IV I - recensioni - Liceo Scientifico PEANO

Transcript

IV I - recensioni - Liceo Scientifico PEANO
Recensione Filosofica – The Truman Show
di Simone Romanazzi (IV I)
Trama: L’opera cinematografica narra di un uomo, Truman Burbank, che nasce, studia, lavora e
si sposa, sempre nella stessa città, Sea-Heaven. Qui trascorre una tranquilla esistenza in quello che
appare un mondo perfetto. Con l’andar del tempo, comincia a mostrare segni di insofferenza, e cerca
di partire, ma ogni volta che è pronto per il viaggio, sorgono mille difficoltà che lo costringono a
tornare indietro. Questo e altri piccoli incidenti, cominciano a fargli pensare che ci sia qualcosa che
non va… intanto il suo bisogno di libertà si fa sempre più insistente. Di lì a poco, infatti, scoprirà che
il suo mondo, apparentemente perfetto, è una totale finzione: fin dalla sua nascita, vive in un
gigantesco set cinematografico costruito a Los Angeles, dove tutti recitano un copione, tutti tranne
lui (il suo stesso nome True=vero ne svela l’identità). Da quello studio, viene trasmesso in tutto il
mondo “The Truman Show”, un vero e proprio reality: ogni giorno, milioni di persone, seguono, anzi
spiano, ora per ora, la vita dell’ignaro (ormai non più) sig. Burbank…
Riferimenti Filosofici: Questo film offre molti spunti di riflessione filosofica, possiamo partire
dal concetto concepito dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, del Panopticon: un carcere ideale
progettato affinché un solo guardiano possa controllare tutti i carcerati, in qualsiasi momento, senza
che gli stessi sappiano quando. Possiamo dunque considerare l’enorme set televisivo come un
Panopticon, attraverso il quale il regista può controllare in qualsiasi momento, per mezzo di
telecamere e monitor, gli individui al suo interno.
Una situazione analoga la si può ritrovare nel romanzo “1984” di George Orwell nel quale si narra
di un’ipotetica società futura, dove la vita della popolazione viene controllata minuto per minuto,
attraverso telecamere situate addirittura negli alloggi di ogni individuo, in maniera tale che questa
venga indirizzata nella direzione che più conviene al tiranno, il “grande fratello”, tutto questo
nell’illusione di avere una vita perfetta. E, come a Truman veniva impedito di fuggire alimentando la
sua paura per il mare, così al protagonista di “1984” viene impedito di vivere le sue emozioni,
controllandolo attraverso la sua più profonda paura.
Un altro punto di riflessione che questo film genera è l’impatto che la televisione ha sulla società
moderna. Schopenhauer, che a sua volta riprende un’idea già espressa da Giordano Bruno, diceva in
una analisi sulla potenza delle immagini: “Come guida delle proprie aspirazioni non si dovrebbero
prendere immagini di fantasia, ma concetti. Per lo più accade il contrario.”. Infatti la televisione
moderna ci propina immagini, senza un fondamento reale, che ci portano a desiderare un modello di
1
vita ideale che in realtà non esiste. Quindi ne consegue che la vita deve essere fondata sui concetti,
che a loro volta possono essere meglio espressi attraverso delle immagini, e non viceversa.
Tutti questi riferimenti sono riconducibili al Mito della Caverna che riassume in sostanza la
filosofia di Platone, dove si immagina una situazione nella quale degli uomini sono prigionieri, fin
dall’infanzia, in una caverna, costretti, perché immobilizzati fin al capo, a guardare una parete nella
quale vengono proiettate delle ombre che riproducono persone, oggetti e animali, per mezzo di un
fuoco posto alle loro spalle. Questa situazione li porta a credere che quelle ombre rappresentino la
realtà, e solo quando un prigioniero liberatosi dalle catene, e uscito dalla caverna, dopo diverse
difficoltà e sofferenze, in particolare a causa della luce, scopre la verità.
Le analogie con il film sono evidenti:
L’ambiente del quale Truman vive, è analogo alla caverna del mito, dove ogni aspetto del mondo
che ci circonda è già stato definito, secondo uno schema, a nostra insaputa;
In entrambi i casi la situazione porta a pensare che la finzione creata sia realtà, in quanto
l’impossibilità di prendere decisioni autonome costringe i soggetti a seguire una determinata strada;
Come il prigioniero della caverna che, liberatosi dalle catene, prende coscienza della realtà e esce
dalla caverna, così Truman comprendendo la falsità dell’ambiente in cui vive, decide di superare le
sue paure, e uscire dalla gabbia dorata in cui viveva. Difatti inseguito all’ inadeguatezza che Truman
avverte nella continua ripetitività della sua vita, arriva a nutrire il desiderio di una realtà diversa, e
dunque, superando le sue fobie, mette addirittura a rischio la sua stessa vita pur di scoprire la verità.
In fine un ultimo spunto di riflessione porta ad un concetto di estrema attualità, ovvero a come i
programmi televisivi, e i reality show, condizionino spesso la vita della gente, portandola ad una sorta
di voyeurismo dove si prova grande soddisfazione nello spiare la vita altrui.
Inoltre questi programmi, come lo show di cui fa parte Truman, sono intrisi di messaggi
pubblicitari anche occulti che portano all’esaltazione di uno stile di vita consumistico e superficiale.
2
Recensione filosofica del film
“Incontri ravvicinati del terzo tipo”
di Carlotta Cimmino (IV I)
Trama
Il film inscena lo straordinario incontro ravvicinato tra l’umanità e una civiltà extraterrestre. Nel
plot si presentano quattro personaggi fondamentali:
- Barry, un bambino scappato di casa per seguire misteriose creature e vittima di un rapimento
alieno;
- Claude Lacombe, uno scienziato francese che lavora per conto del governo americano e che
studia un misterioso segnale musicale come possibile contatto lanciato dagli extraterrestri;
- Roy Neary, un elettrotecnico che, dopo essere stato investito da sorgenti luminose,
vive l’esperienza di un incontro ravvicinato con gli alieni, dopo il quale inizierà a dare segni di follia;
- Jillian, la madre di Barry che cerca di ritrovarlo a tutti i costi.
Una serie di avvenimenti spinge il professor Lacombe a pensare che gli extraterrestri vogliano
avere un contatto con degli umani e che indichino come luogo di incontro la Torre del Diavolo.
Nonostante le autorità governative cerchino di mantenere l'avvenimento segreto, molti di coloro che
avevano avuto esperienze di incontri ravvicinati con gli alieni si muovono verso il luogo stabilito. In
particolare, tra questi ci sono Roy e Jillian che, nella sera stabilita, osservano decine di UFO che
scendono da navicelle, tra cui una più grande, atterrata su una pista allestita dal professor Lacombe.
Mentre lo scienziato comunica con gli alieni attraverso suoni e luci, la navicella spaziale, a riprova
delle intenzioni pacifiche, restituisce le persone che nel corso degli anni erano state 'rapite'. Anche
Barry scende dalla nave spaziale e si rincontra con la madre Jillian; il film si chiude con Roy che
viene accolto nella navicella che, sotto gli sguardo della folla, riprende il viaggio nello spazio,
lasciando una via luminosa.
Riferimenti filosofici
Il pensiero Rinascimentale. Nel film si evidenzia ciò che spinge gli uomini verso qualcosa che va
contro la loro capacità di comprendere, ma che in ogni caso li attrae perché in grado di aprire a nuovi
orizzonti. Sia il personaggio di Roy che quello del professor Lacombe, mostrano capacità che li
riportano ai pensatori rinascimentali. Infatti Roy, oltre a riprendere i navigatori che nel '400 e nel '500
3
hanno scoperto nuove rotte, ricorda la curiosità dei pensatori rinascimentali che sviluppano una nuova
concezione della realtà. Lo scienziato, come un pensatore rinascimentale, è disposto a rinunciare alle
certezze precedenti e riesce a liberarsi dal suo pensiero 'aristotelico', rendendosi disponibile a studiare
e scoprire realtà mai pensate prima. Inoltre Roy, come Jillian, vogliono dimostrare che nulla può
fermare un uomo alla ricerca della sua verità come di può dedurre dalle battute del dibattito tra
l'elettrotecnico e il funzionario:
“Che cosa vi aspettavate di trovare? Una risposta”.
Trasparenza e ignoto. Molte volte il regista propone nel film alcuni interrogativi, tra i quali la
contrapposizione tra trasparenza ed ignoto. Infatti, la decisione del governo di evacuare la zona in cui
sarebbe avvenuto il presunto incontro, è motivata dal fatto di dover mantenere la sicurezza e la quiete
pubblica, ma più volte lo scienziato e il suo staff si interrogano sulla giustizia di tale scelta. L’incontro
finale con gli extraterrestri sembra dimostrare, sotto questo punto di vista, che il tenere all'oscuro può
scaturire e, confermare, dei pregiudizi con i quali i potenti vogliono tenere le persone nell’ignoranza
e, di conseguenza, nell’errore. In base a questa contrapposizione, Eraclito credeva che nella base del
pensiero c’è la verità, che sta nelle persone che sanno cogliere il segreto delle cose e la comune
mentalità degli uomini, da lui ritenuta fonte di errore.
Le diverse vie di comunicazione. In questo film si rappresenta la necessità di trovare un altro modo
di comunicare con chi è diverso dagli umani; in questo caso questa necessità è risolta, prima attraverso
le frequenze musicali e poi, quando si ha un confronto diretto, attraverso la gestualità e le espressioni
del viso. Il film suggerisce, come già è stato intuito dagli umanisti, che per arrivare alla comprensione
dell’altro, ossia di colui che è diverso da noi, bisogna iniziare con la sua accettazione, alla quale, oltre
la ragione, contribuisce anche l’insieme di tutte le dimensioni dell’essere umano, compresa quella
fisica ed emozionale.
La gioia dell’infanzia. Il film ci fa capire che gli adulti dovrebbero guardare la vita con occhi
diversi secondo punti di vista dimenticati via via che si cresce, ossia attraverso gli occhi dei bambini.
Il personaggio Barry, infatti, non teme gli extraterrestri e non cerca mai di allontanarsi da loro, al
contrario degli adulti. Nei comportamenti di Roy rivediamo quelli di un bambino e nel suo
personaggio ritroviamo il riferimento al mito della caverna di Platone: chi cerca di guardare le cose
che sono al di fuori degli schemi sarà sempre criticato, ma il fatto di essere riuscito a farlo lo rende
più libero di chiunque altro.
4
Gli extraterrestri. L’idea di esistenza di forme di vita nell’Universo ci fa risalire a teorie di filosofi
a partire dall’antica Grecia. La teoria, proposta da Democrito, è strettamente legata all’idea atomistica
della materia; infatti il filosofo pensava che il mondo è formato da atomi che si muovono in modo
disordinato nel vuoto. Siccome il numero di atomi è infinito e, di conseguenza, anche le possibilità
di unione tra loro, non esisterebbe alcun impedimento alla formazione di altri mondi, né alla
possibilità di altre forme viventi su di essi. Successivamente questa idea ritorna sotto altre forme;
Giordano Bruno, dopo aver appoggiato la teoria copernicana, parla dell’infinità di mondi abitati da
esseri di gran lunga migliori e più intelligenti dei terrestri cogliendo le distinzioni fra le parti e il tutto,
in modo tale che una parte dell’infinito è anch’essa infinita, una sfera infinita ha un raggio infinito;
da qui l’idea di un universo in cui il centro è in ogni luogo e la circonferenza, ossia il suo limite, in
nessuno. Pochi anni più tardi, Galileo Galilei ottenne, grazie al suo cannocchiale, alcune osservazioni
sulla Luna e vi scorse le montagne, proprio come sulla superficie terrestre. Egli non credeva nella
teoria della pluralità dei mondi abitati, ma queste sue osservazioni fecero nascere il dubbio che sulla
Luna, essendo così simile alla Terra, si potessero trovare esseri viventi.
La coscienza. Questo film ribalta completamente l’ideale di extraterrestre come un essere pronto
ad uccidere e a conquistare il pianeta Terra; infatti, nel film di Spielberg, gli alieni sono pacifici e
dotati di una coscienza. Il suggerimento di questo film è che la coscienza è, in qualche modo,
l’obiettivo a cui tende la natura: per questo essa non si è sviluppata solo sulla Terra, ma anche su tutti
gli altri pianeti. Questo ci riporta a Eraclito che affermava che il logos, la legge universale della
coscienza, risulta essere davvero universale: tutti gli esseri del cosmo vengono accomunati sotto
un’unica legge.
La musica. Per Platone c’era uno stretto legame tra filosofia e musica, poiché musicista e filosofo
presentano della somiglianza nelle loro anime. Per Platone la musica era considerata un elemento
fondamentale nell’ambito delle attività che perseguivano la bellezza e la verità. Inoltre il filosofo,
aveva l’idea della musica come intimamente connessa con la parola e da essa ha privilegiato un altro
fondamentale aspetto di quest’arte, cioè il suo effetto sugli altri. In questo senso il film riprende questa
concezione della musica, poiché inizialmente gli essere umani e gli extraterrestri riuscivano a
comunicare tra di loro attraverso delle frequenze musicali.
“Quando nei confronti dei rapporti umani si fa uso dell’armonia, del ritmo e della comprensione intima dell’altro, ciò
è come far della musica”.
Platone
5
Relazione filosofica de “Le nuvole” di Aristofane
di Alessia Carpentieri (IV I)
Trama: Strepsiade, un vecchio ateniese, passava notti insonni perché era tormentato dai debiti che
doveva pagare per colpa del figlio Fidippide; quest’ultimo, diversamente dal padre, dormiva sonni
tranquilli suscitando, così, la rabbia del vecchio. Il grande tormento di Strepsiade si placò quando
ebbe l’idea di andare a parlare con il più grande filosofo del tempo: Socrate. Grazie agli insegnamenti
del filosofo, Strepsiade riuscì a convincere Fidippide a rivolgersi allo stesso maestro il quale, insegnò
al ragazzo due discorsi, uno migliore e uno peggiore, che gli servirono di insegnamento per
trasformarsi in un “indomito parolaio”. Quando arrivò il giorno del pagamento ai due creditori,
Strepsiade e Fidippide riuscirono a cavarsela grazie all’abilità di parola appresa: riuscirono ad avere
ragione pur essendo palesemente nel torto.
Alla fine, però, Strepsiade si rese conto dell’errore commesso e chiese scusa a tutti gli dei che
aveva rinnegato per colpa di Socrate. La commedia si conclude con il vecchio ateniese che brucia il
pensatoio e si pente dello sbaglio compiuto.
Commento: “Le nuvole” è l’emblema dei pensieri degli uomini e la loro paura di rimanere in
silenzio, l’ossessione di parlare e avere ragione anche quando si ha spudoratamente torto. Tutta la
commedia è quindi incentrata sulla dialettica che, per Strepsiade, è vista come qualcosa che serve
solo ad avere ragione. Secondo Socrate, il filosofare, che doveva essere solamente orale perché
pensava che scrivere fosse “come il bronzo che percosso dà sempre lo stesso suono”, serviva per
avere un esame di sé stessi e degli altri: solo così, infatti, si può arrivare al vero sapere, mentre gli
altri “avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza” (“Fedro”, Platone).
Anche durante il Cinquecento viene ripreso, da Pierre de la Ramée, filosofo francese, il significato
di “dialettica”: costituita essenzialmente dalla ragione, è una delle qualità naturali dell’uomo e il suo
fine è la correttezza del parlare.
Nella commedia di Aristofane si può notare come Socrate si avvalga dell’ironia per far rimanere,
in questo caso Strepsiade, nel dubbio. Questa tecnica, che caratterizza il filosofo, serviva a spingere
gli altri ad indagare: solo così sarebbero riusciti ad arrivare alla sapienza. Ciò che Socrate insegna a
Fidippide, con i due discorsi, è che l’importante è saper essere un buon parolaio per riuscire ad avere
ragione anche quando si è nel torto, nonostante ciò comporti andare contro i veri valori della giustizia.
Il vero bersaglio critico di Aristofane è la sofistica, i sofisti ed il loro professare sapienza dietro
ricompense: tra questi l’autore include anche Socrate. Ciò che la commedia mette fortemente in risalto
6
è il comportamento di Socrate, approfittatore e senza etica, assieme a quello di Strepsiade. Secondo
la critica, non sarebbe il filosofo il vero protagonista dell’opera bensì Strepsiade: “È lui il buffone,
l’eroe sbagliato”. Anche se l’attacco più evidente sembra essere ai filosofi del tempo, il vero oggetto
di satira è dunque l’ateniese medio.
Un altro dei temi principali che si possono trovare nella commedia di Aristofane è l’ostilità alla
tradizione e alle divinità: Socrate, essendo un eccellente parolaio, riesce a far cambiare idea al vecchio
Strepsiade che arriva a rinnegare gli stessi dei a cui per tanti anni è stato totalmente devoto. Infatti, lo
stesso Socrate aveva un particolare concetto di religione: non credeva nelle divinità ma in un demone
interiore che dice cosa è bene fare ed è quindi la guida divina della condotta umana.
Un altro tema che viene trattato in “Le nuvole” e molto sentito dal commediografo è l’alternanza
tra il vecchio e il nuovo, il meglio ed il peggio: per Aristofane la figura dell’eroe comico prende corpo
in un anziano poco acculturato ma intelligente, legato alle vecchie tradizioni. Nell’opera teatrale c’è
l’alternarsi tra Strepsiade, come vecchia generazione, e Fidippide, che rappresenta la generazione più
moderna, tra discorso peggiore, cioè la generazione nuova, e discorso migliore, la vecchia. Socrate
soltanto riuscirà ad essere l’intermediario tra tutto questo. Rispetto agli eroi comici di cui era solito
narrare Aristofane, Strepsiade non vuole compiere azioni eroiche ma riuscire a fuggire dai creditori
che tanto lo tormentano.
Un altro tema, seppur secondario, che si evince nella commedia, è quello della nobiltà e delle sue
passioni: Fidippide, il cui nome ci fa capire di essere dinanzi ad un personaggio aristocratico, era
appassionato di cavalieri e cavalli che solitamente venivano apprezzati da gente di corte. Grazie agli
insegnamenti di Socrate e l’essere diventato un abile parolaio, Fidippide, dopo aver picchiato il padre,
attraverso un discorso convincente riesce comunque ad avere ragione.
In questa commedia, Socrate veste i panni di un perfetto sofista che con la sua sapienza inganna i
più deboli, in questo caso Strepsiade e Fidippide, riuscendo a fargli cambiare la propria dottrina e
credere in fallaci divinità, le Nuvole. L’obiettivo di Socrate è quello di insegnare attraverso una
cultura non conservatrice utilizzando un dialogo ricco di elementi intellettuali; al contrario, Aristofane
pensava che l’insegnamento dovesse essere svincolato da tutto ciò e rigorosamente non innovatore.
Strepsiade e Socrate sono le personificazioni di due realtà che viveva Atene nel V secolo: parte della
popolazione aveva idee conservatrici e aveva intenzione di rimanere cristallizzata nelle loro abitudini
e nel vecchio modo di pensare da cui non volevano separarsi; l’altra metà, quella innovatrice e a
favore del progresso, era laica e protesa al futuro.
Non è possibile comprendere a fondo l’intrinseco significato della commedia se non si analizzano
più da vicino le figure di Aristofane, come quello di Socrate. Innanzitutto, i due erano contemporanei
(il primo: 450 – 388 a.C; il secondo: 469 – 399 a.C.) e hanno vissuto nella stessa città. La
7
testimonianza di Aristofane è portatrice dell’ideologia conservatrice ateniese, che fa coincidere la
filosofia con la sofistica; Socrate rappresenta invece l’innovazione, la spinta anti-conformista alla
tradizione ateniese. È proprio questa la differenza sostanziale che Aristofane sottolinea, nella sua
opera quanto nella vita pubblica: le differenti ideologie, il carattere falsario e privo di contenuto della
filosofia. Nello specifico, le accuse che il commediografo muove a Socrate sono due: una di carattere
religioso, l’altra di carattere sociale. La prima era costituita dal fatto che secondo Aristofane, Socrate
adorando nuovi dei, cioè il “Caos”, le “Nuvole” e la “Lingua” ignorava gli dei storici della polis; la
seconda vedeva Socrate corrompere la gioventù con i suoi insegnamenti, incitava alla violenza
creando disordine sociale e l’ostilità dei figli verso i genitori. Queste saranno le stesse accuse rivolte
al filosofo in tribunale e che ne decreteranno la morte. Quanto proposto da Aristofane, fin qui
ampiamente spiegato, non coincide con quanto ci viene tramandato su Socrate: verrà adesso
analizzata l’altra faccia del filosofo. Socrate credeva nell’esistenza di un demone interiore che aveva
il compito di consigliare la strada da prendere nei momenti più difficili: questo δαίμων (Dàimon) è
in realtà l’insieme di tutte le divinità e non, come è stato accusato, un Dio da lui inventato. Infatti, il
filosofo proferiva l’esistenza di una divinità superiore a tutte le altre che poi si rivelano essere solo
delle sue manifestazioni. Il Demone di Socrate può essere considerato come l’anima immortale di
ciascun uomo e sede dell’intelletto e non ha strettamente a che vedere con il divino in senso letterale,
discostandosi quindi da quello che dicevano i suoi accusatori.
Un’altra tecnica che caratterizzava la dottrina socratica è quella della maieutica, cioè l’arte del far
“partorire” il proprio punto di vista sulle cose. Infatti, il filosofo sosteneva che la miglior educazione
che si potesse avere fosse l’autoeducazione, un modo di intendere la filosofia completamente
differente rispetto a quello attribuitogli da Aristofane.
Al giorno d’oggi, gli studiosi ritengono che dietro l’accusa fatta al filosofo si celi in realtà un
motivo di ostilità verso il progresso. La concezione che Socrate aveva di “governo” era di arte e
competenza: un governo non poteva esser assegnato a chiunque ma solo a chi ne era realmente
preparato, tant’è che criticò spesso le elezioni per sorteggio e quelle popolari.
Fino alla fine dei suoi giorni, il filosofo rimase coerente con la sua dottrina anche quando fu
accusato da uno stato conservatore: “Io non preferirei né l'uno né l’altro; ma, se fosse necessario o
commettere ingiustizia o subirla, sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il commetterla”.
8
Recensione filosofica di “Guerre Stellari”
Francesca Coffaro (IV I)
Star Wars – in italiano, Guerre Stellari – viene distribuito nei cinema nel 1977. Una produzione
stressante, caotica ma tutto sommato veloce, diede vita a un film destinato a fare la storia del cinema,
insieme ad altri sei, tra prequel e sequel, e altri ancora in via di sviluppo. George Lucas ha creato
probabilmente la saga fantascientifica più famosa e apprezzata, grazie ad un insieme di elementi che
hanno contribuito alla sua fortuna: avventura, commedia, azione, ma anche un tocco di drammaticità,
qualche scena più seria, per diventare l’obbiettivo dell’ammirazione sia dei più piccoli, che degli
adulti. Nei quasi quarant’anni passati dall’uscita del primo film, ci sono state molteplici teorie ed
analisi di tutto ciò che può esserci dietro la vita ‘in una galassia lontana lontana’. È innegabile il
collegamento tra la Forza, i Jedi, il Lato Oscuro, con qualche forma di filosofia o religione:
l’ispirazione più ovvia per la sceneggiatura si ricollega alle correnti di pensiero orientali, con
l’opposizione di due forze simili ma contrarie come lo Yin e lo Yang del Taoismo. Una non può
sottomettere l’altra senza provocare incredibili disastri nell’universo, ma il loro equilibrio
garantirebbe l’armonia. Il concetto delle due forze del bene e del male ricorda anche il manicheismo,
una religione che segue lo gnosticismo. Essa ammette l’esistenza di due principi opposti, il Bene ed
il Male, in lotta eterna e necessaria tra loro. Queste due forze vengono rappresentate, nell’universo di
Lucas, dai Jedi e dai Sith. I cavalieri Jedi sono un’organizzazione monastica, composta da guerrieri
la cui arma è la spada laser, che governano eccellentemente grazie alla loro padronanza della Forza.
Sono eroi rispettati in tutta la galassia, che proteggono la comunità. La loro controparte sono i Sith, i
principali antagonisti nella saga: se ne trovano solo due, un maestro ed un apprendista. Conoscono il
Lato Oscuro e ne traggono la loro forza, opponendosi ai Jedi ed all’intera Repubblica che governa la
galassia, istituendo in vari momenti regimi totalitari. Nei tre prequel della trilogia originale, si segue
il percorso di Anakin Skywalker, addestrato come Jedi, che verrà sedotto dal Lato Oscuro e diventerà
Darth Vader, uno degli antagonisti principali della saga. Questo prova la libertà di ogni Jedi di
scegliere tra il bene ed il male, basandosi solo sulla propria coscienza, che fa pensare al concetto di
S. Tommaso: l’uomo ha la capacità di scorgere il bene, ed ha la disposizione di tendere ad esso (la
sinderesi), e la facoltà che da ciò deriva è la coscienza.
Ma chi manca di tale disposizione, mancherà anche di virtù, e sarà perciò più propenso verso il
male: nei film vediamo infatti come Anakin cede alla sua rabbia e alle sue passioni più negative,
accumulando odio e violenza che sfogherà diventando un Sith. Tornando ora all’ordine dei Jedi, è
9
facile rivedere in loro e nel loro tipico comportamento i caratteri dello Stoicismo. La forte e rigida
etica che seguono è stata collegata spesso a filosofie come il Buddismo o l’Induismo, ma fermandoci
all’Occidente, lo Stoicismo è quella che più rispecchia gli ideali fermi dei cavalieri: le virtù che i Jedi
più rispettano sono infatti la pazienza, l’impegnarsi in ciò che si crede senza lasciarsi fermare da
niente e nessuno. E qua troviamo i contrasti principali con i Sith, con chi si è lasciato ammaliare dal
Lato Oscuro: la calma, la tranquillità e la cautela, opposte alla rabbia, l’aggressività e l’impulsività;
la benevolenza, la gioia e la passività contrarie all’odio, la scontrosità e la costante agitazione; e
infine, la saggezza, che tende ad essere quasi un simbolo dell’ordine dei Jedi. Il cavaliere più potente
è Yoda, che con la sua calma e la sua saggezza, la perfetta conoscenza del mondo attraverso la
ragione, sembra incarnare ciò che gli Stoici individuavano in un filosofo. Inoltre, si ricorda come
molti dei filosofi della Stoà seguirono uno dei principi etici: la giustificabilità del suicidio. E così, in
Star Wars: Episodio IV - Una nuova speranza, Obi-Wan Kenobi, maestro di Luke, si lascia uccidere
da Darth Vader per permettere la fuga dei suoi compagni. Mentre tra i Sith esiste solo l’omicidio del
maestro per prenderne il posto e ottenerne il potere, un Jedi si sacrifica per il proprio allievo, il proprio
padowan, e tornare ad essere un tutt’uno con la Forza. Quest’ultima è quindi un’entità metafisica,
spirituale. Yoda la descrive a Luke con queste parole: «la vita essa crea ed accresce, la sua energia ci
circonda e ci lega; illuminati noi siamo, non questa materia grezza! Tu devi sentire la Forza intorno
a te, qui, tra te, me, l’albero, la pietra, dovunque!». La Forza è quindi descritta come un’essenza che
riempie ogni cosa, vivente o non, che dona ordine all’universo: una sorta di arché che governa il tutto,
come veniva per i Greci rappresentato da un elemento o, più avanti, con una sorta di panteismo, cioè
quello che, ancora dopo, i filosofi Cristiani spiegheranno con Dio. Ma questo principio di tutto, il
Bene, la Forza, può essere spodestato dal Male, ed ecco perché i Jedi sono fondamentali alla galassia,
per proteggere quest’ordine.
Come i filosofi erano essenziali alla comunità - basti vedere gli ideali politici di Platone, con la
sua Repubblica ideale, ed in generale il ruolo politico dei filosofi nell’antica Grecia - così lo sono i
cavalieri, che proteggono il bene comune e l’armonia del cosmo. Alle virtù della Forza si va ad
opporre la visione relativistica ed assolutista del Lato Oscuro. Ci sono diversi punti, nei vari film, in
cui i cavalieri Jedi parlano di una comunità, di un ‘noi’, non restano fermi nelle loro convinzioni
perché sanno che la saggezza si può raggiungere solo con la conoscenza; al contrario, e ciò è evidente
durante la trasformazione di Anakin, soprattutto quando parla con la moglie Padmé o il maestro, e
amico, Obi-Wan. Parla soltanto di un ‘io’, la ragione sta nella singola persona, e non c’è segno di
anche solo un tentare di ascoltare un altro. Non ci sono più azioni cattive o buone, ma tutto viene
valutato sul singolo. Il relativismo sofistico che porta all’aspirazione del singolo di essere
protagonista di tutto è chiaro in Anakin: «Niente prediche, Obi-Wan. Io vedo oltre le bugie dei Jedi.
10
Non temo il Lato Oscuro come voi. Ho portato pace, libertà, giustizia, e sicurezza nel mio nuovo
impero.» Ma c’è un ultimo punto da considerare quando si analizza la saga, e risiede proprio in
Anakin Skywalker. Nei tre prequel, si parla di una profezia, di un potentissimo cavaliere Jedi che
riporterà l’equilibrio tra la Forza e il Lato Oscuro: quel cavaliere si rivela essere proprio Anakin, che
è infatti uno dei più potenti. La profezia ne parla quasi come un messia, dando alla Forza e all’ordine
dei Jedi una visione più religiosa. Ma alla fine, Skywalker non adempierà al suo compito: passerà al
Lato Oscuro, che sarà al potere fino a quando il figlio, Luke, non riporterà l’ordine con la morte del
padre. Nei film, vediamo questa costante ricerca dell’armonia tra Bene e Male. Come dice Eraclito,
la vita è lotta e opposizione: “Polemos è padre di tutte le cose, di tutte e re.” Polemos, guerra, ovvero
il contrasto tra l’essere ed il non essere, tra i contrari, tra Forza e Lato Oscuro. Non possono esistere
l’uno senza l’altra, ma il perfetto equilibrio tra le due è ciò che porterà all’armonia dell’intera galassia.
11
Recensione del film “Shutter Island”
di Alessio Ramja (IV I)
Shutter Island è un film del 2010, diretto da Martin Scorsese, trasposizione del libro di Dennis
Lehane. La trama s'incentra sulle indagini di un agente federale, di nome Edward "Teddy" Daniels,
in un’isola - carcere - psichiatrica. Teddy deve scoprire che fine ha fatto una detenuta di nome Rachel
Solando scomparsa dalla struttura 24 ore prima dell'arrivo dell'agente e il suo collega Chuck Aule.
La partenza del medico personale di Rachel il giorno stesso dell'arrivo dei due investigatori, le
condizioni meteorologiche del giorno precedente e alcuni indizi trovati nella stanza di Rachel
inducono Teddy a credere che non tutto ciò che gli viene raccontato sia effettivamente vero ed
attendibile. Si scoprirà poi che Edward è interessato a questo caso anche per la presenza in quella
struttura di un certo Andrew Laeddis, piromane che diete fuoco al suo appartamento provocando la
morte della moglie di Teddy.
L'investigatore inizia ad avere sempre più sospetti riguardo alla struttura, soprattutto dopo la
riapparizione di Rachel, si aggiungono col tempo anche le visioni sempre più frequenti e gli incubi,
Teddy quindi inizia ad essere sempre più paranoico tanto da voltare le spalle anche al suo collega del
quale non si fida più poiché è la prima indagine che svolgono insieme. Edward deciderà di scappare
dopo l'incontro con la vera Rachel che so scopre essere stata infermiera della struttura e che gli
confessa che non lo lasceranno mai scappare da lì. L'agente quindi decide di salvare il proprio partner
da una presunta operazione chirurgica al cervello.
Si scoprirà invece che Chuck non è altri che il Dr. Sheehan (il medico di Rachel), che Teddy in
realtà è paziente della struttura da ormai 2 anni e che i vari "Rachel Solando" e "Edward Daniels" non
sono altro che nomi inventati e che lui si chiama Andrew Laeddis, che ha ucciso la moglie dopo che
lei (impazzita) aveva fatto lo stesso con i figli e che tutto ciò che ha creduto di vedere non erano altre
che allucinazioni create dall'astinenza dai farmaci.
L'ultima scena rappresenta Teddy che invita l'amico Chuck a scappare da quel posto facendo
comprendere di non essere guarito, ma proprio mentre i medici lo stanno per portar via lui dice una
frase al collega: "Questo posto mi fa pensare... È meglio vivere da mostri o morire da persone per
bene?!", con quest'ultima domanda Andrew fa comprendere al Dr. Sheehan di essere guarito ma di
volersi sottoporre comunque all'operazione per poter espiare le proprie colpe.
12
Commento
Shutter Island prende come chiave di lettura una delle problematiche più grandi della filosofia,
quella della follia/pazzia. (Oltre alla lotta tra le due idee ''filosofiche'' della medicina, le cure
farmacologiche e quelle chirurgiche).
Con un'interpretazione fantastica di Di Caprio e Ruffalo, e grazie alla sapiente regia di Scorsese,
questo film ha mostrato la follia nei suoi aspetti più pragmatici aprendo alla possibilità di dibattiti e
confronti filosofici che riprendono le idee dei grandi della filosofia quali Aristotele, Platone o
Nietzsche. È nostro dovere quindi, prima di analizzare Shutter Island, fare un quadro dei pensieri
filosofici più comuni riguardanti la pazzia.
Platone è uno dei primi che affronta questo argomento elogiando la pazzia come superiore alla
saggezza in quanto dono divino. Nel pensiero platonico la pazzia può essere suddivisa in 4 categorie:
1. La mania profetica: quella cioè che induce ai vaneggiamenti ed agli indovinelli.
2. La mania mistica: ovvero quella dei possedimenti.
3. La mania poetica: quella ovviamente concessa agli artisti con l'apparizione delle Muse.
4. La mania erotica: quella forse più utilizzata nei vari testi (antichi e recenti), ovvero quella
dell'amore che rende folli gli innamorati.
Aristotele invece sostiene un’idea opposta a quella di Platone poiché ritiene che la saggezza si
trova al di sopra della follia in quanto vede in quest'ultima una sorta di malinconia che non gli
permetterà mai di raggiungere la grandezza della saggezza.
Per Nietzsche la questione è invece interpretabile in un altro modo: il filosofo tedesco non si
sbilancia dicendo che cosa sia più importante tra saggezza o follia e, anzi, le mette sullo stesso piano
sottolineando che l’una non esiste senza l'altra.
''Dobbiamo, di tanto in tanto, riposarci dal peso di noi stessi, volgendo lo sguardo là in basso su
di noi, ridendo e piangendo su noi stessi da una distanza di artisti: dobbiamo scoprire l’eroe e anche
il giullare che si cela nella nostra passione della conoscenza, dobbiamo, qualche volta, rallegrarci
della nostra follia per poter stare contenti della nostra saggezza.''
Queste le parole di Nietzsche, che fanno intendere che non si può essere saggi senza esser stati
13
folli e, al contempo, non si può pensare di esser folli senza divenire saggi.
Nell'idea di Nietzsche la follia è l'unico modo con cui una persona possa staccarsi da se stessa,
dalla propria soggettività per vedere tutto il mondo per com'è e vedere il caos che costruisce la nostra
coscienza. Solo così si raggiunge la saggezza e la sapienza. La follia è l'unico modo che si ha per
poter cambiare ed uscire dai propri schemi morali che per il filosofo sono il male del mondo.
Non si pensi però che quindi le idee di Nietzsche vadano di pari passo con quelle di Platone, anzi!
Per il tedesco infatti il mondo è un caos, un insieme di eventi casuali dove non c'è nulla di prescritto
o divino, si deve quindi accettare l'assenza del "mondo delle idee" di Platone per poter comprendere
che il tentare di dare alla follia un'interpretazione divina e stata un male. "Il rimedio è stato peggiore
del male".
Erasmo da Rotterdam invece credeva che la follia potesse servire a vedere le cose negative in
un'ottica positiva per quindi portare gli uomini alla felicità.
Son queste le idee più famose nel mondo filosofico e incredibilmente il film di Scorsese in un
modo o nell'altro riesce ad intrecciarle tutte. Ovviamente il tutto si può comprendere solo alla fine del
film quando si scopre il vero passato di Andrew e si può ragionare su ciò che si è appena visto.
Nell'ottica platonica ovviamente Teddy è sotto l'effetto del quarto tipo di pazzia, la mania erotica,
poiché il suo stato di pazzia è creato dall'amore. Non si tratta però di un amore come quello che
ritroviamo in personaggi come Orlando, qui si tratta di un amore ben più complesso, di un amore che
Andrew provava per la propria famiglia, per la propria moglie, una moglie che ha tanto amato e che
dopo la guerra (a causa dello shock che gli aveva creato) ha trascurato causandone la morte, sua e dei
figli.
Emblematica in tal senso la frase detta da Teddy a Chuck in una conversazione privata tra i due
nella quale racconta della morte della sua amata ed afferma che la moglie è deceduta a causa del fumo
e non bruciata dal fuoco. Ovviamente può sembrare una frase buttata li ma Teddy ci tiene a precisarla,
come lui stesso dice, questo perché si può ricondurre alla morte vera della moglie, lei è morta ben
prima del colpo di pistola di Andrew, lei è morta mentalmente molto prima, quando Laeddis ignorò
le sue preoccupazioni e non la mandò a curare, è allora che morì (a causa del fumo) e non per il colpo
di pistola (il fuoco). Andrew stesso dirà di essere stato lui ad aver ucciso la moglie ed i figli non
avendola mandata a curare per tempo ed è quella la sua colpa.
Guardando però la storia di Teddy ed Andrew si può notare come si dia ragione per metà ad Erasmo
poiché la storia dell'agente Edward impedisce ad Andrew di vedere i lati negativi della sua vera vita,
14
ma quest'ottica dà ragione ad Erasmo solo a metà poiché anche nella vita di Teddy esiste la sofferenza
(la morte della moglie) e l'ossessione (per Laeddis e Shutter Island) che gli impediscono di
raggiungere la felicità di cui il filosofo parlava senza contare che alla fine, prima o poi con la realtà
ci si dovrà scontrare e sarà la fine dell'illusione do Teddy che darà fine alla felicità che la follia gli
creò.
Ovviamente quindi si passa inevitabilmente alla idee di Nietzsche, che però entrano in vigore solo
ed esclusivamente nel momento in cui si ha il quadro completo della trama. Come il filosofo tedesco
diceva, bisogna staccarsi da se stessi per vedere con oggettività quel che si è fatto e lo si può fare solo
tramite la follia. Infatti Andrew diventa Teddy per poter vedere ciò che successe con gli occhi di
qualcun altro, non era un tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità bensì un tentativo di
comprendere dove ci si era persi.
Teddy odia Laeddis, ama la moglie e non capisce il motivo della sua scomparsa e non giudica mai
Rachel Solando. Odia Laeddis perché è la causa della morte della moglie, ama Dolores e non
comprende quando e perché l'ha persa e non da mai un giudizio sulle azioni di Rachel contro i suoi
figli poichè nel profondo sa, che non fu colpa della donna.
L'atto conclusivo che dà ragione alle idee di Nietzsche è la scena finale. Dopo due anni di follia
Teddy accetta Andrew, raggiungendo così la saggezza, quella stessa saggezza che gli permetterà di
decidere di sottoporsi all'intervento per poter espiare le proprie colpe.
A questo punto forse abbiamo il sopravvento dell'idea di Aristotele tutta quanta racchiusa nella
frase di Andrew al Dr. Sheehan, "è meglio vivere da mostri o morire da persone per bene?" ossia "è
meglio vivere da pazzi o morire da saggi?".
Si può quindi dire che Aristotele in fin dei conti aveva ragione, per quanto importante sia la pazzia,
non sarà mai come la saggezza.
15