DIVAGAZIONI SUL DOPPIO

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DIVAGAZIONI SUL DOPPIO
DIVAGAZIONI SUL DOPPIO
di Silvio Della Porta Raffo
“Ciò che gli uomini chiamano l’ombra del corpo non è
ombra del corpo ma corpo dell’anima” (oscar wilde)
Quando nacque Narciso, racconta il celebre mito greco, Tiresia profetizzò che sarebbe stato felice
fino a quando non avesse ‘conosciuto’ se stesso. Già in questa affermazione notiamo un’insidiosa
ombra di ambivalenza, soprattutto se pensiamo al mònito a tutti noto del “gnòthi sautòn”. Non
sembrano affatto in sintonia le due posizioni. ‘Conoscere’ se stessi è dunque un bene o un male?
Di fatto, sempre nel mito, in età adolescenziale il nostro eroe rimarrà ‘narcotizzato’ (questo è il
senso del verbo da cui deriva il suo nome) dalla propria immagine riflessa in uno stagno:
consumato da quest’amore sterile, negato alla ‘relazione’, dovrà rinunciare alla condizione umana e
si trasformerà in un fiore, il narciso appunto, che cresce di solito in prossimità di corsi d’acqua
(acqua= liquido amniotico, smemorante, letale’).
In uno dei più suoi più geniali Poemetti,”I gemelli”, Giovanni Pascoli sembra attingere all’ipotesi di
Pausania che Narciso avesse una sorella (gemella?) morta in tenera età, e nello specchio d’acqua
avesse quindi individuato il ‘fantasma’ di lei. Avrebbe dunque provato una attrazione fatale per il
suo ‘femminile’ perduto (e ritrovato), preferendo morire piuttosto che restarne privo.
Già qualche lustro prima di Pascoli lo stravagante e camaleontico dandy del Decadentismo Oscar
Wilde aveva rivisitato il mito, (saccheggiato sempre negli stessi anni dal dottor Freud). Nella breve
novella “Il discepolo” l’inventore di Dorian Gray aveva scritto: “Quando Narciso morì, il laghetto
della sua gioia si mutò da una coppa di acque dolci in una coppa di lacrime salate… Le Oreadi
tentarono di consolare lo stagno con queste parole: “Non ci stupiamo che tu pianga così per
Narciso, era così bello!” Il laghetto si scuote, e interroga, o forse s’interroga: “Ma era bello
Narciso?...Io non lo so, io amavo Narciso perché quando se ne stava chino sulle mie rive e mi
guardava, nello specchio dei suoi occhi vedevo rispecchiarsi la ‘mia’ bellezza”…
Infine, un aforisma di Jean Cocteau che è quasi un calembour invita gli specchi a “riflettere meglio
prima di riflettere qualcuno”.
Ombra, Riflesso, Doppio. Tutti sinonimi indubbiamente già presenti a livello concettuale nelle
letterature classiche, ma che senza dubbio hanno visto celebrare il loro trionfo nell’età romanticodecadente. Dopo le agghiaccianti favole di Hoffmann (una fra tutte “L’uomo della sabbia”) il primo
racconto di grande successo sul tema del doppio è senz’altro “Storia meravigliosa di Peter
Schlemihl” di Gregory von Chamisso,(1814), seguita da “Il sosia” di Fedor Dostoevskij (1846)
nonché dal celeberrimo “William Wilson” di Edgar Allan Poe. Nella seconda metà del
diciannovesimo secolo il genere si arricchirà di numerosi gioielli, fra cui “Alice al di là dello
specchio” di Lewis Carroll (1872), “Le Horla” di Guy de Maupassant,(1886), “Il ritratto di Dorian
Gray” (1890) di Wilde (ma anche il suo racconto “Il pescatore e la sua anima”), “L’ombra” di Hans
Christian Andersen, e l’insuperabile “Dr Jekyll e Mr.Hyde” (1886) di R. L. Stevenson. Da notare
che , mentre nello Schlemihl chamissiano (nome che corrisponde al greco Teofilo, “amato da Dio”)
non v’è traccia di vendetta o malvagità nell’ombra cacciata e recisa dal protagonista, sia in
Dostoevskij che in Maupassant, sia in Poe che in Andersen, sia in Wilde che in Stevenson i “doppi”
sono punitivi, vendicativi e malefici. Il povero Goljadkin de “Il sosia” finisce per essere, senza
alcuna colpa, esautorato e distrutto dal suo doppio, proprio come il William Wilson di Poe (dove
però il protagonista si macchia in effetti di colpe ignobili), il protagonista di Maupassant
impazzisce, molti altri si suicidano (ed è il “doppio” ad armare le loro mani). Nel caso di Jekyll (il
cui nome significa “Io uccido”) risulta evidente che Mr.Hyde (“il nascosto”, ossia il complesso
delle pulsioni istintuali sempre ‘controllate’ da Jekyll) si vendica d’essere stato troppo a lungo
ignorato e represso; così come il ritratto animato di Dorian rivendica all’esteta la ‘sua’ perenne
giovinezza inducendolo a togliersi la vita. L’unica a rimanere indenne da questi trabocchetti del
doppio è la “meravigliosa”, incorreggibile Alice, creatura del più serafico e ludico “giocoliere” del
genere di cui parliamo: a Carroll, fanciullo mai cresciuto e genio indiscusso dell’enigma
matematico-psicologico, non interessa affatto l’aspetto “perturbante” dello specchio. Gli piace
semplicemente giocare con le infinite possibilità che l’”altro lato”, non necessariamente anzi per
nulla “dark”, permette di esperire.
Nell’Italia ottocentesca, il motivo del doppio ha avuto un solo geniale cultore : lo “scapigliato” Ugo
Iginio Tarchetti, che nel racconto “Lo spirito in un lampone” (1868) –il primo giallo fantastico
della nostra letteratura- fa dire al protagonista: “Pareami essere un uomo doppio. Un uomo
doppio…che stranezza!”
Non va dimenticato che il termine “doppio” in tedesco si dice “doppelganger”, e significa
“procedere avanti”, quindi non va inteso sempre e solo in accezione negativa.
Dunque può essere proficuo immergersi (non solo letterariamente parlando) in quelle profondità a
cui il canto delle Sirene invitava già il “plumèchanos” Odisseo. Solo cedendo a tale richiamo
l’elemento maschile può fruttuosamente recuperare la propria metà femminile, solo con questo
‘scivolamento’ – magari opportunamente dosato – l’Io riconquista il suo Sé “ricomponendosi”
meglio e fronteggiando meno indifeso le censure del tirannico e noiosissimo super-ego…
Dopo tanta letteratura, qualche accenno a film che hanno trattato il tema del doppio. Robert
Siodmak negli ultimi anni 40 ci propone un noir indimenticabile, “Lo specchio scuro” con due
gemelle magistralmente interpretate da Olivia De Havilland; la coppia gemellare ritornerà quasi una
ventina d’anni dopo, ancora al femminile, in “Chi giace nella mia bara” di Paul Henreid (1964), e al
maschile in “Chi è l’altro?”(1972) una chicca di Robert Mulligan dei primi anni 70 tratto dal
romanzo “The Other” di Thomas Tryon, per essere poi ripresa dagli “Inseparabili” (1988) di
Cronenberg. Dal 1960 in avanti, il tema del doppio si tinge decisamente di “schizo” con l’esemplare
capolavoro di Alfred Hitchcock “Psycho”, (il cui protagonista Norman Bates “invade”
psichicamente il suo interprete Anthony Perkins) inaugurando una serie di variazioni sul tema, da
“Il rifugio dei dannati” (“Paranoiac”, 1963) di Freddie Francis a “Il terzo segreto”(1963) di Charles
Chricton, dal divertente “L’uomo che uccise se stesso” (1970) con un improbabile Roger Moore al
sofisticato “Images” (1972) di Robert Altman con la straordinaria Susannah York, e all’insolito
“Magic” (1978) di Richard Attenborough, in cui il giovanissimo Anthony Hopkins interpreta il
ruolo di un illusionista ‘dominato’ dal suo doppio, il fantoccio Forca, che lo induce al delitto e al
suicidio.
Tutti i libri e tutti i film citati testimoniano che il doppio è uno dei temi più fecondi della cultura
moderna. Ma già i classici, com’è ovvio, l’avevano toccato (con Narciso, con Elena, Tiresia…). E
prima di chiunque altro il divino Eraclito, che ha detto migliaia di anni fa tutto quel che c’era da
dire, fra cui: ΤΑΥΤΑ ΜΕΤΑΠΕΣΟΝΤΑ ΕΚΕΙΝΑ, ossia: questo, rovesciandosi, è quello.
E per concludere con un bell’enigma matematico, “One and one is one”, Uno più Uno fa Uno
(Emily Dickinson). Verificare facendo cadere una goccia d’inchiostro sopra un’altra goccia
d’inchiostro su una superficie piana.
Breve bibliografia critica
Otto Rank, Il doppio – Il significato del sosia nella letteratura e nel folklore (Sugarco 1979)
Franca Bacchiega, Il doppio – Da una considerazione sull’ombra (QuattroVenti 1984)
Menarini – Lavanco, Il doppio – Trame della letteratura, della sessualità, della psicopatologia (Il
Pensiero scientifico, 1997).
Luce Irigaray, Speculum. De l’autre femme, 1974