Ero forestiero e sono stato accolto

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Ero forestiero e sono stato accolto
Ero forestiero e sono stato accolto
Il mio nome è Rakin, sono un rifugiato. E' difficile per me condividere la mia storia, ma sento che è
importante perché vorrei far capire meglio la realtà del mio paese e della mia gente. Non c’è alcuna
sicurezza né pace per milioni di persone come me.
Prima di lasciare l'Afghanistan, ero molto stimato dalla mia famiglia, dagli amici, e dalla comunità. Avevo
una vita agiata con una bella casa. Avevo la speranza e il sogno di diventare psicologo, ho pubblicato libri
che condannavano gli atti dei talebani, sono stato intervistato alla radio e alla televisione per miei scritti.
Poi la mia vita è cambiata drasticamente.
Sono stato rapito per denaro, i rapitori chiamavano la mia famiglia e minacciavano di uccidermi se la mia
famiglia non avesse pagato. Più di dieci volte, i rapitori hanno inviato ai miei familiari foto e video
durante le torture ed i pestaggi che mi infliggevano. Dopo quattro mesi, sono riuscito a scappare. Stavo
male e sono andato alla stazione di polizia. Questi sapevano che ero stato rapito perché mio padre aveva
denunciato il fatto. Mi hanno chiesto di portarli nel luogo in cui ero stato tenuto. Hanno arrestato ed
ucciso molte persone. Quando i miei rapitori sono venuti a conoscenza della mia segnalazione alla
polizia, mi hanno minacciato telefonicamente. Mia madre era così spaventata da avere un attacco di
cuore, e mentre mi recai a farle visita in ospedale, i miei rapitori si sono vendicati. Hanno trovato la mia
casa ed ucciso mio padre, i miei fratelli e le mie sorelle. Mia madre ed io quindi siamo andati a stare a
casa di un amico fuori da Kabul, dove saremmo stati al sicuro. Qui siamo rimasti per un lungo periodo di
tempo, poi mia madre mi ha chiesto di lasciare l'Afghanistan. Non potevamo continuare a nasconderci
in casa per paura di essere riconosciuti ed attaccati. Il nostro piano era che una volta stabilito in Europa,
avrei invitato mia madre a raggiungermi per essere finalmente al sicuro.
Non avrei mai immaginato di dover affrontare così tanti problemi qui in Europa! Ho sempre pensato che
l'Europa sostenesse i diritti umani e l'uguaglianza. Quando sono arrivato a Roma, ho dovuto dormire in
una tenda appositamente allestita per i rifugiati afgani, per tre mesi durante l'inverno. Il cibo era
pessimo e freddo. Ora condivido una stanza con altri otto rifugiati in un centro di accoglienza. Non
dormo bene. Non c'è acqua calda. Posso solo lavarmi ogni paio di giorni. A causa dell'acqua fredda sono
sempre malato. E 'disumano.
E’ tristemente noto che i fondi stanziati per i servizi ai richiedenti asilo viene dirottato per altri scopi.
Recentemente in una intercettazione nella indagine “ Mafia Capitale” è stato reso noto questo dialogo: "
"Immigrati e rom rendono più della droga". Io sono uno di questi immigrati. Quindi, faccio docce fredde
ed altri ottengono un profitto dalla mia disgrazia.
"Immigrati e rom rendono più della droga"
Come molti, prima del mio arrivo qui percepivo Roma come una città santa. Quando sono arrivato come
richiedente asilo, ho scoperto una realtà che era in contrasto con la mia percezione di essere un luogo
santo o sacro. Tenete a mente che sono arrivato come straniero che non era qui in vacanza, ma piuttosto
per salvarmi la vita. Come forestiero in questa città, io sono incompreso e maltrattato. Ora mi chiedo
davvero se questa sia una città santa.
Invece di informarsi sulla mia educazione, le mie capacità, o solo per conoscermi, le persone chiedono:
"Da dove vieni?" Questo è ciò che mi definisce. E’ questo che mi crea un grave ostacolo per stringere
nuove amicizie e sentirmi benvenuto nella comunità.
Fortunatamente, quando sono arrivato al Joel Nafuma Refugee Center (JNRC), ho conosciuto delle
persone meravigliose. La loro bontà ha lenito la mia sofferenza. Hanno provato a capire quello che sento
... non avere una famiglia. So che questo centro è la mia casa e che queste persone sono la mia famiglia.
Mi sento meno solo, mi sento ascoltato. Mi hanno aiutato a risolvere i miei problemi con i documenti e la
burocrazia, mi hanno invitato nelle loro case e cucinato cibo delizioso. Hanno anche festeggiato il mio
compleanno, per la prima volta da 8 anni - è da quando la mia famiglia è mancata che non ho avuto una
festa di compleanno-. Erano con me durante il mio colloquio formale per la protezione (o commissione
come viene chiamato qui in Italia), e quando ho saputo della morte di mia madre, da sola, e in una terra
lontana. Il JNRC mi sostiene in ogni modo possibile.
Prima di arrivare al JNRC, ero come morto. Mi sedevo nei parchi da solo. Psicologicamente ero morto.
Lavorare con gli psicologi del JNRC e ascoltando i loro consigli mi ha riportato alla vita. Tutti i rifugiati che
sperimentano questo tipo di trauma hanno bisogno di essere accolti, soprattutto quando non hanno una
famiglia a sostenerli e proteggerli. Nessuno può affrontare la vita senza l’appoggio della propria famiglia
o il sostegno di persone amiche per il raggiungimento dei propri obiettivi e sogni. Le circostanze del mio
trauma e della mia storia hanno cambiato la mia vita e i miei progetti come non avrei mai immaginato
fosse possibile. Tuttavia, sono fiducioso che un giorno inizierò nuovamente a scrivere, continuerò i miei
studi di psicologia e mi sentirò un essere umano rispettato.
Questo è il motivo per cui sono molto grato a questo centro; per quello che stanno facendo per me e per
gli altri. In questo centro, musulmani e cristiani mangiano, giocano e lavorano insieme. Ognuno accoglie i
nuovi arrivati ​
come esseri umani, non secondo la religione, razza o l’origine etnica. La situazione in
questo centro è molto diversa da ciò che succede al di fuori, per le strade di Roma.
Fuori, mi sento considerato uno straniero indesiderato. Quando sono sul bus le persone accanto a me
controllano i loro portafogli e chiudono le loro borse. Non so come comportarmi per dimostrare che non
sono un ladro. I rifugiati che conosco sono brave persone di buona famiglia. Anche se non hanno soldi e
sono costretti a mendicare per strada, non penserebbero mai di rubare. Questa è la situazione che
viviamo noi rifugiati quotidianamente a Roma.
Ora, faccio parte del progetto del JNRC “Artigiani insieme”. Produciamo articoli di artigianato, in cambio
di una donazione “suggerita”, per guarire dai nostri traumi e ricostruire le nostre vite qui a Roma. Noi
informiamo ed educhiamo sulla realtà dei rifugiati. Come artigiani, condividiamo i profitti tra di noi e
doniamo il 10 per cento delle entrate al JNRC per aiutare gli ospiti che dipendono dal centro per l’
assistenza ed il supporto quotidiano.
Il mio lavoro con questo gruppo ha ripristinato il mio senso di appartenenza. Crediamo nel rispetto per
l'umanità e l'uguaglianza tra fratelli, anche se veniamo da diversi paesi e continenti. In questo gruppo,
sto imparando nuove competenze. Sono supportato da una comunità che accoglie altri stranieri che
arrivano giornalmente al centro.
Come musulmani noi crediamo che Gesù ha dato la vita ai morti per conto di Dio. I cristiani che ho
trovato al JNRC mi hanno aiutato a sentirmi nuovamente vivo quando ero morto. Sono ancora un
musulmano praticante, ed è un miracolo che abbia ritrovato me stesso. Io ero morto, ma quando ho
trovato questa chiesa e il centro che mi ha accolto come straniero, mi è stata data di nuovo la vita.
Alhamdulillah! O, come si potrebbe dire in inglese, ogni lode è dovuta solo a Dio!
"Sono ancora un musulmano praticante, ed è un miracolo che
abbia ritrovato me stesso. Io ero morto, ma quando ho trovato
questa chiesa e il centro che mi ha accolto come straniero, mi è
stata data di nuovo la vita..."
Non voglio essere identificato come un rifugiato per sempre. Spero che un giorno sarò trattato in Italia
come sono stato trattato prima che avesse inizio l'incubo di perdere tutto: la mia famiglia, il mio paese, e
la mia vita. Non ho scelto di essere un rifugiato. Lo spirito umano è forte e sto imparando a sognare di
nuovo - e questo è il dono che mi è stato dato, perché ero forestiero, e sono stato accolto.
Domande per riflettere:
Come vi sentireste se foste costretti a lasciare la vostra casa e non avere la possibilità di dire addio a
quelli che amate?
• Che cosa succede se dovreste ricominciare tutto da capo, come uno straniero in terra straniera? Come
vorreste essere accolti?
• Ci sono rifugiati nella vostra comunità? In che modo la vostra comunità si occupa di loro?
• Quando si ricevono dei sopravvissuti alla violenza del mondo, come ad esempio Rakin, in una nuova
comunità, come deve rispondere la comunità stessa?
Sull’autore
Rakin, che preferisce non condividere il suo cognome, è originario di Kabul, Afghanistan. Fuggito dal suo
paese nel 2010. Dopo aver visto negato l'asilo politico dalla Norvegia, dopo quattro anni, è arrivato in
Italia dove gli è stato concesso lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra (1951). Si dice
nel JNRC che sia un giocatore di scacchi imbattibile.