Psicosomatica del mito di Narciso

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Psicosomatica del mito di Narciso
Psicosomatica del mito di Narciso
Dott. Donato Ottolenghi
In questo articolo il Dr. Donato Ottolenghi, psichiatra, psicoterapeuta e Vicepresidente dell'Aneb,
traccia un percorso simbolico, sulle analogie esistenti tra le funzioni di alcuni organi di senso,
durante lo sviluppo fetale, ed il corrispettivo mitologico della figura del "Narciso". Viene ribadito
come ciò che sta dentro al corpo sotto forma di organo, lo si ritrova riprodotto nella filogenesi e
nelle produzioni culturali dell'uomo. Il ponte che permette di collegare i due aspetti
complementari che chiameremo per comodità, dell'infrarosso e dell'ultravioletto, è il simbolo ,
cardine del pensiero analogico che consente di svelare l'archetipo in atto e che sta alla base del
metodo dell'Ecobiopsicologia (vedi Nota).
Si narra che Narciso fosse figlio della ninfa Liriope, che un giorno il dio dei fiume Cefiso aveva
avvolto nelle spire delle sue acque e violata. Il veggente cieco Tiresia predisse a Liriope che Narciso
sarebbe vissuto sino a tarda età se non avesse mai conosciuto se stesso. Narciso era bellissimo e
chiunque si sarebbe innamorato di lui, e quando egli ebbe compiuto i sedici anni si era già lasciato
alle spalle una schiera di amanti respinti di ambo i sessi, poiché era superbamente geloso della
propria bellezza. Tra gli altri spasimanti vi era la ninfa Eco, che non poteva più servirsi della propria
voce se non per ripetere le ultime parole dette da qualcun altro: così era stata punita per aver
distratto Era con lunghi discorsi per consentire alle ninfe dei monti, concubine di Zeus, di sfuggire
alle ricerche della dea gelosa. Eco, respinta e disprezzata da Narciso, trascorse il resto della propria
vita seguendo nascostamente il fanciullo amato, consumandosi lentamente d'amore e di tristezza
finché di lei non rimase che la voce che ancor oggi sui monti ripete le ultime sillabe delle parole
pronunciate dagli uomini. Qualcuno dei pretendenti respinti da Narciso invocò su di lui la giusta
punizione di Nemesi. Fu così che Narciso, vagando nelle foreste, capitò nei pressi di una fonte
chiara come l'argento, mai contaminata da greggi, pastori, uccelli, belve o rami caduti, posta in
mezzo a una selva tanto fitta da non consentire il passaggio dei raggi dei sole. Qui, accostatosi alle
acque per dissetarsi, Narciso vide la propria immagine riflessa e se ne innamorò. Dapprima tentò
disperatamente di abbracciare il fanciullo che gli stava davanti: quando poi ebbe riconosciuto se
stesso rimase fisso a contemplare l'immagine riflessa, struggendosi di dolore ed emettendo
lamenti e sospiri cui rispondeva solo la ninfa Eco nascosta nella boscaglia. Lì lo trovarono morto di
consunzione le ninfe Naiadi e Driadi che non fecero in tempo a predisporgli gli onori funebri
poiché egli si trasformò nel fiore che porta il suo nome.
Il mito di Narciso ci introduce in un territorio misterioso, quello delle immagini simboliche, affine a
quello delle poesie e dei sogni. D'altronde, il nome stesso di Narciso ci riporta a un'origine oscura e
nascosta, dato che la sua etimologia greca è nárké, ovvero il "torpore", la "sonnolenza" (è ad
esempio la stessa origine della parola "narcotico") E' un territorio simile a quello evocato dalla
foresta al cui interno sta la limpida fonte dove terminano le peregrinazioni di Narciso.
Questa fonte, che rispecchia così fedelmente l'immagine dei giovinetto, deve essere purissima,
incontaminata. Solo le cose pure, infatti, non trattengono nulla e non alterano la qualità di ciò che
deve essere udito e di ciò che deve essere visto. Ma tutto ciò che sta fuori dell'uomo ha sempre
una precisa concordanza in ciò che sta dentro. L'acqua pura e limpida potrebbe essere analoga a
quella contenuta nella parte più interna dell'orecchio: essa è chiamata endolinfa e permette la
trasmissione perfetta dei suoni ricevuti attraverso il timpano. "Endolinfa": una "linfa" contenuta
"dentro"; e "linfa" è una parola che nella sua origine etimologica lega il concetto di "ninfa" a quello
di "acqua nutriente e che purifica lavando". Nel mito di Narciso le ninfe sono molto importanti:
ninfa è Liriope, la madre, come Eco, che di lui è innamorata, come le entità che di lui si occupano
dopo la morte; Eco, in particolare, e non a caso, esiste solo come pura voce che ripete le ultime
sillabe pronunciate da chiunque. Sappiamo dalla mitologia che le ninfe erano legate
indissolubilmente a un aspetto della natura (pianta, ruscello, sorgente ... ), tanto da essere
destinate a perire con esso. Eco invece, si "spoglia", per così dire, della forma materiale divenendo
pura voce; è ancora una voce primitiva, poco organizzata, ma rappresenta una sorta di costante
"controparte" sonora dell'esperienza mitica di Narciso. Ma osserviamo più da presso lo specchio
d'acqua limpido della fonte; il mito ci dice che non era mai stato colpito dai raggi solari, e tuttavia
è in grado di riflettere perfettamente l'immagine di Narciso. Che strano paradosso! Evidentemente
il mito qui ci sta indicando che l'immagine riflessa non è una semplice copia delle forme esteriori
del giovane, ma la sua parte "in ombra", svelata dalla purezza della fonte. Una parte non
sviluppata, una parte profonda e ancora nascosta, una parte di fronte alla quale Narciso rimane
fatalmente affascinato (nárke). Dice Tiresia a Narciso: "Vivrai se non conoscerai te stesso" (in
alcune varianti dei mito la predizione è di un'eterna giovinezza). Tiresia è cieco, e tuttavia è
l'indovino più grande di tutti. La sua cecità gli consente una "vista interiore" chiarissima, perché
l'interno riflette come uno specchio incontaminato la pura verità. Si dice che l'occhio sia lo
specchio dell'anima. Attraverso la pupilla, che è oscura, noi possiamo intuire parti segrete di chi ci
sta innanzi; e un liquido purissimo e trasparente sta fra la pupilla e la superficie dell'occhio, la
cornea: è l'umore acqueo, che ha molte parentele con l'endolinfa dell'orecchio. Forse Narciso, con
l'ausilio dell'acqua, sta guardando se stesso negli occhi, e ciò che lo colpisce maggiormente della
figura che vede non è il suo aspetto luminoso, ma proprio la parte oscura, misteriosa e
incontaminata. Troppo sarebbe fissare questa visione nella piena luce del giorno: l'occhio stesso
deve difendersi e coprirsi per non essere ferito dai raggi solari. L'alba invece, questo istante
sospeso tra la notte e il giorno, in cui una luce indefinibile inizia a colorare gli oggetti e i paesaggi, i
cui contorni lentamente emergono dal buio, è un momento in cui il silenzio sembra sprofondare
maggiormente, poco prima di dissolversi in un concerto canoro creato dalle forme viventi alate,
che salutano così il nascituro sole. Solo all'alba può essere contemplato il sole; solo nella
penombra può essere conosciuto il Sé. Ma Narciso è un adolescente non ancora maturo,
appartenente quindi a quell'età in cui dominano slanci e tentennamenti, tentativi di
emancipazione e improvvisi ritorni sui propri passi. L'adolescente intuisce se stesso, la propria
identità, il proprio esistere al mondo come individuo, prima di raggiungere la piena
consapevolezza adulta delle proprie determinazioni e dei propri progetti. In tale fase egli è ancora
soggetto al potere vitale - ma anche fatale - delle forze inconsce, materne, simboleggiate dal
continuo richiamo ai simboli acquatici. E a questo proposito, non è forse simile a ciò che descrive il
mito, lo stato di colui che, non ancora nato, purtuttavia nel nascosto delle acque uterine primitive
ha già in parte sviluppato gli abbozzi degli organi della vista e dell'udito? E' stato dimostrato che un
feto percepisce i suoni provenienti dal mondo esterno e dalla madre, anche se attenuati e filtrati,
ovvero gliene giunge una lontana eco... sono suoni poco comprensibili e non organizzati (Eco può
ripetere solo le ultime sillabe delle parole). La vista invece, si svilupperà appieno solo dopo la
nascita, essendo l'ambiente uterino immerso in una costante penombra (la fonte nella foresta).
Ma le analogie della condizione dei feto con la figura simbolica di Narciso non si fermano qui. E'
interessante anche lo studio della vita biologica dei fiore in cui morendo si trasforma il fanciullo.
Intanto la morte di Narciso non va intesa come una sorta di sconfitta, di annullamento: ai miti
deve essere riservato il medesimo tipo di significato attribuito ai sogni, tanto che taluni studiosi li
considerano come veri e propri "sogni collettivi" dell'umanità. E spesso nei sogni la comparsa di
un'immagine di morte vuole alludere a un cambiamento evolutivo ovvero a una trasformazione.
Narciso infatti si trasforma nel fiore omonimo dopo essere stato trovato dalle ninfe Naiadi e
Driadi. Tale fiore, che si rinnova ogni anno nella sua parte aerea, nasce da un bulbo permanente
contenuto nel terreno. Il suo periodo di fioritura è la primavera, quando la Natura, che si sta
lentamente svegliando dal sonno invernale, appare incerta, lasciando spazio talora a improvvise
gelate. E' l'epoca delle "narcisate", cioè delle gite in campagna per raccogliere gioiosamente il fiore
che copre improvvisamente di colore intere praterie, retaggio di antichi riti stagionali.
E' un momento ricordato anche da poeti come William Wordsworth, che paragonava le distese di
narcisi alle stelle della Via Lattea, danzanti sotto la spinta della brezza primaverile, capaci di
mutare nel ricordo la solitudine in felice contemplazione . Potremmo quasi affermare che l'inizio
della primavera è una sorta di "stato adolescenziale", o di "gestazione avanzata" della Natura,
annunciata appunto dalla comparsa dei narcisi. Ecco allora che ogni anno ci viene ricordata
l'importanza di questo passaggio. Narciso deve morire per dare spazio alla vita adulta, e la sua
forma immatura viene per sempre fissata nell'immagine emblematica del fiore. Anche la vita
fetale deve avere un termine: lo stato acquatico di penombra e di echi sonori deve cedere il passo
alla piena luce della vita dopo la nascita. Ma il legarne tra questi due momenti viene per sempre
fissato in forme che presentano analogie strutturali dimostrate dalla scienza moderna, ma che non
potevano essere conosciute all'epoca in cui fu inventato il mito: il bulbo oculare in formazione
nell'embrione mostra - visto al microscopio - una disposizione concentrica di strati lamellari che
richiama molto da vicino quella dei bulbo di narciso tagliato. E da quel bulbo veniva anticamente
estratto l'unguento balsamico di cheronea, che veniva utilizzato per curare le malattie
dell'orecchio. Osservando il continuo richiamo simbolico contenuto nel mito alla funzione visiva e
a quella uditiva, possiamo concludere che anche fatti apparentemente slegati e appartenenti a
discipline come la medicina, la psicologia o l'antropologia, possono essere uniti in senso olistico
per dare origine a un nuovo modo di considerare l'uomo e le sue manifestazioni. Ciò che unifica i
vari aspetti è il simbolo, che possiamo ritrovare tanto nei miti quanto negli eventi mentali, tanto
nei fenomeni naturali quanto (come abbiamo brevemente accennato) nella fisiologia dei corpo
umano o dell'embrione. Alla disciplina scientifica, che studia l'uomo e la natura attraverso il
metodo simbolico, è stato dato sinteticamente il nome di Ecobiopsicologia.
Note e bibliografia:
L'articolo trae origine dalla monografia Lettura filogenetica del mito di Narciso, di Diego Frigoli,
Lucio Giannelli, Giuseppe Colangelo, contenuta ne Il codice psicosomatico del vivente, di Diego
Frigoli e Marilena Zanardi, ANEB, Milano 1987. Per un approfondimento su questo tema, si
rimanda a tale monografia.
Robert Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1993.
Erich Neumann, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio, Roma 1978.
Jung C. G., Kerényi K., Prolegoméni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino 1972.
William Wordsworth, I Wandered Lonely as a Cloud, in Complete Poetical Works, 1888.
Tuehmann-Duplessis,
Atlante di Embriologia umana, UTET, Torino 1981