Esuli pensieri - Liceo Classico DANTE

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Esuli pensieri - Liceo Classico DANTE
Esuli pensieri
Il racconto ha partecipato al Concorso Narrativa Giovane indetto dalla
Fondazione Spadolini ed ha vinto il I° Premio con la pubblicazione del
suo racconto sul numero di marzo 2014 della rivista- La premiazione ha
avuto luogo il giorno 11 aprile 2014 nella Sala di Luca Giordano del
palazzo Medici Riccardi
E' notte, sono solo e penso. Sono in mezzo al mare, su un barcone che forse non
arriverà mai a destinazione. Sono circondato da persone di ogni età, ma io sono
un ragazzo solo. Vedo i loro volti tristi, consumati dalla stanchezza, dal dolore,
dalla desolazione; hanno l'espressione di chi non si aspetta più niente dal futuro.
Sento i pianti dei bambini, ci sono anche loro su questa barca che salpa il mare
senza un conducente. Sento le tenere voci delle madri che cercano di consolarli,
promettendo che presto tutto finirà: raccontano una storia a cui neppure loro
credono più. Andiamo in Italia, dicono che laggiù si stia bene, che i giovani
possano studiare, che si possa costruire qualcosa e che una bomba non sia pronta a
buttarla giù.
Sono stanco, deperito, infreddolito, mi tengono in vita soltanto le speranze di una
vita migliore; chiudo gli occhi e grazie al silenzio che la mia mente riesce a
creare, vedo davanti a me, nitido, il volto di mia madre, vedo i suoi occhi che si
riempiono di lacrime finchè non ne cade una che lentamente scende sul suo
profilo morbido, tracciando un solco che lascia intravedere la sua anima. Continua
a guardarmi in silenzio con i suoi occhi neri, neri come i suoi pensieri, neri come i
suoi sentimenti. Dentro muore ogni secondo che passa, fuori continua a vivere per
me e per i miei fratelli. Ad un certo punto la sua voce, che tanto somiglia a quella
di queste madri che ora sono accanto a me, rompe quell'assordante silenzio.
Semplicemente mi dice di andarmene, mi dice che la mia vita inizierà soltanto
dopo che avrò svoltato l'angolo della strada dove abitiamo. Io rinascerò. Porta le
mie mani sul suo cuore, le batte fortissimo, forte come le sue grida la notte in cui
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mio padre è morto, saltato in aria per un ordigno, lasciandola sola al mondo: una
donna in un paese dove è sbagliato nascere donna. Mi manda via perchè mi ama,
perchè vuole che io abbia davanti a me una vita e non un ammasso di macerie.
Non mi chiede se ho preso tutto, se sono pronto, se ho paura, mi domanda soltanto
se un giorno ci rivedremo. Sappiamo entrambi che questo giorno non arriverà mai,
ma a volte preferiamo illuderci e pronunciando ad alta voce i nostri sogni, ci fa
credere che almeno per qualche secondo siano veri. Tutto quello che sarò riuscito
ad ottenere nella vita sarà per te, le sussuro in un orecchio mentre la stringo in un
abbraccio, che so sarà l'ultimo.
E' notte, sono sola e penso. Sono qui nel mio appartamento umido, i miei
conquilinii non sono ancora tornati, l'unica compagnia che ho è il silenzio. La città
si riposa, questa città che non è la mia e che a distanza di tempo mi sembra
sempre estranea. Penso che tra pochi giorni la mia vita cambierà, andrò a vivere in
un'altra città che anche stavolta non sarà la mia. Vado a vivere dall'altra parte del
mondo, scappo da qui, scappo da questa situazione. Tutto è successo così
improvvisamente un pomeriggio, come un temporale estivo: un distinto uomo
d'affari si è interessato al mio progetto, mi ha notata,quel progetto che qui in Italia
nessuno ha mai voluto leggere. La frase che ultimamente mi capita di sentire più
spesso è "che ti aspetti ragazzina, devi fare un po' di gavetta, devi avere pazienza".
Io però pazienza non ne avevo più e quell'uomo se ne accorto e mi ha proposto di
partire. Per passione ho scelto una facoltà lontana da casa, con l'incertezza dei
miei genitori e con la solitudine che mi si prospettava davanti. Ma io ho scelto di
essere ambiziosa, ho scelto di emergere. Esame dopo esame ero sempre più
convinta della mia scelta, poi è arrivata la laurea e la commozione di mio padre e
di mia madre. Nel momento della mia proclamazione come dottoressa, le loro
aspettative e i loro sacrifici trovavano un senso e una dimensione propria: io ero
diventata qualcuno. Io in realtà sapevo benissimo che non ero nessuno, ero una
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come tanti riuscita a concludere un ciclo di studi, ma davanti a me non vedevo
niente se non l'incertezza del mio avvenire. Sono una ragazza di buona famiglia e
grazie ai miei genitori ho potuto studiare lontano da casa, ma i miei genitori nel
mio mondo, quello in cui ho scelto di lavorare, non sono nessuno; e se vivi in un
paese dove spesso conta più quello che sei e non quello che sai, è difficile farsi
strada. Partirò quindi, chiudendo la porta di questo appartamento e finalmente sarò
io a chiuderla una porta, dopo tutte quelle che mi sono vista sbattere in faccia. I
complimenti, le belle parole ti scivolano addosso quando chi ti è davanti non
riconosce il tuo impegno, guarda con superficialità la tua ambizione e i tuoi
progetti, ignora le ore passate a studiare per ottenere quello che a quel punto si
riduce ad un semplice pezzo di carta.
Sono arrivato nel centro di accoglienza su quest'isola assolata, crocevia del Mar
Mediterraneo, terra di incontri e di speranze. È un giorno caldo, uno di quelli dove
il cielo è talmente terso che sembra di un colore irreale, esistente solo nei nostri
sogni; neppure una nuvola, neppure un alito di vento. Dopo giorni, non ricordo
quanti, mangio qualcosa di caldo, e mi riposo su qualcosa di morbido. C'è un gran
viavai di persone, di tutte le età, di paesi diversi, ma noto che tutti abbiamo
qualcosa che ci accomuna, che ci rende riconoscibili: abbiamo negli occhi la
paura. La paura ti cambia i tratti del volto, ti disegna nuove espressioni. Tutti si
guardano attorno con sospetto, al minimo rumore ognuno teme per se stesso:
quando nelle orecchie si diffonde il suono di una bomba, assordanti si sentono gli
spari, una posata che cade a terra ha lo stesso suono di morte. Sembriamo animali
affamati che hanno paura a mostrarsi deboli. Noi "ospiti" siamo schedati con un
numero identificativo fornito dalle autorità al momento dello sbarco, sono un
numero adesso, un numero che ha un passato, un presente ed un futuro.
Mi hanno raccontato che ogni giorno arrivano nuove persone e forse sono ancora
di più quelle che si fermano a metà strada. Il mare le porta giù nel suo profondo,
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ricopre i loro corpi e i loro sogni, forse lo fa per amore. Avevo un ricordo infantile
del mare, una volta c'ero andato con la mia famiglia: me lo ricordavo divertente,
bello, tranquillo. Quando sono partito, soffiava una dolce brezza e aveva per me
un aspetto salvifico, significava speranza, significava vita. Ma le notti sopra quel
barcone, tra le urla, i lamenti, l'aria gelida che ti punge il visto, sembravano
interminabili. Il rumore delle onde adesso mi fa paura, stamattina sono andato a
fare una passeggiata in riva al mare, volevo vedere qualcosa di pulito, di limpido,
qualcosa che l'uomo non è riuscito a corrompere, ma sono dovuto scappare via, mi
sentivo soffocare, l'odore della salsedine mi è sembrato talmente forte che a stento
riuscivo a respirare, davanti a me sono riapparse immagini di tremendo orrore.
Ho capito che il mio spirito non è un abisso meno amaro di quello del mare.
Anche io ho sommerso tutto dentro di me, ho portato via con onde, che erano
lacrime, quello che non volevo apparrisse in superficie, anche io ho agito per
amore, amore di me stesso. Ecco perchè quando mi raccontano delle persone che
adesso giacciono lì sotto, mi sento sollevato per loro e questo rumore incessante
che sento, l'infrangersi dell'onda sulla spiaggia, è il ricordo del battito dei loro
cuori.
Dopo aver preparato le poche cose che mi rimangono, aspetto di ricevere
indicazioni. Spero di non continuare a scappare per sempre, anche se penso che
sia la sorte di ogni essere umano: chissà, magari qualcuno in questo momento ha
preparato le sue cose ed è pronto a partire. Io non ero preparato a fuggire, non mi
ero mai immaginato, quando giocavo nel torpore di casa mia, che un giorno sarei
stato un profugo: però adesso eccomi qua, a proteggere la mia giovane vita
dall'egoismo, dall'odio, dalla violenza di un paese che ormai non è più il mio.
Ho preparato le valigie, sistemato le ultime cose e adesso aspetto il taxi che mi
porterà all'aereoporto. Seduta sul divano scorro con un sguardo i libri della libreria
che mi sta davanti. Mi meraviglio di quanti siano, di quante storie ci siano
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raccontate, di quanti segreti vi siano racchiusi. Sono nata nel bel Paese, dove
molte di quelle storie sono state scritte e dove oggi, molto poco, sono lette. L'Italia
è il paese della pizza, della corruzione e della mafia; un tempo era il luogo dove
si plasmavano le idee, dove nascevano i geni, dove si creavano capolavori.
Avevamo una tradizione fatta di bellezza, qualcuno è stato capace non solo di
dimenticarla, ma di oltraggiarla. Mi chiedo se adesso ci sia ancora spazio per un
bel giardino, un bel museo, una bella biblioteca, un bel palazzo oppure esista
soltanto una desolazione grigia, confinata da alti muri di cemento. Non so se dove
andrò a stare troverò qualcosa di meglio, di sicuro ci saranno palazzi grigi e tristi,
ma forse troverò qualcosa che se è colorato vale molto di più di una bella
costruzione, troverò un futuro. Dalla desolazione che lo circonda e dell'ignoranza
che lo avvolge, l'uomo riesce meglio a riscattarsi, ad avere ambizioni che puntano
sempre più in alto.
Sono impaurita all'idea di andarmene e di non avere nostalgia di quello che lascio,
noi giovani scappiamo, ci ribelliamo, le generazioni si scontrano da sempre, ma
una società incapace di rinnovarsi sarebbe destinata all'inesorabile tramonto:
forse sull'Italia non è ancora l'ora del crepuscolo, ma a volte mi capita di pensare
che il tramonto sia già sceso.
Salgo sul taxi, l'Italia è davvero un paese per vecchi ? I giovani potrebbero avere
delle conoscenze e una cultura, invece che un ammasso convulso di nozioni prese
a caso o, ancora peggio, ignorare chi sono e da dove vengono. Mentro vedo le
scie degli aerei nel cielo blu, così perfette così pulite,l'uomo non le può storcere,
mi viene in mente una foto scattata a Londra la mattina dopo che un raid aereo
tedesco aveva devastato la casa in cui la Biblioteca di Holland House era
collocata: in qualche modo le mura della biblioteca erano rimaste integre, con i
loro scaffali di libri per lo più intatti; appaiono tre uomini tranquilli, che cercano
libri e che riordinano le pile. La cultura non si era fermata davanti alla distruzione,
alla degenerazione umana, magari adesso nel mondo qualcuno scappa da quella
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stessa violenza, da quello stesso odio che nulla vede e nulla sente, qualcuno che
scappa per non sentire più il rumore della morte. Io come quel qualcuno scappo,
non da una guerra è vero, ma scappo da qualcosa che potrebbe distruggere un
giorno il mio futuro. Insieme a me, oggi, tanti scappano, tutti scappano da
qualcosa nella vita, io e quel signor qualcuno oggi scappiamo dall'indifferenza di
chi non ci ascolta più. Io sono uno di quelli che chiamano cervelli in fuga, adesso
stanno chiamando il mio volo, porto via il mio cervello, ma un pezzo di cuore lo
lascio qui in questo aereoporto, un giorno lo verrò a riprendere.
Carolina Vallariello, Liceo Classico Dante, classe IV C a.s.2014/2015
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