore dove prenderemo una
pipetta». Consultò i volumi sulla scrivania e poi se ne mise uno sottobraccio. «Prendiamo
anche questo. E i biscotti.
Per i nervi! Non dimenticare la borsa.» «Che cosa andiamo a fare nella sala del drago?»
Infilai l’astuccio nello zaino e mi alzai.
«I l cronografo si trova lì .» Lucas chiuse la porta dietro di me e rimase in ascolto in
corridoio. Non si sentiva volare una mosca. «Nel caso dovessimo incontrare qualcuno,
diremo che ti sto facendo fare un giro turistico, chiaro, cugina Hazel?» Io annuii. «Tenete il
cronografo in giro così? Nella nostra epoca è chiuso in una cassaforte in cantina, per paura
dei ladri.» «Naturalmente lo scrigno è chiuso a chiave» disse Lucas sospingendomi verso
le scale. «Ma non per paura di eventuali furti. Attualmente non ci sono neppure
viaggiatori nel tempo che possano utilizzarlo. Gli unici momenti esaltanti sono stati
quando Lucy e Paul sono venuti a trasmigrare qui, ma sono passati diversi anni. Per
questo adesso il cronografo non è proprio al centro dei pensieri dei Guardiani. Per nostra
fortuna, direi.» L’edificio in effetti sembrava deserto, anche se Lucas mi assicurò sottovoce
che non era mai del tutto vuoto. Lanciai un’occhiata malinconica alla tiepida serata estiva
fuori dalla finestra. Peccato che non potessi uscire per farmi un’idea più precisa dell’anno
1956. Lucas si accorse della mia occhiata e disse sorridendo: «Credimi, anch’io preferirei
andarmene a fumare una sigaretta in santa pace da qualche parte con te, ma abbiamo
da fare».
«Sinceramente dovresti smettere di fumare, nonno. Fa male. E, per favore, levati quella
barba. Non ti dona affatto.» «Shhh» mi ammonì Lucas. «Se qualcuno ti sente chiamarmi
nonno, dovremmo dare delle spiegazioni.» Non incontrammo nessuno lungo la via e,
quando entrammo nella sala del drago qualche minuto più tardi, il sole scintillava ancora
sul T amigi oltre i giardini e i muri delle case. Anche adesso la sala del drago era uno
spettacolo indescrivibile con le sue maestose proporzioni, le grandi finestre e i preziosi
intagli lignei colorati alle pareti. Come sempre alzai la testa per ammirare l’enorme
drago inciso sul soffitto tra possenti lampadari, che dava l’idea di voler spiccare il volo
da un momento all’altro.
Lucas chiuse a chiave la porta. Sembrava molto più nervoso di me, le mani gli tremavano
quando estrasse il cronografo dallo scrigno e lo posò sul tavolo al centro della sala.
«Quando l’ho usato con Lucy e Paul, è stata una grande avventura. Ci siamo divertiti un
sacco» disse.
Pensai a Lucy e Paul e feci un cenno d’assenso. Li avevo incontrati solo una volta da Lady
Tilney, ma capivo benissimo che cosa volesse dire il nonno. Stupidamente quel ricordo mi
fece pensare subito a Gideon. Anche il suo divertimento per le nostre avventure era stato
una messinscena?
Oppure aveva finto solo con la storia dell’amore?
Mi sbrigai a richiamare alla mente il coltello giapponese e ciò che ero in procinto di farci.
E, guarda caso, il trucco funzionò. Se non altro non scoppiai a piangere.
I l nonno si asciugò il palmo delle mani sui pantaloni. «Comincio a sentirmi troppo
vecchio per certe avventure» osservò.
Lanciai un’occhiata al cronografo. Mi sembrava identico a quello con cui ero arrivata lì , un
apparecchio pieno di coperchietti, leve, cassettini, ingranaggi e bottoni tutto ricoperto di
miniature.
«Una protesta da parte tua sarebbe gradita» disse Lucas in tono un po’ offeso. «Del tipo,
ma sei ancora troppo giovane per sentirti vecchio!» «Ah. Certo, lo sei. Anche se la barba ti
fa invecchiare di almeno dieci anni.» «Mi dà un aspetto nobile e serio, dice Arisa.» Mi
limitai a inarcare le sopracciglia in maniera eloquente e il mio giovane nonno si chinò
brontolando sul cronografo. «Ora fai attenzione: queste dieci rotelle servono per impostare
l’anno. Prima che tu mi chieda perché servono tanti campi: gli anni si scrivono in numeri
romani, spero che tu li conosca.» «Credo di sì .» Tirai fuori dallo zaino il blocco a spirale e
la matita. Non sarei mai riuscita a tenere a mente tutto senza prendere appunti.
«Con questa invece imposti il mese.» Lucas indicò un’altra rotella. «Ma attenzione, per
qualche motivo, si utilizza in questo caso – e solo in questo! – un antico calendario celtico:
l’uno indica novembre, quindi ottobre ha il numero dodici.» Alzai gli occhi al cielo. Tipico
dei Guardiani! Ormai sospettavo da tempo che rendessero complicatissime anche le cose
più semplici solo per mettere in evidenza la loro importanza. Però strinsi i denti e dopo
una ventina di minuti mi resi conto che il tutto non era una stregoneria, una volta capito il
meccanismo.
«Ho capito» dissi interrompendo il nonno che voleva ricominciare la spiegazione da
capo e chiusi il quaderno. «Ora bisogna inserire il mio sangue. E poi... che ore sono?» «È
importante che tu non commetta il minimo errore quando lo imposti.» Lucas fissò a
disagio il coltello giapponese che avevo tolto di nuovo dall’astuccio. «Altrimenti potresti
finire chissà dove... cioè, quando. E, cosa peggiore, non avresti nessun controllo su quando
tornare indietro.
Oddio, quel coltello ha un aspetto pericoloso. Sei sicura di volerlo fare?» «Certo.» Mi
arrotolai una manica. «Solo che non so esattamente in che punto tagliarmi. Una ferita alla
mano sarebbe troppo evidente quando torno indietro, e poi da un dito escono al massimo
poche gocce.»«A parte quando ti affetti il polpastrello» osservò Lucas con un brivido.
«Sanguina da morire, l’ho provato io stesso...» «Credo che prenderò l’avambraccio.
Pronto?» Per qualche motivo era divertente che Lucas avesse molta più paura di me.
Deglutì a fatica e strinse tra le mani la tazza da tè a fiori destinata a raccogliere il sangue.
«Da lì non passa un’arteria importante? Oddio, ho le gambe molli. Finirai per morire
dissanguata qui nel 1956, per colpa della leggerezza del tuo stesso nonno.» «In effetti è una
grossa arteria, ma dovrei tagliarmi nel senso della lunghezza per dissanguarmi. L’ho letto
da qualche parte. A quanto pare molti suicidi sbagliano e vengono salvati, così poi sanno
come fare la volta successiva.» «Per amor del cielo!» esclamò Lucas.
Anch’io provavo un po’ di nausea, ma non c’era altro da fare. In certi momenti era
necessario prendere misure drastiche, avrebbe detto Leslie.
Senza badare all’espressione scioccata di Lucas, posai la lama sulla parte interna
dell’avambraccio, a circa dieci centimetri dal polso. Lo feci scorrere sulla pelle senza
spingere troppo. Sebbene dovesse essere un taglio di prova, risultò più profondo del
previsto, la sottile linea rossa si allargò in fretta e il sangue cominciò a sgorgare. I l dolore,
uno spiacevole bruciore, arrivò qualche istante dopo. I l sangue gocciolava in un sottile
rivolo nella tazza che Lucas reggeva con mani tremanti. Perfetto.
«Taglia la pelle come burro» dissi impressionata. «Leslie me l’aveva detto, è un coltello
davvero micidiale.» «Mettilo via» mi ordinò Lucas, che sembrava sul punto di vomitare.
«Perbacco, sei davvero molto coraggiosa, una autentica Montrose, hmmm.
Fedele al motto di famiglia...» Ridacchiai. «Già, di sicuro l’ho preso da te.» I l sorriso di
Lucas risultò piuttosto storto. «Non ti fa male, vero?» «Certo che sì» risposi, poi sbirciai
nella tazza. «Può bastare?» «Direi di sì» rispose Lucas con voce strozzata.
«Vuoi che apra la finestra?» «Non c’è bisogno.» Posò la tazza accanto al cronografo e fece
un profondo respiro. «I l resto è facile.» Afferrò la pipetta. «Basta versare tre gocce del
tuo sangue in queste due aperture, vedi: qui sotto il minuscolo corvo con il simbolo dello
ying e yang, poi giro la ruota e abbasso questa leva. Ecco fatto. Senti?» Gli ingranaggi
all’interno del cronografo cominciarono a muoversi, con scatti, ronzii e tonfi, mentre
l’aria sembrava farsi più calda. I l rubino si accese brevemente, poi le rotelle si fermarono
e tutto tornò come prima. «Incredibile, vero?» Io annuii e cercai di ignorare la pelle d’oca
che mi aveva assalito su tutto il corpo. «Significa che ora questo cronografo contiene il
sangue di tutti viaggiatori nel tempo tranne Gideon, giusto? Che cosa succederebbe se vi
finisse anche il suo sangue?» Avevo ripiegato il fazzoletto di Lucas e me lo premevo sul
taglio.
«A prescindere dal fatto che nessuno lo sa con precisione, tali informazioni sono coperte
dal più stretto segreto» rispose Lucas. Sul suo viso stava ritornando un po’ di colore.
«Ogni Guardiano ha dovuto inginocchiarsi e giurare di non rivelare il segreto a nessuno
al di fuori di questa loggia. Sulla propria vita.» «Oh.» Lucas sospirò. «Ehi! Non so perché,
ma ho un debole per infrangere i giuramenti.» Indicò un piccolo scomparto nel cronografo
decorato con una stella a dodici punte. «Quello che si sa è che a quel punto si completa un
processo all’interno del cronografo e qualcosa finisce in questo scomparto. Nelle profezie
si parla dell’essenza della stella a dodici punte, oppure anche della pietra filosofale. Ogni
gemma all’altra si unirà, il profumo del tempo l’aria riempirà, soltanto uno in eterno
resterà.» «I l segreto è tutto qui?» domandai delusa. «Di nuovo una sfilza di parole senza
senso.» «Ecco, se si prendono in considerazione tutti gli indizi, la faccenda è molto più
concreta. Guarisce ogni pestilenza e ogni malattia, sotto la stella a dodici punte si compie
la profezia. Usata nel modo giusto, questa sostanza dovrebbe essere in grado di guarire
l’uomo da tutte le malattie.» Questo era già meglio.
«In questo caso non sarebbe tutta fatica sprecata» mormorai pensando alla mania di
segretezza dei Guardiani e ai loro complicati rituali. In queste circostanze era giustificata
anche la loro arroganza. Valeva la pena aspettare qualche secolo per ottenere una tale
medicina miracolosa. E il conte di Saint Germain meritava tutto il rispetto e il
riconoscimento che gli erano dovuti per averlo scoperto e reso possibile per primo. Se solo
non fosse stato un tipo così antipatico...
«Lucy e Paul, tuttavia, nutrono dei dubbi che si debba credere proprio alla pietra
filosofale» disse Lucas come se mi avesse letto nel pensiero.
«Secondo loro una persona che non si fa scrupoli a uccidere il proprio antenato non ha
certo in mente la salvezza dell’umanità intera.» Si schiarì
la gola. «Ha smesso di
sanguinare?» «Non ancora, ma è già di meno.» Alzai il braccio sopra la testa per accelerare
il processo. «Ora che cosa facciamo? Vogliamo provare se lo strumento funziona?» «Santo
cielo, non stiamo parlando di un’auto con cui fare un giro di prova» esclamò Lucas
agitando le mani.
«Perché no?» chiesi. «Non sarebbe proprio questa l’idea?» «In effetti, hai ragione.» Lanciò
un’occhiata al grosso volume che si era portato dietro. «Quantomeno potremmo andare
sul sicuro anche se non ci resta più molto tempo.» Venne assalito da un’improvvisa
alacrità. Si chinò a sfogliare gli Annali. «Dobbiamo fare in modo di trovare una data in cui
non rischi di ritrovarti nel bel mezzo di una seduta. Oppure di imbatterti in uno dei fratelli
de Villiers. Hanno usato questa sala molto spesso per trasmigrare.» «Potrei incontrare
anche Lady Tilney? Da sola?» Mi era venuta un’altra idea. «Se possibile dopo il 1912?»
«Pensi che sarebbe sensato?» Lucas sfogliò il volume. «Non è il caso di complicare le cose
più di quanto non siano già.» «Però non dobbiamo farci sfuggire le nostre poche
possibilità» obiettai pensando a quello che mi aveva consigliato Leslie. Dovevo sfruttare
ogni occasione e soprattutto fare una cosa: chiedere tutto quello che mi veniva in mente.
«Chissà quando ci si presenterà la prossima occasione!
Nel baule potrebbe trovarsi anche qualcos’altro e allora non sarà più possibile. Quando ci
siamo incontrati per la prima volta noi due?» «I l 12 agosto 1948, a mezzogiorno» rispose
Lucas immerso nella lettura degli Annali. «Non lo dimenticherò mai.» «Esatto, e perché tu
non possa dimenticarlo te lo scrivo» dissi impressionata dalla mia stessa genialità.
Scarabocchiai sul blocco: Per Lord Lucas Montrose – importante!!!!!
12 agosto 1948, ore dodici. Laboratorio di alchimia.
Per favore vieni da solo.
Gwendolyn ShepherdStrappai di slancio il foglio e lo ripiegai.
Mio nonno alzò lo sguardo dal volume. «Potrei mandarti nel 1852, il 16 febbraio a
mezzanotte. Lady Tilney trasmigra in quel momento, per la precisione dal 25 dicembre
1929 alle nove del mattino» mormorò. «La poveretta non poteva passare neppure il Natale
in santa pace a casa sua.
Se non altro le avevano dato un lume a petrolio. Senti che cosa c’è scritto: ore dodici e
mezzo, Lady Tilney torna di ottimo umore dal 1852, alla luce del lume ha realizzato due
porcellini all’uncinetto per il mercatino di beneficenza dell’Epifania, che quest’anno
ha per tema Vita di campagna.» Si voltò verso di me. «Porcellini all’uncinetto! Ti rendi
conto? Se le compari davanti dal nulla, c’è il pericolo che le prenda un colpo.
Vogliamo davvero arrischiarci a farlo?» «Sarà armata solo di un uncinetto e se non sbaglio
hanno la punta arrotondata.» Mi chinai sul cronografo. «Allora, per prima cosa l’anno.
1852, se non sbaglio comincia con la M, giusto? MDCCCLI I . I l mese di febbraio secondo
il calendario celtico è il numero tre, no, quattro...» «Si può sapere che cosa fai? Prima
dobbiamo fasciarti la ferita e poi bisogna riflettere ancora per bene su tutto quanto!» «Non
c’è tempo» ribattei. «Per il giorno... era questa leva, giusto?» Lucas mi guardò
raccapricciato da sopra la spalla. «Non così in fretta! Deve corrispondere al millimetro,
altrimenti... altrimenti...» Sembrava di nuovo sul punto di vomitare. «E non devi mai
stringere in mano il cronografo, altrimenti lo porteresti con te nel passato. E allora non
potresti più tornare indietro!» «Come è successo a Lucy e Paul» bisbigliai.
«Meglio impostare per sicurezza una finestra temporale di tre minuti soltanto. Diciamo
dalle dodici e trenta alle dodici e trentatré, così lei potrà tornare a intrecciare in pace il suo
porcellino. Se stesse dormendo, non la svegliare, altrimenti potrebbe venirle un infarto...»
«In questo caso non sarebbe riportato sugli Annali?» lo interruppi. «Lady Tilney mi ha
dato l’impressione di essere di fibra robusta, vedrai che non le capiterà niente.» Lucas
spostò il cronografo vicino alla finestra e lo mise dietro la tenda. «Qui possiamo essere
sicuri che non ci sono mobili tra i piedi. Senti, non c’è bisogno di alzare gli occhi al cielo.
Una volta Timothy de Villiers è caduto così malamente su un tavolo da rompersi una
gamba!» «E se Lady Tilney fosse proprio qui a guardare trasognata la notte? Dai, non fare
quella faccia, stavo solo scherzando, nonno.» Gli diedi una gomitata affettuosa nel fianco,
mi inginocchiai per terra davanti al cronografo e aprii lo sportelletto proprio in
corrispondenza del rubino. Era grande esattamente quanto il mio dito.
«Aspetta, il taglio!» «Possiamo fasciarlo anche fra tre minuti. Ci vediamo dopo» dissi, poi
feci un profondo respiro e spinsi il dito con decisione contro l’ago.
Fui assalita dalla familiare vertigine, e mentre la luce rossa si accendeva e Lucas diceva:
«Ma io volevo ancora...» ogni cosa scomparve davanti ai miei occhi.Dagli Annali dei
Guardiani 18 dicembre 1745
Mentre l’esercito giacobino è già segnalato a Derby e avanza verso Londra, ci siamo
trasferiti nel nostro nuovo quartier generale e speriamo che le voci relative a 10.000 soldati
francesi che si sono uniti al young pretender Bonnie Prince Charlie non siano veritiere e
possiamo trascorrere un pacifico Natale in città. Non si potrebbe immaginare una
sistemazione più adatta per noi Guardiani degli storici edifici qui a Temple, perché in
fondo anche i templari erano custodi di grandi segreti, la grande chiesa di Temple è a
pochi passi da qui e le sue catacombe sono collegate alle nostre. Ufficialmente gestiremo
da qui i nostri affari, ma potremo offrire alloggio a adepti, novizi e ospiti da fuori, oltre che
alla servitù, e disporremo anche di alcuni laboratori per scopi alchemici. Siamo lieti che
Lord Alastair non abbia potuto rovinare con le sue calunnie (si veda il resoconto del 2
dicembre) l’ottimo rapporto del conte con il principe di Galles, e che, grazie alla protezione
di Sua Maestà, abbiamo avuto modo di prendere possesso di questo complesso di edifici.
Oggi nella sala del drago è avvenuta la festosa consegna dei documenti segreti di
proprietà del conte nelle mani di membri della cerchia interna.
Autore: sir Oliver Newton, cerchia interna4
Impiegai qualche secondo per abituarmi alla penombra che mi circondava. La sala era
rischiarata da un unico lume a petrolio sul tavolo. Nel suo alone fioco e caldo scorsi una
piacevole natura morta composta da un cestino, alcuni gomitoli di lana rosa, una teiera
con un colino e una tazza con un decoro di rose. Lì accanto c’era Lady Tilney che
lavorava all’uncinetto e che abbandonò le mani in grembo vedendomi comparire. Era
molto invecchiata dal nostro ultimo incontro e i suoi capelli rossi erano striati da ciocche
bianche. Ciononostante conservava il suo portamento maestoso e inavvicinabile, che
contraddistingueva anche la nonna. Non diede segno di voler mettersi a urlare né di
aggredirmi con l’uncinetto sguainato.
«Buon Natale» disse.
«Buon Natale» risposi un po’ confusa. Per un istante rimasi interdetta, poi mi riscossi.
«Non tema, non voglio prelevarle il sangue né cose del genere.» Uscii dall’ombra della
tenda.
«La faccenda del sangue è ormai acqua passata, Gwendolyn» disse Lady Tilney con una
nota di rimprovero, come se dovessi già saperlo. «Mi chiedevo quando saresti venuta.
Siediti. Una tazza di tè?» «No, grazie. Ho solo pochi minuti.» Mi avvicinai e le porsi il
foglietto ripiegato. «Questo dovrebbe darlo al nonno, in modo che... ecco, tutto accada
come è accaduto. È molto importante.» «Ho capito.» Lady Tilney prese il foglietto e lo aprì
con la massima calma. Non sembrava affatto scioccata.
«Come mai mi stava aspettando?» domandai.
«Perché tu stessa mi hai detto che non mi sarei dovuta spaventare quando fossi venuta a
trovarmi. Purtroppo non hai specificato quando sarebbe successo, e così sono anni che
aspetto di non essere spaventata da te.» Rise piano. «Devo dire comunque che realizzare
porcellini all’uncinetto ha un effetto davvero rilassante. In tutta sincerità qui c’è proprio il
rischio di addormentarsi per la noia.» Avevo a fior di labbra un cortese: «Dopo tutto lo fa
per una buona causa», quando lo sguardo mi cadde sul cestino strappandomi invece un:
«Oh, che carini!» Ed era proprio così . Molto più grandi di quanto mi ero immaginata,
come autentici peluche e molto verosimili.
«Prendine uno» disse Lady Tilney.
«Sul serio?» Pensai a Caroline e protesi la mano verso il cestino. Gli animali erano molto
morbidi.
«Angora e cachemire» spiegò Lady Tilney con un’innegabile nota d’orgoglio nella voce.
«La uso soltanto io. Tutte le altre utilizzano lana di pecora, ma punge.» «Ah, sì . Grazie.»
Stringendo il maialino rosa al petto, cercai di chiarirmi le idee. Dove eravamo rimasti?
Diedi un colpetto di tosse. «Quando ci vedremo la prossima volta? Cioè, nel passato?» «È
stato nel 1912. Dal mio punto di vista però non è la prossima volta.» Sospirò. «Che epoca
entusiasmante...» «Accidenti!» Avevo lo stomaco di nuovo sottosopra come se fossi a
bordo di un ottovolante. Perché mai non avevamo impostato una finestra temporale più
lunga? «Lei di sicuro ne saprà molto più di me» mi affrettai a dire. «Non abbiamo tempo
per i dettagli, ma... forse ha qualche prezioso consiglio da farmi portare dietro?» Avevo
fatto qualche passo indietro, fuori dall’alone del lume in direzione della finestra.
«Un consiglio?» «Sì ! Una cosa del tipo, guardati da...?» Le rivolsi un’occhiata carica di
aspettativa.
«Da che cosa?» Lady Tilney ricambiò la mia occhiata, precisa identica.
«Ma sono io a non saperlo! Da che cosa devo guardarmi?» «Di sicuro dai sandwich al
pastrami e dal troppo sole, non fa bene alla pelle» disse Lady Tilney energica, poi la sua
immagine scomparve davanti a me e mi ritrovai nel 1956.
I sandwich al pastrami, ma per favore! Avrei fatto meglio a chiederle da chi guardarmi,
invece da che cosa. Ma ora era troppo tardi. Avevo perso l’occasione.
«Si può sapere che cosa sarebbe quello?» esclamò Lucas alla vista del porcellino.
Già, ci mancava solo questa: invece di sfruttare ogni secondo per strappare informazioni
preziose a Lady Tilney, da quella idiota che ero, mi ero gettata su un peluche rosa. «Un
porcellino all’uncinetto, nonno, lo vedi anche tu» risposi depressa e delusa da me stessa.
«Angora e cachemire.
Le altre usano tutte ruvida lana di pecora...» «In ogni caso sembra che il nostro test abbia
funzionato» commentò Lucas scrollando la testa. «Sai utilizzare il cronografo e possiamo
darci appuntamento. A casa mia.» «È durato troppo poco» protestai. «Non sono riuscita a
sapere niente.» «Se non altro hai... hmmm... un maialino e a Lady Tilney non è venuto
l’infarto. Oppure sì?» Scossi il capo interdetta. «Certo che no.» Lucas avvolse il cronografo
nel panno di velluto e lo ripose nello scrigno. «Consolati, in questo modo abbiamo il
tempo sufficiente per tornare di nascosto in cantina e organizzare altri progetti in attesa
del tuo salto. Non so proprio quale scusa ci inventeremo se Cartrell, quell’incapace, si è
risvegliato dalla sbronza.» Ero
euforica,
quando
infine
tornai
nella
stanza
del
cronografo della mia epoca. Lo ammetto, la storia del porcellino all’uncinetto (che
avevo nascosto nello zaino) non era stata forse molto geniale, ma tutto il resto era stato
tessuto con grande abilità da me e da Lucas. Se nel baule avessi trovato davvero il
cronografo, non saremmo più stati legati al caso.
«Qualche avvenimento da segnalare?» si informò Mr Marley.
Vediamo un po’: avevo passato il pomeriggio a complottare con il nonno, avevamo
inserito di nascosto il mio sangue nel cronografo e poi ero trasmigrata nel 1852, dove mi
ero incontrata per cospirare con Lady Tilney. Per amor di precisione, non c’era stato niente
di cospiratorio, però era stato un incontro segreto.
«La lampadina ogni tanto sfarfallava» risposi. «E ho studiato i vocaboli francesi.» Mr
Marley si chinò sul diario e annotò con la sua calligrafia minuta e ordinata: ore sette e
quarantatré, rubino torna dal 1956, dove ha fatto i compiti. La lampadina sfarfallava.
Repressi una risata. L’ordine prima di ogni cosa. Ero sicura che fosse del segno della
Vergine. La cosa davvero spaventosa era che fosse già così tardi. Avrei tanto voluto
tornare prima che la mamma rimandasse a casa Leslie.
Mr Marley però non sembrava avere nessuna fretta. Avvitò con esasperante lentezza il
cappuccio della penna stilografica.«Trovo la strada anche da sola» dissi.
«No, è vietato» replicò sgomento. «Naturalmente l’accompagno io alla limousine.» Mr
Marley richiuse il diario e si alzò. «Devo bendarle gli occhi. Lo sa anche lei.» Con un
sospiro mi lasciai legare la benda intorno alla testa. «Continuo a non capire perché non
possa conoscere la strada per arrivare in questa stanza.» A prescindere dal fatto che la
conoscevo ormai alla perfezione.
«Perché così sta scritto negli Annali» rispose Mr Marley in tono sorpreso.
«Che cosa?» esclamai. «I l mio nome è negli Annali e c’è scritto che non devo conoscere la
strada? Quando?» La voce di Mr Marley tradiva tutto il suo disagio. «Naturalmente non
c’è scritto il suo nome, altrimenti non sarebbero passati tutti questi anni credendo che il
rubino fosse l’altra, cioè mi riferisco a Miss Charlotte...» Si schiarì la gola, poi tacque e io
sentii la porta che si apriva. «Posso?» Mi chiese prendendomi per un braccio e guidandomi
fuori in corridoio. Anche se non vedevo niente, ero sicura che fosse arrossito di nuovo,
perché mi sembrava di avere accanto una stufetta elettrica.
«Che cosa c’è scritto di preciso su di me?» domandai.
«Le chiedo scusa, ma non ho il permesso... ho già detto troppo.» Mi sembrava di sentire le
sue mani che si agitavano, almeno quella con cui non mi teneva. Quel tipo doveva essere
un discendente del feroce Rakoczy? Ma per piacere!
«Per favore, Leo» dissi nel tono più amichevole possibile.
«Mi rincresce, ma da me non verrà a sapere altro.» La pesante porta si richiuse alle nostre
spalle. Mr Marley mi lasciò il braccio per chiuderla a chiave, operazione che gli richiese
almeno dieci minuti. Cercai di guadagnare tempo provando a fare un deciso passo in
avanti, cosa per niente facile con gli occhi bendati. Mr Marley mi riprese il braccio, e
questo fu un bene, perché senza una guida avrei finito ben presto per andare a sbattere
contro un muro in quel labirinto. Decisi di provare a ingraziarmelo ancora un po’, tanto
non poteva guastare. Forse in seguito sarebbe stato pronto a snocciolare qualche altra
informazione.
«Lo sa che ho conosciuto personalmente il suo capostipite?» Per la precisione gli
avevo anche fatto una foto, ma purtroppo non potevo mostrarla a Mr Marley,
altrimenti avrebbe subito sbraitato che avevo portato con me nel passato oggetti proibiti.
«Dice davvero? Come la invidio. I l barone doveva essere una personalità di grande
rilievo.» «Hmmm, sì , certo.» Altro che rilievo! Quel vecchio tossico brontolone. «Mi ha
chiesto notizie della Transilvania, ma purtroppo non ho saputo dargli molte
informazioni.» «Già, deve essere stato molto difficile per lui vivere in esilio» osservò Mr
Marley, per poi esclamare subito dopo in tono stridulo: «Oh!» Un topo, pensai subito e mi
tolsi in fretta e furia la benda dagli occhi. Ma non era stato un topo a spaventare Mr
Marley. Si trattava di Gideon.
Con la barba un pochino più lunga di quel pomeriggio, ma con occhi stranamente
vigili. E così incredibilmente, vergognosamente, inconcepibilmente bello.
«Sono io» disse sorridendo.
«Lo vedo» replicò Mr Marley scontroso. «Mi ha fatto una gran paura.» A me ancora di più.
I l labbro inferiore cominciò a tremarmi e io ci conficcai gli incisivi per fermarlo. Che
stupida!
«Può andare a casa. Accompagno io Gwendolyn alla macchina» disse Gideon porgendomi
la mano con grande naturalezza.
Io assunsi un’espressione il più possibile superba (com’era possibile farlo con gli incisivi
affondati nel labbro inferiore? Dovevo somigliare a un castoro. Un castoro superbo, in
ogni caso) e ignorai la sua mano.
«Non è possibile» disse Mr Marley. «Ho l’incarico di accompagnare la signorina
fino... aaargh!» Mi guardò sgomento. «Miss Gwendolyn, perché si è tolta la benda? È
contro il regolamento!» «Credevo che si trattasse di un topo» spiegai lanciando
un’occhiata torva a Gideon. «E non mi ero poi sbagliata molto.» «Ora guardi che cosa ha
combinato» si lamentò Mr Marley con Gideon. «Adesso non so che cosa... il protocollo
prevede... e se...» «Si calmi, Marley. Vieni, Gwenny, andiamo.» «Lei non può... devo
insistere...» balbettò Mr Marley. «E... e... e lei non è previsto, cioè non è autorizzato a darmi
ordini.» «Allora vada al diavolo.» Gideon mi afferrò il braccio e mi sospinse in avanti. Per
un attimo cercai di resistergli, ma mi resi conto che avrei solo perso del tempo. Con ogni
probabilità saremmo rimasti qui a discutere fino a domattina. Così mi lasciai
portare e mi girai per rivolgere un’occhiata di scusa a Mr Marley. «Arrivederci, Leo.» «Sì
, giusto. Arrivederci, Leo» ripeté Gideon.
«Ci... ci saranno delle conseguenze» balbettò Mr Marley alle nostre spalle. La sua chioma
ardeva come un falò nel corridoio in penombra.
«Sì , sì . Ce la facciamo sotto dalla paura.» Gideon sembrava incurante del fatto che Mr
Marley potesse sentirlo. «Stupido secchione.» Aspettai di superare l’angolo successivo,
quindi mi liberai di lui e affrettai il passo, fino quasi a correre.
«Per caso hai aspirazioni olimpiche?» si informò Gideon.
Io mi girai. «Che cosa vuoi da me?» Leslie sarebbe stata orgogliosa del mio tono
imperioso. «Ho davvero molta fretta.» «Volevo essere sicuro che le scuse di oggi
pomeriggio ti fossero arrivate veramente.» La sua voce aveva perso ogni nota sarcastica.
La mia invece no. «Sì , stai tranquillo, sono arrivate» sbottai. «I l che non significa che io le
abbia accettate.» «Gwen...» «Non importa, non c’è bisogno che tu mi ripeta che mi vuoi
bene. Anch’io te ne voglio, sai? T e ne voglio e molto. Ma la cosa è finita.» Affrontai di
corsa la scala a chiocciola, con il risultato che una volta in cima ero senza fiato. Avrei avuto
voglia di sporgermi ansimando dalla ringhiera. Ma non volevo dargli questa
soddisfazione, soprattutto visto che anche Gideon sembrava un po’ affaticato. Per questo
continuai a camminare, finché lui mi afferrò per un polso e mi costrinse a fermarmi.
Sussultai, perché le sue dita mi strinsero il taglio sul polso che ricominciò a sanguinare.
«Se vuoi odiarmi, per me va bene, non c’è problema» disse Gideon guardandomi serio
negli occhi. «Tuttavia sono venuto a conoscenza di cose che rendono necessaria la nostra
collaborazione. Affinché tu... affinché entrambi usciamo vivi da questa storia.» Cercai di
liberarmi, ma lui mi strinse con più forza. «E quali sarebbero queste cose?» domandai,
anche se avrei preferito di gran lunga gridare: «Ahia!» «Non le conosco neppure io per la
precisione. Ma potrebbe darsi che mi sia sbagliato per quanto riguarda le intenzioni di
Lucy e Paul. Pertanto è importante che tu...» Si bloccò, mi lasciò e si guardò il palmo della
mano. «Che cos’è, sangue?» Accidenti. Dovevo conservare un’espressione innocente.
«Niente di grave. Mi sono tagliata stamattina a scuola con un foglio di carta. Ma, per
restare in tema, finché non sarai in grado di specificare queste cose che dici di aver
scoperto» (Dio, come ero fiera di come avevo formulato bene la frase), «non ho nessuna
intenzione di collaborare con te.» Gideon tentò ancora di afferrarmi il braccio. «Veramente
mi sembra una brutta ferita. Lasciami guardare... sarebbe meglio andare dal dottor White.
Forse non è ancora andato via.» «I l che significa che non hai intenzione di spiegare meglio
ciò che avresti appreso.» Lo tenni a distanza con il braccio proteso, per impedirgli
diesaminare la mia ferita.
«È solo perché non ho ancora ben capito che significato dare al tutto» disse Gideon. E
proprio come aveva fatto Lucas poco prima aggiunse con una punta di disperazione nella
voce: «Ho bisogno di più tempo!» «Già, chi non ne ha?» Mi misi in cammino. Eravamo
arrivati davanti all’atelier di Madame Rossini, da cui non mancava più molto all’uscita.
«Arrivederci, Gideon. Ci vediamo domani.» In segreto ci speravo, invece lui non mi
bloccò. E non mi seguì neppure. Avrei dato qualunque cosa per vedere la sua espressione,
però non mi voltai neppure una volta. Anche perché sarebbe stato stupido, visto che avevo
le guance di nuovo rigate di lacrime.
Nick mi aspettava sulla porta di casa. «Finalmente!» esclamò. «Volevo cominciare senza di
te, ma Mr Bernhard ha detto che dovevamo aspettarti.
Ha
rotto
lo sciacquone del bagno azzurro, e ha annunciato di dover
mattonelle per smontare
il serbatoio. Abbiamo chiuso
togliere
le
la porta segreta dall’interno.
Astuto, no?» «Molto raffinato.» «Peccato che tra un’ora Lady Arisa e zia Glenda saranno di
ritorno e di sicuro gli diranno di rimandare a domani la riparazione.» «Allora sarà meglio
sbrigarci.» Lo abbracciai brevemente e gli stampai un bacio sulla testa rossa spettinata.
Almeno questo dovevo farlo. «Lo hai raccontato a qualcuno?» Nick mi guardò con aria un
po’ colpevole. «Solo a Caroline. Era così ... ma sì , lo sai che capisce sempre quando c’è
qualcosa nell’aria e poi diventa insopportabile con le sue domande. Però terrà la bocca
chiusa e ci aiuterà a distrarre la mamma, zia Maddy e Charlotte.» «Soprattutto Charlotte»
dissi più che altro a me stessa.
«Sono ancora di sopra in sala da pranzo. La mamma ha invitato a cena Leslie.» In sala da
pranzo la cena era finita. Questo stava a significare che zia Maddy si era spostata nella sua
poltrona davanti al camino con le gambe sollevate, mentre Mr Bernhard e la mamma
sparecchiavano la tavola. Tutti si mostrarono felici di vedermi, tutti tranne Charlotte. Ecco,
forse era solo che riusciva a mascherare molto bene la sua gioia.
Xemerius si dondolò dal lampadario strillando: «Finalmente! Stavo per morire di noia».
Nonostante il profumino che aleggiava nella stanza e l’invito della mamma che mi aveva
lasciato in caldo qualcosa, dichiarai stoicamente di non avere fame, perché avevo già
cenato a T emple. Questa bugia fece ribellare con forza il mio stomaco, ma non potevo
sprecare del tempo prezioso per placarlo.
Leslie mi sorrise ammiccante. «I l curry era delizioso. Non riuscivo a smettere di
mangiarlo, visto tra l’altro che la mamma al momento è in una delle sue terribili fasi di
sperimentazione e i piatti macrobiotici che cucina non li mangia neppure il nostro cane.»
«Strano, perché nonostante tutto ti vedo bella... hmmm, diciamo ben nutrita» commentò
acida Charlotte. Aveva il viso incorniciato da qualche boccolo che si era sfilato dalla
treccia. Inconcepibile che una persona tanto bella potesse essere tanto cattiva.
«Beata te. Quanto mi piacerebbe avere un cane» disse Caroline rivolta a Leslie. «O un
qualsiasi altro animale domestico.» «Ma che dici, noi abbiamo Nick» replicò Charlotte.
«Praticamente è quasi come avere una scimmietta.» «E poi non bisogna dimenticare un
ragno velenoso come te» ribatté Nick.
«I l mio rispetto, piccolo» ridacchiò Xemerius dal lampadario battendo le mani ad artiglio.
«Ottima risposta!» La mamma stava aiutando Mr Bernhard a caricare le posate sul
montavivande. «Sai benissimo che non è possibile, Caroline, perché zia Glenda è allergica
al pelo animale.» «Potremmo prendere una talpa senza pelo» propose Caroline. «Sarebbe
meglio di niente.» Charlotte spalancò la bocca, poi la richiuse perché evidentemente non le
era venuto in mente niente di cattivo da dire a proposito delle talpe senza pelo.
Zia Maddy si era messa comoda in poltrona e si indicò con un gesto assonnato la guancia
rosea e paffuta. «Gwendolyn, vieni a dare un bacio alla tua prozia! È spaventoso vederti
così di rado ultimamente. Stanotte ho sognato di nuovo e ti dirò subito che non è stato un
bel sogno...» «Puoi raccontarmelo più tardi?» Le diedi un bacio e le sussurrai all’orecchio:
«Potresti darci una mano a tenere lontana Charlotte dal bagno azzurro?» Le fossette di zia
Maddy si accentuarono mentre mi strizzava l’occhio. Di colpo era perfettamente sveglia.
La mamma, che oggi era uscita con un’amica, sembrava di umore molto migliore rispetto
ai giorni passati, non mi guardava con espressione preoccupata e non sospirava
angosciata. Con mia sorpresa, permise perfino a Leslie di trattenersi ancora. Ci risparmiò
addirittura i suoi soliti sermoni sui pericoli insiti nel prendere l’autobus di notte. Cosa
ancora più importante, Nick ottenne il permesso di assistere Mr Bernhard durante la
riparazione dello sciacquone otturato, anche se i lavori si fossero protratti a lungo. Soltanto
Caroline fu sfortunata: venne spedita a letto. «Uffa, voglio esserci anch’io quando il te... lo
sciacquone verrà smontato» implorò versando una lacrima quando la mamma rimase
implacabile.
«Vado a letto anch’io» disse Charlotte a Caroline. «Con un buon libro.» «All’ombra della
collina dei vampiri» recitò Xemerius. «È già arrivata a pagina 413, nel punto in cui il
giovane, sebbene non morto Christopher St. Ives, finalmente riesce a portarsi a letto
l’incantevole Mary Lou.» Gli scoccai un’occhiata divertita e con mio stupore vidi che
sembrava un po’ impacciato. «Lo giuro, ho letto solo qualche pagina» protestò, balzando
dal lampadario al davanzale della finestra.
Zia Maddy colse al volo l’annuncio di Charlotte. «Oh, mia cara! Speravo che mi avresti
tenuto ancora un po’ di compagnia nella stanza da musica» disse. «Avrei tanta voglia di
giocare a Scarabeo.» Charlotte alzò gli occhi al cielo. «L’ultima volta abbiamo dovuto
escluderti dal gioco perché sostenevi che esistesse la parola gattorecchio.» «Infatti. È un
gatto con le orecchie.» Zia Maddy si alzò e si appese al braccio di Charlotte. «Ma, se
preferisci, oggi non vale.» «E nemmeno saltuccello e muccolatte» disse Charlotte.
«Ma il saltuccello esiste di sicuro, tesorino» disse zia Maddy rivolgendomi un sorriso
ammiccante.
Io abbracciai la mamma prima di salire in camera mia con Leslie. «A proposito, devo
porgerti i saluti di Falk de Villiers. Voleva sapere se avevi un compagno fisso.» Avrei
fatto meglio ad aspettare che zia Maddy e Charlotte fossero uscite dalla stanza per riferire
questa comunicazione, perché si bloccarono entrambe girandosi trepidanti verso la
mamma.
«Come?» La mamma arrossì leggermente. «E tu che cosa gli hai risposto?» «Che sono
secoli che non esci con nessuno dopo quel tipo che avevi conosciuto che si grattava sempre
il cavallo dei pantaloni quando credeva che nessuno lo guardasse.» «Non ci credo!»
Scoppiai a ridere. «Infatti non gliel’ho detto.» «Oh, state parlando di quel banchiere
attraente con cui voleva accoppiarti Arisa? Mr I tchman?» si intromise zia Maddy. «Di
sicuro aveva ipidocchi.» Leslie ridacchiò.
«Si chiamava Hitchman, zia Maddy.» Mia madre si strofinò le braccia rabbrividendo.
«Per fortuna non ho controllato se avesse davvero i pidocchi. Ma, dimmi, che cosa hai
risposto veramente? A Falk, intendo.» «Proprio niente» dissi. «Vuoi che la prossima volta
magari gli chieda se lui è stato accalappiato da qualcuna?» «Fallo pure» disse la mamma.
Poi sorrise e aggiunse: «Comunque non lo è. L’ho saputo per caso da un’amica che
ha un’amica che lo conosce... non che la cosa possa interessarmi».
«No di certo» commentò Xemerius. Si alzò svolazzando dal davanzale per posarsi in
mezzo al tavolo da pranzo. «Possiamo andare una buona volta?» Mezz’ora più tardi,
Leslie era stata aggiornata sulle ultimissime novità e Caroline era in possesso di un
autentico porcellino all’uncinetto vintage risalente al 1929. Quando le raccontai come lo
avevo avuto, ne fu molto impressionata e decise di battezzarlo Margret, in omaggio a
Lady Tilney.
Si addormentò beata stringendo tra le braccia il maialino quando finalmente tornò la
calma.
I colpi di mazza e scalpello di Mr Bernhard avevano risuonato per tutta la casa; di
nascosto non saremmo riusciti a sfondare il muro. E di nascosto Mr Bernhard e Nick non
riuscirono neppure a trasportare il baule di sopra in camera mia. Alle loro spalle spuntò
immediatamente zia Maddy.
«Ci ha sorpresi sulla scala» cercò di giustificarsi Nick.
«...e ho riconosciuto il baule» aggiunse zia Maddy esaltata. «Apparteneva a mio fratello. È
rimasto per anni in biblioteca e poi – poco tempo prima della sua morte – scomparve
all’improvviso. Ritengo che sia mio sacrosanto diritto sapere che cosa avete in mente di
farci.» Mr Bernhard sospirò. «Purtroppo non abbiamo avuto altra scelta; proprio in questo
momento sono rincasate Lady Arisa e zia Glenda.» «Già, e io in ogni caso ero il male
minore, giusto?» Zia Maddy rise soddisfatta.
«L’importante è che Charlotte non abbia il minimo sospetto» osservò Leslie.
«No, no, non c’è da preoccuparsi. Si è rifugiata fumante di rabbia in camera sua, solo
perché avevo scritto la parola tagliamazzo.» «Che, come tutti sanno, è la persona che taglia
il mazzo giocando a carte» spiegò Xemerius. «O quel che sia. Non può mancare in nessuna
casa.» Zia Maddy si inginocchiò accanto al baule e ne accarezzò il coperchio polveroso.
«Dove lo avete trovato?» Mr Bernhard mi rivolse un’occhiata interrogativa e io mi strinsi
nelle spalle. Dato che era lì , tanto valeva spiegarle ogni cosa.
«L’ho murato io su richiesta di suo fratello» spiegò solenne Mr Bernhard. «La sera prima
della sua morte.» «Solo la sera prima della sua morte?» gli feci eco io. Questa era una
novità anche per me.
«Che cosa contiene?» si informò zia Maddy. Si era rialzata e cercava un posto dove
sedersi. Non trovando niente di meglio, alla fine si accomodò sul mio letto accanto a
Leslie.
«È proprio questo il grande mistero» disse Nick.
«I l mistero piuttosto è come fare per aprire il baule» obiettò Mr Bernhard. «La chiave
infatti è andata perduta insieme ai diari di Lord Montrose all’epoca di quel furto.» «Quale
furto?» domandarono in coro Leslie e Nick.
«I l giorno del funerale di vostro nonno, qualcuno entrò qui di nascosto» spiegò zia
Maddy. «Mentre noi eravamo al cimitero per la funzione. Che giornata triste, vero mio
caro?» Zia Maddy lanciò un’occhiata a Mr Bernhard, che l’ascoltava imperturbabile.
A me risultava abbastanza familiare. A quanto mi ricordavo, i ladri erano stati
disturbati ed erano scappati prima di riuscire a portar via alcunché.
Ma, quando lo raccontai a Nick e Leslie, la zia mi contraddisse.
«No, no, angelo mio. La polizia concluse che non fosse stato rubato niente, perché i
contanti, le obbligazioni al portatore e i gioielli erano ancora in cassaforte.» «I l che
avrebbe avuto senso solo se i ladri avessero preso di mira esclusivamente i diari»
intervenne Mr Bernhard. «All’epoca mi sono permesso di avanzare questa tesi agli
agenti, ma nessuno mi ha creduto. Inoltre non c’erano tracce di scasso sulla
cassaforte, il che sta a significare che i malviventi dovevano conoscere la combinazione.
Per questo si pensò che Lord Montrose avesse spostato i diari da un’altra parte.» «Io le ho
creduto, mio caro» disse zia Maddy. «Purtroppo la mia opinione all’epoca non era tenuta
in grande considerazione. Veramente non lo è mai stata» aggiunse arricciando il naso. «In
ogni caso, tre giorni prima della morte di Lucas ebbi una visione che mi convinse che non
era morto per cause naturali. Purtroppo tutti quanti come al solito mi presero per... pazza.
La visione però era chiarissima: una possente pantera balzava sul petto di Lucas e lo
azzannava alla gola.» «Già, molto chiara» mormorò Leslie mentre io chiedevo: «E i diari?»
«Nessuno li ha più ritrovati» rispose Mr Bernhard. «E con essi neppure la chiave di questo
baule, che Lord Montrose aveva incollato sul fondo dell’ultimo diario, cosa che avevo
visto io stesso con i miei occhi.» Xemerius agitò impaziente le ali. «Io propongo di
smetterla di perderci in chiacchiere e di prendere un grimaldello.» «Ma... il nonno è morto
d’infarto» osservò Nick.
«Certo, almeno così sembrava.» Zia Maddy sospirò. «È stramazzato a ottant’anni alla
scrivania del suo studio di T emple. Evidentemente la mia visione non è stata una ragione
sufficiente per eseguire un’autopsia. Arisa si arrabbiò molto con me quando avanzai tale
richiesta.» «Mi è
venuta
la pelle d’oca» bisbigliò Nick
scivolando più
vicino e
appoggiandosi a me. Per un po’ restammo in silenzio. Solo Xemerius svolazzava in
cerchio intorno al lampadario sbraitando: «Forza, al lavoro!» Ma naturalmente potevo
sentirlo soltanto io.
«Bisogna riconoscere che ci sono davvero molte coincidenze» osservò Leslie alla fine.
«Già» concordai. «Lucas fa murare il baule e casualmente muore il giorno dopo.» «Già, e
casualmente tre giorni prima io ho una visione della sua morte» disse zia Maddy.
«E casualmente i suoi diari scompaiono senza lasciare traccia» aggiunse Nick.
«E casualmente la chiave che Miss Leslie porta al collo è proprio identica a quella di
questo baule» annunciò Mr Bernhard quasi in tono colpevole. «Non sono riuscito a
toglierle gli occhi di dosso per tutta la cena.» Leslie afferrò perplessa la catenina. «Questa?
La chiave del mio cuore?» «Non può essere quella giusta» intervenni. «L’ho sgraffignata
dal cassetto di una scrivania di T emple in una data imprecisata del XVI I I secolo.
Sarebbe una coincidenza esagerata, no?» «I l caso è l’unico legittimo padrone
dell’universo, lo diceva anche Einstein. E lui era uno che se ne intendeva.» Zia Maddy si
sporse in avanti coninteresse.
«Non l’ha detto Einstein, bensì Napoleone» esclamò Xemerius dal soffitto. «E quello lì
non ci aveva tutte le rotelle a posto!» «Forse posso sbagliarmi: le chiavi vecchie si
assomigliano un po’ tutte» disse Mr Bernhard.
Leslie sganciò la chiusura della catenina e mi porse la chiave. «Vale la pena provare.» Io
consegnai la chiave a Mr Bernhard. Trattenemmo tutti insieme il fiato mentre lui si
inginocchiava davanti al baule e infilava la chiave nella delicata serratura. Girò senza
fatica.
«Incredibile» mormorò Leslie.
Zia Maddy annuì soddisfatta. «Non esistono coincidenze! Tutto, tutto è destino. Ora
non ci tenga più sulle spine e apra il coperchio, Mr Bernhard.» «Un momento!» Feci
un profondo respiro. «È fondamentale che tutti i presenti mantengano un assoluto riserbo
sul contenuto del baule!» Come potevano cambiare in fretta le cose: sino a un paio di
giorni prima, mi lamentavo della mania di segretezza dei Guardiani e adesso io stessa
fondavo una società segreta. Ci mancava solo che pretendessi che tutti si bendassero gli
occhi uscendo dalla mia camera.
«Sembra quasi che tu sappia già che cosa c’è dentro» osservò Xemerius, che aveva già
tentato più volte di infilare la testa nel legno del baule, rinunciandoci tutte le volte con
terribili colpi di tosse.
«Naturale che non diremo niente» mi assicurò Nick un po’ offeso e anche Leslie e
zia Maddy mi rivolsero un’occhiata indignata. Persino l’impassibile Mr Bernhard aveva
sollevato un sopracciglio.
«Dovete giurarlo» ordinai e, per fare in modo che capissero quanto facessi sul serio,
aggiunsi: «Sulla vostra vita!» Solo zia Maddy balzò in piedi prontamente e si posò una
mano sul cuore. Gli altri tentennavano ancora. «Non possiamo scegliere qualcos’altro
anziché la vita?» obiettò Leslie. «Secondo me basterebbe la mano sinistra.» Io scossi la
testa. «Giuratelo!» «Lo giuro sulla mia vita!» annunciò zia Maddy allegramente.
«Lo giuro» mormorarono gli altri in tono impacciato. Nick scoppiò in una risatina nervosa,
mentre zia Maddy, per sottolineare la solennità del momento, si mise a canticchiare
sottovoce la melodia dell’inno nazionale.
Si sentì un lieve scricchiolio quando Mr Bernhard – dopo essersi accertato con un’occhiata
che io fossi d’accordo – alzò il coperchio del baule.
Le sue dita spiegarono diversi strati di velluto ammuffito e, quando alla fine misero allo
scoperto l’oggetto che vi era stato avvolto, tutti proruppero in esclamazioni di sorpresa,
tranne me. Solo Xemerius esclamò: «Vecchia canaglia!» «È quello che penso io?» domandò
zia Maddy dopo un po’ con gli occhi sempre sgranati.
«Sì» risposi scostandomi stancamente i capelli dal viso. «È un cronografo.» Nick e zia
Maddy se ne erano andati controvoglia, Mr Bernhard con la sua solita discrezione e Leslie
tra mille proteste. Sua madre, però, aveva già telefonato due volte per sapere se la figlia
fosse stata a) assassinata, oppure b) fatta a pezzi da qualche parte a Hyde Park, e questo
non le lasciava altra scelta.
Prima però avevo dovuto giurarle di rispettare rigorosamente il nostro piano d’azione.
«Sulla tua vita» aveva preteso e io l’avevo accontentata.
Al contrario di zia Maddy, tuttavia, avevo rinunciato all’inno nazionale.
Finalmente in camera mia era tornata la quiete e due ore più tardi, dopo che mia madre si
era affacciata alla porta, anche in tutta la casa. Ero stata molto combattuta per decidere se
fosse il caso di provare il cronografo quella notte. Per Lucas non avrebbe fatto differenza,
se fossi andata al nostro appuntamento del 1956 quel giorno stesso, l’indomani, o magari
tra quattro settimane, mentre per me riuscire una volta tanto a dormire per tutta la notte
avrebbe rappresentato un vero e proprio miracolo. Viceversa, l’indomani dovevo
partecipare a questo ballo dove avrei incontrato nuovamente il conte di Saint Germain e
ancora non sapevo quali fossero le sue intenzioni.
Scesi di soppiatto le scale con il cronografo nascosto nella tasca dell’accappatoio. «Perché ti
porti dietro quell’affare per tutta casa?» mi chiese Xemerius. «Puoi benissimo partire dalla
tua camera.» «Certo, ma tu sai chi dormiva nella mia camera nel 1956? E poi dovrei
attraversare di nascosto tutta la casa, con il rischio che qualcuno mi scambi per una
ladra... no, preferisco saltare direttamente nel passaggio segreto, così quando atterro non
c’è pericolo che qualcuno mi veda.
Lucas mi aspetterà davanti al ritratto del pro-pro-pro-prozio Hugh.» «I l numero di pro
cambia tutte le volte» constatò Xemerius. «Se fossi in voi, mi limiterei a chiamarlo grasso
antenato.» Non badai a lui e mi concentrai invece sui gradini che scricchiolavano. Poco
dopo scostai il dipinto senza farlo cigolare perché Mr Bernhard aveva oliato il
meccanismo. Inoltre aveva fissato un catenaccio sia alla porta della stanza da bagno, sia al
sottoscala. Dapprima esitai a chiuderli entrambi. Infatti, se per qualche motivo fossi
stata costretta a tornare indietro fuori dal passaggio segreto, io sarei rimasta chiusa
fuori e il cronografo dentro.
«Incrocia le dita e prega che funzioni» dissi a Xemerius, quando alla fine mi inginocchiai
e infilai il dito indice nello sportellino sotto il rubino premendo forte contro l’ago. (Non
ci si abituava mai al dolore: tutte le volte faceva un male cane.)
«Lo farei, se le avessi» feci in tempo a sentire dire da Xemerius, poi scomparve e con lui
anche il cronografo.
Feci un profondo respiro, ma l’aria stantia del corridoio non mi aiutò certo a superare il
senso di mancamento. Mi rialzai barcollando, strinsi forte la torcia elettrica di Nick e aprii
la porta del sottoscala. Quando spinsi da parte il dipinto, cigolò e scricchiolò come in un
classico film dell’orrore.
«Eccoti qua» esclamò Lucas che, armato a sua volta di torcia elettrica, mi aspettava
dall’altra parte. «Per un attimo ho temuto che si trattasse del fantasma della casa, a
mezzanotte in punto...» «Con il pigiama di Peter Rabbit?» «In effetti ho bevuto un po’...
comunque sono felice di aver indovinato il contenuto del baule.» «Già, e per fortuna il
cronografo funziona benissimo. Ho impostato un’ora di tempo, come d’accordo.» «Allora
sbrigati, prima che ricominci a strillare e svegli tutta casa.» «Chi?» bisbigliai allarmata.
«Ma il piccolo Harry! Sta mettendo i denti o roba simile. Comunque strepita peggio di una
sirena.» «Zio Harry?» «Arisa dice che dobbiamo lasciarlo piangere per ragioni educative,
altrimenti diventerà un debole. Ma ti assicuro che è insopportabile. A volte vado da lui di
nascosto, giusto o sbagliato che sia. Se gli si canta la filastrocca della volpe, smette subito
di frignare.» «Povero zio Harry. Un classico caso di imprinting infantile, direi.» Non mi
sorprendeva il fatto che oggi il mio congiunto cercasse in ogni modo di abbattere tutto ciò
che gli passava davanti alla carabina, anatre, lepri, cinghiali e soprattutto volpi! Era
presidente di un’associazione che sosteneva la reintroduzione della caccia alla volpe nel
Gloucestershire. «Forse faresti meglio a cantargli qualcos’altro. E a non dargli una volpe
come peluche.»Raggiungemmo inosservati la biblioteca e, dopo essersi chiuso la porta alle
spalle, Lucas tirò un sospiro di sollievo. «Fin qui ci siamo arrivati.» Nella stanza non era
cambiato praticamente nulla rispetto alla mia epoca, solo
il rivestimento delle due
poltrone davanti al camino era diverso, quadri scozzesi verdi e blu invece di rose
color crema su sfondo verde muschio. Sul tavolino tra di esse c’era una teiera con
un piccolo scaldavivande, due tazze e – chiusi gli occhi e li riaprii velocemente, ma non
era un’allucinazione – proprio un cestino con dei tramezzini! Niente biscotti secchi! Bensì
autentici, gustosi tramezzini! Da non crederci. Lucas si accomodò su una delle poltrone e
mi indicò il posto accanto a sé.
«Nel caso tu abbia fame, serviti...» Non fece in tempo a finire la frase che avevo già
afferrato un tramezzino addentandolo di gusto.
«Mio salvatore!» esclamai con la bocca piena. Poi mi venne in mente qualcosa: «Non è che
dentro c’è del pastrami?» «No. Cetrioli e prosciutto» rispose Lucas. «Hai l’aria stanca.»
«Anche tu.» «Non mi sono ancora ripreso dalle emozioni di ieri sera. Prima, come ho
detto, mi sono dovuto concedere un whisky. Anzi, due. Intanto mi sono diventate più
chiare un paio di cosette... sì , sì , prendi pure anche l’altro tramezzino. E mastica con
calma. C’è da spaventarsi a vederti così .» «Continua a parlare» lo incalzai. Oddio, che
bello mangiare! Avevo l’impressione di non aver mai assaggiato tramezzini tanto squisiti.
«Quali cose ti sono diventate più chiare?» «Dunque, per cominciare: per quanto molto
piacevoli, i nostri incontri dovranno avvenire molto più avanti nel futuro, se vogliamo fare
qualche progresso, direi quanto più vicino possibile al tuo anno di nascita. Per allora forse
avrò capito quali siano le intenzioni di Lucy e Paul e di sicuro ne saprò più di oggi. Questo
significa che la prossima volta ci vedremo nel 1993. A quel punto potrò anche aiutarti per
quanto riguarda la storia del ballo.» Già, in effetti era molto logico.
«Secondo: la cosa funziona solo se riesco a introdurmi ancora più a fondo nel nucleo di
potere dei Guardiani, ovvero fino alla cerchia interna.» Annuii con foga. Non potevo
parlare perché avevo la bocca piena.
«Finora la mia ambizione al riguardo è rimasta piuttosto limitata.» Lo sguardo di Lucas si
posò sullo stemma di famiglia dei Montrose appeso sopra il camino. Una spada circondata
di rose con sotto il motto HIC RHODOS, HIC SALTA, che più o meno stava a significare
dimostra ciò di cui sei capace. «Anche se occupo fin dal principio un’ottima posizione
nella loggia – del resto la famiglia Montrose era presente tra i membri fondatori nel 1745 e
inoltre ho sposato una potenziale portatrice di geni della linea di giada – tuttavia non
avevo nessuna intenzione di impegnarmi più dello stretto necessario... ebbene, adesso le
cose sono cambiate. Per te e per il bene di Lucy e Paul sono pronto a lec... cioè... a
ingraziarmi il mio capo, Kenneth de Villiers. Non so se funzionerà, ma...» «Funzionerà
eccome! Diventerai addirittura Gran Maestro» annunciai scrollandomi le briciole dal
pigiama. Trattenni a fatica un rutto soddisfatto.
Ah, che bella sensazione sentirmi di nuovo sazia. «Fammi pensare: nel 1993 tu sarai...»
«Zitta!» Lucas si chinò verso di me e mi posò un dito sulla bocca. «Non voglio sapere
niente. Probabilmente non è saggio, ma non voglio sapere che cosa ha in serbo per me il
futuro, se non è necessario per il bene di questa missione. Devo vivere altri trentasette anni
prima del nostro prossimo incontro e li vorrei trascorrere nella maniera più... sì , più
spensierata possibile. Mi capisci?» «Sì .» Gli lanciai un’occhiata triste. «Lo capisco
benissimo.» In queste circostanze non era il caso di informarlo dei sospetti di zia Maddy e
Mr Bernhard che la sua morte non fosse stata naturale. Potevo benissimo farlo nel 1993.
Mi appoggiai allo schienale della poltrona e mi sforzai di sorridere. «Allora parliamo della
magia del corvo, nonno. È qualcosa che ancora non conosci di me.»Dagli Annali dei
Guardiani 2 aprile 1916
Parola d’ordine del giorno: «Duo cum faciunt idem, non est idem» (Terenzio)
Londra è ancora sotto i bombardamenti, ieri le squadriglie tedesche l’hanno sorvolata
persino di giorno e le bombe hanno causato gravi danni in tutta la città. L’amministrazione
comunale ha decretato l’utilizzo come rifugi antiaerei pubblici di alcune parti dei
sotterranei accessibili dalla City e dal palazzo di giustizia. Per questo abbiamo cominciato
a murare i passaggi noti, abbiamo triplicato il numero dei nostri Guardiani nello
scantinato e inoltre sostituito le armi tradizionali con quelle più attuali.
Oggi siamo trasmigrati di nuovo in tre seguendo il protocollo di sicurezza dall’archivio al
1851. Ci eravamo portati dietro tutti qualcosa da leggere e sarebbe stato tutto molto più
semplice se Lady Tilney avesse accolto con un po’ più di senso dell’umorismo i miei
commenti circa le sue letture, invece di lanciarsi di nuovo in una discussione sui principi.
Io resto della mia opinione che le poesie di questo Rilke siano stupidaggini, roba senza
alcun senso e inoltre non è patriottico leggere letteratura tedesca proprio nel bel mezzo di
una guerra! Detesto quando qualcuno cerca di convertirmi, abitudine che Lady Tilney
purtroppo non riesce proprio a perdere.
Stava leggendo un passaggio perverso su mani atrofizzate che guizzano umide e pesanti
come rospi dopo la pioggia, o qualcosa del genere, quando qualcuno bussò alla porta.
Naturalmente
spavento,
perché ardire Enigma b
hi
Lady
conoscerlo, anche se poi lo ha negato.
Una spiegazione nessuno!!!!
Sangue senza che
un metro Ottantacin
verde anno.
Nota a margine: 17.5.1986
Brano illeggibile, probabilmente a causa di una macchia di caffè. Le pagine da 34 a 36
mancano del tutto. Ho chiesto l’introduzione di una regola che specifichi l’obbligo per i
novizi di leggere gli Annali solo sotto sorveglianza.
D. Clarksen, archivista (molto arrabbiato!!!)5
«Oh, no, hai pianto di nuovo» commentò Xemerius che era rimasto ad aspettarmi nel
passaggio segreto.
«Sì» confermai scortese. Separarmi da Lucas mi era stato molto difficile e non ero stata la
sola a versare qualche lacrima. Non ci saremmo visti per trentasette anni, almeno dal suo
punto di vista, e per entrambi era un intervallo di tempo lunghissimo. Sarei voluta
saltare direttamente nel 1993, ma avevo dovuto promettere a Lucas che prima avrei
riposato un po’. Non che avessi poi tanto tempo, però almeno ci avrei provato. Erano le
due del mattino e alle sette meno un quarto dovevo alzarmi. La mamma avrebbe avuto
bisogno di una gru per sollevarmi dal letto.
Siccome non ottenni la solita battuta sprezzante da Xemerius, gli puntai sul muso la luce
della torcia. Magari era solo una mia impressione, ma sembrava un po’ triste e mi resi
conto che per tutto il giorno lo avevo trascurato. «Sei stato carino ad aspettarmi, Xemi...
erius» gli dissi assalita da un’improvvisa ondata di tenerezza. Avrei voluto anche
accarezzarlo, ma non è possibile farlo con gli spiriti.
«È stato un puro caso. Ne ho approfittato per cercare un nascondiglio sicuro per quel
coso.» Indicò il cronografo che avevo avvolto di nuovo nell’accappatoio e mi ero infilata
faticosamente sottobraccio. Sgusciai sbadigliando nell’apertura del sottoscala e feci
scivolare silenziosamente il ritratto del mio pro-pro-pro... del grasso antenato al suo posto
davanti all’ingresso.
Xemerius svolazzava accanto a me mentre saliva la scala. «Se sposti la parete di fondo del
tuo armadio a muro – di cartongesso, puoi farcela tranquillamente – ti ritrovi
nell’intercapedine della soffitta. E lì
ci sono un sacco di possibili nascondigli.» «Per
stanotte lo infilerò semplicemente sotto il letto, credo.» Avevo le gambe di piombo per
la stanchezza. Spensi la torcia, ero in grado di trovare la mia camera da letto anche al
buio. Probabilmente anche dormendo. All’altezza della camera di Charlotte dormivo già, e
per questo il cronografo rischiò di cadermi di mano per lo spavento quando la porta si aprì
e fui inondata da una lama di luce.
«Merda» brontolò Xemerius. «Prima dormivano tutti, lì , te lo giuro!» «Non sei un po’
troppo grande per questo pigiama con i coniglietti?» domandò Charlotte. Stava
appoggiata allo stipite della porta con indosso una camicia da notte dalle spalline strette. I
capelli le ricadevano in ondate scintillanti sulle spalle. (Ecco il vantaggio delle acconciature
intrecciate: funzionano come bigodini con effetto angelico incorporato.)
«Sei matta a spaventarmi così?» Parlai sottovoce per non svegliare pure zia Glenda.
«Che cosa ci fai in piena notte di nascosto nel mio corridoio? Quello che cos’è?» «Come
sarebbe nel tuo corridoio? Dovrei forse arrampicarmi sulla facciata per arrivare alla mia
camera?» Charlotte si staccò dallo stipite e fece un passo verso di me. «Che cosa tieni lì
sotto il braccio?» ripeté, questa volta in tono minaccioso. I l fatto che sussurrasse la
rendeva solo più convincente. E tra l’altro aveva un’espressione così ... pericolosa che non
osavo passarle oltre.
«Oh, oh» commentò Xemerius. «Deve essere in preda a una forma molto grave di
sindrome premestruale. Consiglierei di non contrariarla oggi.» Non ne avevo alcuna
intenzione neppure io. «Ti riferisci al mio accappatoio?» «Fammi vedere che cosa c’è
dentro!» mi ordinò.
Io feci un passo indietro. «Ma sei impazzita? Non ho nessuna intenzione di farti vedere il
mio accappatoio nel cuore della notte. Ora lasciami passare, per favore, voglio andare a
letto!» «Io voglio vedere che cosa hai lì dentro!» sibilò Charlotte. «Credi davvero che sia
ingenua come te? Credi che non mi sia accorta delle vostre occhiate d’intesa e del vostro
atteggiamento cospiratorio? Se volete tenermi nascosto qualcosa, dovreste essere un po’
più raffinati. Che cosa c’era in quel baule che tuo fratello e Mr Bernhard hanno portato su
da te? Conteneva quello che adesso hai sotto il braccio?» «Certo, bisogna riconoscere che
stupida non è» osservò Xemerius grattandosi il naso con un’ala.
In un altro momento della giornata e in uno stato più vigile, sarei riuscita a imbastire una
storiella su due piedi, ma adesso non ne avevo la forza.
«Non ti riguarda!» esclamai.
«Invece sì !» ribatté Charlotte con enfasi. «Io non sarò il rubino e quindi non farò parte del
cerchio dei dodici, ma al contrario di te penso come uno di loro! Non sono riuscita a
sentire tutto ciò di cui avete parlato in camera tua, le porte di questa casa sono troppo
massicce, ma quello che ho capito è più che sufficiente!» Fece ancora un passo verso di me
indicando il mio accappatoio. «Dovresti darmi subito quello lì se non vuoi che me lo
prenda con la forza!» «Hai origliato?» Fui assalita dalla nausea. Che cosa era riuscita a
sentire? Sapeva che quello lì era il cronografo? Che tra l’altro sembrava essere diventato
due volte più pesante di prima negli ultimi minuti. Per sicurezza lo presi con entrambe le
mani, posando la torcia di Nick sul pavimento. Nel frattempo non ero più così sicura di
volere che zia Glenda non si svegliasse.
«Lo sapevi che io e Gideon abbiamo ricevuto lezioni di krav maga insieme?» Charlotte
avanzò di un altro passo e io ne feci automaticamente uno indietro.
«No, ma tu lo sapevi che hai lo stesso identico sguardo allucinato del roditore dell’era
glaciale?» «Se siamo
fortunati, forse krav maga è solo qualcosa di
innocuo» disse
Xemerius. «Come il kamasutra! Ahah!» ridacchiò. «Scusa, ma le battute migliori mi
vengono in mente sempre nelle situazioni d’emergenza.» «Krav maga è una tecnica di
combattimento corpo a corpo israeliana, molto efficace» mi informò Charlotte. «Potrei
metterti fuori uso il plesso solare con un calcio, oppure romperti il collo con un solo
colpo.» «E io potrei chiamare aiuto!» Finora la nostra conversazione era avvenuta
sottovoce, un po’ come sentire due serpenti che chiacchierano tra loro, shhh, shhh, shhh,
shhh.
Che cosa sarebbe accaduto se avessi invocato l’aiuto degli altri abitanti della casa?
Probabilmente Charlotte non mi avrebbe più spezzato il collo, ma tutti avrebbero voluto
sapere che cosa tenevo avvolto nell’accappatoio.
Charlotte sembrava avermi letto nel pensiero, perché rise malevola, saltellandomi più
vicina. «Accomodati! Grida pure!» «Io lo farei» disse Xemerius.
Non ne ebbi bisogno, perché alle spalle di Charlotte comparve, come sempre dal nulla, Mr
Bernhard. «Posso essere di qualche aiuto alle loro signorie?» si informò e Charlotte si voltò
di scatto come un gatto spaventato. Per una frazione di secondo pensai che volesse dare
un calcio nel plesso solare di Mr Bernhard, così , per puro riflesso, ma anche se vidi
guizzare la punta del suo piede per fortuna evitò di farlo.
«Anche a me a volte capita di avere fame di notte e sarei disposto a preparare un piccolo
spuntino, già che ci sono» proseguì Mr Bernhard imperturbabile.La sua apparizione mi
riempì di un tale sollievo che scoppiai in un risolino isterico. «Io sono appena scesa a
prendere qualcosa da mangiare in cucina.» Con il mento indicai il fagotto che tenevo
davanti al petto. «Invece karate kid, qui, è in crisi ipoglicemica e ha assoluto bisogno di
mangiare qualcosa.» Charlotte indietreggiò con studiata lentezza verso la sua camera. «Ti
tengo d’occhio» mi avvertì , puntandomi contro il petto l’indice teso con aria accusatoria.
Ero quasi sicura che si sarebbe messa a declamare qualcosa, visto la sua aria solenne. «E
anche lei, Mr Bernhard» si limitò invece a dire.
«Sarà meglio stare attenti» bisbigliai non appena ebbe chiuso la porta della sua camera
e il corridoio fu piombato di nuovo nell’oscurità.
«Conosce il taj mahal.» «Niente male» disse Xemerius ammirato.
Mi strinsi al petto il fagotto dell’accappatoio. «E ha dei sospetti! Forse sa addirittura che
cosa abbiamo trovato. Di sicuro spiffererà tutto ai Guardiani, e quando quelli sapranno
che noi abbiamo il...» «Ci sono luoghi e ore più consone per parlare dell’argomento» mi
interruppe Mr Bernhard con insolita durezza. Raccolse da terra la torcia di Nick, la accese
e indirizzò il fascio verso il lucernario sopra la porta di Charlotte. Era socchiuso.
Io assentii, per indicargli di aver capito: Charlotte poteva sentire ogni parola. «Sì , ha
ragione. Buonanotte, Mr Bernhard.» «Buonanotte, Miss Gwendolyn.» I l mattino dopo mia
madre non ebbe bisogno di una gru per farmi alzare. La sua tattica fu più perfida. Usò
quell’orribile Babbo Natale di plastica che Caroline aveva vinto l’anno scorso alla pesca di
beneficenza e che, una volta acceso, non la smetteva più di canticchiare con la sua orribile
voce di plastica gracchiante: «Hohoho, Merry Christmas everyone!» Dapprincipio cercai di
attutire il frastuono rifugiandomi sotto la coperta. Ma al sedicesimo hohoho ci rinunciai e
gettai da parte la trapunta. Me ne pentii subito, perché mi tornò in mente che giorno era. I
l ballo.
Se non fosse accaduto un miracolo e non avessi trovato la possibilità di saltare da mio
nonno nel 1993 prima del pomeriggio, avrei dovuto affrontare il conte senza le sue
informazioni.
Mi morsi la lingua. Avrei dovuto fare un altro viaggio nel tempo durante la notte.
Viceversa, però, Charlotte a quel punto mi avrebbe scoperto, quindi, a ben vedere la mia
era stata la decisione più saggia.
Mi alzai dal letto barcollando e raggiunsi il bagno. Avevo dormito solo tre ore: dopo
l’apparizione notturna di Charlotte avevo preferito andare sul sicuro e, dietro consiglio di
Xemerius, mi ero rifugiata nell’armadio a muro. Avevo spostato la parete di fondo,
tagliato il ventre del coccodrillo e ci avevo nascosto dentro il cronografo. Poi mi ero
addormentata di schianto, sfinita, e questo se non altro aveva avuto il vantaggio di non
farmi fare brutti sogni. Per la precisione non avevo proprio sognato. Al contrario di zia
Maddy. Quando ero scesa ondeggiando a fare colazione – in ritardo come al solito, perché
avevo dovuto cercare il correttore della mamma per cancellare le occhiaie – lei mi aveva
intercettato in corridoio e dirottato in camera sua.
«Qualcosa non va?» le chiesi, e capii subito che mi sarei potuta risparmiare quella
domanda. Se zia Maddy si svegliava alle sette e mezzo, voleva dire che c’era proprio
qualcosa che non andava. Era sconvolta e uno dei due bigodini che usava per tenersi i
capelli scostati dalla fronte si era allentato e le dondolava sull’orecchio.
«Gwendolyn, ragazza mia, puoi ben dirlo.» Zia Maddy si lasciò cadere sul letto sfatto
guardando con la fronte aggrottata il motivo a fiori sparsi sulla moquette color lavanda.
«Ho avuto una visione!» Di nuovo.
«Lasciami indovinare. Qualcuno ha schiacciato un cuore di rubino sotto il tacco dello
stivale» suggerii. «O magari c’era addirittura un corvo che volava contro una vetrina piena
di... hmmm... orologi?» Zia Maddy scosse la testa agitando i riccioli e mettendo a
repentaglio anche la tenuta del secondo bigodino. «No, Gwendolyn, non devi
scherzare su certe cose! Queste visioni... a volte non so che cosa significano, ma in un
secondo momento si sono sempre rivelate esatte.» Mi prese una mano e mi avvicinò a sé.
«Questa volta era chiarissima. Ho visto proprio te, avevi un vestito azzurro con una
gonna a campana e dappertutto c’erano candele accese e musica di violino.» Mi venne la
pelle d’oca. Non bastava che già io avessi un brutto presentimento a proposito di questo
ballo. Ora ci si metteva anche zia Maddy con la sua visione. Non le avevo raccontato né
del ballo né del colore del vestito.
Soddisfatta di essersi conquistata finalmente tutta la mia attenzione, zia Maddy proseguì :
«Al principio sembrava tutto tranquillo, tutti ballavano, anche tu, ma poi ho visto che la
sala da ballo non aveva il soffitto. Nel cielo si erano ammassate spaventose nubi nere dalle
quali si è staccato un enorme uccello pronto a lanciarsi su di te. E quando hai cercato di
fuggire ci sei finita proprio contro... ah, è stato terribile! Sangue dappertutto, tutto era
rosso sangue, persino il cielo si era colorato di rosso e le gocce di pioggia non erano altro
che gocce di sangue...» «Hmmm, zia Maddy?» Lei agitò le mani. «Sì , tesoro, lo so, è
raccapricciante e spero molto che non significhi ciò che sembrerebbe lampante...» «Hai
saltato qualche passaggio, credo» la interruppi di nuovo. «Dove sono finita... cioè, dov’è
finita la Gwendolyn del tuo sogno?» «Non era un sogno! Era una visione.» Zia Maddy
spalancò gli occhi, se possibile, ancora di più. «Contro una spada. Ci sei finita direttamente
sopra.» «Una spada? E da dove spuntava?» «Era... era sospesa in aria, credo» rispose zia
Maddy gesticolandomi davanti al viso. «Ma non è rilevante» riprese un po’ irritata.
«L’importante era tutto quel sangue!» «Hmmm.» Mi sedetti accanto a lei sul ciglio del
letto. «E che cosa dovrei farne di queste informazioni?» Zia Maddy si guardò intorno,
pescò dal comodino la scatola di caramelle al limone e se ne mise una in bocca.
«Ah, mia cara, non lo so proprio. Pensavo che forse può servirti... come avvertimento...»
«Sì , certo. Cercherò di non finire contro una spada sospesa nell’aria, te lo prometto.» Le
diedi un bacio e mi alzai. «Forse faresti meglio a dormire ancora un po’. È molto presto.»
«Sì , hai ragione, ci proverò.» Si sdraiò e si tirò la coperta fin sotto il mento. «Non prendere
la cosa sottogamba» mi ammonì . «Ti prego, stai molto attenta.» «Stai tranquilla.» Arrivata
alla porta, mi voltai un’ultima volta. «E...» Mi schiarii la gola. «Non c’era per caso anche
un leone nella tua visione?
Oppure un diamante? Oppure... il sole?» «No» rispose zia Maddy a occhi chiusi.
«Lo immaginavo» mormorai, richiudendo piano la porta.Arrivata in sala da pranzo, mi
accorsi subito che mancava Charlotte.
«La poverina non si sente bene» disse zia Glenda. «Qualche linea di febbre e un brutto mal
di testa. Sarà l’influenza che gira adesso. Potresti giustificare tua cugina a scuola,
Gwendolyn?» Annuii risentita. Altro che influenza! Charlotte voleva restare a casa per
rovistare in tutta tranquillità in camera mia. Xemerius, appollaiato nel cestino della
frutta sul tavolo, doveva aver pensato la stessa cosa. «Te l’avevo detto, non è certo
stupida.» Anche Mr Bernhard, che teneva in equilibrio un piatto di uova strapazzate, mi
gettò un’occhiata eloquente.
«Queste ultime settimane sono state troppo sconvolgenti per la mia bambina» disse zia
Glenda e ignorando la scortese esclamazione di Nick aggiunse: «Non c’è da sorprendersi
che ora il suo corpo chieda una pausa.» «Non dire sciocchezze, Glenda» la rimproverò
Lady Arisa sorseggiando il tè. «Noi Montrose siamo di costituzione robusta. Io, per
esempio» raddrizzò le spalle ossute, «non sono stata malata neppure un giorno in vita
mia.» «A dire la verità non mi sento troppo bene nemmeno io» dissi. Soprattutto se
pensavo che la porta della mia camera non si poteva neppure chiudere da fuori. Come
quasi tutte le porte di questa casa, disponeva di un antiquato chiavistello che era possibile
bloccare solo dall’interno.
Mia madre balzò subito in piedi e mi posò la mano sulla fronte.
Zia Glenda alzò gli occhi al cielo. «C’era da aspettarselo! Gwendolyn non sopporta di non
essere al centro dell’attenzione una volta tanto.» «Sei fresca.» La mamma mi afferrò la
punta del naso come se avessi ancora cinque anni. «E il naso è fresco e asciutto. Come è
giusto che sia.» Mi accarezzò la testa. «Questo fine settimana potrò viziarti come preferisci.
Potremo fare colazione a letto...» «Sì , e ci leggerai le storie di Peter, Flopsy, Mopsy e
Cotton T ail, come una volta» disse Caroline che teneva il maialino all’uncinetto sulle
gambe.
«E poi imboccheremo Gwenny con fette di mela e le faremo degli impacchi freddi.» Lady
Arisa posò una fetta di cetriolo sul toast dove erano già stati collocati in perfetto ordine
strati di formaggio, prosciutto, uovo strapazzato e pomodoro. «Gwendolyn, non mi
sembri affatto malata, al contrario, sprizzi salute.» C’era da non crederci! Non riuscivo a
tenere gli occhi aperti per la stanchezza e avevo l’aria di essere stata morsa da un vampiro
e invece, guarda qua!
«Oggi resterò tutto il giorno in casa» intervenne Mr Bernhard. «Potrò preparare un
brodo di gallina per Miss Charlotte.» Sebbene parlasse rivolto a zia Glenda, il messaggio
era per me e io lo compresi fin troppo bene.
Purtroppo zia Glenda aveva altri progetti per lui. «Baderò io a mia figlia. Lei deve andare
all’atelier di Walden-Jones a ritirare le mie ordinazioni e il costume di Charlotte per la
festa.» «Ma si trova a Islington» obiettò Mr Bernhard guardandomi con aria preoccupata.
«Dovrò assentarmi piuttosto a lungo da casa.» «Sì , e allora?» zia Glenda aggrottò la fronte
perplessa.
«Sulla via del ritorno potrebbe comprare dei fiori» aggiunse Lady Arisa. «Qualche
composizione primaverile per l’ingresso, il tavolo da pranzo e la stanza da musica. Niente
di troppo vistoso, niente volgari tulipani sgargianti come l’ultima volta, piuttosto tonalità
di bianco, giallo chiaro e lilla.» La mamma ci distribuì baci di saluto. Doveva andare al
lavoro. «Se trova dei non ti scordar di me, me ne può portare un paio di vasetti, Mr
Bernhard? Vanno bene anche dei mughetti, nel caso ci siano già.» «Molto bene» rispose Mr
Bernhard.
«Perfetto e, già che c’è, compri pure dei gigli, da piantare sulla mia tomba quando
morirò perché sono stata mandata a scuola malata» borbottai scontrosa, ma la mamma
era già uscita.
«Su, non ti preoccupare» cercò di rincuorarmi Xemerius. «Se la strega dai capelli
rossi resta a casa, Charlotte non può certo entrare indisturbata in camera tua. E,
anche se fosse, deve prima venirle in mente di spostare la parete di fondo
dell’armadio a muro e di infilarsi nell’intercapedine. Comunque non avrebbe mai il
coraggio di infilare la mano nella pancia del coccodrillo. Allora, sei contenta che stanotte ti
ho convinto a usare quel nascondiglio?» Annuii, anche se il ricordo di quel bugigattolo
buio pieno di ragnatele mi faceva rabbrividire. Naturalmente continuavo a essere
preoccupata. Se Charlotte immaginava, oppure sapeva addirittura che cosa cercare, non
avrebbe rinunciato tanto facilmente. Tra l’altro io sarei tornata a casa più tardi del solito, se
non fossi riuscita a rimandare il viaggio al ballo. Forse troppo tardi. Che cosa sarebbe
successo, se i Guardiani avessero scoperto che il cronografo rubato si trovava in casa
nostra? Un cronografo nel quale mancava soltanto il sangue di Gideon per chiudere il
cerchio.
Fui assalita da un brivido in tutto il corpo. Avrebbero dato fuori di matto, rendendosi
conto all’improvviso di essere così vicini al compimento della loro missione esistenziale. E
chi ero io dopo tutto per tenere loro nascosto qualcosa con cui forse era possibile trovare
un antidoto per tutte le malattie dell’umanità?
«E comunque esiste pur sempre la possibilità che la povera ragazza sia davvero malata»
concluse Xemerius.
«Come no, e la terra è piatta» replicai stupidamente a voce alta. Tutti si girarono a
guardarmi perplessi.
«No, Gwenny, la terra è una sfera» mi corresse Caroline gentile. «Sai, all’inizio non
volevo crederci nemmeno io. E a quanto pare viaggia velocissima nell’universo.» Staccò
un pezzetto di toast e lo tenne davanti al muso rosa del maialino. «Però è così . Non è vero,
Margret? Ancora un bocconcino di prosciutto?» Nick sbuffò sottovoce e Lady Arisa storse
la bocca contrariata. «Non avevamo introdotto la regola che ai pasti non possono essere
presenti animali di peluche, bambole né tanto meno amici veri o immaginari?» «Ma
Margret è tanto brava» obiettò Caroline, che poi fece scivolare ubbidiente il suo maialino
sotto la sedia.
Zia Glenda starnutì con aria di rimprovero. Evidentemente adesso era diventata allergica
anche agli animali di stoffa.
Sebbene Xemerius mi avesse promesso di difendere il cronografo con la sua stessa vita (a
queste parole ero scoppiata a ridere, anche se non proprio di cuore) e di avvisarmi subito
se Charlotte fosse entrata in camera mia, non riuscivo a smettere di pensare a che cosa
sarebbe accaduto se i Guardiani si fossero impossessati dello strumento. Ma rimuginare
non serviva a niente, dovevo superare quella giornata e sperare per il meglio. Prima
misura: scesi una fermata prima per andare a prendere qualcosa contro la stanchezza da
Starbucks.
«È possibile mettere tre espressi in un macchiato al caramello?» domandai al ragazzo
dietro il banco che mi rispose sogghignando: «Se in cambio mi darai il tuo numero di
cellulare!» Lo guardai un po’ meglio e ricambiai il sorriso lusingata. Con i capelli scuri
e la frangia lunga somigliava a uno di quei personaggi delle commedie francesi.
Naturalmente rimase attraente solo fino a quando non lo paragonai a Gideon, cosa che
stupidamente feci subito.
«Ha il ragazzo» disse qualcuno alle mie spalle. Era Raphael, che mi ammiccò con i suoi
occhi verdi quando mi girai verso di lui aggrottando la fronte. «E poi è troppo giovane per
te, come puoi ben vedere dalla sua uniforme scolastica. Un caffelatte e un muffin ai
mirtilli, per favore.» Alzai gli occhi al cielo e presi la mia ordinazione speciale con un
sorriso di scuse. «Non è vero che ho il ragazzo, ma al momento ho un problema... ecco...
di tempo. Prova a chiedermelo tra un paio d’anni.» «Lo farò» rispose il tipo.«Non lo farà di
sicuro» disse Raphael. «Scommetto che chiede il numero di cellulare a tutte le belle
ragazze.» Lo piantai lì , ma Raphael mi raggiunse sul marciapiede. «Ehi, aspetta! Mi spiace
di averti rovinato il flirt.» Lanciò un’occhiata diffidente al suo caffè. «Sono sicuro che deve
avermi sputato nel bicchiere.» Io trangugiai una lunga sorsata del mio beverone
scottandomi subito le labbra, la lingua e la parte anteriore del palato. Quando tornai
lucida, mi chiesi se il caffè per endovena non fosse forse l’alternativa migliore.
«Ieri sono andato al cinema con quella Celia della nostra classe» proseguì Raphael. «Una
ragazza fantastica. Proprio carina e spiritosa. Non trovi anche tu?» «Eh?» domandai con
un baffo di schiuma sul naso. (La vicinanza con Xemerius cominciava a influenzarmi.)
«Ci siamo divertiti un sacco insieme» proseguì . «Ti prego però di non dirlo a Leslie,
potrebbe ingelosirsi.» Non potei fare a meno di ridere. Che carino: voleva manipolarmi.
«Va bene. Sarò muta come una tomba.» «Senti, secondo te potrebbe essere davvero
gelosa?» domandò Raphael ansioso.
«Certo! Terribilmente gelosa. Soprattutto visto che non c’è proprio nessuna Celia in classe
da noi.» Raphael si grattò perplesso il naso. «Ma la biondina? Quella della festa?»
«Cynthia.» «Sono stato davvero al cinema con lei» protestò Raphael. L’uniforme scolastica
nella sua infelice combinazione di giallo triste e scuro gli stava ancora peggio che a noi. E il
modo in cui si passò la mano tra i capelli mi fece venire in mente Nick, risvegliando i miei
istinti materni. Mi dissi che si meritava una ricompensa per il fatto di non comportarsi in
maniera così arrogante e cocciuta come il fratello maggiore.
«Proverò a informare Leslie con il massimo tatto, ok?» gli proposi.
Lui sorrise titubante. «Però non dirle che ho sbagliato il nome... anzi, meglio se non le dici
niente... oppure sì ...» «Lascia fare a me.» Gli tirai la cravatta per salutarlo. «A proposito,
complimenti! Oggi l’hai annodata nel modo giusto.» «Ci ha pensato Cindy» disse Raphael
con un sorriso storto. «O come cavolo si chiama.» Alla prima ora di lezione avevamo
inglese con Mr Whitman. Registrò con un cenno del capo la giustificazione di Charlotte,
anche se non mi fu possibile evitare di disegnare nell’aria due virgolette pronunciando la
parola malata.
«Avresti dovuto portarlo con te» bisbigliò Leslie mentre Mr Whitman distribuiva i compiti
corretti della settimana precedente.
«I l cronografo? Qui a scuola? Sei pazza? E se Mr Whitman lo scopriva? Gli sarebbe venuto
sicuramente un infarto. Per non parlare poi del fatto che il nostro scoiattolo avrebbe subito
informato i suoi amici Guardiani che poi mi avrebbero squartato, legato alla ruota o
torturato in chissà quale altro modo previsto dalle loro astruse regole d’oro per un caso del
genere.» Consegnai a Leslie la chiave del baule. «Tieni, la chiave del tuo cuore.
Volevo darla a Raphael, ma sono sicura che non avresti voluto.» Leslie alzò gli occhi al
cielo e sbirciò più avanti, dov’era seduto Raphael che si sforzava di non degnarla di uno
sguardo.
«Rimettila al collo e non fartela prendere da Charlotte.» «Krav maga» mormorò Leslie.
«Non era forse in un film con Jennifer Lopez? Quello dove alla fine prende a botte il
marito violento? Vorrei impararlo anch’io.» «Secondo te Charlotte è in grado di
sfondare con una pedata la parete dell’armadio? Non mi sorprenderebbe se lei e
Gideon avessero imparato a forzare le serrature senza chiavi. Probabilmente hanno
partecipato a un laboratorio con un agente del MI6: Senza grimaldello, il raffinato
metodo della forbicina.» Sospirai impotente.
«Se Charlotte sapesse davvero che cosa abbiamo trovato, avrebbe già informato i
Guardiani» obiettò Leslie scuotendo il capo. «Al massimo, potrà avere un sospetto. Crede
di trovare qualcosa con cui rendersi importante e metterti in cattiva luce.» «Già, e se lo
trovasse...» «Mi auguro sinceramente che stiate parlando del sonetto numero 130.» La
figura di Mr Whitman si materializzò di colpo di fronte a noi.
«Sono giorni che non parliamo d’altro» disse Leslie.
Mr Whitman inarcò un sopracciglio. «Negli ultimi tempi non riesco a togliermi dalla
mente
il sospetto che vi occupiate di argomenti che non giovano affatto alla vostra
preparazione scolastica. Forse sarebbe opportuno scrivere una lettera ai vostri genitori.
Credo che, alla luce dei soldi che spendono per avere il privilegio di farvi frequentare
questo istituto, possano aspettarsi legittimamente un certo impegno da parte vostra.» I
nostri compiti furono sbattuti sul banco con un leggero schiocco. «Un maggior
approfondimento con Shakespeare avrebbe fatto bene alle vostre ricerche. Purtroppo avete
ottenuto soltanto un giudizio mediocre.» «Chissà da che cosa dipende!» esclamai
inviperita. Che insolenza! Prima dovevo occupare tutto il mio tempo libero con viaggi
nel tempo, prova di costumi e lezioni di ballo, e poi dovevo anche sentirmi dire che non
mi impegnavo abbastanza a scuola?
«Charlotte ti ha dimostrato come sia possibile coniugare entrambe le cose, Gwendolyn»
obiettò Mr Whitman come se mi avesse letto nel pensiero. «I suoi voti sono eccellenti. E
non si è mai lamentata. Potresti prendere esempio dalla sua autodisciplina.» Gli scoccai
un’occhiata furibonda quando mi voltò le spalle.
Leslie mi diede un’amichevole gomitata nel fianco. «Prima o poi diremo a quel cattivo
scoiattolo come la pensiamo. Al più tardi dopo il diploma.
Ma oggi sarebbe solo uno spreco di energie.» «È vero, hai ragione. In effetti ho bisogno
di tutte le mie energie per restare sveglia.» Mi venne subito da sbadigliare.
«L’espresso triplo potrebbe anche decidersi a entrarmi in circolazione.» Leslie annuì con
foga. «Bene e, quando succederà, dobbiamo assolutamente trovare il modo per farti
evitare questo ballo.» «Ma non può ammalarsi proprio adesso!» esclamò Mr Marley
agitando le mani disperato. «È tutto pronto. Ora non so più come riferirlo agli altri.» «Non
è colpa sua se mi sono ammalata» risposi con voce spenta trascinandomi faticosamente
fuori dalla limousine. «E nemmeno mia. Non si può combattere contro il destino.» «Invece
sì ! Si può! Anzi, si deve!» Mr Marley mi guardò indignato. «E poi non mi sembra così
malata» aggiunse. Questo era profondamente ingiusto, perché, superando le mie remore,
mi ero tolta il correttore della mamma. Leslie dapprima aveva pensato di aumentare
l’effetto con un po’ di ombretto grigio e violetto, ma dopo aver dato un’occhiata alla mia
faccia aveva rimesso in borsa la sua trousse. Le mie occhiaie sarebbero state perfette così
com’erano anche per un film dell’orrore, e anche il mio pallore era autentico.
«Già, però non è questione di quanto io sembri malata, bensì di quanto lo sia veramente»
obiettai rifilando a Mr Marley il mio zaino di scuola.
Siccome ero tanto malata e tanto debole, poteva benissimo portarlo lui questa volta.
«Penso proprio che sarebbe meglio rimandare la visita al ballo date le circostanze.»
«Questo è escluso!» esclamò Mr Marley, per poi portarsi subito una mano alla bocca e
guardarsi intorno sbigottito. «Lo sa quanto sono stati accurati i preparativi?» aggiunse
sottovoce, mentre ci dirigevamo verso il quartier generale, io a passo lento e strascicato.
«Non è stato facileconvincere il preside che oggi il gruppo teatrale utilizzerà il laboratorio
artistico come sala per le prove. Proprio oggi! E il conte di Saint Germain ha
espressamente indicato che...» Mr Marley cominciava a darmi sui nervi. (I l gruppo
teatrale? I l preside Gilles? Non ci capivo un bel niente.) «Mi stia a sentire: io sto male! Sto
male!!! Ho già preso tre aspirine, ma non sono servite. Al contrario, sto sempre peggio. Ho
anche la febbre. Mi manca il respiro.» Per dare più enfasi alle mie parole, mi aggrappai alla
ringhiera della scalinata d’ingresso rantolando leggermente.
«Domani potrà star male, domani!» sbraitò Mr Marley. «Mr George! Gli dica lei che potrà
stare male domani, se no
tutta
la pianificazione andrà... distrutta!» «Ti senti male,
Gwendolyn?» Mr George, comparso alla porta, mi cinse premurosamente con un braccio e
mi condusse dentro. Mi sentivo già meglio.
Annuii con aria sofferente. «Probabilmente mi ha contagiata Charlotte.» Haha! Esatto!
Soffrivamo entrambe della stessa influenza immaginaria.
Tanto meglio. «Mi scoppia la testa.» «È davvero increscioso» osservò Mr George.
«È quello che sto cercando di farle capire» intervenne Mr Marley che ci aveva seguito
zelante. T anto per cambiare, la sua faccia non era paonazza, bensì a chiazze bianche e
rosse, come se non sapesse decidere quale fosse il colore più adatto alla situazione. «I l
dottor White potrebbe farle un’iniezione, no? Tanto deve resistere solo un paio d’ore.»
«Certo, sarebbe una possibilità» disse Mr George.
Gli scoccai un’occhiata sconcertata. Mi ero aspettata da lui un po’ più di comprensione e di
sostegno. Pian piano cominciavo a sentirmi male davvero, ma era la paura. Chissà perché
avevo la sensazione che i Guardiani non mi avrebbero trattato poi troppo bene se avessero
scoperto che fingevo. Ma ormai era troppo tardi, non potevo più fare marcia indietro.
Invece di condurmi all’atelier di Madame Rossini, dove avrei dovuto indossare gli abiti
del XVI I I secolo, Mr George mi portò nella sala del drago e Mr Marley, che reggeva
sempre il mio zaino e continuava a parlare agitato, ci seguì .
Intorno al tavolo trovai seduti il dottor White, Falk de Villiers, Mr Whitman e un altro
uomo che non conoscevo (forse era il ministro della sanità?).
Quando Mr George mi sospinse dentro, tutte le teste si voltarono verso di noi. I l mio
disagio aumentò.
«Dice di sentirsi male» sbottò Mr Marley entrando nella sala dietro di noi.
Falk de Villiers si alzò. «Per prima cosa chiuda la porta, Marley. E ora ripeta. Chi si sente
male?» «Lei!» Mr Marley puntò l’indice accusatorio verso di me e io frenai all’ultimo
istante la tentazione di alzare gli occhi al cielo.
Mr George mi lasciò, si accomodò sbuffando su una sedia libera e si tamponò il sudore
dalla pelata con un fazzoletto. «Esatto, Gwendolyn non si sente bene.» «Mi rincresce
davvero» dissi, facendo bene attenzione a rivolgere lo sguardo in basso a destra. Non so
dove avevo letto che tutte le persone guardano in alto a sinistra quando mentono.
«Purtroppo però non mi sento in condizioni di partecipare al ballo proprio oggi. Non mi
reggo sulle gambe e sto sempre peggio.» Per dimostrare la verità della mia affermazione,
mi appoggiai allo schienale della sedia di Mr George.
Solo in quel momento mi resi conto della presenza di Gideon e il mio cuore perse il ritmo
per qualche secondo.
Era davvero ingiusto che bastasse la sua vista a scombussolarmi, mentre lui se ne stava
disinvolto alla finestra, le mani affondate nelle tasche dei jeans, e mi guardava sorridendo.
D’accordo, non era uno dei suoi sfavillanti sorrisi carichi di superiorità, solo una lieve
curvatura dell’angolo della bocca, ma nel complesso i suoi occhi sorridevano e per qualche
motivo tornai a sentire un groppo in gola.
Distolsi rapidamente lo sguardo e scoprii nell’enorme camino il piccolo Robert, il figlio del
dottor White, annegato a sette anni in una piscina. I l piccolo fantasma all’inizio si era
mostrato molto timido, ma ormai aveva raggiunto una certa confidenza con me. Mi salutò
entusiasta, ma io potei soltanto rivolgergli un cenno fugace.
«Potrei sapere di quale improvvisa e inaspettata malattia si tratterebbe?» Mr Whitman
mi guardò sarcastico. «Stamattina a scuola stavi benissimo.» Incrociò le braccia sul
petto prima di rendersi conto del proprio atteggiamento e di cambiare tattica. T ornò al
suo abituale modo di fare da professore, pacato e comprensivo. Lo conoscevo già: quel
tono non prometteva mai niente di buono. «Se hai dei timori per via del ballo, Gwendolyn,
possiamo capirlo. Forse il dottor White può darti qualcosa per diminuire l’ansia.» Falk
annuì . «Oggi non è proprio possibile rimandare l’appuntamento» disse, mentre Mr
George mi colpiva a sua volta alle spalle: «Mr Whitman ha ragione, la tua ansia è del tutto
giustificata. Chiunque al tuo posto sarebbe agitato. Non c’è niente di cui vergognarsi.» «E
poi non sarai sola» aggiunse Falk. «Gideon resterà sempre con te.» D’istinto, lanciai una
rapida occhiata a Gideon, poi distolsi subito gli occhi quando lui cercò di fissare i propri
nei miei.
Falk proseguì : «Prima che tu te ne renda conto, sarai già di ritorno e avrai superato la
prova».
«E poi pensa al bellissimo vestito» intervenne il presunto ministro della sanità nel
tentativo di persuadermi. Come? Mi prendeva forse per una bambina di dieci anni che
giocava ancora con le Barbie?
Gli altri annuirono tra mormorii di approvazione e mi sorrisero incoraggianti, a
parte il dottor White che come sempre aveva inarcato le sopracciglia e mi fissava con
aria ostile e minacciosa. I l piccolo Robert piegò la testa di lato quasi volesse scusarsi per
lui.
«Mi fanno male il collo, la testa e le membra» dichiarai con tutta l’enfasi possibile. «Credo
che l’agitazione non faccia quest’effetto. Mia cugina oggi è rimasta a casa con l’influenza e
deve avermi contagiato, è molto semplice!» «Bisognerebbe farle capire ancora una volta
che si
tratta di un avvenimento di
importanza storica...» squittì
Mr Marley
in
sottofondo, ma Mr Whitman lo interruppe.
«Gwendolyn, ricordi il nostro colloquio di stamattina?» mi domandò con un tono di voce
se possibile ancora più infido.
A quale si riferiva? Di sicuro non voleva definire colloquio la sua tirata circa il mio carente
impegno scolastico? E invece pareva proprio di sì .
«Magari dipende dalla nostra preparazione, ma sono quasi certo che al tuo posto Charlotte
avrebbe svolto i propri doveri. Non sarebbe mai accaduto che le sue condizioni fisiche
influenzassero il suo coinvolgimento nella nostra missione.» Già, ma non era certo colpa
mia se avevano istruito la persona sbagliata. Mi appoggiai con un po’ più di forza alla
spalliera. «Mi creda, se Charlotte si fosse sentita male come me, non sarebbe andata a
questo ballo nemmeno lei.» Mr Whitman sembrava sul punto di perdere la pazienza.
«Forse non capisci di che cosa sto parlando.» «Tutto questo non ha senso!» Era stato il
dottor White a parlare, come al solito con quel suo tono burbero. «Stiamo solo perdendo
del tempo prezioso. Se la ragazza sta davvero male, non la faremo guarire con le
chiacchiere. E se la sua fosse solo una simulazione...» Spostò la sedia all’indietro, si alzò,
girò intorno al tavolo e mi raggiunse, così rapidamente che il piccolo Robert faticò a
stargli dietro. «Apri la bocca!» Ora stavano davvero esagerando. Lo fissai indignata, ma lui
mi aveva già preso la testa con entrambe le mani e mi tastava con le dita dalle orecchie
verso il collo. Poi mi posò una mano sulla fronte. Mi sentii perduta.
«Hmmm» commentò con espressione se possibile ancora più cupa. «Linfonodi ingrossati,
temperatura alterata... non promette niente di buono.
Apri la bocca, per favore, Gwendolyn.»Sconcertata, ubbidii alla sua richiesta. Linfonodi
ingrossati? Temperatura alterata? Possibile che mi fossi ammalata sul serio per lo
spavento?
«Come pensavo.» I l dottor White aveva preso una paletta di legno dal taschino della
giacca e mi ci aveva abbassato la lingua. «Gola arrossata, tonsille gonfie... non mi
sorprende che tu abbia mal di gola. Chissà come ti fa male a deglutire.» «Poverina»
osservò Robert comprensivo. «Adesso di sicuro ti darà da bere un cattivissimo sciroppo
per la tosse.» Fece una smorfia.
«Hai i brividi?» domandò suo padre.
Io assentii incerta. Perché diavolo lo stava facendo? Perché mi aiutava? Proprio il dottor
White, che tutte le volte mi trattava come se io non aspettassi altro che l’occasione per
sparire con il cronografo?
«Lo immaginavo. La febbre salirà ancora.» I l dottor White si girò verso gli altri. «Già, ha
tutta l’aria di un’infezione virale.» Gli altri Guardiani assunsero un’espressione
corrucciata. Io feci in modo di non guardare verso Gideon, anche se mi sarebbe tanto
piaciuto vedere la sua faccia.
«Non puoi darle qualcosa, Jake?» si informò Falk de Villiers.
«Al massimo
un
antipiretico.
Di
sicuro
niente
che
possa
farla
guarire
immediatamente. Deve mettersi a letto.» I l dottor White mi lanciò un’occhiata torva.
«Sei fortunata, si tratta dell’influenza di un giorno che è in circolazione. Però potrebbe
benissimo durare più giorni...» «Ma non potremmo mandarla lo stesso...» cominciò Mr
Whitman.
«No, non possiamo» lo interruppe brusco il dottor White. Io mi sforzavo di non guardarlo
come se fosse la settima meraviglia del mondo. «A parte il fatto che Gideon non potrebbe
certo spingerla su una sedia a rotelle al ballo, sarebbe irresponsabile e contrario alle regole
d’oro spedirla nel XVI I I secolo con un’infezione virale in fase acuta.» «Questo è vero»
commentò lo sconosciuto che avevo preso per il ministro della sanità. «Non si può
sapere come reagirebbe il sistema immunitario della popolazione di allora a un virus
moderno. Potrebbe avere conseguenze inimmaginabili.» «Com’è accaduto ai Maya»
mormorò Mr George.
Falk sospirò esasperato. «Allora a questo punto è deciso. Gideon e Gwendolyn non
si recheranno al ballo oggi. Forse allora potremmo anticipare l’operazione opale.
Marley, vorrebbe informare gli altri di questo cambiamento di programma?» «Sissignore.»
Mr Marley si avviò verso la porta molto abbacchiato. L’occhiata che mi lanciò era la
quintessenza del risentimento. Ma a me non importava niente. Quello che contava era di
essere riuscita a rimandare la cosa. Stentavo ancora a credere alla mia fortuna.
A questo punto arrischiai un’occhiata verso Gideon. Contrariamente agli altri, il
cambiamento di programma non sembrava disturbarlo, perché continuava a sorridermi.
Forse intuiva che la mia malattia era finta? Oppure era solo contento di potersi
risparmiare per oggi lo scomodo travestimento? In un modo o nell’altro resistetti alla
tentazione di ricambiare il sorriso e girai lo sguardo verso il dottor White che si era
avvicinato al ministro della sanità.
Avrei voluto tanto parlargli a quattr’occhi. Ma il medico sembrava essersi dimenticato di
me, tanto era immerso nella sua conversazione.
«Vieni, Gwendolyn» sentii dire da una voce compassionevole. Mr George. «Ti facciamo
trasmigrare rapidamente, così potrai tornare a casa.» Assentii.
Mi sembrava proprio un’ottima idea.Un viaggio nel tempo con l’ausilio del cronografo
può durare da centoventi secondi a duecentoquaranta minuti; per opale, acquamarina,
citrino, giada, zaffiro e rubino l’intervallo minimo è di centoventuno secondi, quello
massimo di duecentotrentanove minuti. Per evitare salti incontrollati, i gene-portatori
devono trasmigrare giornalmente almeno centottanta minuti. Se non si raggiunge questa
quota, è possibile che si verifichino all’interno delle ventiquattr’ore salti nel tempo
incontrollati (si vedano i protocolli dei salti nel tempo, 6 gennaio 1902, 17 febbraio 1902 –
Timothy de Villiers).
Sulla base delle ricerche empiriche condotte dal conte di Saint Germain tra gli anni 17201738, un gene-portatore può trasmigrare con il cronografo per un totale di cinque ore e
mezzo, ovvero trecentotrenta minuti. Superato questo tempo, subentrano disturbi come
emicrania, vertigini, mancamento e una marcata diminuzione delle capacità percettive e di
coordinazione. Ciò è stato confermato dagli esperimenti eseguiti dai fratelli de Villiers nel
1902.
Dalle Cronache dei Guardiani, volume 3, capitolo 1, I misteri dei cronografi6
Non mi era mai capitato di trasmigrare con tanti agi come quel pomeriggio. Ero stata
rifornita di un cestino con coperte, un thermos di tè bollente, biscotti (naturalmente) e
frutta a pezzetti in un portapranzo. Mi sentivo quasi in colpa quando mi misi comoda sul
divano verde. Per qualche istante avevo preso in considerazione l’idea di recuperare la
chiave dal suo nascondiglio segreto e di avventurarmi di sopra, ma che cosa avrei ottenuto
se non aumentare le complicazioni e correre il rischio di essere scoperta? Mi trovavo in
un momento imprecisato del 1953, non avevo chiesto quale fosse la data precisa, perché
avevo dovuto fingere di essere intontita dalla febbre.
Dopo la decisione di Falk di modificare i progetti, tra i Guardiani era scoppiata una
frenetica attività. Alla fine ero stata mandata nella stanza del cronografo insieme allo
scontento Mr Marley. Avrebbe preferito molto partecipare alla riunione con gli altri,
invece che occuparsi di me, questo glielo si leggeva in faccia. Per questo non avevo
nemmeno osato chiedere informazioni sull’operazione opale, ma avevo mantenuto
un’espressione inebetita come lui. Negli ultimi due giorni il nostro rapporto aveva
decisamente sofferto, ma Mr Marley era davvero l’ultima persona di cui mi preoccupavo.
Giunta nel 1953, per cominciare mangiai la frutta, poi i biscotti e infine mi sdraiai
sul divano sotto la coperta. In meno di cinque minuti, nonostante la fastidiosa
lampadina accesa che pendeva dal soffitto, mi ero addormentata di schianto. Non me lo
aveva impedito neppure il pensiero del fantasma senza testa che si diceva albergasse di
sotto. Mi risvegliai fresca e riposata giusto in tempo per il salto di ritorno, e fu un bene,
altrimenti, se fossi rimasta sdraiata, sarei finita direttamente sui piedi di Mr Marley.
Mentre Mr Marley, dopo avermi rivolto solo un brusco cenno di saluto, riportava le sue
annotazioni nel diario
(probabilmente cose del tipo: invece di compiere il proprio
dovere, il rubino guastafeste è andata a oziare nel 1953 mangiando frutta), gli chiesi se il
dottor White
fosse ancora presente. Volevo assolutamente sapere perché non avesse
smascherato la mia simulazione di influenza.
«Ora non ha tempo di occuparsi della sua bu... influenza» rispose Mr Marley. «In questo
momento si stanno recando tutti insieme al ministero della difesa per l’operazione opale.»
Un «e io non posso partecipare a causa sua» aleggiava chiaro nell’aria come se lo avesse
pronunciato a voce alta.
Al ministero della difesa? E perché mai? Non avrei ottenuto niente a chiedere
informazioni a Mr Peperone offeso, perché tanto non mi avrebbe rivelato alcunché.
Sembrava chiaro che avesse deciso che era meglio non rivolgermi più la parola. Mi legò la
benda intorno agli occhi con la punta delle dita e senza aprire bocca mi guidò per il
labirinto delle gallerie sotterranee, una mano a sfiorarmi il gomito, l’altra posata all’altezza
della vita.
A ogni passo questo contatto fisico mi risultava sempre più fastidioso, soprattutto perché
aveva
le mani calde e sudate. Non vedevo
l’ora di togliermelo di dosso, quando
finalmente raggiungemmo il pianterreno dalla scala a chiocciola. Con un sospiro mi tolse
la benda e gli annunciai che da lì potevo benissimo raggiungere la limousine da sola.
«Non l’ho ancora autorizzata» protestò Mr Marley. «Inoltre è mio dovere accompagnarla
fino alla porta d’ingresso.» «Lasci perdere!» Lo scostai da me con un cenno spazientito,
quando si mosse per bendarmi di nuovo gli occhi. «I l resto del tragitto lo conosco già. E se
deve proprio venire insieme a me fino alla porta d’ingresso eviti di tenermi una mano in
vita.» Mi rimisi in cammino.
Mr Marley mi seguì
sbuffando indignato. «Si comporta come se l’avessi toccata in
maniera poco rispettabile.» «Proprio così» risposi tanto per farlo arrabbiare.
«Senta, questa è davvero...» esclamò Mr Marley, ma la sua protesta fu interrotta da alcune
grida con un marcato accento francese.
«Giovanotto, non ti permetto di andartene in giro così senza questo colletto!» La porta
della sartoria si era spalancata davanti a noi e Gideon stava uscendo seguito da una
Madame Rossini inviperita, che agitava le mani e un pezzo di stoffa bianco. «Non osare
andartene! Cosa credi, che abbia cucito questa gorgiera solo per divertimento?» Gideon si
era fermato non appena ci aveva visto. Anch’io mi ero bloccata, ma non con altrettanta
disinvoltura, piuttosto come una statua di sale.
E non dipendeva dal fatto che fossi sorpresa per la sua giacca dalla singolare
imbottitura che gli faceva due spalle da lottatore gonfiato di anabolizzanti, bensì
perché tutte le volte che ci incontravamo io riuscivo soltanto a fissarlo con occhi sbarrati. E
batticuore.
«Non pensi che voglia toccarla volontariamente. Lo faccio soltanto perché devo» strillò Mr
Marley alle mie spalle. Gideon inarcò un sopracciglio e mi sorrise sarcastico.
Io mi affrettai a ricambiare il sorriso con pari sarcasmo facendo scendere lentamente lo
sguardo dalla giacca imbottita ai ridicoli pantaloni a sbuffo alle calze che gli rivestivano i
polpacci fino alle scarpe con la fibbia.
«L’autenticità prima di tutto, giovanotto!» Madame Rossini continuava a gesticolare con in
mano il colletto. «Quante volte devo spiegartelo? Ma guarda, ecco la mia povera collo di
cigno.» La sua faccia tonda si illuminò di un sorriso. «Bonsoir, ma petite. Prova tu a dire a
questo sciocco che non mi deve far arrabbiare.» «E va bene, mi metta quell’affare.» Gideon
lasciò che Madame Rossini gli mettesse il colletto. «T anto non mi vedrà nessuno e, anche
se fosse, non penso che la gente andasse in giro giorno e notte con questa specie di tubo
rigido intorno al collo.» «Invece sì , almeno a corte.» «Non riesco a capire perché ti arrabbi
tanto. Ti sta benissimo» commentai con un ghigno malefico. «La tua testa somiglia a
un’enorme pralina.» «Sì , lo so.» Anche Gideon sogghignò. «Viene voglia di addentarmi.
Ma se non altro questo distoglie l’attenzione dai pantaloni a sbuffo. Almeno spero.»
«Quelli sono molto, molto sexy» dichiarò Madame Rossini e purtroppo a me scappò da
ridere.
«Mi fa piacere che almeno sono riuscito a rallegrarti» disse Gideon. «Madame Rossini, il
mantello!» Mi morsi il labbro per smettere di ridere. Ci mancava soltanto che scherzassi
con questo farabutto come se niente fosse. Come se fossimo davvero amici. Ma era
troppo tardi.
Mentre si allontanava, mi accarezzò di sfuggita la guancia, senza che io avessi il tempo di
reagire. «Guarisci presto, Gwen.» «Ma guardatelo! Se ne va ad affrontare la sua
avventura del XVI secolo con stile impeccabile, il piccolo ribelle.» Madame Rossini
era gongolante. «Scommetto che la prima cosa che farà sarà di togliersi la gorgiera, quel
birbante.» Anch’io seguii con lo sguardo il birbante. Hmmm, forse dopotutto quei
pantaloni a sbuffo erano un tantino sexy.
«Dobbiamo proseguire» disse Mr Marley prendendomi per un gomito e
lasciandolo
subito come se si fosse scottato. Mentre ci dirigevamo verso la macchina, mantenne una
distanza di un paio di metri da me. Ciononostante lo sentii borbottare: «È inaudito! Non è
proprio il mio tipo».La mia paura che Charlotte nel frattempo avesse potuto trovare il
cronografo si rivelò infondata. Avevo sottovalutato la capacità inventiva della mia
famiglia. Quando tornai a casa, trovai Nick che giocava con uno jo-jo davanti alla porta
della mia camera.
«L’accesso al quartier generale è riservato ai soli membri della banda» annunciò. «Parola
d’ordine?» «Io sono il capo, l’hai dimenticato?» Gli scompigliai i riccioli rossi. «Che schifo!
Non sarà mica di nuovo gomma da masticare?» Nick si mise a protestare indignato e io ne
approfittai per rifugiarmi in camera mia.
Era irriconoscibile. Zia Maddy ci aveva trascorso tutta la giornata, allertata da Mr
Bernhard, che probabilmente era ancora impegnato a passare da un fioraio all’altro, e
aveva dato un tocco di zia Maddy all’ambiente. Io non ero disordinata, ma per qualche
motivo le mie cose avevano la tendenza a distribuirsi a macchia d’olio sul pavimento.
Oggi per la prima volta dopo tanto tempo il tappeto era tornato visibile e il letto era fatto –
zia Maddy aveva scovato chissà dove un grazioso copriletto bianco con cuscini coordinati
–, i vestiti erano ordinatamente ripiegati su una sedia, i fogli sparsi, quaderni e libri erano
sistemati sulla scrivania e persino il vaso con la felce rinsecchita sul davanzale era
scomparso. Al suo posto c’era un meraviglioso mazzo di fiori che sprigionava un
delicato profumo di fresia. Persino Xemerius non dondolava disordinatamente dal
lampadario, ma era seduto sul comò con la coda ripiegata intorno al corpo, proprio
accanto a un’enorme ciotola di caramelle.
«Un’atmosfera del tutto diversa, vero?» mi salutò. «La tua prozietta ne sa qualcosa di fengshui, niente da dire.» «Non preoccuparti, non ho buttato via niente» disse zia Maddy
seduta sul letto con un libro. «Ho solo messo un po’ in ordine e tolto un po’ di polvere, per
stare più comoda.» Non potei trattenermi e le scoccai un bacio. «E pensare che sono stata
terribilmente in ansia tutto il giorno.» Xemerius assentì
energicamente. «E avevi
ragione! Avevamo letto forse dieci pagine, cioè, voglio dire, zia Maddy aveva letto
forse dieci pagine, quando Charlotte è entrata di nascosto» mi informò. «È rimasta di
sasso alla vista della zietta. Ma si è ripresa in fretta e ha spiegato che era entrata per
cercare una gomma da cancellare.» Zia Maddy mi raccontò la stessa storia. «Siccome
avevo appena finito di mettere a posto la tua scrivania, ho potuto esserle d’aiuto. A
proposito, ti ho anche appuntato le matite e le ho suddivise per colore. Più tardi è tornata,
con la scusa di riportare la gomma. Di pomeriggio io e Nick ci siamo dati il cambio, dopo
tutto dovevo andare al bagno.» «Cinque volte, per l’esattezza» precisò Nick che mi aveva
seguito dentro.
«Con tutto quel tè» spiegò zia Maddy per giustificarsi.
«Ti ringrazio tantissimo, zia Maddy, sei stata eccezionale! Siete stati tutti eccezionali.»
Scompigliai ancora una volta la testa di Nick.
Zia Maddy rise. «Mi piace rendermi utile. Ho già detto anche a Violet che il nostro
incontro domani avrà luogo nella tua camera.» «Zia Maddy! Non avrai mica raccontato a
Violet qualcosa del cronografo?» esclamò Nick.
Violet Purpleplum era per zia Maddy quello che Leslie era per me.
«Certo che no!» Zia Maddy lo guardò indignata. «L’ho giurato sulla mia vita! Le ho detto
che quassù c’è più luce per ricamare e Arisa non ci disturberà. A proposito, una delle tue
finestre non chiude bene, bambina, ho continuato a sentire uno spiffero freddo per tutto il
giorno.» Xemerius assunse un’espressione contrita. «Non lo faccio apposta» disse. «Ma il
libro è così entusiasmante.» Con il pensiero andai alla nottata che mi aspettava. «Zia
Maddy... chi dormiva in camera mia nel novembre 1993?» La mia prozia aggrottò la
fronte, concentrandosi. «Nel 1993? Fammi pensare. Margaret Thatcher era ancora
primo ministro? Allora era... accipicchia, come si chiamava?» «Uff! Questa qui fa una gran
confusione» disse Xemerius. «Chiedi a me, piuttosto! I l 1993 è stato l’anno del film
Ricomincio da capo – l’ho visto 14 volte – e quello in cui la storia del principe Carlo con
Camilla Parker-Bowles è diventata pubblica e il primo ministro era...» «Non mi interessa»
lo interruppi. «Voglio solo sapere se posso saltare senza pericoli da qui nel 1993.» T
emevo infatti che Charlotte nel frattempo fosse scesa sul piede di guerra e
pattugliasse il corridoio ventiquattr’ore al giorno. «Questa camera era occupata
oppure
no,
zia
Maddy?»
«Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch» esclamò zia Maddy
ricevendo un’occhiata perplessa da parte mia, di Xemerius e Nick.
«È completamente andata» sentenziò Xemerius. «Mi ero accorto già oggi pomeriggio che
leggendo
rideva
sempre
nei
punti
«Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch»
ripeté
sbagliati.»
zia
Maddy,
con aria trionfante, mettendosi in bocca una caramella al limone. «È il nome della
località del Galles dov’era nata la nostra domestica. E poi qualcuno dice che non avrei una
buona memoria.» «Zia Maddy, io volevo solo sapere se...» «Sì , sì , sì . La domestica si
chiamava Gladiola Langdon e nei primi anni ’90 occupava la stanza di tua madre» mi
interruppe zia Maddy. «Ti sorprende, eh? La tua prozia, a dispetto dell’opinione corrente,
ha un cervello ancora ben funzionante! Le altre stanze di sopra all’epoca erano utilizzate
saltuariamente come camere per gli ospiti, per il resto erano vuote. E Gladiola era proprio
dura d’orecchio. Quindi puoi salire senza preoccupazioni sulla tua macchina del tempo e
scendere nel 1993.» Ridacchiò. «Gladiola Langdon... Non dimenticherò mai la sua torta di
mele.
Era convinta che i torsoli non dovessero essere tolti, quella brava donna.» La mamma si
sentiva piuttosto in colpa a causa della mia presunta influenza. Quel pomeriggio Falk de
Villiers le aveva telefonato personalmente, riferendole le indicazioni del dottor White di
farmi riposare e darmi bevande calde. Mi ripeté un migliaio di volte quanto le rincrescesse
non avermi dato ascolto e mi spremette con le sue mani tre limoni. Poi rimase mezz’ora
seduta al mio capezzale, per assicurarsi che li bevessi proprio tutti.
Siccome battevo i denti in maniera troppo convincente, mi avvolse in due coperte in più e
mi mise sui piedi la borsa dell’acqua calda.
«Sono davvero una madre snaturata» disse accarezzandomi la testa. «Pensare che stai
passando un momento tanto difficile.» Già, su questo aveva ragione. E non solo
perché mi sembrava di essere in una sauna e probabilmente la mia pancia era
abbastanza arroventata per cuocerci delle uova al tegamino. Per un paio di secondi mi
abbandonai all’autocommiserazione. «Non è vero» ribattei però subito dopo.
La mamma, se possibile, sembrava ancora più angosciata. «Spero davvero che quella
banda di vecchi cospiratori paranoici non ti faccia fare niente di pericoloso.» Bevvi quattro
sorsi di limonata calda in rapida successione. Come sempre ero combattuta e non sapevo
se rivelare alla mamma tutto quanto.
Non era una bella sensazione doverle mentire e tenerle nascoste cose tanto importanti. Ma
non volevo che dovesse preoccuparsi per me, né che dovesse affrontare i Guardiani.
Inoltre non sarebbe stata entusiasta che io tenessi nascosto qui il cronografo rubato e lo
usassi per viaggiare nel tempo.
«Falk mi ha assicurato che vieni mandata sempre solo in una cantina dove fai i compiti»
disse. «L’unica cosa di cui dovrei preoccuparmi è che stai troppo poco alla luce del sole.»
Esitai ancora per un secondo, poi le rivolsi un sorriso storto. «Ha ragione. È buio e
noiosissimo.» «Meglio così . Non vorrei che ti succedesse come a Lucy.»«Mamma... che
cosa è successo precisamente allora?» Non era la prima volta che formulavo questa
domanda nelle ultime due settimane, ma finora non avevo mai ottenuto una risposta
soddisfacente.
«Lo sai benissimo.» La mamma mi accarezzò di nuovo. «Povera trottolina mia! Scotti
davvero.» Io le scostai gentilmente la mano. Sì , era vero, scottavo. Ma non per la febbre.
«Mamma, sul serio, voglio sapere che cosa accadde» ripetei.
Dopo un attimo di esitazione, mia madre mi raccontò ancora una volta quello che già
sapevo: che Lucy e Paul erano del parere che il cerchio di sangue non dovesse essere
completato e per questo avevano rubato il cronografo e si erano nascosti da qualche
parte con esso, perché i Guardiani non condividevano la loro idea.
«E siccome era praticamente impossibile sfuggire alla rete dei Guardiani – di sicuro
hanno adepti anche presso Scotland Yard e i servizi segreti – Lucy e Paul alla fine si sono
dovuti rifugiare con il cronografo nel passato» conclusi al posto suo, sollevando di
nascosto la coperta con i piedi per trovare un po’ di refrigerio. «Solo che tu non sai in che
anno.» «È così . Credimi, per loro non è stato facile lasciare tutto quello che avevano qui.»
La mamma sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
«Certo, ma perché credevano che il cerchio di sangue non dovesse essere completato?»
Cavolo, che caldo! Ma perché mai avevo detto di avere i brividi di freddo?
La mamma fissava il vuoto davanti a sé. «So solo che non si fidavano delle intenzioni del
conte di Saint Germain ed erano convinti che il segreto dei Guardiani si fondasse su una
menzogna. Oggi rimpiango di non aver voluto sapere altro allora... ma credo che Lucy
avesse ragione. Non voleva mettere in pericolo anche me.» «I Guardiani pensano che il
segreto del cerchio di sangue sia una specie di panacea. Una medicina in grado di
guarire tutte le malattie dell’umanità» dissi e dall’espressione di mia madre mi resi conto
che quest’informazione non le risultava del tutto nuova. «Perché Lucy e Paul avrebbero
voluto evitare la scoperta di questa medicina? Perché avrebbero dovuto essere contrari?»
«Perché... secondo loro il prezzo da pagare era troppo alto.» La mamma pronunciò
queste parole sottovoce. Una lacrima le sgorgò da un occhio rigandole la guancia. Se
l’asciugò velocemente con il dorso della mano e si alzò. «Cerca di dormire un po’, tesoro
mio» disse con la sua voce normale. «Vedrai che ti riscalderai presto. I l sonno è sempre la
migliore medicina.» «Buonanotte, mamma.» In altre circostanze l’avrei tempestata di
domande, ma adesso non vedevo l’ora che chiudesse la porta della camera.
Sollevata, gettai via le coperte e spalancai la finestra così in fretta da spaventare due
colombi (o erano fantasmi di colombi?) che si erano posati sul davanzale per trascorrere la
notte. Quando Xemerius tornò dal suo volo di ricognizione della casa, mi ero cambiata il
pigiama zuppo di sudore.
«Sono tutti a letto, compresa Charlotte, che però sta guardando il soffitto con occhi sbarrati
facendo esercizi di allungamento per i polpacci» mi riferì . «Accidenti, sembri
un’aragosta.» «Mi sento anche così .» Con un sospiro chiusi a chiave la porta. Nessuno,
tantomeno Charlotte, doveva entrare nella mia stanza mentre non c’ero. Qualunque cosa
avesse in mente con i suoi polpacci distesi, qui non doveva mettere piede per nessun
motivo.
Aprii l’armadio a muro e feci un profondo respiro. Era scomodissimo infilarsi nel
buco e arrivare al coccodrillo nel cui ventre si trovava il cronografo in un letto di
segatura. I l mio pigiama pulito assunse una sfumatura grigiastra sul davanti mentre
numerose ragnatele mi restavano attaccate addosso. Disgustoso.
«Hai... qualcosa lì» mi fece notare Xemerius quando tornai indietro strisciando e
tenendo sottobraccio il cronografo. Indicò il mio petto. I l qualcosa si rivelò essere un
ragno, grosso come il palmo della mano di Caroline. (Be’, più o meno.) Mi costò molto
autocontrollo soffocare un grido tale da svegliare non solo tutta la casa, bensì l’intero
quartiere. I l ragno scrollato via cercò subito rifugio sotto il mio letto. (Non è incredibile
come riescano a correre veloci su otto zampe?)
«Bleah, bleah» continuai a ripetere per un minuto. Ero scossa da brividi di raccapriccio,
mentre programmavo il cronografo.
«Non ti facevo così» disse Xemerius. «Ci sono ragni anche venti volte più grandi di
quello.» «Dove? Sul pianeta Romolus? D’accordo, ci credo.» Posai il cronografo sopra il
baule nell’armadio a muro, mi ci inginocchiai davanti e infilai l’indice nella fessura sotto il
rubino. «T ornerò tra un’ora e mezzo. Nel frattempo tieni d’occhio quella tarantola, per
favore.» Con la torcia di Nick rivolsi un cenno di saluto a Xemerius e feci un profondo
respiro.
Lui si posò una mano sul petto con fare drammatico. «Vuoi già andare via? L’alba è ancora
lontana...» «Ma piantala, Giulietta» dissi spingendo più a fondo il dito contro l’ago.
Quando tirai il fiato mi ritrovai con un batuffolo di flanella in bocca. Lo sputai in fretta
e accesi la torcia. Era un accappatoio appeso proprio davanti alla mia faccia. L’armadio a
muro era pieno zeppo di vestiti, appesi in due file, e impiegai un certo tempo prima di
ritrovare l’orientamento.
«Hai sentito?» chiese una voce femminile al di là dell’armadio.
Oh, no. Per favore no.
«Che cosa c’è, tesoro?» Questa era una voce maschile. Molto, molto titubante.
Io rimasi paralizzata dallo spavento.
«C’è della luce nell’armadio» sbraitò la voce femminile, tutt’altro che titubante. Per la
precisione, somigliava tantissimo a quella di zia Glenda.
Merda! Spensi la torcia e indietreggiai cauta oltre la seconda fila di vestiti, sino a toccare la
parete di fondo.
«Forse...» «No, Charles!» La voce assunse un tono ancora più autoritario. «Non sono
pazza, se è quello che intendi.» «Ma io...» «C’era una luce nell’armadio e adesso per favore
lo apri e dai un’occhiata. Altrimenti puoi benissimo andare a dormire nella camera
accanto.» Decisamente Charlotte aveva preso quel sibilo tagliente da sua madre. «No,
aspetta! Non è possibile: se Mrs Langdon ti vede lì , la mamma mi chiederà se abbiamo
una crisi coniugale e sarebbe proprio il colmo, perché io non sono in crisi, io no, anche se
tu mi hai sposato solo perché tuo padre aspirava al titolo nobiliare.» «Ma Glenda...» «Non
mi inganni, sai! Proprio di recente Lady Presdemere mi ha raccontato...» e poi zia
Glenda
vomitò altre
cattiverie nel mondo, per
la precisione sul patetico marito,
dimenticandosi del tutto della luce nell’armadio. Purtroppo dimenticò pure che era notte
fonda e andò avanti a blaterare per un tempo infinito. Charles da parte sua si limitava a
emettere qualche pigolio spaventato di tanto in tanto. Non mi sorprendeva che poi
avessero divorziato. Restava solo da capire come avessero fatto prima a concepire la cara
piccola Charlotte.
A un certo punto finalmente zia Glenda rimproverò il marito di volerla privare del sonno
tanto meritato, poi le molle del letto cigolarono e nel giro di pochi minuti si udì russare.
Eh, sì , c’è chi ricorre a latte caldo con miele per addormentarsi. Zia Glenda aveva rimedi
diversi.
Maledicendo zia Maddy e la sua fenomenale memoria, aspettai per sicurezza un’altra
mezz’ora e poi socchiusi cauta l’anta dell’armadio. Non potevo sprecare tutto il mio tempo
in quel nascondiglio, di sicuro il nonno era già preoccupatissimo. Nella stanza c’era un
pochino più di luce che nell’armadio, in ogni caso bastava per riconoscere i contorni dei
mobili e non andare a sbattere da nessuna parte.Scivolai verso la porta nel massimo
silenzio e abbassai la maniglia. Proprio in quell’istante zia Glenda balzò a sedere.
«C’è qualcuno!
Charles!» Non aspettai che
lo sfortunato Charles si svegliasse, né che
la
luce si
accendesse, spalancai la porta e corsi il più veloce possibile lungo il corridoio e poi giù
dalle scale, attraversai anche il corridoio del primo piano e scesi ancora, incurante dei
gradini scricchiolanti. Non sapevo esattamente neppure io dove stessi correndo, ma avevo
una strana sensazione di déjà vu. Non avevo già vissuto tutto questo?
Al pianterreno andai a sbattere contro una figura che, dopo il primo secondo di sgomento,
si rivelò mio nonno. Mi afferrò senza parlare e mi trascinò in biblioteca.
«Che cos’è tutto questo rumore?» bisbigliò, dopo aver richiuso la porta. «E perché arrivi
così tardi? Sono morto di paura davanti al ritratto del pro-pro-prozio Hugh, e temevo già
che ti fosse successo qualcosa.» «In effetti è così . Grazie a zia Maddy, sono finita
direttamente in camera da letto di zia Glenda» esclamai senza fiato. «E temo che mi abbia
visto. Probabilmente starà già telefonando alla polizia.» L’aspetto di Lucas mi procurò un
piccolo shock. Somigliava di nuovo al nonno che ricordavo da bambina, la versione più
giovane con i capelli impomatati era solo un vago ricordo. Per quanto fosse assurdo, mi
sentii salire le lacrime agli occhi.
I l nonno non se ne accorse. Rimase in ascolto dietro la porta. «Aspetta qui, vado a
controllare.» Si girò verso di me e mi sorrise. «Là ci sono dei tramezzini, se per caso hai
fame. E se dovesse venire qualcuno...» «...sono tua cugina Hazel» conclusi al posto suo.
«...farai meglio a nasconderti! Là dietro sotto la scrivania.» Non fu necessario. Poco dopo il
nonno tornò. Avevo approfittato di quella pausa per riprendere fiato, ingoiare un
tramezzino e calcolare quanti minuti mi restavano prima del ritorno.
«Niente di cui preoccuparsi» m’informò. «Glenda sta accusando Charles di essere la causa
degli incubi di cui soffre da quando si è sposata.» Scosse la testa. «È inconcepibile
pensare che l’erede universale di una dinastia di proprietari d’albergo si faccia trattare
così ! Non importa, pensiamo ad altro.» Mi sorrise. «Fatti vedere, nipotina. Proprio come
ti ricordavo, forse solo un po’ più carina. Che cosa è successo al pigiama?
Sembri uno spazzacamino.» Feci un gesto vago. «Non è stato così facile venire qui. Nel
2011 non posso più andarmene in giro per casa con il cronografo, perché Charlotte nutre
dei sospetti e sta in guardia come una faina. Forse in questo stesso momento sta
cercando di forzare la serratura della mia camera. Di sicuro non mi stupirebbe. E adesso
ci resta pure poco tempo, perché sono dovuta rimanere tantissimo ad aspettare di sopra
nell’armadio.» Schioccai la lingua contrariata. «E se non salto all’indietro in camera mia mi
troverò chiusa fuori, magnifico!» Mi lasciai cadere sulla poltrona con un gemito. «Che
trovata! Dobbiamo vederci di nuovo, prima di questo maledetto ballo. Propongo di
incontrarci sul tetto. Credo che sia l’unico posto in questa casa dove stare indisturbati.
Che ne diresti dal tuo punto di vista domani a mezzanotte? Oppure per te è troppo
difficile salire sul tetto senza farti notare? Xemerius dice che c’è un passaggio attraverso il
camino, ma io non so...» «Calma, calma, calma» disse il nonno ridacchiando. «Ricorda che
ho avuto qualche anno per riflettere e quindi sono abbastanza preparato.» Indicò il tavolo
dove, accanto al piatto con i tramezzini, era posato un libro, un tomo decisamente pesante.
«Anna Karenina?» I l nonno annuì . «Aprilo!» «Ci hai nascosto un messaggio cifrato?»
congetturai. «Come per il cavaliere verde?» Non era possibile! Lucas aveva impiegato
trentasette anni per prepararmi un indovinello da risolvere? Con tutta probabilità
avrei
dovuto passare la giornata a contare lettere. «Sai, preferirei che tu mi dicessi
semplicemente che cosa c’è dentro. Qualche minuto lo abbiamo ancora.» «Avanti, non
essere così impaziente. Leggi la prima frase» mi spronò il nonno.
Sfogliai le pagine fino all’inizio del capitolo uno. «Tutte le famiglie felici si assomigliano
fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Hmmm. Carino. E molto saggio. Ma...» «Ha un’aria del tutto normale, vero?» Lucas era
raggiante. «Invece si tratta di un’edizione speciale. Le prime 400 e le ultime 400 pagine
sono di T olstoj, e anche 200 pagine nel mezzo, le altre invece sono mie per te, scritte nello
stesso carattere tipografico. Perfettamente celate! Qui troverai tutte le informazioni che
sono riuscito a raccogliere in questi trentasette anni, anche se continuo a ignorare quale
sarà in concreto la causa della fuga di Lucy e Paul con il cronografo.» Mi prese di mano il
libro e si fece scivolare le pagine tra le dita. «Abbiamo le prove che il conte ha tenuto
nascosti ai Guardiani importanti documenti fino dall’anno di fondazione, profezie dalle
quali si evince che la pietra della saggezza non è ciò che vuol far credere a tutti.» «Bensì?»
«Non ne abbiamo ancora l’assoluta certezza; stiamo lavorando per impossessarci di questi
documenti.» I l nonno si grattò la testa. «Stammi a sentire, ci ho riflettuto molto –
naturalmente – e mi sono reso conto che nel 2011 non sarò più in vita. Molto
probabilmente sarò già morto prima che tu sia abbastanza grande da farti spiegare tutto
da me.» Non sapevo come rispondere, ma annuii.
Mio nonno mi rivolse uno dei suoi meravigliosi sorrisi nonneschi che gli riempivano il
viso di rughe. «Non devi rattristarti, Gwenn. Ti posso assicurare, dovessi morire anche
oggi, non sarei triste: ho avuto una vita magnifica.» Le rughe si fecero più marcate.
«Peccato soltanto che alla tua epoca non potrò più aiutarti.» Annuii di nuovo sforzandomi
di trattenere le lacrime.
«Su, su, piccolo corvo. Dovresti sapere bene che la morte è parte della vita.» Lucas mi
accarezzò un braccio. «Speriamo soltanto che abbia la compiacenza dopo morto di restare
in questa casa come fantasma. Ti potrebbe fare comodo un po’ di sostegno.» «Già, sarebbe
bello» bisbigliai. «E anche spaventoso.» I fantasmi che conoscevo non erano molto felici.
Ero convinta che avrebbero preferito stare da qualche altra parte. Nessuno di loro era
fantasma volentieri. La maggior parte non credeva neppure di essere morta. No, molto
meglio che il nonno non diventasse uno di loro.
«Quando devi tornare indietro?» si informò.
Guardai l’ora. Accidenti, come passava in fretta il tempo! «Tra nove minuti. E devo
trasmigrare in camera di zia Glenda, perché alla mia epoca ho chiuso la stanza da dentro.»
«Potremmo tentare di farti entrare nella stanza un paio di secondi prima» propose Lucas.
«Così
spariresti prima che lei possa...» In quel momento qualcuno bussò alla porta.
«Lucas, sei lì?» «Nasconditi!» sibilò il nonno, ma io avevo già reagito. Con un salto
acrobatico mi rifugiai sotto la scrivania, appena in tempo prima che la porta venisse aperta
ed entrasse Lady Arisa. Vedevo solo i suoi piedi e l’orlo della vestaglia, ma la sua voce era
inconfondibile.
«Che cosa ci fai qua sotto nel cuore della notte? E quelli sono tramezzini al tonno? Sai bene
che cosa ha detto il dottor White.» Si mise seduta con un sospiro sulla poltrona che avevo
scaldato io. Ora la vedevo fino alle spalle, che teneva come al solito perfettamente
squadrate. Chissà seanche lei poteva vedere una parte di me girando la testa?
Schioccò la lingua. «Charles è appena stato da me. Sostiene che Glenda ha minacciato di
picchiarlo.» «Oh, poveretto» replicò Lucas con una voce incredibilmente rilassata. «Tu che
cosa hai fatto?» «Gli ho offerto un bicchiere di whisky» rispose mia nonna ridacchiando.
Io trattenni il respiro. Mia nonna che ridacchiava? Non l’avevo mai sentita prima. Ci
meravigliavamo sempre quando rideva, ma ridacchiare era un altro paio di maniche. Era
come provare a suonare un’opera di Wagner con il piffero. «E poi è scoppiato a piangere!»
dichiarò mia nonna sprezzante. Ora sì che somigliava di nuovo alla Lady Arisa che
conoscevo. «A quel punto ho dovuto prendere io un bicchiere di whisky.» «Brava la mia
ragazza.» Capii che il nonno stava sorridendo e all’improvviso provai un’immensa
tenerezza. Sembravano molto felici insieme quei due. (Cioè, almeno dal collo in giù.) Solo
ora mi rendevo conto di non essermi mai fatta un’idea precisa del loro matrimonio.
«È proprio necessario che la casa di Glenda e Charles sia finita presto» disse Lady Arisa.
«È possibile che i nostri figli non abbiano avuto una mano particolarmente felice nella
scelta del partner? La Jane di Harry è terribilmente noiosa, Charles è un pusillanime e il
Nicholas di Grace non ha il becco di un quattrino.» «Però la rende felice, e questo è ciò che
conta.» Lady Arisa si alzò. «Sì , è vero, Nicholas è quello di cui mi lamento meno.
Sarebbe stato molto peggio se Grace fosse rimasta legata a quell’insopportabile
arrogante di un de Villiers.» La vidi scrollarsi. «Sono tutti una banda di presuntuosi, questi
de Villiers. Spero tanto che Lucy si ravveda.» «Io credo che Paul sia un po’ diverso dagli
altri.» I l nonno rise piano. «È un giovane ammodo.» «Io non lo credo: la mela non cade
mai lontana dall’albero. Vieni con me?» «Volevo leggere ancora un po’...» Sì , e magari
scambiare quattro chiacchiere con la nipote dal futuro, se possibile. Mi restavano davvero
pochi minuti. Da lì non riuscivo a vedere l’orologio, ma ne sentivo il ticchettio. E non
cominciavo già ad avvertire quella maledetta vertigine allo stomaco?
«Anna Karenina? Che storia malinconica, vero, mio caro?» Guardai le mani affusolate di
mia nonna prendere il libro e aprirlo a caso. Molto probabilmente anche Lucas stava
trattenendo il fiato come me. «È mai possibile spiegare a qualcun altro ciò che si prova?
Chissà, forse dovrei rileggerlo. Di sicuro però con gli occhiali.» «Prima lo leggo io» disse
Lucas deciso.
«Ma non questa notte.» Lei tornò a posare il libro sul tavolo e si chinò verso
Lucas. Non li vedevo bene, ma sembrava che si stessero abbracciando.
«Arrivo tra pochi minuti, boccuccia di miele» rispose Lucas, ma avrebbe fatto meglio a
non dirlo. Alle parole «boccuccia di miele» (pronto?
Stava parlando con Lady Arisa!) sussultai violentemente andando a sbattere con la testa
contro il piano della scrivania.
«Che cosa è stato?» domandò la nonna severa.
«A che cosa ti riferisci?» Vidi la mano di Lucas far cadere dal tavolo l’Anna Karenina.
«Quel rumore!» «Io non ho sentito niente» disse Lucas che tuttavia non poté impedire a
Lady Arisa di girarsi verso di me. Mi sembrava di vedere i suoi occhi scintillare diffidenti
sopra il naso affilato.
E adesso?
Lucas si schiarì la gola e diede un calcio poderoso al libro che scivolò sul parquet verso di
me fermandosi a mezzo metro dalla scrivania. Provai un crampo allo stomaco mentre
Lady Arisa faceva un passo verso di me.
«Ma non è...» mormorò tra sé.
«Adesso o mai più» disse Lucas e io capii che si stava riferendo a me. Protesi il braccio di
slancio, afferrai il libro e me lo strinsi al petto. Mia nonna lanciò un gridolino di sorpresa.
Ma prima che potesse chinarsi a guardare sotto la scrivania le sue pantofole ricamate
scomparvero davanti ai miei occhi.
T ornata nel 2011, uscii da sotto la scrivania con il cuore in gola, ringraziando il cielo che
dal 1993 il mobile non era stato spostato neppure di un centimetro. Povera Lady Arisa:
dopo aver visto un braccio spuntare dalla scrivania per prendersi un libro, di sicuro
avrebbe avuto bisogno di un altro whisky.
Io invece avevo bisogno soltanto del mio letto. Quando Charlotte mi si parò davanti al
piano di sopra, non mi spaventai neppure, come se il mio cuore avesse deciso che per quel
giorno ne aveva abbastanza di sussultare.
«Avevo sentito che eri molto malata e dovevi stare a letto.» Accese una torcia e mi accecò
con un’abbagliante luce a LED. Questo mi fece venire in mente che dovevo essermi
lasciata la torcia di Nick da qualche parte nel 1993. Probabilmente nell’armadio a muro.
«Proprio così . Devi avermi contagiato tu» risposi. «A quanto pare è una malattia
che non fa dormire di notte. Sono andata a prendermi qualcosa da leggere. Tu che
cosa fai in giro? Ti stai allenando?» «Perché no?» Charlotte fece un passo verso di me e
rivolse il fascio della torcia su libro. «Anna Karenina? Non è un po’ troppo impegnativo
per te?» «Dici? Sì , forse meglio fare cambio. Io ti do Anna Karenina e tu in cambio mi
presti All’ombra della collina dei vampiri.» Charlotte tacque per qualche secondo,
sconcertata. Poi mi accecò di nuovo con quella luce fredda. «Fammi vedere che cosa c’è in
quel baule, e allora forse potrò aiutarti, Gwenny. A evitare il peggio...» Accidenti, sapeva
anche usare un altro tono di voce, morbido e accattivante, quasi un po’ preoccupata.
La superai con passo deciso (e muscoli dell’addome contratti). «Scordatelo, Charlotte! E
stai lontana dalla mia camera, chiaro?» «Se ho indovinato, allora sei persino più sciocca di
quanto pensassi.» La sua voce era tornata quella di sempre. Sebbene mi aspettassi di
essere trattenuta da lei e – come minimo – di beccarmi un calcio negli stinchi, mi lasciò
andare. Solo il fascio della sua torcia mi seguì ancora per un po’.Non si può fermare il
tempo, ma per l’amore a volte il tempo si ferma da solo.
(Pearl S. Buck)7
Quando bussarono alla porta verso le dieci, mi destai di soprassalto da un sonno
profondo, anche se era la terza volta che venivo svegliata quella mattina. La prima era
stata intorno alle sette, quando mia madre era venuta a controllare come stavo («Niente
più febbre: tutto merito della tua robusta costituzione. Domani potrai tornare a scuola!»).
La seconda volta era stata tre quarti d’ora più tardi, quando Leslie aveva fatto apposta una
deviazione prima di scuola dopo aver ricevuto il mio SMS in piena notte.
I l fatto che il mio messaggio non si riducesse a farneticazioni senza senso continuava a
meravigliarmi, perché in quel momento ero quasi fuori di me dalla paura e le dita mi
tremavano così
tanto da non riuscire a trovare i tasti. L’unico modo per tornare in
camera era stato passando dal cornicione, all’incirca quattordici metri al di sopra del
marciapiede. Era stato Xemerius a suggerirmi di arrampicarmi fuori dalla finestra in
camera di Nick e di scivolare sul cornicione con la pancia schiacciata contro il muro della
casa fino alla mia finestra. Da parte sua non aveva certo contribuito alla buona riuscita
dell’impresa, visto che si era limitato a brontolare: «Non guardare di sotto!» e ad
esclamare «Santi numi, che salto!» Io e Leslie eravamo rimaste insieme pochi minuti, poi
lei era dovuta andare a scuola mentre io sprofondavo di nuovo nel sonno. Fino a quando
un suono di voci risuonò fuori dalla porta e una testa rossiccia si affacciò nella stanza.
«Buongiorno» disse Mr Marley impettito.
Xemerius, appisolato ai piedi del mio letto, balzò in piedi spaventato. «Che cosa ci fa qui
questo allarme antincendio?» Io mi tirai il lenzuolo sotto il mento. «C’è un incendio?» mi
informai in maniera non troppo originale. Secondo mia madre, sarebbero venuti a
prendermi solo nel pomeriggio per portarmi a trasmigrare. E, di sicuro, non appena alzata
dal letto, che diamine!
«Giovanotto, questo è davvero troppo!» esclamò una voce alle sue spalle. Era zia Maddy.
Diede una lieve spinta a Mr Marley ed entrò per prima in camera mia. «È evidente che non
conosce le buone maniere, altrimenti non entrerebbe in questo modo nella camera da letto
di una giovinetta.» «Esatto, e nemmeno io sono presentabile» confermò Xemerius
leccandosi la zampa anteriore.
«Io... io» balbettò Mr Marley, rosso come un peperone.
«È davvero inaudito!» «Zia Maddy, non ti immischiare!» Come terza comparve
Charlotte, con un paio di jeans e un maglione verde brillante che le faceva
fiammeggiare la chioma. «Mr Marley e Mr Brewer sono solo venuti a prendere qualcosa.»
Mr Brewer doveva essere il giovane vestito di nero che fece ora la sua comparsa. I l
numero quattro. Mi sembrava di essere a Victoria Station nell’ora di punta. Però la
mia stanza non era delle dimensioni adatte.
Charlotte si fece largo sgomitando. «Dov’è il baule?» domandò.
«Dov’è-dov’è... dov’è il baule?» canticchiò Xemerius.
«Che baule?» Ero sempre seduta come paralizzata sotto la coperta. Non avevo
nessuna intenzione di alzarmi, perché portavo sempre il pigiama impolverato di
prima e non volevo farmi vedere così da Mr Marley. Era già abbastanza che mi avesse
sorpreso con i capelli in disordine.
«Lo sai benissimo!» Charlotte si sporse verso di me. «Allora, dov’è?» Zia Maddy agitò i
boccoli, indignata. «Nessuno toccherà il baule» ordinò con sorprendente autorità.
Ma non poteva certo competere con l’autorevolezza di Lady Arisa. «Madeleine! Ti avevo
detto di restare di sotto.» A questo punto entrò in camera anche la nonna, dritta come un
fuso, il mento proteso verso l’alto. «Questa faccenda non ti riguarda.» Charlotte intanto era
avanzata tra la calca fino all’armadio a muro, aveva spalancato l’anta e indicava il baule.
«Eccolo!» «La cosa mi riguarda eccome. I l baule è mio» esclamò zia Maddy stavolta con
voce disperata. «L’ho solo prestato a Gwendolyn!» «Sciocchezze» decretò Lady Arisa. «I l
baule apparteneva a Lucas. Mi ero chiesta spesso che fine avesse fatto in tutti questi anni.»
I suoi occhi di ghiaccio si posarono su di me. «Signorina, se Charlotte ha ragione, non
vorrei essere nei tuoi panni.» Mi tirai la coperta un po’ più in alto tentata dall’idea di
nascondermici sotto.
«È chiuso a chiave» annunciò Charlotte china sul baule.
Lady Arisa protese la mano. «La chiave, Gwendolyn.» «Non ce l’ho.» La mia voce era
ovattata, per colpa della coperta. «E non riesco a capire nemmeno che cosa...» «Non essere
così cocciuta» mi interruppe Lady Arisa. Siccome però Leslie si era davvero rimessa la
chiave intorno al collo, non avevo altra scelta che essere cocciuta.
Charlotte cominciò a frugare nei cassetti della mia scrivania e zia Maddy la percosse sulle
dita. «Vergognati!» Mr Marley si schiarì
la gola. «Con permesso, Lady Montrose, a
Temple abbiamo mezzi e modi per aprire il baule anche senza chiavi...» «Mezzi e modi»
ripeté Xemerius imitandone il tono cospiratorio. «Che presuntuoso! Come se i grimaldelli
fossero qualcosa di magico.» «Benissimo, allora prendete pure il baule» disse Lady
Arisa. Poi si voltò verso la porta. «Mr Bernhard» la sentii chiamare. «Accompagni
lorsignori di sotto.» «Che dire, come se i Guardiani non avessero già abbastanza antichità»
osservò Xemerius. «Sono davvero insaziabili.» «Io protesto categoricamente» esclamò zia
Maddy, mentre Mr Marley e il suo compagno portavano il baule fuori dalla stanza senza
nemmeno salutare. «Questa è... violazione di domicilio. Quando Grace saprà che qualcuno
è entrato senza permesso nel suo appartamento, si arrabbierà tantissimo.» «In fin dei conti
è pur sempre casa mia» precisò Lady Arisa freddamente. Si voltò per uscire. «E quindi
valgono le mie regole. Che Gwendolyn non conosca i propri doveri e si riveli purtroppo
non all’altezza di una Montrose può forse essere giustificato con la sua giovane età e la
mancanza di informazioni, ma tu, Madeleine, dovresti sapere per che cosa tuo fratello ha
lavorato tutta la vita! Mi sarei aspettata un maggior rispetto per la famiglia da parte tua.
Sono molto delusa. Da entrambe.» «Anch’io sono delusa.» Zia Maddy si mise le mani sui
fianchi e lanciò un’occhiata furibonda a Lady Arisa che usciva con andatura regale. «Da
entrambe. Dopotutto siamo una famiglia!» Siccome Lady Arisa non poteva più sentirla, si
rivolse a Charlotte: «Bambina mia! Come hai potuto?» Charlotte arrossì . Per un breve
istante somigliò all’incomparabile Mr Marley e io mi chiesi dove avessi messo il cellulare.
Mi sarebbe tanto piaciuto immortalare quello spettacolo per i posteri. O per i successivi
tentativi di ricatto.
«Non potevo permettere che Gwendolyn boicottasse qualcosa che non riesce nemmeno a
capire» disse Charlotte quasi con voce tremante.
«Solo
per
la
sua
insopportabile mania
di
voler
essere
sempre
al
centro
dell’attenzione. Lei... lei non ha alcun rispetto dei misteri ai quali è immeritatamente
legata.» Mi rivolse un’occhiata velenosa che parve aiutarla a ritrovare il proprio
autocontrollo. «T e lo sei andata a cercare!» mi rinfacciò con rinnovato slancio. «Io mi ero
addirittura offerta di aiutarti! Invece no! Tu devi sempre infrangere qualche regola.» Con
queste paroletornò definitivamente al suo solito io e fece ciò che le riusciva meglio: gettarsi
i capelli all’indietro e uscire impettita.
«Oddioddio» sospirò zia Maddy mettendosi a sedere sul mio letto. Xemerius riuscì a
schivarla con un balzo
repentino. «Adesso che cosa facciamo? Di sicuro verranno a
prenderti una volta aperto il baule e senza dubbio non saranno teneri con te.» Tirò fuori
dalla tasca della vestaglia la scatola di caramelle al limone e se ne mise in bocca cinque in
una volta. «Non posso nemmeno pensarci.» «Tranquilla, zia Maddy!» Mi ravviai i capelli
con le mani e le sorrisi. «Nel baule ci sono l’Atlante scolastico e l’opera completa di Jane
Austin che mi avevi regalato per Natale.» «Oh.» Zia Maddy si strofinò il naso e sbuffò
sollevata. «Naturalmente lo immaginavo anch’io» disse succhiando avidamente le
caramelle. «Ma dove...?» «Al sicuro, spero.» Con un profondo sospiro gettai le gambe oltre
il ciglio del letto. «Però adesso sarà meglio che vada a farmi una doccia, nel caso debbano
tornare per perquisire la casa o cose del genere. A proposito, grazie tante per le tue
indicazioni ieri! Col cavolo che le stanze qua sopra erano tutte vuote. Sono finita in camera
di zia Glenda e dell’ex zio Charlie!» «Ops» esclamò zia Maddy, inghiottendo per lo
spavento una caramella.
Per il resto della mattinata non incontrai più né Charlotte né la nonna. I l telefono suonò
un paio di volte al piano di sotto e una volta anche da noi, ma era la mamma che si
informava sulle mie condizioni.
Più tardi quel giorno zia Maddy ricevette la visita della sua amica Miss Purpleplum e io le
sentii ridere entrambe come due ragazzine. Per il resto tutto si mantenne tranquillo. Prima
che venissero a prendermi per portarmi a T emple, io e Xemerius potemmo dedicarci
qualche tempo alla lettura di Anna Karenina, per la precisione a quella parte del volume
che non era stata scritta da T olstoj. Le pagine da 400 a 600 erano riempite con ampi estratti
delle Cronache e degli Annali dei Guardiani. Lucas aveva aggiunto: questi sono solo i
brani più interessanti, cara nipotina, ma a essere sincera dapprincipio non ci
trovai
proprio niente di interessante. I cosiddetti Principi sulle caratteristiche del tempo, scritti
dal conte di Saint Germain in persona, superavano le mie capacità mentali fin dalla prima
frase. Sebbene nel presente il passato sia già accaduto, bisogna prestare la massima
attenzione per non mettere a repentaglio l’attuale attraverso il passato che si rende
presente.
«Tu ci capisci qualcosa?» chiesi a Xemerius. «Da una parte è successo già tutto e quindi
continuerà a succedere come è già successo, dall’altra non bisogna contagiare nessuno con
i virus dell’influenza? È questo che dice?» Xemerius scrollò la testa. «Proviamo a saltare
questo passaggio, ok?» Ma anche il saggio di un certo dottor M. Giordano (ma guarda,
non poteva essere una coincidenza, no?), dal titolo Il conte di Saint Germain, viaggiatore
nel tempo e visionario. Analisi delle fonti sulla base dei protocolli di Inquisizione e della
corrispondenza epistolare pubblicata nel 1992 in una rivista specializzata di ricerche
storiche, cominciava con una proposizione
intricatissima
lunga otto
righe che non
invitava certo a proseguire la lettura.
Xemerius la pensava proprio come me. «Che noia!» sbuffò, e io tornai subito al punto in
cui Lucas aveva raccolto tutti i versi e le rime. Di essi ne conoscevo già alcuni, ma anche
quelli nuovi erano confusi, pieni di simboli e suscettibili di molteplici interpretazioni, a
seconda del punto di vista, proprio come le visioni di zia Maddy. Le parole ardore ed
eternità ricorrevano spesso, accoppiate sovente a dolore e immortalità.
«Certo non si può dire che queste rime siano state scritte da Goethe» osservò Xemerius.
«Sembrano composte da un ubriacone per creare roba quanto mai oscura. Ehi, vediamo un
po’, gente, che cosa fa rima con volpe di giada? Biada, rugiada, contrada? No, meglio
sciarada, è molto più, hic, misterioso.» Scoppiai a ridere. Quei versi erano davvero
improponibili. Ma sapevo che Leslie ci si sarebbe buttata con entusiasmo, aveva una
vera passione per gli enigmi. Era sicura che la lettura di Anna Karenina ci avrebbe fatto
avanzare in maniera decisiva.
«Siamo agli albori di una nuova era» aveva annunciato in tono teatrale quella mattina,
agitando in aria il volume. «Chi possiede il sapere possiede anche il potere.» Qui si
era fermata un attimo, perplessa. «Lo dicevano in un film, ma in questo momento
non mi ricordo quale.
Comunque: ora finalmente potremo andare a fondo alla cosa.» Forse aveva ragione. Ma
quando più tardi mi ritrovai nel 1953 seduta sul divano verde non mi sentivo affatto
potente né saggia, bensì molto sola. Avrei voluto tanto che Leslie fosse con me. Oppure
almeno Xemerius.
Mentre sfogliavo a caso le pagine, mi imbattei nel brano di cui aveva parlato Mr Marley.
Nell’ottobre 1782 c’era davvero una annotazione negli Annali del seguente tenore: ...e così
prima della sua partenza il conte ci ripeté ancora una volta di limitare il più possibile
anche in futuro i punti di contatto delle viaggiatrici femminili, in particolare del rubino
ultimogenito, con la forza dei misteri e di non sottovalutare mai il potere distruttivo
della curiosità femminile. Sì , certo. Non dubitai neppure per un istante che il conte avesse
pronunciato queste parole, mi sembrava di sentirle nella mia mente. «I l potere distruttivo
della curiosità femminile... zzzzz.» Ai fini del ballo, che purtroppo era stato solo
rimandato e non cancellato, tutto questo non mi era di grande aiuto, a parte il fatto che gli
scritti dei Guardiani non accrescevano certo la mia voglia di incontrare un’altra volta il
conte.
Un po’ spaventata, mi dedicai allo studio delle regole d’oro. Si parlava molto di colore e
scienza e dell’obbligo di non fare niente nel passato che potesse modificare il futuro. Di
sicuro avevo infranto in occasione di ogni mio viaggio la regola quattro: È vietato
trasportare oggetti da un’epoca all’altra. Così pure come la numero cinque: È vietato
influenzare il destino di persone nel passato. Lasciai scivolare il volume in grembo e mi
morsi con forza il labbro inferiore. Forse Charlotte aveva proprio ragione e io ero capace
solo di infrangere sempre le regole, per principio. Chissà se in quel momento i Guardiani
stavano frugando nella mia camera? Oppure in tutta la casa, con cani da fiuto e metaldetector? Poco prima di sicuro la nostra piccola manovra diversiva non sembrava essere
bastata a mettere in discussione la credibilità di Charlotte.
Dovevo riconoscere, tuttavia, che Mr Marley, che era venuto a prendermi a casa, aveva
l’aspetto un po’ scosso. Non riusciva a guardarmi negli occhi, anche se si sforzava di
fingere che non fosse successo niente.
«Forse si vergogna» ipotizzò Xemerius. «Avrei davvero voluto vedere la sua stupida faccia
da luna piena quando ha aperto il baule. Di sicuro si è fatto cadere sui piedi il grimaldello
per lo spavento.» Già, doveva essere stato davvero un momento di grave imbarazzo per
Mr Marley, quando aveva tirato fuori dal baule i miei libri. E anche per Charlotte,
naturalmente. Ma lei non avrebbe rinunciato tanto facilmente.
In ogni caso Mr Marley si era sforzato di intavolare una conversazione rilassata,
probabilmente per mettere a tacere i sensi di colpa, mentre mi accompagnava dall’auto
all’ingresso del quartier generale con un ombrello nero aperto. «È proprio fresco oggi,
vero?» chiese risoluto.
Era davvero una situazione assurda. Io risposi con altrettanta decisione: «Sì . Quando mi
restituite il baule?» Di fronte a questa richiesta, non riuscì a fare altro che arrossire come
un peperone.
«Posso almeno riavere i miei libri, oppure li trattenete per rilevare eventuali impronte
digitali?» No, quel giorno proprio non mi faceva pena.
«Noi... purtroppo... forse... sbagliato» balbettò e io e Xemerius domandammo in coro:
«Come?» Con evidente sollievo di Mr Marley, all’ingresso ci
imbattemmo
in Mr
Whitman, che anche stavolta somigliava a una celebrità da red carpet.Doveva essere
appena arrivato anche lui, perché si stava togliendo il cappotto con inimitabile eleganza e
si scrollava la pioggia dai folti capelli.
Intanto ci sorrideva con una dentatura perfetta. Mancava soltanto il lampo dei flash. Se
fossi stata in Cynthia, di sicuro gli avrei lanciato un’occhiata languida, ma io ero del tutto
immune al suo bell’aspetto e al suo fascino (che, tra l’altro, di rado rivolgeva a me). A
parte questo, Xemerius faceva le boccacce alle sue spalle.
«Gwendolyn! Ho sentito che stai meglio» mi disse.
Da chi lo aveva saputo?
«Abbastanza.» Per distrarlo dalla mia invisibile malattia, e siccome avevo già preso lo
slancio, ne approfittai per dirgli: «Stavo giusto chiedendo informazioni sul mio baule a Mr
Marley. Forse lei sa dirmi quando lo riavrò e perché me lo avete preso».
«Perfetto! L’attacco è la miglior difesa» mi incoraggiò Xemerius. «Me lo sento: ce la farai
benissimo anche senza di me. Allora torno a casa a leg... cioè a tenere d’occhio la
situazione. See you later, alligator, hehe!» «Io... noi... informazioni errate...» ricominciò a
balbettare Mr Marley.
Mr Whitman schioccò la lingua, irritato. Accanto a lui Mr Marley appariva ancora più
impacciato. «Marley, può andare in pausa pranzo.» «Sissignore. Pausa pranzo, signore.»
Mancò poco che Marley battesse i tacchi.
«Tua cugina sospettava che tu fossi in possesso di un oggetto che non ti appartiene» disse
Mr Whitman una volta che Marley si fu allontanato di corsa, guardandomi intensamente.
I suoi begli occhi castani gli avevano fatto guadagnare il soprannome di scoiattolo
da Leslie, ma in quel momento non c’era proprio niente di tenero e indifeso in essi,
nemmeno a cercarlo, e mancava anche quel calore che di solito si trova sempre negli occhi
castani. I l mio spirito battagliero andò in frantumi sotto il suo sguardo e si rifugiò
nell’angolo più nascosto della mia personalità.
Improvvisamente rimpiansi che Mr Marley fosse andato via. Era molto più piacevole
litigare con lui che con Mr Whitman. Era così difficile mentirgli, forse dipendeva dalla sua
esperienza di professore. Comunque ci provai lo stesso.
«È chiaro che Charlotte si sente un po’ esclusa» mormorai tenendo gli occhi bassi. «Sta
passando un periodo difficile e quindi inventa cose per conquistarsi un po’... hmmm... di
attenzione.» «È proprio quello che pensano anche gli altri» commentò Mr Whitman
pensieroso. «Io però ritengo Charlotte una persona solida e sicura di sé che non ha bisogno
di ricorrere a certi trucchetti.» Inclinò la testa verso di me, così vicino che potei sentire
l’aroma del suo dopobarba. «Se i suoi sospetti dovessero rivelarsi fondati... ecco, non so se
ti rendi conto fino in fondo della portata delle tue azioni.» Già, in questo eravamo
sicuramente in due. Con un notevole sforzo tornai ad alzare gli occhi nei suoi. «Posso
almeno chiedere di che oggetto si tratta?» domandai esitante.
Mr Whitman inarcò un sopracciglio, poi sorrise inaspettatamente. «Esiste davvero la
possibilità che io ti abbia sottovalutato, Gwendolyn. Di sicuro questo non ti dà il diritto di
sopravvalutarti!» Restammo a guardarci negli occhi per qualche secondo, e d’un tratto io
mi sentii sfinita. Che cosa avrebbe portato questa messinscena? Che cosa sarebbe successo
se avessi restituito il cronografo ai Guardiani lasciando che le cose seguissero il loro corso?
Da qualche parte in fondo la mia testa udii la voce di Leslie che mi diceva: per favore, datti
una smossa, ma a che scopo? Continuavo a brancolare nel buio e non avevo fatto neppure
un passo avanti. Mr Whitman aveva ragione: in fin dei conti mi ero sopravvalutata e così
facendo avevo solo peggiorato
le cose. Non sapevo neppure per quale motivo mi
accollavo quella fatica tanto snervante. Non sarebbe stato bello lasciare ad altri
responsabilità e decisioni?
«Sì?» domandò Mr Whitman con voce gentile, mentre nei suoi occhi tornava
effettivamente una luce calda. «Vuoi dirmi qualcosa, Gwendolyn?» Chissà, forse l’avrei
fatto, se proprio in quel momento non ci avesse raggiunto Mr George. Con la frase
«Gwendolyn, dov’eri finita?» mise fine al mio momento di debolezza. Mr Whitman
schioccò di nuovo la lingua contrariato, ma non approfondì più il tema in presenza di Mr
George.
Adesso mi ritrovavo qui da sola nel 1953 sul divano verde cercando ancora di
riprendermi. E di ritrovare un po’ di fiducia.
«Sapere è potere» mi ripetei a denti stretti cercando di farmi coraggio, poi riaprii il libro.
Lucas aveva riportato soprattutto passaggi degli annali degli anni 1782 e 1912, perché
quelli, cara nipotina, sono gli anni importanti per te. Nel settembre 1782 la cosiddetta
Alleanza fiorentina fu sgominata e il traditore della cerchia interna dei Guardiani
smascherato. Sebbene non sia scritto esplicitamente negli annali, possiamo presumere
che tu e Gideon siate coinvolti in questi avvenimenti.
Alzai gli occhi. Era questo l’accenno al ballo che stavo cercando? Se sì , ne sapevo giusto
quanto prima. Grazie, nonno, sospirai. Mi era utile come «guardati dai tramezzini al
pastrami». Continuai a sfogliare.
«Non spaventarti» disse una voce alle mie spalle.
Di sicuro questa frase era da annoverare tra le ultime parole famose, e per la precisione
quelle che si sentono prima della propria morte.
(Subito dopo «non è carica» e «vuole solo giocare».) Naturalmente mi spaventai da morire.
«Sono io.» Gideon era dietro il divano e mi sorrideva. La sua vista bastò a mandare di
nuovo in cortocircuito il mio sistema, mentre le emozioni più contrastanti mi si agitavano
dentro senza prendere una direzione precisa.
«Mr Whitman ha pensato che avresti sopportato un po’ di compagnia» disse Gideon
disinvolto. «E poi mi è venuto in mente che c’era da cambiare la lampadina qui.» Lanciò
in aria una lampadina come un giocoliere, l’afferrò di nuovo e contemporaneamente si
lasciò cadere accanto a me sul divano con un agile movimento. «Certo che te la passi
proprio bene qui. Coperte di cachemire! E uva. Mi sa che hai fatto breccia nel cuore di Mrs
Jenkins.» Mentre fissavo la sua bella faccia pallida e cercavo di riportare sotto controllo il
mio caos emotivo, ebbi quanto meno la prontezza di riflessi di chiudere Anna Karenina.
Gideon mi osservò con attenzione, facendo scorrere lo sguardo dalla mia fronte agli occhi,
fino alla bocca. Avrei voluto girarmi dall’altra parte, ma nello stesso tempo non riuscivo a
saziarmi della sua vista, così continuavo a fissarlo come una lepre guarda un serpente.
«Magari un piccolo ciao?» mi disse tornando a guardarmi negli occhi. «Anche se ce l’hai
con me.» I l lieve guizzo dell’angolo della sua bocca verso l’alto mi strappò dalla mia
paralisi. «Grazie per avermelo ricordato.» Mi scostai i capelli dalla fronte, mi misi a sedere
più dritta e aprii di nuovo il libro, stavolta all’inizio. Lo avrei ignorato: non doveva
illudersi che tra di noi tutto fosse a posto.
Gideon però non si fece liquidare con tanta facilità. Alzò gli occhi verso il soffitto. «Per
cambiare la lampadina, dovrei spegnere la luce per un po’. Allora qui dentro sarebbe
molto buio.» Io non replicai.
«Per caso hai con te una torcia?» Io non dissi niente.
«D’altra parte, sembra che la lampadina oggi non faccia i capricci. Magari lasciamo stare,
che ne dici?» Io sentivo la sua occhiata che mi sfiorava come una carezza, ma continuai a
fissare imperterrita il libro.
«Hmmm, posso assaggiare qualche acino d’uva?» A questo punto persi la pazienza.
«Prendila pure tutta, ma lasciami in pace!» abbaiai. «E chiudi la bocca, ok? Non ho voglia
di fare chiacchiere insulse con te.»Per il tempo che impiegò a mangiare l’uva, rimase in
silenzio. Io voltai una pagina, sebbene non avessi letto neppure una riga.
«Ho saputo che stamattina hai avuto visite di buon’ora.» Si mise a lanciare in aria
due chicchi d’uva come un giocoliere. «Charlotte ha accennato a un misterioso baule.»
Aha. Ecco dove soffiava il vento. Posai il libro sulle ginocchia. «Quale parte di chiudi la
bocca non hai capito?» Gideon mi sorrise compiaciuto. «Ehi, non sono quattro chiacchiere
qualunque. Vorrei tanto sapere come mai a Charlotte è venuto in mente che tu potessi
essere in possesso di qualcosa che Lucy e Paul ti avevano passato.» Era venuto qui per
carpirmi delle informazioni, era chiaro. Probabilmente per ordine di Falk e degli altri. «Sii
carino con lei, vedrai che ti rivelerà di sicuro se e dove tiene nascosto qualcosa.» Trattare le
donne come delle stupide era del resto il passatempo preferito della famiglia de Villiers.
Sollevai le gambe sul divano e le incrociai. Da arrabbiata mi risultava più facile guardarlo
negli occhi senza che mi tremasse il labbro inferiore.
«Dovresti chiedere a Charlotte come mai le è venuto in mente» ribattei gelida.
«L’ho già fatto.» Anche Gideon incrociò le gambe, così ci ritrovammo seduti di fronte
sul divano come due indiani in un teepee. Chissà se esisteva il contrario del calumet
della pace? «Secondo lei ti sei impadronita non si sa come del cronografo rubato e tuo
fratello, la tua prozia e persino il vostro maggiordomo ti hanno aiutato a nasconderlo.»
Scrollai la testa. «Non avrei mai creduto di dire una cosa del genere, ma Charlotte ha
davvero troppa fantasia. Basta che veda qualcuno con un vecchio baule per casa e già
immagina chissà che cosa.» «Allora che cosa c’era nel baule?» domandò lui senza grande
interesse. Mamma mia, com’era prevedibile!
«Niente! Lo utilizziamo come tavolo da gioco per le nostre partite di poker.» Quest’idea
mi pareva così geniale che trattenni a stento un ghigno.
«Arizona Hold’em?» si informò Gideon manifestando maggior interesse.
Haha. «T exas Hold’em» replicai. Credeva di potermi mettere in difficoltà con un trucco
così banale? I l padre di Leslie ci aveva insegnato a giocare a poker quando avevamo
dodici anni. Secondo lui, infatti, le ragazze dovevano assolutamente conoscere quel
gioco, anche se non ci aveva mai rivelato il perché. Grazie a lui conoscevamo tutti i trucchi
ed eravamo campionesse di bluff. Leslie aveva ancora l’abitudine di grattarsi il naso
quando aveva una buona carta, ma lo sapevo soltanto io. «Anche Omaha, ma più
raramente. Sai» mi sporsi in avanti con aria confidenziale, «a casa nostra i giochi d’azzardo
sono vietati; mia nonna ha imposto qualche regola ferrea. In realtà, io, zia Maddy, Mr
Bernhard e Nick abbiamo iniziato a giocare solo per protesta e pura testardaggine. Ma poi
abbiamo cominciato ad appassionarci davvero.» Gideon aveva inarcato un sopracciglio.
Sembrava impressionato. Non potevo dargli torto.
«Forse Lady Arisa ha ragione e il gioco è il padre di tutti i vizi» proseguii. Mi sentivo
proprio nel mio elemento. «Abbiamo cominciato puntando solo caramelle al limone, ma
nel frattempo la posta è aumentata. La settimana scorsa mio fratello si è giocato tutta la
paghetta. Se lo sapesse Lady Arisa!» Mi protesi ancora in avanti e fissai Gideon negli
occhi. «Perciò, non andare a dirlo a Charlotte, perché spiattellerebbe subito tutto.
Meglio che continui a credere alla storia del cronografo rubato!» Tornai a raddrizzarmi
molto compiaciuta da me stessa.
Gideon aveva sempre l’aria assorta. Mi fissò per un po’ in silenzio, poi allungò di colpo
la mano e mi accarezzò i capelli. Mancò poco che perdessi il mio aplomb.
«Piantala!» Ci stava provando davvero in tutti i modi! Che stronzo. «Si può sapere che
cosa ci fai qui? Io non ho bisogno di compagnia!» Avrei voluto dirlo in tono avvelenato,
invece sembrava più che altro un’implorazione. «Non dovresti essere impegnato in
qualche missione segreta per carpire sangue alla gente?» «Ti riferisci alla operazione
calzoni a sbuffo di ieri sera?» Aveva smesso di accarezzarmi i capelli, ma si era messo a
rigirarsi una ciocca tra le dita. «È riuscita. I l sangue di Elaine Burghley ora è nel
cronografo.» Per qualche secondo fissò nel vuoto alle mie spalle e assunse un’espressione
rattristata. Poi si riscosse. «Mancano ancora la caparbia Lady Tilney, Lucy e Paul. Ma ora
che sappiamo qual è l’epoca in cui si sono rifugiati Lucy e Paul e sotto quale nome sono
vissuti è solo questione di tempo. Di Lady Tilney mi occuperò invece domattina.»
«Pensavo che nel frattempo avessi cominciato a dubitare della liceità di tutto questo»
obiettai liberandomi i capelli dalla sua mano. «E se Lucy e Paul avessero ragione e il
cerchio di sangue non dovesse essere completato? Tu stesso hai affermato che esiste questa
possibilità.» «È vero. Ma non intendo sbandierarlo sotto il naso dei Guardiani. Tu sei
l’unica alla quale ne ho parlato.» Ah, che mossa psicologicamente raffinata. Tu sei l’unica
di cui mi fido.
Anch’io però sapevo essere raffinata, volendo. (Bastava pensare alla storia del poker!)
«Lucy e Paul hanno detto di non fidarsi del conte. Che le sue intenzioni sono malvagie.
Ora lo credi anche tu?» Gideon scosse la testa. La sua espressione di colpo era tesa e seria.
«No. Non credo che sia cattivo. Credo solo...» esitò. «Credo che voglia sacrificare il bene di
un singolo a quello generale.» «Anche il proprio?» Non mi rispose, ma protese di nuovo
la mano. Avvolse una ciocca di capelli intorno al dito come se fosse un bigodino.
Alla fine disse: «Mettiamo che tu possa sviluppare qualcosa di sensazionale, per esempio
una cura contro il cancro e l’Aids e tutte le altre malattie al mondo. Ma per farlo devi far
morire una persona: che cosa faresti?» Qualcuno doveva morire? Era questo il motivo per
cui Lucy e Paul avevano rubato il cronografo? Perché giudicavano il prezzo troppo alto, le
parole della mamma riaffiorarono nella mia mente. I l prezzo, una vita umana? Subito mi
balzarono davanti agli occhi scene cinematografiche di croci al contrario, vittime sacrificali
su un altare e uomini incappucciati che pronunciavano formule magiche babilonesi. I l
tutto in effetti non si addiceva molto ai Guardiani, a parte qualche eccezione.
Gideon mi guardava pieno d’aspettativa.
«Sacrificare una vita umana per la salvezza di molti?» mormorai. «No, non credo che
sarebbe un prezzo troppo alto, da un punto di vista puramente pragmatico. E tu?» Gideon
rimase a lungo in silenzio, facendo scivolare lo sguardo sul mio viso e ricominciando a
giocherellare con i miei capelli. «Io credo di sì» disse alla fine. «Non sempre il fine
giustifica i mezzi.» «Significa forse che d’ora in avanti non farai più ciò che il conte vuole
da te?» sbottai, decisamente in maniera poco raffinata. «Per esempio giocare con i miei
sentimenti? O con i miei capelli?» Gideon tolse la mano dai miei capelli, e la fissò
meravigliato, come se non gli appartenesse. «Io non... il conte non mi ha ordinato di
giocare con i tuoi sentimenti.» «Ma davvero?» Di colpo provavo una rabbia immensa
verso di lui. «A me però ha detto così . Per la precisione, era colpito dalla tua bravura,
visto il poco tempo che hai avuto a disposizione per manipolare i miei sentimenti e le
energie stupidamente sprecate sulla vittima sbagliata, ovvero Charlotte.» Gideon sospirò e
si passò il dorso della mano sulla fronte. «In effetti io e il conte abbiamo chiacchierato un
paio di volte di... be’, argomenti maschili. Secondo lui – del resto, bisogna capirlo, è
vissuto più di due secoli fa! – le azioni delle donne sono determinate solo dalle emozioni,
mentre gli uomini si fanno guidare dalla ragione. Per questo riteneva meglio per me se la
mia compagna di viaggi nel tempo fosse innamorata dime, affinché, nel dubbio, potessi
controllarne le azioni. Pensavo...» «Tu...» lo interruppi irata. «Tu hai pensato di fare in
modo che fosse così !» Gideon districò le lunghe gambe, si alzò e cominciò a camminare su
e giù per la stanza. Per qualche motivo era turbato. «Gwendolyn, io non ti ho costretto a
fare niente, vero? Al contrario, spesso ti ho trattata molto male.» Io lo fissai muta. «E di
questo dovrei esserti grata?» «Certo che no» disse lui. «Anzi, sì .» «Quale delle due?» Lui
mi scoccò un’occhiata spazientita. «Perché le ragazze si intestardiscono sui tipi che
le trattano come delle merde? I
ragazzi educati evidentemente non sono altrettanto
interessanti. A volte è difficile conservare il rispetto verso le ragazze.» Continuava a
camminare con lunghe falcate quasi colleriche. «Visto che poi i ragazzi con le orecchie a
sventola e i foruncoli non ci guadagnano poi granché.» «Quanto sei cinico e superficiale.»
Ero sbigottita dalla piega presa dalla conversazione.
Gideon si strinse nelle spalle. «Io ci penserei bene, prima di parlare di superficialità.
Oppure ti saresti lasciata baciare da Mr Marley?» Per
un
istante
restai
davvero
interdetta. Forse le sue parole contenevano un granellino minuscolo di verità... poi
scrollai la testa. «Ti sei dimenticato di un particolare decisivo nella tua impressionante
argomentazione. Io non mi sarei lasciata baciare da te, nonostante il tuo aspetto
impeccabile
senza
foruncoli
–
a
proposito,
complimenti
per
la
tua
sana
autoconsapevolezza –, se tu non mi avessi mentito e non avessi finto di provare qualcosa
per me.» Senza che potessi evitarlo, le lacrime mi salirono agli occhi. Continuai a parlare
con voce tremante. «Io non mi sarei... mai innamorata di te.» E comunque, anche se fosse
successo, non lo avrei fatto notare.
Gideon voltò la testa dall’altra parte. Per un istante rimase immobile, poi diede un calcio
poderoso al muro. «Maledizione, Gwendolyn» esclamò a denti stretti. «Credi davvero
di essere stata così sincera nei miei confronti? Piuttosto non sei stata tu a mentirmi
tutte le volte che se ne presentava l’occasione?» Mentre cercavo la risposta – era
davvero un maestro nel rigirare la frittata – fui assalita dall’ormai familiare senso di
vertigine, ma stavolta fu più intenso che mai. Sgomenta, strinsi al petto Anna Karenina,
ma era troppo tardi per recuperare il cestino.
«È vero che ti sei lasciata baciare da me, ma non ti sei mai fidata di me» riuscii ancora a
sentire dire da Gideon. Poi atterrai nel presente e dovetti fare uno sforzo per non vomitare
davanti ai piedi di Mr Marley.
Quando finalmente il mio stomaco si calmò, anche Gideon era tornato indietro. Stava
appoggiato con la schiena al muro. Sul suo viso non c’era più traccia di collera, ma un
sorriso malinconico. «Mi piacerebbe davvero tanto partecipare a una delle vostre partite di
poker» disse. «Infatti sono molto bravo a bluffare.» Poi lasciò la stanza senza voltarsi
indietro.Dai protocolli dell’Inquisizione del frate domenicano Gian Petro Baribi Archivio
della Biblioteca universitaria di Padova (decifrazione, traduzione e commento a cura del
dottor M. Giordano)
25 giugno 1542. Proseguo le indagini nel convento S. sul caso della giovane Elisabetta, che,
secondo le informazioni di suo padre, porta in grembo il figlio di un demone.
Nel mio resoconto al capo della congregazione non ho taciuto la mia convinzione che M.
tenda a – per usare un’espressione eufemistica – trasfigurazioni religiose e si senta
chiamato da Dio, nostro Signore, a sradicare il male da questo mondo. Evidentemente
preferisce accusare la figlia di stregoneria piuttosto che accettare che ella non corrisponda
alle sue idee di decoro. Ho già accennato sul retro ai suoi buoni rapporti con R.M., la sua
influenza in questa regione è notevole, pertanto non possiamo ancora considerare
concluso il caso. L’interrogatorio dei testimoni è stato un’autentica farsa. Due giovani
compagne di Elisabetta confermano le dichiarazioni del conte circa l’apparizione di un
demone nel giardino del convento. La piccola Sofia – che non ha saputo spiegare in
maniera credibile come mai si trovasse nascosta in un cespuglio del giardino intorno alla
mezzanotte – ha descritto un gigante con corna, occhi fiammeggianti e un piede caprino
che, curiosamente, ha eseguito una serenata con il violino a Elisabetta prima di
commettere atti osceni con lei. L’altra testimone, una cara amica di Elisabetta, ha dato
un’impressione di maggior assennatezza. Ha raccontato di un giovane ben vestito e molto
alto che ha circuito Elisabetta con belle parole. Sarebbe comparso dal nulla e in seguito
sarebbe svanito nell’aria, fenomeno che tuttavia lei non avrebbe visto di persona. Da parte
sua Elisabetta mi ha confidato che il giovane tanto abile a scavalcare le mura del convento
non possedeva né corna né piede caprino, bensì proveniva da una famiglia distinta e che
lei ne conosceva persino il nome. Già mi rallegravo di poter dare una conclusione
chiarificatrice alla cosa, quando lei ha aggiunto di non essere purtroppo riuscita a stabilire
alcun contatto con lui, dal momento che proveniva dal futuro, per la precisione dall’anno
del Signore 1723. Si può ben immaginare la mia disperazione circa le condizioni spirituali
delle persone che mi circondano. Spero ardentemente che il capo della congregazione mi
richiami al più presto a Firenze, dove mi aspettano casi reali.8
I l corsetto di broccato era ricamato nelle tonalità del blu e dell’argento con scintillanti
uccelli del paradiso, fiori e foglie, le maniche e la gonna erano di pesante seta blu scuro che
a ogni passo frusciava e scrosciava come il mare in una giornata di tempesta. Mi rendevo
conto che ogni ragazza con un abito del genere sarebbe sembrata una principessa, ma in
ogni caso rimasi sopraffatta dalla mia immagine allo specchio.
«È... di una bellezza incredibile!» bisbigliai attonita.
Xemerius schioccò la lingua. Era seduto su un avanzo di broccato accanto alla macchina
per cucire e si scaccolava il naso. «Le ragazze!» esclamò. «Prima protestano e puntano
mani e piedi contro questo ballo e poi, basta che si mettano un vecchio straccio come
questo, manca poco che se la facciano nella gonna.» Lo ignorai e mi voltai verso la
creatrice di questo capolavoro. «Anche l’altro abito però era perfetto, Madame Rossini.»
«Sì , lo so.» Ammiccò compiaciuta. «Possiamo usarlo un’altra volta.» «Madame Rossini, lei
è una vera artista!» esclamai di slancio.
«N’est-ce pas?» Mi sorrise soddisfatta. «E come tale posso anche cambiare idea.
Sulla parrucca bianca l’altro vestito mi faceva un’impressione troppo smorta. Un
colorito come il tuo ha bisogno di... comment on dit? contrasti!» «Ah, già, la parrucca»
sospirai. «Come al solito rovinerà tutto. Potrebbe farmi velocemente una foto per favore?»
«Bien sur.» Madame Rossini mi issò su uno sgabello davanti al tavolo da trucco e prese il
cellulare che le porsi.
Xemerius spiegò le ali, svolazzò verso di me e si posò con un atterraggio poco felice
proprio davanti alla testa di porcellana con la parrucca.
«Lo sai che cosa si nasconde di solito in un copricapo del genere, vero?» Gettò la testa
all’indietro e guardò verso l’alto la torre bianca e incipriata. «Pidocchi. Forse tarme.
Magari anche qualcosa di peggio.» Alzò le zampe in un gesto teatrale. «Ti dico soltanto:
TARANTOLE.» Mi astenni dal commentare che ormai le leggende metropolitane erano
roba vecchia, e mi limitai a uno sbadiglio dimostrativo.
Xemerius si appoggiò gli artigli sui fianchi. «Guarda che è vero» disse. «E non dovresti
guardarti solo dai ragni, bensì anche da certi conti, nel caso ti fosse passato di mente
inebriata come sei da questo costume.» Purtroppo aveva ragione. Ma quel giorno, fresca
di guarigione e appena dichiarata abile al ballo dai Guardiani, volevo una cosa soltanto:
pensare positivo. E dove poteva riuscire più facile se non nell’atelier di Madame Rossini?
Gettai un’occhiata severa a Xemerius e feci vagare lo sguardo sul porta abiti pieno. Ogni
vestito era più bello dell’altro.
«Per caso non avrebbe qualcosa di verde?» domandai malinconica. Stavo pensando alla
festa di Cynthia e ai costumi che Leslie voleva realizzare per il nostro travestimento da
marziane. «Ci servono solo sacchi dell’immondizia, qualche scovolino da pipa, barattoli
vuoti e due sfere di polistirolo» aveva detto. «Con una sparachiodi e un po’ di colla a caldo
ci trasformeremo in un battibaleno in fighissime marziane vintage. Per così dire moderne
opere d’arte viventi, e senza spendere un penny.» «Verde? Mais oui» disse Madame
Rossini. «Quando ancora tutti pensavano che la rossa anoressica avrebbe viaggiato nel
tempo, ho utilizzato molte tonalità di verde. È il colore che si armonizza meglio con i
capelli rossi e anche con gli occhi verdi del giovane ribelle.» «Oh, oh» disse Xemerius
minacciandola con uno dei suoi artigli. «Terreno vietato, carissima!» In effetti aveva
ragione. I l giovane ribelle decisamente non faceva parte dell’elenco di cose positive alle
quali volevo pensare. (Ma se davvero Gideon fosse venuto alla festa con Charlotte non
potevo certo presentarmi infilata in un sacco della spazzatura; Leslie poteva dire quello
che le pareva sull’arte moderna.)
Madame Rossini mi spazzolò i capelli e me li legò con un elastico. «Stasera si vestirà di
verde, un verde mare, ho meditato per ore sulla sfumatura giusta, per fare in modo che i
vostri colori si armonizzino. Alla fine ho ricontrollato tutto alla luce delle candele.
Absolument onirique.
Insieme sembrerete il re e la regina del mare.» «Absolumong» ridacchiò Xemerius. «E, se
non morirete, insieme avrete tanti piccoli principi e principesse del mare.» Sospirai. Non
doveva essere a casa a controllare Charlotte? Invece non aveva voluto rinunciare ad
accompagnarmi a T emple, gesto che d’altra parte era molto carino. Xemerius sapeva
benissimo quanto mi innervosisse il ballo.
Con la fronte aggrottata e l’espressione attenta, Madame Rossini mi suddivise i capelli in
tre ciocche, li intrecciò e poi li arrotolò in una crocchia che fermò con le forcine. «Verde,
hai detto? Fammi pensare. Ci sarebbe un costume d’equitazione del tardo XVI I I secolo di
velluto verde, inoltre – oh! un capo davvero superbo – un completo da sera del 1922, seta
verde e nera con cappello in tinta, cappotto e borsa, très chic. E poi ho anche ripreso alcuni
modelli di Balenciaga che Grace Kelly portava negli anni ’60. I l pezzo forte è un abito da
ballo del colore delle foglie di rosa, anche quello ti starebbe benissimo.» Sollevò con
cautela l’elaborata parrucca. Candida come la neve e decorata con nastri e fiori di broccato
blu, ricordava una torta nuziale a più piani. Emanava perfino profumo di vaniglia e
arancia. Madame Rossini collocò con abilità la torta sopra il nido formato dai miei capelli
e, quando mi guardai allo specchio, non mi riconobbi più.
«Ora sono un misto tra Maria Antonietta e mia nonna» dichiarai. E con delle sopracciglia
nere che sembravano un cespuglio non potato.
«Sciocchezze» obiettò Madame Rossini intenta a fissare la parrucca con enormi spilloni.
Somigliavano a piccoli pugnali con la capocchia di pietruzze azzurre brillanti a forma di
stella che sporgevano dall’impalcatura di boccoli. «Questione di contrasti, collo di cigno, i
contrasti sono sempre la cosa più importante.» Indicò la trousse da trucco aperta sul comò.
«E adesso il make-up: anche nel XVI I I secolo a lume di candela gli smokey eyes erano in
voga. Un velo di cipria, et parfaitement! Sarai di nuovo la più bella!» Cosa che
naturalmente lei non poteva sapere, dato che non era mai con me. Le sorrisi. «Lei è così
gentile con me! È davvero la migliore! E dovrebbero darle un Oscar per i suoi costumi.»
«Lo so» rispose Madame Rossini modesta.
«L’importante è che tu entri prima con la testa ed esci prima con la testa, piccina mia!»
Madame Rossini mi aveva accompagnato fino alla limousine e mi aiutò a entrare. Mi
sentivo un po’ come Marge Simpson, con la differenza che il mio grattacielo di capelli era
bianco anziché azzurro e il tettuccio dell’auto per fortuna era abbastanza alto.
«Sembra impossibile che una personcina tanto esile possa occupare tutto questo spazio»
osservò ridendo Mr George quando ebbi finalmente sistemato le mie gonne sul sedile.
«Già, proprio così . Con un abito del genere, bisognerebbe avere un codice d’avviamento
postale tutto proprio.»Madame Rossini mi lanciò un bacio con la mano. Com’era
tenera! Quando ero con lei riuscivo a dimenticarmi sempre di quanto fosse
spaventosa la mia vita.
L’auto si avviò e proprio in quel momento la porta del quartier generale dei Guardiani si
spalancò e Giordano uscì precipitosamente. Le sue sopracciglia rasate erano inclinate
verso l’alto e sotto l’abbronzatura era bianco come un cencio. La bocca dalle labbra
carnose si apriva e si chiudeva ritmicamente, dandogli l’aspetto di un pesce d’alto mare
minacciato di estinzione. Per fortuna non potevo sentire ciò che diceva a Madame
Rossini, anche se non faticavo a immaginarlo. Una sciocca. Non sa niente di storia e
minuetto. Di sicuro ci farà fare una pessima figura con la sua ottusità. Una vergogna per
l’umanità.
Madame Rossini gli rivolse un sorriso zuccherino e gli disse qualcosa che provocò la
brusca chiusura della bocca da pesce. Purtroppo persi di vista entrambi quando l’autista
imboccò il vicolo che conduceva verso lo Strand.
Mi appoggiai al sedile con un sorriso compiaciuto, ma ben presto il buonumore si dissolse
sostituito dall’agitazione e dalla paura. Avevo il terrore di tutto: l’incertezza, la folla,
gli sguardi, le domande, i balli e soprattutto un nuovo incontro con il conte. Le mie
paure mi avevano perseguitato anche in sogno, sebbene dovessi riconoscere di aver
dormito per tutta la notte. Poco prima del risveglio avevo fatto strani sogni, ero
inciampata nella mia stessa gonna precipitando per una scala altissima, direttamente ai
piedi del conte di Saint Germain il quale, senza toccarmi, mi aveva aiutato ad alzarmi
afferrandomi per la gola. Nel frattempo sbraitava con una voce stranamente simile a
quella di Charlotte: «Sei una vergogna per tutta la famiglia». Accanto a lui c’era Mr
Marley, che reggeva lo zaino di Leslie mostrandolo in giro e diceva in tono di rimprovero:
«È rimasta solo una sterlina e venti sulla Oyster card».
«Che ingiustizia. L’avevo appena ricaricata!» Nell’ora di geografia quella mattina Leslie si
era scompisciata dalle risate al racconto del mio sogno. Tuttavia non era stato poi così
strampalato: lo zaino in effetti le era stato rubato il giorno prima dopo la scuola, proprio
mentre stava per salire sull’autobus. Gliel’aveva strappato brutalmente dalle spalle un
giovanotto che secondo Leslie correva più veloce di Dwain Chambers.
Nel frattempo avevamo mangiato la foglia per quanto riguardava i Guardiani. E da parte
di Charlotte, che senza dubbio si nascondeva dietro il tutto (in maniera indiretta), non ci
saremmo aspettate niente di diverso. Tuttavia il metodo utilizzato ci pareva un po’...
ecco... rozzo. Se ci fosse mancata la prova definitiva, la donna accanto a Leslie aveva una
borsa di Hermès. Voglio dire, mettiamoci una mano sul cuore: quale ladro con un po’
d’amor proprio poteva preferire un vecchio zaino?
Secondo il resoconto di Xemerius, Charlotte aveva perquisito la mia camera alla
ricerca del cronografo subito dopo la mia uscita, senza trascurare niente. Aveva
guardato persino sotto il cuscino del letto, che nascondiglio originale! Dopo un minuzioso
esame dell’armadio a muro, alla fine aveva scoperto il pannello di cartongesso staccabile e
si era infilata nell’intercapedine con un sorriso di trionfo (secondo Xemerius), dove
neppure il fratello del mio amico ragno era riuscito a spaventarla (secondo Xemerius). E
non aveva nemmeno esitato a infilare un braccio nei visceri del coccodrillo.
Già, se solo l’avesse fatto il giorno prima! Invece chi tardi arriva male alloggia, come
diceva sempre Lady Arisa. Dopo essere sgusciata fuori frustrata dall’armadio a muro,
Charlotte aveva preso di mira Leslie, con conseguente furto dello zaino. Ora i Guardiani
erano in possesso di una Oyster card appena ricaricata, una cartelletta, un lucidalabbra
tinta cherry e un paio di libri presi in prestito alla biblioteca sulla estensione del delta del
Gange orientale. E nient’altro.
Una sconfitta del genere era difficile da digerire persino da Charlotte, che stamattina si era
presentata a colazione con la sua solita espressione superba. Lady Arisa, al contrario, se
non altro aveva avuto la decenza di riconoscere il proprio errore.
«I l baule è di nuovo in viaggio verso casa nostra» annunciò gelida. «È evidente che
Charlotte ha i nervi un po’ scossi, e io devo ammettere di aver erroneamente dato credito
alle sue dichiarazioni. Ora consideriamo chiusa la questione e dedichiamoci ad altri temi.»
Alla luce dei parametri di Lady Arisa, questa era una vera e propria dichiarazione di
scuse. Mentre Charlotte a queste parole aveva tenuto lo sguardo fisso sul piatto, noialtri ci
eravamo scambiati occhiate perplesse e ci eravamo dedicati prontamente all’unico altro
tema che ci era venuto in mente d’impulso: il tempo.
Soltanto zia Glenda, con il collo ricoperto da chiazze rosse, non voleva che tutta la
colpa ricadesse su Charlotte. «Invece di muoverle dei rimproveri, bisognerebbe esserle
grati che continua a sentirsi responsabile e a mantenere uno sguardo vigile» non riuscì a
trattenersi dal dire.
«Come si dice? L’ingratitudine è la ricompensa del mondo. Sono convinta che...»
Purtroppo non ci fu dato di sapere di che cosa fosse convinta zia Glenda, perché Lady
Arisa intervenne con voce glaciale: «Se non desideri cambiare argomento, sei libera di
lasciare la tavola, Glenda». Cosa che Glenda effettivamente aveva fatto insieme a
Charlotte, che aveva dichiarato di non avere più fame.
«Tutto a posto?» Mr George, che mi sedeva di fronte (più precisamente in diagonale,
perché il mio abito era così voluminoso da occupare metà dell’abitacolo) e fino a quel
momento mi aveva lasciato immersa nei miei pensieri, mi sorrise. «I l dottor White ti ha
dato qualcosa contro l’ansia da palcoscenico?» Scrollai la testa. «No» risposi. «Avevo
troppa paura di vedere doppio nel XVI I I secolo.» O anche peggio, ma preferii tralasciare
la cosa con Mr George. Alla soirée della domenica precedente ero riuscita a restare calma
solo grazie all’aiuto dello speciale punch di Lady Brompton ed era stato quello stesso
punch a spingermi a cantare, di fronte a un pubblico esterrefatto, Memory dal musical
Cats, ben duecento anni prima che Andrew Lloyd Webber componesse il pezzo. Inoltre mi
ero messa a parlare di fronte a tutti con un fantasma, cosa che da sobria non mi sarebbe
mai successa.
Avevo sperato di riuscire a rimanere almeno qualche minuto da sola con il dottor White,
per chiedergli come mai mi avesse aiutato, ma mi aveva visitato alla presenza di Falk de
Villiers, dichiarandomi guarita con grande gioia di tutti. Quando gli avevo fatto
l’occhiolino al momento di salutarlo, il dottor White aveva aggrottato la fronte e mi aveva
chiesto se avessi un bruscolino nell’occhio. A quel ricordo sospirai.
«Non preoccuparti» disse Mr George pieno di compassione. «Non ci vorrà molto e poi
tornerai qui. Sarà tutto finito prima dell’ora di cena.» «Sì , ma fino a quel momento potrei
sbagliare un sacco di cose, se non addirittura scatenare una crisi mondiale. Provi a
chiedere a Giordano.
Un sorriso sbagliato, una riverenza sbagliata, una comunicazione sbagliata, e puff! il XVI I
I secolo finisce in cenere.» Mr George rise. «Che dici? Giordano è solo invidioso. Sarebbe
pronto a uccidere per un viaggio nel tempo!» Accarezzai la morbida seta della mia gonna e
tracciai le linee ricamate con la punta delle dita. «Sinceramente, continuo a non capire
perché questo ballo sia tanto importante. E che cosa vada a farci lì io.» «Vuoi dire, oltre a
ballare e divertirti e godere del privilegio di poter vedere con i tuoi occhi la celebre
duchessa del Devonshire?» Vedendo che io non sorridevo, Mr George tornò subito serio,
prese un fazzoletto dal taschino della giacca e si tamponò la fronte. «Ah, ragazza mia!
Questa giornata è di cruciale importanza perché proprio durante questo ballo si
scoprirà chi è la spia tra le file dei Guardiani, colui che ha dato informazioni
all’Alleanza fiorentina. Per mezzo della vostra presenza il conte spera di smascherare sia
Lord Alastair, sia il traditore.» Aha. Perlomeno era un’informazione un po’ più specifica di
quelle di Anna Karenina.
«Dunque per la precisione siamo specchietti per le allodole.» Aggrottai la fronte. «Ma,
cioè, non dovremmo sapere da tempo se il piano ha funzionato? E chi sia il traditore?
Dopotutto è già successo duecentotrenta anni fa.» «Sì e no» ribatté Mr George. «Per
qualche motivo i resoconti di questi giorni e settimane sono spariti dagli Annali. Inoltre
manca un’intera parte.Viene citato spesso il traditore che fu destituito dalla sua carica,
senza tuttavia che ne venga fatto mai il nome. Quattro settimane più tardi viene indicato
in maniera lapidaria e a margine che nessuno ha offerto l’ultimo omaggio al traditore
perché non meritava alcun rispetto.» Mi venne di nuovo la pelle d’oca. «Quattro settimane
dopo l’espulsione dalla loggia il traditore era morto? Che... hmmm... celerità.» Mr George
non mi ascoltava più. Bussò al finestrino dell’autista. «T emo che il cancello sia troppo
stretto per la limousine. Per favore, provi a passare dal cortile di lato.» Mi sorrise. «Siamo
arrivati! A proposito, sei davvero incantevole, volevo dirtelo fin da prima. Sembri uscita
da un antico dipinto.» La vettura si fermò proprio davanti alla scala d’ingresso.
«Ma molto, molto più bella» concluse Mr George.
«Grazie.» L’imbarazzo mi impedì di ricordare le raccomandazioni di Madame Rossini –
«Prima sempre la testa, piccina!» – e così commisi l’errore di scendere dall’auto come
facevo sempre, con il risultato di ingarbugliarmi nel vestito. Mi sentivo come l’ape Maia
nella ragnatela di Tecla.
Mentre io imprecavo e Mr George ridacchiava divertito, due mani spuntarono da fuori
pronte ad aiutarmi e io le afferrai entrambe, non potendo fare altro, lasciando che mi
tirassero fuori e mi rimettessero in equilibrio.
Una mano apparteneva a Gideon, l’altra a Mr Whitman, e io le lasciai entrambe come se
bruciassero.
«Hmmm, grazie» mormorai mentre mi lisciavo l’abito e cercavo di tranquillizzare il battito
del mio cuore. Poi guardai meglio Gideon e mi venne da ridere. Non potei farne a meno.
Sebbene Madame Rossini non avesse lodato invano la bellezza del tessuto verde mare, la
sontuosa giacca di Gideon gli ricadesse alla perfezione sulle ampie spalle ed egli
offrisse davvero uno spettacolo incantevole fino alle scarpe con la fibbia, la parrucca
bianca rovinava irrimediabilmente il tutto.
«E io che pensavo di essere l’unica ad avere un aspetto ridicolo» dissi.
I suoi occhi scintillarono divertiti. «Se non altro sono riuscito a convincere Giordano a
lasciar perdere la cipria e il neo di bellezza.» Di sicuro era abbastanza pallido anche così .
Per qualche secondo mi persi nella contemplazione delle eleganti linee del suo mento e
delle labbra, poi mi riscossi e gli rivolsi un’occhiata il più possibile torva.
«Gli altri ci aspettano di sotto, sarà meglio sbrigarci prima che cominci a radunarsi una
vera folla» disse Mr Whitman lanciando un’occhiata verso il marciapiede dove due
signore con i cani si erano fermate e guardavano incuriosite verso di noi. Se non volevano
dare nell’occhio, allora forse i Guardiani avrebbero fatto meglio a usare automobili meno
vistose. E naturalmente a evitare di scarrozzare personaggi in costume qua e là.
Gideon mi offrì la mano, ma proprio in quel momento risuonò da dietro un grido
soffocato e io mi voltai. Xemerius era atterrato sul tetto dell’automobile e per un
attimo rimase spiaccicato sulla lamiera.
«Accidenti» tossì . «Non potevate aspettarmi?» Non si era accorto della nostra partenza da
T emple a causa di un gatto, se avevo capito bene.
«Sono dovuto venire fin qui in volo! Volevo assolutamente salutarti.» Si raddrizzò, mi
diede una pacca sulle spalle e io avvertii una specie di abbraccio freddo e umido.
«Allora, grande maestra del sacro ordine del porcellino all’uncinetto, non scordarti di
pestare ben bene i piedi durante il minuetto a tu-sai-chi» mi raccomandò gettando
un’occhiata sprezzante a Gideon. «E stai attenta a quel conte.» La sua voce era carica di
sincera preoccupazione. Dovetti deglutire, ma nello stesso momento lui aggiunse: «Se
dovessi combinare dei guai, allora in futuro dovrai cavartela senza di me. Perché io mi
cercherò un nuovo umano». Sorrise beffardo e svolazzò via verso i cani che un attimo
dopo si liberarono dai guinzagli e fuggirono con la coda tra le zampe.
«Gwendolyn, stai sognando?» Gideon mi offrì
il braccio. «Volevo dire Miss Gray,
naturalmente! Vi prego di seguirmi nel 1782.» «Piantala! Comincerò a recitare quando sarò
lì» dissi sottovoce, in modo che Mr George e Mr Whitman, che ci precedevano, non
potessero sentirmi. «Fino ad allora preferirei mantenere il contatto fisico tra di noi il più
limitato possibile, se non ti dispiace. E poi conosco questo posto: dopo tutto è la mia
scuola.» Quel venerdì pomeriggio sembrava abbandonata. Nell’ingresso incontrammo il
preside Gilles che trascinava dietro di sé un trolley da golf e aveva già sostituito la giacca
e la cravatta con calzoni a quadri e una polo. Non poté fare a meno di salutare con
entusiasmo «il gruppo di attori dilettanti del nostro caro Mr Whitman». Per la precisione
uno alla volta con una stretta di mano. «Come grande sostenitore dell’arte è per me un
piacere mettere a disposizione la mia scuola per le vostre prove, fintanto che il vostro
auditorio non sarà utilizzabile. Che incantevoli costumi!» Quando arrivò davanti a me, si
fermò interdetto. «Però! Questa faccia la conosco. Non sei forse una delle due ragazzacce
del rospo?» Io mi costrinsi a sorridere. «Esatto, preside Gilles» risposi.
«Bene, sono davvero contento che tu abbia trovato un hobby così
bello. Almeno la
smetterai di fare certe sciocche pensate.» Si guardò intorno con espressione gioviale.
«Allora vi auguro un travolgente successo o, come dite voi gente di teatro, applausi
scroscianti...» Di ottimo umore, ci rivolse ancora un cenno di saluto, poi scomparve con il
trolley oltre la porta, diretto verso il suo fine settimana. Lo guardai con una punta
d’invidia.
Per una volta avrei voluto scambiarmi di posto con lui, anche a costo di trasformarmi in
un cinquantenne calvo con i calzoni a quadri.
«La ragazzaccia del rospo?» ripeté Gideon mentre scendevamo nel seminterrato,
guardandomi in tralice.
Io dedicai ogni mia attenzione a sollevare abbastanza le mie gonne fruscianti per evitare di
inciampare. «Io e la mia amica Leslie un paio di anni fa siamo state costrette a mettere
nella minestra di una nostra compagna un rospo investito. I l preside non ce l’ha ancora
perdonato.» «Siete state costrette a mettere un rospo nella minestra di una compagna?»
«Esatto» confermai guardandolo con aria di superiorità. «A volte, per motivi pedagogici è
necessario fare cose che a occhi esterni possono sembrare incomprensibili.» Nell’aula da
disegno dello scantinato, proprio sotto una citazione di Edgar Degas scritta a pennello
sulla parete – UN QUADRO È QUALCOSA CHE
RICHIEDE TANTA SCALTREZZA, MALIZIA E INGANNO QUANTO L’ESECUZIONE
DI UN CRIMINE – c’erano i soliti sospetti riuniti intorno al cronografo: Falk de Villiers,
Mr Marley, il dottor White intento a sistemare strumenti medici e bende su uno dei
banchi. Ero contenta che almeno Giordano fosse rimasto a Temple, dove quasi di sicuro
era ancora sulla scala d’ingresso a boccheggiare agitando le mani.
Mr George mi guardò ammiccando. «Ho appena avuto un’ottima idea» annunciò.
«Se non dovessi più sapere come comportarti, fingi di svenire. All’epoca le donne lo
facevano spesso, a causa dei busti troppo stretti oppure dell’aria viziata o semplicemente
perché era comodo, nessuno può saperlo.» «Lo terrò a mente» dissi, vincendo la tentazione
di mettere subito alla prova il suo consiglio. Purtroppo Gideon doveva avermi letto nel
pensiero, perché mi prese per un braccio e mi sorrise.
Intanto Falk aveva già scoperto il cronografo e quando mi rivolse un cenno mi arresi al
mio destino, inviando tuttavia un’implorazione al cielo affinché Lady Brompton avesse
rivelato il segreto del suo punch speciale alla sua ottima amica, la rispettabile Lady
Pimplebottom.
L’idea che mi ero fatta di un ballo era piuttosto vaga. E nulla per quanto riguardava un
ballo storico. Per questo non era sorprendente che, dopo la visione di zia Maddy e i miei
sogni di quella mattina, mi immaginassi una cosa a metà tra Via col vento e le sontuose
feste di Marie Antoinette, dove la parte bella del sogno era stata che somigliavo in maniera
incredibile a Kirsten Dunst.Ma, prima che potessi mettere alla prova la validità delle mie
idee, ci toccò per prima cosa uscire dallo scantinato. (Di nuovo! Mi auguravo proprio che
i miei polpacci non subissero danni permanenti a forza di salire scale.)
Nonostante le mie critiche, dovevo ammettere che i Guardiani stavolta avevano
organizzato la cosa in grande stile. Falk aveva programmato il cronografo in modo che al
nostro arrivo il ballo al piano di sopra fosse in pieno svolgimento già da ore.
Rimasi quindi molto sollevata dal non dovermi sottoporre a un imbarazzante défilé
davanti ai padroni di casa. In segreto ero molto spaventata all’idea di un cerimoniere che,
battendo sul pavimento con una mazza, annunciasse a voce alta i nostri nomi falsi.
Oppure, ancora peggio, la verità: «Signore e signori!» Bum, bum. «Gideon de Villiers e
Gwendolyn Shepherd, millantatori del XXI secolo. Vi prego di notare che il corsetto e la
crinolina non sono di autentiche stecche di balena, bensì di fibre di carbonio high-tech!
Loro signorie sono entrate in casa dalla cantina!» Questa volta si trattava di una tipologia
di scantinato parecchio buia, così che fui purtroppo costretta a prendere la mano di
Gideon, altrimenti io e il mio vestito non saremmo mai riusciti ad arrivare di sopra sani e
salvi. Soltanto nella parte anteriore del seminterrato, dove alla mia epoca c’era il corridoio
delle aule tecnologiche, comparvero le prime fiaccole fissate al muro che proiettavano
bagliori tremolanti sulle pareti. A quanto pareva lì si trovavano le dispense, idea
ragionevole visto il freddo che faceva. Per pura curiosità gettai un’occhiata in una delle
stanze che si aprivano sul corridoio e rimasi sbigottita. Non avevo mai visto tanto cibo
tutto in una volta! Evidentemente dopo il ballo era previsto una specie di banchetto,
perché sui tavoli e sul pavimento erano distribuiti vassoi, ciotole e botti piene di cibarie
singolari. Molte pietanze erano presentate con notevole estro e ricoperte da una specie di
gelatina trasparente. Riconobbi un sacco di piatti di carne, dall’aroma troppo intenso per
i miei gusti, e poi dolciumi meravigliosi di tutte le forme e le dimensioni e un cigno dorato
dall’aspetto molto verosimile.
«Guarda, anche loro tenevano in fresco il centrotavola» bisbigliai.
Gideon mi trascinò oltre. «Non è un centrotavola! È un cigno vero. All’epoca usava
presentare le pietanze in maniera alquanto originale» mi sussurrò, ma quasi nello stesso
momento trasalì e io, purtroppo devo ammetterlo, lanciai un grido.
Infatti, proprio dietro una torta a diciannove piani con due usignoli (morti) come
coronamento, una figura si staccò dall’ombra e ci venne incontro in silenzio con la spada
sguainata.
Era Rakoczy, il braccio destro del conte, e di sicuro avrebbe potuto guadagnare una
fortuna con un ingresso del genere nella casa stregata di un luna park. Ci salutò con voce
sibilante.
«Seguitemi» ordinò quindi.
Mentre cercavo ancora di riprendermi dallo spavento, Gideon domandò indispettito:
«Non sareste dovuto venire a prenderci già prima?» Rakoczy preferì non rispondere, cosa
che non mi sorprese affatto. Era in tutto e per tutto il genere di persona che non può
ammettere di aver sbagliato.
Senza parlare, sfilò una fiaccola dal suo sostegno, ci rivolse un cenno e scivolò attraverso
un ingresso secondario che conduceva a una scala.
Dall’alto giungevano un suono di violini e un brusio di voci, sempre più forti man mano
che salivamo, e arrivati in cima alla scala Rakoczy ci lasciò con le parole: «Veglierò su di
voi dall’ombra insieme ai miei uomini». Poi scomparve, silenzioso come un leopardo.
«T emo che non sia stato invitato» dissi in tono scherzoso. In realtà avevo la pelle d’oca
all’idea che in ogni angolo buio fosse appostato a spiarci uno degli sgherri di Rakoczy.
«Ma certo che è stato invitato. Però non vuole separarsi dalla sua spada e le armi sono
bandite nella sala da ballo.» Gideon mi esaminò attentamente. «Ti è rimasta attaccata
qualche ragnatela al vestito?» Io lo guardai indignata. «No, ma forse ce l’hai tu attaccata al
cervello» ribattei, poi lo superai e aprii cauta la porta.
Mi ero preoccupata di come saremmo riusciti a entrare inosservati nel foyer, ma quando ci
mescolammo al frastuono e alla confusione degli ospiti mi chiesi perché ci fossimo dati
tanta pena di arrivare in cantina. Probabilmente per pura abitudine. Saremmo potuti
benissimo saltare lì in mezzo: nessuno se ne sarebbe accorto.
La dimora di Lord e Lady Pimplebottom era decisamente sfarzosa, il mio amico James non
aveva esagerato. Stentavo a riconoscere la mia cara vecchia scuola sotto gli arazzi, gli
stucchi, i dipinti e i soffitti decorati con affreschi e lampadari di cristallo. I pavimenti
erano coperti di mosaici e spessi tappeti e, mentre salivamo al primo piano, ebbi
l’impressione che ci fossero più corridoi e scale che alla mia epoca.
C’era gente dappertutto. E molta confusione. Alla nostra epoca la festa sarebbe stata
chiusa per sovraffollamento, oppure i vicini avrebbero denunciato i Pimplebottom per
disturbo della quiete notturna. Ed eravamo solo nel foyer e nei corridoi.
La sala da ballo era un’altra storia ancora. Occupava metà del primo piano e
traboccava di persone. Erano riunite in gruppetti, oppure formavano lunghe file
danzanti. L’aria vibrava delle loro voci e risate, come un alveare, anche se quel paragone
era poco azzeccato, perché il livello di decibel doveva raggiungere di sicuro quello di un
jumbo in decollo a Heathrow. Dopo tutto i quattrocento ospiti dovevano gridare per farsi
sentire e, come se non bastasse, l’orchestra di venti elementi sul podio cercava di
sovrastare il frastuono delle voci. I l tutto era illuminato da una quantità tale di candele da
indurmi a cercare automaticamente intorno a me un estintore.
In breve, paragonato alla soirée cui avevamo partecipato dai Brompton, il ballo era come
una serata al club rispetto alla riunione per il tè da zia Maddy e mio malgrado compresi da
dove veniva l’espressione «ballo sontuoso».
I l nostro arrivo non suscitò particolare interesse, visto che tra l’altro nella sala regnava
un continuo andirivieni. Alcune parrucche bianche si voltarono a guardarci incuriosite e
Gideon mi strinse più forte il braccio. Mi sentii osservata da capo a piedi e provai
l’impellente bisogno di guardarmi ancora una volta allo specchio, per controllare che in
effetti nessuna ragnatela mi fosse rimasta attaccata all’abito.
«Va tutto benissimo» disse Gideon. «Sei perfetta.» Io mi schiarii la gola.
Gideon mi guardò sorridendo. «Pronta?» bisbigliò.
«Quando vuoi» risposi senza riflettere. Mi uscì fuori da solo e per un istante ripensai al
divertimento che avevamo avuto insieme prima che lui mi tradisse in maniera tanto
ignobile. Anche se, a pensarci bene, non era stato poi ’sto gran spasso.
Vidi due ragazze mettersi a parlottare quando passammo davanti a loro, e mi chiesi se il
loro interesse fosse per il mio abito o per l’aspetto irresistibile di Gideon. Cercavo di
mantenere un portamento più eretto possibile. La parrucca era sorprendentemente
salda sul mio capo e accompagnava ogni mio movimento, anche se era pesante almeno
quanto una di quelle brocche d’acqua che le donne africane portano sulla testa. Mentre
attraversavamo la sala, mi guardavo intorno alla ricerca di James. Dopo tutto questo era il
ballo dei suoi genitori e lui doveva esserci per forza. Gideon, che sovrastava la maggior
parte delle persone presenti di una testa buona, aveva individuato in fretta il conte di Saint
Germain.
Abbigliato con inimitabile eleganza, stava chiacchierando su un piccolo balconcino con un
ometto basso e dal vestito sgargiante che mi risultava vagamente familiare.
Senza starci a pensare troppo, mi inchinai in una profonda riverenza, pentendomene
all’istante, quando mi tornò in mente come, in occasione del nostro incontro precedente, il
conte di Saint Germain avesse frantumato il mio cuore in decine di migliaia di schegge con
voce morbida.
«Miei cari ragazzi, siete puntualissimi» disse il conte indicandoci di avvicinarci. A me
rivolse un magnanimo cenno del capo (probabilmente un onore, alla luce del fatto che,
come donna, disponevo di un quoziente intellettivo che arrivava giusto dalla porta del
balcone al primo candeliere). AGideon, invece, riservò un abbraccio affettuoso. «Che ne
pensate, Alcott? Riconoscete qualcuno dei miei tratti nel volto di questo bel giovane?»
L’uomo vestito come un pappagallo scosse la testa sorridendo. I l suo viso lungo e affilato
non era solo incipriato, bensì somigliava a un clown con il rosso sulle guance. «Direi che
trovo una certa somiglianza nel portamento.» «In effetti, come si potrebbe paragonare un
volto così giovane con il mio tanto vecchio?» I l conte increspò le labbra in un sorriso
autoironico. «Gli anni si sono accaniti sui miei lineamenti e a volte quando mi guardo allo
specchio stento a riconoscermi.» Finse di farsi aria con un fazzoletto.
«Ma lasciate che faccia le presentazioni: il nobile Albert Alcott, attualmente primo
segretario della loggia.» «Ci siamo già incontrati in occasione di diverse visite a Temple»
rispose Gideon con un lieve inchino.
«Ah, già, è vero.» I l conte sorrise.
Ecco perché il pappagallo mi risultava familiare. Ci aveva accolto in occasione del
nostro primo
incontro con
il conte e aveva chiamato
la carrozza a casa di Lord
Brompton.
«Purtroppo vi siete persi l’ingresso della coppia ducale» disse. «L’acconciatura di sua
altezza ha suscitato molta invidia. T emo che domani i parrucchieri londinesi verranno
sommersi di clienti.» «Davvero una bella donna, la duchessa! Peccato che si senta in
diritto di immischiarsi in affari maschili e politica. Alcott, sarebbe possibile portare
qualcosa da bere ai nuovi arrivati?» Come accadeva spesso, il conte aveva parlato a voce
bassa e morbida, ma nonostante il frastuono che ci circondava
le sue parole erano
risultate chiarissime. Provai un brivido di freddo, ma di sicuro doveva dipendere dall’aria
notturna che soffiava dalla porta del balcone aperta.
«Naturalmente!» I l primo segretario aveva lo stesso zelo servizievole di Mr Marley. «Vino
bianco? Torno subito.» Mannaggia. Niente punch.
I l conte aspettò che Alcott si fosse allontanato nella sala da ballo, poi infilò la mano nella
tasca della giacca ed estrasse come per magia una lettera sigillata che consegnò a Gideon.
«È indirizzata al tuo Gran Maestro. Contiene i particolari relativi al nostro prossimo
incontro.» Gideon intascò la lettera e in cambio porse al conte a sua volta una busta
sigillata. «Qui si trova un resoconto dettagliato degli avvenimenti degli ultimi giorni. Vi
farà piacere sapere che il sangue di Elaine Burghley e Lady Tilney è stato inserito nel
cronografo.» Io trasalii. Lady Tilney? Come ci era riuscito? Durante il nostro ultimo
incontro non mi aveva fatto l’impressione di voler offrire volontariamente il proprio
sangue. Di nascosto lanciai un’occhiata diffidente a Gideon. Non le aveva mica tolto il
sangue con la forza? Me la immaginai che lo tempestava disperatamente di porcellini
all’uncinetto.
I l conte gli diede una pacca sulla spalla. «Ora mancano solo zaffiro e tormalina nera.» Si
appoggiò al bastone, ma nel suo gesto non c’era alcun segno di debolezza. Al contrario,
dava un’impressione di incredibile forza. «Oh, se lui sapesse quanto siamo vicini a
cambiare il mondo!» Inclinò la testa verso la sala, in fondo alla quale riconobbi Lord
Alastair dell’Alleanza fiorentina, tutto ingioiellato come l’ultima volta. Le pietre dei suoi
numerosi anelli scintillavano fino a noi. Lo stesso si poteva dire del suo sguardo, gelido e
pieno d’odio, anche da quella distanza. Alle sue spalle incubeggiava minacciosa la figura
vestita di nero, ma questa volta non commisi l’errore di confonderlo con un ospite. Si
trattava di un fantasma che apparteneva a Lord Alastair come il piccolo Robert al dottor
White. Quando si accorse di me, aprì la bocca e io fui contenta di non poter udire le sue
imprecazioni. Era già abbastanza che venisse a tormentarmi nei miei incubi.
«Eccolo là, che sogna di trafiggerci con la sua spada» disse il conte in un tono quasi
soddisfatto. «Sono giorni che non pensa ad altro. È persino riuscito a portare di nascosto
la sua spada in questa sala.» Si massaggiò il mento. «Per questo non balla e non si siede,
se ne sta lì impettito come un soldatino di piombo ad aspettare l’occasione giusta.» «E io
invece non ho potuto portare con me la spada» disse Gideon contrariato.
«Non devi preoccuparti, ragazzo, Rakoczy e i suoi uomini non perderanno mai di
vista Alastair. Per stasera lasceremo lo spargimento di sangue al nostro coraggioso
curuzzo.» T ornai a guardare Lord Alastair e il fantasma vestito di nero alle sue spalle, che
ora agitava la spada verso di me con fare omicida. «Ma non vorrà certo... davanti a tutti
gli ospiti... voglio dire, anche nel XVI I I secolo non era possibile farla franca tanto
facilmente, no?» Deglutii. «Lord Alastair non rischierebbe di finire sul patibolo per causa
nostra, vero?» Le pesanti palpebre si abbassarono sugli occhi scuri del conte per qualche
secondo, come se fosse concentrato a leggere nella mente del suo avversario.
«No, è troppo astuto per farlo» disse lentamente. «Ma sa anche che non avrà tante
occasioni di avere voi due insieme a portata della sua lama.
Non se la lascerà sfuggire. Siccome ho informato l’uomo che ritengo il traditore tra le
nostre file – e lui soltanto! – dell’orario in cui voi due, disarmati e soli, scenderete in
cantina per tornare indietro, staremo a vedere che cosa accadrà...» «Ah» feci. «Ma...» I l
conte alzò una mano. «Non preoccuparti, bambina! I l traditore non sa che Rakoczy e i
suoi uomini lo tengono d’occhio. Alastair immagina l’omicidio perfetto: dopo il fatto, i
corpi svaniscono nel nulla con grande comodità.» Scoppiò a ridere. «Con me naturalmente
non funzionerebbe, per questo ha progettato una morte diversa.» Fantastico.
Prima che avessi tempo di digerire la notizia, che in pratica eravamo selvaggina pronta a
essere cacciata, cosa che comunque non modificò in generale né in particolare il mio
atteggiamento verso questo ballo, lo sgargiante primo segretario – di cui avevo già
dimenticato il nome – tornò con due bicchieri di vino bianco. Alle sue spalle avanzava una
vecchia conoscenza: il grasso Lord Brompton. Manifestò grande gioia nel rivederci e mi
baciò la mano più a lungo di quanto fosse lecito.
«Ah, la serata è salva» esclamò. «Sono davvero contento! Lady Brompton e Lady Lavinia
vi hanno già visti, ma sono state trattenute a ballare.» Rise facendo ondeggiare il pancione
prominente. «Mi è stato chiesto di invitarvi a ballare.» «Ottima idea» commentò il conte. «I
giovani dovrebbero ballare! Ai miei tempi non perdevo neppure un’occasione per farlo.»
Era giunto il momento. Adesso veniva la faccenda dei due piedi sinistri e il problema
del «dov’è la destra?» che Giordano aveva definito un’«eclatante mancanza di senso
dell’orientamento». Stavo già per trangugiare di un fiato il mio vino, ma Gideon mi tolse il
bicchiere di mano e lo porse al primo segretario.
Sulla pista da ballo ci si stava preparando a un minuetto. Lady Brompton ci rivolse un
entusiastico cenno di saluto, Lord Brompton scomparve tra la folla e Gideon mi sistemò
giusto in tempo prima che cominciasse la musica nella fila delle dame, per la precisione tra
un abito dorato e uno verde ricamato. Quello verde apparteneva a Lady Lavinia, come
constatai gettando un’occhiata di sottecchi. Era bella proprio come la ricordavo e il suo
abito concedeva una generosa panoramica sul décolleté anche in quell’epoca dalla moda
decisamente permissiva. Al suo posto non mi sarei azzardata a chinarmi in avanti. Ma
Lady Lavinia non appariva affatto preoccupata dalla cosa.
«Che meraviglia rivedervi!» Sorrise raggiante in giro e in particolare a Gideon, e subito
dopo si profuse in una profonda riverenza. Io la imitai.
Non mi sentivo più le gambe per il panico.
Avevo la mente affollata da tantissime istruzioni ed evitai per un pelo di borbottare: «La
sinistra è dove il pollice è a destra», ma poi Gideon mivenne incontro per il tour de main e
miracolosamente le mie gambe ritrovarono il ritmo da sole.
Le note festose dell’orchestra riempivano la sala fino all’ultimo angolo e le voci intorno a
noi si affievolirono.
Gideon si posò la mano sinistra sul fianco e mi porse la destra. «Eccezionale questo
minuetto di Haydn» osservò in tono affabile. «Lo sapevi che il compositore è stato a un
passo dall’entrare nei Guardiani? Accadrà tra dieci anni, durante uno dei suoi viaggi in
Inghilterra. All’epoca valutò di stabilirsi per sempre qui a Londra.» «Ma non mi dire.» Gli
ballavo davanti, con la testa un po’ inclinata di lato per non perderlo di vista. «E io che
finora lo avevo sempre considerato un torturatore di bambini.» Almeno aveva torturato la
mia infanzia, perché all’epoca Charlotte si esercitava al pianoforte con la stessa caparbietà
che ora dimostrava nel cercare il cronografo.
Ma non ebbi tempo di spiegare tutto questo a Gideon, perché nel frattempo eravamo
passati da una figura a quattro a un cerchio più ampio e io dovevo concentrarmi per
procedere sulla destra.
Non sapevo per quale motivo, ma tutt’a un tratto la cosa cominciò a divertirmi. Le candele
gettavano una luce meravigliosa sulle sontuose mise da sera, la musica non sembrava più
noiosa e polverosa, bensì perfetta per l’occasione e i ballerini volteggiavano aggraziati
davanti, dietro e intorno a me. Persino le parrucche non parevano più tanto ridicole e
per un istante mi sentii leggera e libera. Quando il cerchio si spezzò, ondeggiai verso
Gideon, come se non avessi fatto altro in vita mia e lui mi guardò come se fossimo da soli
nella sala.
Nel mio inspiegabile stato di grazia non potei fare a meno di sorridergli raggiante, senza
riguardo per le raccomandazioni di Giordano che nel XVI I I secolo non bisognava mai
mostrare i denti. Per qualche motivo il mio sorriso sembrò turbare profondamente Gideon.
Mi prese la mano che gli avevo offerto, ma invece di posare lievemente le dita sotto le mie
me le strinse saldamente.
«Gwendolyn, non permetterò più a nessuno di...» Non avrei mai saputo che cosa non
avrebbe mai più permesso di fare a chi, perché in quel momento Lady Lavinia lo prese per
mano, spostò la mia in quella del suo compagno di ballo e disse ridendo: «Facciamo uno
scambio, d’accordo?» No, da parte mia non c’era proprio nessun accordo e anche Gideon
ebbe un momento di esitazione. Ma poi si inchinò davanti a Lady Lavinia e mi lasciò alla
sua sinistra come la piccola e insignificante sorellina a rimorchio (quale in fondo ero). I l
mio buon umore scomparve di botto.
«Vi ho notato già da lontano» disse il mio nuovo compagno di ballo quando mi alzai dalla
riverenza e gli porsi la mano. L’avrei lasciata subito, se avessi potuto, perché aveva le dita
umide e appiccicose. «I l mio amico, Mr Merchant, ha avuto già il piacere di conoscervi in
occasione della soirée da Lady Brompton. Questa sera voleva presentarci. Ma posso
benissimo farlo da solo. Sono Lord Fleet. Quel Lord Fleet.» Gli sorrisi cortese. Un amico
del palpatette Mr Merchant, dunque. La sequenza di passi successiva ci separò, e io sperai
che quel Lord Fleet ne approfittasse per asciugarsi le mani sui pantaloni, mentre mi
guardavo in giro disperatamente alla ricerca di Gideon. Lui tuttavia sembrava perso nella
contemplazione di Lady Lavinia. Anche l’uomo accanto a lui aveva occhi soltanto per lei,
per la precisione per il suo décolleté, e dedicava solo occhiate distratte alla sua compagna
di ballo. E l’uomo vicino pure... Oddio! Era James! I l mio James. Finalmente lo avevo
trovato! Stava ballando con una ragazza dall’abito color prugna e sembrava vitale come lo
si può essere con una parrucca bianca e il viso incipriato.
Invece di porgere di nuovo la mano a Lord Fleet, superai ballando Lady Lavinia e Gideon
diretta verso James. «Per
favore, scorrete di un posto» dissi con tutta l’educazione
possibile, senza badare alle proteste. Ancora due passi e mi ritrovai davanti a James.
«Scusatemi, scorrete di un posto soltanto, per favore.» Diedi una spintarella alla ragazza
con l’abito color prugna, spostandola tra le braccia del ballerino accanto, poi porsi la mano
allo sbigottito James e cercai trafelata di ritrovare il ritmo. Un’occhiata verso sinistra mi
confermò che gli altri si stavano rimettendo in ordine e ricominciavano a ballare come se
niente fosse. Preferii non guardare verso Gideon, concentrandomi invece su James.
Incredibile pensare di stringergli la mano e di sentirla calda e viva!
«Avete scombussolato tutta la fila» mi rimproverò aspro, sottoponendomi a un severo
esame da capo a piedi. «E avete scostato da me Miss Amelia con grande maleducazione.»
Sì , era proprio lui! Lo stesso tono arrogante di sempre. Lo guardai raggiante. «Sono
terribilmente spiacente, James, ma devo parlarti... ecco, devo parlare con voi di una
questione di estrema importanza.» «A quanto ne so non siamo stati ancora presentati»
obiettò James arricciando il naso, mentre spostava con grazia un piede davanti all’altro.
«Sono Penelope Gray e vengo da... dalla campagna. Ma questo è irrilevante. Ho
informazioni preziosissime per voi e per questo dobbiamo subito vederci da soli. Se avete
cara la vita» aggiunsi per aumentare l’effetto drammatico delle mie parole.
«Ma che cosa vi salta in mente?» James mi guardava allibito. «Che veniate dalla campagna
o no, il vostro comportamento è intollerabile...» «Sì , certo.» Con la coda dell’occhio colsi
un nuovo scompiglio nella fila, questa volta dalla parte degli uomini. Qualcosa verde mare
si avvicinò a passo di danza. «Comunque è importante che mi ascoltiate. Riguarda
la... riguarda... il vostro cavallo, Hector, il, hmmm, leardo. Dovete assolutamente
venire domani mattina alle undici a Hyde Park. Vi aspetto al ponte che attraversa il lago.»
Potevo solo sperare che il lago e il ponte esistessero già nel XVI I I secolo.
«Dovrei incontrarmi con voi? A Hyde Park? Per via di Hector?» James inarcò le
sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli.
Io assentii.
«Chiedo scusa» disse Gideon con un piccolo inchino, spostando delicatamente James da
parte. «Si è creata un po’ di confusione.» «Potete ben dirlo!» James rivolse le proprie
attenzioni a Miss Prugna scrollando la testa, mentre Gideon mi prendeva per mano e mi
guidava senza troppa grazia nella figura successiva. «Sei impazzita? Che cos’è questa
storia adesso?» «Ho solo incontrato un vecchio amico.» Mi voltai ancora una volta verso
James. Chissà se aveva creduto alle mie parole. Probabilmente no.
Continuava a scuotere il capo.
«Hai deciso di farti notare a tutti i costi?» sibilò Gideon. «Perché non sei capace di fare
quello che ti viene detto per tre ore?» «Già, che domanda sciocca: certo, visto che sono una
donna e non so ragionare. Inoltre sei stato tu a cambiarti di posto per primo per ballare
con Lady-il-seno-mi-esce-dalla-scollatura.» «Che cosa c’entra, l’ho fatto solo perché lei...
ah, smettila!» «Smettila tu!» Ci guardammo in cagnesco, mentre risuonava l’ultima nota di
violino. Finalmente! Era stato di sicuro il più lungo minuetto della storia! Con sollievo feci
la riverenza e mi voltai per andarmene prima che Gideon potesse prendermi (anzi,
piuttosto afferrarmi)
la mano. Ero irritata con me stessa per
improvvisata con James: mi sembrava assai
la conversazione
improbabile che venisse al nostro
appuntamento al parco. Dovevo provare a parlare di nuovo con lui cercando questa volta
di dirgli la verità.
Ma dov’era? Tutte quelle parrucche bianche sembravano uguali. Le file dei ballerini si
erano distribuite a zig-zag per l’enorme sala e adesso ci trovavamo in un punto diverso.
Allungai la testa sopra il mare di teste sforzandomi di ritrovare l’orientamento. Proprio
quando credevo di aver scorto un lembo della giacca di velluto rosso di James, Gideon mi
prese per un gomito.
«Da questa parte!» disse brusco.
Ero davvero stufa del suo tono autoritario! Comunque non ebbi bisogno di scrollarmelo di
dosso, perché ci pensò al posto mio Lady Lavinia, che si frappose tra noi in una nuvola di
profumo di mughetto.«Mi avevate promesso ancora un ballo» annunciò imbronciata, poi
sorrise e sulle sue guance comparvero come per magia due incantevoli fossette.
Alle sue spalle Lord Brompton si fece largo ansimando tra la folla. «Bene! Basta balli per
questa stagione» dichiarò. «Sto diventando troppo gra... vecchio per questi passatempi. A
proposito di passatempi: qualcuno oltre me ha visto la mia cara consorte in compagnia di
quel baldanzoso contrammiraglio che di recente sostiene di aver perso un braccio in
battaglia? Ebbene, tutte fandonie! Mi sono accorto benissimo che erano due le braccia con
cui l’ha afferrata.» Scoppiò a ridere e i suoi numerosi doppi menti ne furono
pericolosamente sconquassati.
L’orchestra riattaccò a suonare e subito si formarono nuove file. «Vi prego! Non vorrete
dirmi di no» disse Lady Lavinia avvinghiandosi al risvolto della giacca di Gideon e
lanciandogli un’occhiata supplice. «Solo questo ballo.» «Avevo appena promesso a mia
sorella di portarle qualcosa da bere» obiettò Gideon con un’occhiata torva verso di
me. Ma certo, era infastidito perché io gli impedivo di flirtare. «E il conte là dietro aspetta
la nostra compagnia.» Nel frattempo il conte aveva lasciato il suo posto sul balcone, ma
non per andarsi a sedere e riposare un poco. Con i suoi occhi d’aquila scrutava verso di
noi, e sembrava capire ogni parola.
«Per me sarebbe un onore portare qualcosa da bere alla vostra incantevole sorella» si
intromise Lord Brompton ammiccando verso di me.
«Con me è in ottime mani.» «Vedete!» Lady Lavinia ritrascinò Gideon sulla pista da ballo.
«Torno subito» mi assicurò mentre veniva portato via.
«Non c’è fretta» borbottai.
Lord Brompton mise in moto la sua ciccia. «Conosco un ottimo posticino» mi disse
ammiccando di nuovo. «Viene chiamato anche l’angolo delle vecchie zitelle, ma la cosa
non deve turbarci. Le allontaneremo raccontando loro storie sconce.» Salimmo alcuni
gradini fino a una piccola balconata con un divano che offriva un’ottima vista sulla sala
grazie alla posizione sopraelevata. In effetti vi trovammo sedute due dame non troppo
giovani né troppo attraenti che si raccolsero subito le gonne per farmi posto.
Lord Brompton si strofinò le mani. «Accogliente, vero? T ornerò con il conte e qualcosa
da bere. Farò in un baleno!» Si allontanò lesto con passo da ippopotamo al galoppo,
facendosi
largo nel mare di velluti, sete e broccati. Approfittai della mia posizione
panoramica per cercare James. Purtroppo non lo trovai da nessuna parte. Invece vidi Lady
Lavinia e Gideon ballare molto vicini e il loro affiatamento mi fece provare una fitta di
gelosia. Persino il colore dei loro abiti era abbinato, quasi Madame Rossini li avesse scelti
personalmente. Tutte le volte che le loro mani si toccavano, sembrava che tra di loro
scoccassero scintille elettriche ed era evidente che chiacchieravano con grande armonia. Mi
sembrava di sentire fin lassù la risata argentina di Lady Lavinia.
Le due vecchie zitelle accanto a me sospirarono malinconiche. Mi alzai di scatto. Non era
proprio il caso di sopportare tutto questo. E poi non era forse la giacca rossa di James
quella appena scomparsa oltre una delle uscite? Decisi di seguirlo. Questa dopo tutto era
casa sua e inoltre era la mia scuola, e sarei riuscita di sicuro a scovarlo. Poi avrei cercato di
rimediare alla faccenda con Hector.
Mentre uscivo dalla sala, gettai ancora un’occhiata circospetta a Lord Alastair, che era
sempre immobile nello stesso punto di prima e non staccava gli occhi dal conte. I l suo
amico spettrale agitava la spada con aria omicida, pronunciando senza dubbio parole
cariche d’odio. Nessuno di loro fece caso a me. Invece Gideon sembrò accorgersi della mia
fuga. Nella fila dei ballerini si creò un certo scompiglio.
Accidenti! Mi voltai e mi affrettai a uscire. Nei corridoi l’illuminazione era piuttosto
fioca, ma la folla continuava a essere fitta. Avevo l’impressione che non poche
coppiette stessero cercando un posticino tranquillo dove appartarsi e proprio di fronte alla
sala da ballo c’era una specie di sala da gioco dove si erano ritirati alcuni signori. Dalla
porta socchiusa usciva fumo di sigaro. In fondo al corridoio mi parve di vedere la giacca di
James voltare l’angolo e la rincorsi, con la velocità che il mio abito mi consentiva. Quando
raggiunsi il corridoio successivo, era sparito, il che significava che doveva essere entrato in
una delle camere. Aprii la porta più vicina e la richiusi quando la lama di luce rischiarò
una chaiselongue e un uomo (non James!) inginocchiato lì davanti intento a sfilare la
giarrettiera di una dama. Certo, sempre ammesso che in un tale contesto si potesse
ancora parlare di dama. Sorrisi tra me, mentre mi dirigevo verso la porta successiva. In
fondo gli ospiti di quella festa non erano poi troppo diversi da quelli dei nostri tempi.
Alle mie spalle udii un brusio. «Ma dove correte? Possibile che non possiate lasciare vostra
sorella da sola neppure per cinque minuti?» Era inconfondibilmente Lady Lavinia!
Mi infilai di slancio nella stanza vicina e mi appoggiai dall’interno alla porta per
riprendere fiato.Più volte muoiono i vili prima di morir veramente, il forte la morte
conosce una sola volta.
Di tutti i prodigi che ho udito raccontare il più strano mi sembra che gli uomini abbiano
paura dato che la morte, necessaria fine, verrà quando verrà.
(William Shakespeare, Giulio Cesare, atto I I , scena 2)9
Non era buio come mi aspettavo. L’ambiente era illuminato da alcune candele che
mostravano una libreria e una scrivania. Dovevo essere finita in una specie di studio.
E non ero sola.
Sulla sedia dietro la scrivania c’era Rakoczy, davanti a lui un bicchiere e due bottiglie.
L’una conteneva un liquido rosso brillante che sembrava vino, l’altra una fiala panciuta,
riempita da un contenuto sospetto di colore grigiastro. La spada del barone era posata di
traverso sulla scrivania.
«Che rapidità» disse Rakoczy e la sua voce dal forte accento dell’Europa dell’est sembrava
impastata. «Avevo appena espresso il desiderio di incontrare un angelo, e subito i
cancelli del cielo si aprono per mandarmi l’angelo più incantevole che il paradiso
abbia da offrire. Questa fantastica medicina supera di gran lunga tutto ciò che io ho mai
provato.» «Voi non dovevate... hmmm... vegliare su di noi dall’ombra?» mi informai,
valutando se non fosse il caso di uscire subito dalla stanza, anche a costo di finire tra le
braccia di Gideon. Rakoczy non mi convinceva neppure da sobrio.
Le mie parole tuttavia sembrarono riportarlo un po’ in sé. Aggrottò la fronte. «Ah, siete
voi!» biascicò, ma un po’ meno confuso. «Non siete un angelo, solo una stupida
ragazzina.» Con un unico, agile movimento, quasi più rapido di un battito di ciglia, aveva
afferrato la fiala dalla scrivania e mi veniva incontro. Dio solo sapeva che cosa aveva
trangugiato, ma le sue capacità motorie non sembravano affatto intralciate. «In ogni caso,
una stupida ragazzina molto bella.» Ora mi stava così vicino che potevo sentirne il
respiro. Sapeva di vino e qualcos’altro, qualcosa di aspro e singolare. Con la mano
libera mi accarezzò la guancia, poi mi fece scorrere il pollice ruvido sul labbro inferiore. Io
ero paralizzata dallo shock.
«Scommetto che queste labbra non hanno ancora fatto niente di proibito, vero? Un sorso
della miracolosa bevanda di Alcott cambierà tutto.» «No, grazie.» Mi tuffai sotto le sue
braccia per sfuggirgli e barcollai all’interno della stanza. No, grazie. Fantastico! Ci
mancava solo che gli facessi pure una riverenza! «State lontano da me con quella fialetta!»
riprovai un po’ più decisa. Prima che riuscissi a fare un altro passo – mi era venuta una
vaga idea di saltare dalla finestra – Rakoczy era di nuovo accanto a me e mi spingeva
verso la scrivania. Era molto più forte e resistergli non serviva a niente. «Shhh, non avere
paura, piccolina, ti prometto che ti piacerà.» Stappò la boccetta con un tonfo sordo e mi
piegò con forza la testa all’indietro. «Bevi!» Strinsi le labbra cercando di allontanarlo da me
con la mano libera. Era come cercare di spostare una montagna. In preda alla
disperazione, cercai di
rammentare quel poco che sapevo sull’autodifesa;
in questo
frangente le conoscenze di krav maga di Charlotte mi sarebbero state sicuramente utili.
Mentre la boccetta mi sfiorava le labbra e l’acre odore del liquido mi saliva nel naso,
finalmente mi venne un’idea. Mi sfilai uno spillone dalla parrucca e lo conficcai con tutta
la forza nella mano che reggeva la fiala. Proprio in quell’istante la porta si spalancò e udii
Gideon gridare: «Lasciatela subito, Rakoczy!» Con il senno di poi mi resi conto che sarebbe
stato molto più saggio conficcare lo spillone nell’occhio o quanto meno nel collo di
Rakoczy; la puntura alla mano lo distrasse giusto per un paio di secondi. Sebbene avesse
lo spillone conficcato nella carne, non fece neppure cadere la boccetta. Però allentò la sua
micidiale presa e si voltò. Gideon, che era sulla soglia insieme a Lady Lavinia, lo guardava
raccapricciato.
«Che cosa diavolo state facendo?» «Niente di che. Volevo solo aiutare questa ragazzina a
provare... emozioni più grandi!» Rakoczy gettò la testa all’indietro e scoppiò in una rauca
risata. «Forse ne volete provare voi un sorso? Vi assicuro, verrete invaso da sensazioni
sconosciute!» Approfittai di quel momento per liberarmi da lui.
«Tutto
a posto?» Gideon mi esaminò
preoccupato, mentre Lady Lavinia si
aggrappava impaurita al suo braccio. Era inconcepibile!
Probabilmente stavano cercando una stanza dove potersi appartare in santa pace, mentre
Rakoczy voleva farmi bere chissà quale droga per poi farmi chissà che cosa. Adesso
dovevo persino essere grata a Gideon e Lady Wonderbra per aver scelto proprio quella
stanza.
«Tutto a meraviglia!» ringhiai incrociando le braccia sul petto, in modo che nessuno
vedesse quanto mi tremavano le mani.
Rakoczy continuava a ridere, poi bevve una lunga sorsata dalla boccetta e la richiuse
energicamente.
«I l conte è al corrente che, invece di compiere il vostro dovere, ve la spassate
sperimentando droghe in questo luogo appartato?» domandò Gideon con voce glaciale.
«Non vi erano stati assegnati altri incarichi per la serata?» Rakoczy barcollò leggermente.
Fissò lo spillone conficcato nella sua mano con espressione stupita, quasi se ne
accorgesse solo in quel momento, poi lo strappò bruscamente e si leccò il sangue come
un felino. «I l leopardo nero è all’altezza di ogni incarico, sempre!» dichiarò, poi si prese la
testa, barcollò intorno alla scrivania e si buttò sulla sedia. «Tuttavia questo intruglio è
davvero...» riuscì ancora a borbottare, poi la testa gli cadde in avanti e andò a sbattere
violentemente contro il piano della scrivania.
Lady Lavinia si sporse tremante oltre la spalla di Gideon. «È...?» «Spero di no.» Gideon si
avvicinò alla scrivania, alzò la boccetta e la tenne contro la luce. Poi la stappò per
annusarne il contenuto. «Non ho idea di che cosa sia, ma se ha potuto tramortire anche
Rakoczy tanto in fretta...» Posò di nuovo la fiala. «Deve essere oppio. Evidentemente non
si è sposato troppo bene con le sue droghe abituali e l’alcol.» Già, doveva essere così .
Rakoczy sembrava morto, non si sentiva neppure il suo respiro.
«Forse gli è stata data da qualcuno che non voleva che stasera fosse lucido» suggerii
sempre a braccia conserte. «Si sente il battito?» Avrei controllato io stessa, ma non ce la
facevo proprio ad avvicinarmi più di così a Rakoczy. Faticavo già a restare in piedi, scossa
come ero dai brividi di paura.
«Gwen? Sei sicura di stare bene?» Gideon mi guardò con la fronte aggrottata. Mi scocciava
ammetterlo, ma in quel momento mi sarei gettata molto volentieri tra le sue braccia per
farmi un piantarello. Ma lui non sembrava ardere dal desiderio di abbracciarmi e di
consolarmi, al contrario.
Quando annuii debolmente, mi investì : «Si può sapere che cosa eri venuta a cercare qui?»
indicò poi
la sagoma
immobile di Rakoczy. «Hai rischiato di finire nelle stesse
condizioni!» Intanto avevano cominciato a battermi anche i denti, così non ero in
grado di parlare. «Io non sapevo che...» balbettai, ma Lavinia, che continuava a
tenersi aggrappata a Gideon come una grossa piattola verdissima, mi interruppe. Si capiva
chiaramente che era una di quelle donne che non sopportano quando non sono al centro
dell’attenzione.
«La morte» bisbigliò in tono tragico, alzando gli occhioni sgranati verso Gideon. «Ho
avvertito il suo respiro quando è entrata nella stanza. Per favore...» sbatté le palpebre
«reggetemi...» Allibita, la vidi svenire! Senza nessun motivo. E naturalmente con
grande eleganza tra le braccia di Gideon. Per qualche motivo mi irritò tantissimo che
lui la sostenesse, a tal punto che mi scordai i brividi e il battere dei denti. Ma nel
contempo, come se quell’alternarsi di sensazioninon fosse stato già abbastanza alternato,
mi sentii salire le lacrime agli occhi. Maledizione, svenire era decisamente l’alternativa
migliore. Solo che, ovviamente, nessuno avrebbe sostenuto me.
In quel momento il defunto Rakoczy disse con una voce che avrebbe potuto benissimo
venire dall’aldilà per quant’era roca e profonda: «Dosis sola venemun facit. Niente paura,
la gramigna non muore mai».
Lavinia (avevo deciso che d’ora in poi per me non sarebbe più stata una Lady) lanciò un
breve grido spaventato e aprì gli occhi per fissare Rakoczy. Poi però si ricordò che in
realtà era svenuta e con un gemito a effetto stramazzò di nuovo tra le braccia di Gideon.
«Passerà subito. Non c’è motivo di allarmarsi.» Rakoczy aveva sollevato la testa e ci
guardava con gli occhi iniettati di sangue. «Colpa mia! Lui dice che va dosato a gocce.»
«Lui chi?» domandò Gideon, tenendo Lavinia in equilibrio tra le braccia come se fosse un
manichino.
Rakoczy si sollevò a sedere con una certa fatica, reclinò la testa all’indietro e guardò il
soffitto con una risata sguaiata. «Vedete le stelle che danzano?» Gideon sospirò. «Dovrò
andare a chiamare il conte» disse. «Gwen, potresti darmi una mano, magari...?» Io lo
guardai esterrefatta. «Con quella lì? E poi?» raggiunsi la porta in pochi passi e uscii in
corridoio, per non fargli vedere le mie stupide lacrime che mi inondavano il viso come
fontane. Non sapevo né perché piangessi né dove stessi correndo. Di sicuro doveva
trattarsi di una reazione post traumatica, come si legge sempre. Le persone sotto shock
facevano le cose più strane, come quel fornaio dello Y orkshire, il cui braccio era stato
maciullato dall’impastatrice. Aveva preparato ancora
sette
teglie di
chiocciole alla
cannella prima di chiamare l’ambulanza.
Quelle chiocciole erano lo spettacolo più orribile che i paramedici avessero mai visto.
Giunta alla scala, mi fermai. Non volevo scendere di sotto, dove forse Lord Alastair era già
in agguato per compiere il delitto perfetto, quindi salii di sopra. Non arrivai molto
lontano, perché fui raggiunta dalla voce di Gideon che gridava alle mie spalle: «Gwen,
fermati! Ti prego!» Per un attimo immaginai che avesse semplicemente mollato Lavinia
per terra per inseguirmi, ma non servì a niente: ero sempre arrabbiata, oppure triste, o
impaurita, o forse tutte queste cose insieme e continuai a salire i gradini barcollando,
accecata dalle lacrime, per poi avanzare nel corridoio successivo.
«Dove vai?» Gideon mi aveva raggiunto e cercava di prendermi per mano.
«Non importa! Basta che sia lontano da te» singhiozzai infilandomi nella prima stanza a
caso. Gideon mi seguì . Ovvio. Stavo per passarmi la manica dell’abito sul viso per
asciugare le lacrime, ma all’ultimo mi ricordai del trucco che mi aveva applicato
Madame Rossini e mi fermai.
Probabilmente avevo già la faccia tutta impiastricciata. Per non dover guardare Gideon,
girai gli occhi per la stanza. Le candele nei sostegni a muro rischiaravano il grazioso
mobilio nei toni dell’oro, un divano, una delicata scrivania, due sedie, un dipinto che
raffigurava un fagiano morto accanto a qualche pera, una collezione di sciabole dall’aria
esotica appese sopra il camino e sontuosi tendaggi dorati davanti alle finestre. Per qualche
motivo ebbi la sensazione di essere già stata qui.
Gideon si era fermato davanti a me, in attesa.
«Lasciami in pace!» dissi senza troppa convinzione.
«Non posso lasciarti in pace. Tutte le volte che ti lascio da sola, commetti qualche
sciocchezza.» «Vattene!» Mi sarebbe piaciuto gettarmi per un po’ su quel divano e
prendere a pugni i cuscini. Era forse pretendere troppo?
«No, non lo farò» rispose Gideon. «Senti, mi spiace che sia successo. Non avrei dovuto
permetterlo.» Oddio, eccoci di nuovo. Un classico caso di sindrome da iper
responsabilizzazione. Che cosa c’entrava lui con il fatto che avessi casualmente incontrato
Rakoczy che, per usare un’espressione di Xemerius, non aveva tutte le biglie nel sacchetto?
D’altra parte, un po’ di sensi di colpa non gli avrebbero guastato.
«Però lo hai fatto!» dissi pertanto, poi aggiunsi: «Perché avevi occhi solo per lei!» «Allora
sei gelosa.» Gideon ebbe la sfrontatezza di scoppiare a ridere. Sembrava quasi sollevato.
«Ti piacerebbe.» Avevo smesso di piangere e mi strofinai furtivamente una mano sul naso.
«I l conte si chiederà dove siamo finiti» disse Gideon dopo una breve pausa.
«Che ordini allora al suo fratello di sangue transilvano di venire a cercarci, il tuo
conte.» Finalmente mi riuscì di guardarlo negli occhi. «E pensare che non è nemmeno un
vero conte. I l suo titolo è falso come le guance rosate di quella... come si chiamava?»
Gideon rise piano. «Mi sono già scordato il suo nome.» «Bugiardo» replicai, ma
stupidamente non potei fare a meno di sorridere.
Gideon tornò subito serio. «I l conte non c’entra niente con il comportamento di Rakoczy.
Di sicuro lo punirà per questo.» Sospirò. «Non è necessario che provi simpatia per il
conte, devi solo rispettarlo.» Sbuffai incollerita. «Io non devo fare proprio niente» dissi
girandomi di scatto verso la finestra. E lì
vidi... me stessa! Indossavo l’uniforme
scolastica e fissavo la scena con aria inebetita da dietro il tendaggio dorato. Santo cielo!
Ecco perché quella stanza mi era risultata così familiare!
Era l’aula di Mrs Counter e la Gwendolyn dietro la tenda aveva viaggiato nel tempo per la
terza volta. Le feci cenno con la mano di nascondersi di nuovo.
«Che cosa c’è?» domandò Gideon.
«Dove?» domandai con il massimo candore possibile.
«Alla finestra.» Con un gesto automatico si portò la mano al fianco per estrarre la spada,
ma afferrò solo una manciata d’aria.
«Non c’è niente!» Ciò che feci poi doveva essere per forza una conseguenza di quella storia
dello shock post traumatico – ricordo ancora una volta la storia del fornaio e delle
chiocciole insanguinate – perché in circostanze normali non lo avrei mai fatto. Inoltre
credevo di aver visto con la coda dell’occhio qualcosa di verde avvicinarsi alla porta e...
be’, fondamentalmente lo feci soltanto perché sapevo già che lo avrei fatto. In pratica non
avevo altra scelta.
«Potrebbe esserci qualcuno nascosto dietro la tenda a spiarci...» riuscì a dire Gideon,
prima che gli gettassi un braccio al collo e premessi le labbra sulle sue. E già che c’ero mi
strinsi a lui anche con tutto il resto del corpo, nella migliore maniera à la Lavinia.
Per qualche secondo temetti che Gideon mi respingesse, ma poi emise un gemito soffocato,
mi posò le braccia intorno alla vita e mi strinse di più a sé. Ricambiò il bacio con tale
impeto che io dimenticai tutto il resto e chiusi gli occhi. Com’era accaduto prima durante il
minuetto, quello che ci succedeva intorno non aveva più nessuna importanza, né che lui in
fondo fosse uno stronzo; sapevo soltanto che lo amavo e lo avrei amato per sempre e
volevo farmi baciare da lui per l’eternità.
Una voce interiore mi ammonì di ritrovare se possibile un po’ di buon senso, ma le labbra
e le mani di Gideon avevano l’effetto opposto. Per questo non posso dire quanto tempo
fosse passato prima che ci separassimo e ci guardassimo allibiti.
«Perché... lo hai fatto?» domandò Gideon con il fiato corto. Era esterrefatto. Arretrò
barcollando, quasi volesse creare più distanza possibile tra noi.
«Come, perché?» I l cuore mi batteva così veloce e così forte che di sicuro poteva
sentirlo
anche
lui.
Lanciai
un’occhiata
alla
porta.Evidentemente mi ero solo
immaginata il verde che avevo colto con la coda dell’occhio; in realtà si trovava ancora al
piano di sotto riversa sul tappeto e aspettava di essere svegliata da un bacio.
Gideon aveva stretto gli occhi con aria sospettosa. «Tu mi hai...» Si precipitò verso la
finestra e scostò le tende. Ecco un altro atteggiamento tipico: non appena si aveva
un’esperienza... hmmm... piacevole con lui, si impegnava subito al massimo per rovinarla.
«Cerchi qualcosa in particolare?» domandai ironica. Dietro le tende ovviamente non c’era
più nessuno, il mio io più giovane era tornato indietro e si stava chiedendo dove diavolo
avesse imparato a baciare tanto incredibilmente bene.
Gideon si voltò di nuovo. L’espressione sconcertata era scomparsa dal suo viso che aveva
ripreso la consueta smorfia arrogante. Si appoggiò al davanzale della finestra a braccia
conserte. «Mi puoi spiegare che cosa significa, Gwendolyn? Sino a pochi secondi fa mi
detestavi con tutta te stessa.» «Volevo...» cominciai, ma poi ci ripensai. «Che razza di
domanda sarebbe? Neppure tu mi hai ancora spiegato perché mi hai baciato, giusto?»
Usando un tono più sprezzante aggiunsi: «Mi era venuta voglia di farlo. E non era
necessario che tu ricambiassi». In quel caso di sicuro sarei sprofondata sotto terra per la
vergogna.
Gli occhi di Gideon lampeggiarono. «Ti era venuta voglia?» ripeté riavvicinandosi a me.
«Maledizione, Gwendolyn! C’è un motivo ben preciso se... da giorni cerco... ho provato in
continuazione...» Aggrottò la fronte, evidentemente irritato dal proprio confuso balbettio.
«Credi forse che io sia fatto di pietra?» Pronunciò quest’ultima frase a voce piuttosto alta.
Non sapevo come rispondergli. Quasi di sicuro si trattava di una domanda retorica, certo
non credevo che fosse fatto di pietra, ma che diavolo aveva voluto dire? I mozziconi di
frase precedente non avevano certo aiutato a chiarire il concetto. Per un po’ restammo a
guardarci negli occhi, poi lui si voltò e disse con voce del tutto normale: «Dobbiamo
andare, se non arriviamo in cantina al momento giusto, manderemo all’aria tutto il piano».
Ah, già, vero. I l piano. I l piano che ci vedeva nella parte di due vittime di omicidio che si
volatilizzano.
«Se vuoi saperlo, nemmeno dieci cavalli riusciranno a farmi andare di sotto, finché
Rakoczy rimane svenuto nell’altra stanza» affermai decisa.
«Prima di tutto, di sicuro si è già ripreso e, secondo, di sotto ci aspettano almeno cinque
dei suoi uomini.» Mi porse la mano. «Vieni, dobbiamo sbrigarci. E non devi avere paura:
Alastair non potrebbe competere con questi soldati curuzzi neppure se venisse in forze.
Sono in grado di vedere al buio come gatti e li ho visti fare cose che rasentano la magia
con la spada e i pugnali.» Aspettò che la mia mano fosse nella sua, poi sorrise e aggiunse:
«E poi ci sono anch’io».
Prima ancora che potessimo muovere un passo, Lavinia spuntò sulla soglia in compagnia
del variopinto primo segretario. Entrambi erano trafelati.
«Prego, sono qui. Tutti e due» disse Lavinia. Per essersi appena ripresa da uno
svenimento, era piuttosto in forma, anche se non più tanto bella. Sotto lo strato di cipria
chiara si vedevano strisce di pelle arrossata, come se le fosse costato fatica e sudore correre
su e giù per le scale.
Anche sul décolleté c’erano chiazze rossastre.
Fui contenta che Gideon non la degnasse di uno sguardo. «So che siamo in ritardo, sir
Alcott» disse. «Stavamo per scendere di sotto.» «Non... non è necessario» ribatté Alcott
boccheggiando. «C’è stato un cambio di programma.» Non ebbe bisogno di spiegare che
cosa volesse dire, perché alle sue spalle spuntò Lord Alastair, niente affatto trafelato, ma al
contrario con un inquietante sorriso sulle labbra.
«Ci rivediamo» disse. Era tallonato come un’ombra dal suo antenato fantasma con la veste
nera, che non perse tempo a lanciare le sue più ampollose e minacciose invettive: «Gli
infami muoiono di una morte infame!» A causa della sua voce rantolante, lo avevo
battezzato Darth Vader in occasione del nostro precedente incontro e invidiavo tutti quelli
che non erano in grado di vederlo né di sentirlo. I suoi occhi nerissimi e spenti ci trafissero
carichi di odio.
Gideon inclinò la testa di lato. «Lord Alastair, che sorpresa.» «Proprio quello che volevo»
ribatté Lord Alastair con un sorriso di sufficienza. «Era mia intenzione farvi una sorpresa.»
Gideon mi sospinse quasi impercettibilmente nell’angolo, in modo che la scrivania si
trovasse tra noi e i nuovi arrivati, cosa che non mi tranquillizzò molto, visto che si
trattava di un delicato modello rococò. Avrei preferito un robusto tavolaccio di quercia.
«Capisco» rispose Gideon cortese.
Capivo anch’io. L’omicidio era stato evidentemente spostato all’ultimo minuto dalla
cantina a quel grazioso studiolo, perché il primo segretario era il traditore e Lavinia una
serpe. In fondo era molto semplice. Invece di mettermi a tremare per la paura,
all’improvviso fui presa dalla ridarella.
Troppe emozioni per un giorno solo.
«Credevo che aveste leggermente modificato i vostri piani omicidi, da quando siete in
possesso delle linee di discendenza dei viaggiatori nel tempo» disse Gideon.
Lord Alastair fece un gesto spazientito con la mano. «Gli alberi genealogici che ci ha
portato il demone dal futuro hanno dimostrato soltanto che è un’impresa impossibile
cancellare del tutto la vostra linea di discendenza!» disse. «Preferisco il metodo diretto.»
«Già solo i discendenti di questa madame d’Urfé, vissuta alla corte del re di Francia, sono
così numerosi che occorrerebbe più di una vita umana per individuarli tutti» spiegò il
primo segretario. «La vostra eliminazione mi sembra imprescindibile. Se non vi foste
difesi con tanto accanimento di recente a Hyde Park, la cosa sarebbe già stata liquidata...»
«Qual è la vostra ricompensa, Alcott?» domandò Gideon come se gli interessasse per
davvero. «Che cosa vi ha offerto Lord Alastair per convincervi a infrangere il giuramento
dei Guardiani e a commettere questo tradimento?» «Ecco, io...» cominciò prontamente
Alcott, ma Lord Alastair lo interruppe. «Un’anima pura! Ecco la sua ricompensa! La
certezza che gli angeli del cielo loderanno le sue gesta non è paragonabile a nessuna
quantità d’oro. La terra deve essere liberata dagli aborti demoniaci come voi, e Dio
soltanto ci ringrazierà di aver versato il vostro sangue.» Sì , sì , certo. Per un breve istante
sbocciò in me la speranza che Lord Alastair avesse semplicemente bisogno di qualcuno
che lo ascoltasse.
Forse voleva solo parlare delle sue allucinazioni religiose ed essere confortato. Ma in quel
momento Darth Vader sibilò: «Dovete morire, stirpe demoniaca» e io abbandonai
quell’idea.
«Credete davvero che l’omicidio di una ragazza innocente incontrerà l’approvazione di
Dio? Interessante.» Gideon spostò la mano verso la tasca interna della giacca, poi
sussultò in maniera impercettibile.
«Cercate forse questa?» domandò il primo segretario beffardo. Infilò la mano nella tasca
della giacca giallo limone ed estrasse una piccola pistola nera che sollevò in aria tenendola
con le dita. «Di sicuro un diabolico strumento di morte del futuro, vero?» Guardò verso
Alastair con aria trionfante. «Ho chiesto alla nostra affascinante Lady Lavinia di
perquisirvi e togliervi qualunque arma, viaggiatore nel tempo.» Lavinia rivolse un sorriso
compiaciuto a Gideon e Gideon per un istante sembrò volersi dare uno schiaffo.
Comprensibile. La pistola sarebbe stata la nostra salvezza, contro una Smith & Wesson
automatica nessuna spada poteva competere. Mi augurai che il vile Alcott togliesse per
sbaglio la sicura e si sparasse da solo in un piede. La detonazione si sarebbe sentita forse
fino alla sala da ballo, o magari no.Alcott invece rimise la pistola nella tasca della giacca e
il mio coraggio venne meno.
«Già, siete sorpreso, vero? Ho pensato a tutto. Sapevo che la brava dama ha debiti di
gioco» disse Alcott in tono gioviale. Come tutti i malvagi era a caccia di plauso per le sue
imprese. Mi resi conto che il suo viso affilato somigliava al muso di un topo. «Ingenti
debiti di gioco, che non era più in grado di compensare mostrandosi compiacente con i
suoi creditori.» A questo punto fece una risata viscida. «Mi perdonerete, madame, se non
mi sono mostrato troppo interessato ai vostri servigi. Ma a questo punto i vostri debiti
sono estinti.» Lavinia non sembrava troppo contenta di questo. «Mi rincresce tantissimo,
ma non avevo scelta» disse a Gideon, che tuttavia non sembrava prestarle attenzione.
Stava cercando di calcolare di quanto tempo avrebbe avuto bisogno per raggiungere il
camino e afferrare una delle sciabole fissate al muro prima che Lord Alastair lo trafiggesse
con la spada. Io seguii il suo sguardo e giunsi alla conclusione che non aveva molte chance
di successo, a meno che non mi avesse taciuto il fatto di essere Superman. I l camino era
troppo lontano e inoltre Lord Alastair, che non perdeva mai di vista Gideon, era in
posizione di vantaggio.
«È tutto molto bello» dissi lentamente, nel tentativo di guadagnare tempo. «Ma avete fatto
i vostri conti senza il conte.» Alcott rise. «Volete dire piuttosto senza Rakoczy?» Si
strofinò le mani. «Ecco, la sua... chiamiamola passione oggi purtroppo gli rende
impossibile compiere il proprio dovere, vero?» Si batté il petto. «I l suo debole per le
droghe lo ha reso una facile vittima, se capite che cosa intendo.» «Ma Rakoczy non è
solo» obiettai. «I suoi curuzzi non ci perdono mai di vista.» Alcott lanciò una breve
occhiata incerta a Lord Alastair, poi scoppiò di nuovo a ridere. «Ah, e dove sono adesso, i
vostri curuzzi?» In cantina, presumibilmente.
«In agguato nell’ombra» mormorai in tono più minaccioso possibile. «Pronti a colpire in
qualsiasi momento. E sono in grado di fare cose che rasentano la magia con la spada e il
pugnale.» Alcott purtroppo non si lasciò impressionare. Fece ancora un paio di
osservazioni sprezzanti su Rakoczy e i suoi uomini, si profuse di nuovo in lodi sperticate
per il proprio geniale piano e il cambiamento di programma ancora più geniale. «T emo
che
il
tanto astuto conte oggi aspetterà invano voi e il suo leopardo nero. Potete
chiedermi che cosa ho in serbo per lui.» Gideon tuttavia sembrava aver perso qualunque
interesse per i racconti di Alcott. Rimase in silenzio. Lord Alastair a sua volta sembrava
essere stufo delle chiacchiere del primo segretario. Voleva concludere la cosa. «Lei deve
andarsene» disse brusco sguainando la spada e puntandola contro Lady Lavinia.
Aha, adesso veniva il bello.
«E io che avevo sempre pensato che foste un gentiluomo e duellaste solo con avversari
armati» osservò Gideon.
«Io sono un gentiluomo, ma voi siete un demone. Con voi non mi metto a duellare, vi
elimino soltanto» disse gelido Lord Alastair.
Lady Lavinia si lasciò sfuggire un grido soffocato. «Non volevo» bisbigliò verso Gideon.
Ma certo, come no. Adesso si faceva venire degli scrupoli. Ma vedi di svenire, cretina.
«Lei deve uscire, ho detto!» Per una volta ero d’accordo con Lord Alastair. Fece sibilare la
spada fendendo l’aria.
«Sì , giusto, non è uno spettacolo per una signora.» Alcott scortò Lavinia in corridoio.
«Chiudete la porta e fate in modo che non entri nessuno.» «Ma...» «Non vi ho ancora
restituito
le vostre cambiali» sibilò Alcott. «Se volessi, domani gli esattori si
presenterebbero a casa vostra ed essa non sarebbe più tale.» Lavinia non aggiunse altro.
Alcott chiuse a chiave la porta, si girò verso di noi ed estrasse dalla giacca un pugnale di
fattura molto delicata. Avrei dovuto essere spaventata a morte, ma la paura non riusciva
proprio a impossessarsi di me. Probabilmente perché tutta la faccenda mi risultava
assurda. I rreale. Come la scena di un film.
E poi non saremmo dovuti tornare indietro da un momento all’altro?
«Quanto tempo abbiamo ancora?» bisbigliai a Gideon.
«Troppo» rispose lui a denti stretti. Sul muso da topo di Alcott comparve un’espressione
di gioiosa aspettativa. «Io mi occupo della ragazza» disse sprizzando intraprendenza. «Voi
sistemate il giovane. Ma state attento. È astuto e veloce.» Lord Alastair si limitò a sbuffare
sprezzante.
«I l sangue del demonio intriderà la terra» grugnì
repertorio di frasi era molto limitato.
Darth Vader trionfante. I l suo
Siccome Gideon continuava a bramare con gli occhi le sciabole irraggiungibili e tendeva il
corpo con la massima concentrazione, io mi guardai intorno alla ricerca di un’arma
alternativa. D’impulso afferrai una delle delicate sedie imbottite e la lanciai verso Alcott.
Lui per qualche motivo trovò il mio gesto molto divertente, perché sorrise con aria ancora
più micidiale e mi venne lentamente incontro. Una cosa era chiara: quali che fossero le sue
motivazioni, non avrebbe più ottenuto un’anima pura in questa vita.
Anche Lord Alastair cominciò ad avanzare.
E poi tutto accadde di colpo.
«Resta qui» mi gridò Gideon, mentre rovesciava la fragile scrivania e la spingeva
con un calcio verso Lord Alastair. Quasi contemporaneamente afferrò uno dei pesanti
candelabri dal muro e lo lanciò con forza contro il primo segretario. Questi fu colpito sulla
testa con un rumore raccapricciante, e stramazzò a terra. Gideon non perse tempo a
controllare se il suo lancio fosse stato preciso. Mentre il candelabro era ancora in volo,
era balzato verso la collezione di sciabole. Lord Alastair a sua volta si scansò di
lato per evitare la scrivania che gli stava scivolando addosso, ma invece di impedire a
Gideon di strappare le sciabole dalla parete con pochi passi raggiunse me. I l tutto era
durato solo una frazione di secondo e, prima che avessi il tempo di sollevare la sedia che
volevo scaraventare con tutte le forze sulla sua testa, lui affondò la spada in avanti.
La lama squarciò la stoffa dell’abito e penetrò in profondità sotto la gabbia toracica e,
senza lasciarmi il tempo di comprendere che cosa fosse accaduto, Lord Alastair sfilò
l’arma e si gettò con un grido di trionfo verso Gideon, puntandogli contro la spada ancora
grondante del mio sangue.
I l dolore arrivò con un secondo di ritardo. Come una marionetta, alla quale sono
stati tagliati i fili, stramazzai in avanti sulle ginocchia, premendomi istintivamente la
mano sul costato. Udii Gideon che gridava il mio nome, lo vidi staccare due sciabole
contemporaneamente dal muro e rotearle sopra la testa come un samurai. Caddi a terra,
sbattendo senza troppe conseguenze la nuca (una parrucca era decisamente pratica in
tali circostanze) sul parquet. I l dolore scomparve come per magia. Per un istante rimasi a
fissare nel vuoto, sbigottita, poi mi ritrovai a librarmi nell’aria, incorporea, senza peso,
sempre più in alto verso gli stucchi sul soffitto. Tutt’intorno a me granelli di polvere
dorata danzavano nell’aria alla luce delle candele e mi sembrava di essere diventata
anch’io uno di essi.
Molto più in basso sotto di me vidi me stessa riversa a terra con gli occhi sgranati
e boccheggiante. Una macchia di sangue andava allargandosi sulla stoffa dell’abito.
Vidi il mio viso impallidire, finché la mia pelle fu dello stesso colore della parrucca.
Meravigliata guardai le mie palpebre fremere e poi abbassarsi.
Ma la parte di me che fluttuava nell’aria continuò a osservare tutto il resto.I l primo
segretario era a terra accanto al candelabro con una profonda ferita sanguinante sulla
fronte.
Vidi Gideon, pallido di collera, lanciarsi su Alastair. I l lord indietreggiò verso la porta
parando i fendenti di sciabola con la spada, ma nel giro di pochi secondi Gideon lo mise
all’angolo.
Li vidi duellare entrambi con ferocia, anche se il clangore dell’acciaio lassù giungeva
ovattato.
I l lord fece un passo di lato cercando di infilarsi a sinistra di Gideon, ma Gideon lo
prevenne e nello stesso istante lo colpì
con tutta la forza al braccio destro rimasto
scoperto. Alastair lanciò un’occhiata incredula all’avversario, poi contorse la faccia in un
grido silenzioso. Allargò le dita e la spada cadde a terra rimbalzando: Gideon gli
aveva inchiodato il braccio alla parete. Vedendosi bloccato cominciò a sibilare
terribili imprecazioni, nonostante il dolore che sicuramente doveva provare.
Gideon si allontanò da lui senza degnarlo di un altro sguardo e si gettò sul pavimento
accanto a me. Ovvero, accanto al mio corpo; io continuavo a fluttuare inutile per aria.
«Gwendolyn! Oddio! Gwenny! Ti prego, no!» Premette il pugno nel punto in cui la lama
aveva lasciato un forellino nel vestito.
«Troppo tardi!» esclamò Darth Vader. «Non vedete che la vita la sta lasciando?» «Morirà,
non potete farci nulla!» esclamò a sua volta Lord Alastair sempre inchiodato al
muro, facendo bene attenzione a non muovere il braccio. I l sangue che gli usciva dalla
ferita si raccoglieva in una piccola pozza ai suoi piedi. «Le ho trapassato il cuore
demoniaco.» «Zitto!» gli ordinò Gideon che intanto aveva posato entrambe le mani sulla
mia ferita e la teneva schiacciata con tutto il proprio peso. «Non permetterò che muoia
dissanguata. Se solo potessimo...» singhiozzò disperato. «Non puoi morire, mi hai sentito,
Gwenny!» I l mio petto si alzava e si abbassava ancora e la mia pelle era imperlata di
sudore, ma era abbastanza chiaro che Darth Vader e Lord Alastair avevano ragione. Dopo
tutto fluttuavo già nell’aria come un granello di polvere scintillante e il mio viso là in
basso aveva perso anche l’ultima traccia di colore. Persino le mie labbra erano diventate
grigie.
Gideon aveva le guance rigate di lacrime. Continuava a premermi le mani sulla ferita con
tutta la forza che aveva. «Resta con me, Gwenny, resta con me» bisbigliò e di colpo non
vidi più niente, ma tornai a sentire il duro pavimento sotto di me, il dolore al costato e
tutto il peso del mio corpo.
Feci un respiro convulso e capii che non avrei più avuto la forza per farne un altro.
Avrei voluto aprire gli occhi, per guardare Gideon un’ultima volta, ma non mi riuscì .
«Ti amo, Gwenny, ti prego, non mi lasciare» gridò Gideon e questa fu l’ultima cosa che
udii prima di essere inghiottita da un grande nulla.È possibile trasportare senza problemi
nel tempo oggetti inanimati di ogni genere e materiale, in entrambe le direzioni. Unica
condizione: al momento del trasporto l’oggetto non deve essere in contatto con niente e
nessuno a parte il viaggiatore nel tempo che lo trasporta.
L’oggetto più grande finora trasferito nel tempo è stato un tavolo da refettorio lungo
quattro metri che i gemelli de Villiers portarono nel 1900 dal 1805 e ritorno (si veda
volume 4, capitolo 3, Esperimenti e prove empiriche, pag. 188 e segg.).
Piante e parti di piante, così come esseri viventi di ogni genere non possono essere
trasportati, perché un viaggio nel tempo distruggerebbe ovvero dissolverebbe le loro
strutture cellulari, come dimostrato in numerosi esperimenti con alghe, germogli di vario
genere, parameci, porcellini di terra e topi (si veda volume 4, capitolo 3, Esperimenti e
prove empiriche, pag. 194 e segg.).
I l trasporto di oggetti è consentito soltanto sotto sorveglianza o per scopi sperimentali,
altrimenti è severamente vietato.
Dalle Cronache dei Guardiani, volume 2, Norme generali10
«I l suo viso mi risulta stranamente familiare» sentii dire da qualcuno. Riconobbi il tono
aristocratico di James.
«Certo che la conosci, vecchia testa di legno» rispose una voce che poteva appartenere
solo a Xemerius. «È Gwendolyn, senza uniforme scolastica e con la parrucca.» «Non ti ho
autorizzato a rivolgermi la parola, gattaccio maleducato!» Come una radio alla quale
gradualmente si alza il volume, colsi altri rumori e voci concitate. Ero sempre, o forse di
nuovo, sdraiata sulla schiena.
La mostruosa pesantezza sul petto era sparita, come anche il dolore sordo sotto le costole.
Ero diventata un fantasma come James?
Con un suono raccapricciante il corpetto mi venne tagliato e la stoffa strappata via.
«L’ha colpita all’aorta» sentii dire da Gideon in tono disperato. «Ho cercato di bloccare
l’emorragia, ma... è passato troppo tempo.» Due mani fresche mi tastarono il busto
sfiorando il punto dolorante e sotto la cassa toracica. Poi il dottor White esclamò sollevato:
«È soltanto una ferita superficiale! Santo cielo, mi hai fatto prendere un terribile
spavento!» «Che cosa? Non è possibile, lei...» «La lama ha solo scalfito la pelle, vedi? I l
busto di Madame Rossini si è rivelato molto utile. L’aorta addominale... mio Dio, Gideon,
che cosa studiate all’università? Per un momento ti ho creduto.» Le dita del dottor White si
posarono sul mio collo. «Anche il battito è forte e regolare.» «È tutto a posto, allora?» «Che
cosa è successo con precisione?» «Com’è possibile che Lord Alastair le abbia fatto una cosa
del genere?» Le voci di Mr George, Falk de Villiers e Mr Whitman si sovrapposero.
Gideon taceva. Cercai di aprire gli occhi e questa volta mi riuscì . Fui persino in grado di
sollevarmi senza problemi. Ero circondata dalle familiari e sgargianti pareti del nostro
laboratorio d’arte mentre sopra di me erano chine le teste dei Guardiani riuniti. Tutti –
compreso Mr Marley – mi sorridevano.
Soltanto Gideon mi guardava come se stentasse a credere ai propri occhi. Era pallido come
un cencio e sulle sue guance si vedevano ancora tracce di lacrime.
Dietro di lui c’era James che si premeva il fazzoletto di pizzo davanti agli occhi. «Avvisami
quando posso guardare di nuovo.» «Per il momento assolutamente no, altrimenti
diventeresti cieco all’istante» rispose Xemerius seduto a gambe incrociate ai miei
piedi.
«Praticamente le esce mezzo seno dal corsetto!» Ops. Era vero. Imbarazzata, cercai di
coprire le mie nudità con i resti strappati e spiegazzati dello stupendo abito di Madame
Rossini. I l dottor White mi fece sdraiare delicatamente sul tavolo dove ero stata
trasportata.
«Devo disinfettare e fasciare questo graffio» disse. «Poi ti visiterò a fondo. Hai qualche
dolore?» Scrollai la testa e subito dopo lanciai un gemito. In effetti avevo un feroce mal di
testa.
Mr George mi posò la mano sulla spalla da dietro. «Mio Dio, Gwendolyn. Ci hai proprio
fatto spaventare.» Rise piano. «Certo che il tuo è stato uno svenimento da manuale!
Quando Gideon è tornato tenendoti tra le braccia, ho pensato seriamente che potessi...»
«...essere morta.» Fu Xemerius a concludere la frase che Mr George, impacciato, aveva
lasciato a metà. «In effetti sembravi proprio morta. E il ragazzo era fuori di sé! Farneticava
di clampare l’arteria e altre assurdità del genere. E piangeva. Che c’hai da guardare?»
L’ultima domanda era diretta al piccolo Robert che fissava Xemerius con espressione
affascinata. «Com’è carino. Posso accarezzarlo?» mi chiese.
«No, se ci tieni alla tua mano, piccoletto» rispose Xemerius. «Mi basta già che quel
damerino profumato laggiù continui a scambiarmi per un gatto.» «Mi permetto di
dissentire. I gatti non hanno le ali, questo lo so persino io» esclamò James che continuava
a tenersi chiusi gli occhi. «Tu sei un gatto immaginario creato dalla febbre. Un gatto
degenerato.» «Ancora una parola e ti divoro» minacciò Xemerius.
Gideon si era allontanato di qualche passo e si era buttato su una sedia. Si tolse la
parrucca, si passò le dita tra i riccioli scuri, poi nascose il volto tra le mani. «Non capisco.»
La sua voce filtrò ovattata tra le dita.
Si sentiva come me. Com’era possibile che poco prima fossi morta e adesso mi
sentissi di nuovo piena di vita? Possibile che mi fossi immaginata tutto? Guardai la
ferita che il dottor White stava curando. Aveva ragione, si trattava solo di un graffio. I l
taglio che mi ero fatta con il coltello da cucina era stato molto più profondo e doloroso.
La faccia di Gideon spuntò di nuovo dalle sue mani. I suoi occhi luccicavano verdissimi
sulla pelle cerea. Mi tornarono in mente le ultime parole che mi aveva rivolto e cercai di
nuovo di sollevarmi, ma il dottor White me lo impedì .
«Qualcuno magari potrebbe toglierle questa mostruosa parrucca?» chiese brusco. Subito
una moltitudine di mani cominciò a sfilarmi gli spilloni dall’acconciatura e, quando
finalmente la parrucca mi venne tolta, fu una sensazione fantastica.
«Attenzione, Marley» ammonì Falk de Villiers. «Pensi a Madame Rossini!» «Sissignore»
balbettò Marley rischiando di far cadere a terra la parrucca per lo spavento. «Madame
Rossini, signore.» Mr Marley mi tolse le forcine dai capelli e mi sciolse la treccia con dita
delicate. «Così va meglio?» si informò. Sì , molto meglio.
«La bella Lisetta, sta sola soletta, in testa un cappello, in mano un secchiello»
canticchiò scioccamente Xemerius. «Certo, se avessi un cappello! Sarebbe la salvezza
per quei giorni in cui i capelli non vogliono proprio saperne di stare a posto, giusto? Ah,
sono così felice che sei ancora viva e non devo andarmi a cercare un altro umano, che dica
un sacco di scemenze. La mia piccola Lisetta.» I l piccolo Robert ridacchiò.
«Adesso posso guardare?» domandò James. Senza aspettare risposta, lanciò un’occhiata
verso di me, poi si richiuse gli occhi. «Perbacco! È proprio Miss Gwendolyn. Perdonatemi,
se non vi ho riconosciuto, quando il giovane damerino è passato tenendovi in braccio
davanti alla mia nicchia.» Sospirò. «È già stato uno spettacolo singolare. Tra queste mura
ormai non si vedono più persone vestite in maniera appropriata.» Mr Whitman posò un
braccio intorno alle spalle di Gideon. «Raccontami che cosa è successo esattamente,
giovanotto. Sei riuscito a trasmettere al conte il nostro messaggio? E lui ti ha affidato le
istruzioni per il prossimo incontro?» «Andate a prendergli un whisky e lasciatelo in pace
per qualche minuto» ringhiò il dottor White mentre metteva due cerotti sulla mia ferita. «È
sotto shock.» «No, no. Sto bene» mormorò Gideon. Lanciandomi un’altra occhiata, tirò
fuori dalla tasca della giacca la lettera sigillata e la consegnò a Falk.«Andiamo!» disse Mr
Whitman, facendo alzare Gideon e guidandolo verso la porta. «Nell’ufficio del preside
Gilles c’è del whisky. E anche un divano nel caso tu voglia sdraiarti un po’.» Si guardò
intorno. «Falk, vieni con noi?» «Certo» rispose Falk. «Spero che il vecchio Gilles abbia
whisky sufficiente per tutti.» Si voltò verso gli altri. «Mi raccomando, non riportate
Gwendolyn a casa in questo stato, è chiaro?» «Chiaro, signore» confermò Mr Marley.
«Chiaro e limpido, signore, se posso azzardarmi.» Falk alzò gli occhi al cielo. «Può» disse,
poi scomparve oltre la porta insieme a Mr Whitman e Gideon.
Mr Bernhard aveva la serata libera, perciò fu Caroline ad aprirmi investendomi subito con
un fiume di parole. «Charlotte si è trovata il vestito da fata per la festa, è meraviglioso e
prima mi ha permesso di metterle le ali, ma poi zia Glenda ha detto che dovevo lavarmi le
mani perché di sicuro avevo accarezzato qualche animale sporc...» Non riuscì a dire altro,
perché la abbracciai tanto forte da toglierle il respiro.
«Sì , stritolala pure!» disse Xemerius che era svolazzato in casa dietro di me. «T anto tua
madre può avere un altro bambino, nel caso questa si rompa.» «Mia cara, dolcissima,
incantevole, piccola sorellina» mormorai tra i capelli di Caroline mentre mi veniva
da piangere e da ridere contemporaneamente. «Ti voglio tanto bene!» «Anch’io te ne
voglio, ma mi stai sputando nell’orecchio» disse Caroline liberandosi lentamente dal
mio abbraccio. «Vieni! Stiamo già mangiando. Per dolce c’è la torta al cioccolato della
pasticceria Hummingbird!» «Oh, quanto amo, amo la Chocolate Devil’s Food Cake»
esclamai. «E quanto amo la vita che ci regala tutte queste cose meravigliose!» «È possibile
qualcosa di meno esagerato? Verrebbe da pensare che sei reduce da un trattamento di
elettroshock.» Xemerius sbuffò scontroso.
Avrei voluto scoccargli un’occhiata di rimprovero, ma potei soltanto guardarlo raggiante e
traboccante d’amore. I l mio tenero, piccolo, musone demone di gargoyle. «Voglio bene
anche a te!» gli dissi.
«Oddio» gemette lui. «Se fossi in un programma televisivo, avrei già cambiato canale.»
Caroline mi guardò un po’ preoccupata. Mentre salivamo di sopra mi prese la mano. «Che
cosa ti è successo, Gwenny?» Mi asciugai le lacrime dalle guance e le sorrisi. «Sto
benissimo» la rassicurai. «È solo che sono felice. Perché sono viva. E perché ho una
famiglia stupenda. E perché questo corrimano è stupendamente liscio e familiare. E perché
la vita è meravigliosissima.» Pronunciando queste parole, mi sentii sgorgare di nuovo le
lacrime dagli occhi e mi chiesi se quella che il dottor White mi aveva dato sciolta in acqua
fosse stata semplice aspirina. Però forse l’euforia derivava solo dall’incredibile
circostanza di essere sopravvissuta e di non dover trascorrere la mia esistenza come
un minuscolo granello di polvere.
Per questo, giunta davanti alla porta della sala da pranzo, presi in braccio Caroline e le feci
fare un giro in aria. Ero la persona più felice del mondo, perché ero viva e Gideon mi
aveva detto «ti amo». Quest’ultimo particolare poteva essere benissimo un’allucinazione
pre-morte, non potevo escluderlo del tutto.
La mia sorellina strillò divertita, mentre Xemerius fingeva di stringere in mano un
telecomando con cui cercava invano di cambiare programma.
Quando la posai di nuovo a terra, Caroline mi chiese: «È vero quello che ha detto
Charlotte? Che parteciperai alla festa di Cynthia vestita da sacco della spazzatura verde?»
Queste parole mi riportarono a terra dal mio viaggio euforico.
«Hahahaha» esclamò Xemerius con gioia maligna. «Mi sembra già di vederti: un gioioso
sacco della spazzatura verde, che vuole abbracciare e baciare tutti perché la vita è
meravigliosa.» «Ecco... veramente no, se posso evitarlo.» Santo cielo, forse sarei riuscita a
convincere Leslie a rimandare a un’altra festa il suo esperimento di arte moderna
marziana.
Se lo aveva già raccontato in giro, doveva esserne proprio entusiasta e, quando Leslie era
entusiasta di qualcosa, era mooolto difficile farle cambiare idea, lo sapevo per esperienza
personale.
La mia famiglia al completo era seduta a tavola e mi costò una certa fatica trattenermi
dall’abbracciare con sguardo entusiasta tutti quanti, comprese zia Glenda e Charlotte.
Avrei potuto sbaciucchiare persino loro. (I l che dimostra quanto fosse insolito il mio
stato d’animo.) Sotto lo sguardo ammonitore di Xemerius, mi limitai a un raggiante
sorriso di saluto e scompigliai soltanto i capelli di Nick passandogli accanto. Quando mi
misi seduta davanti al mio piatto, dove la mamma mi aveva già servito il primo,
dimenticai di colpo ogni prudenza.
«Quiche di asparagi!» esclamai. «Non trovate che la vita sia meravigliosa? Ci sono così
tante cose di cui gioire, vero?» «Se ripeti ancora una volta la parola meraviglioso, giuro che
ti vomito in quella maledetta quiche di asparagi» ringhiò Xemerius.
Gli sorrisi, poi mi portai un boccone alle labbra, guardai intorno a me con espressione
beata e domandai: «Com’è stata la vostra giornata?» Zia Maddy ricambiò il mio sorriso.
«Di certo la tua sembra essere stata stupenda.» La forchetta di Charlotte produsse un sibilo
raccapricciante sul suo piatto.
Sì , in fin dei conti la giornata era stata davvero buona. Anche se Gideon, Falk e Mr
Whitman erano rimasti via fino alla mia partenza, senza darmi la possibilità di verificare
se «ti amo, Gwenny, ti prego non mi lasciare» fosse un parto della mia fantasia, oppure
fosse stata una frase pronunciata davvero da Gideon. I Guardiani rimanenti si erano dati
da fare per porre rimedio a quello che Falk de Villiers aveva definito il mio stato
«malconcio». Mr Marley mi avrebbe voluto persino spazzolare i capelli di persona,
ma io avevo preferito farlo da sola. Ora indossavo l’uniforme della scuola e avevo i
capelli ben pettinati all’indietro.
La mamma mi accarezzò la mano. «Sono contenta che tu stia di nuovo bene, tesoro.» Zia
Glenda borbottò qualcosa tra sé in cui colsi le parole «costituzione di una contadina». Poi
mi chiese con un sorriso falso: «Allora, che cos’è questa storia del sacco dell’immondizia
verde? Non posso credere che tu e la tua amica Lassie vogliate presentarvi vestite
così
alla festa organizzata dai Dale per la loro figlia! T obias Dale di sicuro lo
considererà un affronto politico, dal momento che è un membro di spicco dei Tories».
«Eh?» feci.
«Si dice: ‘Come, prego’» mi rimproverò Xemerius.
«Glenda, mi sorprendo di te!» Lady Arisa schioccò la lingua. «Nessuna delle mie nipoti
potrebbe pensare neppure lontanamente a un’idea del genere. Un sacco della spazzatura!
Che sciocchezza!» «Be’, se non si ha nient’altro di verde da indossare, è sempre meglio di
niente» osservò Charlotte acida. «Almeno per Gwen.» «Suvvia.» Zia Maddy mi guardò
con aria compassionevole. «Fammi pensare. Potrei prestarti un accappatoio di ciniglia
verde.» Charlotte, Nick, Caroline e Xemerius ridacchiarono e io sorrisi a zia Maddy. «È
gentile da parte tua, ma Leslie non sarebbe d’accordo: non si è mai visto un marziano in
accappatoio.» «Senti, senti! La faccenda è seria» commentò zia Glenda. «Parola mia, questa
Lassie ha un pessimo influsso su Gwendolyn.» Arricciò il naso.
«D’altronde che cosa ci si può aspettare dall’educazione di genitori proletari? È già una
vergogna che persone come lei siano ammesse allaSaint Lennox. Ma di sicuro io non
permetterei a mia figlia di frequentare...» «Ora basta, Glenda!» Mia madre fulminò la
sorella con un’occhiata. «Leslie è una ragazza intelligente e ben educata e i suoi genitori
non sono proletari! I l padre è... è...» «Ingegnere civile» le suggerii.
«...ingegnere civile e la madre lavora come...» «Nutrizionista» intervenni di nuovo.
«E il cane ha studiato al Goldsmith College» concluse Xemerius. «Una famiglia davvero
rispettabile.» «I l nostro travestimento non ha nessun significato politico» assicurai a zia
Glenda e Lady Arisa che mi guardavano con la fronte aggrottata. «Si tratta soltanto di
un’opera d’arte.» In realtà era tipico di Leslie dare una sfumatura politica a ogni cosa,
per completare l’opera. Come se non bastasse il fatto che saremmo state orribili. «E poi è
la festa di Cynthia, non dei suoi genitori, altrimenti il motto non sarebbe stato così verde.»
«Non c’è niente da ridere» dichiarò zia Glenda. «E trovo molto scortese non impegnarsi
affatto per trovare un costume, laddove gli altri invitati e la padrona di casa non badano a
spese. I l costume di Charlotte, per esempio, è...» «...costato una fortuna e le sta d’incanto,
come ci hai ripetuto già trentaquattro volte oggi» la interruppe la mamma.
«La tua è solo invidia. Come sempre. Se non altro io mi preoccupo della felicità di mia
figlia, al contrario di te» ribatté acida zia Glenda. «I l fatto che tu ti interessi così poco
delle frequentazioni mondane di tua figlia e non le hai procurato neppure un costume
decente...» «Le frequentazioni mondane?» La mamma alzò gli occhi al cielo. «Dimmi
un po’, di che cosa stiamo parlando? Questa è la festa di compleanno di una
compagna di scuola! È già abbastanza penoso che i poveri ragazzi debbano travestirsi.»
Lady Arisa posò la forchetta rumorosamente sul piatto. «Santo cielo, avete quarant’anni e
vi comportate come due adolescenti. È ovvio che Gwendolyn non andrà alla festa con un
sacco della spazzatura. E ora cambiamo argomento, se non vi dispiace.» «Già, parliamo di
vecchi draghi despoti» propose Xemerius. «E di donne che a più di quarant’anni vivono
ancora con mammà.» «Non puoi ordinare a Gwendolyn...» fece per obiettare la mamma,
ma io le diedi un calcio di nascosto sotto il tavolo e le sorrisi.
Lei sospirò, poi ricambiò il mio sorriso.
«È solo che non posso restare a guardare mentre Gwendolyn rovina il buon nome della
nostra famiglia...» spiegò zia Glenda, ma Lady Arisa non la lasciò finire. «Glenda, se non
chiudi subito la bocca, puoi andare a letto anche senza cena» la rimproverò e tutti, escluse
lei e zia Glenda, scoppiarono a ridere, persino Charlotte.
In quel momento qualcuno suonò alla porta.
Per qualche secondo nessuno reagì e continuammo a mangiare, finché ci ricordammo che
Mr Bernhard aveva la sua giornata libera. Lady Arisa sospirò. «Vorresti essere tanto
gentile, Caroline? Deve essere Mr Turner per l’addobbo floreale dei lampioni. Riferiscigli
che non sono in casa.» Aspettò che Caroline fosse uscita, poi scrollò il capo. «Quell’uomo
è un vero flagello! Vi dico solo questo: begonie arancione! Spero che per gente come lui ci
sia un inferno a parte!» «Lo spero anch’io» concordò prontamente zia Maddy.
Un istante più tardi Caroline tornò. «È Gollum!» Esclamò. «E vuole Gwendolyn.»
«Gollum?» ripetemmo in coro io, la mamma e Nick. Casualmente Il Signore degli anelli
era il nostro film preferito, solo Caroline non aveva ancora potuto vederlo perché era
troppo piccola.
Caroline annuì impetuosamente. «Sì , aspetta di sotto.» Nick scoppiò a ridere. «Magnifico,
il mio tessssoro! Devo assolutamente vederlo.» «Anch’io» disse Xemerius, continuando a
dondolarsi pigramente dal lampadario grattandosi l’addome.
«Di sicuro vuoi dire Gordon» disse Charlotte alzandosi. «E vuole me. Solo che è in
anticipo. Gli avevo detto alle otto e mezzo.» «Oh, un ammiratore, tesoro?» si informò zia
Maddy estasiata. «Che bello! Forse riuscirà a distrarti per un po’.» Charlotte fece una
smorfia piccata. «No, zia Maddy, Gordon è solo un mio compagno di classe e gli do una
mano a completare la ricerca di punizione sugli anelli con sigillo.» «Ti dico che ha chiesto
di Gwendolyn» insistette Caroline, ma Charlotte l’aveva già spinta da una parte ed era
uscita dalla stanza. Caroline le corse dietro.
«Può fermarsi a mangiare con noi» gridò loro dietro zia Glenda. «Charlotte è sempre
così disponibile» aggiunse rivolta a noi. «Gordon Gelderman è il figlio di Kyle Arthur
Gelderman.» «Senti, senti» disse Xemerius.
«E chi sarebbe?» chiese la mamma.
«Kyle Arthur Gelderman» ripeté zia Glenda stavolta accentuando ogni sillaba. «I l
magnate dei supermercati! Non ti dice niente? Del resto, non mi stupisce: non hai la
minima idea di quali ambienti frequenti tua figlia. I l tuo impegno come madre è davvero
patetico. Ma tanto il ragazzo non ha alcun interesse per Gwendolyn.» La mamma sbuffò.
«Glenda, sul serio, dovresti prendere di nuovo quelle pasticche contro i disturbi della
menopausa.» Lady Arisa corrugò la fronte, tanto che le sopracciglia gli si unirono al
centro, e fece un profondo respiro, probabilmente preparandosi a spedire mamma e zia
Glenda a letto senza cena. In quel momento Caroline tornò e annunciò trionfante: «Gollum
cercava proprio Gwendolyn!» Io avevo appena addentato un enorme boccone di quiche e
rischiai di sputarlo nel piatto quando vidi entrare in soggiorno Gideon, seguito da
Charlotte con una faccia impietrita.
«Buonasera» salutò Gideon educato. Portava un paio di jeans e una camicia verde sbiadita.
Doveva essersi fatto una doccia, perché aveva i capelli ancora umidi che gli circondavano
disordinatamente
il viso. «Chiedo scusa. Non volevo disturbarvi a cena, ma volevo
scambiare due parole con Gwendolyn.» Per un attimo regnò il silenzio. A parte Xemerius,
naturalmente, che si sbellicava dalle risate appeso al lampadario. Io non riuscivo a parlare
perché ero concentrata a masticare e a ingoiare il cibo, Nick ridacchiava, mia madre
lanciava occhiate perplesse da me a Gideon e viceversa, zia Glenda aveva di nuovo le
chiazze rosse sul collo e lo sguardo che Lady Arisa rivolse a Gideon sarebbe andato
benissimo pure per delle begonie arancione.
Soltanto zia Maddy si ricordò delle buone maniere. «Non disturba affatto» disse in tono
amichevole. «Ecco, venga a sedersi qui accanto a me.
Charlotte, aggiungi un piatto, per favore.» «Già, un piatto per Gollum» mi bisbigliò Nick
sogghignando.
Charlotte non badò alla richiesta di zia Maddy e tornò al suo posto, sempre con la faccia
pietrificata.
«La ringrazio molto, ma ho già cenato» disse Gideon.
Finalmente ero riuscita a ingoiare il pezzo di quiche, così mi alzai di slancio. «E io sono
sazia» dissi. «Posso alzarmi?» Guardai prima
la mamma poi la nonna.Le due si
scambiarono una bizzarra occhiata di complicità e sospirarono all’unisono. Un sospiro
molto profondo.
«Certo» rispose poi la mamma.
«Ma c’è la torta al cioccolato» mi ricordò Caroline.
«Ne terremo da parte una fetta per Gwendolyn.» Lady Arisa mi rivolse un cenno
d’assenso. Io mi avvicinai a Gideon con passo rigido.
«Nella sala regnava un silenzio di tomba» sussurrò Xemerius dal lampadario. «Tutti gli
occhi erano posati sulla ragazza dalla camicetta giallo piscio...» Aaargh, aveva ragione.
Avrei voluto prendermi a schiaffi, perché non mi ero fatta una doccia e non mi ero
cambiata? Quell’orribile uniforme scolastica era la tenuta meno presentabile che
possedevo. Ma chi avrebbe potuto immaginare che quella sera avrei ricevuto visite? E
proprio una visita che richiedeva un aspetto impeccabile?
«Ciao» disse Gideon sorridendo per la prima volta da quando era entrato.
Io ricambiai il sorriso, impacciata. «Ciao, Gollum.» I l sorriso di Gideon si allargò.
«Persino le ombre alle pareti ammutolirono, mentre i due giovani si guardavano come se
si fossero seduti su un cuscino scoreggione» declamò Xemerius staccandosi dal
lampadario e svolazzando dietro di noi. «Una romantica musica di violino in sottofondo e
loro escono lentamente dalla stanza, la ragazza con la camicia giallo piscio e il ragazzo che
ha assolutamente bisogno di un barbiere.» Continuò a seguirci fino alle scale, dove girò a
sinistra. «L’intelligente e affascinante demone Xemerius li avrebbe seguiti per mantenere
il decoro, se non avesse sentito il bisogno di sfamare il proprio travolgente appetito dopo
una siffatta manifestazione di sentimenti! Oggi finalmente avrebbe divorato quel grasso
clarinettista che dimorava al numero 23 e passava le giornate a suonare Glenn Miller.» Ci
fece l’occhiolino, poi scomparve oltre la finestra del corridoio.
Arrivati in camera mia, notai sollevata che per fortuna mi era mancato il tempo per
distruggere il perfetto ordine che zia Maddy era riuscita a creare mercoledì . Sì , il letto
era sfatto, ma mi bastarono due o tre gesti per gettare i pochi panni in giro insieme agli
altri sulla sedia. Poi mi voltai verso Gideon, che era rimasto in silenzio fino a quel
momento. Probabilmente non aveva potuto fare altrimenti, dal momento che io – sempre
fuori di me per l’imbarazzo – dopo la fuga di Xemerius mi ero messa a parlare senza sosta.
Come in preda a un istinto irrefrenabile, avevo continuato a blaterare, in particolare dei
quadri davanti ai quali passavamo. Non ne avevo tralasciato neppure uno ed erano quasi
undicimila. «Questi sono i miei bisnonni; non so perché si siano fatti fare un ritratto a olio,
visto che all’epoca c’era già la fotografia. Quello grasso sullo sgabello è il pro-proproprozio Hugh da bambino insieme a sua sorella Petronella e tre conigli. Questa è la
duchessa, di cui ora mi sfugge il nome. Non era nostra parente, ma nel quadro porta un
collier appartenuto alla famiglia Montrose, per questo le è stato fatto posto qui. Ora siamo
al secondo piano, per questo su tutti i quadri di questo corridoio puoi ammirare
Charlotte. Zia Glenda la porta in continuazione da un fotografo che pare abbia
immortalato anche la famiglia reale. Questa è la mia foto preferita: Charlotte a dieci anni
con un carlino che aveva l’alitosi e secondo me si vede dall’espressione di Charlotte, non
trovi?» E così di seguito. Fu terribile. Solo quando fui in camera mia riuscii a smettere, ma
solo perché lì non c’erano quadri alle pareti.
Lisciai il copriletto, approfittandone per far sparire la mia camicia da notte di Hello Kitty
sotto il cuscino. Poi mi voltai e guardai Gideon con aria interrogativa. Ora poteva
benissimo dire qualcosa anche lui.
Però non lo fece. Invece mi sorrise di nuovo, quasi non credesse ai propri occhi. I l mio
cuore partì al galoppo, poi si fermò per un attimo.
Fantastico! Superava in scioltezza una ferita di spada, ma di fronte a Gideon andava nel
pallone. Soprattutto quando lui mi guardava in quel modo.
«Ho provato a chiamarti prima, ma non hai risposto al cellulare» disse alla fine.
«Era scarico.» Aveva esalato l’ultimo respiro mentre parlavo con Leslie a bordo della
limousine. Siccome Gideon continuava a tacere, tirai fuori il cellulare dalla tasca della
giacca e mi misi a cercare il caricabatteria. Zia Maddy lo aveva avvolto ordinatamente e
infilato in un cassetto della scrivania.
Gideon si appoggiò con la schiena alla porta. «È stata una giornata incredibile, vero?» Io
annuii. I l cellulare era debitamente sotto carica. Siccome non sapevo che altro fare, mi
appoggiai all’angolo della scrivania.
«Per me è stata la giornata più spaventosa di tutta la mia vita» proseguì Gideon. «Quando
ti ho vista lì a terra...» Gli mancò la voce. Si staccò dalla porta e mi raggiunse.
D’un tratto provai il bisogno impellente di consolarlo. «Mi spiace tanto di... averti
spaventato in quel modo. Ma io pensavo davvero di essere sul punto di morire.» «Lo
pensavo anch’io.» Deglutì e fece un altro passo verso di me.
Sebbene Xemerius se ne fosse andato da tempo a caccia del suo clarinettista, una parte del
mio cervello continuava a sputare instancabile i suoi commenti: «I
suoi occhi verdi
lampeggianti incendiarono la fiamma del suo cuore sotto la camicetta giallo piscio.
Abbandonandosi contro il suo petto virile, lei lasciò libero sfogo alle lacrime».
Oddio, Gwendolyn! Qualcosa di più isterico?
Mi aggrappai ancora più saldamente all’angolo della scrivania.
«Tu avresti dovuto sapere che cosa mi stava succedendo» dissi. «Dopo tutto sei uno
studente di medicina.» «Già, e proprio per questo sapevo benissimo che tu...» Si fermò
davanti a me e tanto per cambiare stavolta fu lui a mordersi il labbro inferiore,
provocando subito in me un’ondata di commozione. Sollevò lentamente una mano. «La
lama della spada era penetrata molto in profondità.» Allargò pollice e indice. «Un graffio
superficiale non ti avrebbe provocato uno svenimento. E poi sei diventata subito cerea e ti
sei ricoperta di sudore freddo. Per questo mi sono subito reso conto che Alastair aveva
trapassato un’arteria importante. Avevi un’emorragia interna.» Guardai la sua mano che
ondeggiava davanti al mio viso.
«Hai visto tu stesso la ferita, è davvero superficiale» obiettai schiarendomi la gola. La
sua vicinanza mi bloccava le corde vocali. «Deve... deve... forse è stato lo shock. Vedi, mi
sono immaginata di essere stata ferita gravemente e per questo sembrava davvero che...»
«No, Gwenny, non te lo sei immaginato.» «Ma allora com’è possibile che mi è rimasta solo
questa piccola ferita?» bisbigliai.
Lui abbassò la mano e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza.
«Dapprincipio anch’io non me lo sapevo spiegare» disse con impeto. «Ero così ... sollevato
di sapere che eri viva che mi sono convinto che la faccenda della ferita aveva di sicuro una
spiegazione logica. Ma mentre ero sotto la doccia, prima, di colpo mi si è accesa una
lampadina.» «Allora forse è questo» osservai. «Io non mi sono ancora fatta la doccia.»
Staccai le dita anchilosate dal bordo della scrivania e mi sedetti sul tappeto. Ok, andava
già molto meglio. Se non altro le ginocchia non mi tremavano più.
Appoggiando la schiena all’angolo del letto, sollevai la testa verso di lui. «È proprio
necessario che cammini su e giù come un animale in gabbia? Mi rende nervosa. Cioè,
ancora più nervosa di quanto già non sia.» Gideon si inginocchiò proprio davanti a me e
mi posò una mano sulla spalla, senza rendersi conto che da quel momento non ero più in
grado diascoltarlo con attenzione, ma ero distratta da pensieri
irrilevanti del
tipo:
«Speriamo di avere un buon odore» e «Accidenti, devo ricordarmi di respirare».
«Hai presente la sensazione che si prova quando, giocando a Sudoku, trovi quel numero
che ti permette di riempire facilmente anche tutte le altre caselle?» mi chiese.
Io annuii poco convinta.
Gideon mi accarezzò assorto. «È da molti giorni che rimugino su un sacco di cose, ma
solo stasera ho... trovato questo numero magico, capisci? Continuavo a leggere quei
documenti, al punto che li conoscevo quasi a memoria...» «Quali documenti?» lo
interruppi.
Lui mi lasciò. «Quelli che Paul aveva ricevuto da Lord Alastair in cambio dell’albero
genealogico. Paul me li ha dati, proprio il giorno in cui tu hai avuto il colloquio con il
conte.» Fece un sorriso storto, vedendo i tanti punti interrogativi che comparivano sulla
mia faccia. «T e lo avrei raccontato, ma eri troppo impegnata a farmi bizzarre domande e
alla fine a scappartene via tutta offesa. Io non ho potuto seguirti, perché il dottor White ha
insistito per medicarmi subito la ferita, ricordi?» «È successo appena questo lunedì ,
Gideon.» «Già, è vero. A me sembra passata un’eternità, no? Quando alla fine mi
lasciarono andare a casa, ho continuato a chiamarti a intervalli di dieci minuti, per dirti
che io...» Si schiarì la gola, e mi prese di nuovo la mano. «...per spiegarti tutto, ma il tuo
numero era sempre occupato.» «Sì , stavo raccontando a Leslie che razza di lurido
bastardo sei» spiegai. «Però abbiamo anche il telefono fisso, sai?» Lui non reagì al mio
rimprovero. «Durante le pause tra una telefonata e l’altra, ho cominciato a leggere i
documenti. Si tratta di profezie e appunti di proprietà privata del conte. Sono documenti
che i Guardiani non conoscono. Che lui ha tenuto deliberatamente nascosti ai suoi stessi
seguaci.» Sbuffai. «Lasciami indovinare. Altre astruse poesie. E non ci hai capito una
parola.» Gideon si sporse in avanti. «No» disse lentamente. «Al contrario. Erano molto
chiari. C’è scritto che qualcuno deve morire affinché la pietra filosofale possa sviluppare
in pieno tutto il proprio effetto.» Mi guardò negli occhi. «E questo qualcuno sei tu.» «Ah.»
Non ero così
impressionata come forse avrei dovuto. «Quindi sarei io il prezzo da
pagare.» «Sono rimasto molto scioccato quando l’ho letto.» Una ciocca di capelli gli
ricadde sul viso, ma lui non se ne accorse. «All’inizio non riuscivo a crederci, ma le
profezie erano chiare. La vita color rubino si spegne, la morte del corvo svela la fine, la
dodicesima stella impallidisce e così via, sembrava non avere mai fine.» Fece una breve
pausa. «Ancora più chiari erano gli appunti che il conte aveva scritto a margine. Non
appena il cerchio è chiuso e l’elisir ha raggiunto la sua destinazione, tu devi morire. Sono
quasi le parole testuali.» A questo punto deglutii. «E come dovrei morire?» I l mio
pensiero tornò alla lama insanguinata della spada di Lord Alastair. «C’era scritto anche
questo?» Gideon abbozzò un sorriso. «Ecco, come al solito le profezie sono piuttosto
vaghe, ma una cosa viene ripetuta spesso. Ovvero che io, il diamante, il leone, il
numero undici, c’entro qualcosa.» I l sorriso scomparve dalle sue labbra e nella sua voce
colsi una sfumatura che non avevo mai sentito prima. «Tu devi morire per colpa mia. Per
amore.» «Oh. Hmmm. Però sono solo delle rime» dissi senza grande originalità.
Gideon scrollò la testa. «Non capisci, Gwenny, che non potevo permetterlo? Solo per
questo ho seguito il tuo stupido gioco e ho finto di averti mentito e di aver giocato con i
tuoi sentimenti.» Finalmente la lampadina si accese anche dentro di me. «Per fare in modo
che non mi venisse l’idea di morire per amore per te, il giorno dopo hai fatto in modo che
ti odiassi? È stato davvero molto... come potrei dire... galante da parte tua.» Mi chinai in
avanti e gli tolsi quell’orribile ciocca di capelli dal viso. «Davvero molto galante.» Gideon
si sforzò di sorridere. «Credimi, è stata la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare.» Ora
che avevo cominciato, non mi fu più possibile staccarmi da lui. La mia mano scivolò
lentamente sul suo viso. Era chiaro che non aveva avuto tempo di farsi la barba, ma la
peluria ruvida lo rendeva sexy.
«Restiamo amici, una mossa davvero geniale» mormorai. «In quel momento ti ho odiato
con tutta me stessa.» Gideon gemette. «Non era mia intenzione, io volevo davvero che
restassimo amici» disse. Mi afferrò la mano e me la bloccò per un istante. «I l fatto che
questa frase ti abbia fatto tanto arrabbiare...» Lasciò il resto della frase sospeso in aria.
Mi chinai ancora più in avanti e gli presi il volto tra le mani. «Già, magari potrai tenerne
conto per il futuro» bisbigliai. «Non si dice mai, mai, mai una frase del genere a qualcuno
che si è baciato.» «Aspetta, Gwenny, non è tutto, devo ancora...» cominciò, ma io non
avevo intenzione di aspettare oltre. Posai cauta le mie labbra sulle sue e cominciai a
baciarlo.
Gideon ricambiò il mio bacio, dapprima con tenerezza e cautela, ma quando gli gettai le
braccia al collo e mi strinsi a lui il bacio diventò più appassionato. Affondò la mano
sinistra tra i miei capelli e con l’altra cominciò ad accarezzarmi il collo, scendendo
lentamente. Arrivato proprio all’altezza del primo bottone della camicia, il mio cellulare si
mise a suonare. Per la precisione erano le note della colonna sonora iniziale di C’era una
volta il West.
Mi staccai da lui con riluttanza.
«Leslie» dissi dopo aver dato un’occhiata al display. «Devo rispondere, altrimenti si
preoccupa.» Gideon sorrise. «Niente paura, non ho intenzione di svanire nel nulla.»
«Leslie? Posso richiamarti? Grazie per la nuova suoneria, davvero spiritosa.» Leslie però
non mi diede retta. «Gwenny, stammi a sentire, ho finito l’Anna Karenina» esclamò
precipitosamente. «E credo di sapere che cosa abbia intenzione di fare il conte con la pietra
filosofale.» Non mi importava niente della pietra filosofale. Almeno per il momento.
«Ah, fantastico» risposi guardando verso Gideon. «Più tardi dobbiamo assolutamente...»
«Non preoccuparti» disse Leslie, «sono già per strada.» «Davvero? Io...» «Sì , anzi, per la
precisione sono già qui.» «Qui dove?» «Qui. Nel vostro corridoio. Sto salendo le scale
con tua madre, tua sorella e tuo fratello. C’è anche la tua prozia. Anzi, adesso mi
hanno superato, temo che busseranno alla tua porta da un momento all’altro...» Caroline
non si diede neppure la pena di bussare. Spalancò la porta e annunciò trionfante: «T orta
al cioccolato per tutti!» Poi si voltò verso gli altri e disse: «Visto? Non stanno mica
pomiciando!»11
Era stata una giornata piena di eventi incredibili (il più importante di tutti in breve:
Gideon mi amava! Ah, e poi naturalmente c’era anche la questione della spada e della
morte), ma quel picnic serale di famiglia in camera mia fu di certo l’avvenimento più
strambo. Sul tappeto erano radunate quasi tutte le persone più importanti della mia vita,
ridevano e parlavano tutti insieme, la mamma, zia Maddy, Nick, Caroline, Leslie... e
Gideon! E tutti avevano la faccia impiastricciata di cioccolato. (Siccome a zia Glenda e
Charlotte era passato l’appetito e Lady Arisa evitava i dolci per principio, la torta al
cioccolato era tutta per noi.) Forse era colpa del dolce se tra Gideon e la mia famiglia si
stabilì subito un rapporto molto affiatato, forse però dipendeva anche dal fatto che lui
era rilassato come non lo avevo mai visto. E questo nonostante la mamma e zia Maddy
gli rivolgessero una serie di domande tra il bizzarro e l’imbarazzante e Nick continuasse a
chiamarlo Gollum.
Quando anche l’ultima briciola di torta fu sparita, zia Maddy si alzò dolorante. «Credo di
dover tornare di sotto a far compagnia a Lady Arisa. Mr Turner si è intrufolato dentro
casa
insieme
al
piccolo
ammiratore
di Charlotte
e
sono
sicura
che
stanno
bisticciando ancora per colpa delle begonie.» Rivolse a Gideon uno dei suoi sorrisi con le
fossette. «Sa una cosa, per essere un de Villiers lei è davvero insolitamente simpatico,
Gideon.» Anche Gideon si alzò. «La ringrazio molto» replicò allegro stringendo la mano di
zia Maddy. «Per me è stato uno straordinario piacere poterla conoscere.» «Uau!» Leslie mi
diede una gomitata nelle costole. «È pure educato. Alza il sedere quando una signora si
alza. E che magnifico sedere.
Peccato che sia uno stronzo.» Io alzai gli occhi al cielo.
La mamma si scrollò le briciole dal vestito e fece alzare Caroline e Nick. «Voi due venite
con me, è quasi ora di andare a letto.» «Mamma!» protestò Nick offeso. «È venerdì e io ho
dodici anni!» «Anch’io vorrei rimanere, per favore.» Caroline rivolse un’occhiata
accorata a Gideon. «Mi piaci» disse. «Sei davvero simpatico e molto carino.» «Già,
proprio» mi bisbigliò Leslie. «Sbaglio, o è arrossito?» Sembrava proprio così . Che tenero.
I l gomito di Leslie finì di nuovo contro le mie costole. «Non guardarlo con quell’aria
inebetita» mi sibilò. In quel momento Xemerius rientrò svolazzando dalla finestra chiusa
e si posò sulla scrivania facendo un rutto soddisfatto.
«Quando il furbo e irresistibile demone tornò baldanzoso dal suo volo, dovette suo
malgrado constatare che la ragazza nel frattempo non aveva perduto né la camicetta giallo
piscio né l’innocenza...» recitò dal suo romanzo non scritto.
Io gli intimai con le labbra di tenere la bocca chiusa.
«Non te la prendere» disse offeso. «Era un’ottima occasione. Dopo tutto non sei più
giovanissima e chissà se domani non lo odierai di nuovo dal profondo del cuore.» Dopo
che zia Maddy se ne fu andata e mia madre fu riuscita a trascinare fuori dalla stanza mio
fratello e mia sorella, Gideon richiuse la porta dietro di loro e ci guardò ghignando.
Leslie alzò entrambe le mani. «No, te lo puoi scordare! Io non me ne vado. Ho cose
importanti da discutere con Gwen. Cose della massima segretezza.» «Allora non me ne
vado nemmeno io» dichiarò Xemerius saltellando sul mio letto e accovacciandosi sul
cuscino.
«Les, non serve più tenere nascoste le cose a Gideon» annunciai. «Anzi, non sarebbe
sbagliato versare in un unico pentolone tutto quello che sappiamo.» Avevo trovato
proprio una bella immagine.
«Anche se dubito che in questo frangente Google possa esserci d’aiuto» commentò
Gideon sarcastico. «Scusa, Leslie, ma di recente Mr Whitman ci ha mostrato un grazioso
raccoglitore dove tu avevi... radunato tutte le... hmmm, informazioni trovate.» «Come?!»
Leslie si mise le mani sui fianchi. «E io che cominciavo a pensare che tu non fossi
un bastardo arrogante come ha sempre sostenuto Gwen! Col cavolo grazioso! Si
tratta...» Arricciò il naso un po’ a disagio. «Che cattiveria da parte di Mr Scoiattolo
mostrare in giro il mio raccoglitore! Al principio quelle ricerche su Internet erano tutto ciò
che avevamo e io ne ero molto orgogliosa.» «Ma nel frattempo abbiamo scoperto molte
altre cose» dissi. «Primo, che Leslie è un genio e, secondo, ho incontrato più volte...»
«Naturalmente non è
il caso di
rivelare
le nostre
fonti!» Leslie mi
fulminò con
un’occhiata. «È pur sempre uno di loro, Gwen. Anche se ti ha annebbiato i sensi.» Gideon
sorrise divertito, mentre si metteva seduto a gambe incrociate sul tappeto. «Ok. Allora
sarò io a parlare per primo.» Senza aspettare il consenso di Leslie, cominciò a raccontare di
nuovo dei documenti che aveva avuto da Paul. Diversamente da me, Leslie rimase
sconvolta quando venne a sapere che io dovevo morire non appena il cerchio di sangue
fosse stato completato. Impallidì sotto le lentiggini.
«Posso vedere i documenti?» domandò.
«Naturale.» Gideon tirò fuori dalla tasca dei jeans alcuni fogli ripiegati e altri ne prese
dal taschino della camicia. La carta era ingiallita e consumata sulle piegature.
Leslie lo guardò allibita. «T e li porti in giro così allegramente? Sono preziosi documenti
originali, mica... fazzoletti moccicosi.» Allungò la mano per prenderli. «Sono già tutti
rovinati. Tipica incuranza maschile!» Spiegò con cautela le pagine. «Sei proprio sicuro che
non si tratti di falsi?» Gideon si strinse nelle spalle. «Non sono un grafologo e neppure uno
storico. Ma somigliano in tutto e per tutto agli altri originali custoditi dai Guardiani.» «A
temperatura costante e sotto vetro, scommetto» disse Leslie sempre indignata. «Come
dovrebbe essere.» «Come hanno fatto quelli dell’Alleanza fiorentina a impossessarsi di
questi documenti?» chiesi io.
Gideon scrollò di nuovo le spalle. «Con un furto, immagino. Non ho avuto tempo di
controllare negli Annali se è riportata qualche traccia. Non ho avuto neppure il tempo per
controllare tutto quanto. Sono giorni che me ne vado in giro con questi documenti in tasca!
Li conosco a memoria, ma non sono riuscito a interpretarli fino in fondo. A parte questa
faccenda.» «Almeno non sei corso subito da Falk a mostrargli tutto» osservai grata.
«Ti assicuro che ci avevo pensato. Ma poi...» Gideon sospirò. «Al momento non so proprio
più di chi fidarmi.» «Non fidarti di nessuno» declamai alzando gli occhi al cielo con
espressione drammatica. «Questo almeno è quanto mi ha consigliato miamadre.» «Tua
madre, già» mormorò Gideon. «Mi piacerebbe sapere che cosa sa di tutta questa
faccenda.» «Ti riferisci alla chiusura del cerchio e al fatto che una volta che il conte entra in
possesso del suo elisir Gwendolyn dovrebbe...» Leslie non riuscì a terminare la frase.
«...morire» conclusi al posto suo.
«Addormentarsi per sempre, esalare l’ultimo respiro, chiudere gli occhi, lasciare
questo mondo, passare a miglior vita, salire in cielo, mancare...» elencò Xemerius
assonnato.
«...essere uccisa!» Leslie mi prese la mano con un gesto drammatico. «Infatti non creperesti
per cause naturali!» Si passò la mano tra i capelli, che le stavano già ritti sul capo. Gideon
si schiarì la gola, ma Leslie non gli permise di parlare. «Sinceramente, è da un po’ che ho
un brutto presentimento» proseguì . «Anche le altre rime sono terribili... funeste. E c’è
sempre di mezzo il corvo, il rubino, il numero dodici, a cui deve accadere qualcosa di
brutto. Inoltre la cosa concorda con quello che ho scoperto io.» Mi lasciò la mano e pescò
dal suo zaino (nuovo di pacca!) il volume camuffato da Anna Karenina. «Veramente, sono
stati Lucy e Paul e tuo nonno a scoprirle, insieme a Giordano.» «Giordano?» ripetei
perplessa.
«Sì ! Non hai letto i suoi saggi?» Leslie sfogliò il libro. «I Guardiani hanno dovuto
accoglierlo
nella
loggia
per
evitare
che
continuasse
a diffondere le sue tesi
dappertutto.» Scrollai la testa imbarazzata. Avevo perso ogni interesse per gli scritti di
Giordano fin dalla prima frase arzigogolata. (A prescindere poi che erano di Giordano... ci
siamo capiti?)
«Svegliatemi se la cosa dovesse farsi interessante» disse Xemerius chiudendo gli occhi.
«Ho bisogno di un bel sonnellino digestivo.» «Come storico Giordano non è mai stato
preso sul serio, neppure dai Guardiani» intervenne Gideon. «Ha pubblicato astruse teorie
in riviste esoteriche di dubbia serietà, i cui seguaci considerano il conte un arrampicatore,
un trasformista, qualunque cosa significhi.» «Questo posso spiegartelo benissimo io!»
Leslie gli sventolò sotto il naso Anna Karenina, come se fosse un elemento di prova in
tribunale.
«Come storico Giordano si è imbattuto in protocolli dell’Inquisizione e lettere del XVI
secolo. Le fonti dimostrano che il conte di Saint Germain, viaggiando nel tempo quando
era molto giovane, mise incinta la figlia di un conte di nome Elisabetta di Madrone che
viveva in convento. In quell’occasione» fece una breve pausa, «dunque, prima o dopo,
probabilmente, le raccontò un sacco di cose su di sé, forse perché era ancora giovane e
sciocco, oppure semplicemente perché si credeva al sicuro.» «Quali sarebbero queste
cose?» mi informai.
«Le fornì varie informazioni a partire dalle sue origini e il suo vero nome fino alla sua
dote di viaggiare nel tempo e all’affermazione di essere in possesso di segreti inestimabili.
Segreti grazie ai quali sarebbe in grado di creare la pietra filosofale.» Gideon annuì , come
se conoscesse già la storia, ma Leslie non si lasciò sviare.
«Stupidamente, la gente del XVI secolo in I talia non trovò la cosa così esaltante»
proseguì . «Credevano che il conte fosse un pericoloso demone e il padre di questa
Elisabetta era così inviperito per quello che lui aveva fatto alla figlia che fondò l’Alleanza
fiorentina e da quel giorno dedicò la vita alla ricerca del conte e dei suoi simili, proprio
come molte generazioni dopo di lui...» si interruppe. «Come sono arrivata fin qui?
Accidenti, ho la testa così piena di informazioni che potrebbe scoppiarmi da un momento
all’altro.» «Che cosa diavolo c’entra tutto questo con T olstoj?» domandò Gideon irritato,
guardando il libro preparato da Lucas. «Abbi pazienza, ma finora non mi hai raccontato
niente di nuovo.» Leslie gli scoccò un’occhiata torva.
«A me sì» mi affrettai a dire. «Però volevi spiegarci che cosa intende fare il conte con la
pietra filosofale!» «Giusto.» Leslie aggrottò la fronte. «Per questo volevo prenderla un po’
alla larga, perché naturalmente ci è voluto un po’ di tempo prima che i discendenti del
conte di Madrone individuassero il primo viaggiatore nel tempo, Lancelot de Villiers...»
«Puoi benissimo riassumere» la interruppe Gideon. «Non abbiamo più tutto questo tempo.
Dopodomani incontreremo di nuovo il conte e nel frattempo io devo – secondo le sue
istruzioni – prelevare il sangue di Lucy e Paul. T emo che, se non mi riuscisse, lui tirerebbe
fuori dal cappello un altro piano...» sospirò. «Allora?» «Però non possiamo trascurare i
particolari.» Anche Leslie sospirò e si nascose il viso tra le mani per un attimo.
«Comunque, va bene. I
Guardiani credono che la pietra filosofale possa far compiere progressi decisivi
all’umanità, perché può guarirla da tutte le malattie, giusto?» «Giusto» rispondemmo in
coro io e Gideon.
«Ma Lucy e Paul e il nonno di Gwenny, per la precisione insieme ai membri dell’Alleanza
fiorentina, erano del parere che sia una menzogna.» Io annuii.
«Aspetta.» Gideon aveva aggrottato la fronte. «I l nonno di Gwenny? I l nostro Gran
Maestro prima che mio zio Falk lo sostituisse?» Io annuii di nuovo, questa volta
sentendomi un po’ in colpa. Lui mi guardò e all’improvviso la sua faccia si illuminò
come se avesse avuto un’improvvisa ispirazione. «Continua, Leslie» disse. «Che cosa hai
scoperto?» «Lucy e Paul credevano che il conte volesse la pietra soltanto per sé.» Leslie
fece una breve pausa, per accertarsi che pendessimo dalle sue labbra. «Perché la pietra
filosofale può renderlo, lui soltanto, immortale.» Io e Gideon rimanemmo in silenzio. Da
parte mia ero davvero impressionata. Gideon non so. La sua espressione non tradiva
affatto ciò che pensava.
«Naturalmente
il conte ha dovuto
inventarsi
tutta
la
fandonia della salvezza
dell’umanità eccetera, per convincere la gente a lavorare per lui» riprese Leslie. «Non
sarebbe riuscito a creare un’organizzazione segreta così potente se avesse rivelato i suoi
veri obiettivi.» «Tutto qui? Si tratta solo del fatto che quel vecchio zoticone ha paura di
morire?» dissi. Ero quasi un
tantino delusa. Era questo dunque
il segreto dietro il
segreto? Tanto sforzo solo per questo?
Mentre scuotevo la testa scettica e cominciavo a formulare mentalmente una frase che
cominciava con «ma», la fronte di Gideon si aggrottò ancora di più.
«Combacia» mormorò. «Maledizione, Leslie ha ragione! Combacia.» «Che cosa combacia?»
domandai.
Lui balzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. «Non posso
credere che la mia famiglia da secoli gli ubbidisca ciecamente» disse. «Che io gli abbia
ubbidito ciecamente!» Si fermò e fece un profondo respiro. «...Il profumo del tempo l’aria
riempirà, soltanto uno in eterno resterà. A leggere con attenzione, si riconosce subito.
Guarisce da ogni pestilenza e malattia, sotto la stella a dodici punte si compie la profezia.
Ma certo! Per poter garantire la vita eterna a qualcuno, questa sostanza deve poter guarire
tutte le malattie.» Si massaggiò la fronte e indicò i fogli sparsi sul tappeto. «Le profezie che
il conte ha taciuto ai Guardiani lo dichiarano in maniera ancora più chiara. La pietra è
dell’eterno realizzazione. La veste della gioventù si accresce di nuova energia, che
dà potere immortale a colui che porta la magia. È semplicissimo! Perché non ci ho
pensato prima? Ero così fissato sul fatto che Gwendolyn dovesse morire e che io ne
potessi essere responsabileche non ho capito la verità! Anche se ce l’avevo sotto gli occhi.»
«Già» confermò Leslie con un sorrisetto trionfante. «Immagino che le tue capacità
risiedano in altri ambiti. Vero, Gwenny?» In tono conciliante aggiunse: «E poi del resto
avevi ben altro da fare».
Io raccolsi i fogli di Gideon. «Ma attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà, il
destino di quanto è terreno si compirà. La gioventù si scioglie, la quercia è condannata a
decomporsi in quest’epoca buia e odiata» lessi con voce rotta, cercando di ignorare il
fatto che a queste parole mi si accapponava la pelle delle braccia. «Ok, la dodicesima stella
sono io, ma il resto è arabo per me...» «Leggi qui sul margine: non appena entrerò in
possesso dell’elisir , lei dovrà morire» mormorò Leslie con la testa appoggiata alla
mia.
«Capisci, vero?» Mi abbracciò con impeto. «Non puoi più, mai più trovarti in presenza di
quell’assassino, è chiaro? Questo maledetto cerchio di sangue non deve essere completato,
per nessun motivo.» Mi allontanò leggermente da sé. «Lucy e Paul hanno fatto del loro
meglio, scappando con il cronografo. Peccato che esista questo secondo cronografo.» Mi
lasciò e lanciò un’occhiata carica di rimprovero a Gideon. «E peccato che qualcuno in
questa stanza non avesse niente di meglio da fare che riempirlo diligentemente con
il sangue di tutti i viaggiatori nel tempo!
Promettimi subito che questo conte non avrà mai la possibilità di strozzare Gwenny
oppure di pugnalarla o...» Xemerius si destò all’improvviso dal suo sonno. «...Avvelenarla,
spararle, squartarla, impiccarla, mozzarle la testa, lapidarla, annegarla, gettarla da un
grattacielo...» esclamò entusiasta. «Di che cosa state parlando?» «Soltanto quando
impallidisce la dodicesima stella, l’aquila raggiungerà per sempre la sua meta più bella»
ripeté Gideon piano. «Solo che lei non può morire!» «Non deve morire, vorrai dire» lo
corresse Leslie.
«Deve, può, dovrebbe, sa» elencò Xemerius posando di nuovo il capo sulle zampe.
Gideon si inginocchiò davanti a noi. I l suo sguardo era tornato molto serio. «Era questo
che volevo dirti prima, quando...» si schiarì la gola. «Hai già raccontato a Leslie che Lord
Alastair ti ha trafitto con la spada?» Io assentii e Leslie disse: «È stata davvero fortunata
che il colpo non sia stato letale».
«Lord Alastair è uno dei migliori spadaccini di mia conoscenza» disse Gideon. «E ha
colpito Gwendolyn in pieno. Decisamente con un colpo letale.» Mi sfiorò la mano con la
punta delle dita.
Leslie trattenne il fiato.
«Ma me lo sono soltanto...» mormorai, ripensando al mio viaggio sul soffitto della stanza e
alla vista spettacolare che da lassù avevo di quanto succedeva.
«No!» Gideon scrollò il capo. «Non te lo sei solo immaginato! Non è possibile immaginare
una cosa del genere. E poi c’ero anch’io!» Per un attimo sembrò troppo turbato per parlare,
poi si calmò. «Quando siamo saltati indietro, per mezzo minuto almeno non hai respirato
e quando sono arrivato con te nello scantinato non avevi polso, di questo sono sicuro. E
poi, un minuto dopo, ti sei messa a sedere come se niente fosse.» «E questo che cosa
significa?» domandò Leslie con espressione inebetita.
«Significa che Gwenny è immortale» disse Gideon rivolgendomi un lieve sorriso. Io lo
guardai allibita.
Xemerius si era sollevato e si grattava la pancia confuso. Spalancò e richiuse la bocca, ma
invece di dire qualcosa sputò un fiotto d’acqua sul mio cuscino.
«Immortale?» Leslie aveva gli occhi sgranati. «Come... come Highlander?» Gideon annuì .
«Con la differenza che lei non muore neppure se la decapitano.» Si alzò e la sua
espressione si indurì . «Gwendolyn non può morire, a meno che non si tolga la vita da
sola.» E poi declamò a voce bassa: «Sappi dunque, una stella si consuma per amore, se
sceglie liberamente di struggersi il cuore».
Quando aprii gli occhi, la luce del sole inondava la camera di un limpido chiarore
rosato facendo turbinare i granelli di polvere verso l’alto. A differenza dei giorni
precedenti, mi svegliai all’istante. Mi tastai con cautela la ferita sul petto sotto la camicia
da notte e ne tracciai il contorno della crosta con un dito.
Immortale.
All’inizio mi ero rifiutata di credere all’affermazione di Gideon, semplicemente perché era
assurda e la mia vita era già sull’orlo del collasso per le troppe complicazioni. La mia
mente si rifiutava di accettare tale fatto.
Ma dentro di me avevo capito subito che Gideon aveva ragione: la spada di Lord Alastair
mi aveva ucciso. Avevo sentito il dolore e visto gli ultimi brandelli della mia vita
dissolversi. Avevo esalato il mio ultimo respiro, eppure ero viva.
I l tema dell’immortalità non ci aveva abbandonato per il resto della serata. Soprattutto
Leslie e Xemerius erano stati incontenibili superato il primo momento di shock.
«Ma se ti cadesse addosso un blocco di cemento da otto tonnellate? Riprenderesti a vivere
spiattellata come un francobollo?» «Forse non sei immortale, magari hai soltanto sette vite,
come un gatto?» «Se ti cavassero un occhio, ti ricrescerebbe?» I l fatto che Gideon non
sapesse rispondere a nessuna delle loro domande non li infastidiva. Con ogni probabilità
avrebbero proseguito così per tutta la notte, se la mamma non fosse arrivata per
mandare a casa Gideon e Leslie. Purtroppo era stata irremovibile. «Gwendolyn, non
dimenticare che fino a ieri eri ancora malata» disse. «Devi dormire.» Dormire! Come se,
dopo una giornata del genere, ne avessi voglia! E poi c’erano ancora tante cose da
analizzare.
Ero scesa di sotto con loro, per accompagnarli alla porta. Leslie, da quella amica fidata
che era, aveva colto al volo
la situazione e si era incamminata verso la fermata
dell’autobus, per fare una impellente telefonata. (La sentii dire: «Ciao, Bertie, torno tra
poco».) Xemerius purtroppo non era stato altrettanto premuroso. Se ne stava appeso a
testa in giù alla tettoia sopra la porta d’ingresso cantando con voce gracchiante: «Gidi e
Gwendolyn si sbaciucchiano sotto il baldacchin che cigola e Xemerius che pigola».
Alla fine mi ero separata controvoglia da Gideon ed ero tornata in camera mia, decisa a
trascorrere il resto della notte a meditare, telefonare ed elaborare progetti. Ma mi era
bastato sdraiarmi un attimo sul letto e mi ero addormentata di botto. Agli altri doveva
essere capitato lo stesso, non c’erano chiamate perse sul mio cellulare.
Guardai Xemerius che si era acciambellato ai piedi del letto e ora si stiracchiava
sbadigliando. «Avresti dovuto svegliarmi!» lo rimproverai.
«Sono forse la tua sveglia, o immortale padrona?» «Io pensavo che gli spiriti, cioè, i
demoni, non avessero bisogno di dormire.» «Forse no» ribatté Xemerius, «ma dopo una
cena così abbondante, un sonnellino ci stava proprio bene.» Arricciò il naso. «Proprio
come a te farebbe bene una doccia.» In effetti aveva ragione. Mentre gli altri dormivano
ancora (dopo tutto era sabato), potei usare il bagno indisturbata per un po’, sprecando
un sacco di shampoo, bagnoschiuma, dentifricio, lozione per il corpo e crema antirughe
della mamma.«Fammi indovinare, la vita è meravigliosa e tu ti senti – ah, ah, ah – rinata»
commentò Xemerius asciutto, quando mi rimirai soddisfatta allo specchio mentre mi
rivestivo.
«Proprio così ! Sai, per qualche motivo vedo la vita con altri occhi...» Xemerius sbuffò.
«Credi soltanto di essere illuminata, ma in realtà è colpa degli ormoni. Oggi in alto nel
cielo, domani angosciata a morte» disse. «Le ragazze! Per i prossimi venti, trent’anni, non
smetterà più. E poi arriverà la menopausa. Anche se forse per te no. Una immortale con la
crisi di mezza età: non mi sembra plausibile.» Lo ringraziai con un mezzo sorriso. «Sai,
piccolo brontolone, sei davvero...» La suoneria del cellulare interruppe il mio discorso.
Leslie voleva sapere a che ora ci saremmo trovate per realizzare i costumi da marziani per
la festa di Cynthia.
La festa! Era inconcepibile che lei si preoccupasse di una cosa del genere proprio adesso.
«Senti, Les, non so se ho voglia di andarci. Sono successe tante cose e...» «Devi venire
assolutamente. E ci verrai.» I l suo tono non ammetteva repliche. «Perché ieri ho trovato
l’accompagnatore e altrimenti per me sarebbe troppo penoso.» Sbuffai. «Spero che tu non
lo abbia chiesto di nuovo a quello stupido di tuo cugino e al suo amico che fa scoregge,
Leslie.» Per un attimo agghiacciante mi immaginai un sacco della spazzatura verde che si
gonfiava davanti ai miei occhi. «L’ultima volta mi avevi promesso che non l’avresti più
fatto. Non devo ricordarti la storia con il bacio di cioccolato...» «Ma per chi mi hai preso?
Non commetto mai lo stesso errore due volte, lo sai benissimo!» Fece una breve pausa, poi
riprese con apparente indifferenza: «Mentre andavo alla fermata dell’autobus, ho
raccontato a Gideon della festa. Lui si è offerto come accompagnatore». Un’altra breve
pausa. «Insieme a suo fratello. Per questo adesso tu non puoi mancare.» «Les!»
Immaginavo benissimo come si fosse svolto quel dialogo. Leslie era bravissima nella
manipolazione. Probabilmente Gideon non si era neppure reso conto di quanto gli stava
accadendo.
«Puoi ringraziarmi dopo» disse Leslie con un risolino. «Ora dobbiamo solo pensare a come
realizzare i costumi. Ho già preparato un colino verde con antenne, sarà fantastico come
copricapo. Se vuoi, lo lascio a te.» Sbuffai di nuovo. «Ma sei matta! Pretendi davvero
che io mi presenti alla mia prima uscita ufficiale con Gideon infilata in un sacco
della spazzatura con un colino sulla testa?» Leslie esitò. «Ma si tratta di arte! E poi è
spiritoso. E non costa niente» spiegò. «Inoltre lui è talmente cotto di te che non si accorgerà
di nulla.» Mi resi conto che dovevo procedere con maggiore raffinatezza. «E va bene» dissi
con finta rassegnazione. «Se proprio lo vuoi, andremo vestite da spazzini marziani. Sono
un po’ invidiosa, perché non ti importa niente se Raphael trova sexy una ragazza con
antenne e colino sulla testa. Né che ballando fruscerai e a toccarti sembrerai... un sacco
della spazzatura, appunto... O che emanerai un leggero odore chimico... e che Charlotte
con il suo costume da elfo ci passerà davanti leggiadra facendo ogni genere di
commento...» Leslie rimase in silenzio esattamente tre secondi. Poi scandì lentamente:
«Sì , certo, non me ne importa proprio niente...» «Lo so. Altrimenti ti avrei proposto di
farci vestire da Madame Rossini. Potrebbe prestarci tutto quello che ha di verde: vestiti dai
film con Grace Kelly e Audrey Hepburn. Abiti da Charleston dei ruggenti anni ’20.
Oppure vestiti da ballo...» «Ho capito, ho capito» mi interruppe Leslie con voce stridula.
«Mi avevi convinto già a Grace Kelly. Lasciamo perdere quei cavolo di sacchi della
spazzatura. Credi che Madame Rossini sia già sveglia?» «Come sto?» La mamma girò su
se stessa. Da quando aveva ricevuto la telefonata di Mrs Jenkins, la segretaria dei
Guardiani, prima di pranzo, con la richiesta di accompagnarmi a Temple per il mio
appuntamento di trasmigrazione, si era cambiata già tre volte.
«Benissimo» dissi senza in realtà degnarla di un’occhiata. La limousine doveva essere
quasi arrivata. Chissà se sarebbe venuto a prendermi Gideon? Oppure se mi aspettava già
al quartier generale? La serata precedente era
finita
troppo presto. C’erano ancora
tantissime cose che dovevamo dirci.
«Se mi permette, secondo me il completo blu era più indicato» osservò Mr Bernhard che
stava spolverando le cornici dei quadri nell’ingresso con un enorme piumino.
La mamma salì di corsa le scale. «Ha proprio ragione, Mr Bernhard! Questo vestito
sembra troppo studiato. Troppo elegante per un sabato pomeriggio. Chissà che cosa si
potrebbe mettere in mente. Che io mi sia agghindata di proposito per lui.» Ringraziai Mr
Bernhard con un sorriso carico di rimprovero. «Era proprio necessario?» «L’ha chiesto sua
madre.» Gli occhi castani dietro gli occhiali da gufo ammiccarono brevemente verso di me,
poi si voltarono a guardare fuori dalla finestra. «Oh, ecco la limousine. Devo informarli
che ci sarà un lieve ritardo? Infatti sono sicuro che non troverà le scarpe giuste per il
completo blu.» «Ci penso io!» Mi misi in spalla la borsa. «Arrivederci, Mr Bernhard. E, mi
raccomando, tenga d’occhio lei-sa-chi.» «Certo, Miss Gwendolyn. Lei-sa-chi non potrà
nemmeno avvicinarsi a lei-sa-cosa.» Tornò al suo lavoro con un impercettibile sorriso.
Nella limousine non c’era Gideon, bensì Mr Marley, che aveva già aperto la portiera
quando uscii sul marciapiede. La sua faccia da luna piena era torva esattamente come
negli ultimi giorni. Forse persino di più. E non si degnò di rispondere al mio entusiastico:
«Non trova che sia una splendida giornata di primavera?» «Dov’è Mrs Grace Shepherd?»
domandò invece. «Ho l’ordine di accompagnare anche lei a Temple.» «Dal tono sembra
che debba portarla al patibolo» commentai. Se avessi saputo quanto ero andata vicino alla
verità con queste parole, non mi sarei seduta a bordo dell’auto così di buonumore.
Una volta arrivata anche la mamma, il viaggio fino a T emple avvenne in tempi normali,
secondo gli standard del traffico londinese. Trovammo soltanto tre ingorghi e dopo
cinquanta minuti eravamo già arrivati e ancora una volta mi domandai perché non
potevamo prendere la metropolitana.
Al quartier generale trovammo ad accoglierci Mr George. Notai che aveva un’espressione
più seria del solito e il suo sorriso sembrava forzato.
«Gwendolyn, Mr Marley ti accompagnerà di sotto a trasmigrare. Grace, l’aspettano nella
sala del drago.» Rivolsi un’occhiata interrogativa alla mamma. «Che cosa vogliono da te?»
La mamma si strinse nelle spalle, ma era molto tesa.
Mr Marley tirò fuori la benda nera. «Venga, miss» disse. Mi prese per un gomito, ma lo
lasciò subito alla vista della mia espressione. A labbra serrate e con le orecchie rosse
gracchiò: «Mi segua. Oggi abbiamo un programma molto fitto. Ho già programmato il
cronografo».
Rivolsi un ultimo sorriso
incoraggiante alla mamma, poi mi
incamminai verso
il
corridoio dietro Mr Marley. T eneva un’andatura impossibile e come al solito parlava tra
sé mentre camminava. Dietro il primo angolo sarebbe finito addosso a Gideon se questi
non lo avesse evitato con notevole presenza di spirito.
«Buongiorno, Marley» lo salutò disinvolto, mentre Mr Marley, decisamente in ritardo,
faceva un goffo saltino di lato. Anche il mio cuore fece unacapriola, soprattutto quando
vidi comparire sul viso di Gideon un sorriso grande come il delta del Gange orientale
(come minimo!) non appena posò lo sguardo su di me.
«Ciao, Gwenny, dormito bene?» mi domandò affettuoso.
«Che cosa ci fa lei quassù? Dovrebbe essere già da tempo da Madame Rossini per vestirsi»
lo rimbrottò Mr Marley. «Oggi abbiamo tempi molto ristretti e l’operazione tormalina nera
barra zaf...» «Vada pure avanti lei, Marley» disse Gideon educato. «La raggiungo tra
qualche minuto insieme a Gwenny. E poi mi cambierò in un batter d’occhio.» «Lei non è
au...» fece per protestare Mr Marley, ma all’improvviso lo sguardo di Gideon perse ogni
cortesia e diventò così gelido che Mr Marley abbassò la testa. «Non dimentichi di bendarle
gli occhi» disse porgendo a Gideon la benda prima di allontanarsi a passo svelto.
Gideon non aspettò neppure che fosse fuori dalla nostra vista per stringermi a sé e
baciarmi appassionatamente sulla bocca. «Quanto mi sei mancata.» Per fortuna Xemerius
non c’era, quando alitai «anche tu», gettandogli le braccia al collo e ricambiando con
trasporto il bacio. Gideon mi fece appoggiare al muro e ci staccammo solo quando un
quadro cadde per terra di fianco a me. Era un dipinto a olio di un quattro alberi sul mare
in tempesta. Ansimando, cercai di riappenderlo al suo posto.
Gideon mi aiutò. «Ieri sera volevo telefonarti, ma poi ho pensato che tua madre avesse
ragione, avevi proprio bisogno di dormire.» «Già, è vero.» Mi appoggiai di nuovo con le
spalle al muro e gli sorrisi. «Ho saputo che stasera andremo a una festa.» Gideon rise. «Sì ,
un appuntamento a quattro insieme a mio fratello. Raphael ne è rimasto entusiasta,
soprattutto quando ha saputo che l’idea era di Leslie.» Mi accarezzò la guancia con la
punta delle dita. «Non so perché, ma mi ero immaginato il nostro primo appuntamento
un po’ diverso. Ma la tua amica sa essere davvero convincente.» «Ti ha anche informato
che si tratta di una festa in costume?» Gideon si strinse nelle spalle. «Ormai non mi
sconvolge più niente.» Le sue dita scesero verso il mio collo. «Ieri sera avremmo avuto
ancora tantissime cose... hmmm... di cui parlare.» Si schiarì la gola. «Mi piacerebbe sapere
tutto di tuo nonno e come diavolo hai fatto a incontrarlo. O meglio quando. E che cos’è la
storia di quel libro che Leslie teneva in alto come se fosse il santo Graal?» «Oh, Anna
Karenina! T e l’ho portato, anche se Leslie era del parere che dovessimo ancora aspettare
prima di dare per scontato che tu stia dalla nostra parte.» Feci per prendere la borsa, ma
non c’era. Schioccai la lingua contrariata. «Maledizione! La mamma mi ha preso la borsa
quando siamo scese dall’auto.» Da qualche parte risuonò la melodia di Nice guys finish
last. Mi venne da ridere. «Non sarà mica...?» «Hmmm... veramente sì . Non la trovi
adatta?» Gideon pescò il cellulare dalla tasca dei calzoni. «Ora, se è Marley, giuro che
lo... Oh, mia madre.» Sospirò. «Ha trovato un posto in collegio per Raphael e vuole che io
lo convinca ad andarci. La richiamo più tardi.» I l cellulare continuò a suonare.
«Rispondi pure» dissi. «Intanto lo faccio un salto a prendere il libro.» Partii di corsa senza
aspettare la sua risposta. Probabilmente Mr Marley in cantina era fuori di sé per il nervoso,
ma non mi importava niente.
La porta della sala del drago era socchiusa e fin da lontano mi giunse la voce concitata di
mia madre.
«Che cosa sarebbe questo, un interrogatorio? Ho già spiegato le mie ragioni, volevo
proteggere mia figlia e speravo che fosse Charlotte ad avere ereditato il gene. Non c’è altro
da dire al riguardo.» «Si risieda.» Questa era l’inconfondibile voce di Mr Whitman, quella
che usava con gli studenti maleducati.
Ci fu un fruscio di sedie. Un mormorio di voci. Mi avvicinai di soppiatto.
«Ti avevamo avvertita, Grace.» La voce di Falk de Villiers era gelida. Probabilmente la
mamma si stava guardando le scarpe e si chiedeva per quale motivo si fosse data tanta
pena a scegliere l’abito giusto. Mi appoggiai con le spalle al muro accanto alla porta per
poter origliare meglio.
«È stato sciocco da parte sua pensare che non avremmo scoperto la verità.» La voce
scontrosa del dottor White.
La mamma taceva.
«Ieri abbiamo fatto una gita nelle Cotswolds e siamo andati a trovare una certa Mrs
Dawn Heller» riprese Falk. «Questo nome ti dice qualcosa?» La mamma non rispose e
allora lui continuò: «Si tratta della levatrice che ha aiutato Gwendolyn a nascere. Siccome
di recente le hai pagato l’affitto della casa delle vacanze con la tua carta di credito, pensavo
che ti ricordassi meglio di lei».
«Santo cielo, che cosa avete fatto a quella povera donna?» esclamò la mamma di slancio.
«Niente, naturalmente. Ma per chi ci hai preso?» protestò Mr George.
E Mr Whitman, con la voce che grondava sarcasmo, aggiunse: «Però lei credeva che
volessimo praticarle non so che riti satanici. Era in preda all’isteria e continuava a farsi il
segno della croce. Poi, quando ha visto Jake, ha rischiato di svenire per lo spavento».
«Io volevo solo darle un calmante» brontolò il dottor White.
«Alla fine comunque si è calmata e siamo riusciti ad avere un colloquio ragionevole con
lei.» Di nuovo Falk de Villiers. «A questo punto ci ha raccontato un’interessantissima
storia sulla notte in cui Gwendolyn è venuta alla luce. Sembrava quasi una storia del
terrore. Un’onesta levatrice un po’ credulona viene chiamata per assistere una giovane in
preda alle doglie che si è rifugiata in una villetta a schiera di Durham per sfuggire a una
setta satanica. La crudele setta, con la mania di rituali numerologici, non dà la caccia
soltanto alla ragazza, bensì anche al neonato. La levatrice non sa che cosa vogliano fare
alla creatura indifesa, ma la sua immaginazione non ha limiti. Siccome ha un gran cuore e
inoltre le è stata pagata una somma non indifferente – quando ne avrai l’occasione,
potrai spiegarmi dove hai trovato i soldi, Grace – la donna falsifica la data sul
certificato di nascita della bambina dopo aver assistito al parto in casa. E giura di non
averne mai fatto parola con nessuno.» Per qualche momento regnò il silenzio. Poi la
mamma dichiarò in tono quasi sprezzante: «E allora? È proprio quello che vi ho già
raccontato».
«Già, al principio lo credevamo anche noi» disse Mr Whitman. «Ma poi ci siamo imbattuti
in alcuni particolari che non quadravano.» «Nel 1994 tu avevi quasi ventotto anni e, certo,
agli occhi della levatrice saresti potuta passare ancora per una giovane ragazza» spiegò
Falk.
«Ma allora chi era la sorella della partoriente, rossa di capelli e preoccupata, di cui ci ha
parlato Mrs Heller?» «All’epoca era già anziana» disse la mamma sottovoce.
«Probabilmente la memoria le fa brutti scherzi.» «È possibile. Ma non ha avuto nessun
problema a riconoscere la giovane ragazza di allora su una foto» obiettò Mr Whitman.
«La giovane ragazza che quella notte partorì una bambina.» «La foto era di Lucy.» Le
parole di Falk mi colpirono come un pugno allo stomaco. Mentre un silenzio di ghiaccio
piombava sulla sala del drago, le ginocchia mi si piegarono e io scivolai lentamente sul
pavimento.
«È... è un errore» udii bisbigliare dopo un po’ dalla mamma. Un rumore di passi si
avvicinò lungo il corridoio, ma io non ebbi la forza di girare la testa. Quando qualcuno si
chinò sopra di me, mi accorsi che era Gideon.«Che cosa succede?» bisbigliò
accovacciandosi accanto a me.
Io non ero in grado di rispondergli e scrollai in silenzio la testa.
«Un errore, Grace?» La voce di Falk de Villiers era nitida e comprensibile. «La donna ha
riconosciuto anche te su una foto, identificandoti come la presunta sorella maggiore che le
diede una busta con una somma di denaro quasi inconcepibile. E ha riconosciuto anche
l’uomo che teneva la mano di Lucy durante il parto! Mio fratello!» Come se non avessi
ancora compreso perfettamente, aggiunse: «Gwendolyn è figlia di Lucy e Paul!» Mi sfuggì
un gemito, mentre Gideon pallido come un fantasma mi prendeva le mani.
Dentro la sala del drago mia madre scoppiò a piangere.
Solo che non era mia madre.
«Non sarebbe stato necessario, se voi l’aveste lasciata in pace» singhiozzò. «Se non l’aveste
perseguitata con tanta crudeltà.» «Nessuno sapeva che Lucy e Paul aspettavano un
bambino!» esclamò Falk con enfasi.
«Avevano commesso un furto» rincarò la dose il dottor White. «Avevano sottratto il
bene più prezioso della loggia ed erano in procinto di distruggere ciò che era stato creato
con il lavoro di secoli...» «Ma stia zitto» esclamò la mamma. «Avete costretto quei ragazzi
a rinunciare alla loro amata bambina, due giorni soltanto dopo la nascita!» Fu in quel
momento che, non so come, balzai di nuovo in piedi. Non potevo rimanere ad ascoltare
ancora un minuto di più.
«Gwenny!» mi chiamò Gideon ansioso, ma io mi staccai dalle sue mani e scappai di corsa.
«Dove vuoi andare?» Fatti pochi passi mi aveva raggiunto.
«Via da qui!» Accelerai l’andatura. Le porcellane nelle vetrine ai lati del corridoio
tintinnarono piano.
Gideon mi prese per mano. «Vengo con te!» disse. «Non ti lascio sola.» Alle nostre spalle
qualcuno gridò i nostri nomi.
«Non voglio...» singhiozzai. «Non voglio parlare con nessuno.» Gideon mi strinse più forte
la mano. «So dove possiamo andare senza che nessuno ci trovi per le prossime ore. Da
questa parte!»Dai protocolli dell’Inquisizione del frate domenicano Gian Petro Baribi
Archivio della Biblioteca universitaria di Padova (decifrazione, traduzione e commento a
cura del dottor M. Giordano)
27 giugno 1542. A mia insaputa, M. ha incaricato padre Domenico del terzo ordine, un
uomo dalla reputazione assai dubbia, di praticare un esorcismo speciale per liberare la
figlia Elisabetta dalla sua presunta possessione.
Quando mi giunse la notizia di questo nefando proposito, era già troppo tardi. Pur
riuscendo a introdurmi nella cappella dove era in corso l’empio processo, non potei
impedire che alla ragazza venissero somministrate sostanze illecite che la fecero schiumare
dalla bocca, le rivoltarono gli occhi e la fecero parlare in lingue sconosciute, mentre padre
Domenico la spruzzava d’acqua benedetta. A seguito di questo trattamento, che non esito
a definire «tortura», quella stessa notte Elisabetta perse il frutto del suo grembo. Prima
della partenza il padre non manifestò alcun rimorso, bensì estremo trionfo per aver
estirpato il demone. Aveva provveduto a protocollare accuratamente la confessione di
Elisabetta, estorta sotto l’influsso delle sostanze e dei dolori, e l’aveva trascritta come
prova della sua follia.
Ne ho cortesemente rifiutato una copia, il mio resoconto al capo della congregazione
incontrerà comunque incomprensioni, questo è certo. Desidero soltanto che il mio
racconto possa contribuire a far cadere in disgrazia M. presso i suoi protettori, ma non
nutro troppe speranze in proposito.12
Mr Marley aggrottò la fronte quando piombammo nella stanza del cronografo.
«Come mai non le ha bendato gli oc...?» esordì , ma Gideon non lo lasciò parlare.
«Oggi trasmigrerò insieme a Gwendolyn nel 1953» annunciò.
Mr Marley si posò le mani sui fianchi. «Non può farlo» replicò. «Ha bisogno del suo
contingente temporale per l’operazione tormalina nera barra zaffiro. E nel caso l’abbia
dimenticato essa partirà subito.» I l cronografo era sul tavolo di fronte a Mr Marley e le
pietre preziose scintillavano alla luce artificiale.
«Cambiamento di piani» dichiarò Gideon brusco, stringendomi la mano.
«Io non ne so niente! E non le credo.» Mr Marley curvò la bocca indispettito. «L’ultimo
ordine che ho ricevuto prevede chiaramente...» «Provi a telefonare di sopra e a informarsi»
lo interruppe Gideon indicando il telefono a parete.
«È proprio quello che farò!» Mr Marley raggiunse il telefono con le orecchie avvampate.
Gideon mi lasciò e si chinò sul cronografo, mentre io restavo immobile come un
manichino accanto alla porta. Ora che non dovevamo più correre, ero immobile,
paralizzata come un carillon che ha esaurito la carica. Non mi sentivo battere neppure il
cuore. In realtà avrei dovuto avere una ridda di pensieri ad agitarsi nella mia mente, ma
non era così . C’era soltanto un sordo dolore.
«Gwenny, è già tutto pronto per te. Vieni.» Gideon non aspettò che rispondessi alla sua
richiesta, non badò neppure alle proteste di Mr Marley («Non tocchi niente! È compito
mio!»), mi avvicinò a sé, prese la mia mano inerte e infilò con cautela un dito nello
scomparto sotto il rubino. «Ti seguo subito.» «Lei non ha l’autorizzazione di servirsi da
solo del cronografo» brontolò Mr Marley, staccando la cornetta del telefono. «Informerò
subito suo zio che lei viola le regole.» Feci in tempo a vederlo comporre un numero, poi la
sua immagine si disfece in un alone di luce rosso rubino.
Atterrai nella più completa oscurità e avanzai meccanicamente a tentoni nella direzione
dove immaginavo trovarsi l’interruttore della luce.
«Lascia, ci penso io» sentii dire da Gideon che era arrivato silenziosamente dopo di me.
Due secondi più tardi la lampadina appesa al soffitto si accese.
«Hai fatto in fretta» mormorai.
Gideon si voltò verso di me.
«Oh, Gwenny» mormorò con dolcezza. «Quanto mi dispiace!» Vedendo che io non mi
muovevo e non gli rispondevo, mi raggiunse con due falcate e mi abbracciò. Mi fece
appoggiare la testa alla sua spalla, posò il mento sui miei capelli e bisbigliò: «Andrà tutto
bene, te lo prometto. Tornerà tutto a posto».
Non so per quanto tempo restammo così . Forse furono le parole che mi ripeté
instancabile, forse anche il calore del suo corpo che a poco a poco sciolse la mia paralisi. In
ogni caso alla fine riuscii a sussurrare a fior di labbra: «Mia madre... non è mia madre».
Gideon mi accompagnò al divano verde che era al centro della stanza e si mise seduto
accanto a me. «Vorrei tanto averlo saputo» disse corrucciato. «Così avrei potuto avvisarti
in anticipo. Hai freddo? Stai battendo i denti.» Scrollai la testa. Mi appoggiai a lui e chiusi
gli occhi. Per un istante mi augurai che il tempo si fermasse lì , nel 1953 su quel divano
verde, dove non c’erano problemi, interrogativi, menzogne, soltanto Gideon e il suo
confortante calore che mi avvolgeva.
Purtroppo di solito i miei desideri non si realizzavano mai, lo sapevo per esperienza
personale.
Riaprii gli occhi e guardai Gideon di lato. «Avevi ragione» dissi in tono lamentoso.
«Questo davvero è l’unico posto dove nessuno può venirci a disturbare. Ma per te saranno
guai.» «Di sicuro.» Gideon sorrise. «Soprattutto perché ho dovuto... ecco... impedire
piuttosto bruscamente a Marley di strapparmi di mano il cronografo.» I l suo sorriso
per un attimo si fece feroce. «L’operazione tormalina nera e zaffiro dovrà essere rimandata
a un altro giorno. Anche se ora avrei tantissime domande da fare a Lucy e Paul e un
incontro sarebbe proprio utile.» Pensai al nostro ultimo incontro con Lucy e Paul a casa di
Lady Tilney e i denti presero a battermi più forte al ricordo di come Lucy mi aveva
guardato e aveva bisbigliato il mio nome. Mio Dio, e io ero stata all’oscuro di tutto.
«Se Lucy e Paul sono i miei genitori, allora noi siamo parenti?» domandai.
Gideon tornò a sorridere. «È stata la prima cosa che mi sono chiesto anch’io» disse. «Ma
Falk e Paul per me sono lontani cugini, di terzo o quarto grado. Loro sono discendenti di
uno dei gemelli corniola, io dell’altro.» I l mio cervello tornò a mettersi in funzione e ad
elaborare informazioni. All’improvviso mi sentii un grosso groppo in gola. «Prima di
ammalarsi, papà la sera ci cantava sempre qualcosa suonando la chitarra. A me e Nick
piaceva molto» dissi sottovoce. «Ha sempre sostenuto che io avevo preso da lui il mio
talento musicale. E invece non eravamo neppure imparentati. I capelli neri li ho presi da
Paul» singhiozzai.
Gideon tacque, sul volto un’espressione di grande compassione.
«Se Lucy non è mia cugina, bensì mia madre, allora mia madre è... la mia prozia!»
proseguii. «E mia nonna in realtà è la mia bisnonna. E mio nonno non è il nonno, bensì zio
Harry!» Quest’ultimo particolare fece traboccare il vaso. Scoppiai in un pianto dirotto. «Io
non sopporto zio Harry!
Non voglio che sia mio nonno! E non voglio che Caroline e Nick non siano più mio fratello
e mia sorella. Gli voglio così bene.» Gideon mi lasciò piangere per un po’, poi cominciò ad
accarezzarmi i capelli e a mormorare parole di conforto. «Su, Gwenny, non è cambiato
niente. Loro restano esattamente le stesse persone, quale che sia il loro rapporto di
parentela con te.» Io però continuavo a singhiozzare inconsolabile. Non mi accorsi quasi di
come Gideon mi stringeva a sé. Mi cinse con entrambe le braccia e mi strinse forte.
«Avrebbe dovuto dirmelo» riuscii ad articolare con fatica. La maglietta di Gideon era
ormai intrisa delle mie lacrime. «La mamma... avrebbe dovuto dirmelo.» «Forse un giorno
lo avrebbe anche fatto. Ma prova a metterti nei suoi panni: lei ti ama, per questo sapeva
benissimo che la verità ti avrebbe fatto soffrire. Probabilmente non se l’è sentita.» Le
mani di Gideon mi accarezzavano la schiena. «Deve essere stato terribile per tutti: in
particolare per Lucy e Paul.» Le lacrime continuavano a sgorgare copiose dai miei occhi.
«Ma perché mi hanno abbandonata? I Guardiani non mi avrebbero mai fatto niente!
Perché non hanno provato a parlare con loro?» Gideon non rispose subito. «So che ci
hanno provato» disse poi lentamente. «Probabilmente quando Lucy si è accorta di essere
incinta e hanno capito che tu saresti stata il rubino.» Si schiarì la voce.«Però all’epoca non
possedevano ancora prove certe che dimostrassero le loro teorie sul conte. Le loro storie
furono liquidate come infantili scuse per giustificare
i
loro viaggi nel
tempo non
autorizzati. Lo si legge anche negli Annali. Soprattutto il nonno di Marley all’epoca si
indignò terribilmente per il loro comportamento. Secondo le sue annotazioni, Lucy e Paul
avrebbero infangato il nome del conte.» «Ma... il nonno!» La mia mente si rifiutava di
pensare a Lucas come a qualcuno diverso da mio nonno. «Era informato di tutto e in ogni
caso credeva a Lucy e Paul! Perché non ha impedito loro di fuggire?» «Non ne ho idea.»
Gideon alzò le spalle bagnate di lacrime. «Senza prove non avrebbe potuto agire
neppure lui. Non poteva mettere a repentaglio la sua posizione nella cerchia interna.
E chissà se poteva fidarsi di tutti i Guardiani. Non possiamo escludere la possibilità
che all’epoca ci fosse qualcuno a conoscenza dei veri progetti del conte.» Qualcuno che alla
fine ha addirittura ucciso mio nonno. Scrollai la testa. Era troppo per me, ma Gideon non
era ancora giunto al termine della sua teoria.
«Quale che fosse il suo punto di vista, forse tuo nonno ha addirittura appoggiato l’idea di
Lucy e Paul di rifugiarsi nel passato con il cronografo.» Singhiozzai. «Avrebbero potuto
portarmi con loro» dissi. «Prima della mia nascita!» «Per farti nascere nel 1912 e crescerti
sotto falso nome? Pochi anni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale?» Gideon
scrollò il capo.
«Chi ti avrebbe accolto, nel caso fosse accaduto qualcosa a loro? Chi ti avrebbe
accudita?» Mi accarezzò la testa. «Non posso nemmeno immaginare quanto possa far
male venire a sapere una cosa del genere, Gwen. Ma posso capire Lucy e Paul. Potevano
confidare nel fatto che tua madre avrebbe amato e cresciuto al sicuro la loro bambina come
se fosse figlia sua.» Mi morsi il labbro inferiore. «Non lo so.» Mi sollevai a sedere. Ero
esausta. «Non so più niente. Vorrei che il tempo potesse tornare indietro; un paio di
settimane fa forse non ero la ragazza più felice del mondo, ma avevo una vita normale!
Non ero una viaggiatrice nel tempo. Non ero immortale! E soprattutto non ero la figlia
di... di due adolescenti che vivono nel 1912.» Gideon mi sorrise. «Certo, ma vedila in
questo modo: ci sono anche dei risvolti positivi.» Fece scorrere il pollice delicatamente
sotto i miei occhi, forse per togliere le striature di mascara. «Io ti trovo molto coraggiosa.
E... ti amo!» Le sue parole scacciarono il sordo dolore che avevo nel petto. Gli gettai le
braccia al collo. «Puoi ripeterlo, per favore? E dopo puoi baciarmi?
Così dimentico tutto il resto?» Gideon spostò lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra.
«Posso provarci» mormorò.
Gli sforzi di Gideon furono coronati da successo, se così si può dire. Io di sicuro non
avrei avuto niente in contrario a trascorrere il resto della giornata, o se possibile tutta la
vita, tra le sue braccia su quel divano verde nel 1953.
A un certo punto, però, si staccò da me, si sollevò sui gomiti e mi guardò in faccia. «Credo
che sia meglio smettere ora, altrimenti non rispondo delle mie azioni» disse affannato.
Io non risposi. Del resto, non potevo aspettarmi che provasse sensazioni diverse dalle
mie. Solo che io non avrei smesso tanto facilmente.
Valutai se fosse il caso di mostrarmi un po’ offesa. Ma non ebbi il tempo di rifletterci a
lungo, perché Gideon diede un’occhiata all’ora e balzò in piedi di scatto. «Hmmm, Gwen»
disse precipitosamente, «ci siamo. Dovresti sistemarti un po’ i capelli, probabilmente si
sono riuniti già tutti intorno al cronografo per osservarci con ostilità al nostro ritorno.»
Sospirai. «Oddio» esclamai scontenta. «Ma prima dobbiamo ancora parlare di come
procedere da qui in avanti.» Gideon aggrottò la fronte. «Naturalmente l’operazione verrà
rimandata, ma forse posso convincerli a spedirmi nel 1912 per le due ore rimanenti.
Dobbiamo assolutamente parlare con Lucy e Paul.» «Potremmo andarli a trovare insieme
stasera» proposi, anche se l’idea mi fece venire la nausea. Piacere di conoscervi, mamma e
papà.
«Scordatelo, Gwen. Non ti lasceranno mai più venire con me nel 1912, a meno che il conte
non lo ordini espressamente.» Gideon mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi e cercò un
po’ impacciato di lisciarmi i capelli sulla nuca, dove lui stesso aveva affondato le mani.
«Allora è proprio una fortuna che io abbia un altro cronografo a casa» annunciai
con la massima disinvoltura. «Che tra l’altro funziona a meraviglia.» Gideon mi
guardò sgranando gli occhi. «Che cosa?» «Ma dai! Lo sapevi benissimo, altrimenti come
avrei potuto incontrare Lucas?» Mi posai la mano sullo stomaco che già cominciava a fare
le capriole.
«Pensavo che avessi trovato il modo per andarlo a trovare durante la tras...» Gideon si
dissolse davanti ai miei occhi e io lo seguii nel giro di pochi secondi, dopo essermi ancora
sistemata i capelli.
Ero convinta che al nostro ritorno avrei trovato la stanza del cronografo gremita di
Guardiani, tutti in subbuglio per l’audace comportamento di Gideon (in segreto mi
aspettavo pure che Mr Marley avesse un occhio nero e insistesse perché Gideon venisse
ammanettato e arrestato), ma in realtà regnava un assoluto silenzio.
C’erano solo Falk de Villiers e mia madre. Se ne stava rannicchiata su una sedia, si torceva
pateticamente le mani e aveva gli occhi arrossati di lacrime. Sulle guance aveva striature
irregolari di mascara e ombretto.
«Eccovi qua» disse Falk. La sua voce e la sua espressione erano neutre, ma non escludevo
che sotto quella facciata di indifferenza ribollisse di collera. I
suoi occhi d’ambra
rilucevano in maniera singolare. Gideon accanto a me si raddrizzò involontariamente e
sollevò il mento, preparandosi a ricevere una ramanzina.
Io mi affrettai a prendergli la mano. «Non è colpa sua... non volevo trasmigrare da
sola»
sbottai.
«Gideon
non
ha modificato
il
piano
di proposito...» «Calmati,
Gwendolyn.» Falk mi rivolse un sorriso stanco. «In questo momento molte cose non
stanno andando secondo i piani.» Si massaggiò la fronte con la mano e gettò un’occhiata
fugace alla mamma. «Mi spiace molto che tu abbia sentito... che tu sia venuta a saperlo in
questo modo.
Non era certo nostra intenzione che succedesse.» T ornò a guardare la mamma.
«Un’informazione così
importante dovrebbe essere data con le dovute cautele.» La
mamma taceva e si sforzava di trattenere le lacrime. Gideon mi strinse la mano.
Falk sospirò. «Credo che tu e Grace abbiate un sacco di cose di cui parlare. Vi lasciamo da
sole» disse. «Fuori dalla porta c’è un adepto che vi accompagnerà di sopra quando avrete
finito. Vieni, Gideon?» Gideon mi lasciò la mano controvoglia, dandomi un bacio sulla
guancia e sussurrandomi all’orecchio: «Ce la farai, Gwen. E poi parleremo di quello che
hai nascosto a casa».
Dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non tenerlo stretto e implorargli di
restare con me.
Aspettai immobile che lui e Falk fossero usciti dalla stanza e avessero richiuso la porta. Poi
mi voltai verso la mamma e cercai di sorridere.
«Certo che sono davvero meravigliata che ti abbiano fatto entrare nel loro sancta
sanctorum.» La mamma si alzò – vacillando come una donna anziana – e mi rivolse un
sorriso storto. «Mi hanno bendato gli occhi. Per la precisione il tipocon la faccia da luna
piena. Aveva il labbro gonfio e credo che per questo abbia stretto di proposito il nodo. Mi
tirava da morire, ma non ho osato lamentarmi.» «Lo so.» I l labbro gonfio di Mr Marley
non mi faceva troppa compassione. «Mamma...» «So che adesso mi odierai.» La mamma
non mi lasciò parlare. «E posso capirti.» «Mamma, io...» «Mi addolora tantissimo! Non
avrei dovuto permettere che le cose arrivassero a questo punto.» Fece un passo verso di
me e protese le braccia, per poi farle ricadere subito inerti lungo i fianchi. «Ho avuto
sempre tanta paura di questo giorno! Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato, e più
crescevi più lo temevo. Tuo nonno...» Si fermò, fece un profondo respiro e poi riprese,
«mio padre e io avevamo intenzione di dirtelo insieme, quando fossi stata abbastanza
grande da poter capire e accettare la verità».
«Lucas dunque ne era al corrente?» «Certo! È stato lui a far nascondere Lucy e Paul da
noi a Durham ed è stata sua l’idea che io fingessi di essere incinta, così da poter far
passare il neonato – ovvero tu – per mio, in caso di necessità. Lucy si è recata alle visite di
controllo a Durham sotto mio nome. Lei e Paul hanno vissuto quasi quattro mesi da noi,
mentre papà era impegnato a lasciare false tracce per mezza Europa. Era il nascondiglio
perfetto. Nessuno si è interessato della mia gravidanza. La data del parto era dicembre,
quindi tu eri del tutto irrilevante per i Guardiani e la famiglia.» La mamma guardò la
parete oltre di me con occhi velati. «Fino all’ultimo abbiamo sperato che non sarebbe stato
necessario spedire Lucy e Paul nel passato con il cronografo. Ma uno dei detective privati
dei Guardiani aveva cominciato a tenere d’occhio il nostro appartamento...» A quel
ricordo rabbrividì .
«Mio padre riuscì ad avvertirci appena in tempo. Lucy e Paul non ebbero altra scelta,
dovettero scappare, lasciandoti con noi, una neonata con un buffo ciuffo di capelli sulla
testa e due enormi occhi azzurri.» Le lacrime tornarono a scorrerle lungo le guance.
«Abbiamo giurato che ti avremmo protetto, Nicholas e io, e fin dal primo istante ti
abbiamo voluto bene come nostra figlia.» Anch’io avevo ricominciato a piangere senza
rendermene conto. «Mamma...» «Sai, noi non volevamo dei figli. Nella famiglia di
Nicholas c’erano tante malattie e io avevo sempre pensato di non essere il tipo giusto per
fare la mamma. Ma è cambiato tutto quando Lucy e Paul ti affidarono a noi.» Le lacrime
continuavano a scorrerle copiose sulle guance. «Tu ci hai reso così ... felici. Hai ribaltato la
nostra vita e ci hai dimostrato quanto sono meravigliosi i bambini. Se non ci fossi stata
tu, Nick e Caroline non sarebbero mai venuti al mondo.» I singhiozzi le impedivano di
parlare. Io non potei fare altro che rifugiarmi tra le sue braccia.
«È tutto a posto, mamma» cercai di dire, ma dalla mia bocca uscì solo un indistinto
gorgoglio. La mamma sembrò comprendere lo stesso, mi strinse forte tra le braccia e per
un po’ restammo così , senza riuscire a parlare né smettere di piangere.
Durò fino a quando il muso di Xemerius spuntò dal muro e lui esclamò: «Ah, eccoti qua!»
Strizzò il resto del corpo attraverso la parete e volò sul tavolo, da dove rimase a fissarci
incuriosito. «Santi numi! Adesso sono due le fontane da camera! Evidentemente il
modello
fuori produzione Niagara Falls era in saldo.» Mi staccai dolcemente dalla
mamma. «Dobbiamo andare, mamma. Per caso non hai mica un fazzoletto con te?» «Se
siamo fortunate sì !» Rovistò nella borsa e me ne porse uno. «Come mai il mascara non ti è
colato sulle guance?» mi domandò abbozzando un sorriso.
Io mi soffiai rumorosamente il naso. «Temo che sia tutto appiccicato sulla maglietta di
Gideon.» «Mi sembra davvero un ragazzo a posto. Anche se devo metterti in guardia...
questi de Villiers creano solo problemi alle ragazze Montrose.» La mamma aprì l’astuccio
della cipria, si guardò nello specchietto e sospirò. «Oddio, sembro la mamma di
Frankenstein.» «Già, l’unico rimedio è una bella lavata» disse Xemerius. Balzò dal tavolo a
un baule nell’angolo e inclinò la testa di lato. «A quanto pare devo essermi perso un bel
po’ di novità! A proposito, di sopra regna una gran confusione. Ci sono personaggi in
abito scuro dappertutto e Marley, quel vecchio trombone, deve essersi preso una
sonora lezione. E, Gwendolyn, tutti stanno addosso al tuo ragazzo a posto. A quanto
pare ha scombussolato per bene i loro piani. E poi non fa altro che provocarli con quel
sorriso idiota che ha stampato in faccia.» Sebbene non ne avessi alcun motivo, anch’io di
colpo non potei fare altro che sorridere come un’idiota.
La mamma mi guardò oltre il bordo del portacipria. «Mi perdoni?» domandò sottovoce.
«Oh, mamma!» L’abbracciai così forte che lei lasciò cadere tutto quanto. «Ti voglio tanto
bene!» «Per favore!» protestò Xemerius. «Ora non mettetevi a piangere daccapo. C’è già
abbastanza umidità in giro!» «Mi sembra di essere in paradiso» osservò Leslie girando su
se stessa per cogliere appieno l’atmosfera del magazzino dei costumi. I
suoi occhi
vagarono per gli scaffali pieni di scarpe e stivali di tutte le epoche, poi sui cappelli, da lì
sulle file in apparenza interminabili di appendiabiti e infine si posarono di nuovo su
Madame Rossini che ci aveva aperto la porta di questo luogo incantato. «E lei è Dio.»
«Come sei gentile!» Madame Rossini la guardò raggiante, trasformando il gentile in jantile.
«E anche molto carina» aggiunse Raphael. Gideon gli gettò un’occhiata divertita.
Non sapevo come fosse riuscito a ottenere questa concessione da Falk dopo il
pasticcio di questo pomeriggio (forse lo zio di Gideon dopotutto era un agnello travestito
da lupo?), ma in effetti avevamo avuto il permesso ufficiale – insieme a Leslie e Raphael
– di scegliere un travestimento per la festa di Cynthia dal magazzino dei costumi dei
Guardiani sotto la supervisione di Madame Rossini. Ci eravamo incontrati in prima
serata di fronte all’ingresso e Leslie era così esaltata all’idea di poter entrare nel quartier
generale che non riusciva a stare ferma. Sebbene non avesse modo di vedere nessuno degli
ambienti che le avevo descritto, e aveva percorso solo un anonimo corridoio fino al
magazzino, era entusiasta.
«Lo senti?» mi bisbigliò. «C’è odore di enigmi e misteri. Oddio, quanto mi piace!» Arrivata
al magazzino dei costumi, rischiò l’iperventilazione. In altre circostanze anch’io mi sarei
sentita come lei. Finora avevo considerato il laboratorio di Madame Rossini già una specie
di giardino dell’Eden, ma questo ambiente lo superava di gran lunga.
Tuttavia, ormai avevo cominciato a fare una certa abitudine ai vestiti e in quel momento
avevo la testa occupata da altri pensieri.
«Naturalmente non ho realizzato io tutti questi costumi, è la collezione dei Guardiani,
istituita già due secoli fa e ampliata nel corso del tempo.» Madame Rossini ci mostrò un
abito di pizzo leggermente ingiallito e Leslie e io sospirammo incantate. «Molti degli
originali storici sono stupendi da vedere, ma non più utilizzabili per gli attuali viaggi nel
tempo.» Rimise a posto con cura l’indumento. «E anche i costumi realizzati per la
penultima generazione non corrispondono più agli standard richiesti.» «Significa che
tutti questi magnifici abiti sono destinati a restare a marcire qui?» Leslie accarezzò
l’abito di pizzo con un gesto pieno di malinconia.
Madame Rossini si strinse nelle spalle tonde. «Si tratta di prezioso materiale da ammirare,
anche per me. Ma, hai ragione, è un peccato che vengano utilizzati così di rado. Quindi mi
fa ancora più piacere che stasera voi siate qui. Sarete i più belli di questo ballo, mes petits!»
«Non è un ballo, Madame Rossini, è soltanto una noiosissima festa» precisò Leslie.
«Una festa è noiosa solo se lo sono gli ospiti» ribatté Madame Rossini energica.
«Esatto, questo è anche
il mio motto» confermò Raphael
lanciando un’occhiata di
sottecchi a Leslie. «Che ne diresti se ci travestissimo daRobin Hood e Lady Marian? Dopo
tutto sono completamente verdi.» Si calcò in testa un cappellino da donna con una piuma
svolazzante. «Così tutti capirebbero che stiamo insieme.» «Hmmm» fece Leslie.
Madame Rossini saltellò canticchiando allegramente verso gli appendiabiti. «Che
divertimento! Che gioia! Quattro giovani et une fête déguisée, che cosa può esserci di
più bello?» «A me verrebbe in mente un’idea» mi sussurrò Gideon con la bocca vicino al
mio orecchio. «Senti, dovete distrarla per fare in modo che io possa prendere la roba che ci
serve per il nostro viaggio nel 1912.» Alzando la voce disse: «Se possibile, io indosserei
quel coso verde di ieri, Madame Rossini».
Madame Rossini si girò impetuosamente verso di noi. «Quel coso verde di ieri?» ripeté
inarcando le sopracciglia.
«Lui... sì , si riferisce alla giacca verde mare con la fibbia di smeraldo» mi affrettai a
precisare.
«Esatto, e tutte le cianfrusaglie abbinate.» Gideon sorrise condiscendente. «Più verde di
così !» «Cianfrusaglie! Come gettare perle ai porci!» Madame Rossini lanciò le mani in aria,
ma era compiaciuta. «Vediamo, tardo XVI I I
secolo per il piccolo
ribelle. Allora
dobbiamo trovare qualcosa di abbinato per il nostro collo di cigno. T emo di non avere
nessun abito da ballo
verde di quell’epoca...» «L’epoca non conta, Madame Rossini.
Quegli incompetenti alla festa non noterebbero la differenza.» «L’importante è che sembri
antico, sia lungo e vaporoso» aggiunse Leslie.
«Se lo dite voi» disse Madame Rossini per niente convinta. Io e Leslie la seguimmo per il
magazzino, come due cagnolini fedeli attirati da un osso. Gideon scomparve tra gli
appendiabiti, mentre Raphael continuava a provare cappelli da donna.
«Qui abbiamo un sogno di
taffetà di seta verde acceso da Vienna, 1865» annunciò
Madame Rossini guardandoci ammiccante. Con i suoi occhietti e la sua testa senza collo
mi ricordava sempre una tartaruga. «La tinta è perfettamente intonata alla stoffa verde
mare del piccolo ribelle, anche se, da un punto di vista stilistico, è una combinazione
catastrofica. Come se Casanova andasse a un ballo insieme all’imperatrice Sissi, se capite
cosa intendo...» «Come ho detto, la gente stasera non ha la sensibilità per certe finezze»
ripetei. Poi trattenni il fiato quando Madame Rossini tirò fuori il vestito da Sissi. Era
davvero un sogno.
«Ecco, di sicuro è vaporoso!» Leslie scoppiò a ridere. «Se giri su te stessa, farai fuori tutto il
buffet, garantito.» «Provalo, collo di cigno. C’è anche un diadema abbinato. E ora
passiamo a te.» Madame Rossini prese Leslie per un braccio e la condusse verso la fila di
abiti successiva. «Qui abbiamo Haute Couture francese e italiana del secolo scorso. I l
verde non era il colore di moda più in voga, ma di sicuro troveremo qualcosa.» Leslie
stava per dire qualcosa, ma le andò di traverso la saliva alle parole Haute Couture e
cominciò a tossire.
«Posso provare questi buffi pantaloni alla zuava?» domandò Raphael da dietro.
«Certo! Ma stai attento ai bottoni.» Io continuavo a tenere d’occhio Gideon. Si era caricato
sul braccio già un paio di indumenti e mi sorrideva al di là degli appendiabiti.
Madame Rossini non si era accorta del saccheggio in corso. Percorreva beata il reparto
Haute Couture, seguita da una Leslie trafelata.
«Per la petite con le lentiggini, forse...» «...questo!» la interruppe Leslie. «La prego! È
meraviglioso!» «Excuse-moi, ma chèrie. Ma non è verde» obiettò Madame Rossini.
«Be’, quasi!» Leslie sembrava sul punto di scoppiare a piangere per la delusione.
«No, è azzurro ghiaccio» continuò imperterrita Madame Rossini. «Lo indossava Grace
Kelly a un galà per la premiazione di La ragazza di campagna. Naturalmente non questo,
ma è una copia precisa.» «È il vestito più bello che abbia mai visto» alitò Leslie.
«In effetti c’è qualcosa di verde» dissi nel tentativo di sostenerla. «Se non altro turchese
tendente al verde. In pratica verde, con una luce più gialla.» «Hmmm» fece Madame
Rossini indecisa.
Io lanciai un’occhiata a Gideon che si dirigeva inosservato alla porta.
«Tanto non mi starebbe» mormorò Leslie.
«Io credo di sì !» Lo sguardo di Madame Rossini percorse la figura di Leslie dall’alto in
basso e ritorno, poi si spostò assorto a guardare il nulla.
«Voi ragazze avete un vitino così meraviglioso. Zut alors!» Di colpo la sua espressione si
fece feroce. «Giovanotto! Dove vuoi andare con le mie cose?» esclamò.
«Io...» balbettò Gideon spaventato. Era quasi arrivato alla porta.
La tartaruga si trasformò in un elefante incollerito. Raggiunse Gideon con un’agilità che
non avrei mai sospettato in lei. «Che cosa sarebbe?» Gli strappò di mano i vestiti e il suo
accento francese prese il sopravvento. «Volevi forse derubarmi?» «No, certo che no,
Madame Rossini. Volevo solo... ecco... prenderli in prestito.» Gideon assunse
un’espressione contrita che tuttavia non ebbe alcun effetto su Madame Rossini. Osservò i
vestiti tenendoli in alto davanti a sé.
«Che cosa pensavi di farci, ragazzo impossibile? Non sono nemmeno verdi!» Io corsi in
aiuto di Gideon. «La prego, non si arrabbi con noi. Queste cose ci servono per... un viaggio
nel 1912.» Feci una pausa, poi decisi di tentare il tutto per tutto. «Un viaggio segreto,
Madame Rossini.» «Segreto? Nel 1912!» ripeté Madame Rossini. Si strinse gli indumenti al
petto come Caroline il suo porcellino all’uncinetto. «Con questa roba?
È uno scherzo?» Non l’avevo mai vista così arrabbiata. «Questo-è-un-completo-maschiledel-1932» scandì
minacciosa prendendo fiato dopo ogni parola. «E questo vestito
apparteneva a una sigaraia! Se andaste in giro vestiti così nel 1912 rischiereste un
linciaggio.» Si mise le mani sui fianchi. «Possibile che tu non abbia imparato proprio
niente da me, giovanotto? Che cosa dico sempre? Qual è la caratteristica principale di
questi costumi? È la...» «...autenticità» concluse Gideon avvilito.
«Précisément!» Madame Rossini digrignò i denti. «Se proprio volete fare un viaggio
segreto nel 1912, di sicuro non con questa roba! Sarebbe come atterrare in mezzo alla città
con un’astronave.» I suoi occhi lampeggiavano ancora irati mentre passavano da me a
Gideon, poi d’un tratto si mise in movimento e ondeggiò sotto i nostri sguardi allibiti da
un appendiabiti all’altro. Poco dopo tornò da noi con le braccia piene di vestiti e bizzarri
copricapi.
«Bien» disse con una voce che non ammetteva repliche. «Che vi serva di lezione per aver
provato a ingannare Madame Rossini.» Ci porse i vestiti e di colpo il suo viso si trasformò
e fu come se il sole facesse capolino dietro un fronte di nuvoloni carichi di pioggia. «E se
scopro che ilpiccolo cospiratore non ha messo il cappello» minacciò Gideon con il dito
«stavolta Madame Rossini dovrà raccontare a suo zio della sua piccola gita!» Io risi
sollevata e la abbracciai di slancio. «Lei è davvero la migliore, Madame Rossini.» Caroline
e Nick erano seduti sul divano nella stanza da cucito e alzarono gli occhi stupiti quando io
e Gideon entrammo di soppiatto. Ma, mentre sul volto di Caroline compariva un sorriso
raggiante, Nick sembrava piuttosto a disagio.
«Credevo che foste alla festa!» disse mio fratello. Non sapevo con precisione che
cosa gli risultasse più imbarazzante: farsi sorprendere insieme alla sorellina a guardare
un film per bambini, oppure farsi vedere entrambi con indosso già il pigiama, per la
precisione quelli azzurri che zia Maddy aveva regalato loro per Natale. La loro
caratteristica erano i cappucci con le orecchie da coniglio. Io li trovavo davvero carini –
proprio come zia Maddy – ma a dodici anni si vedono le cose in modo diverso. Soprattutto
quando si ricevono visite inaspettate e il ragazzo della sorella porta un giubbotto di pelle
megafigo.
«Charlotte è andata via già da mezz’ora» ci informò Nick. «Zia Glenda le saltellava intorno
come una gallina che ha appena deposto l’uovo. I iiii, no, smettila di sbaciucchiarmi,
Gwenny, sei proprio come la mamma prima. Come mai siete ancora qui?» «Andremo alla
festa più tardi» rispose Gideon mettendosi seduto accanto a lui sul divano.
«Chiaro» commentò Xemerius sdraiato pigramente su un mucchio di numeri arretrati di
Homes & Gardens. «I
tipi tosti arrivano sempre per ultimi.» Caroline fissava Gideon
incantata con occhioni da cerbiatta. «Conosci già Margret?» Gli mostrò il porcellino
all’uncinetto che teneva sulle ginocchia. «Se vuoi puoi accarezzarla.» Gideon ubbidì e
accarezzò Margret sul dorso. «Com’è morbida.» Guardò con interesse lo schermo. «Oh,
siete già arrivati al punto in cui esplode il cannone spara colori? È la scena che
preferisco.» Nick gli lanciò un’occhiata perplessa. «Conosci Trilli?» «Le sue trovate sono
davvero geniali» commentò Gideon.
«Lo penso anch’io» concordò Xemerius. «Solo l’acconciatura è un po’... orrenda.» Caroline
sospirò innamorata. «Sei così carino! Adesso verrai più spesso?» «Temo di sì» rispose
Xemerius.
«Spero di sì» disse Gideon scambiando una breve occhiata con me. Non potei trattenere a
mia volta un sospiro innamorato. Dopo la nostra fortunata visita al magazzino dei costumi
dei Guardiani avevamo compiuto un’altra breve deviazione nello studio del dottor White
e, mentre Gideon prelevava diversi strumenti, a me era improvvisamente venuta un’idea.
«Già che ci siamo, non potresti magari prendere anche un vaccino contro il vaiolo?» «Non
preoccuparti, sei stata vaccinata contro tutte le malattie che potresti contrarre
durante i viaggi nel tempo» aveva risposto Gideon.
«Naturalmente anche contro il variola virus.» «Non è per me, è per un amico» avevo
risposto. «Ti prego! Te lo spiego dopo.» Gideon aveva alzato un sopracciglio, ma aveva
aperto senza fare commenti l’armadietto con i medicinali del dottor White e dopo una
breve ricerca aveva preso una boccetta rossa.
Ora lo amavo ancora di più perché non mi aveva fatto domande.
«Stai attenta ché tra un po’ ti metti a sbavare» osservò Xemerius riportandomi alla realtà.
Io presi dalla zuccheriera la chiave per la botola del tetto. «Da quanto tempo la mamma è a
fare il bagno?» domandai a Nick e Caroline.
«Al massimo un quarto d’ora.» Nick ora era molto più rilassato. «Stasera era un po’ strana.
Continuava a baciarci e a sospirare. Ha smesso solo dopo che Mr Bernhard le ha portato
un whisky.» «Solo un quarto d’ora? Allora dovremmo avere abbastanza tempo. Nel caso
debba tornare qui prima del previsto, per favore non ditele che siamo sul tetto.» «Ok»
assentì Nick, mentre Xemerius si metteva a canticchiare la sua stupida canzoncina «Gidi e
Gwendolyn si baciano sotto il baldacchin.» Lanciai un’occhiata sarcastica a Gideon. «Se
riesci a staccarti da Trilli, potremmo cominciare.» «Per fortuna so già come va a finire.»
Gideon recuperò lo zaino e si alzò.
«A più tardi» ci alitò dietro Caroline.
«Sì , a dopo. Piuttosto che vedervi pomiciare, preferisco continuare a guardare le fate al
lavoro» disse Xemerius. «Dopotutto ho il mio orgoglio di demone da tenere alto e non
vorrei essere tacciato di essere un guardone.» Non badai a lui, ma mi arrampicai per la
stretta scaletta dello spazzacamino e aprii la botola. Era una serata primaverile abbastanza
tiepida, davvero perfetta per stare lassù e per pomiciare. Da lì si godeva un meraviglioso
panorama dei palazzi vicini e a est si vedeva la luna splendere sopra i tetti.
«Dove sei finito?» bisbigliai verso il basso.
La testa riccioluta di Gideon spuntò dall’apertura, seguita dal resto del suo corpo.
«Ora capisco perché questo è il tuo posto preferito» disse posando lo zaino e
inginocchiandosi con cautela.
Non mi ero mai accorta che questo posto possedeva un fascino romantico soprattutto di
notte, con il mare di luci cittadine che si estendeva a perdita d’occhio dietro la decorazione
vittoriana del tetto. La prossima volta magari avremmo fatto un picnic, con comodi cuscini
e candele... e Gideon avrebbe portato il violino... e Xemerius avrebbe avuto il suo giorno
libero.
«Che cos’hai da sorridere così?» domandò Gideon.
«Ma, niente... stavo solo viaggiando con la fantasia.» Gideon fece una smorfia buffa. «Ma
davvero?» Si guardò intorno con attenzione. «Bene. Direi che la rappresentazione può
cominciare.» Io annuii e avanzai cauta verso i comignoli. In questo punto il tetto era piatto,
ma a mezzo metro dalle canne fumarie cominciava lo spiovente, separato da una
ringhiera in ferro battuto alta fino al ginocchio. (Immortale o no, una caduta da quattro
piani non era proprio la mia idea di passatempo ideale.)
Aprii lo sportello di aerazione del camino anteriore più grande.
«Perché proprio quassù, Gwenny?» sentii chiedere da Gideon alle mie spalle.
«Charlotte soffre di vertigini» spiegai. «Non si azzarderebbe mai a salire sul tetto.» Estrassi
il pesante fagotto dal camino e lo tenni in equilibrio.
Gideon mi fu accanto con un balzo. «Non farlo cadere!» esclamò nervoso. «Per favore!»
«Non preoccuparti.» Mi venne da ridere per quanto era spaventato. «Guarda, riesco a
stare anche su una gamba sola...» Gideon lanciò una specie di gemito soffocato. «Non c’è
da scherzare con queste cose, Gwenny» ansimò. Evidentemente le lezioni di mistero
avevano avuto su di lui un effetto più profondo di quanto credessi. Mi prese il fagotto
dalle braccia e lo cullò come un neonato. «È proprio...»cominciò.
Alle nostre spalle avvertii una corrente d’aria fredda. «Ma no, che dici» ridacchiò
Xemerius infilando la testa nell’apertura. «È solo una vecchia forma di pecorino che
Gwendolyn conserva quassù nel caso le venga fame di notte.» Alzai gli occhi al cielo e gli
feci segno di sparire, cosa che sorprendentemente fece. Con ogni probabilità Trilli era
troppo emozionante.
Nel frattempo Gideon aveva posato il cronografo sul tetto e aveva cominciato a sfogliare
gli strati di stoffa.
«Lo sai che Charlotte ci ha chiamato all’incirca ogni dieci minuti per cercare di convincerci
che tu eri in possesso di questo cronografo? Alla fine persino Marley si è spazientito.»
«Che peccato» commentai. «E pensare che sembrano fatti l’uno per l’altra.» Gideon annuì .
Poi tolse anche l’ultimo strato di tessuto e soffocò un grido.
Io accarezzai cauta il legno levigato. «Eccolo qui.» Gideon rimase in silenzio per un istante.
Anzi, un istante piuttosto lungo a pensarci bene.
«Gideon?» domandai alla fine perplessa. Leslie mi aveva pregato di aspettare ancora
qualche giorno, per avere l’assoluta certezza di poterci fidare di lui, ma io avevo scartato
l’idea.
«Io non le ho creduto» bisbigliò Gideon alla fine. «Non le ho creduto neppure per un
secondo.» Mi guardò e nel buio i suoi occhi erano molto scuri. «Capisci che cosa
succederebbe se qualcuno venisse a sapere questa cosa?» Evitai di precisargli che già un
sacco di persone ne erano al corrente. Ma forse dipendeva dal fatto che Gideon aveva
un’espressione così sconcertata che cominciai ad avere paura anch’io. «Vogliamo farlo
davvero?» domandai, provando una sensazione di malessere allo stomaco che stavolta
non c’entrava niente con un imminente viaggio nel tempo.
I l fatto che mio nonno avesse inserito il mio sangue nel cronografo era una cosa. Ma
quello che volevamo fare ora era tutt’altra. Avremmo completato il cerchio di sangue e le
conseguenze erano imprevedibili. Per usare un eufemismo.
Ricapitolai mentalmente tutte le profezie orribilmente rimate che terminavano con
cambiamento e tormento, aggiunsi
in
tutta
fretta un paio di dettagli con morte e
malasorte. I l fatto di essere immortale non mi consolava affatto.
Stranamente, fu proprio la mia indecisione a strappare Gideon dalla sua momentanea
paralisi. «Se vogliamo farlo?» Si chinò in avanti e mi diede un bacio sul naso. «Me lo
chiedi sul serio?» Si tolse la giacca e tirò fuori dallo zaino la provetta che avevamo rubato
nello studio del dottor White. «Ok, partiamo.» Per prima cosa si legò un elastico
all’avambraccio sinistro. Poi prese una siringa sterile e mi sorrise. «Infermiera?» disse in
tono autoritario.
«Torcia!» Io
illuminandogli
feci una smorfia. «Si può
fare anche così , naturalmente»
ribattei
l’incavo del gomito. «Tipico atteggiamento da studenti di medicina!»
«Sbaglio o sento un velo di disprezzo nella tua voce?» Gideon mi lanciò un’occhiata
divertita. «Tu come hai fatto?» «Ho usato un coltello da cucina giapponese» spiegai con un
certo vanto. «E il nonno ha raccolto il sangue in una tazza da tè.» «Capisco. La ferita che
avevi al polso» disse di colpo non più divertito. Poi si infilò l’ago sotto la pelle e il sangue
cominciò a fluire nella cannula.
«Sei sicuro di sapere esattamente quello che devi fare?» domandai, indicando con il
mento il cronografo. «Quell’aggeggio ha così tanti scomparti e cassettini diversi che si
corre il rischio di girare le rotelle sbagliate...» «Studio del cronografo è una delle materie
d’esame quando si ottiene il grado di adepto e non è da molto che io l’ho superato.»
Gideon mi porse la provetta con il suo sangue e si tolse il laccio dal braccio.
«Viene da chiedersi dove hai trovato il tempo di guardare pure capolavori cinematografici
come Trilli.» Gideon scrollò la testa. «Potresti anche mostrarmi un po’ più di rispetto, sai.
Dammi la provetta e rivolgi la torcia verso il cronografo. Sì , così .» «Ogni tanto potresti
anche ricordarti di dire un grazie» osservai mentre Gideon faceva gocciolare il suo sangue
nel cronografo. Diversamente da Lucas, le sue mani non tremavano affatto. Forse un
giorno sarebbe diventato un ottimo chirurgo.
Io mi mordevo nervosa il labbro inferiore.
«E altre tre gocce qui sotto la testa di leone» mormorò Gideon concentrato. «Poi bisogna
ruotare questa rotella e spostare la leva. Ecco fatto.» Posò la provetta e io istintivamente
spensi la torcia.
Diversi ingranaggi all’interno del cronografo cominciarono a ruotare, tra schiocchi,
scatti e ronzii, proprio come l’ultima volta. Poi il rumore aumentò e il ronzio diventò
quasi come una melodia. Un’ondata di calore ci colpì in faccia e io mi aggrappai al braccio
di Gideon, come se mi aspettassi una ventata che ci facesse volare via dal tetto. Invece
tutte le pietre sul cronografo si illuminarono l’una dopo l’altra, l’aria si mise a vibrare e,
se dapprincipio sembrava che all’interno del cronografo fosse scoppiato un incendio, di
colpo la temperatura si abbassò. La luce tremolante si spense e gli ingranaggi si
fermarono di nuovo. I l tutto era durato meno di mezzo minuto.
Mi staccai da Gideon e mi accarezzai i peli che mi si erano rizzati sul braccio. «Tutto qui?»
Gideon fece un profondo respiro e protese la mano. Questa volta vidi che gli tremava.
«Ora vedremo» disse.
Tirai fuori dalla tasca un’altra delle provette che avevamo sottratto al dottor White e
gliela porsi. «Fai attenzione. Se si
tratta di una polvere, basterebbe una ventata per
spazzarla via.» «Forse non sarebbe poi tanto negativo» mormorò Gideon. Si voltò verso di
me. I suoi occhi luccicavano. «Vedi? Sotto la stella a dodici punte si compie la profezia.»
Me ne infischiavo della stella a dodici punte. Preferivo affidarmi alla mia torcia.
«Avanti, sbrigati» dissi impaziente, sporgendomi. Gideon tirò fuori il minuscolo
cassettino.
Lo ammetto, rimasi delusa. Per qualche motivo, dopo tutti quei discorsi sui misteri e sui
segreti, ero terribilmente delusa. Nel cassetto non c’era né un liquido come mi aveva
pronosticato Leslie («Di sicuro rosso come il sangue» aveva detto spalancando gli occhi)
né una polvere né una pietra di qualche tipo.
Era una sostanza simile a sale. Un sale molto bello, a guardare bene, formato da minuscoli
cristalli opalescenti.
«È pazzesco» bisbigliai. «È inconcepibile che si siano dati tanto da fare da secoli per queste
poche briciole.» Gideon posò la mano sopra il cassettino per proteggerlo. «L’importante è
che nessuno sappia che siamo in possesso di queste briciole» disse ansimando.
Io annuii. Nessuno a parte quelli che lo sapevano già. Stappai la provetta. «Per favore,
spicciati!» sibilai. All’improvviso ebbi la visione di Lady Arisa, che a quanto ne sapevo
non aveva paura di niente e nessuno e men che meno soffriva di vertigini, che si affacciava
dalla botola e ci strappava di mano la boccetta.
Anche Gideon sembrava pensare qualcosa del genere, perché versò senza troppe
cerimonie i granelli nella provetta e la richiuse. Ricominciò a respirare solo quando se la fu
infilata in tasca.
Proprio in quel momento mi venne in mente un’altra cosa. «Adesso che il cronografo ha
compiuto il suo dovere, forse non funziona più» dissi.«Lo vedremo» ribatté Gideon
sorridendomi. «Direi che possiamo provare con il 1912.»13
«Merda, temo di essermi seduto su quel maledetto cappello» mormorò Gideon accanto a
me.
«Smettila di dire parolacce, se no ci cadrà il soffitto in testa!» sibilai. «E se non ti metti il
cappello lo dirò a Madame Rossini!» aggiunsi con accento francese.
Xemerius scoppiò in una fragorosa risata. Questa volta non c’era stato verso di impedirgli
di accompagnarci. «Quel cappello non gli servirà a niente! Con la sua pettinatura, tutti nel
1912 penseranno che sia un cercatore d’oro. Avrebbe almeno potuto farsi la riga da una
parte.» Udii Gideon che imprecava di nuovo sottovoce, stavolta perché aveva
picchiato un gomito. Non era affatto agevole cambiarsi in un confessionale, e io ero
sicura che si trattasse di un terribile sacrilegio usare un luogo simile come spogliatoio.
Senza considerare poi che di sicuro era punibile anche con un castigo terreno introdursi
senza permesso in una chiesa non per rubare qualcosa, bensì per usarla come punto di
partenza per un salto temporale nel 1912. Gideon aveva forzato la porta laterale con un
gancio metallico, tanto in fretta che non avevo neppure avuto il tempo di preoccuparmi.
«Santi numi!» aveva esclamato Xemerius molto ammirato. «Dovrebbe insegnarlo
anche a te. In due saremmo un’imbattibile squadra di scassinatori. Praticamente
immortali.» Si trattava della stessa chiesa in cui ci eravamo conosciuti io e Xemerius e dove
Gideon mi aveva baciato per la prima volta. Sebbene non fosse
abbandonarmi
a
nostalgici
ricordi,
avevo
l’impressione
che
il momento
quegli
di
eventi
appartenessero a un passato ormai remoto, soprattutto alla luce di ciò che era accaduto
in seguito. In realtà erano trascorsi solo pochi giorni.
Gideon bussò alla porta da fuori. «Sei pronta?» «No. Purtroppo all’epoca non erano ancora
state inventate le chiusure lampo» dissi mentre tentavo disperatamente di allacciare tutti i
bottoni sulla schiena che non riuscivo a raggiungere neppure con le contorsioni più
acrobatiche.
Uscii dal confessionale. Chissà se il mio cuore un giorno avrebbe smesso di palpitare più
forte ogni volta che vedevo Gideon. O se prima o poi avrei smesso di avere la sensazione
di essere accecata quando lo guardavo. Probabilmente no. E pensare che al momento
attuale lui indossava un abito grigio scuro del tutto anonimo con panciotto e camicia
bianca. Ma tutto gli stava alla perfezione, e le sue spalle...
Xemerius, che si dondolava a testa in giù dal pulpito, si schiarì la gola. «C’era una volta
una pecorella, che tutto guardava brava e bella...» «Davvero carino» mi affrettai a dire.
«Un eccezionale completo da boss della mafia. I l nodo alla cravatta è perfetto. Madame
Rossini sarebbe fiera di te.» Tornai a dedicarmi con un sospiro ai miei bottoni. «Secondo
me avrebbero dovuto fare santo l’inventore della chiusura lampo.» Gideon sogghignò.
«Girati e lascia fare a me» disse. «Oddio» esclamò poi allibito, «ma sono centinaia.»
Impiegò diverso tempo ad allacciare tutti i bottoncini, forse anche a causa del fatto che
ogni due asole si fermava a baciarmi il collo. Di sicuro l’avrei apprezzato molto di più se
Xemerius non avesse esclamato a ogni bacio: «Smack, smack, smack!» Alla fine fummo
pronti. Madame Rossini aveva scelto per me un vestito grigio chiaro accollato con il
colletto di pizzo. La gonna era un po’ troppo lunga e così inciampai al primo passo e sarei
finita lunga per terra se Gideon non mi avesse sorretto.
«La prossima volta me li metterò io i calzoni» protestai. Gideon rise e fece per baciarmi di
nuovo, ma siccome Xemerius si mise a gridare: «Nooo, di nuovo!» lo respinsi con
dolcezza.
«Non abbiamo più tempo» dissi. E poi due metri sopra di noi c’è appesa una creatura con
le ali da pipistrello che fa smorfie spaventose.
Lanciai un’occhiata rabbiosa a Xemerius.
«Che cosa c’è?» ribatté lui. «Pensavo che questa fosse una missione importante, non un
incontro amoroso. Dovresti essermi riconoscente.» «Non direi proprio» ringhiai io.
Gideon intanto era corso verso il coro e si era inginocchiato davanti al cronografo. Dopo
lunghe riflessioni avevamo deciso di sistemarlo sotto l’altare, nella speranza che nessuno
lo scoprisse durante la nostra assenza, a meno che in quella chiesa la donna delle pulizie
non lavorasse il sabato sera.
«Farò la guardia io» promise Xemerius. «Se qualcuno venisse per rubare quel coso, io gli...
hmmm... sputerò senza pietà.» Gideon mi prese la mano. «Pronta, Gwenny?» Lo guardai
negli occhi e il cuore mi fece una capriola. «Quando vuoi» risposi sottovoce.
Non feci in tempo a sentire le parole (certo sarcastiche) di Xemerius, perché l’ago mi
penetrò il dito e io fui trascinata via da ondate di luce rosso rubino.
Poco dopo mi risollevai. La chiesa era vuota e silenziosa proprio come alla nostra epoca.
Speravo quasi di trovare Xemerius appeso al pulpito e insieme lo temevo. Nel 1912 dopo
tutto era già in giro.
Gideon atterrò di fianco a me e mi prese subito per mano. «Vieni, dobbiamo sbrigarci!
Abbiamo solo due ore e scommetto che non basteranno neppure per un decimo delle
domande che abbiamo.» «E se Lucy e Paul non venissero da Lady Tilney?» domandai e
subito i denti cominciarono a battermi per l’ansia. Non riuscivo ancora a immaginarmeli
come miei genitori. Se parlare con la mamma era stato difficile, come sarebbe andata con
loro, che erano dei perfetti sconosciuti?
Quando uscimmo dalla chiesa pioveva a dirotto. «Fantastico» commentai e all’improvviso
avrei dato qualunque cosa per uno degli antiquati cappelli di Madame Rossini. «Non
avresti potuto leggere le previsioni del tempo prima?» «Figurati. È solo un breve
temporale estivo» ribatté Gideon trascinandomi con sé. Arrivati a Eaton Place il temporale
estivo ci aveva infradiciati fino all’osso. Si può dire che suscitavamo un certo
scalpore, perché tutti gli altri passanti che incontravamo erano armati di ombrello e
ci lanciavano occhiate cariche di compatimento.
«Per fortuna non siamo ammattiti cercando di acconciarci i capelli secondo la moda
dell’epoca» dissi quando arrivammo davanti alla porta di Lady Tilney. Mi scostai nervosa
i capelli che mi si erano appiccicati al viso. Continuavo a battere i denti.
Gideon suonò il campanello e mi strinse più forte la mano.
«Non so perché, ma ho una strana sensazione» bisbigliai. «Siamo ancora in tempo per
sparire. Forse sarebbe meglio riflettere prima con calma sull’ordine in cui fare le nostre
domande...» «Shhhh» mi zittì Gideon. «Va tutto bene, Gwenny. Ci sono io con te.» «Sì , tu
sei con me» dissi, poi lo ripetei come un mantra. «Tu sei con me tu sei con me tu sei con
me.» Come la volta precedente, ci aprì il maggiordomo con i guanti bianchi. La sua
espressione era apertamente ostile.«Mr Millhouse, presumo?» Gideon sorrise educato. «Se
volesse usarci la cortesia di annunciare la nostra visita a Lady Tilney. Miss Gwendolyn
Shepherd e Gideon de Villiers.» I l maggiordomo esitò un istante. «Aspettate qui» disse,
poi ci chiuse la porta in faccia.
«Ma guarda, Mr Bernhard non si sarebbe mai permesso un gesto del genere» dissi
indignata. «Già, ma forse pensa che tu abbia di nuovo una pistola con te e voglia togliere il
sangue alla sua padrona. Non può sapere che Lady Lavinia ti ha rubato la pistola. Sai,
continuo a chiedermi come ci sia riuscita. Voglio dire, che cosa diavolo può aver fatto per
distrarti a quel modo? Se dovesse capitarmi di incontrarla di nuovo, glielo chiederò, anche
se in tutta sincerità non sono sicura di volerlo sapere. Oddio, ecco che parlo di nuovo a
ruota libera, è sempre così quando sono agitata, non credo che ce la farò a incontrarli,
Gideon. Mi manca l’aria, ma forse può dipendere dal fatto che non respiro, anche se
la cosa non è importante dal momento che sono immortale.» A questo punto la mia voce
assunse un tono isterico, ma io proseguii senza fermarmi. «Facciamo un passo indietro,
perché quando la porta si aprirà la prossima volta può darsi che questo Millhouse ti rifili
un pugno in...» La porta si aprì di nuovo.
«...faccia» riuscii a concludere frettolosamente.
I l massiccio maggiordomo ci rivolse un cenno. «Lady Tilney vi aspetta di sopra nel
salottino» annunciò impettito. «Prima devo perquisirvi per accertarmi che siate
disarmati.» «Se è proprio necessario!» Gideon spalancò le braccia e si lasciò tastare da
Millhouse.
«A posto, potete salire» annunciò infine il maggiordomo.
«E io?» domandai perplessa.
«Tu sei una signora, e le signore non portano armi.» Gideon mi sorrise, mi prese per mano
e mi portò con sé su per le scale.
«Che scemenze!» Lanciai un’occhiata a Millhouse che ci seguiva a qualche passo di
distanza. «Solo perché sono una donna, lui non ha paura di me? Allora dovrebbe guardare
Tomb Raider! Potrei avere una bomba atomica nascosta sotto il vestito e una granata a
mano nelle coppe del reggiseno. Mi sembra che questo atteggiamento sia davvero
sessista.» Sarei andata ancora avanti a parlare, ininterrottamente, fino al tramonto, ma in
cima alle scale ci aspettava Lady Tilney, dritta e sottile come una candela. Era proprio una
bella donna, nemmeno il suo sguardo di ghiaccio poteva cambiare questo fatto. Avrei
voluto sorriderle, ma costrinsi le mie labbra a tornare indietro a metà strada. Nel 1912
Lady Tilney incuteva decisamente più timore che in seguito, quando avrebbe scoperto
l’hobby di realizzare porcellini all’uncinetto. Di colpo mi resi conto che non erano
impresentabili solo le nostre acconciature, ma anche il mio vestito che mi cadeva addosso
come un sacco bagnato. Mi domandai fugacemente se all’epoca fosse già stato inventato il
phon.
«Di nuovo voi» disse Lady Tilney rivolta a Gideon con una voce gelida quanto il suo
sguardo. Solo Lady Arisa poteva superare questo tono.
«Siete davvero caparbio. In occasione della vostra ultima visita dovreste aver capito che
non vi darò mai il mio sangue.» «Non siamo qui per il vostro sangue, Lady Tilney» replicò
Gideon. «Quella ormai è cosa...» si schiarì la voce. «Ci piacerebbe parlare di nuovo con voi
e Lucy e Paul. Questa volta senza... equivoci.» «Equivoci!» Lady Tilney incrociò le braccia
sul petto rivestito di pizzo. «L’ultima volta non vi siete comportato proprio bene,
giovanotto, e avete dimostrato una temibile propensione alla violenza. Inoltre al
momento non conosco il luogo dove si trovano Lucy e Paul, quindi mi sarebbe
impossibile aiutarvi in ogni caso.» Fece una breve pausa, posando gli occhi su di me.
«Credo tuttavia che si possa organizzare un colloquio.» La sua voce si scaldò di mezzo
grado. «Magari solo con Gwendolyn e naturalmente in un altro mo...» «Non vorrei
sembrare scortese, ma di certo vi rendete conto che il nostro tempo è molto limitato» la
interruppe Gideon salendo insieme a me gli ultimi gradini. I l mio abito cominciò a
gocciolare sul prezioso tappeto. «So anche che attualmente Lucy e Paul dimorano presso
di voi, quindi vi prego di chiamarli. Vi prometto che questa volta mi comporterò bene.»
«Non è...» cominciò a dire Lady Tilney, ma in quel momento una porta si aprì
in
sottofondo e poco dopo una graziosa ragazza comparve accanto a lei.
Lucy.
Mia madre.
Strinsi più
forte
la mano di Gideon, mentre
fissavo Lucy e stavolta cercavo di
memorizzare ogni particolare del suo aspetto. I capelli rossi, il delicato incarnato di
porcellana e i grandi occhi azzurri erano innegabilmente caratteri comuni a tutte le donne
Montrose, ma io cercavo soprattutto analogie con me stessa. Quelle erano le mie orecchie?
Non avevo forse lo stesso naso? E l’arco delle sopracciglia non era forse simile al mio?
Anch’io aggrottavo la fronte in quel modo quando mi concentravo?
«Ha ragione lui, non dovremmo perdere altro tempo, Margret» disse Lucy piano. La
voce le tremava leggermente e io mi sentii stringere il cuore. «Vorreste essere tanto
gentile da andare a chiamare Paul, Mr Millhouse?» Lady Tilney sospirò, ma annuì di
fronte all’occhiata interrogativa del maggiordomo. Mentre Mr Millhouse ci superava per
salire al piano di sopra, Lady Tilney disse: «Vorrei ricordarti che l’ultima volta lui ti ha
puntato una pistola alla nuca, Lucy».
«Mi rincresce davvero molto averlo fatto» disse Gideon. «Viceversa... fui costretto dalle
circostanze dell’epoca.» Rivolse un’occhiata eloquente a Lucy. «Nel frattempo tuttavia
siamo giunti in possesso di informazioni che ci hanno fatto cambiare idea.» Come l’aveva
detto bene. Sentivo il bisogno di dire anch’io qualcosa di intelligente per sostenere il
dialogo. Ma che cosa?
Mamma, so chi sei, abbracciami?
Lucy, ti perdono per avermi abbandonata. Ora niente e nessuno ci potrà più separare?
Dovevo avere emesso qualche buffo gemito, che Gideon interpretò correttamente come il
principio di un attacco isterico. Mi cinse le spalle con un braccio e mi sostenne appena in
tempo, perché le mie gambe all’improvviso non sembravano più in grado di sorreggere il
peso del mio corpo.
«Potremmo accomodarci nel salottino?» propose Lucy.
Ottima idea. Se non ricordavo male, lì avrei potuto sedermi.
Nell’accogliente stanza circolare questa volta il tavolo da tè non era apparecchiato,
ma il resto era identico all’ultima volta, a parte la composizione floreale che da rose
bianche era cambiata a delphinium e violacciocche. Nel bovindo affacciato sulla
strada erano sistemate delicate seggiole e poltroncine.
«Accomodatevi» disse Lady Tilney.
Io mi lasciai cadere su una sedia rivestita di chintz, ma gli altri rimasero in piedi.
Lucy mi sorrise. Fece un passo verso di me come se volesse accarezzarmi la testa. Io
balzai in piedi di scatto. «Mi spiace che siamo così bagnati. Non avevamo l’ombrello»
balbettai.
I l sorriso di Lucy divenne più convinto. «Come dice sempre Lady Arisa?» Venne da
sorridere anche a me. «Bambina, non sgocciolarmi sull’imbottitura buona!» esclamammo
in coro. L’espressione di Lucy cambiò di colpo. Ora sembrava sul punto di piangere.
«Farò preparare del tè» disse Lady Tilney energica, afferrando un campanello. «Tè alla
menta con molto zucchero e limone caldo.»«No, per favore!» Gideon scrollò la testa
avvilito. «Non abbiamo tempo. Non so se abbiamo scelto il momento esatto, ma spero
ardentemente che, dal vostro punto di vista, l’incontro tra me e Paul nel 1782 sia già
avvenuto.» Lucy, che aveva ritrovato il controllo, annuì lentamente e Gideon sospirò
sollevato. «Allora sapete di avermi lasciato gli scritti segreti del conte.
Abbiamo impiegato un po’ di tempo per capire tutto, ma adesso sappiamo che la pietra
filosofale non rappresenta una panacea per l’umanità, bensì la possibilità per il conte
soltanto di ottenere l’immortalità.» «E anche che la sua immortalità avrà termine
nell’istante in cui Gwendolyn vedrà la luce?» sussurrò Lucy. «Per questo cercherà di
ucciderla non appena il cerchio sarà completato?» Gideon annuì , e io lo guardai irritata.
Avevamo discusso troppo poco di questo particolare. Ma non sembrava il momento
adatto per rimarcarlo, perché lui aggiunse subito: «Voi avete sempre cercato di proteggere
Gwendolyn».
«Visto, Lucy? T e lo avevo detto, io.» Sulla porta era comparso Paul. Aveva un braccio al
collo e mentre avanzava nel salottino i suoi occhi dorati passavano da Gideon, a Lucy, a
me.
Io trattenni il fiato. Aveva solo un paio d’anni più di me e in circostanze normali lo avrei
trovato di una bellezza inaudita, con i capelli nerissimi, i particolari occhi dei de Villiers e
la fossetta sul mento. Certo le basette non gli donavano, ma probabilmente andavano di
moda all’epoca. Fatto sta che non sembrava affatto mio padre, né tantomeno un padre in
generale.
«A volte vale
la pena attribuire un po’ di
fiducia preventiva alle persone» disse
guardando Gideon dalla testa ai piedi. «Anche a dei piccoli farabutti come questo.» «A
volte capita anche di avere una fortuna sfacciata» lo rimproverò Lucy. Anche lei si
rivolse a Gideon. «Ti ringrazio davvero tanto di aver salvato la vita di Paul» disse con
grande dignità. «Se non ti fossi trovato per caso a passare di là, a quest’ora sarebbe
morto.» «Non essere sempre così tragica, Lucy.» Paul fece una smorfia. «Me la sarei
cavata comunque, in un modo o nell’altro.» «Sì , certo» confermò Gideon sogghignando.
Paul aggrottò la fronte, poi sorrise a sua volta. «D’accordo, lo ammetto, forse non ce
l’avrei
fatta. Questo Alastair è un subdolo bastardo e maledettamente bravo come
spadaccino. E poi erano in tre! Se dovesse capitarmi di incontrarlo di nuovo...» «Direi che è
molto improbabile» mormorai e, quando Paul mi guardò con aria interrogativa, spiegai:
«Gideon lo ha inchiodato alla parete con una spada nel 1782 e, se Rakoczy lo ha trovato in
tempo lì , sono sicura che non è sopravvissuto a quella serata.» Lady Tilney si lasciò cadere
su una sedia. «Inchiodato alla parete con una spada!» ripeté. «Che barbarie.» «Quello
psicopatico non meritava altro.» Paul posò una mano sulla spalla di Lucy.
«Certamente no» concluse Gideon sottovoce.
«Sono davvero sollevata» disse Lucy con lo sguardo fisso su di me. «Ora che sapete che il
conte ha intenzione di uccidere Gwendolyn quando il cerchio sarà completato, bisogna
impedirlo a ogni costo!» Paul voleva aggiungere qualcosa, ma lei glielo impedì . «Quei
documenti dovrebbero permettere al nonno di convincere i Guardiani che avevamo
ragione noi e che il conte non ha mai avuto a cuore il benessere dell’umanità, bensì solo il
proprio. E questi idioti dei Guardiani, soprattutto quel disgustoso Marley, non potranno
più far finta che le prove non esistano. Col cavolo che abbiamo infangato l’immagine del
conte di Saint Germain! Quello non era nemmeno un vero conte, bensì un mascalzone
qualsiasi. Ah, come sono sollevata, l’ho già detto, ma è vero!» Fece un profondo respiro
dando l’impressione di voler continuare a parlare per ore, ma Paul approfittò di quella
pausa e l’abbracciò.
«Visto, principessa? Tutto andrà bene» bisbigliò teneramente e, sebbene quelle parole non
fossero dirette a me, fecero traboccare lo stesso il vaso. In senso letterale. Infatti, per
quanto mi sforzassi, non fui più in grado di trattenere le lacrime.
«Non è vero» sbottai senza più pensare all’imbottitura buona. Mi buttai sulla prima sedia
disponibile. «Non andrà tutto bene. I l nonno è morto da sei anni e non può più aiutarci.»
Lucy si inginocchiò davanti a me. «Non piangere» mi disse disperata. Intanto lo faceva
anche lei. «Cara, non devi piangere così , non fa bene...» singhiozzò. «Davvero è morto?»
domandò con aria inconsolabile. «I l cuore, vero? L’avevo sempre detto che non doveva
mangiare di nascosto la torta alla crema...» Paul si chinò verso di noi con l’aria di volersi
mettere a piangere anche lui.
Fantastico. Mancava solo Gideon e poi avremmo fatto concorrenza al temporale estivo.
Fu Lady Tilney che evitò il peggio. Tirò fuori due fazzoletti dalla tasca della gonna, ne
porse uno a me e l’altro a Lucy e disse con un tono che somigliava
in
maniera
stupefacente a quello di Lady Arisa: «Avrete tempo per piangere più tardi,
bambine. Ora controllatevi. Dobbiamo concentrarci. Chissà quanto tempo ci rimane
ancora».
Gideon mi accarezzò le spalle. «Ha ragione lei» bisbigliò.
Tirai su con il naso e poi mi venne da ridere quando sentii Lucy che si soffiava
rumorosamente il naso. C’era da sperare che non avessi preso quell’abitudine da lei.
Paul si avvicinò alla finestra e guardò verso la strada. Quando si voltò la sua espressione
era tornata neutra. «Giusto. Andiamo avanti.» Si grattò un orecchio. «Dunque, sappiamo
che lui non ci può più aiutare. Ma, anche senza di lui, dovrebbe essere possibile con
l’aiuto dei documenti convincere finalmente i Guardiani delle intenzioni egoistiche del
conte.» Lanciò un’occhiata interrogativa a Gideon. «E poi il cerchio non verrà mai
completato.» «Ci vorrebbe troppo tempo per accertare l’autenticità dei documenti»
obiettò Gideon. «Attualmente il Gran Maestro della loggia è Falk de Villiers, e forse
sarebbe anche disposto a darci credito. Ma non ne sono del tutto sicuro. Finora non ho
avuto il coraggio di mostrare le carte a nessuno dei membri della loggia.» Io annuii. Mi
aveva già esposto sul divano del 1953 i suoi sospetti circa la presenza di un traditore tra i
Guardiani. «Sapete» dissi prendendo la parola, «c’è la possibilità che tra i Guardiani della
nostra epoca ve ne sia uno o più che sono a conoscenza del vero effetto della pietra
filosofale e sostengano i piani del conte di ottenere l’immortalità.» Cercai di concentrarmi
sui fatti e, con grande stupore, notai che mi riusciva molto bene nonostante la mia
confusione emotiva. O forse proprio per questo.
«E se il nonno avesse scoperto questo traditore? Questo spiegherebbe anche la sua morte.»
«Perché, è stato ucciso?» domandò Lucy sgomenta.
«Non ci sono le prove» rispose Gideon, «ma l’ipotesi è plausibile.» Gli avevo raccontato la
visione di zia Maddy e l’irruzione compiuta il giorno del funerale.
«Questo significa che la chiusura del cerchio di sangue è un obiettivo da entrambe le parti»
osservò Lady Tilney pensierosa. «Nel passato era il conte di Saint Germain a tirare le fila e
nel futuro esistono uno o più seguaci che proseguono nella sua missione.» Paul diede un
pugno al bracciolo della poltrona. «Maledizione» ringhiò a denti stretti.
Lucy alzò la testa. «Voi però potete raccontare ai Guardiani di non averci trovato! Se il
nostro sangue non verrà inserito nel cronografo, il cerchio non si chiuderà.»«Non è così
facile» disse Gideon. «I Guardiani hanno...» «Lo so, ci hanno sguinzagliato dietro i loro
investigatori privati» lo interruppe Lady Tilney. «I signori de Villiers e quel superbo di
PinkertonSmythe... per fortuna si ritengono molto furbi e giudicano me, in quanto donna,
molto sciocca. Non hanno pensato che gli investigatori privati sono più che disponibili a
trattenere qualche informazione in cambio di un congruo arrotondamento del loro misero
guadagno.» Si concesse un sorriso trionfante. «L’attuale sistemazione è solo temporanea e
ben presto Lucy e Paul faranno perdere ogni loro traccia. Cominceranno una nuova vita
con un altro nome e...» «...si trasferiranno in un appartamento di Blandford Street»
concluse Gideon al posto suo e il sorriso trionfante di Lady Tilney si spense. «Lo sappiamo
tutti e Pinkerton-Smythe è stato incaricato di trattenere Lucy e Paul a T emple finché io
non gli avrò prelevato il sangue. Per la precisione domani mattina verrà consegnata una
lettera con le istruzioni in tal senso.» «Domani?» domandò Paul il cui viso rifletteva il mio
stesso smarrimento. «Ma allora non è ancora troppo tardi!» «Al contrario» obiettò Gideon.
«Infatti, dal mio punto di vista, è già accaduto. Ho già consegnato la lettera qualche giorno
fa ai Guardiani di turno alla postazione Cerbero. All’epoca non avevo ancora idea.»
«Allora ci basterà nasconderci» disse Lucy.
«Domattina?» Lady Tilney assunse un’espressione cupa. «Vedrò che cosa posso fare.»
«Anch’io» confermò Gideon dando un’occhiata all’orologio appeso al muro. «Però
non so se sarà sufficiente. Perché, anche riuscendo a impedire che i Guardiani facciano
prigionieri Lucy e Paul, sono convinto che il conte troverà il modo di raggiungere il suo
scopo.» «I l mio sangue di sicuro non lo otterrete» disse Lady Tilney.
Gideon sospirò. «I l vostro sangue l’abbiamo già, Lady Tilney. Sono stato a trovarvi nel
1916, mentre vi trovavate in cantina per trasmigrare insieme ai gemelli de Villiers
durante la Prima guerra mondiale. E ve lo siete fatto prelevare senza proteste, sono
rimasto molto sorpreso anch’io.
Spero che avremo occasione di riparlare di questa esperienza.» «È
solo
una mia
sensazione, oppure anche a voi sembra che qualcuno stia scavando un tunnel della
metropolitana nel vostro cervello?» domandò Paul.
Io scoppiai a ridere. «Anche per me è lo stesso» confermai. «Si tratta di una quantità di
informazioni troppo vasta per digerirla tutta in una volta.
Ogni pensiero ne porta con sé altri dieci.» «E non è ancora tutto» disse Gideon. «Ci sono
ancora tantissime cose da discutere. Purtroppo tra poco salteremo indietro. Ma torneremo,
tra una mezz’ora. In realtà, dal punto di vista mio e di Gwendolyn sarà domattina presto,
se tutto va bene.» «Non riesco a capire» mormorò Paul, ma Lucy si illuminò in viso come
se avesse improvvisamente compreso.
«Se non siete in missione ufficiale per i Guardiani, come avete fatto a venire qui?»
domandò lentamente, impallidendo. «O piuttosto... con che cosa?» «Abbiamo...»
cominciai, ma Gideon mi lanciò una breve occhiata e scosse impercettibilmente il capo.
«Potremo spiegarvelo più tardi» disse.
Anch’io guardai l’orologio. «No» replicai.
Gideon inarcò le sopracciglia. «No?» domandò.
Feci un profondo respiro. All’improvviso sapevo che non potevo aspettare neppure un
secondo di più. Avrei detto la verità a Lucy e Paul, ora e subito.
D’un tratto non mi sentivo più nervosa, ma solo infinitamente stanca. Come se avessi
corso per cinquanta chilometri e non dormissi da circa cento anni. Avrei tanto voluto che
Gideon prima avesse permesso a Lady Tilney di farci portare del tè alla menta caldo con
limone e zucchero. Ma ora non c’era più tempo.
Guardai intensamente Lucy e Paul. «Prima di tornare indietro, devo dirvi ancora
qualcosa» cominciai a bassa voce. «Spero di averne il tempo.» Quando il fratello di
Cynthia – travestito da gnomo da giardino – ci aprì la porta, fu come se avesse spalancato
i cancelli dell’inferno. La musica era a tutto volume e non era il genere che potevano
ballare i genitori di Cynthia, bensì un misto tra house e dubstep. Una ragazza con una
coroncina sulla testa si spinse precipitosamente oltre lo gnomo e si mise a vomitare nel
cespuglio di ortensie accanto all’ingresso. Era piuttosto verde in faccia, ma forse poteva
essere truccata.
«Touchdown!» esclamò risollevandosi. «Evviva, avevo paura di non farcela ad arrivare fin
qui.» «Oh, Highschoolparty» mormorò Gideon. «Quanto mi piace.» Io mi guardavo
intorno perplessa. C’era qualcosa di molto sbagliato. L’elegante casa dei Dale si trovava
nel cuore della raffinata Chelsea. Un posto dove di solito al massimo si bisbigliava.
Com’era possibile allora che ci fosse gente che ballava nell’ingresso? E perché c’erano
tante persone? Da dove venivano le risate? Di solito alla festa di Cynthia non si rideva, se
non di tanto in tanto nascondendosi la bocca con la mano. E se la parola «noia» non fosse
già esistita di sicuro sarebbe stata inventata a una delle feste di Cynthia.
«Siete verdi, quindi dentro!» gracchiò il fratello di Cynthia mettendomi in mano un
bicchiere contenente un liquido verde. «Tieni! Un cocktail molto strano. Succo di frutta,
frutta fresca, colorante verde – ma biologico! – e un goccio di vino bianco. Anche quello
biologico, naturalmente.» «I vostri genitori sono via per il fine settimana?» mi informai
cercando di far passare in un modo o nell’altro dalla porta il mio voluminoso abito da
imperatrice Sissi.
«Come?» Ripetei la domanda con dieci decibel di più.
«No, devono bazzicare qui da qualche parte.» Lo gnomo parlava biascicando un po’ le
parole. «Hanno litigato, perché papà prima ha voluto per forza fare il giocoliere con le
palline di soia verdi e ha invitato tutti a imitarlo. Chi riusciva a colpire il copricapo della
mamma vinceva un premio.
Ehi, Muriel, che ci fai nell’armadio a muro? I l bagno è da quella parte.» «Ok, c’è
decisamente qualcosa che non va» dissi a Gideon. Fui costretta a gridare per farmi capire.
«In genere gli invitati qui se ne stanno impettiti a gruppetti come tanti broccoli, ad
aspettare la mezzanotte. Cercando di evitare i genitori di Cynthia che altrimenti ti invitano
a partecipare a simpatici giochi che piacciono soltanto a loro.» Gideon mi prese di mano il
bicchiere e ne assaggiò un sorso. «Direi che la spiegazione è qui dentro» ribatté
sogghignando. «Un goccio di vino bianco? Secondo me la metà di questo intruglio è
vodka. Come minimo.» Ok, questo poteva spiegare le cose. Lanciai un’occhiata verso la
pista da ballo in salotto, dove la madre di Cynthia, travestita da statua della libertà,
ballava scatenata. «Andiamo a cercare Leslie e Raphael e poi filiamocela da qui» proposi.
Gideon venne travolto da un peperone verde.
«Scusa» mormorò Sarah che era cucita dentro il peperone. Subito dopo sgranò gli occhi.
«Oddio, ma sei vero?» Con l’indice toccò la giacca diGideon.
«Sarah, hai visto Leslie da qualche parte?» le domandai spazientita. «Oppure sei troppo
ubriaca per ricordartelo?» «Sono perfettamente sobria!» esclamò Sarah. Poi barcollò
pericolosamente, tanto che sarebbe caduta se Gideon non l’avesse sorretta. «Ora te lo
dimostro: sopra la panca la capra campa. Sotto la panca la capra crepa! Ora prova tu.
Non è possibile dire questo scioglilingua se si è ubriachi, giusto?» Lanciò un’occhiata
languida a Gideon che si stava decisamente divertendo un sacco. «Se sei un vampiro puoi
pure mordermi.» Per un momento ebbi la tentazione di strappare di mano il bicchiere a
Gideon e di trangugiare il cocktail d’un fiato. Quel chiassoso e frenetico inferno verde era
un veleno per i miei nervi scossi.
In realtà avevamo deciso di non partecipare più alla festa, nonostante il travestimento da
Sissi. Dopo esserci tolti i costumi di inizio Novecento e aver lasciato la chiesa, io
continuavo a sentirmi scossa per l’incontro con Lucy e Paul. Volevo una cosa soltanto:
infilarmi sotto le coperte e uscire solo quando tutto fosse finito. O almeno (l’alternativa
letto l’avevo subito scartata come impraticabile) dare al mio cervello la possibilità di
completare qualche riflessione strutturata in un’atmosfera tranquilla. Con foglietti,
riquadri e frecce possibilmente di colori diversi. Trovavo molto azzeccato il paragone fatto
da Paul con la metropolitana che qualcuno ci stava costruendo in testa.
Leslie, però, mi aveva inviato quattro sms per richiedere la nostra presenza alla festa.
Soprattutto l’ultimo mi aveva inquietato. «Vedete di muovere il culo, altrimenti non
posso garantire più niente.» «Uau! Gwenny!» Era Gordon Gelderman con una tuta
ricavata dal prato artificiale. Mi fissava la scollatura da Sissi fischiando tra i denti. «Avevo
sempre saputo che sotto la tua camicetta c’era ben altro che un buon cuore!» Alzai gli occhi
al cielo. Gordon non poteva astenersi dal fare battute così
penose, ma era proprio
necessario che Gideon le ascoltasse con quel ghigno idiota sulla faccia?
«Ehi, Gordon! Prova a dire quattro volte di fila: sopra la panca la capra campa!» lo sfidò
Sarah.
«Sopra la campa la capra panca, sopra la pampa la pacra crampa, sopra la crapa la pampa
campa, sopra la pranca la capa campra» ripeté Gordon concentrato. «Nessun problema!
Ehi, Gwenny, hai già provato il cocktail?» Si sporse in avanti con aria complice e mi gridò
all’orecchio: «Temo di non essere stato l’unico ad aver avuto l’idea di... hmmm...
modificare leggermente la ricetta».
Per un istante immaginai gli ospiti della festa che si avvicinavano disinvolti al buffet, si
guardavano intorno circospetti, poi uno dopo l’altro versavano nel cocktail la bottiglia di
vodka che avevano portato di nascosto.
«Tigre contro tigre, tigre contro tigre! Prova a dirlo quattro volte di fila» scandì Sarah
mentre approfittava del suo stato di precario equilibrio per toccare il sedere di Gideon.
«Leslie è dietro nella serra. Fanno il karaoke. Vengo anch’io, ma prima mi prendo un altro
sorso di cocktail.» La punta di feltro verde che aveva in testa oscillò allegramente. «È
proprio la festa più bella che abbia mai visto.» Gordon ridacchiò. «Già, Cynthia dovrebbe
esserci riconoscente. Dopo stasera nessuno oserà più dire che le sue feste sono noiose. È
davvero una ragazza fortunata! Pure il servizio di catering ha consegnato troppi
stuzzichini verdi. Tutti abbiamo potuto invitare altri amici. Alcuni non sono travestiti e
nessuno di verde!» Alzai di nuovo gli occhi al cielo e sospinsi energicamente Gideon
attraverso la folla dei pazzi scatenati verso la serra.
Gordon ci seguì . «Parteciperai anche tu al karaoke, Gwenny? L’ultima volta sei stata la
migliore. Avrei votato per te, se Katie non si fosse versata l’acqua sulla maglietta. Sai, era
uno spettacolo...» «Ma stai zitto, Gordon.» Stavo per girarmi verso di lui, ma in quel
momento scorsi Charlotte. O almeno qualcuno che avrebbe potuto essere Charlotte se non
fosse stata in piedi su un tavolo in mezzo alla serra a cantare Paparazzi di Lady Gaga al
microfono.
«Oh, mio Dio» mormorò Gideon reggendosi allo stipite della porta.
«Ready for those flashing lights» cantava Charlotte.
Io ero rimasta senza parole. Intorno al tavolo si agitavano tantissimi ammiratori e
bisognava ammettere che Charlotte non cantava nemmeno male.
Gordon si gettò subito nella mischia gridando: «Nuda! Nuda!» Scorsi Raphael e Leslie –
era incantevole con il vestito quasi verde di Grace Kelly e l’adeguata acconciatura
ondulata – e mi feci largo fino a loro. Gideon rimase sulla porta.
«Finalmente!» mi gridò Leslie gettandomi le braccia al collo. «Ha bevuto il cocktail e non
è più in sé. È dalle nove e mezzo che cerca di raccontare a tutti la storia della società
segreta del conte di Saint Germain e di convincerli che esistono viaggiatori nel tempo che
vivono tra noi.
Abbiamo fatto di tutto per trascinarla a casa, ma è sfuggente come un’anguilla e ci scappa
di continuo.» «Inoltre è molto più forte di noi» disse Raphael che indossava un buffo
cappello verde ma per il resto non sembrava affatto divertito. «Prima ero quasi riuscito a
trascinarla fino alla porta d’ingresso, poi lei mi ha afferrato per un braccio e me lo
ha ruotato minacciando di spezzarmi l’articolazione.» «Adesso ha pure un microfono»
osservò Leslie cupa. Guardammo verso Charlotte come se fosse una bomba a orologeria.
Certo, una bomba ben confezionata.
Caroline non aveva esagerato: il costume da elfo era incantevole. Nessuna elfa autentica
avrebbe potuto essere più bella di Charlotte, con le esili spalle che spuntavano graziose da
una nuvola di tulle verde. Aveva le guance accaldate, gli occhi luminosi e i capelli che le
scendevano a boccoli sulla schiena fino alle ali di ottima fattura, che sembravano davvero
spuntarle dal corpo. Non mi sarei sorpresa di vederla spiccare il volo da un momento
all’altro.
La sua voce era tutt’altro che elfica, però. Era davvero molto simile a quella di Lady Gaga.
«You know that I’ ll be your papa-paparazzi» sbraitava nel microfono e quando Gordon
ripeté «Nuda!» cominciò a sfilarsi con movenze lascive uno dei lunghi guanti verdi
aiutandosi con i denti dito per dito.
«Sembra un film» disse Leslie, suo malgrado impressionata. «Solo che non ricordo più
esattamente quale.» La folla esultò quando Gordon afferrò al volo il guanto.
«Ancora!» inneggiavano tutti e Charlotte prese a occuparsi del secondo guanto. Ma d’un
tratto si bloccò. Aveva scorto Gideon sulla porta e aveva socchiuso gli occhi. «Guardate un
po’ chi abbiamo qui!» annunciò al microfono mentre scrutava la folla e quindi si fermava a
fissarmi. «E c’è anche la mia cuginetta, naturale! Ehi, gente, lo sapete che Gwendolyn in
realtà è una viaggiatrice nel tempo? Veramente avrei dovuto esserlo io, ma il destino ha
voluto altrimenti. E da un giorno all’altro mi sono ritrovata come una delle stupide
sorellastre di Cenerentola.» «Continua a cantare!» la imploravano i suoi fan.
«Nuda!» ripeté Gordon.
Charlotte inclinò la testa di lato e inchiodò gli occhi ardenti su Gideon. «But I w on’ t
stop until that boy is mine? Ah, ah, come no! Non mi spingerò così in basso.» Protese
l’indice verso Gideon ed esclamò: «Anche lui può viaggiare nel tempo. E ben presto
salverà l’umanità da tutte le malattie».
«Merda» mormorò Leslie.«Qualcuno deve farla smettere» dissi.
«Già, ma come? È una macchina da guerra. Forse dovremmo lanciarle addosso un oggetto
pesante» propose Raphael.
I l pubblico era perplesso. Sembrava quasi intuire che l’umore di Charlotte era tutt’altro
che rilassato. Solo Gordon continuava a ripetere testardo: «Nuda!» Cercai di instaurare un
contatto visivo con Gideon, ma lui aveva occhi solo per Charlotte. Lentamente si fece largo
verso il tavolo dove stava in piedi.
Lei fece un profondo respiro che il microfono amplificò e portò fino nell’angolo più
remoto della serra. «Io e lui sappiamo tutto di storia. Ci siamo preparati per i nostri viaggi
nel tempo insieme. Dovreste vedere come balla il minuetto. O come va a cavallo. Come
duella con la spada. O suona il pianoforte.» Gideon l’aveva quasi raggiunta.
«È incredibilmente bravo in tutto ciò che fa. E sa fare dichiarazioni d’amore in otto lingue
diverse» continuava a elencare Charlotte con voce sognante e per la prima volta le vidi
sgorgare le lacrime agli occhi. «Non che a me l’abbia mai fatta, no! Ha occhi soltanto per
quella scema di mia cugina.» Mi morsi il labbro. La sua sembrava proprio la dichiarazione
di un cuore infranto e nessuno al mondo poteva capirla meglio di me. Chi avrebbe mai
immaginato che Charlotte potesse avere un cuore? Mi augurai ancora una volta che la
teoria di Leslie sul cuore di marzapane fosse vera.
Intanto il mio cuore si struggeva mentre cercava faticosamente di tenere a bada le ondate
di gelosia che minacciavano di soffocarmi.
Gideon protese la mano verso Charlotte. «È ora di tornare a casa.» «Buuuu!» esclamò
Gordon con la sensibilità di una mietitrebbia, ma tutti gli altri tenevano il fiato sospeso.
«Lasciami stare» disse Charlotte a Gideon barcollando. «Non ho ancora finito.» Con un
salto Gideon la raggiunse sul tavolo e le tolse di mano il microfono. «Lo spettacolo è
finito» annunciò. «Vieni, Charlotte, ti riporto a casa.» Charlotte gli soffiò come un gatto
arrabbiato. «Se mi tocchi, ti spezzo un braccio. Sono campionessa di krav maga, sai!»
«Anch’io, l’hai dimenticato?» Gideon le porse di nuovo la mano. Charlotte la prese
esitante e si lasciò condurre giù dal tavolo, una povera elfa stanca e ubriaca che non
riusciva più a tenersi in piedi.
Gideon la cinse in vita e si girò verso di noi. Come spesso succedeva, la sua espressione
era imperscrutabile. «Mi occupo velocemente di questa faccenda. Voi intanto andate nel
mio appartamento con Raphael» disse asciutto. «Ci vediamo lì .» Per un attimo i nostri
sguardi si sfiorarono.
«A dopo» disse.
Io annuii. «A dopo.» Charlotte non parlò più.
Io mi chiesi se anche Cenerentola avesse provato un briciolo di senso di colpa quando si
era allontanata in sella al cavallo bianco con il suo principe.«Per sempre» è composto da
tanti ‘ora’.
(Emily Dickinson)14
«Un altro buon motivo per tenersi alla larga dall’alcol» sbuffò Leslie. «La puoi rigirare
come vuoi: alla fine fai sempre la figura dello stupido a mostrarti ubriaco. Di sicuro
lunedì non vorrei essere nei panni di Charlotte a scuola.» «E nemmeno in quelli di
Cynthia» aggiunsi. Mentre uscivamo da casa sua, avevamo visto la festeggiata che
pomiciava nel guardaroba con un ragazzo che frequentava due classi meno della
nostra. (Date le circostanze avevo preferito non salutarla, dal momento tra l’altro
che non ci eravamo nemmeno viste prima.)
«E tantomeno nei panni di quel poveraccio che ha vomitato sulle ridicole scarpe El
Naturalista di Mr Dale» disse Raphael.
Imboccammo Chelsea Manor Street. «Certo che Charlotte l’ha fatta davvero grossa.» Leslie
si fermò davanti alla vetrina di un negozio di mobili ma non per guardare l’esposizione,
bensì per osservare la propria immagine riflessa. «Mi spiace dirlo, ma mi ha fatto proprio
pena.» «Anche a me» concordai sottovoce. Del resto sapevo perfettamente che cosa si
provasse a essere innamorati di Gideon. E purtroppo sapevo anche che cosa si provasse a
fare una figuraccia.
«Con un po’ di fortuna, domani si sarà scordata di tutto.» Raphael aprì il portoncino di
una casa di mattoni rossi. Eravamo a un tiro di sputo dalla casa dei Dale di Flood Street,
così avevamo trovato più pratico usare l’appartamento di Gideon per cambiarci.
Quando ci ero venuta prima, tuttavia, ero ancora così sconvolta dal mio incontro con
Lucy e Paul nel 1912 che non avevo avuto tempo di guardarmi intorno con attenzione.
Ero sempre stata convinta che Gideon abitasse in uno di quei loft ultra hippy con cento
metri quadrati di vuoto siderale e un sacco di cromature e vetro e un televisore piatto
grande quanto un campo da calcio. Invece mi ero sbagliata. Dall’ingresso partiva uno
stretto corridoio che, passando di fianco a una scala, conduceva in un salotto inondato di
luce la cui parete di fondo era costituita da un’unica grande finestra. Gli altri lati erano
occupati da scaffalature fino al soffitto piene di libri, dvd e qualche raccoglitore sistemati
in un disordine colorato, mentre davanti al davanzale c’era un grande divano pieno di
cuscini.
I l pezzo forte della stanza, tuttavia, era rappresentato da un pianoforte a coda il
cui prestigio purtroppo era sminuito da un’asse da stiro appoggiatavi contro senza il
minimo riguardo. Anche il tricorno appeso distrattamente a un angolo del coperchio del
pianoforte, e che di sicuro avrebbe indotto Madame Rossini ad agitare le mani, non si
accordava all’insieme. Del resto, forse era quella l’idea di Gideon del vivere bene.
«Che cosa volete bere?» chiese Raphael da perfetto padrone di casa.
«Che cosa avete?» domandò Leslie di rimando lanciando un’occhiata scettica alla
cucina dove il lavandino era pieno di piatti e stoviglie accatastate ricoperti di una
sostanza che un tempo doveva essere stata salsa di pomodoro. Forse però si trattava di
un esperimento medico condotto da Gideon.
Raphael aprì il frigorifero. «Dunque, vediamo. Qui ci sarebbe latte, ma è scaduto
mercoledì scorso. Aranciata... oh! È possibile che si solidifichi? Fa uno strano rumore
scuotendo la bottiglia. Qui però c’è qualcosa di molto promettente, deve essere una
specie di limonata mescolata con...» «Hmmm, non importa, prendo un bicchiere d’acqua,
grazie.» Leslie stava per buttarsi sull’enorme divano grigio, ma all’ultimo istante ricordò
che il vestito di Grace Kelly non era adatto per certe rozzerie, così si mise a sedere molto
composta sull’angolo. Io mi lasciai cadere accanto a lei con un profondo sospiro.
«Povera Gwenny.» Mi accarezzò affettuosamente la guancia. «Che giornata! Devi essere
frastornata, vero? Ti può consolare se ti dico che a guardarti non si vede?» Mi strinsi nelle
spalle. «Un pochino.» Raphael ci raggiunse con dei bicchieri e una bottiglia d’acqua, tolse
dal tavolino del divano qualche rivista e alcuni libri, tra cui un volume illustrato
sull’uomo del rococò.
«Potresti radunare qualche metro quadrato delle tue balze e far posto anche a me sul
divano?» Mi sorrise divertito.
«Siediti pure sul vestito» gli dissi, poi reclinai la testa all’indietro e chiusi gli occhi.
Leslie balzò in piedi. «Nemmeno per idea! Altrimenti finiremo per rovinare qualcosa e
Madame Rossini non ci presterà più niente. Vieni, tirati su, ti aiuto a toglierlo.» Mi fece
alzare e cominciò a sfilarmi i vari strati dell’abito da Sissi. «Tu intanto guarda da un’altra
parte, Raphael.» Raphael si sdraiò sul divano con lo sguardo rivolto al soffitto. «Così va
bene?» Quando fui tornata in jeans e maglietta ed ebbi bevuto qualche sorso d’acqua,
cominciai a sentirmi un pochino meglio.
«Allora, com’è stato incontrare i tuoi... ecco... Lucy e Paul?» domandò Leslie piano una
volta che ci ritrovammo sedute sul divano.
Raphael mi lanciò un’occhiata compassionevole. «Chissà che stress avere dei genitori che
in realtà hanno la stessa nostra età.» Io annuii. «È stato piuttosto... strano... sconvolgente.»
Poi raccontai loro tutto, a partire dal saluto del maggiordomo fino alla nostra confessione
di aver già chiuso il cerchio di sangue sul cronografo rubato. «Sapere che siamo in
possesso della pietra filosofale, o meglio della porporina, come la chiama Xemerius, li ha
sconvolti. Erano terribilmente inquieti e Lucy parla ancora di più quando è agitata.
Incredibile, vero? Hanno smesso di riempirci di rimproveri solo quando io li ho informati
di essere al corrente dei nostri... hmmm... rapporti di parentela.» Leslie sgranò gli occhi.
«E?» «Sono rimasti ammutoliti. Poi siamo scoppiati tutti a piangere» risposi
massaggiandomi stanca gli occhi. «Credo che con tutto quello che ho pianto nei giorni
scorsi, potrei irrigare un campo africano durante la stagione asciutta.» «Ah, Gwenny.»
Leslie mi accarezzò impotente il braccio.
Io tentai di sorridere. «Già, poi gli abbiamo comunicato la lieta novella che il conte non
può uccidermi e che non può farlo nessun altro, perché sono immortale. Naturalmente
non volevano crederci, ma siccome il tempo stringeva non abbiamo potuto dargliene
la prova, per esempio chiedendo a Millhouse di strozzarmi o cose simili. Li abbiamo
lasciati lì a bocca aperta e siamo corsi indietro per arrivare in chiesa in tempo per il salto
di ritorno.» «E adesso come procede la faccenda?» «Domattina presto torneremo a trovarli,
poi Gideon li informerà di un piano geniale» dissi. «Peccato che debba ancora venirgli in
mente. E se è stremato solo la metà di quanto lo sono io non sarà in grado di pensare
lucidamente.» «Per questo c’è un rimedio: il caffè. E io, la geniale Leslie Hay.» Leslie mi
rivolse un sorriso di incoraggiamento. Poi sospirò. «Però hai ragione, la cosa certo non è
facile. È fantastico che voi abbiate il cronografo per organizzare viaggi nel tempo, ma non
potrete utilizzarlo indefinitamente.Soprattutto pensando che domani dovrete incontrarvi
di nuovo con il conte e quindi avete a disposizione solo due ore o meno del contingente di
trasmigrazione.» «Cosa?» domandai.
Leslie sospirò di nuovo. «Non hai letto Anna Karenina? Non si può trasmigrare più di
cinque ore e mezzo al giorno, altrimenti ci sono gravi effetti collaterali.» Leslie finse di non
notare lo sguardo ammirato di Raphael. «E io non so che cosa pensare del fatto che siate in
possesso di quella polverina. È... pericoloso. Spero almeno che l’abbiate nascosta dove
nessuno possa trovarla.» A quanto ne sapevo, la provetta era sempre nel giubbotto di
Gideon. Però evitai di dirlo a Leslie. «Paul ci ha ripetuto almeno venti volte di distruggere
quella roba.» «Non è uno stupido!» «Invece no.» Scrollai il capo. «Secondo Gideon
potrebbe essere il nostro asso nella manica.» «Forte» disse Raphael. «Si potrebbe metterlo
in vendita per scherzo su e-Bay e vedere che cosa succede. Polvere dell’immortalità in
dose unica. Offerta minima una sterlina.» «A parte il conte, non conosco nessuno che
desideri diventare immortale» dissi un po’ amareggiata. «Deve essere terribile restare in
vita mentre tutti intorno a te prima o poi devono morire. A me non piacerebbe! Piuttosto
che restare da sola al mondo, preferisco buttarmi da una rupe!» Soffocai un altro sospiro
che tale pensiero mi suscitò. «Secondo voi la mia immortalità potrebbe essere una specie di
difetto genetico?
Dopo tutto non discendo solo da un viaggiatore nel tempo, bensì da due.» «Potrebbe
essere plausibile» disse Leslie. «Con te il cerchio si chiude, nel vero senso della parola.»
Per un po’ restammo a guardare la parete di fronte, ciascuno immerso nei propri pensieri.
Sul muro era stato scarabocchiato a lettere nere un motto in latino.
«Che cosa significa?» domandò Leslie alla fine. «Serve a non dimenticarsi di fare la spesa?»
«No» rispose Raphael. «È una citazione da Leonardo da Vinci che i de Villiers hanno
sottratto e utilizzato come motto di famiglia.» «Oh, allora di sicuro la traduzione significa
qualcosa tipo: non siamo mitomani, siamo davvero eccezionali. Oppure: sappiamo tutto e
abbiamo sempre ragione.» Io ridacchiai.
«Lega il tuo carro a una stella» disse Raphael. «Ecco che cosa significa.» Si schiarì la gola.
«Volete che vada a prendere dei fogli e qualche matita? Per ragionare meglio?» Sogghignò
impacciato. «Lo so che è perverso da parte mia dirlo adesso, ma il vostro mystery play mi
intriga un sacco.» Leslie si drizzò a sedere. Lentamente un sorriso le illuminò il volto e le
lentiggini sul suo naso cominciarono a danzare. «Anche per me è lo stesso» confermò.
«Cioè, lo so che non è un gioco e che ci sono in ballo delle vite, ma non mi sono mai
divertita così
tanto come nelle ultime settimane.» Mi rivolse un’occhiata di scuse.
«Perdonami, Gwenny, ma è semplicemente grandioso avere per amica una viaggiatrice nel
tempo immortale. Credo che sia persino meglio che esserlo personalmente.» Non potei
farne a meno, scoppiai a ridere. «Hai proprio ragione. Anch’io mi divertirei molto di più
se ci scambiassimo i ruoli.» Quando Raphael tornò con carta e matite colorate, Leslie
cominciò subito a disegnare riquadri e frecce. «Quello che mi confonde più d’ogni altra
cosa è la storia del complice del conte tra i Guardiani.» Si fermò un istante per
mordicchiare la matita. «Veramente anche questa è solo un’ipotesi, ma non importa. In
fondo potrebbe essere chiunque, no? I l ministro della sanità, quel buffo dottore,
l’amichevole Mr George, Mr Whitman, Falk... e quel galoppino rosso di capelli, come si
chiama?» «Marley» risposi. «Ma secondo me non è il tipo giusto per un ruolo del genere.»
«Però è un discendente di Rakoczy. E ricorda che il colpevole è sempre la persona meno
sospetta!» «È vero» confermò Raphael. «I più innocui in genere sono i cattivi. Sempre
sospettare di balbuzienti e idioti.» «Questo complice del conte, chiamiamolo Mr X,
potrebbe essere l’assassino del nonno di Gwenny.» Leslie scarabocchiò velocemente
qualcosa sul foglio. «E presumibilmente dovrebbe uccidere anche Gwenny una volta che il
conte abbia ottenuto il suo elisir.» Mi guardò con affetto.
«Da quando so che sei immortale, sono un tantino meno preoccupata.» «Immortale, ma
non invulnerabile» disse Gideon. Ci girammo tutti insieme e lo guardammo sgomenti. Era
entrato in silenzio nell’appartamento e stava appoggiato a braccia conserte allo stipite.
Indossava ancora il suo completo del XVI I I secolo e come sempre, quando lo guardavo,
provai un piccolo tuffo al cuore.
«Come sta Charlotte?» mi informai, sperando che il mio tono risultasse neutro come
desideravo.
Gideon scrollò stancamente le spalle. «Credo che domattina avrà bisogno di un paio di
aspirine.» Si avvicinò. «Che cosa state facendo?» «Progetti.» Con la lingua stretta in un
angolo della bocca, Leslie faceva scorrere la matita sul foglio. «Non dobbiamo dimenticare
neppure la magia del corvo» disse rivolta più che altro a se stessa.
«Gideon, secondo te, chi potrebbe essere il complice segreto del conte presso i Guardiani?»
Raphael si mordicchiava le unghie in preda all’ansia. «Io nutro dei sospetti su zio
Falk. Non mi sono mai fidato di lui fin da quando ero bambino.» «Scemenze.» Gideon
si avvicinò e mi diede un bacio sulla testa, poi si accomodò sulla poltrona di cuoio
consunta di fronte a me, appoggiò i gomiti alle gambe e si scostò una ciocca di capelli
dalla fronte. «Non riesco a togliermi dalla mente quello che Lucy ci ha detto prima, che
l’immortalità del conte cessa con la nascita di Gwen.» Leslie alzò
la
testa dai suoi
scarabocchi e annuì . «Ma attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà, il destino di
quanto è terreno si compirà» recitò a memoria e io mi irritai di nuovo perché quelle
stupide rime avevano sempre il potere di farmi rabbrividire. «La gioventù si scioglie, la
quercia è condannata a decomporsi in quest’epoca buia e odiata.» «La sai tutta a
memoria?» domandò Raphael.
«Non tutta. Ma alcuni versi sono molto d’effetto» rispose Leslie un po’ a disagio. Poi si
girò verso Gideon. «Io l’ho interpretata così : quando il conte inghiotte la polvere nel
passato, diventa immortale. Ma solo fino allo spuntare della dodicesima stella, cioè alla
nascita di Gwendolyn. Con la sua nascita l’immortalità ha termine. La quercia è
condannata a declinare nel tempo terreno, ovvero il conte torna a essere mortale. A meno
che non uccida Gwendolyn, per bloccare il processo. Prima però lei deve fare in modo che
lui ottenga l’elisir. Ma se lui non avrà mai l’elisir non potrà mai diventare immortale. Mi
sono spiegata?» «Abbastanza» risposi, pensando a Paul e ai tunnel della metropolitana
nella nostra testa.
Gideon scrollò il capo. «E se in realtà avessimo commesso un errore concettuale fin dal
principio?» domandò scandendo le parole. «Se il conte avesse già da tempo ottenuto la
polvere?» Stavo per esclamare di nuovo: «Eh?» ma mi fermai appena in tempo.
«Non è possibile, perché il cerchio di sangue in uno dei cronografi non è ancora concluso e
si spera che l’elisir ottenuto dall’altro sia nascosto inun posto sicuro» obiettò Leslie
impaziente.
«Sì , in questo momento è così» proseguì Gideon. «Ma non è detto che sarà sempre così .»
Sospirò, di fronte ai nostri sguardi confusi. «Provate a riflettere: è possibile che il conte a
un certo punto del XVI I I secolo, in una maniera qualsiasi, sia venuto in possesso
dell’elisir e quindi sia diventato immortale.» Lo guardammo tutti quanti. Senza sapere
bene perché, mi venne la pelle d’oca.
«I l che a sua volta significa che in questo momento lui potrebbe benissimo essere ancora
vivo» riprese Gideon, guardandomi negli occhi.
«Magari è da qualche parte là fuori e aspetta che gli portiamo l’elisir nel XVI I I secolo. E
poi attende l’occasione di ucciderti.» Per qualche secondo regnò il silenzio. Poi Leslie
disse: «Non dico di averti capito in tutto e per tutto, ma anche ammesso che per qualche
motivo voi aveste cambiato idea e aveste effettivamente consegnato al conte l’elisir... lui ha
sempre un piccolo problema» a questo punto scoppiò in una risata soddisfatta, «lui non
può uccidere Gwenny.» Raphael fece girare la matita colorata sul tavolo come una trottola.
«Perché poi dovreste cambiare idea, ora che conoscete le vere intenzioni del conte?»
Gideon non rispose subito e la sua espressione era imperscrutabile quando alla fine disse:
«Perché siamo ricattabili».
Mi svegliai con una sensazione fredda e bagnata sulla faccia mentre Xemerius mi diceva:
«Tra dieci minuti suona la sveglia!» Sbuffai e mi tirai le coperte sulla testa.
«Con te non se ne fa mai una giusta. Ieri ti sei lamentata con me perché non ti avevo
svegliato.» Xemerius era offeso.
«Ieri non avevo messo la sveglia. E inoltre è davvero troppo presto» brontolai.
«Bisogna fare qualche sacrificio, se si vuole salvare il mondo da un immortale pazzo
furioso» obiettò Xemerius. Lo sentii canticchiare mentre svolazzava per la stanza. «Pazzo
che incontrerai oggi pomeriggio, nel caso tu te lo sia dimenticato. Forza, giù dalle brande!»
Feci finta di essere morta. Cosa che non mi risultò troppo difficile, immortalità o no. Ma
Xemerius non parve troppo impressionato dai miei sforzi. Continuava a svolazzare
entusiasta davanti al mio letto snocciolandomi all’orecchio perle di saggezza a
ripetizione. A cominciare naturalmente da Il mattino ha l’oro in bocca e Chi dorme non
piglia pesci.
«Al diavolo i pesci!» esclamai, ma alla fine Xemerius raggiunse il risultato che voleva. Mi
alzai spazientita dal letto e di conseguenza mi ritrovai alle sette in punto alla stazione della
metropolitana di Temple.
E va bene, a essere precisi erano le sette e sedici minuti, ma il mio cellulare andava un po’
indietro.
«Hai proprio l’aria stanca come me» gemette Leslie che mi aspettava già al binario
concordato. A quell’ora, per di più di domenica, non c’era molta gente in giro, tuttavia mi
chiedevo come pensasse Gideon di infilarsi senza farsi vedere in una delle gallerie del
metrò. I
marciapiedi erano illuminati a giorno e dappertutto c’erano telecamere di
sorveglianza.
Posai a terra la mia sacca da viaggio strapiena e gettai un’occhiata incollerita a Xemerius
impegnato a sfrecciare in uno slalom vertiginoso tra le colonne. «Tutta colpa di Xemerius.
Non mi ha permesso di usare il correttore della mamma, perché secondo lui era già tardi.
Figurarsi poi se mi ha concesso una sosta da Starbucks venendo qui.» Leslie inclinò la testa
incuriosita. «Hai dormito a casa?» «Certo, e dove se no?» domandai un po’ stizzita.
«Ecco, credevo che aveste smesso di elaborare piani per un po’, dopo che io e Raphael vi
avevamo lasciato.» Si grattò il naso. «Anche perché ho trattenuto apposta Raphael più a
lungo del necessario per darvi tempo di trasferirvi dal divano alla camera da letto.» La
guardai scettica. «Hai trattenuto apposta Raphael più a lungo del necessario?» domandai
lentamente. «Che gesto altruista!» Leslie sogghignò. «Già, davvero» disse senza arrossire
neppure un pochino. «Ora però non cambiare argomento. Avresti potuto benissimo
raccontare a tua madre che restavi a dormire da me.» Io feci una smorfia. «Sì , in effetti
lo avrei anche fatto. Ma Gideon ha insistito per chiamarmi un taxi.» Con una punta di
tristezza aggiunsi: «Evidentemente non ero così seducente come pensavo».
«Ecco, lui è un ragazzo molto... responsabile» disse Leslie per consolarmi.
«Sì , certo, si può definire anche così» commentò Xemerius al termine del suo slalom. Si
posò trafelato accanto a me. «Oppure noioso, pigro, fifone» prese brevemente fiato,
«lavativo, scansafatiche, pusillanime...» Leslie guardò l’ora. Dovette urlare per superare il
frastuono di un treno in arrivo sulla Central Line. «Non mi sembra particolarmente
puntuale.
Sono già le sette e venti.» Osservò i pochi passeggeri che scesero sul marciapiede. E poi, di
colpo, gli occhi le si illuminarono. «Oh, eccoli.» «I
due principi azzurri
tanto
ansiosamente attesi questa mattina hanno fatto un’eccezione e hanno lasciato a casa i
loro destrieri bianchi per prendere la metropolitana» declamò Xemerius con voce solenne.
«Alla loro vista le due principesse hanno assunto un’espressione radiosa e, quando
l’accumulo di ormoni giovanili si è scaricato in baci impacciati e sorrisi idioti, il saggio
demone di incomparabile bellezza è stato costretto a vomitare in un cestino della carta.»
Stava esagerando, nessuno di noi aveva un sorriso idiota. Al massimo un po’ trasfigurato.
E nessuno era impacciato. Vabbe’, forse io giusto un filino. Perché mi ero ricordata come
Gideon la notte prima mi avesse staccato le braccia dal collo dicendo: «È meglio se ti
chiamo un taxi. Ci aspetta una giornata faticosa». Mi ero sentita un po’ come una piattola
che bisogna staccarsi dal pullover. La cosa peggiore era che proprio in quel momento
avevo preso lo slancio per pronunciare le parole: «Ti amo». Non che lui non lo sapesse,
però... non gliel’avevo mai detto ancora. E adesso non ero più sicura che volesse sentirselo
dire.
Gideon mi accarezzò la guancia. «Gwenny, posso benissimo fare da solo. Mi basterà
raggiungere il guardiano in servizio prima che arrivi di sopra e riprendergli la lettera.» «I l
mi basterà è la parte migliore» disse Leslie. Ben lungi dal possedere un piano geniale, la
sera precedente eravamo tuttavia riusciti in quattro a elaborare una «linea strategica di
massima», come l’aveva definita Leslie. In ogni caso dovevamo vederci ancora una volta
con Lucy e Paul, prima di affrontare il conte nel pomeriggio. E dovevamo occuparci della
lettera con le informazioni sulla residenza di Lucy e Paul che Gideon la settimana prima
aveva portato nel 1912. Non doveva per nessun motivo cadere nelle mani dell’allora Gran
Maestro e dei gemelli de Villiers.
Siccome il tempo che potevamo utilizzare per i nostri viaggi segreti con il nostro
cronografo privato senza rischiare effetti fisici collaterali (del tipo imitare Xemerius e
vomitare nel cestino della carta) si limitava a un’ora e mezzo, sarebbe stato assai difficile
sfruttare al massimo ogni minuto.
Raphael aveva proposto con la massima serietà di sottrarre il cronografo nel quartier
generale dei Guardiani e di saltare da lì , ma nemmeno suo fratello maggiore era tanto
audace.
La controproposta di Gideon era stata di estrarre un paio di poster arrotolati dalla sua
libreria e produrre magicamente, tra Anatomia dell’uomo in 3D e Il sistema vascolare
della mano umana, una piantina delle gallerie sotterranee del quartiere di T emple. Questo
era il motivo per cui ci eravamo incontrati lì alla stazione della metro.
«Vuoi andare senza di noi?» corrugai la fronte. «Eravamo d’accordo d’ora in avanti di fare
tutto insieme.»«Esatto» confermò Raphael. «Altrimenti alla fine ti assumerai da solo tutto
il merito di aver salvato l’umanità.» Lui e Leslie avevano il compito di sorvegliare il
cronografo e, per quanto Xemerius avesse obiettato un po’ offeso di poterlo benissimo fare
da solo, era consolante sapere che loro potevano prenderlo e scomparire nel caso fossimo
stati costretti a saltare indietro in un altro punto.
«Inoltre senza di noi chissà che guai combineresti!» Leslie fulminò Gideon con un’occhiata.
Gideon alzò le mani. «Va bene, va bene, ho capito.» Prese la mia borsa da viaggio e guardò
l’ora. «Attenzione. I l prossimo treno passerà alle sette e trentatré. Poi avremo esattamente
quattro minuti per trovare il primo passaggio fino all’arrivo del treno successivo.
Accendete le torce solo quando ve lo dico io.» «Hai proprio ragione» mi bisbigliò Leslie.
«Bisogna fare qualcosa per questo suo tono autoritario.» «Merde!» esclamò Raphael di
cuore. «C’è mancato poco.» Non potevo che dargli ragione. I l fascio luminoso delle nostre
torce balenò sulle pareti piastrellate e accarezzò i nostri volti pallidi. Alle nostre spalle i
vagoni della metropolitana sferragliavano allontanandosi nella galleria.
Ora se non altro sapevamo che quattro minuti erano davvero pochi per scavalcare la
barriera in fondo al marciapiede, saltare di sotto e infilarci di corsa nel tunnel accanto ai
binari. Senza dimenticare i cinquanta metri percorsi affannosamente dietro Gideon, la
brusca fermata davanti alla porta di ferro collocata nella parete destra della galleria,
l’assistere impotenti mentre Gideon tirava fuori faticosamente dalla tasca una specie di
grimaldello e armeggiava per aprire la serratura. Era stato in quel momento che io,
Leslie e Raphael c’eravamo messi a gridargli in coro: «Sbrigati, sbrigati, sbrigati» con
voce isterica, mentre in sottofondo aumentava lo sferragliare del treno in arrivo.
«Sulla piantina sembrava più vicino» disse Gideon rivolgendoci un’occhiata di scuse.
Leslie fu la prima a riaversi. Rivolse la luce della torcia nell’oscurità davanti a noi
illuminando il muro che chiudeva il corridoio dopo all’incirca quattro metri. «Ok, è il
posto giusto.» Controllò la piantina. «Nel 1912 questo muro non esisteva ancora. I l
corridoio prosegue al di là.» Mentre Gideon
si
inginocchiava
a
tirare
fuori
il
cronografo e inserire i dati, io presi i nostri indumenti del 1912 dalla borsa e
cominciai a slacciarmi i jeans.
«Che cosa vorresti fare?» Gideon mi lanciò un’occhiata distratta. «Hai forse intenzione di
correre per queste gallerie con un vestito lungo fino ai piedi?» «Ecco... pensavo... sai,
l’autenticità.» «Al diavolo l’autenticità» ribatté Gideon.
Xemerius si mise a battere le sue zampe ad artiglio. «Sì , al diavolo!» esclamò entusiasta.
Poi si girò verso di me. «Finalmente comincia a perdere quei suoi modi affettati. Era ora.»
«Vai tu per prima, Gwenny.» Io mi inginocchiai davanti al cronografo. Era un po’ strano
sparire sotto gli sguardi ansiosi di Raphael e Leslie, ma mi rendevo conto che nel
frattempo per me era diventata quasi una routine. (In futuro probabilmente sarei potuta
benissimo saltare a prendere il pane nel secolo scorso.)
Gideon atterrò accanto a me e accese la torcia. Qui nel 1912 non c’era nessun muro, il
fascio luminoso si perdeva in un lungo corridoio dal soffitto basso.
«Pronto?» mi informai con un sorriso.
«Quando vuoi» rispose ricambiando il sorriso.
In realtà dubitavo di essere davvero pronta. Se il tunnel della metropolitana mi aveva già
scatenato una sensazione di soffocamento, qui correvo il rischio di dovermi far ricoverare
per una grave crisi di claustrofobia.
Più avanzavamo più le gallerie erano anguste e tortuose. Qua e là c’erano scale che
scendevano ancora più in profondità e a un certo punto ci trovammo davanti a un
passaggio crollato che ci costrinse a tornare indietro. L’unico rumore erano i nostri passi e
il nostro respiro, e di tanto in tanto un fruscio di carta quando Gideon si fermava a
consultare la piantina. A me sembrava di sentire fruscii e tonfi anche altrove.
Probabilmente in quel labirinto vivevano interi eserciti di ratti e, se io fossi stata un
ragno gigante, mi sarei scelta questo posto come residenza di famiglia e riserva di caccia.
«Bene, qui dobbiamo andare a destra» mormorò Gideon concentrato.
Girammo per quella che mi sembrava la quarantesima volta. Le gallerie erano tutte
uguali. Non c’erano punti di riferimento. E chissà poi se quella maledetta piantina era
attendibile? E se fosse stata disegnata da un completo idiota come Marley? In quel caso io
e Gideon probabilmente saremmo stati rinvenuti come due scheletri che si tenevano
per mano nell’anno 2250. Ah, già, dimenticavo. Solo Gideon sarebbe stato uno scheletro.
Io invece sarei rimasta avvinghiata alle sue ossa ancora piena di vita ed era una
prospettiva che non mi allettava affatto.
Gideon si fermò, ripiegò la piantina con un sospiro e se la infilò nella tasca dei calzoni.
«Ci siamo persi?» Mi sforzai di restare calma. «Forse questa piantina è tutta sbagliata. E se
non dovessimo più...» «Gwendolyn» mi interruppe spazientito. «Da qui conosco la strada.
Non manca molto. Vieni.» «Davvero?» Che vergogna. Quella mattina ero decisamente un
po’... hmmm, femminuccia. Riprendemmo a camminare di buon passo. Per me restava un
mistero come Gideon riuscisse a orientarsi in quel labirinto.
«Accidenti!» Ero finita in una pozzanghera. Proprio lì accanto c’era un topo bruno che
drizzò gli occhietti rossi illuminato dalla mia torcia. Lanciai un grido isterico.
Probabilmente nella lingua dei topi significava: «Come sei carino», perché il ratto si
sollevò sulle zampe posteriori e inclinò il muso di lato.
«Non sei per niente carino» strillai. «Vattene!» «Dove sei finita?» Gideon era già
scomparso dietro l’angolo successivo.
Deglutii e mi feci coraggio per superare il topo. Non erano mica come i cani, che con un
balzo ti azzannavano al polpaccio, vero? Per sicurezza lo abbagliai con la torcia, finché
ebbi quasi raggiunto l’angolo dove mi aspettava Gideon. A quel punto rivolsi il fascio in
avanti e lanciai un altro gridolino stridulo. In fondo al corridoio era comparsa la sagoma di
un uomo.
«C’è qualcuno» sibilai.
«Merda!» Gideon mi afferrò di slancio e mi sospinse nell’ombra. Ma era troppo tardi.
Anche se non avessi strillato, la luce della mia torcia mi avrebbe comunque tradito.
«Temo che mi abbia visto» bisbigliai.
«Già!» disse Gideon inquieto. «Quello sono io. Che asino! Vai! Sii carina con me!»
Con queste parole mi diede una spinta facendomi barcollare di nuovo nella galleria.
«Ma che cav...» bisbigliai quando fui illuminata dal fascio di una torcia.
«Gwendolyn?» sentii dire dalla voce incredula di Gideon. Ma questa volta veniva dalla
direzione opposta. Impiegai ancora una frazione di secondo, poi compresi che ci eravamo
imbattuti nell’io precedente di Gideon, quello in procinto di consegnare al Gran Maestro la
lettera con leinformazioni. Rivolsi la torcia su di lui. Oddio, sì , era proprio lui! Si era
fermato a qualche metro di distanza e mi guardava sbigottito. Per un paio di secondi ci
accecammo a vicenda con la torcia, poi lui disse: «Come sei arrivata fin qui?» Io non potei
fare a meno di sorridergli. «Ecco, è un po’ complicato da spiegare» risposi, anche se avrei
preferito dire: «Ehi, non sei cambiato per niente!» L’altro Gideon gesticolava
forsennatamente da dietro l’angolo del muro.
«Prova a spiegarmelo!» mi ordinò il suo io più giovane avvicinandosi.
L’altro Gideon continuava ad agitare le mani per aria. Io non riuscivo a capire che cosa
volesse dirmi.
«Un momento, se non ti spiace.» Sorrisi con disinvoltura alla versione più giovane. «Devo
chiarire una cosa. Torno subito.» Evidentemente però né il Gideon più vecchio né quello
più giovane avevano voglia di un dialogo chiarificatore. Mentre quello più giovane mi
seguiva cercando di afferrarmi per un braccio, quello più vecchio non indugiò a dare
un’occhiata oltre l’angolo, balzò in avanti e colpì il proprio alter ego sulla fronte con la
torcia. I l Gideon più giovane stramazzò a terra come un sacco di patate.
«Si è fatto del male!» Mi inginocchiai e osservai sgomenta la ferita sanguinante.
«Sopravvivrà» disse l’altro Gideon spietato. «Vieni, dobbiamo proseguire! La consegna è
già avvenuta; questo qui» diede un leggero calcio a se stesso «era di ritorno quando ti ho
incontrata.» Io non l’ascoltavo, ma accarezzavo teneramente la testa del suo io svenuto. «Ti
sei colpito da solo! Ti ricordi quanto eri in collera con me per questo?» Gideon si sforzò di
sorridere. «Eccome. E mi spiace sinceramente. Ma chi poteva immaginare una cosa del
genere? Ora vieni! Prima che si risvegli. Ormai ha consegnato la lettera.» A questo
punto pronunciò qualche parola in francese che io intuii essere una serie di succose
imprecazioni, perché proprio come suo fratello prima ripeté diverse volte la parola
«merde!» «Tztztz, giovanotto» disse una voce vicinissima a noi.
«I l fatto che ci troviamo vicini alla rete fognaria non implica che si possano utilizzare in
maniera esagerata termini fecali.» Gideon si voltò di scatto, ma non sembrava avere
intenzione di mettere ko il nuovo arrivato. Forse perché aveva parlato con voce benevola e
divertita. Alzai la torcia e illuminai il volto di uno sconosciuto di mezza età, poi spostai la
luce verso il basso per controllare che non avesse una pistola.
«Sono il dottor Harrison» disse con un piccolo inchino posando lo sguardo
alternativamente con una punta di irritazione dal viso di Gideon al Gideon per terra. «Ho
appena prelevato la vostra lettera dal nostro adepto di turno alla postazione Cerbero.»
Tirò fuori dalla giacca una busta con un vistoso sigillo rosso. «Lady Tilney mi ha
raccomandato che non doveva finire per nessun motivo nelle mani del Gran Maestro o di
altri membri della cerchia interna.» Gideon sospirò e si massaggiò la fronte con il dorso
della mano. «Volevamo impedire la consegna, ma abbiamo perso tempo in queste
gallerie... e poi sono stato così idiota da riuscire a incontrare me stesso.» Prese la lettera e
se la infilò in tasca. «Grazie.» «Un de Villiers che riconosce di aver commesso un errore?»
I l dottor Harrison rise brevemente. «Una novità assoluta. Ma per fortuna Lady Tilney ha
pensato alla cosa e non mi è mai capitato prima che uno dei suoi piani sia fallito. D’altro
canto, opporsi con lei non ha alcun senso.» Guardò il Gideon steso a terra. «Ha bisogno di
aiuto?» «Magari sarebbe utile disinfettare la ferita e sistemargli qualcosa di morbido sotto
la nuca...» dissi, ma Gideon mi interruppe. «Sciocchezze!
Quello lì sta benissimo.» Senza badare alle mie proteste, mi fece rialzare. «Ora dobbiamo
tornare indietro. Portate i nostri saluti a Lady Tilney, dottor Harrison. E i miei
ringraziamenti.» «È stato un piacere per me» disse il dottor Harrison. Stava per
allontanarsi, quando mi venne in mente una cosa. «A proposito, dottor Harrison» dissi,
«potreste dire a Lady Tilney di non spaventarsi se andrò a trovarla in futuro durante una
trasmigrazione?» I l dottor Harrison annuì . «Volentieri.» Ci rivolse un cenno di saluto.
«Buona fortuna.» Poi si allontanò spedito.
Io stavo per gridargli un: «Arrivederci», ma Gideon mi strattonò nella direzione opposta. I
l suo alter ego svenuto rimase da solo nella galleria.
«Sono sicura che qui pullula di topi» dissi mossa a compassione. «Verranno attirati dal
sangue.» «Ti confondi con gli squali» disse Gideon. Ma poi si bloccò, si voltò verso di me e
mi abbracciò. «Come mi dispiace!» mi mormorò tra i capelli.
«Che stupido sono stato! Mi meriterei proprio un morso di topo.» L’effetto immediato fu
che dimenticai tutto ciò che ci stava intorno (e anche molto altro), gli gettai le braccia al
collo e cominciai a baciarlo, dapprima a casaccio – sul collo, l’orecchio, la tempia – e poi
sulla bocca. Lui mi strinse di più a sé, ma tre secondi dopo mi allontanò di nuovo.
«Non abbiamo proprio tempo per queste cose, Gwenny!» disse turbato, quindi mi prese
per mano e mi trascinò oltre.
Io sospirai. Più volte. Con molto sentimento. Gideon rimase in silenzio. Due gallerie più
avanti, quando si fermò per consultare la piantina, non ce la feci più e gli chiesi: «È perché
bacio in maniera buffa, vero?» «Che cosa?» Gideon mi lanciò un’occhiata perplessa dal
bordo della piantina.
«Sono una vera catastrofe in fatto di baci, giusto?» Cercai di soffocare la nota isterica nella
mia voce, ma non mi riuscì del tutto. «Finora non avevo... voglio dire, per riuscire in una
cosa del genere c’è bisogno di tempo e di esperienza. Dai film non si impara tutto, sai.
Ed è un po’ offensivo se tu mi scacci via.» Gideon abbassò la piantina e con essa la torcia
che andò a illuminare il pavimento. «Gwenny, stammi a sentire...» «Sì , lo so, siamo di
fretta» lo interruppi. «Però adesso devo sfogarmi. Qualunque cosa sarebbe migliore che
respingermi oppure... chiamare un taxi. Posso affrontare le critiche, se vengono formulate
in maniera carina.» «A volte sei davvero...» Gideon scrollò il capo, poi fece un profondo
respiro e proseguì serio: «Quando mi baci, Gwendolyn Shepherd, è come se perdessi il
contatto con il terreno. Non ho idea di come tu faccia, né dove tu abbia imparato.
Se è stato da un film, allora dobbiamo assolutamente guardarlo insieme». Fece una
breve pausa. «Quello che voglio dire è che, quando mi baci, non desidero altro che
stringerti tra le braccia. Accidenti, sono così maledettamente innamorato di te che mi
sembra che qualcuno mi abbia versato una tanica di benzina dentro e le abbia dato fuoco!
Ma in questo momento non possiamo... dobbiamo restare lucidi. Almeno uno dei due.»
L’occhiata che mi lanciò fugò ogni mio dubbio in maniera definitiva. «Gwenny, tutto
questo mi fa una tremenda paura. Senza di te la mia vita non avrebbe più senso, senza di
te... vorrei morire sul colpo, se dovesse succederti qualcosa.» Avrei voluto sorridergli, ma
avevo la gola stretta da un improvviso groppo. «Gideon, io...» cominciai, ma lui non mi
lasciò finire.
«Non voglio che... non può essere la stessa cosa per te, Gwenny. Perché il conte potrebbe
usare proprio questi sentimenti contro di noi. E lo farà!» «Ormai è troppo tardi» bisbigliai.
«Ti amo. Senza di te non vorrei più vivere.» Gideon sembrava sul punto di scoppiare a
piangere. Mi prese la mano e me la strinse fino quasi a stritolarmela. «Allora possiamo
solo sperare che il conte non venga mai, mai a sapere tutto questo.» «E che inoltre ci venga
in mente un piano geniale» aggiunsi. «Adesso smettila di trastullarti qui! Siamo di
fretta.»«Un quarto d’ora, non un minuto di più!» disse Gideon. Era inginocchiato davanti
al cronografo sul plaid che avevamo steso sul prato in mezzo a Hyde Park, a poca
distanza dalla Serpentine Gallery con visuale sul lago e sul ponte. Sebbene la
giornata primaverile si preannunciasse splendida come quella precedente, faceva
ancora freddo e l’erba era bagnata di rugiada. C’erano persone che correvano e
altre che passeggiavano con i cani e qualcuno guardava incuriosito dalla nostra parte.
«Un quarto d’ora è troppo poco!» protestai mentre mi allacciavo in vita il sostegno con le
buffe imbottiture laterali che davano alla mia gonna l’aspetto di una portaerei. Proprio per
portare quel coso la mattina avevo dovuto prendere un’enorme borsa da viaggio al posto
del mio zaino. «E se arrivasse in ritardo?» O magari non arrivava proprio. Era ciò che
temevo di più in cuor mio. «Nel XVI I I
secolo gli orologi non erano così precisi.»
«Allora peggio per lui» brontolò Gideon. «È già un’idea balorda. Proprio oggi!» «Mio
malgrado devo dargli ragione» osservò Xemerius pigramente. Saltellò nella sacca da
viaggio, posò la testa sulle zampe e sbadigliò di gusto. «Svegliatemi quando sarete di
ritorno. Stamattina mi sono svegliato decisamente troppo presto.» Poco dopo dalla borsa
risuonò un lieve russare.
Leslie mi infilò con cautela l’abito dalla testa. Era quello a fiori azzurro che avevo
indossato in occasione del mio primo incontro con il conte e che da allora era rimasto
appeso nel mio armadio. «Ci sarebbe tutto il tempo di occuparsi più tardi di questa storia
di James. Per lui sarà sempre lo stesso giorno alla stessa ora, indipendentemente da
quando tu lo incontrerai.» Cominciò a chiudermi i gancetti sulla schiena.
«Allora era lo stesso anche per la consegna di quella lettera» obiettai. «Non era necessario
intervenire proprio oggi. Gideon avrebbe potuto benissimo darsi un colpo in testa anche
martedì o l’anno prossimo in agosto, il risultato sarebbe stato lo stesso. A parte il fatto che
Lady Tilney si era già incaricata di risolvere la questione.» «Mi vengono le vertigini ogni
volta che rifletto su queste cose» protestò Raphael.
«Volevo aver sistemato la cosa prima del nostro prossimo incontro con Lucy e Paul»
spiegò Gideon. «Non è così difficile da capire.» «E io voglio concludere la faccenda con
James» replicai, poi aggiunsi in tono drammatico: «Se dovesse accaderci qualcosa,
almeno gli avremo salvato la vita!» «Siete proprio decisi a sparire e ricomparire di fronte a
tutta questa gente?» domandò Raphael. «Non pensate che domani la notizia sarà su tutti i
giornali e che la televisione vorrà intervistarvi?» Leslie scosse la testa. «Baggianate»
dichiarò energica. «Siamo abbastanza lontani dalla strada e vi assenterete per poco tempo.
Gli unici che resteranno a bocca aperta sono i cani.» I l russare di Xemerius cambiò
tonalità.
«Però ricordate di mettervi nello stesso punto in cui siete atterrati per il salto di ritorno»
proseguì Leslie. «Segnatevi il posto con queste.» Mi rifilò le scarpe di Raphael e mi guardò
raggiante. «Che divertente, sul serio! D’ora in poi voglio farlo tutti i giorni!» «Io però no»
obiettò Raphael, guardandosi i calzini e agitando contrariato le dita dei piedi. Poi
tornò a osservare la strada. «Sono nervosissimo. Prima in metropolitana ho avuto la
netta sensazione che qualcuno ci seguisse. È possibile che i Guardiani abbiano incaricato
qualcuno di pedinarci. E se venisse qualcuno per rubarci il cronografo non potrei
nemmeno dargli un calcio come si deve, visto che sono rimasto senza scarpe!» «È un po’
paranoico» mi bisbigliò Leslie.
«Guarda che ti ho sentita» disse Raphael. «E non è vero. Sono soltanto... prudente.» «Io
invece non riesco a capire che cosa ci faccio qui» osservò Gideon mettendosi in spalla lo
zaino di Leslie dove aveva infilato l’occorrente per la vaccinazione. «Questa impresa viola
le dodici regole d’oro tutte insieme. Avanti, Gwenny, va’ prima tu.» Mi inginocchiai
accanto a lui e gli sorrisi. Si era rifiutato di infilarsi il suo completo verde, anche se avevo
cercato di spiegargli che, vedendolo vestito in modo normale, James si sarebbe spaventato.
Peggio ancora, avrebbe potuto non prenderci sul serio.
«Grazie di quello che fai per me» dissi invece infilando il dito nello scomparto sotto il
rubino.
«Figurati» borbottò Gideon, poi la sua faccia scomparve davanti ai miei occhi e quando
tornai a vedere chiaramente ero inginocchiata tra le foglie bagnate e un mucchio di
castagne. Mi alzai velocemente e posai le scarpe di Raphael nel punto in cui ero arrivata.
Pioveva a dirotto e non c’era anima viva in giro. Solo uno scoiattolo si arrampicò
velocissimo sul tronco e ci guardò incuriosito dal fogliame.
Gideon era comparso accanto a me e si guardava intorno. «Già» disse scrollandosi la
pioggia dal viso. «Ottimo tempo per una gita a cavallo e una vaccinazione, direi.»
«Nascondiamoci in quel cespuglio e aspettiamo» proposi. Una volta tanto fui io a
prenderlo per mano e a condurlo in avanti.
Lui era recalcitrante. «Solo dieci minuti» protestò. «E, se non arriva, torneremo alle scarpe
di Raphael.» «Sìsì» risposi.
All’epoca esisteva già un ponte che attraversava il laghetto, anche se era del tutto diverso
da quello che conoscevo io. Una carrozza avanzava sulla strada. Un cavaliere solitario si
avvicinava al galoppo dall’altra direzione. Era in sella a un leardo grigio.
«Eccolo!» esclamai, cominciando a gesticolare forsennatamente. «James! Sono qui!» «Non
potresti dare nell’occhio ancora di più?» si informò Gideon.
James, che indossava un mantello con diverse pellegrine a balze e una specie di tricorno
dalle cui punte gocciolava l’acqua, fermò il cavallo a un paio di metri da noi. I suoi occhi
mi scrutarono dai capelli fradici fino all’orlo dell’abito, poi sottoposero allo stesso esame
anche Gideon.
«Siete un mercante di cavalli?» domandò diffidente, mentre Gideon frugava nello zaino di
Leslie.
«No, lui è un medico!» spiegai. «Almeno quasi.» Notai che lo sguardo di James era rimasto
fisso sulla scritta sullo zaino di Leslie. HELLO KITTY
MUST DIE. «James, non sai quanto sono felice che tu sia venuto» cominciai a blaterare.
«Con questo tempo e soprattutto... ieri al ballo non sono riuscita a spiegarmi chiaramente.
In realtà voglio proteggerti da una malattia che ti contagerà l’anno prossimo e ti condurrà
purtroppo alla morte. I l vaiolo, o le pustole, come lo chiami tu. Ho dimenticato il nome
del tizio che ti contagerà, ma non ha importanza. La notizia positiva è che abbiamo
qualcosa che ti salverà da questa malattia.» Lo guardai raggiante. «Basta che scendi da
cavallo e arrotoli la manica, così potremo dartela.» James aveva sgranato sempre di più gli
occhi mentre ascoltava il mio monologo. Hector (un cavallo davvero sensazionale) fece
un passo indietro,
innervosito. «Tutto ciò è
inaudito» disse James. «Mi date
appuntamento nel parco per vendermi un rimedio di dubbia efficacia e una storia ancora
più dubbia? E il vostro accompagnatore ha proprio l’aspetto di un brigante!» Scostò il
mantello all’indietro per mostrarci la spada che aveva al fianco. «Vi avverto! Sono armato
e so come difendermi!» Gideon sospirò.
«Avanti, James, smettila!» Feci un passo avanti e afferrai le redini di Hector. «Vogliamo
solo aiutarti e purtroppo non abbiamo molto tempo!
Quindi, ti prego, scendi da cavallo e togliti il mantello.» «Non lo farò di sicuro» obiettò
James indignato. «E con questo la nostra conversazione è conclusa. Via dalla mia strada,
stramba ragazza!
Spero che sia stato il nostro ultimo incontro! Via!» Fece un gesto come se volesse davvero
colpirmi col frustino, ma non ci riuscì , perché Gideon lo afferrò e lo trascinò a terra.«Non
abbiamo tempo per simili giochetti» ringhiò torcendogli entrambe le braccia dietro la
schiena.
«Aiuto!» strillò James mentre si dimenava come un’anguilla. «Malfattori! Accorruomo!»
«James! Lo facciamo solo per il tuo bene» lo rassicurai, ma lui mi rivolse un’occhiata come
se fossi il diavolo in persona. «Tu non lo sai, ma... siamo amici da dove vengo io. Ottimi
amici persino!» «All’armi! Pazzi! Un agguato» continuava a invocare James, guardando
disperato Hector. Lo stallone tuttavia non sembrava avere nessuna voglia di fare l’eroe.
Invece di gettarsi coraggiosamente su di noi, chinò il muso e cominciò a brucare l’erba
paciosamente.
«Non sono pazza» cercai di spiegare a James. «Io...» «Chiudi la bocca e prendigli la
spada, malandrina Gwenny» mi interruppe Gideon spazientito. «E poi passami la siringa
e
la provetta dallo zaino.» Obbedii con un sospiro. Aveva ragione lui, era assurdo
aspettarsi che James capisse.
«Bene» brontolò Gideon mentre stappava la provetta con i denti. «Lei vi taglierà la gola se
nei prossimi due minuti proverete a fare il minimo movimento, è chiaro? E non
azzardatevi a chiedere ancora aiuto.» Io girai la punta della spada verso il collo di James.
«Hmmm, davvero, James, non pensavo che sarebbe andata così , devi credermi! Fosse per
me, potresti benissimo continuare ad abitare per sempre nella mia scuola. Mio Dio, quanto
mi mancherai! Se ho ragione questo sarà il nostro ultimo incontro.» Mi salirono le lacrime
agli occhi.
James sembrava sul punto di svenire. «Vi lascio la borsa, se volete il mio denaro, ma
risparmiatemi la vita! Per favore» bisbigliò.
«Sì , sì , tranquillo» disse Gideon. Ripiegò di lato l’ampio colletto del mantello e infilò l’ago
nel collo di James. Quando questi sentì la puntura, lanciò un gemito soffocato.
«Ma di solito la vaccinazione non si fa sull’avambraccio?» chiesi.
«Di solito non lo faccio a gente che ha le braccia bloccate» ribatté Gideon contrariato e
James lanciò un altro gemito.
«Che strano modo di dirsi addio» dissi senza riuscire a trattenere un singhiozzo.
«Preferirei abbracciarti, invece che tenerti una spada puntata alla gola! Sei sempre stato il
mio miglior amico a scuola, subito dopo Leslie.» La prima lacrima mi rigò la guancia.
«Senza di te non avrei mai capito la differenza tra maestà, altezza serenissima e sua
signoria, e...» «Fatto» disse Gideon liberando James che barcollò all’indietro portandosi
una mano al collo. «Ci vorrebbe un cerotto, ma va bene anche senza!
Basta fare attenzione che non ci entri della polvere.» Gideon mi tolse di mano la spada.
«Ora montate in sella e allontanatevi senza girarvi, capito?» James annuì . Aveva ancora
uno sguardo allucinato, quasi stentasse a credere che fosse tutto finito.
«Addio» singhiozzai. «Addio, James August Peregrin Pimplebottom! Sei stato il miglior
fantasma che abbia mai conosciuto!» James montò a cavallo ansimando forte e con le
gambe che gli tremavano.
«Se volete riavere la vostra spada, la troverete sotto il castagno» disse Gideon, ma James
aveva già spronato il povero Hector. Li seguii con lo sguardo finché scomparvero tra gli
alberi.
«Contenta?» si informò Gideon, mentre radunava le nostre cose.
Io mi asciugai le lacrime dalle guance e gli sorrisi. «Grazie! È davvero forte avere uno
studente di medicina come ragazzo.» Gideon sogghignò. «Ti giuro però che questa è stata
la mia ultima vaccinazione antivaiolosa! I pazienti sono così ingrati.»Chi è amato non può
morire, perché l’amore significa immortalità.
(Emily Dickinson)15
«Dai gas, vecchio!» esclamò Xemerius. «Ormai si avvicina l’ora del confronto finale con il
male.» Era accovacciato sulle mie ginocchia, mentre ero seduta a bordo della Mini di
Gideon che avanzava faticosamente sullo Strand fra il traffico del primo pomeriggio.
«Zitto» gli intimai. «Per quanto mi riguarda, il conte potrebbe aspettare tutta l’eternità.»
«Come dici?» Gideon mi rivolse un’occhiata interrogativa.
«No, niente.» Mi girai a guardare fuori dal finestrino. «Dimmi una cosa, Gideon, pensi
davvero che il nostro piano funzionerà?» L’ottimismo di quella mattina era svanito,
sostituito da una inquietudine sotterranea che mi rendeva molto nervosa.
Gideon si strinse nelle spalle. «Se non altro è meglio di quella linea strategica di massima,
come l’hai chiamata tu, di stamattina.» «Non sono stata io a chiamarla così , ma Leslie» lo
corressi. Per un attimo restammo entrambi assorti nei nostri pensieri. Eravamo ancora
piuttosto provati, in tutti i sensi, dal nostro incontro con Lucy e Paul. Quanto fosse faticoso
viaggiare nel tempo mi era diventato chiaro solo quando al ritorno ci eravamo trovati nel
bel mezzo di una prova del coro ed eravamo stati inseguiti da diversi soprani settantenni
che starnazzavano. Se non altro però eravamo pronti ad affrontare l’incontro con il conte
di Saint Germain. Era stata Lucy ad avere l’idea decisiva e quest’idea era anche il motivo
della mia suddetta inquietudine.
«Giovanotto! Attento a come guidi» strillò Xemerius coprendosi gli occhi con le zampe. «I
l semaforo era rosso!» Gideon accelerò e tagliò la strada a un taxi prima di girare a
destra verso il quartier generale dei Guardiani. Poco più tardi si fermò nel
parcheggio con gran stridio di ruote. Si voltò verso di me e mi posò le mani sulle spalle.
«Gwendolyn» cominciò serio, «qualsiasi cosa dovesse accadere...» Non riuscì
ad
aggiungere altro. In quell’istante la portiera dalla mia parte fu spalancata. Stavo già per
mandare al diavolo l’insopportabile Mr Marley, ma mi trovai faccia a faccia con la pelata
ansiosa di Mr George. «Gideon, Gwendolyn, finalmente!» ci salutò in tono di rimprovero.
«Siete in ritardo di un’ora.» «L’ospite importante arriva per ultimo» ridacchiò Xemerius
saltando giù dalle mie ginocchia. Lanciai un’occhiata a Gideon, sospirai e scesi dall’auto.
«Avanti, avanti» ci incalzò Mr George prendendomi per un braccio. «È già tutto pronto.»
Tutto era un sogno di ricami e pizzi color crema uniti a velluto e broccato di una tonalità
oro freddo per me e una giacca a ricami colorati per Gideon.
«Sono forse delle scimmie?» Gideon fissò l’indumento come se fosse intriso di cianuro.
«Per la precisione scimmiette cappuccine.» Madame Rossini guardò raggiante Gideon e
gli assicurò che i ricami di animali esotici erano all’ultima moda nel 1782. Voleva sfogarsi
e spiegarci quanto tempo le fosse costato creare la matrice di ricamo originale per la
macchina da cucire, ma fu interrotta da Mr George che consultava l’orologio dalla soglia.
Non riuscivo a capire il perché di tutta quella fretta. Per il conte dopo tutto non faceva la
minima differenza che ore fossero.
«Oggi trasmigrerete nell’archivio» annunciò Mr George precedendoci. Fino a quel
momento non avevamo ancora visto traccia di Falk e degli altri Guardiani, molto
probabilmente erano riuniti nella sala del drago a rinnovare il loro giuramento, oppure
discettavano delle regole d’oro o facevano qualunque cosa facessero di solito i Guardiani.
Incrociammo solo Mrs Jenkins, che ci venne incontro a passo svelto in corridoio con un
voluminoso raccoglitore sottobraccio e ci salutò. (Di domenica!)
«Mr George, quali sono le istruzioni per oggi?» domandò Gideon. «Ci sono dettagli
particolari che dobbiamo osservare?» «Ebbene, per il conte di Saint Germain sono trascorsi
due giorni dal ballo, proprio come per voi» spiegò pronto Mr George. «Le istruzioni nella
sua lettera hanno lasciato interdetti anche noi. La tua visita dovrà durare solo quindici
minuti, Gideon, mentre Gwendolyn si tratterrà con il conte per tre quarti d’ora.
Presumiamo tuttavia che a te verranno affidati altri incarichi, per i quali avrai bisogno
del
tuo contingente di
tempo, perché ha scritto espressamente che non dovevate
trasmigrare prima.» Tacque per un momento e guardò dalla finestra verso la chiesa di
Temple che da lì si vedeva molto bene. «Non siamo riusciti a decifrare del tutto le
informazioni, ma... a quanto pare il conte è sicuro che il completamento del cerchio di
sangue sia imminente. Ha scritto che dobbiamo prepararci tutti quanti.» «Oh, oh» fece
Xemerius.
Oh, oh, pensai anch’io lanciando una breve occhiata a Gideon. Sembrava quasi che il conte
avesse previsto il fallimento dell’operazione zaffiro e tormalina nera prevista per il giorno
precedente. E che avesse pronto un piano di riserva.
Probabilmente un piano più geniale del nostro.
La mia sottile inquietudine si trasformò in autentico panico. L’idea di ritrovarmi da sola
con il conte mi fece venire la pelle d’oca. Gideon si fermò, come se mi avesse letto nel
pensiero, e mi abbracciò senza curarsi di Mr George.
«Andrà tutto bene» mi bisbigliò all’orecchio. «Non dimenticare che a te non può fare
niente. E finché non lo saprà sarai al sicuro.» Mi aggrappai a lui come una scimmia
cappuccina.
Mr George si schiarì
la gola. «Mi fa molto piacere che abbiate superato le vostre
controversie» disse con un sorriso malizioso. «Purtroppo però dobbiamo andare.» «Abbi
cura di lei, testa di legno!» sentii dire da Xemerius, poi mi ritrovai nel 1782. La prima cosa
che vidi all’arrivo fu la faccia di Rakoczy a meno di mezzo metro dalla mia. Lanciai un
grido soffocato e feci un salto di lato e anche Rakoczy indietreggiò sgomento.
Si sentì una risata e, nonostante fosse piacevole e melodiosa, mi fece rizzare i peli sulla
nuca. «T e l’avevo detto che dovevi imparare a farti da parte, Miro.» Mentre Gideon
atterrava accanto a me, io mi voltai lentamente. Eccolo lì , il conte di Saint Germain, con
una semplice giacca di velluto verde scuro e come al solito una parrucca bianca. Si reggeva
al bastone e per un istante mi parve fragile e vecchio, vecchissimo.
Poi però la sua postura si raddrizzò e alla luce della candela vidi le sue labbra
curvarsi in un sorriso ironico. «Benvenuti, miei cari. Sono contento di vedervi in salute.
E che i voluttuosi racconti di Alastair circa la morte di Gwendolyn fossero solo le fantasie
di un moribondo.» Avanzò di un passo e mi guardò con aspettativa. Impiegai un secondo
a capire che si aspettava da me un inchino. Mi piegai in una profonda riverenza.
Quando mi rialzai, il conte aveva già rivolto la propria attenzione a Gideon.«Oggi
possiamo saltare i convenevoli. Notizie dal Gran Maestro?» domandò e Gideon gli porse
la lettera sigillata che ci aveva consegnato Mr George.
Mentre il conte rompeva il sigillo e leggeva il contenuto, io mi guardai intorno per la
stanza. C’erano una scrivania e diverse sedie e poltrone. Gli scaffali aperti tutt’intorno
erano riempiti di libri, rotoli e pile di carte e sopra il camino era appeso un dipinto, come
alla nostra epoca. Ma non si trattava del ritratto del conte di Saint Germain, bensì di una
gradevole natura morta con libri, pergamena, una penna e un calamaio. Rakoczy si era
messo seduto senza aspettare il permesso e aveva appoggiato gli stivali sulla scrivania. T
eneva in mano la spada sguainata, come fosse un giocattolo da cui non voleva separarsi.
I l suo sguardo inquietante e velato mi accarezzò, e le sue labbra si curvarono in una
smorfia. Forse stava ripensando al nostro ultimo incontro, ma di sicuro non sembrava
avere nessuna intenzione di scusarsi per il suo comportamento.
I l conte aveva terminato la lettura, mi scrutò intensamente poi annuì . «Rosso rubino, che
ha la magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore. Come hai
fatto a sfuggire alla micidiale spada di Lord Alastair? Ha solo immaginato di averti
colpita?» «In effetti ha ferito Gwendolyn» disse Gideon e io rimasi sorpresa dal tono
gioviale e tranquillo della sua voce. «Tuttavia era solo un graffio superficiale, è stata
davvero molto fortunata.» «Mi rincresce molto che siate finiti in questa situazione» disse
il conte. «Vi avevo promesso che non vi sarebbe stato torto un capello e in genere
mantengo le mie promesse. Ma quella sera il mio amico Rakoczy si era dimenticato i
propri doveri, non è così , Miro? Questo mi ha portato a riflettere su come a volte ci
fidiamo troppo degli altri. Se l’affascinante Lady Lavinia non fosse venuta da me, il mio
primo segretario sarebbe rinvenuto e avrebbe fatto perdere le proprie tracce... e Lord
Alastair si sarebbe dissanguato tutto solo.» «In realtà è stata l’affascinante Lady Lavinia a
tradirci» mi sfuggì . «Lei ci ha...» I l conte alzò una mano. «So tutto, bambina. Alcott ha
avuto modo di confessare fino in fondo i suoi peccati.» Rakoczy proruppe in una risata
roca.
«E anche Alastair ci ha detto molte cose, sebbene verso la fine fosse diventato un po’
oscuro, non è così , Miro?» I l conte fece un sorriso inquietante. «Ma di questo potremo
parlare la prossima volta, oggi il nostro tempo è contato.» Ci mostrò la lettera. «Ora che
le vere origini di Gwendolyn sono state chiarite, non dovrebbe essere difficile convincere i
suoi genitori a offrire un piccolo tributo di sangue. Spero che abbiate seguito precisamente
le mie indicazioni.» Gideon annuì . Era pallido e teso in volto ed evitava di guardarmi. Le
cose finora erano andate come avevamo previsto. Almeno a grandi linee.
«L’operazione tormalina nera e zaffiro sarà realizzata oggi stesso. Se l’orologio sulla parete
è puntuale, tra pochi minuti salterò indietro nel 2011.
E da lì è tutto pronto per la mia visita a Lucy e Paul.» «Esattamente» disse il conte
soddisfatto, poi estrasse una lettera dalla tasca della giacca e la porse a Gideon. «Qui
dentro c’è spiegato a grandi linee il mio piano. Nessuno dei miei Guardiani del futuro
dovrà mettersi in mente di intralciarti.» Si avvicinò al camino e contemplò per qualche
istante le fiamme. Poi si voltò. Gli occhi sopra il suo naso aquilino lampeggiarono e
tutta la stanza di colpo fu piena della sua presenza. Sollevò le braccia. «Oggi stesso si
compiranno tutte le profezie. Oggi stesso l’umanità riceverà una medicina di inaudita
efficacia» esclamò. Fece una breve pausa e ci guardò aspettando un applauso. Io valutai
per un attimo se fosse il caso di manifestare il mio entusiasmo con un: «Uau! Grande!»,
ma mi convinsi che le mie arti recitative al momento non fossero particolarmente
sviluppate. Pure Gideon si limitò a guardarlo in silenzio. E Rakoczy ebbe addirittura
l’ardire di emettere un lieve rutto proprio in questa circostanza festosa.
I l conte schioccò la lingua contrariato. «Ebbene» aggiunse lentamente, «immagino che con
questo abbiamo detto tutto.» Si avvicinò a me e mi posò la mano sulla spalla. Io dovetti
fare uno sforzo per non scrollarmela di dosso come se fosse una tarantola. «Noi due, mia
bella fanciulla, sapremo come passare il tempo nell’attesa, vero?» domandò con voce
untuosa. «Di certo comprendi che dovrai farmi compagnia un po’ più a lungo del giovane
Gideon.» Io annuii e mi chiesi se il conte non stesse a poco a poco cambiando la sua
opinione sulle donne. Se presumeva che io capissi tutto, allora non potevo essere tanto
stupida, no? Ma lui proseguì
incurante: «Dopo tutto il nostro giovane Gideon deve
convincere tormalina nera e zaffiro che la loro figlia morirà se non gli daranno subito il
loro sangue». Rise sottovoce, poi si rivolse a Gideon. «Puoi abbellire un po’ la cosa,
raccontando della passione di Rakoczy per il sangue delle vergini e dell’usanza
transilvana di strappare il cuore ai vivi, ma sono sicuro che non sarà necessario. Quei due
giovani pazzi daranno subito il loro sangue, ne sono convinto.» Rakoczy scoppiò in una
fragorosa risata e il conte lo imitò. «Com’è facile manipolare le persone, vero?» «Però non
avete intenzione di...» disse Gideon con espressione preoccupata. Continuava a evitare di
guardarmi.
I l conte sorrise compiaciuto. «Ma che cosa pensi mai, mio caro ragazzo? Nessuno le
torcerà un capello. Resterà soltanto in ostaggio qui da me per un po’. Per la precisione
finché tu non sarai tornato nel 2011 con il sangue del 1912.» Alzò la voce. «Queste
auguste sale saranno sconquassate, quando la confraternita si sarà unita e la chiusura del
cerchio di sangue nel cronografo potrà avvenire.» Sospirò. «Ah, come vorrei poter essere
presente a questo magico momento. Devi raccontarmi tutto con la massima precisione!»
Sìsìsì . Bla-bla-bla. Mi resi conto di aver digrignato involontariamente i denti. Le mascelle
mi facevano già male. I l conte nel frattempo si era avvicinato a Gideon, così tanto che la
punta dei loro nasi si sfiorava. Gideon non batté ciglio. I l conte alzò l’indice. «I l tuo
compito sarà quello di portarmi senza indugio l’elisir che troverete sotto la stella a dodici
punte.» Afferrò Gideon per le spalle e lo guardò negli occhi. «Senza indugio.» Gideon
annuì . «Mi chiedo solo perché volete che vi portiamo l’elisir in questo anno» disse. «Non
sarebbe più utile all’umanità della nostra epoca?» «Domanda intelligente, molto filosofica»
ribatté il conte sorridendo e lasciandolo. «Sono contento che tu me la faccia. Ora però non
c’è tempo per parlare di certe cose. Sarò ben lieto di rivelarti i miei complicati progetti una
volta che avrai portato a termine l’incarico. Fino ad allora dovrai fidarti di me!» Fui sul
punto di scoppiare a ridere. Ma solo sul punto. Cercai di catturare lo sguardo di Gideon,
ma, per quanto fossi sicura che lui se ne fosse accorto, continuò testardo a fissare altrove.
In particolare l’orologio le cui lancette avanzavano inesorabili.
«Ci sarebbe una cosa ancora: Lucy e Paul hanno a disposizione un cronografo» disse
Gideon. «Potrebbero cercare di venirvi a trovare qui, oggi, oppure prima... per impedire
tutto questo e anche la consegna dell’elisir.» «Ebbene, ormai conosci abbastanza le leggi
del continuum da sapere che finora non sono mai riusciti a sabotare i miei piani, perché
altrimenti noi non saremmo seduti qui, giusto?» I l conte sorrise. «E per le prossime ore,
fino a quando l’elisir entrerà in mio possesso, ho adottato particolari misure di sicurezza.
Rakoczy e i suoi uomini uccideranno chiunque si avvicini a noi senza permesso.» Gideon
assentì , poi si portò una mano allo stomaco. «Ci siamo» annunciò, e alla fine i nostri
sguardi si incontrarono. «T ornerò presto con l’elisir.» «Sono sicuro che sarai in grado di
assolvere benissimo questo incarico, giovanotto» disse il conte allegramente. «Ti auguro
buon viaggio. Io e Gwendolyn trascorreremo il tempo dell’attesa con un bicchierino di
porto.» Io inchiodai lo sguardo su quello di Gideon cercando di trasmettergli tutto l’amore
che provavo, poi lui scomparve. Avevo voglia di scoppiare a piangere, ma continuai a
stringere i denti e mi costrinsi a pensare a Lucy.Avevamo discusso ogni particolare nel
salotto di Lady Tilney, davanti a un tè con tramezzini. Sapevo che dovevamo battere il
conte con le sue stesse armi, se volevamo sconfiggerlo una volta per tutte. Ed era sembrato
tutto molto semplice, ammesso che le supposizioni di Lucy fossero corrette. Ce l’aveva
presentate di punto in bianco e inizialmente noi le avevamo scartate, ma poi Gideon
aveva annuito per primo. «Sì» aveva detto. «Potresti aver ragione tu.» Aveva ricominciato
a camminare impaziente per la stanza.
«Ammettiamo che facciamo quello che ci chiede il conte e diamo a Gideon il nostro
sangue» spiegò Lucy. «Lui allora potrà chiudere il cerchio di sangue del secondo
cronografo e consegnare l’elisir al conte che a sua volta diventerà immortale.» «Questo è
proprio il motivo per cui da anni lo evitiamo come la peste, no?» osservò Paul.
Lucy alzò una mano. «Aspetta. Proviamo a riflettere meglio.» Io assentii; non sapevo dove
volesse andare a parare, ma da qualche parte nella mia testa si formò un vago punto
interrogativo che poi si trasformò in un punto esclamativo. «I l conte diventerà immortale,
fino al giorno della mia nascita.» «Esatto» confermò Gideon. Si fermò di colpo. «I l che non
significa che lui salti vivo e vegeto nella storia. Anche nella nostra.» Paul aggrottò la
fronte. «Volete dire che...» Lucy annuì . «Vogliamo dire che il conte sta vivendo tutta
questa vicenda dal vivo e a colori.» Fece una breve pausa. «E temo che abbia anche un
posto in prima fila.» «La cerchia interna» indovinai.
Gli altri confermarono con un cenno del capo. «La cerchia interna. I l conte è uno dei
Guardiani.» Guardai in faccia il conte. Chi era? L’orologio sul camino ticchettava sonoro.
Mancava ancora un sacco di tempo prima del mio salto di ritorno.
I l conte mi fece segno di accomodarmi su una poltrona, riempì due bicchieri di vino
liquoroso rosso scuro e me ne porse uno. Poi si sedette sulla poltrona di fronte e alzò il
bicchiere in un brindisi verso di me. «A noi, Gwendolyn! Ci siamo conosciuti soltanto due
settimane fa, ecco, almeno dal mio punto di vista. La mia prima impressione di te non è
stata proprio positiva. Ma in seguito siamo diventati amici, vero?» Già, come no.
Sorseggiai il vino e dissi: «Durante il nostro primo incontro mi avete quasi strangolato».
Bevvi un altro sorso. «Allora pensavo che foste in grado di leggere nel pensiero» sbottai
quasi involontariamente e con una certa audacia. «Ma dovevo essermi proprio sbagliata.» I
l conte rise compiaciuto. «In effetti sono in grado di cogliere correnti di pensiero
dominanti. Ma non si tratta di una dote magica. Chiunque può imparare a farlo. La volta
scorsa ti ho già parlato dei miei viaggi in Asia e di come là ho potuto conoscere la
saggezza e le capacità dei monaci tibetani.» Sì , lo ricordavo. L’ultima volta non lo avevo
ascoltato attentamente. Anche adesso mi risultava difficile seguire le sue parole. Di colpo
suonavano distorte, allungate, come in una cantilena. «Ma che cosa...» mormorai. Davanti
ai miei occhi scese un velo rosa che non riuscivo a mandare via.
I l conte interruppe la sua lezione. «Ti senti mancare, vero? E ora hai la bocca molto secca,
giusto?» Sì ! Come faceva a saperlo? E perché la sua voce suonava così metallica? Lo
guardai attraverso quello strano velo rosa.
«Non devi aver paura, piccola mia» disse. «Passerà presto. Rakoczy mi ha assicurato che
non proverai alcun dolore. Ti addormenterai prima che comincino le convulsioni. E – con
un po’ di fortuna – non ti risveglierai prima che sia finito.» Udii la risata di Rakoczy.
Sembrava quella che si sente registrata su nastro in una casa degli spiriti al luna park.
«Ma perché...» cercavo di parlare, ma di colpo avevo le labbra atrofizzate.
«Mi dispiace molto» disse il conte freddamente. «Sai, purtroppo per realizzare i miei
progetti sono costretto a ucciderti. Anche questo era scritto nelle profezie.» Volevo tenere
gli occhi aperti, ma non ci riuscivo. I l mento mi ricadde sul petto, poi la testa si piegò di
lato e infine gli occhi mi si chiusero.
L’oscurità mi avvolse.
Forse questa volta sono morta per davvero, mi passò per la testa quando ritornai in me. In
realtà però non mi ero mai immaginata gli angeli come bambinetti nudi ricoperti solo da
rotolini di ciccia che guardavano con espressione estatica come quegli esemplari lì che
suonavano la lira. E che tra l’altro erano soltanto dipinti sul soffitto. Richiusi gli occhi.
Avevo la gola così secca che non riuscivo a deglutire. Ero sdraiata su un supporto rigido e
mi sentivo sfinita, come se non fossi più in grado di muovermi.
Da qualche parte dietro il mio orecchio destro colsi una voce che canticchiava piano. Era la
marcia funebre del Crepuscolo degli Dei, l’opera lirica preferita di Lady Arisa. La voce che
interpretava la melodia in maniera del tutto inadeguata mi risultava vagamente familiare,
ma non riuscivo a identificarla. Non potevo neppure guardare a chi appartenesse, perché i
miei occhi si rifiutavano di aprirsi.
«Jake, Jake» disse la voce, «non avrei mai pensato che proprio tu mi avresti smascherato.
Ma ormai le tue conoscenze mediche non ti saranno di alcun aiuto.» La voce rise piano.
«Infatti, quando ti sveglierai, avrò già preso il largo. In Brasile in questa stagione c’è un
clima molto piacevole, sai. Ci ho vissuto dal 1940. Anche l’Argentina e il Cile hanno molto
da offrire.» La voce fece una breve pausa, per fischiettare qualche nota del tema
wagneriano. «Sono molto attratto dal Sudamerica. I l Brasile inoltre dispone dei migliori
chirurghi plastici del mondo. Mi hanno liberato di quelle fastidiose palpebre cadenti, del
naso a uncino e del mento sfuggente. Per questo fortunatamente non somiglio più così
tanto al mio stesso ritratto.» Mi sentivo formicolare le braccia e le gambe. Ma evitai di
grattarmi. Probabilmente era meglio per me se restavo immobile.
La voce rise. «Comunque, anche se qualcuno qui nella loggia mi avesse riconosciuto»
proseguì , «sono sicuro che nessuno di voi sarebbe stato capace di trarre le giuste
conclusioni. A parte quel fastidioso Lucas Montrose. Ci mancava poco e mi avrebbe
smascherato... ah, Jake, nemmeno tu ti sei accorto che il suo non era stato un infarto, bensì
il risultato dei perfidi metodi di Marley senior. Perché voi uomini vi ostinate a vedere solo
quello che volete vedere.» «Sei un uomo stupido e malvagio» pigolò qualcuno impaurito
alle mie spalle. I l piccolo Robert! «Hai fatto del male al mio papà!» Avvertii una corrente
d’aria fredda. «E che cosa hai fatto a Gwendolyn?» Già, che cosa? Questo era
l’interrogativo. E perché non c’era traccia di Gideon?
Sentii un tintinnio e poi lo scatto della serratura di una valigia. «Sempre pronti a servire i
Guardiani. Liberare l’umanità da tutte le malattie, ma per piacere.» Un forte sbuffo.
«Come se l’umanità se lo meritasse! Di sicuro Gwendolyn non la potrai più aiutare.» La
voce si muoveva qua e là per la stanza e a poco a poco cominciai a intuire con chi avessi a
che fare, anche se mi risultava incredibile. «È morta come una di quelle cavie da
laboratorio che usi per i tuoi esperimenti.» La voce rise piano. «I l che d’altra parte è un
paragone e non una metafora.» Aprii gli occhi e alzai il capo. «Però si potrebbe utilizzare
anche come simbolo, giusto, Mr Whitman?» domandai e subito mi pentii di aver parlato.
Gideon non c’era! Solo il dottor White svenuto a poca distanza da me sul pavimento, il
viso grigio come il suo vestito. I l piccolo Robert disperato era chino accanto alla sua testa.
«Gwendolyn.» Bisognava comunque riconoscere che Mr Whitman era riuscito a non
sussultare per lo spavento. Né a mostrare una qualsiasi altra reazione. Se ne stava in piedi
sotto il ritratto del conte di Saint Germain, la mano a stringere un trolley con la borsa di un
portatile e mi fissava.Indossava un elegante cappotto grigio con una sciarpa di seta e si era
alzato gli occhiali da sole tra i capelli, quasi fosse Brad Pitt in vacanza. Non mostrava la
minima somiglianza con il conte del ritratto.
Mi sollevai a sedere con la massima dignità (il voluminoso abito mi rese la cosa un tantino
più faticosa) e mi resi conto di essere stata sdraiata sulla scrivania.
Mr Whitman schioccò la lingua, guardò l’ora e staccò la mano dal trolley. «Che increscioso
disguido» disse.
Non potei sopprimere un sorriso. «Proprio così» osservai.
Si avvicinò a me e tirò fuori dalla tasca del cappotto come per magia una pistola nera.
«Com’è potuto succedere? Rakoczy non ha preparato una bevanda abbastanza potente?»
Io scrollai la testa.
Mr Whitman corrugò la fronte e mi puntò la pistola al petto.
Volevo ridere, ma mi uscì solo un singhiozzo spaventato. «Vuole provarci un’altra
volta?» domandai comunque, cercando di guardarlo coraggiosamente negli occhi.
«Oppure vuole decidersi a capire che non può farmi niente?» Ah, ah! I l nostro piano
stava funzionando, ma se Gideon si fosse deciso ad arrivare mi sarei sentita un po’ più
fiduciosa.
Mr Whitman si accarezzò il mento rasato e mi osservò pensieroso. Poi mise via la pistola.
«No» disse con la sua morbida voce da professore e all’improvviso riconobbi in lui
qualcosa del vecchio conte. «Non avrebbe senso.» Schioccò di nuovo la lingua. «Devo aver
commesso un errore concettuale. La magia del corvo... che ingiustizia che l’immortalità ti
sia stata data già nella culla! Proprio a te. Ma del resto è logico, in te si uniscono
entrambe le linee...» I l dottor White emise un lieve gemito. Io gli lanciai un’occhiata, ma
era sempre cereo in volto. I l piccolo Robert balzò in piedi. «Stai attenta, Gwendolyn»
disse con voce impaurita. «Quest’uomo cattivo di certo ha in mente qualcosa di brutto.»
Lo temevo anch’io. Ma che cosa?
«Sappi, dunque, una stella si consuma per amore, se sceglie liberamente di struggersi il
cuore» recitò Mr Whitman sottovoce. «Perché non ho capito subito? Ebbene, non è ancora
troppo tardi.» Fece qualche passo verso di me, tirò fuori dalla tasca un astuccio d’argento e
me lo posò accanto sulla scrivania.
«Che cos’è, una tabacchiera?» domandai confusa. A poco a poco cominciavo a perdere
fiducia nel nostro piano. C’era qualcosa che non andava e anche di parecchio grave.
«Ancora una volta ti dimostri dura di comprendonio» dichiarò il conte di Saint Germain,
altrimenti noto come Mr Whitman, con un sospiro.
«Questa scatoletta contiene tre capsule di cianuro e ora potrei anche spiegarti perché le
porto sempre con me, ma il mio volo partirà tra due ore e mezzo, perciò sono un po’ di
fretta.
In altre
circostanze potresti anche gettarti
sui binari della metropolitana o
lanciarti da un grattacielo. Ma fondamentalmente il cianuro è il metodo più umano. Prendi
una capsula e la frantumi con i denti. L’effetto è immediato. Apri la scatoletta!» Mi si
strinse il cuore. «Lei vuole che io... che io mi tolga la vita?» «Proprio così .» Accarezzò
teneramente la pistola. «Perché altrimenti non è possibile ucciderti. E per, diciamo così ,
rafforzare la tua decisione in proposito sparerò al tuo amico Gideon non appena entrerà
qui.» Guardò l’ora. «Dovrebbe succedere all’incirca tra cinque minuti. Se vuoi salvargli la
vita, devi ingoiare la capsula ora. Però puoi anche aspettare di vedertelo morto
davanti. Per esperienza so che è una motivazione molto efficace, ti basti pensare a
Romeo e Giulietta...» «Sei molto cattivo!» esclamò
il piccolo Robert cominciando a
singhiozzare. Io cercai di sorridergli incoraggiante, ma fallii miseramente. Se avessi
potuto, mi sarei seduta a piangere accanto a lui.
«Mr Whitman...» cominciai.
«Se non ti spiace, preferisco il titolo di conte» mi interruppe lui allegro.
«La prego, non può...» Mi mancò la voce.
«Ma perché non vuoi capire, sciocca ragazza?» Sospirò. «Credimi, aspettavo con ansia
questo giorno. Vorrei finalmente tornare alla mia vita reale. Professore alla Saint Lennox
High School! Di tutte le professioni che ho svolto in questi duecentotrenta anni è
sicuramente il colmo. Per secoli ho sempre vissuto a contatto con il potere. Avrei potuto
cenare con presidenti, con petrolieri, con re. Anche se oggigiorno non sono più quelli di un
tempo. Invece no, ho dovuto fare lezione a piccole pesti ottuse e in più farmi largo nella
mia stessa loggia dalla posizione di novizio fino alla cerchia interna. Gli anni trascorsi
dalla
tua nascita sono stati
terribili per me. Non
tanto perché
il mio corpo ha
ricominciato a invecchiare, manifestando a poco a poco lievi tracce di decadenza» a
questo punto fece una risata sinistra, «bensì
perché ero così ... vulnerabile. Per
centinaia di anni ho vissuto senza il minimo timore. Ho marciato sui campi di battaglia
sotto il fuoco dei cannoni, mi sono esposto a ogni genere di pericolo,
con
la
consapevolezza che non poteva succedermi niente. E ora, invece? Ogni virus avrebbe
potuto
distruggermi,
ogni maledetto autobus investirmi, ogni stupida tegola
tramortirmi!» In quel momento udii un trambusto e poi vidi Xemerius volare di slancio
attraverso il muro. Si posò accanto a me sulla scrivania.
«Dove sono i maledetti Guardiani?» gli gridai senza preoccuparmi che il conte potesse
sentirmi. Lui però parve riferire la domanda a se stesso.
«Ora non possono aiutarti» disse.
«Purtroppo ha ragione.» Xemerius agitava le ali inquieto. «Quei deficienti hanno
chiuso il cerchio di sangue insieme a Gideon. Poi Mr Travestimento qui ha preso in
ostaggio quell’idiota di Marley e ha costretto i signori con la pistola a entrare nella stanza
del cronografo. Ora sono rinchiusi lì a lamentarsi a gran voce.» I l conte scrollò la testa.
«No, questa non è la vita per me. E deve finire una volta per tutte. Che cosa ha da offrire al
mondo una insignificante ragazzina come te? Io al contrario ho molti progetti. Grandi
progetti...» «Distrailo» mi gridò Xemerius. «Cerca di distrarlo in qualche modo.» «Come
ha fatto a trasmigrare per tutto questo tempo?» mi affrettai a domandare. «Deve essere
stato molto seccante saltare qua e là nel tempo senza controllo.» Lui scoppiò a ridere.
«Trasmigrare? Macché. La mia vita naturale si è conclusa da tempo. Dal momento in cui
sarei dovuto morire, quella scocciatura dei salti nel tempo è finita.» «E mio nonno? Ha
ucciso anche lui? Per rubargli i diari?» A questo punto mi salirono le lacrime agli occhi.
Povero nonno. Era stato a un passo dallo smascherare l’intero complotto.
I l conte annuì . «Siamo stati costretti a mettere a tacere l’astuto Lucas Montrose. Se
n’è occupato Marley senior. Nel corso del tempo i discendenti del barone Rakoczy mi
hanno servito fedelmente, solo l’ultimo è stato una cocente delusione. Quel pedante
sognatore dai capelli rossi non ha ereditato nemmeno un briciolo dello spirito del
leopardo nero.» T ornò a guardare l’ora, poi si girò a osservare trepidante le poltrone.
«Dovremmo proprio esserci, mia cara Giulietta. Probabilmente vedrai il tuo Romeo riverso
in un lago di sangue!» T olse la sicura alla pistola. «È un vero peccato. Quel giovane mi è
simpatico. Ha un grande potenziale!» «Per favore» sussurrai un’ultima volta, ma proprio
in quel momento Gideon atterrò accanto alla porta in posizione leggermente china. Non
ebbeneppure il tempo di alzarsi in piedi che Mr Whitman cominciò a sparare. Un colpo,
un altro, poi un altro, sino a svuotare l’intero caricatore.
Gli spari risuonarono assordanti nella stanza e le pallottole lo colpirono al petto e
all’addome. I suoi occhi verdi sgranati si guardarono intorno smarriti fino a posarsi su di
me.
Io gridai il suo nome.
«Gideon! No!» Mi alzai di scatto e mi gettai accanto a lui, stringendo il suo corpo senza
vita.
«Oddioddioddio» esclamò Xemerius sputando un getto d’acqua. «Ti prego, dimmi che fa
parte del vostro piano. Di sicuro non porta il giubbotto antiproiettile. Oddio! Quanto
sangue!» Aveva ragione. I l sangue di Gideon era dappertutto e l’orlo del mio vestito lo
assorbiva come una spugna. I l piccolo Robert era rannicchiato in un angolo e piangeva
piano con il viso nascosto tra le mani.
«Che cosa ha fatto?» bisbigliai.
«Quello che era necessario! E che tu evidentemente non hai voluto evitare.» Mr Whitman
aveva posato la pistola sulla scrivania e mi porgeva l’astuccio con le capsule di cianuro.
Era leggermente rosso in viso e aveva il respiro più affaticato del solito. «Ora però non
devi più esitare! Vuoi forse continuare a vivere con questo rimorso? Vorresti vivere senza
di lui?» «Non farlo!» gridò Xemerius sputando un fiotto d’acqua sulla faccia del dottor
White.
Io scrollai lentamente il capo.
«Allora sii brava e non mettere alla prova la mia pazienza!» disse Mr Whitman e per la
prima volta lo sentii perdere il controllo della voce. Ora non era più né morbida né ironica,
bensì quasi un po’ isterica. «Vedi, se mi farai aspettare ancora, dovrò darti altri motivi per
mettere fine alla tua vita! Li ucciderò tutti, uno dopo l’altro: tua madre, la tua
insopportabile amica Leslie, tuo fratello, la tua graziosa sorellina... credimi! Non
risparmierò nessuno!» Presi l’astuccio con mani tremanti. Con la coda dell’occhio vidi il
dottor White alzarsi faticosamente reggendosi alla scrivania. Grondava acqua.
Grazie al cielo Mr Whitman aveva occhi soltanto per me. «Da brava, così» disse. «Forse
riesco persino a prendere il mio volo. In Brasile farò...» Ma non ebbe modo di spiegare che
cosa avrebbe fatto in Brasile, perché il dottor White lo colpì alla nuca con il calcio della
pistola. Si udì uno schianto raccapricciante, poi Mr Whitman cadde a terra come una
quercia abbattuta.
«Sì !» gridò Xemerius. «Così ! Mostra a quel bastardo che c’è ancora forza ed energia nel
vecchio dottore.» Lo sforzo, tuttavia, aveva prostrato il dottor White. Con un’occhiata
sgomenta a tutto quel sangue, stramazzò sospirando e rimase immobile accanto a Mr
Whitman.
Così fummo soltanto noi, io, Xemerius e il piccolo Robert, testimoni di come Gideon
all’improvviso cominciò a tossire e si drizzò a sedere. Era sempre molto pallido, ma i suoi
occhi erano pieni di vita. Un sorriso si aprì lentamente sul suo volto. «È finita?» domandò.
«Vecchio imbroglione!» bisbigliò Xemerius sopraffatto dallo stupore. «Come hai fatto?»
«Sì , Gideon, è finita!» Mi gettai tra le sue braccia senza alcun riguardo per le sue ferite.
«Era Mr Whitman e io non riesco a capire come abbiamo potuto non accorgercene.» «Mr
Whitman?» Assentii e mi strinsi di più a lui. «Avevo tanta paura che tu non lo avessi
fatto. Mr Whitman infatti l’ha capito subito: senza di te non avrei continuato a vivere.
Neppure un giorno!» «Ti amo, Gwenny!» Gideon mi abbracciò così forte da togliermi il
fiato. «Certo che l’ho fatto. Di fronte alle pressioni di Paul e Lucy non mi è rimasta altra
scelta. Mi hanno sciolto la polverina in un bicchiere d’acqua e mi hanno costretto a
svuotarlo fino all’ultima goccia.» «Ora capisco!» esclamò Xemerius. «Era questo il vostro
geniale piano! Gideon si è pappato la pietra filosofale e adesso è diventato a sua volta
immortale. Niente male, soprattutto se si pensa che prima o poi Gwenny si sarebbe sentita
terribilmente sola.» I l piccolo Robert aveva abbassato le mani dal viso e ci guardava con
occhi sgranati. «Andrà tutto bene, piccolino» gli dissi. Peccato che non esistesse ancora
uno psicoterapeuta per fantasmi traumatizzati: era una lacuna di mercato a cui
valeva la pena pensare. «Tuo padre si riprenderà! È un eroe.» «Con chi parli?» «Con un
coraggioso amico» risposi sorridendo a Robert. Lui, incerto, ricambiò il sorriso.
«Oh, oh, credo che si stia riprendendo» disse Xemerius.
Gideon mi lasciò, si alzò e si avvicinò a Mr Whitman. «Dovrò ammanettarlo» disse con un
sospiro. «E poi bisogna fasciare la ferita del dottor White.» «Sì , e poi dobbiamo liberare
gli altri dalla stanza del cronografo» aggiunsi. «Ma prima sarà meglio mettersi
d’accordo sulla storia da raccontare.» «E prima ancora devo assolutamente baciarti»
concluse Gideon abbracciandomi di nuovo.
Xemerius lanciò un gemito. «Sentite! Per farlo ora avete a disposizione tutta l’eternità!» I l
lunedì a scuola era tutto come al solito, o quasi.
Nonostante la temperatura primaverile, Cynthia aveva una grossa sciarpa intorno al collo
e attraversò rapida l’atrio senza guardarsi intorno.
Gordon Gelderman la seguiva. «Andiamo, Cynthia!» sbuffò. «Mi dispiace. Non puoi
tenermi il muso per sempre. E poi non sono stato l’unico a voler... hmmm... vivacizzare un
po’ la tua festa; ho visto con i miei occhi il tuo amico di Madison Gardener versare una
bottiglia di vodka nella ciotola. E Sarah alla fine ha ammesso che il nettare degli dei verde
era composto al novanta per cento dalla grappa di uva spina distillata da sua nonna.»
«Vattene!» disse Cynthia, cercando di ignorare un gruppetto di studenti più piccoli che la
indicavano col dito e ridacchiavano. «Tu... tu mi hai reso ridicola di fronte a tutta la scuola!
Non te lo perdonerò mai!» «E io idiota che mi sono perso questa festa!» disse Xemerius.
Si era appollaiato sul busto di William Shakespeare al quale mancava un pezzetto di naso
dopo «un increscioso piccolo incidente» (come si era espresso il preside Gilles, una volta
che il padre di Gordon aveva offerto una donazione molto cospicua per il restauro della
palestra; prima aveva parlato di intenzionale danneggiamento di un prezioso bene
culturale).
«Cyn, non dire così !» la implorò stridulo Gordon. Non aveva ancora superato il cambio
della voce. «A nessuno interessa che tu abbia pomiciato con quel quattordicenne e i
succhiotti sul collo saranno spariti la prossima settimana e in sostanza, è tutto molto, mol...
ahia!» La mano di Cynthia aveva colpito di piatto la guancia di Gordon. «Mi hai fatto
male!» «Povera Cynthia» bisbigliai. «Quando saprà che il suo adorato Mr Whitman ha
lasciato il suo incarico, sarà la fine per lei.» «Già, sarà strano senza lo scoiattolo. Chissà,
magari d’ora in poi inglese e storia potrebbero anche divertirci.» Leslie mi prese
sottobraccio e mi portò verso le scale. «Anche se devo riconoscerlo. Non l’ho mai
sopportato – direi per istinto – ma le sue lezioni non erano poi così male.» «Non c’è da
sorprendersi: ha partecipato dal vivo a qualsiasi avvenimento storico.» Xemerius ci seguì
svolazzando. Mentre salivo di sopra sentivo crescere in me la malinconia.«I l diavolo è uno
scoiattolo» disse Leslie. «Spero solo che marcisca nelle carceri dei Guardiani. Oh, ecco
Cynthia
che
corre
gemendo
al bagno!» Scoppiò a
ridere. «Qualcuno dovrebbe
raccontarle quello che è successo a Charlotte, scommetto che si sentirebbe subito meglio. A
proposito, dov’è tua cugina?» Leslie si guardò intorno cercandola.
«Da un oncologo» spiegai. «Abbiamo cercato di spiegare con tatto a zia Glenda che i
disturbi di Charlotte potevano avere anche un’altra origine, così
come il colorito
verdastro, l’umore pessimo e la tremenda emicrania, ma il concetto di post sbronza è del
tutto estraneo a zia Glenda, soprattutto nei riguardi della sua impeccabile figliola. È
convinta che Charlotte abbia la leucemia. Oppure un tumore al cervello. Stamattina non ha
voluto neppure credere a una miracolosa guarigione, per quanto zia Maddy le
avesse fatto trovare discretamente sul tavolo un dépliant che spiegava il rapporto tra
adolescenti e alcol.» Leslie ridacchiò. «Lo so, è brutto, ma credo che un pizzico di gioia
maligna sia concessa, senza che per questo ci si attiri un karma negativo, giusto? Solo un
pochino. E soltanto oggi. Da domani torneremo a essere carine con Charlotte, ok? Magari
potremmo fare in modo che si metta insieme a mio cugino...» «Sì , se vuoi trovarti
all’inferno, fa’ pure.» Allungai il collo sopra la testa degli studenti per guardare
verso la nicchia di James. Era vuota.
Sebbene me lo aspettassi, provai una fitta di dolore.
Leslie mi strinse la mano. «Non c’è, vero?» Io scrollai la testa.
«Allora significa che il piano ha funzionato. Gideon diventerà un ottimo medico» disse
Leslie.
«Non starai ancora piagnucolando per quella testa di legno spocchiosa?» Xemerius fece
una capriola sopra la mia testa. «Grazie a te ha potuto condurre una vita più lunga e più
piena, durante la quale senza dubbio avrà fatto ammattire un sacco di gente.» «Sì , lo so»
risposi asciugandomi di nascosto il naso. Leslie mi porse un fazzoletto. Poi scorse Raphael
e lo salutò con un cenno.
«E poi ti sono rimasto io. Per il resto della tua vita eterna.» Xemerius mi sfiorò con una
specie di bacio umidiccio. «Io sono molto più figo. Più pericoloso. E più utile. E sarò
con te anche quando il tuo immortale amico tra due o trecento anni deciderà di
trovarsene un’altra. Sono l’accompagnatore più fedele, più bello e più intelligente che ci
si potrebbe mai augurare di avere.» «Sì , lo so» ripetei, mentre osservavo camminando
Raphael e Leslie che si salutavano con i tre baci sulla guancia che Raphael ci aveva
venduto come tipico saluto francese. Per qualche motivo riuscirono a sbattere la testa l’uno
contro l’altro mentre lo facevano.
Xemerius sogghignò maligno. «Però, se ti sentissi sola, che ne diresti di prenderti un
gatto?» «Magari più tardi» risposi. «Quando non abiterò più con la mia famiglia e se tu ti
comporterai be...» mi bloccai di scatto. Proprio davanti a me, vidi materializzarsi una
figura scura che uscì dal muro dell’aula di Mrs Counter. Da un mantello di velluto liso
spuntava un collo sottile con sopra gli occhi neri e pieni d’odio del conte di Madrone alias
Darth Vader che mi fissavano.
Cominciò subito a rantolare. «Eccoti dunque qui, demone dagli occhi di zaffiro! Ho
percorso instancabile i secoli, ti ho cercato dappertutto e con te quelli della tua risma,
perché vi ho giurato la morte e un Madrone non infrange mai un giuramento.» «Un tuo
amico?» si informò Xemerius mentre io ero rimasta paralizzata dallo spavento.
«Aaaarg!» rantolò il fantasma, poi sguainò la spada e mi assalì barcollando. «I l vostro
sangue intriderà la terra, demoni! Verrete trafitti dalle spade della Santa Alleanza
fiorentina...» Si preparò a colpirmi con un fendente che mi avrebbe staccato un braccio se
non si fosse trattato di una spada fantasma. Io trasalii lo stesso.
«Ehi, ehi, ehi, amico, calma i bollori» disse Xemerius atterrando davanti ai miei piedi. «È
evidente che non capisci proprio niente di demoni. Lei è una umana – per quanto
particolare – e una stupida spada fantasma non può farle proprio niente. Se vuoi uccidere
dei demoni, però, puoi mettere alla prova la tua abilità e tentare con me.» Darth Vader
assunse un’espressione irritata per un istante. Poi ansimò deciso: «Non mi allontanerò mai
da questa creatura demoniaca finché la mia missione non sarà stata compiuta. Maledirò
ogni suo respiro».
Sospirai. Che prospettiva agghiacciante. Già mi vedevo Darth Vader che ondeggiava
accanto a me per il resto della mia vita pronunciando sanguinose minacce. Avrei fallito
agli esami per colpa dei suoi incessanti rantoli, mi avrebbe rovinato il ballo di fine anno e
il matrimonio e...
Xemerius doveva pensarla allo stesso modo perché mi guardò con aria accorata. «Lo posso
mangiare, per favore?» Io gli sorrisi. «Se me lo chiedi in maniera così educata non posso
dirti di no!»Estratto dalla gazzetta della buona società londinese Diario di Lady Danbury
24 aprile 1785
Lord e Lady Pimplebottom hanno annunciato questa settimana il fidanzamento del loro
primogenito James Pimplebottom con Miss Amelia, ultimogenita del visconte
Mountbatton. La notizia non ha sorpreso nessuno, dal momento che già da diversi mesi
era stata osservata una particolare intimità tra i due e, secondo le voci in circolazione, i due
giovani erano stati visti tenersi per mano in giardino al ballo dei Claridge (come riportato).
James Pimplebottom, oltre a spiccare nel novero incresciosamente ridotto dei gentiluomini
abbienti in età da matrimonio per il suo aspetto piacente e le sue maniere impeccabili, è
anche un provetto cavaliere e spadaccino, mentre la futura sposa si distingue per il
raffinato gusto nel vestire e la sua lodevole inclinazione alla beneficenza.
Le
nozze
verranno
celebrate
a
luglio
nella
residenza
di
campagna
dei
Pimplebottom.Epilogo 14 gennaio 1919
«Molto grazioso, mia cara. Queste tonalità pastello sono eleganti e piacevoli. È valsa la
pena ordinare il tessuto per le tende in I talia, non trovi?» Lady Tilney aveva fatto il giro
del salotto osservando tutto. Poi si avvicinò al grande camino e raddrizzò le fotografie
con le cornici d’argento collocate sulla mensola. Lucy temeva in segreto che la
nobildonna potesse passare l’indice guantato sulla superficie e rimproverarla di non
esigere più precisione dalla cameriera. Sarebbe stato più che giustificato.
«Sì , devo dire che l’arredamento ha molto stile» proseguì Lady Tilney. «Del resto il
salotto è il biglietto da visita di una casa. E qui si vede subito: la padrona di casa ha
gusto.» Paul scambiò un’occhiata divertita con Lucy e racchiuse Lady Tilney in uno dei
suoi travolgenti abbracci. «Ah, Margret» disse ridendo, «ora non fare finta che questa sia
opera di Lucy. Hai cercato tu personalmente ogni lampada e ogni cuscino. Per non parlare
poi di come hai tormentato il tappezziere. E ora non possiamo nemmeno vendicarci
aiutandoti a montare uno scaffale dell’Ikea.» Lady Tilney aggrottò la fronte.
«Scusa, non puoi capire.» Paul si chinò e aggiunse un ciocco di legna al fuoco già
scoppiettante.
«Peccato per questo tremendo quadro tutto storto che rovina l’effetto della mia
composizione!» Lady Tilney indicò il dipinto appeso alla parete di fronte. «Non è che
magari potreste metterlo in un’altra stanza...?» «Margret, è un Modigliani autentico»
spiegò Paul paziente. «Tra cent’anni varrà una fortuna. Lucy è andata avanti a
strillare per mezz’ora quando lo ha scovato a Parigi.» «Non è possibile. Al massimo sarà
stato un minuto» lo contraddisse Lucy. «In ogni caso il futuro dei nostri figli e dei nostri
nipoti è assicurato.
Insieme allo Chagall appeso sulle scale.» «Come se fosse necessario» commentò Lady
Tilney. «Di sicuro il tuo libro diventerà un grande successo, Paul, e so che entrambi
state svolgendo un preziosissimo lavoro per i servizi segreti. Del resto è giusto così , se si
pensa a che cosa avete rinunciato.» Scrollò la testa. «Certo che non riesco proprio ad
accettare l’idea che Lucy svolga una professione così pericolosa. Non vedo l’ora che
cominci a stare un po’ di più a casa. I l che grazie al cielo sta per accadere.» «Da parte mia
non vedo l’ora che venga inventato il riscaldamento centralizzato.» Lucy si mise seduta in
una delle poltrone davanti al camino e rabbrividì . «Per non parlare di tutto il resto.»
Diede un’occhiata all’orologio a parete. «Tra dieci minuti arriverà» disse nervosa. «Luisa
potrebbe cominciare ad apparecchiare la tavola.» Lanciò un’occhiata a Paul. «Secondo te
come la prenderà Gwendolyn la notizia che avrà un fratellino?
Voglio dire, dev’essere una sensazione buffa.» Si accarezzò la pancia leggermente
sporgente. «Quando nostro figlio avrà dei figli, saranno già vecchi prima ancora che
Gwenny sia nata. Forse sarà gelosa. Dopotutto l’abbiamo abbandonata da piccola e ora...»
«Sono sicuro che sarà felice» la interruppe Paul. Le posò una mano sulla spalla e la baciò
teneramente sulla guancia. «Gwendolyn è una persona generosa e amorevole come te. E
come Grace.» Si schiarì la voce, per mascherare l’improvvisa ondata di commozione che
lo aveva assalito. «Piuttosto temo il momento in cui Gwendolyn e quel piccolo farabutto
mi diranno che sto per diventare nonno» disse poi. «Spero che aspetteranno ancora
qualche anno.» «Chiedo scusa!» disse la cameriera entrando. «L’ho dimenticato. Dovevo
apparecchiare in sala da pranzo oppure qui, Mrs Bernhard?» Prima che Lucy potesse
rispondere, Lady Tilney era già saltata su inviperita. «Per prima cosa devi bussare» disse
severa. «Secondo, devi aspettare che ti venga detto: ‘Avanti’. T erzo, non devi presentarti
davanti alle loro signorie con i capelli in disordine. E, quarto, non si dice Mr e Mrs
Bernhard, bensì madame e sir.» «Sì , madame» rispose la cameriera intimorita. «Vado a
prendere il dolce, allora.» Lucy la seguì con lo sguardo, poi sospirò. «Temo che non mi
abituerò mai a questo nome.»Ringraziamenti Sì , lo so, sono in ritardo, troppo in ritardo.
Ma abbiate ancora un pizzico di pazienza. Sono state tante le persone che nei mesi passati
mi hanno impedito di gettarmi da un ponte, e non riesco a nominarle tutte una per una. La
mia particolare gratitudine va a: Christiane Düring, che ha partorito questo libro insieme
a me e ha sofferto i miei stessi dolori (e la stessa mancanza di sonno). Non può
absolument esistere una levatrice di libri migliore di lei. Grazie, perché durante la scrittura
questa volta non mi sono sentita sola.
Petra Hermanns, la mia ancora di salvezza nella tempesta.
Eva Völler, l’altra mia ancora di salvezza nella tempesta.
Daniela Kern, che dovrebbe ricevere una medaglia per la capacità di spargere buonumore.
Lina e Melissa di: www.die-edelstein-trilogie.blogspot.com, che gestiscono questo
fantastico sito con tanto garbo, spirito e stile che ne sarei quasi invidiosa, se non parlasse
dei miei stessi libri.
Leonie, che mi ha tolto tanto lavoro dalle spalle.
Leonie, Lotta e soprattutto Heidi, per gli spunti creativi, specialmente per quanto riguarda
la scena del ballo.
Harald, che ha spazzato via la mia convinzione che le ferite da taglio producessero intensi
getti di sangue e mi ha spiegato con precisione dove scorre l’aorta e dove fuoriesce la vita
da Gwendolyn.
Mia madre, sempre a disposizione.
E naturalmente Frank. Per tutto.
Alla fantastica Moni Kremer della libreria Kremer di Haren, alle tre impagabili ragazze
Vorreyer, Claudi, Silvia e Diana; a Kossi, Kamelin, Juliane, Tine, Rici, Henrike e a tutti gli
altri amici, agli stupendi colleghi, ai meravigliosi blogger, ai cari lettori appassionati e a
tutte le persone assolutamente sconosciute dico: GRAZIE! Per le molte e-mail «non
cestinare!», i post a sorpresa e le parole di incoraggiamento, i biglietti e le lettere – sono
arrivati sempre al momento giusto. Non avevo mai ricevuto tanti regali in vita mia – dai
cuscini ricamati a mano, alle tazze del buonumore, libri e musica d’ispirazione,
cioccolato, cheesecake e champagne fino ai deliziosi disegni – ho pianto di
commozione a ogni pacchetto. E ho subito bevuto lo champagne.
Per concludere, vorrei ringraziare tutte le ragazze (e Nick) che hanno aspettato tanto a
lungo Green; il vostro entusiasmo, il vostro interesse, la vostra impazienza e il vostro
amore per Gwendolyn e Gideon sono travolgenti. Chiedo scusa se non ho dato uno
scappellotto a Gideon come avevo promesso, ma arrivati a quel punto Gwendolyn non se
l’è sentita e io non l’ho potuta costringere.Elenco dei personaggi principali Con rapporti di
parentela che non corrispondono più del tutto a verità Nel presente: I
Montrose:
Gwendolyn Shepherd, viaggiatrice nel tempo, rubino nel cerchio dei dodici Grace
Shepherd, madre di Gwendolyn Nick e Caroline Shepherd, fratelli minori di Gwendolyn
Charlotte Montrose, cugina di Gwendolyn Glenda Montrose, madre di Charlotte, sorella
maggiore di Grace Lady Arisa Montrose, nonna di Gwendolyn e Charlotte, madre di
Grace e Glenda Madeleine («Maddy») Montrose, prozia di Gwendolyn, sorella del defunto
Lord Montrose Mr Bernhard, maggiordomo dei Montrose Xemerius, fantasma di un
demone sotto forma di un doccione in pietra Alla Saint Lennox High School: Leslie Hay,
amica del cuore di Gwendolyn James August Peregrin Pimplebottom, fantasma della
scuola Cynthia Dale, compagna di scuola Gordon Gelderman, compagno di scuola Mr
Whitman, professore di inglese e storia Preside Gilles, dirigente scolastico Al quartier
generale dei Guardiani a Temple: Gideon de Villiers, può viaggiare nel tempo come
Gwendolyn Falk de Villiers, zio di secondo grado di Gideon, Gran Maestro della loggia
del conte di Saint Germain, i cosiddetti Guardiani Mr Marley, adepto di primo grado
Thomas George, membro della loggia nella cerchia interna Dottor Jake White, medico e
membro della loggia nella cerchia interna Il piccolo Robert, figlio defunto del dottor White
Madame Rossini, sarta dei Guardiani Mrs Jenkins, segretaria dei Guardiani Nel passato: Il
conte di Saint Germain, viaggiatore nel tempo e fondatore dei Guardiani, smeraldo nel
cerchio dei dodici Miro Rakoczy, fratello di sangue e amico, conosciuto anche come «il
leopardo nero» Lord Alastair, discendente del conte di Madrone, rappresentante
dell’Alleanza fiorentina Sir Albert Alcott, primo segretario dei Guardiani Lucas Montrose,
nonno di Gwendolyn Lord Brompton, conoscente e sostenitore del conte Lady Lavinia,
vedova di dubbia reputazione Margret Tilney, viaggiatrice nel tempo, trisavola di
Gwendolyn, nonna di Lady Arisa, giada nel cerchio dei dodici Mr Millhouse,
maggiordomo di Lady Tilney Dottor Harrison, medico personale di Lady Tilney, membro
della cerchia interna dei Guardiani Paul de Villiers, viaggiatore nel tempo, fratello minore
di Falk de Villiers, tormalina nera nel cerchio dei dodici Lucy Montrose, viaggiatrice nel
tempo, nipote di Grace, figlia di Harry, fratello maggiore di Grace e Glenda, zaffiro nel
cerchio dei dodici