scuola siciliana - appunti scuola superiore

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LA SCUOLA SICILIANA
RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO: “LA SCRITTURA E L’INTERPRETAZIONE” di
Romano Luperini, Pietro Castaldi, Lidia Marchiani e Franco Marchese. G.B.
Palombo editore.
INTRODUZIONE:
Alla fine del Duecento, in Toscana, si diffonde un genere lirico caratterizzato da
canoni, temi e metri fissi, ma soprattutto da una lingua unitaria.
Tale genere trae origine dalla tradizione antica dei trovatori e soprattutto dalla
“scuola siciliana”, la quale per prima aveva usato un volgare italiano per una
lirica d’amore, ispirata al provenzale.
LA NASCITA DELLE SCUOLA SICILIANA:
Tale poesia lirica nasce alla corte di Federico II di Svevia, imperatore dal 1220 al
1250.
La sua corte itinerante (data la vastità dei territori del suo impero) risiede per lo
più in Sicilia.
Federico, sovrano moderno, considera la “Magna Curia” (la corte imperiale) il
centro da cui si dirama l’amministrazione di uno stato unitario di impronta non
ecclesiastica.
Egli aspira infatti ad una egemonia ghibellina da contrapporre alla Chiesa anche
sul piano culturale, incoraggiando così la ricerca scientifica. A tal fine dà impulso
ad esempio a scuole ed università.
L’imperatore ama inoltre l’incontro fra culture diverse: essendo lui stesso figlio di
un padre tedesco e di una madre normanna, è stato educato in tedesco e in
francese ed impara per proprio conto il latino, l’arabo, il greco e il volgare
siciliano.
In Sicilia, a partire dal 1220, si riuniscono dunque intorno a lui poeti provenzali e
letterati, che Federico favorisce ed incoraggia nella loro opera. Egli stesso, come i
suoi figli re Enzo e Manfredi, è poeta in volgare e scrive in latino un trattato sulla
falconeria.
Sotto la grande influenza di quella che viene dunque chiamata “scuola siciliana”,
si chiameranno tali anche i poeti successivi fino allo Stilnovo, sebbene operino nel
centro o nel nord d’Italia.
Oggi, comunemente, si parla invece di “scuola siciliana” per indicare i circa 25
poeti che operarono tra il 1230 e il 1266, quando con la battaglia di Benevento
Manfredi fu sconfitto e con lui anche il sogno ghibellino degli Svevi. In realtà il
vero “periodo poetico siciliano” può considerarsi ancora più breve (1230-1250).
TEMI:
Rispetto al modello provenzale, nella scuola siciliana cambia la figura del poeta.
Questi non è più infatti un cavaliere povero, né un giullare, ma quasi sempre un
borghese con mansioni amministrative o giuridiche a corte, che si dedica alla
poesia per diletto. Ed è forse questa la causa per cui il poeta siciliano non è mai
un musicista.
Il tema di tale poesia non fa più riscontro ad una società feudale (poesia per
entrare nelle grazie di una dama, ad esempio), ma soprattutto cortigiana. Il tema
principale resta pur sempre l’amore, che viene però accostato a momenti
“materiali” della vita, e tutto risente della cultura laica presente alla corte degli
Svevi.
LE STRUTTURE METRICHE:
La poesia siciliana ha condizionato la tradizione lirica italiana.
Pur rifacendosi alla poesia trovadorica, la seleziona, escludendo riferimenti alla
lotta politica, ma piuttosto alla cronaca. Del resto il regime imperiale non concede
lo stesso clima di libertà di espressione della Provenza o dell’Italia del centro o del
nord.
Le strutture metriche sono tre: la canzone, la canzonetta e il sonetto, vera e
propria invenzione siciliana.
Dalla “canso” provenzale deriva la canzone, la forma più elevata ed illustre di
poesia lirica. Essa è composta di endecasillabi alternati spesso a settenari.
Nella canzone provenzale le rime si ripetono uguali in tutte le stanze, mentre in
quella siciliana ogni stanza riprende lo stesso sistema metrico della prima, e al
variare delle stanze corrisponde la variazione delle rime.
La canzonetta ha struttura narrativa e dialogica, con argomenti meno nobili ed
elevati. Ha versi più brevi e vivaci (settenari, doppi settenari, ottonari e novenari)
e andamento ritmico più semplice e spontaneo.
Il sonetto fu usato per la prima volta dal caposcuola dei siciliani: Giacomo da
Lentini. Probabilmente deriva da una stanza della canzone, con divisione interna
tra i due piedi (primi otto versi) e le due volte successive (ultimi sei versi).
I 14 versi che lo compongono sono sempre endecasillabi.
Il sonetto tratta argomenti discorsivi, teorici, morali, ma anche amorosi e
scherzosi.
GIACOMO DA LENTINI:
Giacomo da Lentini fu funzionario imperale dal 1233 al 1241, e di questo periodo
sono dunque le sue poesie.
In Toscana lo chiamavano “il Notaro” (come ci dice anche Dante nella Divina
Commedia) ed egli stesso si firmava “Jacobus de Lentino, domini Imperatoris
notarius”.
Di lui restano 38 componimenti: canzoni, canzonette e sonetti (di cui fu
probabilmente l’inventore).
Fu quasi certamente il fondatore (capo-scuola) del canone lirico. Dante stesso lo
considera il massimo rappresentante dei Siciliani.
Egli possiede grande padronanza degli schemi della poesia provenzale e sa
inserire al loro interno notevoli innovazioni sul piano tematico e sulla creazione
fantastica delle immagini.
Sul piano tematico tende all’io interiore, e allo studio della fenomenologia
dell’amore.
Esso è visto come “piacimento” (atto del vedere) che ha sede negli occhi e il
“nutricamento” che ha sede nel cuore.
La fantasia delle immagini si rifà ad analogie che rimandano al mondo sociale, a
quello naturale, a quello animale… il che riflette la propensione dei siciliani ad
una considerazione scientifica e naturalistica della realtà.
Il “topos” dell’innamorato timido della poesia provenzale viene rinnovato nella sua
canzonetta “Meravigliosamente”.
In un sonetto – “Io m’aggio posto in core a Dio servire”- egli riprende dal “De
amore” di Andrea Cappellano l’immagine di un paradiso terrestre degli amanti,
che sembra anticipare il Guinizzelli e il Dolce Stilnovo, ma mancante della donna
angelo fondamentale per gli Stilnovisti.
OPERE:
Meravigliosamente
Io m’aggio posto in core a Dio servire
GLI ALTRI SICILIANI:
Da Giacomo da Lentini derivano due tendenze: una tragica, e cioè di meditazione
amorosa e di elevato contenuto teorico e morale a cui appartengono egli stesso,
Guido delle Colonne e Stefano Protonotaro; l’altra più romantica e colloquiale,
tendente alla canzonetta popolareggiante (ne sono rappresentanti Rinaldo
d’Aquino e Giacomino Pugliese).
Questa seconda linea sembra giullaresca e quindi estranea alla scuola siciliana
vera e propria. Il suo massimo esponente è Cielo d’Alcamo.
Sia Guido delle Colonne che Stefano Protonotaro sono autori di canzoni: il
secondo, pur essendo più giovane del primo, è il più fedele alla forma provenzale
delle “stanze unissonans”, chiamate così perché in esse ritornano sempre le
stesse rime.
Stefano Protonotaro è probabilmente identificabile con un messinese traduttore
dall’arabo di due libri di astronomia dedicati a Manfredi. E’ quindi della scuola
più tarda (1250-1266). Di lui si conoscono tre canzoni, una della quali -“Pir meu
cori alligrari”- permette di farci conoscere la lingua effettivamente usata dai
rimatori siciliani.
Guido delle Colonne (1210 –1280 circa) fu giudice di Messina e funzionario
imperiale dal 1243. Scrisse 5 canzoni e forse opere storiche.
Il suo stile è chiuso, ermetico, con soluzioni metriche e linguistiche complesse e
rare. Nello stesso tempo fa rivivere le immagini naturalistiche e scientifiche della
cultura siciliana usandole a riferimento della dinamica sentimentale e amorosa.
LA “MEDIOCRITAS” POPOLARE
Al polo opposto della “gravitas” delle canzoni dei suddetti, c’è il “Contrasto” di
Cielo d’Alcamo (Cielo deriva da “Michele”, che è la forma toscana del siciliano
“Celi”).
Egli riprende l’andamento della canzonetta, che conteneva spesso dialoghi fra
cavalieri e pastorelle in cui si svolge il tema della seduzione d’amore.
Questi riferimenti colti mostrano come il giullare che ha composto il contrasto (se
di giullare si tratta) conosceva assai bene la tradizione a cui si ispirava la Scuola
Siciliana.
Il contrasto fu composto fra il 1231 (viene citata una legge successiva a questa
data) e il 1250 (anno della morte di Federico II di cui, nel componimento, si parla
come ancora vivo) quasi certamente nella zona di Messina, dove l’autore si era
trasferito da Alcamo, paese fra Trapani e Palermo.
OPERE:
Contrasto
I RIMATORI SICULO-TOSCANI E GUITTONE
Dopo la battaglia di Benevento, decade la potenza Sveva e con essa la cultura
letteraria siciliana.
Ma nel venticinquennio tra il 1240 e il 1266, i funzionari imperiali di Federico II e
di Manfredi avevano avuto rapporti frequenti con gli esponenti del partito
ghibellino dei comuni dell’Italia centro-settentrionale e centrale.
Inoltre questi funzionari provenivano per lo più dalla scuola di Giurisprudenza
dell’Università di Bologna, dove avevano studiato anche i rappresentanti del ceto
giuridico-amministrativo delle città toscane e siciliane.
Questo spiega la diffusione della poesia siciliana in Toscana e Bologna e la
profonda influenza sui rimatori delle differenti aree geografiche fino alla definitiva
affermazione dello Stilnovo.
Di fatto, la scuola siciliana tramonta in Sicilia e si trasferisce dunque in Toscana.
La denominazione di Siculo-Toscani vuole indicare sia la dipendenza di questi
rimatori dalla scuola siciliana, sia il nuovo apporto toscano di questo genere
lirico.
I nuovi rimatori riprendono sì la canzone e il sonetto siciliani, ma sperimentano
anche altre forme metriche come la ballata, dando ampio spazio alla canzone
politica sul modello del sirventese provenzale che era rimasto estraneo alla corte
di Federico.
La nuova poesia riflette il clima civile delle lotte politiche fra le città e i partiti
della società comunale; gli autori non sono più funzionari sottoposti al potere
assoluto di un imperatore, ma cittadini di estrazione borghese, che partecipano
alla vita politica e cercano di influenzarla anche con i loro componimenti poetici.
Anche la lingua non è più il volgare illustre siciliano, ma il toscano, con elementi
idiomatici.
Ciò è possibile in quanto l’esperienza toscana non ha la compattezza di una
scuola sorta intorno ad una corte, ma rispecchia invece le varie articolazioni della
realtà comunale. Tutte le principali città toscane avranno la loro fioritura di poeti,
ma su di essi prevarrà l’egemonia unificante fiorentina.
I rimatori siculo-toscani principali sono Bonagiunta Orbicciani da Lucca e
soprattutto Guittone d’Arezzo.
L’esperienza toccherà per primo Bonagiunta, ma sarà Guittone (di 15-20 anni più
giovane), grazie alla forma personale e il grande successo della produzione
poetica, ad avere una funzione decisiva nella sua diffusione.
L’attività notarile di Bonagiunta è documentata tra il 1242 e il 1257, ma egli
compose probabilmente per un quarantennio fino al 1280, perché potè assistere
agli esordi dello Stilnovo e polemizzare con Guido Guinizzelli, l’iniziatore
bolognese dello Stilnovo. Fu a lungo considerato un seguace di Guittone, ma
essendo di lui più vecchio, rappresenta in realtà una linea autonoma tra scuola
siciliana ed esperienza toscana della lirica.
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