Usare il cervello per cambiare

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Usare il cervello per cambiare
Introduzione
Quante volte avrete udito la frase: “Quella ragazza ha un brillante avvenire”, oppure:
“Quell'individuo ha un passato colorito” '? Espressioni come queste sono più che
metafore. Sono descrizioni precise del processo interno di pensiero del parlante, e
queste descrizioni sono la chiave per imparare a trasformare in modo produttivo la
nostra stessa esperienza. Per esempio, in questo preciso momento osservate in che
modo vi raffigurate un evento futuro gradevole nella vostra stessa vita... e quindi
rendete più luminosa quella stessa immagine, e osservate come le vostre sensazioni
mutano. Quando rendete più luminosa quella immagine, non vi da l'effetto di
attendere quell'’evento con desiderio ancora maggiore? La maggior parte delle
persone reagiscono più marcatamente a un’immagine più luminosa; alcune
reagiscono di più a un’immagine meno luminosa.
Adesso prendete un ricordo gradevole del vostro passato, e rendete i colori più forti e
più intensi, proprio in senso letterale... In che modo il fatto di avere un ‘passato
colorito’ muta l’intensità della vostra reazione a questo ricordo? Se non osservate
alcuna differenza nelle vostre sensazioni quando rendete più colorito il vostro
ricordo, cercate di vedere quello stesso ricordo in bianco e nero. Quando l’immagine
perde il proprio colore, in genere la reazione s’indebolisce.
Un’altra espressione di uso comune è: “Aggiungi qualche scintilla alla tua vita”.
Pensate a un’altra esperienza gradevole, e cospargete letteralmente quell’immagine di
piccoli punti luminosi scintillanti, e osservate in che modo ciò modifichi la vostra
reazione a livello di sensazioni. (Gli ideatori di spot pubblicitari e i sarti che creano
abiti fatti di lustrini ne sanno qualcosa).
“Lasciati il passato alle spalle” è un consiglio frequente riguardo a eventi spiacevoli.
Pensate a un ricordo che vi fa ancora star male, e quindi osservate dove lo vedete
adesso, e a quale distanza si trova l’immagine. Probabilmente è di fronte a voi,
piuttosto vicina. Adesso prendete quell’immagine, e spostatela fisicamente dietro di
voi, allontanandola. In che modo questo muta in voi il vissuto di quel ricordo?
Questi sono solo alcuni esempi molto elementari della semplicità e dell’efficacia dei
nuovi schemi ‘submodali’ di PNL ideati da Richard Bandler nel corso degli ultimi
anni. Uno dei primi schemi usati in PNL era l’idea delle ‘modalità’, ovvero dei
‘sistemi rappresentativi’. Noi pensiamo alle esperienze, a qualsiasi esperienza,
utilizzando certe rappresentazioni del sistema sensorio: immagini visive, suoni
auditivi, sensazioni cenestesiche. Nel corso degli ultimi dieci anni, nei programmi di
addestramento alla PNL si è soprattutto insegnata un’ampia gamma di metodi rapidi
ed efficaci per utilizzare questa conoscenza delle modalità in modo da trasformare le
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sensazioni e il comportamento. Le submodalità sono gli elementi più semplici
all'interno di ogni modalità. Per esempio, alcune delle submodalità visive sono
(1) Traduciamo letteralmente questa ed altre analoghe espressioni inglesi per non perdere il senso
delle spiegazioni successive. (N.d.T.)
la luminosità, il colore, le dimensioni, la distanza, la collocazione spaziale e la
nitidezza. La conoscenza delle submodalità ci schiude un nuovo tesoro di schemi di
cambiamento ancora più rapidi, facili e specifici.
Non appena facemmo la conoscenza della PNL, nell’autunno del 1977, mettemmo da
parte la maggior parte delle cose che stavamo facendo al fine di studiare questi
metodi tanto emozionanti quanto rapidi per trasformare il comportamento. A
quell’epoca Richard Bandler e John Grinder collaboravano nello sviluppo di questo
campo nuovo e tanto promettente. La PNL insegnava a seguire il processo interno
della persona prestando attenzione ai movimenti oculari inconsci, a trasformare
vecchie reazioni sensoriali sgradevoli nel giro di qualche minuto, e altro ancora.
Oggi, sette anni più tardi, tutte quelle promesse e molte altre sono state mantenute.
Tutte le idee e le tecniche fondamentali della PNL hanno superato la prova del tempo,
così come la più dura prova di essere insegnate ad altri, così che questi ne potessero
fare uso nella pratica. La PNL è stata spesso descritta come il campo sul filo del
rasoio tra la comunicazione e la trasformazione.
La PNL offre una comprensione concettuale saldamente fondata sulla scienza
dell’informazione e sulla programmazione dei computer, e allo stesso tempo trova
radici ancora più profonde nell’osservazione dell’esperienza umana. Tutto ciò che è
PNL potete verificarlo direttamente nella vostra personale esperienza, od osservando
gli altri.
I nuovi schemi submodali descritti e insegnati in questo libro rappresentano modi
ancora più rapidi ed efficaci dei primi metodi di PNL per indurre il mutamento
personale. Esistono solo tre modalità principali, ma entro ciascuna modalità esistono
molte submodalità. Le submodalità sono, letteralmente, i modi in cui il cervello
ordina e codifica l’esperienza. Gli schemi submodali di trasformazione possono
essere impiegati per cambiare direttamente il software umano: i modi in cui reagiamo
alle nostre esperienze e ad esse pensiamo.
Alcuni critici hanno voluto affermare che la PNL è troppo ‘fredda’ e ‘tecnica’, e che
sebbene essa possa dare buoni risultati con semplici abitudini e fobie, non può
affrontare ‘temi umani di fondo’. Per quanto ci riguarda, ci interesserebbe conoscere
la reazione di questi stessi critici ai metodi per trasformare le credenze e i modi di
comprendere di cui si da dimostrazione nei capitoli 6 e 7.
Questo libro apre la via a un modo nuovo ed efficace di comprendere in che modo
funziona la nostra mente. Ciò ch’è più importante, questo libro insegna dei principi
tanto semplici quanto specifici che si possono usare per ‘guidare’ il nostro cervello.
Insegna a trasformare la nostra esperienza quando essa non ci soddisfa, e a gustare
ancora di più la nostra soddisfazione quando la vita ci va bene.
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Molti di noi hanno la capacità di prendere dei principi già noti e di creare degli utili
adattamenti di quegli stessi principi, o di apportarvi ogni tanto qualche piccola
innovazione. Il particolare genio di Richard Bandler consiste nella sua inarrivabile
capacità di delineare ripetutamente principi nuovi, e di metterli a disposizione di tutti
noi. Il suo senso dell’umorismo può talvolta suonare caustico e arrogante,
specialmente quando viene diretto verso le professioni della psicologia e della
psichiatria (sebbene anche altri ‘esperti’ ricevano la loro parte!). Questo è almeno
parzialmente comprensibile quando ci si rende conto che sebbene la possibilità di
curare nel giro di dieci minuti una fobia o un trauma mediante la PNL sia stata
pubblicata più di sei anni or sono, per lo più gli psicologi sono tuttora convinti che
per curare una fobia ci vogliano mesi o anni di chiacchiere e di medicine (e diverse
migliala di dollari). Noi conosciamo bene la frustrazione di sentirci dire: “Non si può
fare”, quando ne abbiamo data pratica dimostrazione centinaia di volte, e abbiamo
insegnato ad altri a fare la stessa cosa regolarmente.
Quando in un’industria viene introdotta un’importante innovazione tecnica, gli
imprenditori di tutto il mondo sono ansiosi di applicare immediatamente il nuovo
metodo, poiché sanno bene che se non fanno così, la concorrenza li metterà ben
presto fuori mercato. Purtroppo l’inerzia è molto maggiore in campi come la
psicologia, in cui il professionista più ci mette a risolvere un certo problema, più
viene pagato. Poiché così l’incompetenza viene premiata, in questi campi i metodi
nuovi e migliori ci mettono molto di più a divenire pratica corrente.
Anche molti altri hanno lamentato questa inerzia nel campo della psicologia. Salvator
Minuchin, noto innovatore nel campo della terapia familiare, ha di recente affermato:
Come ha reagito la gente alle scoperte scaturite dalle nostre ricerche? Difendendo i
propri paradigmi. In risposta alle nuove conoscenze, c’è sempre la questione di
come fare a continuare a fare le cose che uno è stato addestrato a fare.
Nonostante questa inerzia, nel campo della psicologia e in quello della psichiatria vi
sono molte eccezioni: professionisti ansiosi di imparare nuovi metodi che possano
essere di beneficio ai loro pazienti, rendendo il loro lavoro più rapido, più efficace e
più completo. Da parte nostra, speriamo che questo libro possa giungere in qualche
modo fino a voi.
Diversi anni fa ci rendemmo conto della nuova prospettiva che il genio di Richard
Bandler veniva esplorando, e capimmo quanto questi nuovi modelli avrebbero potuto
essere utili a persone vicine e lontane, se solo avessero avuto maggiore diffusione.
Tuttavia, è soprattutto dal fascino e dall’emozione in noi suscitati dalla scoperta delle
submodalità che siamo stati indotti a realizzare questo libro.
La nostra materia prima sono stati i nastri registrati e le trascrizioni di un gran
numero di seminari e laboratori tenuti da Bandler nell’ultimo periodo. Quindi è
seguita una lunga fase di selezione e di organizzazione di questa ricca messe di
materiali, di sperimentazione indipendente di essi, e di insegnamento ad altri così da
ricavarne una più profonda comprensione. Alla fine, basandoci su ciò che avevamo
appreso, abbiamo messo insieme tutto nella forma di un libro. Abbiamo cercato di
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conservare l’immediatezza e il sapore dei seminari di partenza, riorganizzando al
tempo stesso il materiale e disponendolo in sequenza in modo da renderlo più
facilmente comprensibile in forma scritta.
In campi che progrediscono rapidamente come questo, la maggior parte dei libri sono
già sorpassati di cinque o dieci anni al momento in cui vengono dati alle stampe. La
maggior parte del materiale contenuto in questo libro risale a circa tre anni or sono.
Nei seminari avanzati di PNL vengono oggi insegnati molti altri schemi di
submodalità, e Bandler dal canto suo continua a elaborare sempre nuovi schemi.
Uno dei principi fondamentali della PNL è che l’ordine e la sequenza delle
esperienze, come l’ordine delle parole in una frase, influiscono sul loro significato.
L’ordine dei capitoli di questo libro è stato accuratamente meditato. Poiché molto del
materiale presentato negli ultimi capitoli presuppone che si disponga delle
informazioni e delle esperienze presentate nei primi capitoli, la comprensione ne
risulterà senz’altro facilitata se essi vengono letti in ordine.
Un altro principio fondamentale della PNL è che le parole sono soltanto delle
etichette, inadeguate a trasmettere l’esperienza. Una cosa è leggere come si fa a
piantare un chiodo in una tavola di legno; tutt’un'altra cosa è sentirsi un martello tra
le mani e udire un gratificante ‘thunk’ mentre il chiodo affonda in un blocco di abete.
Un’esperienza ancora diversa è quella di sentire il martello vibrare rimbalzando, e
vedere il chiodo piegarsi udendo il ‘pinggg’ che avverte della presenza di un nodo
nascosto.
Gli schemi presentati in questo libro non sono altro che degli strumenti. Come tutti
gli strumenti, per capirli bene bisogna usarli, e per usarli bisogna far pratica. Se
volete soltanto farvi un’idea del contenuto di questo libro, potete anche scorrerlo
rapidamente. Ma se volete veramente essere in grado di utilizzare queste
informazioni, fate in modo di applicarlo tanto nella vostra esperienza individuale
quanto con altri, o le vostre conoscenze resteranno soltanto ‘accademiche’.
Connirae Andreas
Steve Andreas
aprile 1985
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Chi guida l’autobus?
‘Programmazione neurolinguistica’ è un nome che mi sono inventato per evitare di
dovermi specializzare in un campo specifico. All’università ero uno di quelli che non
riuscivano a decidersi sulla strada da intraprendere, e alla fine decisi di restare così.
La PNL, tra l’altro, rappresenta un certo modo di considerare l’apprendimento
umano. Sebbene molti psicologi e assistenti sociali utilizzino la PNL per fare quella
che essi chiamano ‘terapia’, personalmente credo che sia più appropriato descrivere
la PNL come un processo educativo. Fondamentalmente, stiamo elaborando dei modi
per insegnare alle persone a usare il proprio cervello.
La maggior parte degli individui non utilizza attivamente e deliberatamente il proprio
cervello. Il cervello è come una macchina alla quale manchi un interruttore con la
posizione di ‘spento’. Se non gli si da qualcosa da fare, non fa altro che continuare a
girare, e alla fine si annoia. Se mettete una persona in una camera di deprivazione
sensoriale, dove non c'è possibilità di avere esperienze esterne, essa inizierà a
generare esperienze interne. Se il cervello se ne sta lì senza far niente, comincerà a
fare qualcosa, e non pare che gli importi molto che cosa. A voi può importare, ma a
lui no.
Per esempio, vi è mai capitato di starvene semplicemente lì seduti a occuparvi dei
fatti vostri, o di essere profondamente addormentati, quando all’improvviso il vostro
cervello vi fa balenare davanti un’immagine che vi spaventa a morte? Quante volte
capita che qualcuno si svegli nel cuore della notte perché ha appena rivissuto
un’esperienza di piacere estatico? Se si è trascorsa una brutta giornata, allora più tardi
il cervello ce ne offrirà delle vivide repliche, più e più volte. Non basta aver passato
una brutta giornata; ci si può rovinare l’intera serata, e magari anche buona parte
della settimana seguente.
La maggior parte delle persone non si ferma qui. A quanti di voi capita di ripensare a
cose sgradevoli accadute molto tempo fa? È come se il vostro cervello stesse dicendo:
“Su, rifacciamolo! Abbiamo un’ora prima di pranzo, mettiamoci a pensare a qualcosa
di veramente deprimente. Forse riusciamo ad arrabbiarci per quella faccenda con tre
anni di ritardo”. Avete mai sentito parlare di ‘sospesi’? Non sono faccende in
sospeso, sono finite; è solo che non vi è piaciuto come sono andate a finire.
Adesso voglio che scopriate come è possibile imparare a trasformare la vostra stessa
esperienza, e ad acquisire un certo controllo su ciò che avviene nel vostro cervello.
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La maggior parte delle persone sono prigioniere del loro stesso cervello. È come se
fossero incatenate all’ultimo sedile dell’autobus, con qualcun altro al volante. Voglio
che impariate a guidare voi stessi il vostro autobus personale. Se al vostro cervello
non date qualche indicazione, o viaggerà a casaccio per conto proprio, oppure altre
persone troveranno il modo di dirigerlo al posto vostro, e può ben darsi che non si
preoccupino troppo di quelli che sono i vostri interessi. Anche se se ne preoccupano,
è possibilissimo che si sbaglino!
La PNL è un’opportunità per studiare la soggettività, qualcosa che a scuola mi veniva
descritta come orribile. Mi spiegavano infatti che la vera scienza considera le cose
oggettivamente. Ciò nonostante, mi sono poi accorto che quella che più influiva sul
mio comportamento era la mia esperienza soggettiva, e di conseguenza mi sono
messo in mente di scoprire qualcosa sul suo funzionamento, e sul modo in cui
esercita il suo influsso sugli altri. Visto che il cervello è il mio giocattolo preferito,
nel corso di questo seminario farò con voi alcuni giochetti mentali.
A quanti di voi piacerebbe avere una ‘memoria fotografica’? E quanti di voi
ricordano vividamente esperienze sgradevoli del passato, che continuano a tornarvi
alla memoria? È indubbio che questo aggiunga un po’ di sugo alla vita. Se andate a
vedere un film dell’orrore, e poi tornate a casa e vi mettete a sedere, l’atto del
mettervi a sedere vi porterà facilmente a ritrovarvi sull’istante sulla poltrona del
cinema. A quanti di voi è capitato di vivere quest'esperienza? E affermate di non
avere una memoria fotografica! Ce l’avete già; solo che non la state usando in modo
mirato. Se riuscite ad avere una memoria fotografica quando si tratta di ricordare fatti
sgradevoli del passato, sembrerebbe proprio una bella cosa riuscire a convogliare
deliberatamente un po’ di quell’abilità in esperienze più utili.
A quanti di voi è capitato di pensare a qualcosa che non è ancora successo, e di star
male in anticipo? Perché attendere? Si potrebbe benissimo cominciare a star male fin
da ora, giusto? E poi quella cosa non è successa. Ma voi quell’esperienza non avete
voluto farvela sfuggire, non è vero?
Questa capacità può funzionare anche nel senso inverso. Alcuni di voi hanno già
trascorso la parte migliore della vacanza prima ancora di partire: e poi, quando si
arriva sul posto, si resta delusi. La delusione richiede una programmazione adeguata.
Avete mai pensato a quanto vi date da fare, al solo fine di restare delusi? In realtà ciò
richiede una programmazione accurata. Più si programma, più si resta delusi. Certuni
vanno al cinema, e poi dicono: “II film non era esattamente all’altezza di quello che
mi aspettavo”. Questo mi dà da pensare: se in testa avevano un film così bello, chi
glielo ha fatto fare di andare al cinema? Perché andarsi a sedere in una sala dal
pavimento appiccicoso e dai sedili scomodi per vedere un film, e poi dire: “Nella mia
testa avrei potuto fare di meglio, e non avevo neanche la sceneggiatura”.
Questo è il genere di cose che succede quando si lascia che il cervello viaggi per
conto suo. La gente dedica più tempo a imparare a usare un frullatore di quello che
dedica a imparare a usare il proprio cervello. Non si da una grande importanza al
fatto di usare deliberatamente la propria mente in maniere diverse da quella abituale.
Vi si chiede di ‘essere voi stessi’... come se esistesse un’alternativa. Ci siete
incastrati, credete pure a me. Immagino che potrebbero cancellarvi ogni ricordo con
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l’elettroshock, e poi trasformarvi in qualcun altro, ma i risultati che ho visto non mi
sono parsi molto attraenti. Finché non inventiamo una macchina per cancellare la
mente o roba del genere, penso che siate proprio incastrati in voi stessi. E non è così
brutta, perché potete imparare a usare il vostro cervello in maniere più funzionali. La
PNL è esattamente questo.
Quando ho cominciato a insegnare, alcuni si sono fatti l’idea che la PNL avrebbe
aiutato la gente a programmare la mente degli altri così da controllarli e da renderli
meno umani. Parevano avere l’idea che cambiare deliberatamente una persona
avrebbe in qualche modo ridotto la sua umanità. La maggior parte delle persone sono
dispostissime a trasformarsi deliberatamente con antibiotici e cosmetici, ma il
comportamento sembra qualcosa di diverso. Non ho mai capito in che modo
trasformare qualcuno così da renderlo più felice possa mutarlo in un essere umano di
minor valore. Ma mi sono accorto, invece, di quante persone siano bravissime a far
star male i loro mariti, le loro mogli, i loro figli, o addirittura dei completi estranei,
col semplice espediente di ‘essere se stessi’. Talvolta chiedo a qualcuno: “Perché
essere veramente tè stesso, quando potresti diventar qualcosa di veramente valido?”.
Vorrei presentarvi alcune delle infinite possibilità di imparare e di cambiare che sono
a vostra disposizione, a patto di cominciare a usare deliberatamente il vostro cervello.
C’è stato un periodo in cui i produttori cinematografici si erano messi a fare film in
cui i calcolatori prendevano il sopravvento sull’uomo. La gente aveva cominciato a
pensare ai calcolatori non come a strumenti, ma come a cose che avrebbero preso il
posto della gente. Ma se vi siete mai interessati di home computer, sapete anche che
ci sono, per esempio, dei programmi per controllare il proprio conto in banca! Per
controllare il proprio conto in banca con ,un home computer ci vuole circa sei volte il
tempo che ci vuole a farlo nel modo consueto. Non solo dovete scrivere l’importo
degli assegni sulle matrici del libretto, ma poi dovete anche andare a batterlo sulla
tastiera del computer. È questo a trasformare gli home computer in oggetti
ornamentali, tipo vasi da fiori. Quando il balocco è nuovo, ci si gioca per qualche
tempo, e poi lo si ficca nel ripostiglio. Quando viene a farci visita qualche amico che
non vediamo da molto tempo, lo si tira fuori in modo che gli amici possano giocarci a
quei giochi che ormai ci annoiano. Un calcolatore non è soltanto questo. Ma il modo
insulso in cui tanta gente usa i calcolatori somiglia molto al modo insulso in cui la
gente usa il proprio cervello.
Continuo a sentir dire che giunti all’età di cinque anni si è ormai smesso di imparare,
ma non ho prove che questo sia vero. Fermatevi a pensarci un attimo. Dai cinque anni
a ora, quante cose assolutamente inutili avete imparato, anche lasciando perdere
quelle utili e valide? Gli esseri umani hanno una stupefacente capacità d’imparare.
Sono convinto, e sicuramente in un modo o nell’altro convincerò anche voi, che
ciascuno di voi è tuttora una macchina per imparare. Il lato bello di ciò è che potete
imparare nuove cose in modo rapido e intenso; il lato brutto è che potete imparare
tanto cose utili, quanto cose perfettamente inutili.
Quanti di voi sono ossessionati da qualche pensiero? Vi dite: “Vorrei potermelo
scacciare dalla testa”. Ma la cosa straordinaria è piuttosto che siete riusciti a
mettercelo! Il cervello è veramente qualcosa di fenomenale. Le cose che vi fa fare
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sono assolutamente stupefacenti. Il problema vero, col cervello, non è che non possa
imparare, come vi è stato troppe volte ripetuto. Il vero problema è che impara troppo
bene e troppo in fretta. Per esempio, pensate alle fobie. È una cosa stupefacente che
ci si ricordi di restare terrorizzati ogni volta che si vede un ragno. Non troverete mai
un fobico che guardi un ragno e dica: “Oh, santo cielo, mi sono dimenticato di
spaventarmi”. Non ci sarebbero forse un paio di cosette che vi piacerebbe imparare in
modo così completo? Quando ci pensate in questi termini, avere una fobia è uno
straordinario esempio di apprendimento riuscito. E se andate a vedere la storia di
quella persona, si vedrà che spesso l’apprendimento è avvenuto con un solo tentativo:
è bastata un’unica esperienza istantanea perché quella persona imparasse qualcosa in
modo così completo da ricordarsene per il resto dei suoi giorni.
Quanti di voi hanno letto di Pavlov e dei suoi cani e del campanello e tutta quella
roba là?... e quanti di voi in questo istante hanno un aumento di salivazione? Per
quell’esperimento si dovette legare il cane, quindi suonare il campanello, dargli del
cibo, e ripetere questa sequenza più e più volte, così da insegnare al cane quel tipo di
risposta. Voi invece non avete fatto altro che leggerne un resoconto, e avete
manifestato la stessa risposta del cane. Non è una gran cosa, ma certo è
un’indicazione della rapidità con cui il cervello riesce ad apprendere. Voi imparate
più in fretta di qualsiasi computer. Ciò che si deve approfondire è l’esperienza
soggettiva dell’apprendimento, in modo da poter dirigere l’apprendimento stesso e
avere un maggiore controllo sulla propria esperienza personale e su ciò che si impara.
Avete dimestichezza col fenomeno detto ‘la nostra canzone’? Durante un certo
periodo, quando vi trovavate con una persona per voi molto importante, avevate una
canzone preferita che ascoltavate spesso. Ora, ogni qual volta udite quella canzone,
pensate a quella persona e provate nuovamente quei piacevoli sentimenti. Funziona
esattamente come Pavlov e la salivazione. La maggior parte delle persone non si
rende minimamente conto di quanto sia facile collegare le esperienze in questo modo,
o quanto rapidamente ciò possa avvenire se lo si fa sistematicamente.
Una volta ho visto un terapeuta creare un’agorafobia in una sola seduta. Questo
terapeuta era una persona gentile e bene intenzionata, sinceramente affezionata ai
propri pazienti. Aveva alle spalle anni di addestramento clinico, ma non aveva la
minima idea di quello che faceva. Il paziente che entrò aveva una fobia diretta
specificamente alle altezze. Il terapeuta disse a questo tale di chiudere gli occhi e di
pensare di essere in cima a qualche cosa di alto. Urrp... il tizio diventa tutto rosso e si
mette a tremare. “Adesso pensi a qualcosa che potrebbe rassicurarla”. Ummm.
“Adesso pensi di essere lassù in cima”. Urrp. “Adesso pensi a guidare la sua
macchina, comodo e rilassato”. Ummm. “Adesso pensi di essere lassù in cima”.
Urrp...
Questo tale alla fine si ritrovò ad avere sentimenti fobici per quasi tutto ciò che
faceva parte della sua vita... quella che spesso si chiama agorafobia. Ciò che quel
terapeuta aveva fatto era stato brillante, in un certo senso. Aveva trasformato i
sentimenti del paziente collegando tra loro certe esperienze. La sua scelta del
sentimento da generalizzare, tuttavia, non coincide esattamente con la mia idea della
scelta migliore. Egli infatti aveva collegato i sentimenti di panico di quel paziente con
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tutti i contesti della sua esistenza che in precedenza lo avevano rassicurato. Si può
utilizzare esattamente lo stesso procedimento per prendere un sentimento piacevole e
generalizzarlo, proprio nella medesima maniera. Se quel terapeuta avesse compreso il
procedimento che stava impiegando, avrebbe potuto usarlo nel senso opposto.
Ho visto succedere cose analoghe nella terapia di coppia. La moglie comincia a
lamentarsi di qualcosa che il marito ha fatto, e il terapeuta le dice: “Lo dica
guardando suo marito. Deve entrare in contatto visivo con lui”. In questo modo tutte
quelle sgradevoli sensazioni verranno collegate alla vista della faccia del marito, così
che ogni volta che lei lo guarderà, proverà di nuovo le medesime sensazioni.
Virginia Satir usa nella terapia familiare lo stesso processo, ma nel senso opposto.
Chiede alla coppia di rammentare qualche momento particolarmente felice dei primi
tempi del loro corteggiamento, e quando cominciano a illuminarsi in viso, allora
chiede loro di guardarsi. Quindi per esempio dice: “E voglio che ti renda conto che
questa è la stessa persona di cui ti sei così profondamente innamorata dieci anni fa”.
Ciò collega al viso del coniuge un sentimento completamente differente, di solito
molto più utile del precedente.
Una coppia che venne una volta da me era in terapia da qualche tempo con un altro;
ciò nonostante, litigavano ancora. Una differenza c’era: prima litigavano in
continuazione a casa loro; ora litigavano soltanto nello studio del terapeuta. Era
probabile che il terapeuta avesse detto qualcosa del genere: “Adesso vorrei che
riserbaste tutte le vostre liti per le nostre sedute insieme, in modo che io possa
rendermi conto di come lo fate”.
Volevo capire se i litigi erano legati al terapeuta o al suo studio, e di conseguenza feci
fare loro qualche esperimento. Venne fuori che se andavano allo studio del terapeuta
e lui non c’era, non litigavano, mentre litigavano se era lui ad andare a fare una
seduta a casa loro. Così dissi loro di non vedere più quel terapeuta. Fu una soluzione
semplice, che risparmiò loro un sacco di spese e di problemi.
Un mio paziente non riusciva ad arrabbiarsi, perché ciò immediatamente lo
spaventava a morte. Si potrebbe dire che aveva la fobia di arrabbiarsi. Venne fuori
che da bambino, ogni volta che si arrabbiava, i suoi genitori a loro volta si
infuriavano e ciò lo spaventava moltissimo. In questo modo i due sentimenti erano
stati collegati tra loro. Era ormai adulto e non viveva più con i suoi genitori da
quindici anni, ma reagiva sempre nello stesso modo.
Sono giunto al mondo della trasformazione personale dal mondo della matematica e
della scienza dell’informazione. È tipico di coloro che si occupano di calcolatori
rifiutare ogni possibile forma di contaminazione tra ciò che appartiene al loro campo
di studi e la gente. Ne parlano come di ‘sporcarsi le mani’. A loro piace lavorare su
computer tutti lucidi e andare in giro con camici bianchi da laboratorio. Ma ho
scoperto che non esiste miglior rappresentazione del mondo in cui la mia mente
funziona (specialmente in termini di limitazioni) di quella del computer. Cercare di
far fare qualcosa, per quanto semplici a un computer, somiglia molto a cercare di far
fare qualcosa a una persona.
La maggior parte di voi conoscerà quei giochi che si fanno al computer. Anche i più
semplici sono piuttosto difficili da programmare, poiché per comunicare siete
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costretti a usare i meccanismi molto limitati di cui la macchina dispone. Quando
ordinate al computer di fare qualcosa che esso può fare, le vostre istruzioni debbono
essere formulate con precisione, se volete che il computer possa svolgere il compito
da voi assegnato. I cervelli, come i computer, non sono user friendly, ‘amichevoli
verso l’utente’. Essi fanno esattamente quel che gli si dice di fare, non ciò che voi
volete che facciano. E allora vi infuriate con loro, perché non fanno quello che
volevate dirgli di fare!
Una delle fasi della programmazione si chiama modellamento, ed è esattamente
quello che faccio anch’io. Il fine del modellamento consiste nel fare in modo che il
computer faccia qualcosa che un essere umano è in grado di fare. Come si fa a fare in
modo che una macchina valuti qualcosa, svolga un problema matematico o accenda e
spenga una luce a certe ore? Un essere umano sa accendere e spegnere una luce, o
svolgere un problema. Alcuni sanno farlo bene, altri lo fanno bene solo qualche volta,
e altri ancora non lo sanno fare affatto. Il modellatore cerca di prendere la miglior
rappresentazione possibile del modo in cui un essere umano svolge un certo compito,
e di rendercela disponibile in una macchina. Non m'importa se quella
rappresentazione costituisce veramente il modo in cui la gente svolge quel
determinato compito. Il modellatore non va alla ricerca della verità. Noi abbiamo
bisogno soltanto di qualcosa che funzioni. Noi siamo la gente che scrive i libri di
cucina. Non vogliamo sapere perché una certa cosa è una torta al cioccolato;
vogliamo semplicemente sapere cosa ci dobbiamo mettere dentro in modo da farla
venir fuori come dev’essere. Sapere una ricetta non significa affatto che non esistano
moltissimi altri modi di fare la stessa cosa. Noi vogliamo sapere in che modo si può
ottenere dagli ingredienti la torta al cioccolato, procedendo passo per passo.
Vogliamo anche sapere come si fa, partendo dalla torta al cioccolato, a risalire agli
ingredienti, quando qualcuno non vuole rivelarci la ricetta.
Scomporre le informazioni in questa maniera è appunto il compito di chi si occupa di
scienza dell’informazione. Le informazioni più interessanti che si possono venire a
sapere sono quelle riguardanti la soggettività di un altro essere umano. Se qualcuno
sa fare qualcosa, noi vogliamo modellare quello stesso comportamento, e i nostri
modelli sono fatti di esperienza soggettiva. “Cosa fa nella sua testa questa persona
che io posso imparare a fare?”. Certo, non posso acquisire immediatamente i suoi
anni di esperienza e quegli impercettibili aggiustamenti che tale esperienza ha
prodotto, ma posso rapidissimamente acquisire certe importantissime informazioni
riguardo alla struttura di ciò che quella persona fa.
I primi tempi che mi dedicavo al modellamento, mi parve logico andare a cercare ciò
che la psicologia aveva già acquisito riguardo al modo in cui si pensa. Ma una volta
addentratomi nella psicologia, mi sono accorto che questo campo consisteva soltanto
in un’enorme quantità di descrizioni dei vari modi in cui la gente può andare in crisi.
C’erano alcune vaghe descrizioni di ciò che significava essere una persona ‘intera’ o
‘attualizzata’ o ‘integrata’, ma nella maggior parte dei casi erano descrizioni dei vari
modi in cui la gente può star male.
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Il Manuale di diagnostica e statistica (Diagnostic and Statistical Manual III) usato
attualmente da psichiatri e psicologi ha circa 450 pagine di descrizioni di come la
gente può andare in crisi, ma non una sola pagina che descriva lo stato di salute. La
schizofrenia è un modo assai prestigioso di andare in crisi; la catatonia un modo assai
tranquillo. Sebbene ai tempi della Grande Guerra la paralisi isterica fosse molto
diffusa, oggi è passata di moda; attualmente la si può trovare solo di tanto in tanto in
immigrati di scarso livello culturale, fuori contatto con i tempi. Trovarne un caso al
giorno d’oggi è una vera fortuna. Negli ultimi sette anni ne ho visti solo cinque, e due
di loro erano opera mia, mediante l’ipnosi. Attualmente, come modo di andare in
crisi, è molto in voga quello di essere borderline, ‘casi limite’. Questo significa che
ancora non sei del tutto fuori di testa, ma nemmeno del tutto normale... come se
esistesse qualcuno che lo è! In passato, negli anni Cinquanta, dopo I tre volti di Eva, i
casi di personalità multipla comprendevano sempre tre personalità. Ma dopo Sybil,
che di personalità ne aveva diciassette, vediamo più casi di personalità multipla, e
tutti quanti con più di tre personalità.
Se pensate che esprima dei giudizi troppo duri sugli psicologi, aspettate un momento.
Vedete, noialtri che lavoriamo nel campo della programmazione dei computer siamo
talmente matti che possiamo prendercela con chiunque. Star seduto davanti a un
computer per ventiquattr’ore al giorno, a cercare di ridurre l’esperienza a sequenze di
zero e di uno, è così ai di fuori del mondo della normale esperienza umana che io
potrei dare del matto a qualcun altro essendo più matto di lui.
Molto tempo fa decisi che siccome non riuscivo a trovare nessun altro che fosse
pazzo quanto me, in realtà la gente non ha nessunissimo bisogno di andare in crisi.
Ciò di cui mi sono accorto da allora è che le persone funzionano perfettamente.
Quello che fanno può non piacermi, o può non piacere a loro, ma sono pur sempre in
grado di farlo ripetutamente, sistematicamente. Non è che non funzionino più; stanno
semplicemente facendo qualcosa di diverso da ciò che noi, o loro, vorremmo che
facessero.
Se voi create nella vostra mente delle immagini veramente vivide, e specialmente se
riuscite a produrle esternamente, potete imparare a fare l’ingegnere, o in alternativa,
lo psicotico. Delle due occupazioni, una rende più dell’altra, ma non è altrettanto
divertente. Ciò che la gente fa ha una struttura, e se riuscite a scoprire quella struttura,
potete inventare un sistema per trasformarla. Potreste anche pensare a dei contesti nei
quali quella struttura sarebbe perfettamente adeguata. Pensate all’abitudine di
rimandare. Che ne direste di usare questo talento quando qualcuno vi insulta, per
rimandare al futuro il momento in cui star male? “Oh, so che adesso dovrei star male,
ma lo farò dopo”. Che ne direste di rimandare per sempre il momento di mangiare il
gelato e la torta di cioccolata... semplicemente, non riuscire proprio a trovare il
momento giusto per farlo?
Tuttavia, la maggior parte delle persone non pensano in questo modo. Il fondamento
che sta sotto alla maggior parte delle teorie psicologiche è: “Cosa c’è di sbagliato in
questo?”. Una volta che lo psicologo ha trovato un nome per ciò che è sbagliato,
vuole sapere quando siete andati in crisi e cosa vi ha fatti entrare in crisi. Allora
pensa di aver capito perché siete in crisi.
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Se si parte dal presupposto che una persona non funzioni più, ne segue che il compito
successivo consiste nello scoprire se si può riparare oppure no. La psicologia non si è
mai dimostrata molto interessata a vedere come si entra in crisi, o come si continua a
conservare lo stato di crisi.
Un’altra difficoltà con la maggior parte delle scuole psicologiche è che esse studiano
le persone che non funzionano più per scoprire in che modo è possibile ripararle.
Questo sistema potrebbe essere paragonato a quello di studiare tutte le automobili nel
piazzale di uno sfasciacarrozze allo scopo di trovare un modo per farle funzionare
meglio. Se studiate tanti schizofrenici, alla fine potreste imparare a imitare
perfettamente ciò che fa lo schizofrenico; ma non avreste imparato nulla su ciò che lo
schizofrenico non può fare.
Una volta tenni un corso per il personale di un ospedale psichiatrico, e consigliai loro
di studiare i loro schizofrenici solo quel tanto che poteva bastargli a capire cosa non
potessero fare. Quindi avrebbero dovuto studiare la gente normale per scoprire in che
modo facesse quelle stesse cose, così da poterle insegnare agli schizofrenici.
Per esempio, una paziente aveva il seguente problema: se si inventava una qualsiasi
fantasia, trascorso qualche istante non riusciva più a distinguerla dal ricordo di
qualcosa che fosse veramente successo. Scorgendo una qualsiasi immagine con gli
occhi della mente, non aveva alcun modo di distinguere se era qualcosa da lei
realmente visto, oppure qualcosa che aveva immaginato. Questo la confondeva, e la
terrorizzava più di quanto avrebbe potuto fare qualsiasi film dell’orrore. Le
consigliai, se creava un’immagine di fantasia, di circondarla di una cornice nera, in
modo che quando l’avesse rammentata in seguito la potesse distinguere dalle altre.
Provò, e la cosa funzionò bene, salvo per le immagini che risalivano a prima che io le
avessi dato quel consiglio. Tuttavia era già un buon inizio. Non appena le spiegai
esattamente cosa fare, riuscì a farlo perfettamente. Eppure aveva una cartella clinica
di circa quindici centimetri di spessore, zeppa di analisi e descrizioni psicologiche del
modo in cui era in crisi. Quegli psicologi erano andati alla ricerca del ‘significato
profondo interiore nascosto’. Avevano seguito troppi corsi di poesia e letteratura. Il
cambiamento è qualcosa di molto più facile, a patto che si sappia cosa fare.
La maggior parte degli psicologi pensano che sia difficile comunicare con i pazzi.
Ciò è in parte vero, ma in parte è anche il risultato di ciò che essi fanno ai pazzi. Se
qualcuno si comporta in modo un po’ strano, viene acchiappato, imbottito di
tranquillanti, e rinchiuso in una camerata insieme ad altre trenta persone. Lo tengono
sotto osservazione per 72 ore, e poi dicono: “Mamma mia, si comporta proprio in
modo strano”. Immagino che noialtri, invece, non ci comporteremmo stranamente.
Quanti di voi hanno letto l’articolo Sane People in Insane Placet (“Sani di mente in
posti da pazzi”)? Un sociologo ha fatto questo esperimento: alcuni suoi studenti del
corso di specializzazione, ragazzi sani e felici, si sono fatti ricoverare in ospedale
psichiatrico. A tutti quanti sono stati diagnosticati gravi problemi. Nella maggior
parte dei casi, gli studenti hanno incontrato difficoltà a uscire di lì, in quanto l’equipe
ospedaliera riteneva che il fatto di voler uscire rappresentasse una dimostrazione della
malattia. Un bell'esempio di ‘Comma 22’! I pazienti si erano subito resi conto che
quegli studenti non erano matti, ma il personale dell’ospedale no.
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Alcuni anni or sono, quando studiavo i diversi metodi di cambiamento, la maggior
parte delle persone considerava gli psicologi e gli psichiatri degli esperti nel
cambiamento personale. Per quanto mi riguardava, mi convinsi che molti di loro
erano piuttosto ottimi esempi di psicosi e nevrosi. Avete mai visto un Es? E che dire
di una formazione reattiva libidica infantile? Chi è capace di parlare in questa
maniera, non ha il diritto di dare del matto ad altri.
Molti psicologi pensano che i catatonici siano degli ossi particolarmente duri, perché
non si riesce a farli comunicare con noi. Non fanno altro che restar seduti nella stessa
posizione senza fare il minimo movimento, finché qualcuno altro non li sposta. In
realtà è tacitissimo indurre il catatonico a comunicare con noi. Basta dargli una
martellata su una mano. Quando si solleva il martello per colpirlo nuovamente, lui
tirerà via la mano e dirà: “Non farlo più!”. Questo non vorrà dire che è ‘guarito’, ma
che adesso si trova in uno stato in cui è possibile comunicare con lui. È già un inizio.
A un certo punto chiesi agli psichiatri del circondario di mandarmi quei pazienti
veramente suonati con cui stavano incontrando delle difficoltà. E scoprii che i
pazienti più suonati sono quelli con cui alle lunghe è più facile lavorare. Penso che
sia più facile lavorare con uno schizofrenico completamente fuori di testa che
convincere una persona ‘normale’ a smettere di fumare se non vuole farlo. Lo
psicotico sembra imprevedibile, e sembra entrare e uscire dalla sua pazzia in modo
del tutto inaspettato. Tuttavia, come qualsiasi cosa la gente faccia, anche la psicosi
possiede una struttura sistematica. Perfino lo schizofrenico non si sveglia un bei
giorno con una psicosi maniaco-depressiva. Se imparate il funzionamento della
struttura, diventa possibile farcelo entrare e uscire. Se l’imparate sufficientemente
bene, potete addirittura farlo voi stessi. Se mai volete ottenere una camera in un
albergo già al completo, non c’è sistema migliore dell’inscenare un episodio
psicotico. Ma sarà meglio che siate anche in grado di uscirne, altrimenti la stanza che
vi daranno avrà le pareti imbottite.
Ho sempre pensato che l’approccio più efficace alla psicosi fosse quello di John
Rosen: entrare nella realtà dello psicotico, e quindi rovinargliela. Esistono moltissime
maniere per farlo, e alcune di esse non sono per niente ovvie. Ad esempio, una volta
lavoravo con un tale che sentiva una voce provenire dalle prese di corrente, e questa
voce lo costringeva a fare certe cose. Immaginai che se fossi riuscito a dare realtà a
quelle sue allucinazioni, non sarebbe più stato schizofrenico. Così nascosi un
altoparlante in una presa di corrente della mia sala d’aspetto. Quando lui entrò nella
stanza, la presa di corrente disse: “Salve!”. Il tizio si girò, la guardò e disse: “Non mi
sembri la stessa di prima”.
“Sono un’altra voce. Pensavi forse che ce ne fosse una sola?”.
“Da dove vieni?”.
“La cosa non ti riguarda”.
Questo lo convinse. Siccome era costretto a ubbidire a quello che la voce diceva, usai
quella nuova voce per dargli le istruzioni di cui aveva bisogno per cambiare quel che
stava facendo. Quando trova un appiglio nella realtà, la maggior parte delle persone
risponde. Quando io trovo un appiglio sulla realtà, lo acchiappo e lo giro! Non credo
affatto che esistano persone che non funzionano più. Tutto quel che ranno, hanno
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imparato a farlo. Una grandissima parte di ciò che la gente impara a fare è
assolutamente sbalorditivo, e per dire la verità ne vedo più esempi fuori degli
ospedali psichiatrici che dentro.
La maggior parte dell’esperienza umana non riguarda la realtà, ma la realtà condivisa
da un certo gruppo. C’è gente che viene alla mia porta e mi regala fumetti religiosi
annunciandomi che nel giro di due settimane arriverà la fine del mondo. Parlano con
gli angeli, parlano con Dio, ma non sono considerati pazzi. Ma se una persona isolata
viene sorpresa in colloquio con un angelo, la definiscono pazza, la portano in un
ospedale psichiatrico e la imbottiscono di medicine. Quando vi inventate una nuova
realtà, sarà meglio che vi assicuriate di avere qualche amico che la condivida, o
potete andare incontro a guai grossi. Questa è una delle ragioni per cui tengo corsi di
PNL. Ho bisogno di qualcun altro (non tanti, mi basta un gruppetto) che condivida
questa realtà con me, così che gli uomini dal camice bianco non vengano a portarmi
via.
Anche i fisici hanno una realtà condivisa. A parte questo, in effetti non c’è molta
differenza tra un fisico e uno schizofrenico. Anche i fisici parlano di cose che non si
possono vedere. Quanti di voi hanno mai visto un atomo, per non parlare di una
particella subatomica? Una differenza c’è: i fisici di solito sono un po’ più cauti nei
confronti delle loro allucinazioni, che chiamano ‘modelli’ o ‘teorie’. Quando una
delle loro allucinazioni viene messa in questione da nuovi dati, i fisici sono un po’
più disposti a rinunciare alle loro vecchie idee.
La maggior parte di voi conoscerà un certo modello della struttura dell’atomo che
afferma che esiste un nucleo formato da protoni e neutroni, con gli elettroni che gli
girano intorno come minuscoli pianeti. Negli anni Venti, Nieis Bohr prese il premio
Nobel per questa descrizione. Nel corso della cinquantina d’anni che sono seguiti,
quel modello è stato la base di un immenso numero di scoperte e di invenzioni, come
la plastica delle sedie su cui siete seduti.
Qualche tempo fa, però, i fisici sono giunti alla conclusione che la descrizione
dell’atomo fatta da Bohr è sbagliata. Quando sono venuto a saperlo, mi sono chiesto
se non gli avrebbero ripreso il premio Nobel, ma poi ho saputo che Bohr era morto, e
prima di morire si era speso tutto. La cosa veramente sconcertante è che tutte le
scoperte fatte usando un modello ‘sbagliato’ sono sempre qui. Le sedie di plastica
non sono scomparse al momento in cui i fisici hanno cambiato idea. La fisica viene
solitamente presentata come una scienza molto ‘oggettiva’, ma vedo che la fisica
cambia, mentre il mondo resta lo stesso; di conseguenza nella fisica deve esserci
qualcosa di soggettivo.
Einstein era uno degli eroi della mia infanzia. Egli ridusse la fisica a quella che uno
psicologo chiamerebbe ‘fantasia guidata’, ma che Einstein definì ‘esperimento
mentale’. Infatti visualizzò quel che sarebbe successo se fosse stato possibile
viaggiare su un raggio di luce. E poi si dice che era una persona accademica e
oggettiva! Uno dei risultati di quell’esperimento mentale fu la sua famosa teoria della
relatività.
La PNL è diversa solo in quanto noi creiamo deliberatamente delle menzogne, in
modo da cercar di capire l’esperienza soggettiva di un certo essere umano. Quando si
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studia la soggettività, non serve a nulla cercare di essere oggettivi. Perciò adesso
dedichiamoci a qualche esperienza soggettiva...
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Far funzionare il cervello
Adesso vorrei che provaste a fare alcuni semplicissimi esperimenti, per insegnarvi
qualcosa su come potete imparare a far funzionare il vostro cervello. Questa
esperienza vi servirà a capire il resto di questo libro, e di conseguenza vi consiglio di
effettuare veramente i brevi esperimenti che seguono.
Pensate a un’esperienza passata molto gradevole... magari un’esperienza alla quale
non avete pensato da molto tempo. Concedetevi un momento di pausa per tornare a
quel ricordo e fate in modo di vedere ciò che avete visto nel momento in cui
quell’episodio piacevole è avvenuto. Potete chiudere gli occhi, se ciò vi facilita il
compito...
Guardando quel ricordo piacevole, voglio che adesso cambiate la luminosità
dell’immagine, e osserviate come in risposta cambiano anche le vostre sensazioni.
Prima rendetela sempre più luminosa... Ora rendetela sempre meno luminosa, finché
non riuscite a malapena a vederla... Adesso rendetela nuovamente più luminosa.
In che modo questo cambia il modo in cui vi sentite? Ci sono sempre delle eccezioni,
ma nella maggior parte dei casi quando rendete l’immagine più luminosa ciò
intensifica le vostre sensazioni. Aumentare la luminosità di solito accresce l’intensità
delle sensazioni, e diminuire la luminosità di solito diminuisce l’intensità delle
sensazioni.
Quanti di voi hanno mai pensato alla possibilità di cambiare intenzionalmente la
luminosità di un’immagine interna al fine di provare sensazioni diverse? La maggior
parte di voi non fa altro che lasciare che il cervello mostri loro delle immagini a
casaccio, quelle che vuole lui, e in risposta a quelle immagini sta bene o sta male.
Adesso pensate a un ricordo sgradevole, a qualcosa che a ripensarci vi fa star male.
Adesso rendete l’immagine sempre meno luminosa... Se abbassate la luminosità a
sufficienza, non vi darà più noia. In questo modo potete risparmiare migliaia di
dollari in parcelle dello psicoterapeuta.
Ho imparato queste cose da gente che le faceva già. Una signora mi disse che era
sempre felice; non si lasciava disturbare dalle cose sgradevoli. Le chiesi come
facesse, e lei rispose: “Bè, quei pensieri sgradevoli mi vengono in mente, ma io non
faccio altro che abbassare la luminosità”.
La luminosità è una delle ‘submodalità’ della modalità visiva. Le submodalità sono
elementi universali che possono essere utilizzati per cambiare qualsiasi immagine
visiva, quale che sia il contenuto. Anche le modalità auditiva e cenestesica hanno
delle submodalità, ma per adesso giocheremo con le submodalità visive.
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La luminosità è solo uno dei tanti elementi che potete variare. Prima di passare a
qualcos’altro, vorrei parlare delle eccezioni all’impatto che normalmente ha la
luminosità. Se rendete un’immagine così luminosa da eliminare i dettagli e da
renderla quasi bianca, ciò riduce, anziché accrescere, l’intensità delle sensazioni. Di
solito all’estremo superiore questo rapporto non vale più. Per certe persone, invece,
nella maggior parte dei contesti vale la relazione inversa, per cui accrescere la
luminosità diminuisce l’intensità delle sensazioni.
Alcune eccezioni sono legate al contenuto. Se la vostra immagine piacevole
rappresenta una scena a lume di candela, o al crepuscolo, o al tramonto, parte del suo
fascino particolare è legato alla poca luce; se aumentate la luminosità, le sensazioni
possono diminuire d’intensità. D’altra parte, se il vostro ricordo si riferisce a una
volta che avete avuto paura del buio, la paura può essere dovuta al fatto di non
riuscire a vedere. Se aumentate la luminosità dell’immagine e vedete che in realtà
non c’è nulla, la paura invece di aumentare diminuirà. Dunque ci sono sempre delle
eccezioni, e quando si osservano queste eccezioni, anch’esse hanno dei motivi. Quale
che sia il rapporto, potete usare queste informazioni per modificare la vostra
esperienza.
Adesso giochiamo con un’altra variabile submodale. Prendete un altro ricordo
piacevole, e cambiate le dimensioni dell’immagine. Prima rendetela sempre più
grande... e poi sempre più piccola, osservando come le vostre sensazioni mutino in
risposta a ciò.
Il rapporto consueto è che di solito un’immagine più grande intensifica la risposta,
mentre un’immagine più piccola la riduce. Anche qui vi sono delle eccezioni,
particolarmente all’estremità superiore della scala. Quando un’immagine diventa
molto grande, all’improvviso può sembrare ridicola o irreale. La vostra risposta può
allora mutare in qualità anziché in intensità: per esempio, dal piacere al riso.
Se cambiate le dimensioni di un’immagine sgradevole, probabilmente vi accorgerete
che renderla più piccola diminuisce anche l’intensità delle vostre sensazioni. Se
ingrandirla all’eccesso può renderla ridicola e risibile, potreste senz’altro usare anche
questo sistema per star meglio. trovate. Cercate di capire qual è per voi il sistema
migliore...
Non importa quale sia il rapporto, purché scopriate come esso funziona per il vostro
cervello, così da poter imparare a controllare la vostra esperienza. Se ci pensate, tutto
ciò non dovrebbe essere affatto sorprendente. Si parla correntemente di un “futuro
oscuro”, o di “prospettive luminose”. “Vedo tutto nero”. “La mente mi si è
annebbiata”. “È un’inezia, ma lei l’ha ingigantita oltre misura”. Quando qualcuno
dice una cosa del genere, non è una semplice metafora: di solito si tratta di una
descrizione letterale e precisa di ciò che quella persona sta vivendo dentro di sé.
Se qualcuno “ingigantisce un’inezia oltre misura”, potreste dirgli di rimpicciolire
l’immagine in questione. Se vede un “futuro oscuro”, potreste farglielo schiarire.
Sembra semplice... e lo è.
Ci sono tantissime cose nella vostra mente con cui non avreste mai immaginato di
poter giocare. Non volete combinare pasticci con la vostra testa? Benissimo, allora
lasciate che ci pensi qualcun altro. Tutto ciò che accade nella vostra mente influisce
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su di voi, e allo stesso tempo è potenzialmente controllabile da parte vostra. La
domanda è: “Chi farà funzionare il vostro cervello?”.
Adesso voglio che continuiate a fare degli esperimenti, variando altri elementi visivi,
in modo da osservare come possiate consapevolmente mutarli in modo da influire
sulla vostra risposta. Voglio che abbiate una comprensione esperienziale personale
del modo in cui potete controllare la vostra esperienza. Se davvero vi fermate un
attimo e provate a cambiare le variabili comprese nell’elenco seguente, avrete una
solida base per comprendere il resto di questo libro. Se pensate di non averne il
tempo, posate il libro, andate a sedervi in fondo all’autobus e mettetevi a leggere un
giornaletto o una rivista illustrata.
Coloro che vogliono veramente imparare a far funzionare il proprio cervello,
prendano una qualsiasi esperienza, e provino a mutare ciascuno degli elementi visivi
elencati qui sotto. Fate la stessa cosa che avete già fatto con la luminosità e le
dimensioni: provate ad andare in una direzione... e quindi nell’altra, per scoprire in
che modo ciò trasforma la vostra esperienza. Per scoprire veramente come funziona il
vostro cervello, cambiate un solo elemento alla volta. Se cambiate due o più cose
insieme, non avrete modo di sapere quale di esse sta influenzando la vostra
esperienza, e in che misura. Vi consiglio di farlo con un’esperienza piacevole.
1)
Colore. Cambiate l'intensità del colore, da colori vivaci e intensi fino al
bianco e nero.
2)
Distanza. Cambiatela da vicinissimo a lontanissimo.
3)
Profondità. Trasformate l’immagine passando da una fotografia piatta,
bidimensionale, alla piena profondità delle tre dimensioni.
4)
Durata. Passate da un’apparizione rapida e fuggevole a un’immagine
persistente che si conserva per un certo tempo.
5)
Nitidezza. Trasformate l’immagine passando da una chiarezza cristallina
in ogni dettaglio a una figura sfocata e indistinta.
6)
Contrasto. Regolate la differenza tra chiari e scuri, passando da un
contrasto violento a gradazioni continue e sfumate di grigio.
7)
Campo. Passate da un’immagine circondata da una cornice a una
immagine panoramica che vi circonda completamente, in modo che se girate la
testa ne vedete parti che prima non vedevate.
8)
Movimento. Fate diventare l’immagine prima una fotografia o una
diapositiva fissa, e poi un film.
9)
Velocità. Regolate la velocità del film da lentissimo a velocissimo.
10)
Dominante. Cambiate l’equilibrio dei colori. Per esempio, accrescete
l’intensità dei rossi, e diminuite quella degli azzurri e dei verdi.
11)
Trasparenza. Rendete l’immagine trasparente, in modo da poter vedere
cosa c’è sotto la superficie.
12)
Rapporto dimensionale. Prendete l’immagine racchiusa da una cornice, e
fatela diventare alta e stretta... e poi bassa e larga.
13)
Orientamento. Inclinate la parte superiore dell’immagine in modo che si
allontani da voi... e poi si avvicini.
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14)
Figura/sfondo. Cambiate la differenza o la separazione tra figura (ciò
che vi interessa di più) e sfondo (il contesto più o meno casuale della
situazione)... Quindi cercate di invertire i due aspetti, in modo che lo sfondo si
trasformi in una figura interessante. (Per ulteriori variabili da provare, si veda
l’Appendice 1).
***
Adesso la maggior parte di voi dovrebbe essersi resa conto di qualcuno dei molti
modi in cui si può trasformare l’esperienza cambiando le submodalità. Ogni volta che
trovate un elemento che funziona particolarmente bene, dedicate un momento a
pensare dove e quando vi piacerebbe usarlo. Per esempio, prendete un ricordo
pauroso... magari la scena di un film. Adesso prendete quella figura, e all’improvviso
fatela diventare grandissima... Vi da una bella scossa, no? Se avete dei problemi a
mettervi in moto la mattina, provate questo, invece del caffè!
Vi ho chiesto di provare a mutare un elemento alla volta in modo da poter capire
come funzionano. Una volta che sapete come funzionano, potete combinarli in modo
da ottenere mutamenti ancora più intensi. Per esempio, fermatevi un attimo e trovate
un ricordo di tipo sensuale per voi estremamente gradevole. Innanzi tutto, fate in
modo che sia un film e non semplicemente un’immagine fissa. Adesso prendete
quell’immagine e tiratevela vicina. Mentre si avvicina, rendetela Più luminosa e più
colorata, mentre al tempo stesso rallentate il film a circa metà della velocità. Poiché
avete già imparato qualcosa riguardo al modo in cui il vostro cervello funziona, fate
qualsiasi altra cosa sia la migliore per intensificare questa vostra esperienza. Andate
avanti...
Vi sentite diversamente da prima? Potete farlo in qualsiasi momento... e avrete già
pagato una volta per tutte! Quando siete sul punto di fare qualcosa di veramente
cattivo a una persona che amate, potreste fermarvi e fare proprio questo. E con
l’espressione che vedo dipinta su tutte le vostre facce in questo momento, chissà cosa
potrebbe capitarvi... guai, forse, ma guai divertenti di sicuro!
Ciò che mi sorprende è che certuni fanno la stessa cosa ma percorrendo esattamente il
cammino inverso. Pensate a cosa potrebbe essere la vostra vita se voi rammentaste
tutte le vostre esperienze più belle come delle foto in bianco e nero, oscure, lontane e
sfocate, e ricordaste invece tutte le vostre esperienze più brutte come dei film
tridimensionali ravvicinati, panoramici e vivacemente colorati. È un ottimo sistema
per deprimersi e pensare che la vita non valga la pena di essere vissuta. Tutti noi
abbiamo avuto esperienze belle e brutte; ciò che conta è spesso come le ricordiamo.
Una volta, a una festa, mi misi a osservare una signora. Per tre ore si divertì un
mondo: chiacchierò, ballò, si mise in mostra. Proprio mentre si stava preparando ad
andarsene, qualcuno le versò del caffè proprio sul davanti del vestito. Mentre cercava
di togliere la macchia, disse: “Oh, ecco che mi sono rovinata la serata”. Pensate un
po’: un unico brutto momento era stato sufficiente a rovinare tre ore di felicita!
Volevo capire come avesse fatto, e le chiesi informazioni sul tempo trascorso a
ballare. Mi disse che ora si vedeva ballare con una macchia di caffè sul vestito!
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Aveva preso la macchia di caffè e con questa aveva letteralmente macchiato tutti i
ricordi delle fasi precedenti della serata.
Sono in molti a fare così. Un tale una volta mi disse: “Per una settimana ho pensato di
essere veramente felice. Ma poi mi sono guardato alle spalle, e mi sono reso conto
che in realtà non ero affatto felice; era stato tutto uno sbaglio”. Guardandosi indietro,
aveva ricodificato tutte le sue esperienze, e si era convinto di aver trascorso una
settimana orrenda. Mi chiesi: “Se è capace di rivisitare la propria storia in questo
modo, perché non lo fa nel senso opposto? Perché non rendere gradevoli tutte le
esperienze spiacevoli?”.
La gente rivisita spesso il proprio passato quando divorzia, o quando scopre che il
proprio coniuge ha avuto una storia con qualcun altro. Di colpo tutti i momenti belli
trascorsi insieme nel corso degli anni assumono un aspetto diverso. “Era tutta una
fregatura”. “Mi stavo illudendo”.
Anche chi si mette a dieta spesso fa la stessa cosa. “Beh, pensavo che quella dieta
stesse funzionando davvero. Ho perso due chili la settimana per tre mesi. Ma poi ho
ripreso mezzo chilo, e allora ho capito che non funzionava”. Alcune persone riescono
a perdere peso più volte, ma non capita mai loro di pensare che ci stavano riuscendo
davvero. Un’unica piccola indicazione che stanno riprendendo del peso, e allora
decidono: “Non poteva assolutamente funzionare”.
Un tale venne in terapia da me perché aveva “paura di sposare la donna sbagliata”.
Stava con questa donna, pensava di amarla, e la voleva veramente sposare, tant’è
vero che era disposto a pagare per lavorarci su in terapia. Il motivo per cui sapeva di
non poter far conto sulla sua capacità di prendere questo genere di decisione era che
già una volta aveva sposato ‘la donna sbagliata’. Quando glielo sentii dire, pensai:
“Immagino che una volta tornato a casa dopo il matrimonio, deve aver scoperto che
quella donna era un’estranea. Magari aveva sbagliato chiesa, o qualcosa del genere”.
Che diavolo significa dire di aver sposato ‘la donna sbagliata’?
Quando gli chiesi cosa volesse dire, venni a sapere che aveva divorziato cinque anni
dopo il matrimonio. Nel suo caso, i primi quattro anni e mezzo erano andati
benissimo. Ma poi era andata male, e di conseguenza tutti e cinque gli anni erano stati
un completo errore. “Ho rovinato cinque anni della mia vita, e non voglio rifarlo.
Perciò ho deciso di dedicare i prossimi cinque anni a cercar di scoprire se questa è la
donna giusta o no”. La cosa lo preoccupava veramente. Per lui non era uno scherzo.
Era importante. Ma non gli venne mai fatto di pensare che l’intero problema
derivasse da un errore di prospettiva.
Quel tale sapeva già che lui e questa donna si rendevano felici a vicenda sotto molti
punti di vista. Non pensava a chiedersi in che modo poteva essere ancor più felice
stando con lei, o a come far sì che lei continuasse a essere felice. Aveva già deciso
che era necessario scoprire se quella era la ‘donna giusta’ oppure no. Non dubitava
della propria capacità di prendere questa decisione, ma al tempo stesso non aveva
fiducia nella propria capacità di decidere se sposarla o no!
Una volta chiesi a un tizio come facesse a deprimersi, e lui mi rispose: “Beh, è un po’
come uscire dalla macchina e scoprire che si ha una gomma a terra”.
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“Certo, mi sembra una scocciatura, ma non mi sembra qualcosa da cui farsi
deprimere. Come fai a renderla davvero deprimente?”.
“Mi dico: ‘È sempre così’, e poi mi vengono in mente tutte le altre volte che mi si è
rotta la macchina”.
Sono convinto che per ogni volta in cui la sua macchina non funzionava, ce n’erano
state probabilmente altre trecento in cui aveva funzionato perfettamente. Ma in quel
momento lui non ci pensava. Se riesco a farlo pensare a tutte le volte che la sua
macchina ha funzionato senza problemi, ecco che non è più depresso.
Una volta una signora venne da me e mi disse che era depressa. “Come fa a sapere di
essere depressa?”, le chiesi. Mi guardò e mi spiegò che gliel’aveva detto il suo
psichiatra. “Beh, magari si sbaglia”, dissi; “forse lei non è depressa; forse questa è
felicità!”. Mi guardò di nuovo, inarcò un sopracciglio e disse: “Non credo proprio”.
Ma ancora non aveva risposto alla mia domanda: “Come fai a sapere di essere
depresso?”. “Se tu fossi felice, come faresti a sapere di essere felice?”. “Sei mai stato
felice?”.
Ho scoperto che la maggior parte delle persone depresse in realtà non hanno avuto
meno esperienze felici degli altri; è solo che quando si guardano indietro, non
pensano che quelle esperienze siano state veramente così felici. Invece di avere degli
occhiali rosa, hanno occhiali dalle lenti affumicate. Conosco una meravigliosa
signora di Vancouver che vede effettivamente le esperienze per lei spiacevoli con una
sfumatura azzurra,(1) e quelle piacevoli con una sfumatura rosa. In questo modo
restano ben suddivise. Se lei prende un ricordo e ne cambia la sfumatura, il ricordo ne
risulta completamente trasformato. Non saprei dirvi perché la cosa funzioni, ma
questo è il modo in cui lei lo fa, soggettivamente.
La prima volta che uno dei miei pazienti mi disse: “Sono depresso”, io ribattei:
“Piacere, Richard”. Lui si arrestò e disse: “No”.
“Non sono Richard?”.
“Aspetti un attimo. Lei si confonde”.
“Non mi confondo affatto. Mi è tutto perfettamente chiaro”.
“Sono sedici anni che sono depresso”.
“Ma è stupefacente? Tanto tempo senza nemmeno dormire?”.
La struttura di quello che lui sta dicendo è questa: “Ho codificato la mia esperienza
così che vivo nell’illusione di essere nello stesso stato di coscienza da sedici anni”. Io
so che in questi sedici anni non è stato sempre depresso. Avrà pur dovuto dedicare un
po’ di tempo a mangiare, ad arrabbiarsi e a qualche altra cosetta. Provate a restare
nello stesso stato di coscienza per venti minuti. C’è chi spende un sacco di soldi e
dedica un sacco di tempo a imparare a meditare allo scopo di restare nello stesso stato
di coscienza per un paio d’ore. Se uno potesse restare depresso per un’ora,
probabilmente non sarebbe nemmeno più in grado di accorgersene, poiché quel
sentimento produrrebbe assuefazione, e di conseguenza diverrebbe impercettibile. Se
si fa la stessa cosa abbastanza a lungo, alla fine non si riesce più ad accorgersene. È
l’effetto dell'assuefazione, che vale anche per le sensazioni fisiche. Perciò mi chiedo
sempre: “Com’è possibile che questo tizio creda di essere depresso da tanto tempo?”.
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Si può curare la gente per quello che dice di avere, e alla fine scoprire che non l’ha
mai avuto. “Sedici anni di depressione” possono essere in realtà solo venticinque ore
(1) ‘Blue’ in inglese significa ‘blu’, ‘azzurro’, ma anche ‘triste’. (N.d.T.)
di vera e propria depressione.
Ma se si prende alla lettera l’affermazione di quel tale: “Sono sedici anni che sono
depresso”, si accetta allo stesso tempo il presupposto che uno possa restare tanto
tempo in un unico stato di coscienza. E se si accetta come proprio compito quello di
renderlo felice, si cercherà semplicemente di metterlo permanentemente in un altro
stato di coscienza. In realtà, potreste benissimo riuscire a fargli credere di essere
sempre stato felice. Potreste insegnargli a ricodificare tutto ciò che appartiene al suo
passato come felicità. Per quanto male possa stare in ogni dato momento, sarà
convinto di essere sempre felice e apprezzerà questo fatto. Momento per momento la
sua situazione non sarà affatto cambiata... lo diventerà solo quando si volge indietro,
verso il passato. Non avete fatto altro che dargli una nuova illusione in cambio di
quella con cui è venuto da voi.
Molti sono depressi perché hanno buone ragioni di esserlo. Molti vivono una vita
monotona e priva di significato, e sono infelici. Parlare con un terapeuta non
cambierà la situazione, a meno che ciò non porti la persona a vivere in modo diverso.
Se qualcuno è disposto a spendere 75 dollari per una seduta dallo psichiatra, invece di
spenderli per una festa, questa non è malattia mentale, ma stupidità! Se non fai nulla,
è naturale che poi tu ti senta annoiato e depresso. La catatonia è un caso limite di
questo atteggiamento.
Quando una persona mi dice di essere depressa, faccio la stessa cosa che faccio
sempre: cerco di scoprire in che modo lo posso fare anch’io. Penso che se riesco a
ripercorrere metodicamente quello che fa, passo per passo, e scopro come fa con
precisione sufficiente a imitarlo, allora di solito posso dargli qualche indicazione su
come può farlo in modo diverso, oppure trovare qualcun altro che non è depresso, e
scoprire come fa a farlo.
Alcune persone hanno una voce interna dal tono stanco e depresso, che recita lunghi
elenchi dei loro fallimenti. In questo modo, a forza di parlarsi da soli, ci si può ridurre
in uno stato di depressione estrema. Sarebbe come avere nella testa certi miei
professori del college. Non c'è da meravigliarsi se queste persone sono depresse.
Talvolta la voce interna è talmente bassa che la persona non se ne rende conto
consapevolmente finché non glielo si chiede. Poiché si tratta di una voce inconscia, la
persona reagirà ad essa in modo molto più profondo che se si trattasse di una voce
cosciente: essa avrà un più forte impatto ipnotico.
Chi di voi ha avuto occasione di fare terapia per molte ore nel corso della stessa
giornata, si sarà forse accorto che ci sono momenti in cui con i pazienti si tende a
divagare mentalmente. Questi sono definiti ‘stati di trance’. Se il paziente sta
parlando del suo star male e della sua depressione, voi comincerete, come chiunque si
trovi in stato di trance, a rispondere a questi suggerimenti. Se avete pazienti allegri e
che si sentono ‘su’, questo può tornare a vostro vantaggio. Ma se avete pazienti
depressi, alla fine della giornata può capitarvi di tornare a casa sentendovi uno schifo.
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Se avete un paziente che si deprime con una delle voci di cui parlavo, provate ad
aumentare il volume di quella voce finché non riesce a udirla chiaramente, così da
eliminare l’impatto ipnotico. Quindi cambiate la tonalità finché non diventa una voce
piena di allegria. Il paziente si sentirà molto meglio, anche se quella voce allegra sta
ancora recitando un elenco di fallimenti.
Molte persone si deprimono con le immagini, ed esistono moltissime varianti di
questo sistema. Per esempio, si possono fare dei collage di tutte le volte che qualcosa
in passato è andato male, oppure si possono inventare migliaia di rappresentazioni di
come le cose potrebbero andar male in futuro. Si può guardare tutto ciò che ci
circonda nel mondo reale, e sovrapporre a questa l’immagine dell’aspetto che tutto
ciò avrà tra cent’anni. Avete mai sentito il detto: “Si comincia a morire nel momento
in cui si nasce”? È un esempio calzante di ciò che intendo dire.
Ogni volta che succede qualcosa di piacevole, ci si può dire: “Non durerà”, oppure:
“Non è vero”, oppure: “In realtà questa persona intende qualcos’altro”. Esistono
molte maniere per farlo. La domanda è sempre: “Come fa questa persona a farlo?”.
Una risposta dettagliata a quella domanda vi dirà tutto ciò che vi serve per insegnare
alla persona a fare qualcos’altro. L’unico motivo per cui non fa qualcosa di più
ragionevole è che si tratta dell’unica cosa che sa fare. Siccome lo fa da anni, è
diventata una cosa ‘normale’: qualcosa di indiscusso, di cui nemmeno si accorge.
Una delle caratteristiche più bizzarre della nostra cultura. è la tendenza ad agire in
ogni circostanza come se tutto fosse perfettamente normale. La dimostrazione più
elegante di questo fatto, per quanto mi riguarda, è la città di New York. Se
camminate per Broadway, non vedete nessuno guardarsi intorno mormorando: “Santo
Cielo!”.
Un’altra dimostrazione è il centro di Santa Cruz. C’è gente che per la strada fa cose
che farebbero arrossire i degenti di qualsiasi ospedale psichiatrico. Eppure vi si
vedono signori in doppiopetto che camminano per quelle strade chiacchierando del
più e del meno come se tutto fosse perfettamente normale.
Anch’io provengo da un ambiente ‘normale’. Nel mio quartiere, quando avevo nove
anni e non avevo niente da fare, me ne stavo con la banda del luogo. Ogni tanto
qualcuno diceva: “Ehi, perché non andiamo a rubare una macchina?”. “Forza,
andiamo a rapinare un negozio di liquori, e poi ammazziamo qualcuno”.
Pensavo che per riuscire nella vita, il modo migliore fosse di andare a vivere con i
ricchi. Pensavo che se li avessi frequentati, qualcosa mi sarebbe pur rimasto attaccato.
Così andai a stare in un posto chiamato Los Altos, dove c’è gente con i soldi.
L’università di Los Altos, a quell’epoca, aveva un bar dove i cucchiaini erano di
argento massiccio, e le poltrone del centro studentesco erano di vera pelle. Il
parcheggio sembrava l’esposizione degli ultimi modelli di Detroit. Ovviamente,
andando lì, dovevo anch’io comportarmi come se tutto fosse normale. “Firulì firulà,
tutto a posto”.
Trovai un lavoro che consisteva nello stare davanti a una macchina con cui si
comunica, chiamata computer, e intrapresi il corso di studi in scienze
dell’informazione. Non esisteva ancora un dipartimento specifico, in quanto erano un
paio d’anni che qualcuno aveva bloccato i finanziamenti. Poiché mi trovavo a scuola,
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ma allo stesso tempo non avevo la possibilità di laurearmi, mi trovai sprofondato in
una crisi esistenziale. “Che posso fare? Studierò psicologia” Più o meno in quello
stesso periodo, mi capitò di dover curare un libro sulla Terapia della Gestalt, e di
conseguenza venni spedito a un gruppo di Terapia della Gestalt per vedere di che si
trattava. Era la mia prima esperienza di psicoterapia di gruppo. Venivo da un
ambiente di pazzi, lavoravo in un ambiente di pazzi, ma mi aspettavo che coloro i
quali andavano da un terapeuta fossero pazzi davvero.
La prima cosa che vidi fu un tale seduto che parlava a una sedia vuota. “Oohhh!”
pensai, “allora avevo ragione! Sono proprio pazzi”. E poi c’era quest’altro matto che
spiegava a quel tale cosa dovesse dire alla sedia vuota! Allora però cominciai a
preoccuparmi, perché anche il resto dei presenti guardavano quella sedia vuota come
se stesse rispondendo! Il terapeuta chiese: “E adesso cosa ti dice?”. Allora anch’io
guardai quella sedia. In seguito mi venne spiegato che quella stanza era piena di
psicoterapeuti, e di conseguenza era tutto a posto.
Poi il terapeuta disse: “Ti rendi conto di quel che sta facendo la tua mano?”. Quando
il tizio disse: “No”, mi prese un colpo. “E adesso tè ne rendi conto?”. “Sì”. “Cosa sta
facendo? Esagera il movimento”. Strano, no? Poi il terapeuta disse: “Dai voce a quel
movimento”. “Voglio uccidere, uccidere”. Quel tale, seppi poi, era un neurochirurgo!
Il terapeuta disse: “Adesso, guarda quella sedia, e dimmi chi ci vedi”. Guardai, ma
anche questa volta non c’era nessuno! Ma il tizio guardò la stessa sedia, e ringhiò:
“Mio fratello!”.
“Digli che sei arrabbiato”.
“Sono arrabbiato!”.
“Dillo più forte”.
“Sono arrabbiato!”.
“Per cosa?”.
E allora lui si mette a spiegare a questa sedia vuota tutte le ragioni per cui è
arrabbiato, e poi la assale. La fa a pezzi, e poi si scusa, e sistema ogni cosa per bene,
sempre con la sedia, e alla fine sta meglio. E allora tutti i mèmbri del gruppo gli
dicono tante cose carine e lo abbracciano.
Siccome avevo frequentato scienziati e assassini, sarei stato in grado di comportarmi
quasi ovunque come se tutto fosse stato normale, ma in quell’occasione mi trovavo in
difficoltà. Dopo, chiesi agli altri: “Ma suo fratello c’era davvero?”.
Alcuni di loro risposero: “Certo che c’era”.
“E dove l’avete visto?”.
“Con l’occhio della mente”.
Si può fare quasi qualsiasi cosa. Se vi comportate come se fosse tutto normale, anche
gli altri lo faranno. Pensateci. Si può benissimo dire: “Questa è psicoterapia di
gruppo”, mettere delle sedie in circolo, e dire: “Questa sedia è la ‘sedia bollente’”.
Poi, se dite: “Chi vuole lavorare?”, tutti quanti aspetteranno e aspettando
diventeranno sempre più nervosi. Alla fine, quando la tensione ha raggiunto un certo
livello, qualcuno che ha una certa motivazione non ce la fa più: “Vorrei lavorare io!”.
E allora tu dici: “Quella sedia non va bene per fare queste cose. Vieni a sederti in
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questa sedia speciale”. E di fronte a lui metti un’altra sedia, vuota. Spesso si comincia
così:
“Ora dimmi di cosa sei consapevole”.
“Sento il cuore che mi batte forte”.
“Chiudi gli occhi, e dimmi di cosa sei consapevole ora”.
“Di essere osservato dagli altri”.
Pensateci un istante. Quando ha gli occhi aperti, sa cosa gli sta succedendo dentro;
quando ha gli occhi chiusi, sa cosa succede al di fuori di lui! Per chi di voi non ha
familiarità con la Terapia della Gestalt, vi assicuro che è un fenomeno comunissimo.
C’era un tempo e un luogo in cui la gente credeva che parlare a una sedia vuota
avesse un significato, e in effetti lo aveva. In questo modo si possono ottenere certi
utili risultati. Ma poteva anche essere molto pericoloso, per ragioni che allora non si
comprendevano, e che molti ancora oggi non comprendono. La persona apprende
sequenze ripetute di comportamento, ma non necessariamente il contenuto specifico.
La sequenza che s’impara in Terapia della Gestalt è la seguente: quando ci si sente
tristi o frustrati, si allucinano parenti o vecchi amici, ci si arrabbia, ci si abbandona ad
atti di violenza, e poi si sta meglio e gli altri sono gentili con noi.
Prendete questa sequenza e traducetela nel mondo reale, prescindendo dal contenuto.
Cos’è che la persona ha imparato? Quando non si sta bene, bisogna allucinare,
arrabbiarsi, diventare violenti, e poi si sta meglio. Che ve ne pare come modello per i
rapporti umani? È così che volete che siano i vostri rapporti con il vostro coniuge o
con i vostri figli? Ma perché rifarsela con una persona amata? Quando vi infuriate,
basta uscire e trovare un qualsiasi estraneo. Avvicinatevi a lui allucinate un parente
morto, suonategliele di santa ragione, e vi sentirete meglio. Certuni lo fanno davvero,
anche senza ricorrere alla Terapia della Gestalt, ma di solito questo modello di
comportamento non lo si considera come segno di guarigione. Quando una persona
va in terapia, o affronta una qualsiasi altra esperienza ripetitiva, fa in frettissima a
imparare ciò che avviene, e più che il contenuto apprende lo schema e la sequenza di
ciò che avviene. Siccome molti terapeuti centrano l’attenzione sul contenuto, di solito
non si accorgeranno nemmeno della sequenza di ciò che insegnano.
Certuni vi guarderanno diritto negli occhi e vi spiegheranno che il motivo per cui
sono così come sono è qualcosa che è successo tanto tempo fa nella loro infanzia. Se
questo è vero, sono totalmente incastrati, perché è ovvio che non ci si possa fare
nulla; non è possibile avere indietro la propria infanzia.
Tuttavia, queste stesse persone sono convinte che si possa far finta di riavere indietro
la propria infanzia, e in questo modo tornare indietro e cambiarla. Il fatto che non vi
piaccia quel che è successo significa che l’episodio è tuttora ‘aperto’; allora si può
tornare indietro e ‘chiuderlo’ in una maniera che vi soddisfi di più. Questo è un
metodo efficacissimo di ristrutturazione che vi può essere estremamente utile.
Io penso che tutto sia ancora aperto, in questo senso: l’unico modo in cui si può
conservare giorno per giorno un ricordo, una convinzione, un certo modo di capire le
cose o un qualsiasi altro processo mentale, consiste nel ripeterlo. Di conseguenza, è
qualcosa che continua ad accadere. Quando si ha una certa comprensione dei processi
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che continuano a mandarlo avanti, se quel che accade non vi piace è possibile
cambiarlo.
In realtà modificare le esperienze passate è piuttosto facile. La prossima cosa che
vorrei insegnarvi è quella che io chiamo ‘terapia rapida’. Uno dei suoi aspetti
simpatici è che è anche una terapia segreta, e di conseguenza potete tutti quanti
provare a metterla in pratica.
Pensate a un’esperienza sgradevole, qualcosa di imbarazzante, o una delusione, e
ripassatene il film per vedere se vi fa ancora star male. Se non vi fa nessun effetto,
provatene un altro...
Adesso, fate ripartire il film dall’inizio, e non appena comincia metteteci dietro della
bella musica da circo, qualcosa di allegro e fragoroso. Ascoltate la musica da circo
finché il film non è finito...
Adesso, riguardate il film in versione originale... State meglio? Nella maggior parte
dei casi, la tragedia si trasformerà in commedia, e renderà più allegri i vostri
sentimenti in proposito. Se avete un ricordo che vi disturba e vi fa arrabbiare,
metteteci su una musica da circo. Se proiettate una volta con un accompagnamento di
musica da circo, la volta successiva sarà automaticamente accompagnato dalla
musica da circo, e non vi farà più lo stesso effetto. Per alcuni di voi, la musica da
circo può non essere la scelta più appropriata per quel particolare ricordo. Se non
avete notato alcun mutamento, o se le vostre sensazioni sono cambiate in un modo
che non vi soddisfa, vedete se riuscite a pensare a qualche altra musica o colonna
sonora che secondo voi possa avere un impatto su quel ricordo, e poi provate a far
suonare quella musica insieme al ricordo. Potreste provare con mille violini, a tipo
sceneggiato televisivo, o con della musica operistica, con l’Ouverture XY, con una
canzonetta: qualsiasi cosa, insomma, e vedete un po’ quel che succede. Se cominciate
a sperimentare, riuscirete a scoprire moltissimi modi in cui potete trasformare la
vostra esperienza.
Prendete un altro brutto ricordo. Fate scorrere il film, ma nel modo in cui lo fate di
solito, per vedere se vi fa sempre lo stesso effetto sgradevole...
Adesso fate scorrere quello stesso ricordo all’indietro, cominciando dalla fine per
arrivare all’inizio, esattamente come se faceste tornare indietro la pellicola, e fatelo in
frettissima, in pochi secondi....
Adesso proiettate di nuovo il film in avanti...
Riguardo a quel ricordo, dopo averlo proiettato all’indietro provate ancora le stesse
sensazioni? Assolutamente no. È un po’ come pronunciare una frase alla rovescia: il
significato cambia. Provate a farlo con tutti i vostri brutti ricordi, e avrete risparmiato
altre migliaia di dollari di psicoterapia. Credetemi, quando questa roba comincerà a
diffondersi, rovineremo il mercato ai terapeuti tradizionali. Li si potrà trovare ai
baracconi, insieme a quelli che vendono incantesimi e ali di pipistrello in polvere.
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3
Punti di vista
Capita spesso che qualcuno dica: “Non stai vedendo la cosa dal mio punto di vista”, e
talvolta ha ragione, proprio in senso letterale. Vorrei che adesso pensaste a una
discussione tra voi e qualcun altro, in cui eravate sicuri di avere ragione. Per
cominciare, fate scorrere il film di quell’episodio nel modo in cui ve lo ricordate...
Adesso voglio che facciate scorrere il film di quello stesso identico episodio, ma
dall’altro punto di vista, come se vi trovaste sopra la spalla dell’altra persona, in
modo da potervi vedere nel corso della discussione. Riproiettate lo stesso film
dall’inizio alla fine, guardando da questo nuovo punto di vista...
Avete osservato delle differenze? Per alcuni di voi possono non essere sostanziali,
specialmente se lo fate già spontaneamente. Ma per alcuni la differenza può essere
enorme. Siete ancora sicuri di essere stati nel giusto?
Uomo: Non appena ho visto la mia faccia e ho udito il mio tono di voce, ho pensato:
“Chi mai potrebbe dare retta a quello che sta dicendo quell’idiota?”.
Donna: Trovandomi nella posizione del destinatario di ciò che stavo dicendo, mi sono
accorta di una quantità di errori nel mio ragionamento. Mi sono accorta che mi stavo
semplicemente abbandonando al flusso dell’adrenalina, e che quel che dicevo non
aveva nessun senso.
Ho intenzione di andare a chiedere scusa a quella persona.
Uomo: Per la prima volta ho veramente ascoltato l’altra persona, e in quel che diceva
in realtà c’era del vero.
Uomo: Mentre mi ascoltavo, continuavo a pensare: “Non potresti dirlo in qualche
altro modo, così da farti capire?”.
Quanti di voi sono tuttora sicuri di aver ragione quanto lo erano prima di provare
questo diverso punto di vista?... Circa tre su sessanta. Questo basta ad appurare che
quando siete sicuri di aver ragione, la probabilità di avere veramente ragione è circa...
del cinque Per cento.
Sono secoli che si parla di ‘punti di vista’. Tuttavia si è sempre pensato che si
trattasse di una metafora, non di qualcosa da prendere alla lettera. Non si sapeva
come fare a dare a qualcuno istruzioni specificamente intese a fargli cambiare il suo
punto di vista. Ciò che avete appena fatto è soltanto una delle mille e mille
possibilità. È possibile considerare qualcosa da un qualsiasi punto dello spazio,
letteralmente. Si può considerare quella stessa discussione dall’esterno, dalla
posizione di un osservatore neutrale, così da poter vedere altrettanto bene voi e l’altra
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persona. Si può considerarla da un punto del soffitto, in modo da vederla ‘dall’alto’,
oppure da un punto del pavimento, in una visione ‘dal basso’. Si potrebbe collocarsi
dal punto di vista di un bambino piccolo, o di un vecchio. Certo, in questo modo la
cosa diventa un po’ più metaforica e meno specifica, ma se trasforma la vostra
esperienza in un modo che vi è utile, non c’è niente da discutere.
Quando succede qualcosa di brutto, alcuni dicono: “Beh, di qui a cent’anni, chi ci
farà più caso?”. Per alcuni di voi, parole come queste possono non avere alcun
impatto. Magari pensate: “Non capisce”. Ma quando alcuni lo dicono o lo sentono,
ciò trasforma realmente la loro esperienza, e li aiuta ad affrontare i loro problemi.
Allora, com’è ovvio, ho chiesto ad alcuni di loro cosa facessero dentro la loro testa
pronunciando quella frase. Un tale osservava l’intero sistema solare da un punto dello
spazio esterno, e guardava i pianeti percorrere le loro orbite. Da quel punto di vista,
riusciva a malapena a scorgere se stesso e i suoi problemi come un minuscolo puntino
sulla superficie della terra. Le immagini di altre persone sono spesso un po’ diverse,
ma sono tutte analoghe nel senso che vedono i loro problemi come una minima parte
del quadro, e da una grande distanza, e il tempo è accelerato: cento anni compressi in
un film di pochi istanti.
Al mondo c’è tantissima gente che nella testa fa cose stupende come questa, cose che
funzionano veramente. Non solo: vi annunciano perfino quel che stanno facendo. Se
dedicate un po’ di tempo a far loro qualche domanda, avrete occasione di scoprire
innumerevoli cose che potete fare col vostro cervello.
C’è un'altra frase affascinante, che mi colpisce ogni volta che la sento. Quando capita
qualcosa di spiacevole, spesso la gente dice: “Poi, quando ci ripenserai, ti verrà da
ridere”. Deve pur esserci qualcosa che ci succede nella testa nel frattempo, qualcosa
che a distanza di tempo può rendere divertente un’esperienza sgradevole. Quanti dei
presenti qui hanno qualcosa a cui possono ripensare e che li può far ridere?... E voi
tutti, non avete un ricordo sul quale ancora non siete capaci di ridere?... Adesso
voglio che confrontiate questi due ricordi in modo da capire in che modo sono
differenti. Forse che in uno dei due vi vedete, e nell’altro no? Forse che uno è una
diapositiva, e l’altro un film? C’è forse una differenza nel colore, nelle dimensioni,
nella luminosità o nello scenario? Trovate cosa c’è di diverso, e poi cercate di
trasformare la rappresentazione sgradevole in modo da renderla simile a quella di cui
già potete ridere. Se quella di cui riuscite a ridere è lontana, allontanate anche l’altra.
Se in quella che vi fa ridere vi vedete dall’esterno, vedetevi dall’esterno anche
nell’esperienza che vi risulta ancora sgradevole. La mia filosofia è: perché aspettare
per star meglio? Perché non ‘ripensarci e ridere’ già mentre la vivete? Se vi capita
qualcosa di sgradevole, potreste pensare che una volta sia già più che sufficiente. Ma
no, il vostro cervello non la pensa così. Vi dice: “Sì, hai proprio fatto una cavolata.
Adesso ti torturerò per tre o quattro anni. Poi magari ti lascerò ridere”.
Uomo: Nel ricordo di cui riesco a ridere, vedo me stesso dall’esterno; sono un
osservatore. Ma nel ricordo che mi fa ancora star male mi sento incastrato lì dentro,
proprio come se stesse succedendo di nuovo la stessa cosa.
È una reazione comune. Questo può valere anche per molti altri di voi? Riuscire a
osservarsi dall’esterno ci da la possibilità di ‘rivedere’ un evento ‘da una prospettiva
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diversa’, e di vederlo in modo nuovo, come se stesse succedendo a qualcun altro. Il
genere migliore di umorismo consiste nell’osservarsi in modo nuovo. L’unica cosa
che vi impedisce di farlo immediatamente, mentre l’evento succede, è il non rendervi
conto che lo si può fare. Quando ci avete preso la mano, potete addirittura farlo lì per
lì mentre la cosa succede.
Donna: Quello che faccio io è diverso, ma funziona altrettanto bene. Mi metto a
fuoco come un microscopio, finché arrivo a vedere soltanto una minuscola parte
dell’evento, ingrandita in modo da riempire tutto lo schermo. In questo caso, tutto
quello che potevo vedere erano queste enormi labbra che pulsavano, tremolavano, e
ballonzolavano mentre lui parlava. La cosa era così grottesca che sono scoppiata a
ridere.
Questo è indubbiamente un punto di vista diverso. Ed è anche qualcosa che potresti
facilmente provare a fare la prima volta, quando l’esperienza sgradevole è ancora in
corso.
Donna: Sì, lo faccio. Magari sono completamente incastrata in qualche situazione
orrenda, e allora mi metto a fuoco su un dettaglio, e mi metto a ridere da quanto la
cosa diventa buffa.
Adesso voglio che tutti voi pensiate a due ricordi del vostro passto, uno piacevole e
uno spiacevole. Dedicate qualche momento a rivivere questi due ricordi nello stesso
modo in cui lo fate abitualmente...
Adesso, voglio che osserviate se nell’uno e nell’altro di questi ricordi siete associati o
dissodati.
Associati significa tornare indietro e rivivere l’esperienza, guardando a scena con i
vostri stessi occhi. Vedete esattamente quel che avete visto quando vi trovavate lì.
Può darsi che vi vediate le mani, ma la faccia non ve la vedete, a meno che non vi
stiate guardando in uno specchio.
Dissociati significa osservare l’immagine del ricordo da un qualsiasi punto di vista
diverso da quello dei vostri occhi. Potrebbe darsi che vi vediate come se vi guardaste
dall’alto di un aeroplano, oppure può darsi che lo vediate come se foste un altro e
guardaste un film di voi stessi in quella situazione, e via dicendo.
Adesso tornate prima all’uno e poi all’altro di questi ricordi, e appurate se in ciascuno
dei due eravate associati o dissociati...
Quale che sia stato il modo in cui avete spontaneamente richiamato i due ricordi,
voglio che adesso torniate indietro e proviate a riviverli nell’altro modo, in modo da
scoprire come ciò possa trasformare la vostra esperienza. Se in uno dei due ricordi
eravate associati, fate un passo indietro dal vostro corpo, e rivedete l’episodio
dissociati. Se invece eravate dissociati, avanzate in modo da entrare nell’immagine,
oppure tiratevela intorno finché non siete associati. Osservate in che modo questo
mutamento di visuale trasforma le sensazioni indotte in voi da questi ricordi...
Avete notato qualche differenza? C’era da scommetterci. C’è stato qualcuno che non
ha notato nessuna differenza?
Uomo: Io non ho notato una grande differenza.
Va bene. Prova a far questo. Sentiti seduto sulla panchina di un giardino pubblico,
dove c’è un parco di divertimenti, e vediti sul primo seggiolino di un ottovolante.
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Guarda come il vento ti muove i capelli quando l’ottovolante si avvia giù per la prima
discesa...
Adesso confronta questo con ciò che proveresti se ti trovassi veramente seduto in
quel primo seggiolino, con le mani strette sulla sbarra davanti a tè, lassù per aria, con
quella discesa vertiginosa sotto di tè...
Non sono due cose diverse? Controllati il polso, e dimmi se non ti ha dato una bella
scossetta, startene lì dentro l’ottovolante, a guardare giù per quelle rotaie. Tra l’altro,
per svegliarsi, costa meno di un caffè.
Donna: In uno dei miei ricordi, mi sembra di essere sia dentro che fuori.
Bene. Ci sono due possibilità. Una è che tu stia rapidamente andando avanti e
indietro. Se è così, limitati a osservare la differenza ogni volta che cambi. Per farlo
come deve essere fatto, può darsi che tu debba rallentare un po’ il ritmo.
La seconda possibilità è che tu fossi dissociata già mentre vivevi l’esperienza in
questione. Per esempio, essere autocritici di solito presuppone un punto di vista
diverso dal proprio. È come se tu fossi al di fuori di tè stessa, a osservarti e criticarti.
Se è così, sarai dissodata anche quando richiami l’esperienza e ‘vedi ciò che vedevi in
quell’occasione’. Ti sembra che una di queste due descrizioni possa corrispondere
alla tua esperienza?
Donna; Tutte e due. In quell’occasione mi sentivo critica nei confronti di me stessa, e
probabilmente alternavo le due cose, il fatto di osservarmi e quello di sentirmi
criticata.
C’è anche una terza possibilità, ma è piuttosto rara. Alcuni creano un’immagine
dissociata di se stessi pur essendo stati associati in occasione dell’esperienza
originaria. Un tale aveva uno specchio intero che si portava sempre dietro. Così, se
entrava in una stanza, vedeva contemporaneamente entrare nella stanza la propria
immagine riflessa nello specchio. Un altro tizio aveva un piccolo monitor televisivo
che teneva su uno scaffale o attaccato alla parete in modo da poter sempre vedere
come appariva agli altri.
Quando richiamate un ricordo da associati, rivivete la reazione sensoriale originaria
da voi provata in quell’occasione. Quando richiamate un ricordo da dissociati, potete
vedervi vivere le sensazioni originarie nell’immagine, ma senza provarle nel vostro
corpo.
Può darsi, tuttavia, che osservandovi vivere quell’evento voi proviate una nuova
sensazione riguardo all’evento stesso. Questo è ciò che avviene quando Virginia
Satir fa una domanda come: “Cosa senti riguardo al fatto di essere arrabbiato?”.
Provateci. Ricordate un episodio in cui eravate arrabbiati, e quindi rivolgetevi questa
domanda: “Cosa sento riguardo al fatto di essere arrabbiato?”. Per poter rispondere a
questa domanda, dovete uscire dall’immagine, e provare una nuova sensazione
riguardo all’evento, una sensazione da osservatore, e non da partecipante. È un modo
assai efficace per trasformare la propria reazione.
La situazione ideale è quella in cui si richiamano tutti i ricordi gradevoli da associati,
in modo da poter facilmente gustare tutte le sensazioni positive ad essi collegate. Se
invece vi dissociate dai ricordi sgradevoli, avete sempre tutte le informazioni visive
che in futuro vi potranno servire per evitare o affrontare determinate cose, ma senza
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la risposta sensoriale sgradevole. Perché stare di nuovo male? Non è bastato star male
quella prima volta?
Molte persone fanno l’inverso: si associano con tutte le cose spiacevoli che sono loro
successe, e immediatamente ne rivivono la sgradevole sensazione, mentre le
esperienze piacevoli sono solo delle immagini vaghe, lontane, dissociate. E,
naturalmente, ci sono altre due possibilità. Alcune persone tendono a dissociarsi
sempre. È il tipo dell’ingegnere o dello scienziato, spesso descritto come ‘obiettivo’,
‘distaccato’, ‘distante’. Si può allora insegnargli ad associarsi ogni volta che vuole
farlo, in modo da riacquistare un certo collegamento sensoriale con la propria
esperienza. Probabilmente ciascuno di voi potrà immaginare situazioni in cui ciò
sarebbe per lui un notevole vantaggio. Far l’amore è una delle cose che possono
diventare molto più divertenti se vi trovate nel vostro corpo a provare tutte quelle
sensazioni, anziché osservarvi dall’esterno.
Altri invece tendono ad associarsi sempre: immediatamente rivivono tutte le
sensazioni delle loro esperienze passate, belle o brutte che fossero. È il tipo di
persona che viene spesso definito ‘teatrale’, ‘sensibile’ o ‘impulsivo’. Molti dei suoi
problemi possono essere risolti insegnandole a dissociarsi al momento opportuno. La
dissociazione, per esempio, può essere usata per controllare il dolore. Se vi osservate
sentire dolore, non siete più nel vostro corpo a provarlo.
Potete farvi un vero favore dedicando un pochino di tempo a ripercorrere da
dissociati un certo numero delle vostre esperienze spiacevoli. Scoprite di quanto
dovete allontanare l’immagine in modo da poterla ancora vedere abbastanza
chiaramente da ricavarne un insegnamento, mentre voi osservate da una distanza che
vi permetta di sentirvi a vostro agio. Quindi ripercorrete una serie di esperienze
piacevoli, lasciandovi il tempo di associarvi con ciascuna di esse, e di godervele
pienamente. In questo modo state insegnando al vostro cervello ad associarsi con i
ricordi piacevoli, e a dissociarsi da quelli sgradevoli. Ben presto il vostro cervello
afferrerà l’idea, e farà la stessa cosa automaticamente con tutti gli altri ricordi.
Insegnare a qualcuno come e quando associarsi e dissociarsi è uno dei modi più
profondi e completi di trasformare la qualità dell’esperienza individuale, e il
comportamento che ne deriva. La dissociazione è particolarmente utile per ricordi
intensamente sgradevoli.
Qualcuno di voi soffre di una fobia? A me le fobie piacciono moltissimo, ma sono
così facili da risolvere che a questo punto è difficile trovarne. Vedete? I soli qui
dentro ad avere una fobia sono quelli che hanno la fobia di alzare la mano in mezzo a
un pubblico.
Joan: Io ne ho una.
La tua è una fobia di quelle coi fiocchi?
Joan: Beh, è abbastanza brutta. (Comincia a tremare e a respirare affannosamente).
Lo vedo.
Joan: Vuoi sapere di che si tratta?
No. Sono un matematico. Lavoro soltanto sul processo. Non potrei comunque
conoscere la tua esperienza interna, e allora perché parlarne? Per cambiare la propria
esperienza interna non c’è bisogno di parlarne. Anzi, se ne parli, può darsi che il tuo
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terapeuta finisca col diventare un tuo compagno di sventura, ancorché professionista.
Tu lo sai qual è la tua fobia. È qualcosa che vedi, o senti, o provi?
Joan: È qualcosa che vedo.
Benissimo. Adesso ti chiederò di fare alcune cose che tu nella tua mente puoi fare
con estrema rapidità, e la tua fobia non ti disturberà più, mai più. Ti darò le istruzioni
un po’ alla volta, e tu devi entrarti dentro e fare quello che ti dico. Fai un cenno con la
testa quando sei pronta.
Prima di tutto, voglio che tu immagini di essere seduta nella platea di un cinema, e di
vedere là sullo schermo un’immagine fissa in bianco e nero in cui ti vedi in una
qualche situazione appena prima di manifestare la reazione fobica...
Adesso voglio che tu t’innalzi in volo al di fuori del tuo corpo fino alla cabina di
proiezione del cinema, in modo da poterti vedere mentre guardi tè stessa. Da quella
posizione potrai vederti seduta in platea, e allo stesso tempo vederti nell’immagine
fissa là sullo schermo...
Adesso voglio che tu trasformi l’immagine fissa sullo schermo in un film in bianco e
nero, e che tu lo guardi dall’inizio fino al momento immediatamente successivo alla
fine dell’esperienza spiacevole. Quando arrivi alla fine, voglio che tu arresti il film in
un’immagine fissa, e poi entri con un salto dentro l’immagine, per poi riproiettare il
film all’indietro. Le persone cammineranno all’indietro, e tutto quanto succederà alla
rovescia, proprio come quando si riavvolge la pellicola di un film, solo che tu sarai
dentro il film. Fallo tornare indietro a colori, e molto rapidamente, in un paio di
secondi circa...
Adesso pensa a ciò che scatenava la tua fobia. Vedi ciò che vedresti se tu fossi
veramente lì...
Joan: Non mi da noia, adesso... ma ho paura che possa non funzionare la prossima
volta che mi ci trovo davvero.
Potresti trovarne uno vero qui a portata di mano, in modo da poter fare la prova?
Joan: Sì, si tratta degli ascensori.
Ottimo. Facciamo una breve pausa. Vai a fare una prova, e dopo la pausa torna a
raccontarci com’è andata. Chi di voi si sente scettico, vada a guardarla, e le faccia
delle domande, se vuole...
Molto bene. Com’è andata, Joan?
Joan: Benissimo. Sai, in realtà non avevo mai visto veramente l’interno di un
ascensore. Stamattina non riuscivo nemmeno a entrarci, dalla paura che mi faceva,
ma adesso sono andata su e giù diverse volte.
E un resoconto tipico. Una volta, però, mi sono quasi lasciato prendere dal
nervosismo. Stavo tenendo un seminario al Peachtree Plaza di Atlanta, che ha settanta
piani e un ascensore esterno. Di conseguenza era assolutamente indispensabile che
trovassi qualcuno con la Paura degli ascensori. Guarii una signora, e la mandai fuori a
fare a Prova. Dopo una mezz’eretta, cominciai a pensare: “Santo cielo, magari quella
è arrivata in cima e ora non riesce a scendere”. Quando arrivò tutta pimpante dopo un
altro quarto d’ora, le chiesi dove fosse finita. “Oh, mi sono messa ad andare su e giù.
Mi sono divertita moltissimo”.
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Una volta venne da me un contabile con la fobia di parlare in pubblico. Erano sedici
anni che tentava di liberarsene. Una delle prime cose che mi disse fu che nel
complesso aveva già investito più di 70.000 dollari per cercare di guarire dalla sua
fobia. Gli chiesi come facesse a saperlo, e lui tirò fuori una cartellina in cui teneva
tutte le ricevute. Gli dissi: “E del tempo che lei ci ha speso, che ne dice?”. Sgranò gli
occhi. “Non ci avevo pensato!”. Il suo compenso orario era più o meno quello di uno
psichiatra, e ne seguiva che in effetti aveva investito circa 140.000 dollari cercando di
cambiare qualcosa che io cambiai in dieci minuti.
Se si può aver paura degli ascensori, e quindi imparare a reagire diversamente,
sembrerebbe possibile trasformare qualsiasi schema di comportamento, dato che il
terrore è indubbiamente un comportamento intenso. La paura è una cosa interessante.
La gente se ne allontana. Se dite a qualcuno di guardare qualcosa di cui è terrorizzato,
non riesce a guardarlo. Però, se gli dite di vedersi guardare quella stessa cosa, lui
adesso la guarda: per qualche motivo in questo modo riesce a farlo. È la stessa cosa
della differenza tra il sedersi nel primo vagone di un ottovolante, e starsene seduti su
una panchina a guardarsi seduti in un ottovolante. Questo basta perché la persona
possa modificare le proprie reazioni. Si può usare lo stesso procedimento con le
vittime di violenza carnale, con i bambini maltrattati, con i reduci di guerra:
insomma, con ogni tipo di ‘sindrome da stress post-traumatico’.
Anni fa mi ci voleva un’ora per lavorare su una fobia. Più avanti, quando imparammo
qualcosa di più sul modo in cui funzionano le fobie, annunciammo che una fobia si
poteva guarire in dieci minuti. Adesso sono arrivato a un paio di minuti. La maggior
parte delle persone ha difficoltà a credere che sia possibile guarire una fobia così in
fretta. Questo mi diverte molto, perché non sarei capace di farlo lentamente. Riesco a
guarire una fobia in due minuti, ma non saprei farlo in un mese, perché il cervello
funziona in un certo modo, e non in un altro. Il cervello impara dal rapido susseguirsi
degli schemi. Immaginate come sarebbe se vi proiettassi un fotogramma di pellicola
al giorno per cinque anni. Riuscireste a capire la trama del film? Ovviamente, no. Il
significato del film lo si può cogliere solo se tutte quelle immagini si susseguono
rapidissimamente. Provare a cambiare lentamente sarebbe come conversare dicendo
una parola al giorno.
Uomo: E l’esercizio, allora? Una volta che hai indotto un cambiamento, come nel
caso di Joan, lei poi deve esercitarsi?
No. È già cambiata, e non ha bisogno di esercitarsi, o di pensarci consciamente. Se il
lavoro di trasformazione è duro, o richiede molto esercizio, lo state affrontando nel
modo sbagliato, e dovete cambiare il vostro modo di agire. Quando trovate un
percorso privo di resistenze, ciò vuoi dire che state combinando le risorse disponibili,
e farlo una volta è più che sufficiente. Quando Joan è salita sull’ascensore durante la
pausa, non aveva nessun bisogno di cercare di non aver paura. Era già cambiata, e
quella nuova reazione sarà altrettanto permanente della sua vecchia paura.
Una delle cose simpatiche riguardo alle fobie è che chi ne soffre ha gia dimostrato di
saper imparare in fretta. Il fobico è una persona che riesce a imparare
velocissimamente qualcosa di assolutamente ridicolo. La maggior parte delle persone
tende a considerare la fobia come un problema, anziché un risultato raggiunto. Non
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gli capita mai di pensare: “Se è riuscito a imparare a fare questa cosa, allora potrebbe
imparare a fare qualsiasi cosa”.
Mi meraviglia sempre che una persona possa imparare a restare terrorizzata in modo
così coerente e affidabile. Anni fa pensavo: “Ecco il genere di cambiamento che
vorrei ottenere”. Ciò mi portò a chiedermi: “Come potrei fare a far venire una fobia a
qualcuno?”. Pensavo che se non fossi riuscito a far venire una fobia a qualcuno, non
sarei mai riuscito a elaborare un metodo efficace per farla andare via.
Se accettate l’idea che la fobia possa soltanto essere un male, questa possibilità non vi
potrebbe mai venire in mente. Si può fare in modo che le reazioni piacevoli diventino
altrettanto intense e affidabili di una fobia. Ci sono cose che ogni volta che le
vediamo ci fanno illuminare il viso di felicità: un neonato, o un bambino piccolo,
hanno questo effetto sulla stragrande maggioranza delle persone. Se non ci credete, vi
lancio una sfida: prendete l’individuo dall’aria più indurita e malvagia che riuscite a
trovare, mettetegli un bambino piccolo fra le braccia, e fatelo gironzolare per un
supermarket affollato. Seguitelo a qualche passo di distanza, e osservate le reazioni
della gente.
Vorrei avvertirvi di una cosa, però: la cura per le fobie elimina certe sensazioni, e lo
può fare anche nel caso di ricordi piacevoli. Se usate lo stesso procedimento con tutti
i vostri ricordi affettuosi riguardanti lo stare insieme a una certa persona, potete
trasformare quella persona in un’esperienza neutra come un ascensore! Nelle coppie
ciò spesso avviene in modo naturale in occasione di un divorzio. Si può allora
guardare quella stessa persona che una volta abbiamo amato appassionatamente, e
non provare nei suoi confronti il minimo sentimento. Quando si ripensa a tutte le
belle cose che si sono condivise, ci si osserva divertirsi, ma tutte le sensazioni
piacevoli saranno sparite. Se lo fate mentre siete ancora sposati, potete trovarvi in
guai seri.
Alcuni non fanno altro che dissociarsi da tutte le esperienze piacevoli che vivono
momento per momento, in modo “da non starci male dopo”. Se ci si comporta in
questo modo, non ci sarà possibile goderci la vita anche quando è bella. Sarà come
guardare sempre gli altri giocare, senza mai riuscire a entrare nel gioco. Se lo si fa
con tutte le proprie esperienze, si diventa degli esistenzialisti: il caso limite di
osservatore completamente distaccato.
Alcuni, vedendo che una certa tecnica funziona, decidono di applicaria a tutto. Ma se
un martello funziona con i chiodi, ciò non significa che bisogna sferrare martellate a
tutto quello che ci viene a tiro. Il procedimento per le fobie funziona in ogni caso di
intense reazioni emotive, positive o negative che siano, neutralizzandole; perciò, fate
attenzione a cosa lo applicate.
Volete sapere un ottimo sistema per innamorarsi? Non dover far altro che associarvi a
tutte le esperienze piacevoli che vivete con una certa persona, e dissociarvi da tutte
quelle spiacevoli. È un sistema che funziona benissimo. Se alle esperienze spiacevoli
non pensate nemmeno, potete usare questo sistema per innamorarvi di qualcuno che
fa anche tante cose che non vi piacciono. Il sistema adottato di solito consiste
nell’innamorarsi in questa maniera, e poi sposarsi. Una volta sposati, si può invertire
il procedimento, così da associarsi con le esperienze spiacevoli, e dissociarsi da
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quelle piacevoli. Adesso si reagisce soltanto alle cose spiacevoli, e ci si chiede come
mai ‘sono cambiate’. Non sono le circostanze a essere cambiate: ciò che è cambiato è
il modo di pensare.
Donna: Esistono altri modi per lavorare sulle fobie: Io ho una paura matta dei cani.
Esistono sempre altri modi di fare le cose; è solo questione di farsi delle domande:
“Li conosciamo già?”, “Sono altrettanto affidabili?”, “Quanto tempo ci si mette?”,
"Quali conseguenze potranno comportare?", e via dicendo.
Prova a far questo; torna indietro, e richiama il ricordo di qualcosa di
straordinariamente piacevole, eccitante e allegro che appartiene al tuo passato, e vedi
ciò che vedevi quando è successo. Sapresti trovare un ricordo del genere?...
(Comincia a sorridere). Bene. Dai un po’ più di luminosità... (Il sorriso si accentua).
Benissimo. Adesso tieni ferma l’immagine, e facci entrare un cane, proprio nel
mezzo, che poi diventa parte dell’immagine stessa. Mentre ciò avviene, voglio che tu
dia ancora un po’ di luminosità all’immagine...
Adesso immagina di essere nella stessa stanza con un cane, per vedere se ti fa ancora
paura…
Donna: Adesso, se ci penso, non mi da nessuna noia.
Questo procedimento è una variante di un altro metodo che vi insegnerò più avanti.
Per fobie molto forti non è affidabile quanto la dissociazione, ma di solito funziona.
Ho lavorato moltissimo sulle fobie, così che le fobie adesso mi annoiano, e di solito
ci lavoro usando il metodo più rapido e affidabile che conosco. Adesso che lo
conoscete, potete usarlo anche voi. Ma se volete veramente capire come funziona il
cervello, la prossima volta che vi capita un paziente fobico, stateci sopra un po’ di
più. Fategli un sacco di domande, in modo da scoprire in che modo funziona quella
specifica fobia. Qualche volta, per esempio, il fobico prende l’immagine del cane, o
di quel che è, e la rende molto grande, o molto luminosa o colorita, oppure fa girare il
film molto lentamente, o più volte di seguito. Poi potete provare a cambiare questo o
quell’elemento, in modo da capire come potete trasformare l’esperienza di quella
particolare persona. Quando cominciate a stufarvi, potete sempre tirare fuori dal
taschino la cura rapida, e sbarazzarvi del paziente in cinque minuti. Se fate questo
tipo di sperimentazioni, comincerete a imparare come si fa a produrre PNL, e non
avrete più bisogno di pagare per venire a seminari come questo.
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Sbagliarsi
Una volta ho chiesto a un amico: “Qual è il più grande fallimento della tua vita?”.
“Tra un paio di settimane devo fare una certa cosa”, mi disse, “ma non funzionerà”.
Lo sapete? Aveva ragione. Fu il più grande fallimento della sua vita: non perché la
cosa non funzionò, ma perché sprecò tutto quel tempo a starci male in anticipo. Molti
usano la propria immaginazione solo per scoprire tutto quel che può farli star male, in
modo da poterci star male adesso. Perché aspettare?
Perché aspettare che il vostro coniuge abbia una relazione con un’altra persona?
Immaginatevelo adesso, mentre se la spassa con qualcuno altro. Sentitevi come vi
sentireste assistendo alla scena. Potete benissimo ingelosirvi a morte con questo
semplice espediente. Quanti di voi lo fanno già?
Poi, se quando lui arriva a casa vi sentite ancora uno schifo, potete urlare e strillare e
cacciarlo fuori, in modo che possa succedere davvero. Ogni tanto viene da me
qualcuno, e mi racconta che fa proprio questo. Io ascolto e poi chiedo: “Perché non ti
crei delle immagini belle?”. “Che vuoi dire?”. “Trasforma l’immagine finché non
riesci a vedere te stessa insieme a lui, invece dell’altra. Poi entra nell’immagine, e
goditi tutte quelle sensazioni piacevoli. Poi, quando lui torna
a casa, fai in modo che lo faccia con tè”. Non vi sembra meglio così?
Spesso si parla di ricordi ‘belli’ o ‘brutti’. Questa però non è altro che una
dichiarazione del fatto che essi ci piacciano o meno. Per lo più si vorrebbero avere
solo ricordi piacevoli, e si pensa che si sarebbe molto più felici se tutti i ricordi brutti
sparissero. Ma immaginate che sarebbe la vostra vita se non aveste mai vissuto
un’esperienza spiacevole! Che succederebbe se si crescesse in una situazione in cui
tutto andasse sempre a meraviglia? Se ne verrebbe fuori dei pappamolla, totalmente
incapaci di affrontare la vita. In questo paese ne abbiamo diversi esempi.
Una volta mi capitò un paziente di ventiquattro anni, che andava avanti a valium
dall’età di dodici anni. Usciva di casa solo per andare dal dentista, dal medico o dallo
psichiatra. Era passato per le mani di cinque psichiatri, ma per quello che ci potevo
capire io, la cosa principale che in lui non andava era che non usciva di casa da dodici
anni. Adesso però i suoi genitori pensavano che fosse l’ora che uscisse da solo. Suo
padre, titolare di una grossa impresa di costruzioni, venne da me a lamentarsi: “Quel
ragazzo, è l’ora che cominci a uscire da solo”. “Imbecille che non sei altro”, pensai,
“sei in ritardo di dodici anni. E adesso che farai, affiderai la tua ditta a lui, per farti
mantenere?”. Nelle mani del figlio, la ditta non sarebbe durata due giorni.
Avendo tirato avanti per dodici anni a valium, quel ragazzo non aveva avuto grandi
esperienze... finché non lo mandarono da me! Lo feci andare in posti di ogni genere e
fare un sacco di cose strane: o faceva così, o gliene avrei suonate di santa ragione. La
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prima volta che esitò, dicendo che non sarebbe riuscito a fare una certa cosa, gli tirai
un ceffone con tutta la forza che avevo; per lui, significò cominciare a capire cosa
fosse avere delle esperienze. Era semplicemente il sistema che faceva al caso suo;
nella maggior parte dei casi, non consiglierei di adottarlo. Ma ci sono volte in cui un
bei ceffone rappresenta l’inizio della costruzione di una strategia di motivazione.
Alcuni di voi possono ricordarne l’efficacia tornando con la memoria agli anni
dell’infanzia. Io non feci altro che metterlo in una serie di situazioni in cui era
costretto a imparare ad affrontare le difficoltà, e a trattare con altri esseri umani. Ciò
gli fornì una base esperienziale per imparare a vivere nel mondo reale senza
l’imbottitura rappresentata dalla casa, dalle medicine e dallo psichiatra. Le esperienze
che gli fornii erano un po’ più utili e significative di quanto non lo sarebbe stato
parlare allo psichiatra della propria infanzia.
Si dice: “Non riesco a farlo”, senza rendersi conto del significato di queste parole. In
realtà, quando uno dice: “Non riesco a farlo”, è come se dicesse: “Riesco a non
farlo”, che è sempre vero(1). Se ci fate un attimo caso e ascoltate ciò che l’altro dice,
cominciate a udire cose che vi spiegano quel che dovete fare.
Una volta ho lavorato con una signora che voleva aprire una clinica contro la
timidezza, per persone che volevano imparare a corteggiare il sesso opposto. Questa
signora mi portò un sacco di persone timide. Avevo sempre pensato che il timido
fosse tale perché pensava alle cose spiacevoli che gli potevano succedere, per
esempio essere respinto o pendersi ridicolo. Sicché cominciai a rivolgere a queste
persone le solite domande: “Come fai a sapere quando devi essere timido? Non è che
tu sia sempre timido”. Come tutte le cose che la gente fa, anche la timidezza ha
bisogno di un certo procedimento. Non è cosi semplice essere timidi. Un tizio mi
disse: “So che è il momento di essere timido quando so che sto per conoscere delle
persone nuove”. “Beh, e cos’è a renderti timido?”. “Non penso che gli piacerò”.
Questa affermazione è molto diversa da: “Penso che non gli piacerò”. Letteralmente,
mi stava dicendo: “Non” - ossia mi impegno nell’atto della negazione – “penso che
gli piacerò”. Pensa a tutto, fuorché alla possibilità di piacere alla persona in
questione. Nella stanza accanto c’erano delle persone, e allora gli dissi: “Voglio che
tu pensi che gli piacerai”. “Va bene”. “Ti senti timido all’idea di conoscere queste
persone?”. “No”. Sembra un po’ troppo facile, ma fondamentalmente ciò che
funziona si rivela sempre facile.
Purtroppo in psicoterapia non c’è un grande incentivo a trovare ciò che funziona
presto e bene. Nella maggior parte delle professioni, la gente viene pagata se riesce a
ottenere determinate cose. Ma in psicoterapia si viene pagati a ore, che si riesca a
ottenere qualcosa oppure no. Se lo psicoterapeuta è un incompetente, viene pagato di
più di chi riesce a ottenere rapidamente un cambiamento. Molti terapeuti seguono
addirittura una regola per evitare di svolgere il loro lavoro efficacemente. Pensano
che influenzare direttamente qualcuno rappresenti una manipolazione, e che la
manipolazione sia un male.
Il testo originale è qui intraducibile, in quanto si basa su una peculiarità grammaticale dell’inglese: I
can’t do it (“Non riesco a farlo”) può essere sciolto nella forma non contratta I can not do it, che di
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nuovo può essere “Non riesco a farlo” ma, anche, legando il not al verbo seguente e non
all’ausiliare can, “Riesco a non farlo”. (N.d.T.)
È come se dicessero: “Tu mi paghi perché io ti influenzi. Ma io non lo farò, perché è
una cosa che non sta bene”. Quando avevo dei pazienti, mi facevo sempre pagare in
base al cambiamento, e non in base al tempo. Venivo pagato solo quando ottenevo
dei risultati. La cosa mi pareva più stimolante.
Le ragioni addotte dai terapeuti per giustificare i propri fallimenti sono assolutamente
straordinarie. Talvolta dicono: “Non era pronto a cambiare”. È una scusa che non
regge assolutamente. Se ‘non è pronto’, come è possibile giustificare il fatto di
vederlo una settimana dopo l’altra, e di addebitargli una parcella? Ditegli di
tornarsene a casa, e di farsi rivedere quando è ‘pronto’! Ho sempre pensato che se
qualcuno ‘non era pronto a cambiare’, il mio compito consistesse proprio nel
renderlo pronto.
Che succederebbe se portaste la macchina dal meccanico, e quello ci lavorasse sopra
per un paio di settimane, ma la macchina continuasse a non funzionare? Se vi dicesse:
“La macchina non era pronta a cambiare”, non la berreste, non è vero? Ma i terapeuti
riescono a cavarsela giorno dopo giorno.
L’altra scusa tipica è che il paziente “ha delle resistenze”. Immaginate che il
meccanico vi dica che la macchina “aveva delle resistenze” “Vede, il fatto è che la
sua macchina non era abbastanza matura per accettare quel lavoro alle valvole. Torni
la settimana prossima, e vedremo cosa si può fare”. Voi non esitereste un attimo a
respingere una scusa del genere. Ovviamente, il meccanico non sa cosa sta facendo, o
i cambiamenti che sta cercando di effettuare non sono in rapporto col problema,
oppure sta usando gli attrezzi sbagliati. Lo stesso vale per il cambiamento terapeutico
o educativo. Il terapeuta o l’insegnante capaci di lavorare riescono a rendere l’altro
‘pronto a cambiare’, e quando fanno la mossa giusta non incontreranno alcuna
resistenza.
Purtroppo, gli esseri umani hanno per lo più una tendenza perversa. Se fanno
qualcosa, e quel qualcosa non funziona, di solito continuano a farlo più intensamente,
più ostinatamente, più a lungo o più spesso. Quando un bambino non capisce, il
genitore di solito urlerà la stessa identica frase, invece di cercarne una formulazione
diversa. E quando la punizione non serve a cambiare il comportamento di qualcuno,
ciò che di solito se ne deduce è che non era sufficientemente severa, per cui è
necessario insistere.
Ho sempre pensato che quando qualcosa non funziona, ciò potrebbe rappresentare
un’indicazione del fatto che è giunto il momento di fare qualcos’altro! Se sapete che
una certa cosa non funziona, ne segue che qualsiasi altra cosa ha maggiori
probabilità di riuscita che insistere con la stessa cosa.
Anche i non professionisti hanno delle scuse interessanti. Ne ho un’intera collezione.
Spesso si sente dire: “Ho perso il controllo di me stesso”, oppure: “Non so cosa mi
abbia preso”. Probabilmente una nube violetta, o una vecchia coperta, immagino.
Negli anni Sessanta la gente andava ai gruppi d’incontro e imparava a dire: “Non ci
posso fare niente; io mi sento così”. Se qualcuno dicesse: “Ho soltanto sentito che
dovevo buttare una bomba a mano nella stanza”, noi non l’accetteremmo. Ma se
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qualcuno dice: “Non riesco ad accettare quello che stai dicendo; devo urlare e farti
star male; mi sento così, e basta”, gli altri lo accettano.
La parola ‘soltanto’ è una parola affascinante; è uno dei modi per comportarci
ingiustamente(2) nei confronti degli altri. ‘Soltanto’ è un comodo espediente a nostra
disposizione per invalidare tutto all’infuori di ciò che diciamo noi. Se qualcuno sta
male e voi gli dite qualcosa di gentile, spesso vi dirà: “Stai soltanto cercando di
tirarmi su”, come se tirar su qualcuno fosse una brutta cosa! Può ben darsi che voi
stiate tentando di tirarlo su, ma quel ‘soltanto’ fa sì che ciò diventi l’unica cosa vera.
La parola ‘soltanto’ fa sì che si prescinda da ogni altro aspetto della situazione.
Di questi tempi la scusa più comune è: “Non ero me stesso”. È una scusa che
garantisce sempre e comunque una via d’uscita. È come nei casi di personalità
multipla, o come quando si invoca l’infermità mentale: “Non ero me stesso... dovevo
essere quell’altro!”.
Tutte queste scuse sono dei modi per giustificare e perpetuare l’infelicità, invece di
tentare qualcos’altro che possa rendere la vita più piacevole e interessante, per noi e
per gli altri.
Adesso penso che sia giunto il momento di una dimostrazione pratica. Qualcuno mi
faccia un esempio di esperienza che si prospetterebbe come veramente sgradevole.
Jo: Io vengo sempre presa dall’ansia quando devo affrontare qualcuno. Quando
qualcuno mi offende in qualche modo, e voglio che mi tratti diversamente, lo affronto
direttamente.
E te la prospetteresti come un’esperienza negativa?
Jo: Sì. Ma non lo è. Di solito si rivela molto più positiva. All’inizio magari posso
sentirmi a disagio, ma entrandoci dentro mi sento più a mio agio.
E questo la rende un’esperienza utile?
Jo: È il momento in cui effettivamente affronto l’altro a permettermi di imparare
qualcosa di utile. Ogni volta che lo faccio, mi sento più sicura all’idea di affrontare
qualcun altro la volta successiva. Non mi da l’impressione di dover affrontare
qualcuno, ma piuttosto che ci devo semplicemente parlare.
Beh, ripensaci adesso. Se tu dovessi affrontare qualcuno, te la immagineresti come
un’esperienza sgradevole?
Jo: Un pochino. Non tanto come prima.
Ti sto chiedendo di farlo adesso.
Jo: Uhuh, un pochino.
Per farlo bene, devi fermarti e darti un po’ di tempo. Pensa a qualcuno che ti sarebbe
molto difficile affrontare riguardo a qualcosa. Pensaci, e cerca di capire in che modo
ti prospetteresti l’incontro come spiacevole, e in che modo potresti riuscire ad
affrontarlo.
Jo: Tu, saresti difficile da affrontare.
Io sarei letale. Che cosa potrebbe spingerti a dover affrontare qualcuno?
Jo: Se sentissi che la mia integrità è stata danneggiata...
“Integrità danneggiata”. Io la mia l’ho fatta riparare.
Jo: O se in qualche modo venissi insultata. Qualche volta quando si insultano le mie
idee...
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(2) Just, parola dalle molteplici sfumature e qui sopra tradotta, in mancanza di meglio, con
‘semplicemente’ o ‘soltanto’, significa anche ‘giusto’. (N.d.T.)
Perché ti trovi a dover affrontare gli altri?
Jo: Non lo so.
Che succede se lo fai? Che vantaggi ti porta? Riesci a ricostituire la tua integrità?
Jo; Mi da la sensazione di riuscire a prender posizione, a proteggermi, a difendermi.
Da...? Quello che ti chiedo è: “Qual è la funzione del tuo comportamento?”. Se
affronti certe persone, quelle persone sono capaci di ammazzarti, anche per un
tramezzino. Questo l’ho imparato nell’ambiente in cui sono cresciuto. Molta gente
non cresce in posti del genere e se è fortunata, non ne farà mai esperienza diretta.
Qual è il significato del tuo bisogno di affrontare gli altri? Quale funzione può avere,
oltre a darti certe sensazioni che sono diverse da quelle che provi se qualcuno
‘danneggia la tua integrità’ maltrattando le tue idee? Senti sempre la necessità di
affrontare gli altri?... Lo fai con tutti?
Jo: No.
Come fai a sapere chi devi andare ad affrontare, in modo da poter stare meglio?
Jo: Persone di cui più o meno mi fido, che so che non mi faranno del male.
Mi sembra una buona scelta. Ma tu queste persone le affronti solo quando ti fanno del
male, o fanno del male alle tue idee.
Jo: È l’unica circostanza in cui le affronto. Ci sono tantissime altre occasioni in cui
discuto con loro, ma questa è l’unica volta che le affronto direttamente.
Cos’è a rendere così importante il fatto di affrontarle?... Te lo chiedo in un altro
modo: se fanno del male alle tue idee, questo significa che le fraintendono, o che non
sono d’accordo?
Jo: Beh, no. Se fraintendono o non sono d’accordo, va benissimo. È quando qualcuno
dice: “Stupidaggini”, o cose del genere. Dipende dalla situazione e dalla persona.
Beh, sì, effettivamente dipende dalla situazione, e questo è importantissimo. E non
sto nemmeno dicendo che affrontare gli altri non abbia il suo valore. Ti sto solo
chiedendo: “Come fai a sapere quando devi farlo?”, e: “Come funziona questo
processo?”. Arriveresti al punto di ammazzare qualcuno perché ha danneggiato la tua
integrità?
Jo: No.
Tanti lo farebbero. Magari sarebbe meglio se insegnassimo loro a farlo come lo fai tu.
Ma per adesso non so nemmeno cosa significhi Per te ‘affrontare’ qualcuno. Non so
se ti metti a urlare, o se gli ficchi un dito su per il naso, o se gli mozzi l’orecchio
sinistro, o se l’investi con un camion. Parto dal presupposto che tu l’affronti
verbalmente.
Jo: È così.
Non so ancora se il volume della voce è alto o basso, come non conosco nessun altro
dettaglio. Qual è la differenza tra ‘discutere’ e ‘affrontare’? Quanti, di voi che siete
qui, pensavano di saperlo?... o non ci avevano pensato?... o pensano che noi due
stiamo semplicemente chiacchierando?
Jo: Per me affrontare qualcuno è qualcosa di particolarmente pressante. Voglio
assolutamente che sappia ciò che sento riguardo a una certa cosa. Voglio
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assolutamente che sappia come ho fatto a sentire che le mie parole venivano accolte o
respinte.
Va bene. Cos’è a renderlo pressante? Cosa succederebbe se tu non riuscissi a farti
capire?... Lascia che ti faccia un’altra domanda. Cosa succede: l’altro capisce l’idea, e
la commenta in modo sgradevole oppure la fraintende e dice cose sgradevoli perché
l’ha fraintesa?...
Jo: Apprezzo quel che stai facendo. Penso che tu mi abbia appena dato una
prospettiva differente. Non è così?
Non lo so. Dammi un indizio.
Jo: Penso che tu l’abbia fatto. Beh... hmmm... adesso mi sembra diverso, e basta. Non
ho più la sensazione di essere respinta; è più come se l’altro cercasse di dirmi
qualcosa di diverso...
Non saprei. Per adesso non ho nemmeno capito su cosa si sta lavorando. Non puoi già
essere cambiata, è troppo presto. Come è possibile che qualcosa cambi così in fretta,
solo grazie a qualche parola, quando non ho nemmeno capito di che si tratta?... Ha
importanza?
Jo: No, ma è cambiato. È cambiato.
Non ha assolutamente nessuna importanza.
Jo: Non m’importa che cosa tu mi abbia detto, o come tu me l’abbia detto, o se tu
sapessi di cosa stavo parlando. Qualcosa che tu hai detto l’ha fatto cambiare, tutto lì.
In qualche modo non ho più la sensazione di dover affrontare la gente.
Mamma mia, ci aspetta una bella sorpresa.
Jo: Beh, voglio dire, non dover più affrontare gli altri riguardo al genere di cose a cui
mi stavo riferendo.
Oh, dunque ci sono altre cose che ti spingono ad affrontare gli altri. Beh, potresti
semplicemente andare a caso! È quello che faccio anch’io. In questo modo non devi
più preoccuparti del fatto che funzioni oppure no.
Jo: Beh, se al ristorante il conto fosse troppo salato, o se il servizio fosse carente o
cose del genere, affronterei il responsabile.
Allora è un modo per continuare a ricevere un servizio soddisfacente al ristorante?
Jo: È un buon modo per continuare a ricevere un servizio soddisfacente in molti posti.
Permettimi di farti un’altra domanda. Non è che ce l’abbia con te. Sei soltanto un
buon punto focale per giungere a toccare l’inconscio di altri. Ti è mai capitato di
pensare a fare in modo che il cameriere di un ristorante si sentisse così ben disposto
nei tuoi confronti, prima di servirti, da non lasciargli altra alternativa che offrirti un
servizio soddisfacente...?
Jo: Non capisco... A un certo punto ho perso il filo.
Mi meraviglia sempre che la gente vada al ristorante per essere servita da un altro
essere umano, e non lo tratti come tale. Siccome anch’io ho fatto il cameriere, posso
dirvi che la maggior parte delle persone che vanno al ristorante trattano il cameriere
in modo molto strano. C’è chi già dal momento in cui entra ti fa star bene, e ciò ti
costringe a trascorrere più tempo vicino a lui, a prescindere dal fatto che la mancia sia
più o meno generosa. C’è qualcosa nel fatto di stare vicini a qualcuno che si
comporta gentilmente nei tuoi confronti che te lo fa preferire allo stare vicino a
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qualcuno che non si comporta gentilmente, o che addirittura non prende nemmeno
atto della tua esistenza.
Nessuno di voi, stando con un bambino, ha mai fatto finta che lui non esistesse? La
maggior parte dei bambini da i numeri. Ciascuno di voi si metta nei panni del
cameriere, con una sala piena di gente che nei tuoi confronti si comporta nello stesso
modo. Poi qualcuno ti tratta come se tu non fossi una macchina, ma un essere umano,
e ti fa star bene. A chi stareste più dietro? Uno dei modi per ottenere un buon servizio
al ristorante consiste nel trattar bene il cameriere fin dall’inizio, in modo da far sì che
lui voglia trattarvi bene.
L’alternativa consiste nel tampinarlo, facendolo stare così male da costringerlo a
darvi quel che volevate, e che vi aspettavate di avere senza dover durare tutta la fatica
necessaria a essere prepotenti. Se uno fa così, non solo deve pagare il conto, ma deve
anche aggiungerci il costo di un’esperienza negativa. La maggior parte delle persone
non riflette mai su questo fatto. Perché mai si dovrebbe andare al ristorante per essere
gentili col cameriere? Il buon servizio dovrebbe essere fornito automaticamente.
Molti pensano anche al matrimonio negli stessi termini. “Avrebbe dovuto capirlo”.
“Non dovrei aver bisogno di dirglielo; dovrebbe farlo automaticamente”. E se l’altro
non lo fa, questo significa che è arrivato il momento di arrabbiarsi, di incaponirsi, e di
costringere l’altro a fare quello che vogliamo. E anche se si vince, cosa mai si vince?
Una maggiore stima per se stessi?
Uomo: Per il coniuge, l’opportunità di pareggiare i conti.
Mi è capitato spesso che qualcuno si comportasse così nei miei confronti. Allora ho
deciso di prendere la cosa di petto, e di cominciare deliberatamente a pareggiare i
conti in anticipo! Quanti sono quelli che devono ‘pareggiare i conti’ quando vi
comportate gentilmente nei loro ronfronti? Non vi sto chiedendo se siete buoni o
cattivi: questo è un compito che spetta a Babbo Natale. La domanda che vi faccio è
questa: “Avete mai pensato a comportarvi gentilmente in anticipo?”.
Donna: Sì, la mia strategia al ristorante consiste nel chiedere alla cameriera di
consigliarmi quello che secondo lei c’è di meglio sul menu, e allora lei mi propone
una certa scelta. Io guardo sulla lista e le chiedo di vedere se può farci trattar bene, e
che la bistecca non sia troppo piccola. Le chiedo anche come si chiama, e la chiamo
per nome.
Allora, sì, hai considerato la possibilità di essere gentile, e hai perfino provato a farlo.
Come tutto ciò che c’è al mondo, non è che funzioni sempre. Ma quanti di voi non
hanno mai nemmeno considerato questa possibilità quando le cose non andavano
bene, o prima che le cose cominciassero a non andar bene? Perché mai un cameriere
dovrebbe farsi ogni sera la strada da casa sua al ristorante per offrire alla gente un
servizio insoddisfacente, quando la sua maggiore entrata sono le mance? Non ti è mai
capitato di fermarti a riflettere su questo fatto, Jo?
Jo: Sì, mi è capitato.
E nonostante questo ti sei sentita costretta a prendertela con la persona che ti serviva?
Jo: Beh, mi è capitato di pensarci, ma non sono mai riuscita a essere gentile come mi
sarebbe sembrato opportuno. Se ero veramente disgustata, non sono riuscita a
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comportarmi in modo molto accomodante. Non riuscivo a cambiare il mio modo di
comportarmi.
“Avrebbe dovuto cominciare lei”, vero? In questo modo non ti sarebbe toccato essere
disgustata, e ti sei trovata in difficoltà a cambiare i termini della situazione.
Jo: Be’, questo è quel che mi sembrava allora. Adesso mi sembra molto diverso.
Adesso torniamo al punto da dove siamo partiti. Quando ho cominciato a parlare con
Jo, prima, ciò che lei voleva era una maggiore competenza nell’essere sgradevole. Se
avete veramente udito quel che diceva, Jo stava dicendo: “Voglio essere capace di
prendere posizione, di brontolare e lamentarmi più a fondo”. Nessuno dei presenti
gliel’ha sentito dire, quando lei ha preso la parola. Se l’avessero sentito, avrebbero
cercato di insegnarle a essere più cattiva. Pensate a cosa ne avrebbe ricavato uno di
quelli che tengono corsi di autoaffermazione! Io ho un’altra denominazione per
l’addestramento dell’autoaffermazione. Lo chiamo ‘preparazione alla solitudine’.
Io invece faccio delle domande intese a farmi capire come posso fare mie le
limitazioni dell’altro. Se riesco a capire come funziona la cosa, posso trasformarla
come voglio, e poi continuerà a funzionare, ma in modo diverso. Non si può
esprimere un giudizio valido riguardo a un determinato processo senza sapere di cosa
si tratta, e non si può veramente capire di cosa si tratta finché non lo si prova di
persona.
Allora ho pensato: “Bene, Jo non riesce a brontolare e a lamentarsi quanto vorrebbe.
In che circostanze non riesce a farlo, in modo che anch’io possa imparare a non
riuscirci nelle stesse circostanze?”. Allora ho cominciato a farle delle domande:
“Quand’è che lo fai?”, “A che ti serve?”, “Con chi lo fai?”. Le mie domande vanno a
ritroso nel tempo. Partendo dal problema, sono andato a ritroso ripercorrendo lo
stesso processo da lei seguito. Al momento in cui sono andato sufficientemente a
ritroso, lei si è ritrovata nello stesso posto prima di brontolare e lamentarsi, e prima
ancora di poter provare l’inclinazione a farlo. Quello era il posto da cui lei poteva
ripartire per aggirare il problema. Basta un altro passo, e il ‘problema’ ricompare.
Ma se il passo lo fa lateralmente, Jo può andare da qualche altra parte che la soddisfa
di più.
Jo va al ristorante, si siede, viene servita male, sta malissimo, affronta di petto la
cameriera, quindi viene servita in modo soddisfacente, e continua a star male. Le ho
chiesto: “Non ti è mai capitato, quando vai al ristorante, una volta che hai capito qual
è il tuo cameriere, di farlo star bene?”. Lei mi ha detto: “Una volta che ho cominciato
a star male, non riesco più a farlo”, e probabilmente ha ragione. Perfetto, e perché
non farlo subito ogni volta che vai al ristorante, in modo da non correre mai il rischio
di star male? Questa domanda sposta la sua attenzione su un momento anteriore, in
cui è facile fare qualcosa di diverso, e allo stesso tempo le da qualcosa di
estremamente specifico da fare in modo diverso.
Ecco qualcosa che tutti voi avete sicuramente fatto. Torni a casa sentendoti
meravigliosamente bene. Aperta la porta di casa, vedi che il soggiorno è nel caos, o
che qualcuno si è dimenticato di portar fuori la spazzatura, o ti accorgi che una
qualsiasi altra cosa assolutamente fondamentale per la tua felicità non è come
dovrebbe essere. Dentro di te nasce la rabbia, o la frustrazione; reprimi questo
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sentimento e cerchi di non sentirti arrabbiato e frustrato, ma non funziona. Allora vai
in terapia e dici: “Non voglio urlare con mia moglie”. “Perché vorresti urlare con tua
moglie?”. “Perché vengo preso dalla rabbia e dalla frustrazione”. Nella maggior parte
dei casi il medico dirà: “Lasciati andare; esprimiti; se con tua moglie ti va di urlare,
urla”. E alla moglie dirà: “Che c'è di male se con tè urla e grida? Non riesci a
lasciarlo essere se stesso?”. Tu fai il tuo, e lui farà il suo... separatamente. Questa è
pura follia.
Ciò a cui molti medici non pensano è che quando lui entra in casa e vede quel casino,
prima riesce a entrare in quello stato di rabbia e frustrazione, e poi cerca di impedirsi
di essere arrabbiato e frustrato. L’altra cosa che trascurano è ciò che inizialmente lui
cerca di fare impedendosi di urlare: sta semplicemente cercando di rendere più
gradevole la propria vita familiare. Beh, perché non mirare direttamente a questo
risultato? Perché non fare in modo che la porta d’ingresso susciti in lui pensieri così
piacevoli su ciò che può fare con sua moglie, da far sì che lui attraversi il soggiorno
troppo in fretta per interessarsi a qualsiasi altra cosa?
Ogni volta che dico: “Perché non fare qualcosa prima di stare così male?”, il paziente
sembra sempre sbalordito. Non gli è mai passato per la mente di ritornare indietro sui
suoi passi. Regolarmente, pensa che l’unico modo in cui può essere felice consiste nel
fare ciò che vuole nell’esatto momento in cui lo vuole. È proprio l’unico sistema?
Dev’essere così. L’universo non torna indietro. Il tempo non torna indietro. La luce
non torna indietro. Ma la mente può tornare indietro.
Normalmente, o il paziente non capisce per nulla quel che ho voluto dire, o dice:
“Non ci riuscirei mai!”. Gli sembra troppo facile. Allora ho scoperto che dovevo
farglielo fare io. La persona non riesce a ritornare sui suoi passi, perché non riesce a
smettere di andare dove sta andando. Così ho imparato a rivolgerle delle domande
che la costringano a tornare sui suoi passi. Spesso lotta con le unghie e con i denti.
Cerca di rispondere a una domanda, mentre io insisto che deve rispondere a un’altra,
in modo da farle fare un altro passo indietro.
Quando con un paziente sono arrivato dove dovevo arrivare, faccio una domanda che
va lateralmente e in avanti, e il paziente fa un passo avanti, ma nella nuova direzione.
A quel punto non può più smettere di andare nella nuova direzione. È incastrato,
esattamente come lo era prima, ma non gliene importa, perché essere incastrato in
questo modo gli piace. Funziona esattamente come una molla: la si comprime, e
quando si tira la leva e la si lascia andare, schizza di nuovo in avanti.
Non appena qualcuno scopre uno di questi posti, dice: “Oh, sono cambiato. Andiamo
avanti”. Così, con noncuranza. “Come fai a sapere che sei cambiato?”. “Non lo so.
Non importa. Adesso è diverso”. Ma Jo si sta sempre scagliando in avanti nella nuova
direzione. L’ho messa alla prova ripetutamente. E lei non può più tornare nel vecchio
posto, perché ormai è troppo tardi.
Questo lo faccio partendo dal semplice presupposto che ciò che adesso la ostacola sia
qualcosa che vale la pena di possedere, e tutto quel che devo fare è scoprire in che
circostanze va usato. Così, prendo il comportamento che mette Jo a disagio, cioè
affrontare gli altri, e lo riporto a un momento precedente, quando lei nemmeno pensa
ad affrontare qualcun altro. Le stesse forze che prima la costringevano ad affrontare
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gli altri e a sentirsi a disagio perché lo faceva, ora la costringeranno a comportarsi
diversamente.
Quello che abbiamo esplorato qui insieme a Jo è uno schema di comportamento
molto frequente nei rapporti matrimoniali. Tu vuoi qualcosa da lui ma lui non te lo
dà. E allora tu ci stai male. Allora gli dici quanto ci stai male, nella speranza che lui
sia sufficientemente attaccato a te da darti ciò che vuoi.
Ci sono volte in cui neanche da altri si ottiene ciò che si vuole. Ma quando non si
ottiene ciò che si vuole, starci male è un di più! Ci avete mai pensato? Prima non
ottieni ciò che vuoi, e poi devi starci male un sacco di tempo perché non l’hai
ottenuto. E poi, quando cerchi nuovamente di ottenerlo, devi starci male di nuovo. Se
stai bene, allora puoi semplicemente tornare da quella persona, e dire: “Ehi, tu.
Vorresti farmi questo favore?”. Se lo dite con un tono di voce allegro, è molto più
probabile che ottoniate ciò che volete, e senza successive ripercussioni.
Il più grosso errore che si possa fare consiste nel credere che l’unico modo in cui si
può star bene in certe situazioni è che qualcun altro si comporti in un certo modo.
“Per farmi star bene devi comportarti come voglio io, oppure starò male e ti
affliggerò e farò star male anche te”. Quando l’altro non è lì a comportarsi in quel
modo, poi non c’è nessuno che possa farti star bene. Così stai male. Quando torna, gli
dici: “Non c’eri, quindi non potevi comportarti in modo da farmi star bene, e allora
voglio che adesso tu stia male. Voglio che tu sia sempre qui. Basta con il bowling;
non andare a pescare nel fine settimana; non andare all’università; non andare ai
seminari; devi restare sempre qui. Io posso andare via, perché quando lo faccio sto
bene, ma quando torno a casa devi essere qui per farmi star bene. Se mi ami, farai
quello che voglio, perché quando non lo fai sto male, perché ti amo”. Bizzarro, eh?
Ma è così che funziona. E, in un certo senso, è vero. Te ne stai lì seduto, e stai male.
“Se quella persona fosse qui a fare la stessa cosa, starei bene. Che c’è che non va in
lui?”. Ovviamente, se fosse presente ma non fosse disposto a fare come vogliamo,
sarebbe ancora peggio! Succede di rado che uno si fermi a riflettere: “Ehi, cosa
potrebbe essere importante per lui?”. Ancora più difficile è che ci si chieda: “Cosa
potrei fare per far sì che lui voglia far questo per me?”.
Se dentro di te senti che quando non ottieni una certa disponibilità di tempo da parte
sua, in quel preciso momento, allora è arrivata l’ora di star male... e se misuri questo
star male, e visualizzi l’altro, e colleghi questo sentimento spiacevole alla sua faccia,
ecco che quando torna e vedi la sua faccia, lui è arrivato, ma tu stai male! È
stupefacente! Non solo stai male quando lui non c’è; stai male anche quando torna!
Non sembra un gran divertimento, no? Vivere in questo modo non è giusto.
E se lui si sente in colpa perché è uscito, e si immagina come sarà tornare da te,
collegherà il senso di colpa con l’immagine del tuo viso. Così quando torna e ti vede,
si sentirà di nuovo in colpa, e nemmeno avrà voglia di stare con tè. Questi sono i
meta-schemi dell’obbligo. Si basano tutti e due su un tremendo errore: l’idea che il
matrimonio sia un debito personale.
Se chiedete a una persona qualsiasi che cosa desidera, di solito dirà di desiderare ciò
che non ha, invece di ciò che ha già. La gente tende a ignorare e a dare per scontato
ciò che già ha e gusta, e ad accorgersi solo di ciò che le manca.
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Le persone sposate di solito non si sentono fortunate, come invece si sentivano
all’epoca dei primi incontri. Pensate a come sarebbe se ogni volta che vedete l’altro
vi sentiste fortunati. E se lui non c’è proprio quando lo vorreste con voi (perché sta
facendo qualcosa che preferireste non facesse, perché a voi farlo con lui non
piacerebbe), continuaste a sentirvi fortunati perché quella particolare persona sta con
voi per tanta parte del vostro tempo. E quando fa qualcos’altro, vi sentiste fortunati
perché questo è l’unico prezzo che dovete pagare. Non è un carico molto gravoso,
no? Se non riuscite a entrare in questa dimensione, allora personalmente non penso
che ne valga la pena.
Una cosa che mi ha sempre lasciato stupefatto è che raramente la gente è cattiva con
gli estranei. Bisogna veramente arrivare a conoscere e ad amare un altro, prima di
riuscire a trattarlo come una pezza da piedi e a farlo stare veramente male per delle
piccolezze. Sono pochi quelli capaci di urlare improperi a un estraneo su cose
dell’importanza di qualche briciola sul tavolo della colazione, ma se quella persona la
si ama, allora è tutto a posto.
Una volta venne da me una famiglia. Il marito si dimostrò subito un vero
attaccabrighe. Additò la moglie, e disse: “È convinta che una ragazza di quattordici
anni debba star fuori fino alle nove e mezzo di sera!”.
Lo guardai diritto negli occhi e dissi: “E lei pensa che una ragazza di quattordici anni
debba imparare che gli uomini si rivolgono alla moglie urlando e strepitando, e
facendola star male!”.
È terribile perdersi.
Capita spesso che dei genitori mi portino una figlia adolescente, perché in lei c’è
qualcosa che non va: le piace il sesso, e non riescono a farla smettere. Pensate che
razza di compito idealistico, totalmente irrealizzabile: fare in modo che una ragazza
torni a essere vergine! I genitori vogliono che si convinca la figlia che in realtà il
sesso non e poi tanto piacevole, e che è pericoloso, e che se a lei piace, influirà su di
lei così che ci starà male per il resto dei suoi giorni! Alcuni terapeuti cercano
addirittura di ottenere proprio questo risultato... e alcuni perfino ci riescono.
Un padre trascinò letteralmente sua figlia da me tenendole un braccio piegato dietro
la schiena, la fece sedere con uno strattone e ringhiò: “Siediti!”.
“C’è qualcosa che non va?”, chiesi.
“Questa ragazza è una puttanella!”.
“Non mi serve una puttana; perché me l’ha portata?”.
Ecco un’interruzione degna di questo nome. Questo genere di battuta iniziale è la mia
preferita; con una battuta del genere, si può veramente mandare uno in corto circuito.
Se subito dopo gli si rivolge una qualsiasi domanda, non riuscirà mai più a tornare là
da dove era partito.
“No, no! Non è questo che volevo dire...”.
“Chi è questa ragazza?”.
“Mia figlia”.
“Lei ha costretto sua figlia a prostituirsi!!!.”.
“No, no! Lei non capisce... “.
“E l’ha portata qui, a me! Che schifo!”.
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“No, no, no! Ha capito male”.
Quest’uomo, che era entrato urlando e ringhiando, adesso mi sta supplicando di
capirlo. Ha completamente cambiato prospettiva: ora non assale più sua figlia, ma si
sta difendendo. Nel frattempo, sua figlia, in silenzio, si sta facendo matte risate. La
scena la diverte moltissimo.
“Beh, mi spieghi la situazione, allora”.
“Ecco, il fatto è che penso che le succederanno cose orribili”.
“Certo, se le insegna quella professione ha perfettamente ragione!”.
“No, no, vede, è che...”.
“Beh, cosa vuole che io faccia, allora? Cos’è che vuole”.
Lui allora comincia a spiegarmi cosa voleva. Quando ha finito, dico: “Lei l’ha portata
qui tenendole un braccio piegato dietro la schiena, e l’ha sballottata qua e là. Questo è
esattamente il modo in cui vengono trattate le prostitute; ecco cosa le sta insegnando
a fare”.
“Beh, io voglio costringerla a....”.
“Oh, ‘costringerla’... insegnarle che gli uomini controllano le donne sbatacchiandole
qua e là, comandandole a bacchetta, storcendo loro un braccio dietro la schiena e
costringendole a fare cose che non vogliono fare. È così che fanno i protettori. Le
resta soltanto da chiederle dei soldi in cambio”.
“No, io non sto facendo questo. È lei che va a letto col suo ragazzo”.
“Si è fatta pagare?”.
“No”.
“Lo ama?”.
“È troppo giovane per poter amare”.
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“Forse che non amava lei, suo padre, già da piccolissima?”. Ecco che prende forma
l’immagine di lei piccolissima, seduta sulle ginocchia del babbo. Con un’immagine
del genere si può mettere nel sacco qualsiasi vecchio brontolone.
“Mi permetta di farle una domanda. Guardi sua figlia... Non vuole che riesca a
provare il sentimento dell’amore, e che viva il comportamento sessuale come una
cosa piacevole? La morale di oggi non è più quella di una volta, e lei non è costretto a
farsela piacere. Ma le piacerebbe forse che l’unico modo in cui sua figlia imparasse
ad avere rapporti con gli uomini fosse Io stesso che ha avuto con lei quando l’ha fatta
entrare in questa stanza qualche minuto fa? E che aspettasse i venticinque anni per
sposare qualcuno che la picchiasse, la sbatacchiasse la maltrattasse e la costringesse a
fare cose che non vuole fare?”.
“Ma potrebbe commettere uno sbaglio, e questo potrebbe farle del male”.
“È possibilissimo. Può senz’altro darsi che tra due anni quel tizio la pianti in asso e se
ne vada. E quando starà male e si sentirà sola... non avrà nessuno a cui rivolgersi,
perché odierà suo padre con tutta se stessa. Se venisse da lei, si sentirebbe rispondere:
‘Tè l’avevo detto’”.
“Anche se a quel punto riuscisse da sola ad andarsene per trovare qualcun altro con
cui instaurare un vero rapporto, una volta che avesse dei figli suoi, i suoi nipoti, non
verrebbe mai a farglieli vedere. Perché rammenterebbe quel che lei le ha fatto, e non
vorrebbe che dei bambini imparassero delle cose del genere...”.
A questo punto il padre non sa più cosa pensare, e allora è il momento di colpire
duro. Lo guardi diritto negli occhi, e gli dici: “Non è forse più importante che sua
figlia impari ad avere dei rapporti d’amore... oppure dovrebbe imparare a far propria
la moralità del primo uomo capace di costringerla a fare ciò che lui vuole? I protettori
fanno proprio questo”.
Provate a trovare una via d’uscita. Non ce ne sono. Il suo cervello non aveva più
modo di tornare indietro per fare ciò che faceva prima. Non poteva comportarsi come
un protettore. Non importa se si costringe qualcuno a non fare qualcosa o a fare
qualcosa, o se lo si costringe a fare qualcosa di ‘buono’ o qualcosa di ‘male’. È il
fatto stesso di costringerlo che gli insegna a farsi controllare in quella maniera.
Il problema è che a questo punto non ha più modo di far nulla. Ha smesso di fare quel
che faceva prima, ma non ha niente da sostituirvi. Devo dargli qualcosa da fare;
potrebbe per esempio insegnare a sua figlia qual è il modo in cui un uomo deve
comportarsi nei confronti di una donna. Perché allora, se l’esperienza che sua figlia
vive con quel tizio non va bene, lei ne resterà insoddisfatta. L’ho messo ne sacco.
Sapete cosa significa? Adesso lui deve costruire una solida relazione positiva con sua
moglie, ed essere gentile con gli altri membri della famiglia, e fare in modo che sua
figlia stia meglio con loro che quel tizio che le ronza intorno. Che ve ne sembra,
come coazione?
E questo l’ho fatto senza mai dire: “Cosa prova a questo proposito? Cosa prova
adesso? Di cosa si sente consapevole?”, oppure: “Si penta”, oppure: “Si entri dentro e
si chieda...”.
Le persone dimenticano così facilmente cosa veramente vogliono. Fanno un timido
passetto per cercare di ottenerlo, e poi restano invischiate nel modo in cui provano a
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farlo. Non si accorgono che è il modo in cui hanno deciso di cercare di arrivarci che
non funziona. E se non funziona, vanno in terapia a cercare di imparare a farlo
meglio. Non si sono accorti che ciò che stanno cercando di imparare darà loro
esattamente ciò che non vogliono.
Quando succede qualcosa che non ci piace, si può sempre dire: “È colpa tua; io ti
distruggerò”. È un sistema che probabilmente nella giungla funzionava benissimo.
Ma la coscienza si è nel frattempo evoluta così da poter dire: “Ho un cervello.
Facciamo un passo indietro, tenendo presente la meta a cui vogliamo arrivare, e
proviamo ad arrivarci”.
Così, ogni volta che state male per qualcosa e vi sentite incastrati... o particolarmente
nel giusto... o assumete un atteggiamento moralistico... spero che nella vostra testa si
faccia udire una vocina che dice: “Hai quel che ti meriti!”. E se avete la sensazione di
non poterci fare nulla, avete ragione... finché non vi entrate nel cervello, e fate un
passo indietro, e un altro, e un altro, in modo da poter finalmente riprendere il
cammino in avanti, per una strada diversa.
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Andare allo scopo
Nel tentativo di capire perché la gente fa certe cose, il campo della psicoterapia ha
elaborato certi modelli che in seguito sono stati dimostrati semplicemente
inappropriati. Molti psicologi, tuttavia, continuano a tenerseli stretti. C’è ancora gente
che va alla ricerca di un Es o di un Io, e ha altrettante probabilità di trovarli quante ne
ha chi va alla ricerca del Genitore, del Bambino e dell’Adulto. Son convinto che
molti psicologi da bambini abbiano visto troppi film dell’orrore. “Dentro di te ci sono
un Genitore, un Adulto e un Bambino che ti costringono ad agire in un certo modo”.
Da un po’ l’idea che uno abbia bisogno di un esorcismo. Una volta si diceva; “È il
diavolo che me lo ha fatto fare”. Adesso invece si dice: “Sono state le mie parti a
farmelo fare”.
“Beh, dici questo soltanto perché è il tuo Genitore a parlare”.
“No, non è vero; in questo momento mio padre si trova nel New Jersey!”.
L’analisi transazionale è un metodo che consiste nel separare i comportamenti in tre
parti; è un po’ come nei casi di personalità multipla, solo che l’AT dovrebbe essere
un modo per curare la gente. Se uno è arrivato allo stadio avanzato, è indispensabile
che abbia nove parti, perché ciascuna delle tre parti iniziali ha a sua volta un
Genitore, un Adulto e un Bambino! A me l’AT non è mai piaciuta, perché quello che
si può divertire è soltanto il Bambino, mentre soltanto all’Adulto spetta essere
ragionevole. Ciascuno deve avere le stesse parti, e di conseguenza non resta alcuno
spazio per l’individualità. L’AT crea anche una società segregata: il mio Adulto non
può parlare col tuo Bambino, ma solo col tuo Adulto. E perché mai il mio Bambino
non potrebbe parlare col tuo Genitore? Non mi sembra giusto. Eppure, cari miei, si
può convincere la gente che è proprio così. Quanti di voi ci sono cascati? Qualcuno vi
ha dato questa spiegazione, e voi avete pensato: “Sì, certo”. Ma non è detto che tutti
quanti abbiano un Genitore, un Adulto e un Bambino che passano il tempo a litigare.
A Tahiti non vi sarebbe facile trovare cose del genere. Per imparare ad avere di questi
problemi bisogna andare da uno psicoterapeuta.
Quanti di voi hanno dentro di sé la voce di un ‘genitore severo’ che li sgrida e li
costringe a fare certe cose? Se qualcuno vi suggerisce che dentro di voi c’è una voce
che vi critica in continuazione, immaginate cosa può succedere? Potete installarvene
una. Una delle cose interessanti che potete fare è di essere continuamente d’accordo
con quella voce, finché non la fate impazzire. Un’altra delle cose che potete fare è
cambiarne la collocazione. Guardate un po’ cosa succede se udite la stessa voce venir
fuori dal vostro alluce sinistro... Questo mutamento di collocazione indubbiamente
trasforma l’impatto di quella voce, non è vero?
Tenete presente, però, che la vostra voce severa potrebbe anche avere ragione.
Magari sarebbe meglio che ascoltaste cosa ha da dirvi, invece di starci male e basta.
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Mi piacerebbe farvi vedere cosa si può fare con una voce severa che vi fa star male;
chi ne ha una bella potente?
Fred: Io ne ho una, in continuazione.
Benissimo. La senti anche adesso?
Fred: Sì, mi sta rimproverando per aver preso la parola.
Perfetto. Chiedile se ti può dire cosa vuole per te di positivo, e ascolta quel che ti
dice. Questa voce cerca in qualche modo di proteggerti? Vuole da te una maggiore
competenza? Ci sono molte possibilità.
Fred: Vuole che io abbia successo; mi critica quando mi metto in mostra.
Benissimo, io parto dal presupposto che tu sia d'accordo con questa sua intenzione.
Anche tu vuoi aver successo, vero?
Fred: Sì. Certo.
Chiedi alla voce se pensa di avere delle informazioni valide, che ti sarebbe utile
conoscere e capire.
Fred: Ha detto: “Certo”.
Dato che ha delle informazioni valide, chiedi alla voce se non sarebbe disposta a
cercare di cambiare il modo in cui si rivolge a te, se questo per te significherebbe una
maggiore facilità di ascoltare e capire in modo da poter avere successo...
Fred: È scettica, ma è disposta a provare.
Bene. Adesso, Fred, voglio che tu pensi a dei modi per cui la voce parebbe essere
diversa, così che tu possa ascoltarla meglio. Per esempio, se usasse un tono di voce
diverso, più pacato e amichevole, per te sarebbe più facile prestarle attenzione? Non
ti aiuterebbe se la voce ti fornisse utili istruzioni su ciò che ti conviene fare volta per
volta invece di criticare ciò che hai fatto in precedenza?
Fred: Ho pensato a un paio di cose che potrebbe fare in modo diverso.
Bene. Chiedi alla voce se non sarebbe disposta a provare, per scoprire se parlandoti in
modo diverso tu in effetti non saresti più disponibile ad ascoltarla...
Fred: È disposta.
Dille di andare avanti, e di provare...
Fred: È straordinario. Lo sta facendo, e non è più un ‘genitore severo’. Adesso è più
un aiutante amichevole. Ascoltarla è un piacere.
Certo. Chi è disposto ad ascoltare una voce che urla e critica? Anche i genitori veri
dovrebbero provare questa tecnica. Se usate una tonalità gradevole, i bambini vi
ascoltano. Può darsi che non siano d’accordo con quel che dite, ma per lo meno lo
ascolteranno. Questa procedura è quella che noi chiamiamo ‘ristrutturazione’, e che
rappresenta la base di un insieme di capacità di negoziazione utili non solo nella
terapia familiare e negli affari, ma anche dentro il vostro stesso cervello. Se volete
saperne di più, leggete il libro La ristrutturazione. Ciò che mi preme farvi capire
adesso è che la voce di Fred aveva dimenticato ciò che intendeva fare, finché io non
gliel’ho rammentato. Voleva motivarlo ad avere successo, ma ciò che otteneva era di
farlo star male.
Il movimento di liberazione della donna, pur avendo avuto un impatto positivo, sotto
molti aspetti ha fatto proprio questo. Lo scopo iniziale consisteva nel motivare la
gente a modificare il modo in cui pensava alle donne e in cui esse venivano trattate.
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Le donne hanno ricevuto un’educazione, e hanno imparato a individuare i
comportamenti che portavano a una discriminazione tra i sessi. Ora, quando
è qualcun altro a fare un’osservazione che esprime una discriminazione a danno delle
donne, siete voi a star male! Non mi sembra un gran progresso che adesso chi si sente
‘liberato’ debba star male quando qualcun altro usa una parola che esprime una
discriminazione! Che razza di liberazione è? È esattamente come quando, da
bambini, qualcuno ci diceva ‘stupido’ o ‘brutto’, e noi capivamo che era l’ora di star
male e mettersi a piangere. Una volta si usavano parole che esprimevano una
discriminazione e nessuno ci faceva caso; ora, quando queste parole vengono usate, è
l’ora di starci male. Bella liberazione! Adesso abbiamo una nuova serie di ragioni per
star male. C’era un periodo in cui andavo nei locali notturni alla ricerca di donne che
avrebbero reagito in questo modo. “Eccone una giusta. Sta’ a vedere. Posso farla
stare malissimo”. “Ehi, bambola”. “Arghhh!”.
Se non volete che gli altri usino un linguaggio sessualmente discriminante, mi sembra
più ragionevole fare in modo che siano loro a star male quando lo fanno. È molto più
divertente, e funziona molto meglio... ed è anche molto più liberato.
Una cosa che mi piace molto fare è di non dar pace alle donne quando si esprimono
in termini sessualmente discriminanti.
Una donna magari dice: “Beh, le ragazze dell’ufficio...”.
“Quanti anni hanno?”.
“Come? Sono sulla trentina”.
“E le chiami ragazze? Sono delle donne, stronza sessista! Forse che parlando di tuo
marito lo chiameresti ragazzo?”.
Se agite in modo da far stare male chi si esprime in termini sessualmente
discriminanti, questo per lo meno introduce la motivazione a cambiare nel posto
giusto... cioè nella persona il cui comportamento vorreste cambiare. Però assalire gli
altri o criticarli non è il sistema migliore per farli cambiare. Il sistema migliore
consiste nello scoprire come la persona motiva se stessa, e sfruttare questo fatto.
Se fate tante domande strane, e se insistete, alla fine riuscirete immancabilmente a
scoprire com’è che l’altro fa quello che fa, motivazione compresa. Molte persone si
trovano in difficoltà per ‘mancanza di motivazione’, e un esempio di questo fatto
consiste nel non riuscire ad alzarsi dal letto la mattina. Se studiarne chi ha questo
problema, possiamo capire come si fa a non svegliarsi, cosa che può essere d’aiuto a
chi soffre d’insonnia. Qualsiasi cosa gli esseri umani facciano può essere d’aiuto a
qualcuno, da qualche parte, qualche volta. Ma adesso cerchiamo di capire in che
modo si può svegliarsi rapidamente e senza fatica, senza bisogno di farmaci. Chi di
voi si sveglia regolarmente con facilità, la mattina?
Betty: Io mi alzo senza difficoltà.
Come fai ad alzarti?
Betty: Mi sveglio, tutto lì.
Ho bisogno di qualche altro dettaglio. Come fai a sapere di essere sveglia? Qual è la
prima cosa di cui ti rendi conto quando sei sveglia? Di solito metti una sveglia,
oppure ti svegli da sola?
Betty: Non uso sveglie. Mi accorgo che non sto dormendo, tutto lì.
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Come fai a capire di non stare dormendo? Cominci a parlare con te stessa? Cominci a
vedere qualcosa?
Betty: Mi parlo.
E cosa ti dici?
Betty: “Sono sveglia. Mi sto svegliando”.
E cosa ti ha permesso di sapere che potevi dirtelo? La voce che dice: “Mi sto
svegliando” ti sta notificando che c’è qualcosa di cui accorgerti, e di conseguenza c’è
qualcosa che deve aver preceduto la voce. Questa voce commentava una certa
sensazione, o all’improvviso e arrivata la luce? Qualcosa è cambiato. Torna indietro,
e rammentatene, in modo da poter ripercorrere il processo in sequenza.
Betty: Penso che fosse una sensazione.
Che tipo di sensazione? Calore? Pressione?...
Betty: Calore, sì.
Da più caldo a più freddo, o da più freddo a più caldo?
Betty: La sensazione di calore si è fatta più intensa. Ho sentito che il corpo mi si
riscaldava.
E non appena hai cominciato a renderti conto di questa sensazionedi calore, ti sei
detta: “Mi sto svegliando”. E subito dopo, che succede? Non hai ancora visto niente?
Niente immagini interne?
Betty: Mi sono detta: “Devo alzarmi”.
La voce è forte? Ci sono altri suoni, o c’è solo la voce? Ha un qualche tono specifico?
Betty: È una voce molto calma, una voce tranquilla.
E il tono di questa voce dentro di te cambia via via che ti svegli?
Betty: Sì, accelera, e diventa più chiara, più distinta, più sveglia.
Questo è un esempio di quella che noi definiamo ‘strategia di motivazione’. Non è
venuto fuori tutto, ma questo ci basta a cogliere l’elemento chiave che rende possibile
farle fare una certa cosa. Betty ha una voce interna dal tono calmo e sonnolento. Poi,
dopo che questa voce le ha detto: “Devo alzarmi”, comincia ad accelerare e a
cambiare di tono, facendosi più desta e sveglia.
Adesso voglio che tutti gli altri provino a fare la stessa cosa. Farlo di persona è
l’unico vero modo per scoprire come fanno gli altri a fare certe cose. Non è
necessario che vi diciate le stesse parole, ma prendetevi qualche istante per chiudere
gli occhi, sentire il vostro corpo, e poi ascoltare una voce dentro la testa. Fate sì che
questa voce cominci a parlarvi in tono calmo e sonnolento... Adesso fatela accelerare
un pochino, fatela diventare più forte e più sveglia. Osservate il cambiamento delle
vostre sensazioni...
Questo ha influito sulle vostre sensazioni? Se non l’ha fatto, controllatevi il polso.
Una voce interna eccitata è un ottimo sistema per svegliarsi ogni volta che se ne ha
bisogno. Se cominciate a parlarvi in modo da addormentarvi in un’occasione in cui
probabilmente sarebbe meglio di no, per esempio sull’autostrada, potete imparare ad
alzare il volume e il tono, a parlare un po’ più in fretta di qualcosa di eccitante, e
questo vi sveglierà.
Molte persone che soffrono d’insonnia fanno esattamente questo. Si parlano con una
voce forte, acuta, eccitata, e questa voce li sveglia… anche se si stanno parlando di
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quanto avrebbero bisogno di dormire. L’insonne tende a essere estremamente sveglio
e motivato. In genere crede di non riuscire a dormire gran che, ma gli studi in questo
campo hanno dimostrato che in realtà dorme più o meno quanto gli altri. La
differenza è che trascorre un sacco di tempo anche a cercare di addormentarsi, ma
continua a tenersi sveglio con quel tono di voce.
L’altro modo principale per soffrire d’insonnia consiste nel guardare una serie di
immagini luminose, lampeggianti. Una volta chiesi a un paziente come facesse, e lui
mi disse: “Beh, comincio a pensare a tutte le cose a cui non dovrei pensare”. Quella
sera andai a casa e ci provai. “A cos’è che non sto pensando?”. Ben presto furono le
sei del mattino, e io pensai: “Ora so a cosa non sto pensando... a dormire!”.
Adesso voglio che voi trasformiate la vostra voce interna in senso inverso. Rendetela
più bassa, profonda, lenta e sonnolenta, e notate le sensazioni che ne derivano...
Una volta facendo questo ho quasi fatto addormentare un’intera platea. Aprite gli
occhi e accelerate di nuovo la voce, o dovrete accontentarvi di un ascolto inconscio
del resto del seminario. È qualcosa che potrete insegnare a chi soffre d’insonnia, e
allo stesso tempo un processo che potete utilizzare personalmente quando ne avete
bisogno. Per esempio, ho imparato che in aereo la cosa migliore che io possa fare è
sprofondare nell’incoscienza. Tra l’aeroporto della mia città e quello del capoluogo
c’è un breve volo di una ventina di minuti. Non appena mi siedo in quella
poltroncina... sst, sono partito.
Uomo: Quando capisci in che modo una persona motiva se stessa, come fai a capire
che sei arrivato all’inizio della sequenza? Per esempio, Betty diceva che la voce che
le parlava cominciava a farsi più forte. Come fai a sapere che domande fare a questo
punto?
Dipende dallo scopo delle domande. In realtà non c’è modo di determinare in
anticipo da dove precisamente si deve partire. Quello che ci serve, però, è ottenere
sufficienti dettagli, in modo da poter ricreare la stessa esperienza. Se lo faccio
anch’io, e funziona, allora probabilmente le informazioni ottenute sono sufficienti.
L’unico modo per stabilirlo è l’esperienza... vostra o altrui.
Una volta che ho capito la strategia di motivazione di una persona, posso motivarla
ad alzarsi fisicamente da una sedia, o a fare qualsiasi altra cosa, facendole
ripercorrere lo stesso processo. “Senti la sedia, e di’ a te stessa: ‘Devo alzarmi’.
Cambia la tonalità e dillo di nuovo a voce più alta, più svelta, più sveglia”. Quale che
sia il processo che impiegate per alzarvi al mattino, è probabile che usiate lo stesso
processo per indurvi a scendere di sotto per prendere un libro, o a fare qualsiasi altra
cosa.
Ci si può motivare in moltissimi modi differenti. Anziché parlar vene e basta, vorrei
che voi faceste un po’ d’esperienza di ciò che significa trovarli da soli. Dividetevi in
coppie, scegliendo una persona che non conscete, e chiedetele come fa ad alzarsi dal
letto la mattina. Tutti quelli che sono qui ci sono riusciti, per lo meno stamattina;
quelli che non ci sono riusciti non ce l’hanno fatta a venire al seminario. Cominciate
con questa semplice domanda: “Come fai a alzarti la mattina?”. Il vostro compagno
vi fornirà una paio di affermazioni abbastanza generali riguardo a quello che fa, e voi
dovrete fare altre domande in modo da avere tutti i dettagli.
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Quando pensate di avere sufficienti informazioni sull’intera sequenza, provate a
metterla in pratica in modo da vedere se funziona anche per voi. Per esempio, il
vostro compagno potrebbe dire: “Vedo la luce entrare dalle finestre, e dico a me
stesso: ‘alzati’, e mi alzo”. Se provate anche voi... cioè vedete la luce entrare dalle
finestre e vi dite: ‘alzati’… non è affatto detto che riusciate ad alzarvi. Quello che
avete fatto non vi basta assolutamente. Perché la cosa funzioni bisogna fare
qualcos’altro. Queste cose si fanno automaticamente e inconsciamente, e di
conseguenza spesso dovrete fare tutta una serie di domande in modo da avere tutti gli
elementi necessari.
Siccome questo non è un seminario sulle strategie, non pretendo che si arrivi ai più
minuti dettagli. Ma voglio che si arrivi agli elementi fondamentali della sequenza, e
che si individui l’elemento chiave, la differenza che conta. Di solito si tratterà di un
elemento che cambia in modo determinante. Nel caso di Betty, ciò che la faceva
effettivamente alzare era un cambiamento nel tono di voce. Per scoprirlo, dovete
prestare una estrema attenzione ai dettagli. Se qualcuno dice: “Creo un’immagine di
me stesso che mi alzo”, dovete chiedere ulteriori dettagli. “È un film? È una
diapositiva? Ha dei colori? È grande? Ti dici qualcosa? Che tono di voce usi?”.
Questi piccoli dettagli sono ciò che fa funzionare la sequenza. Alcuni saranno molto
più determinanti di altri, e voi potrete scoprirlo cambiandoli uno alla volta, e
osservando l’effetto. Adesso formate delle coppie e provate; prendetevi un quarto
d’ora circa per ciascuno...
***
Be’, cosa avete scoperto? Come fa il vostro compagno a motivarsi? Quali erano gli
elementi chiave della sequenza?
Bill: II mio compagno prima sente la sveglia, e la guarda mentre ferma la suoneria.
Quindi si rimette disteso, e si gode la sensazione di essere a letto al calduccio. Una
voce interna gli dice: “Se resti cosi, ti riaddormenterai e farai tardi”. Lui allora si crea
l’immagine di una volta che è arrivato tardi al lavoro, e sta male. Quindi la voce gli
dice: “La prossima volta sarà peggio”, e lui si crea un’immagine più grande di quel
che gli succederebbe se facesse di nuovo tardi, e sta peggio. La sequenza sembra che
sia: ‘voce, immagine, star male’. Quando sta abbastanza male, si alza.
Questa è quella che noi chiamiamo ‘la solita routine dell’ansia’. Si continuano a
generare sentimenti spiacevoli, finché non si è motivati a evitarli. Rollo May ne sa
qualcosa. Ha perfino scritto un grosso libro sull’argomento, che può essere riassunto
in una frase: “L'ansia è stata tino a ora fraintesa; l’ansia è un bene, perché ci spinge a
fare certe cose”. Se la vostra strategia di motivazione si basa sull’ansia, questo è
assolutamente vero. Ma non è detto che tutti abbiano questo genere di motivazione.
Nel caso di certe persone, l’ansia impedisce loro di fare certe cose. Pensano a fare
qualcosa d’interessante, quindi si creano un’immagine di come la cosa potrebbe
andar male, e alla fine vengono presi dall’ansia e restano a casa.
Suzi: Io faccio qualcosa di molto simile a quella che fa il compagno di Bill. Mi dico
che posso restarmene a letto per qualche minuto, e lo faccio. Ma col passare del
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tempo, l’immagine di essere in ritardo si fa più grande, più vicina e più luminosa. È
sempre la stessa immagine, ma quando è abbastanza grande devo alzarmi dal letto, in
modo da non stare più male.
Tendi a rimandare anche in altre cose? (Sì). Quanti di voi si sono messi a preparare
una relazione di fine corso all’ultimo momento? Più aspettavate, più eravate motivati.
Il compagno di Bill ha un generatore interno d’ansia. Quello di Suzi funziona a
tempo. Sono molto simili in quanto usano come forza motivante delle sensazioni
spiacevoli. Qualcuno di voi ha trovato un esempio di motivazione che utilizzasse
sensazioni piacevoli... anche per affrontare un compito sgradevole?
Frank: Sì, Marge si immaginava tutte le cose che avrebbe fatto durante la giornata, e
all’idea di farle stava bene. Diceva che quelle immagini piacevoli ‘la tiravano fuori
dal letto’.
E se quel giorno avesse da fare soltanto cose spiacevoli? Glielo hai chiesto?
Frank: Sì, gliel’ho chiesto. Mi ha detto che si crea delle immagini di queste cose
come se fossero già state fatte, e che allora sta benissimo perché sono state fatte.
Anche questa sensazione piacevole la tira fuori dal letto. A me sembrava una cosa
impossibile. Non riesco a capire come possa funzionare, e volevo chiederlo a te.
Dov’è Marge?... Marge, quand’è che presenti la dichiarazione dei redditi?
Marge: Di solito l’ho già presentata a metà gennaio. È meraviglioso averlo già fatto,
in modo da poter fare altre cose.
Beh, nel suo caso indubbiamente sembra che funzioni. A nessuno piace fare la
dichiarazione dei redditi, ma alla maggior parte delle perone piace averla fatta. Il
trucco sta nell’essere capaci di accedere in anticipo alla sensazione gradevole di
averla fatta, in modo da mettersi in moto. La motivazione di Marge utilizza
sensazioni piacevoli al posto di sensazioni spiacevoli. È meno frequente, e molto
strano per Frank, che fa l’opposto.
Tanta gente è bravissima a motivarsi a fare cose piacevoli. Non fa altro che crearsi
un’immagine in cui fa la cosa piacevole, ed è talmente attirata dall’immagine che
comincia a fare la cosa in questione. Questo procedimento tuttavia non funziona per
cose che si vorrebbe avere già fatto, mentre farle non ci piace. Se non vi piace fare la
dichiarazione dei redditi, e vi create un’immagine in cui la fate, proverete repulsione.
Questo non è affatto motivarsi. Se volete motivarvi positivamente, dovete pensare a
ciò che veramente è attraente in una certa incombenza. Se l’incombenza in sé non vi
piace, ciò che è attraente è averla già fatta.
In realtà c’è un altro elemento che deve essere presente perché la strategia di
motivazione di Marge possa funzionare. A quanti di voi è capitato di pensare quanto
sarebbe stato bello avere già fatto una certa cosa, e poi una volta che vi accingete a
farla vi trovate ‘scarichi’?
Marge, quando cominci a fare la dichiarazione dei redditi, cos’è a farti andare avanti?
Marge: Penso costantemente a quanto sarà bello averla finita.
Questo è un elemento importante, ma scommetto che c’è qualcos’altro.
Marge: Beh, ogni volta che scrivo una cifra o completo una casella del modulo, sono
contenta di avere fatto quel passetto. È come un assaggino del piacere di avere finito
tutto.
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Benissimo. Sono questi due elementi a farti andare avanti, e il secondo sarà più
efficace del primo. Se si pensa semplicemente ad avere già finito tutto, e il compito
richiede un certo tempo per essere svolto, può sembrarvi una meta irraggiungibile.
Ma quella piacevole sensazione di successo che provi ogni volta che hai completato
una piccola parte del compito ti sosterrà anche se il compito è lungo e noioso.
Marge: È interessante. Questo spiega molte cose della mia vita. Spesso mi chiamano
‘Poliyanna’(1), perché penso sempre quanto sarà bello quando determinate cose
spiacevoli saranno passate. Riesco sempre a fare un sacco di cose, ma ho difficoltà a
far svolgere agli altri incombenze sgradevoli. Quando dico loro quanto sarà bello
averle terminate, di solito restano perplessi.
Esatto. Non riescono a capire. Non è cosi che loro si motivano.
Frank: Sembrerebbe che tu stessi dicendo che una persona può essere fortemente ed
efficacemente motivata senza mai provare sensazioni sgradevoli. C’è qualche
speranza per noialtri, che carburiamo ad ansia?
Certo. Come tutto quel che fanno gli esseri umani, anche le strategie di motivazione
sono frutto dell’apprendimento, e se ne possono sempre imparare di nuove. Sarebbe
abbastanza facile insegnarti a usare la strategia di Marge. Ma bisogna stare attenti
quando si provoca un cambiamento così profondo nella vita di una persona.
C’è chi prende decisioni sbagliatissime, ma siccome non è molto motivato non si
caccia in guai troppo grossi. Se gli si insegna una strategia di motivazione veramente
efficace, metterà effettivamente in atto tutte queste decisioni sbagliate, e farà una
quantità di cose stupide, fuori luogo e magari dannose. Così, prima di insegnare a
qualcuno una strategia di motivazione nuova ed efficace, mi accerto che la persona
disponga già di un modo efficace di prendere decisioni. Se non ne dispone, gli
insegno una nuova strategia di decisione prima di insegnargli la nuova strategia di
motivazione.
Esistono moltissime varianti nel modo in cui le persone si motivano, ma abbiamo già
visto alcuni esempi dei due schemi principali. Per lo più, le persone si motivano
pensando a quanto staranno male se non faranno una certa cosa, e poi allontanandosi
da quella sensazione sgradevole. Gli psicologi che studiano i topi lo chiamano
‘condizionamento avversivo’. Alcuni fanno l’opposto, come nel caso di Marge.
Marge usa certe sensazioni piacevoli per muoversi verso ciò che lei vuole far
succedere, invece di allontanarsi da ciò che non vuole far succedere... e il rinforzo lo
trova via via che va avanti.
Chi usa una strategia di motivazione come quella di Marge, in realtà vive in un
mondo completamente diverso da quello della maggior parte delle persone... un
mondo senza molta di quell’ansia, di quella sgradevolezza e di quella tensione che
affliggono tanta gente.
Molti utilizzano una combinazione delle due cose. Può darsi per esempio che pensino
prima a quello che succederebbe se non facessero una certa cosa, e poi pensino a
quanto sarà bello quando avranno fatto quel che devono fare.
(1) Protagonista dei romanzi di Eleanor S. Porter (1868-1920), caratterizzata un incrollabile
ottimismo. (N.d.T.)
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Tutte le strategie di motivazione funzionano, e non si può rifiutare a priori qualcosa
che funziona. Alcune di esse, tuttavia, sono molto più rapide e tenaci di altre, e molto
più piacevoli.
Gran parte dei problemi che portano la gente in terapia, o in prigione, hanno a che
fare con la motivazione. O la persona non è motivata a tare cose che vorrebbe fare, o
che altri vorrebbero che facesse, oppure è motivata a far cose che non vorrebbe fare,
o che altri non vorrebbero che facesse. Oggi abbiamo fatto questo: abbiamo molto
sommariamente esplorato alcuni aspetti del meccanismo della motivazione, in modo
da poter avere un certo controllo riguardo a ciò che siamo motivati a fare. Quello che
abbiamo fatto qui è solo l’inizio di ciò che si può fare con la motivazione, ma vi offre
uno spazio dal quale voi potrete partire per vostre personali esplorazioni.
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Capire la confusione
Molta gente si trova in difficoltà perché è confusa riguardo a qualcosa. Vorrei
mostrarvi come si possa prendere la confusione e trasformarla in comprensione. Ho
bisogno di qualcuno con cui giocare, in modo da dimostrare praticamente come si fa.
Dopo avervelo dimostrato, vi chiederò di dividervi in coppie e di farlo uno con
l’altro; quindi state attenti.
Bill: Mi piacerebbe provare.
Prima di tutto pensa a qualcosa che ti lascia confuso, e che ti piacerebbe capire.
Bill: Ci sono tante cose che non capisco...
Aspetta. Voglio che tu ascolti attentamente cosa ti ho chiesto di fare. Non ti ho
chiesto di pensare a qualcosa che non capisci; ti ho chiesto di pensare a qualcosa che
ti lascia confuso. La ‘confusione’ e il ‘non capire’ sono due cose molto diverse. Sono
tante le cose che non capisci perché non ne sai nulla. È probabile che tu non capisca
nulla di chirurgia a cuore aperto, o di come si fa a progettare una bomba atomica. Ma
queste cose non ti lasciano confuso; semplicemente, non possiedi le informazioni che
ti servirebbero per saperle fare.
La confusione, tuttavia, è sempre un’indicazione che sei sulla via della comprensione.
La confusione presuppone che tu disponga di tanti dati, ma questi non siano ancora
organizzati in modo da permetterti di capirli. Voglio perciò che tu pensi a qualcosa
che ti lascia confuso; qualcosa di cui hai avuto ampie esperienze, ma che ti sembra
ancora incomprensibile...
Bill: Bene. Sto pensando a...
Aspetta. Non devi dirmi il contenuto di ciò a cui stai pensando. Uno ha bisogno del
contenuto solo se è un ficcanaso. Io sono un matematico: mi interessa solo la forma.
Oltre a ciò, per gli altri è troppo facile perdersi nel contenuto. Voglio invece che
apprendano il procedimento di cui sto dando dimostrazione.
Hai pensato a qualcosa che ti lascia confuso. Adesso voglio che tu pensi a qualcosa di
analogo, ma che invece capisci. Quando dico ‘analogo’, voglio dire che se la tua
confusione riguarda il comportamento di una persona, anche la tua ‘comprensione’
deve riguardare il comportamento di una persona. Se la tua confusione riguarda il
funzionamento del motore di un’automobile, fai in modo che la comprensione
riguardi qualcosa di meccanico, per esempio il funzionamento del tuo tostapane.
Bill: Ho pensato a qualcosa che capisco.
Adesso disponiamo di due esperienze interne; una di queste la chiamiamo
‘comprensione’ e l’altra ‘confusione’. In tutte e due ci sono delle immagini?
Bill: Sì.
Ciò che mi interessa sono le differenze tra le due immagini. In che modo sono
diverse? Per esempio, una potrebbe essere un film, e l’altra una diapositiva. Oppure
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una potrebbe essere in bianco e nero, e l’altra a colori. Voglio che tu ti entri dentro ed
esamini queste due esperienze, e poi mi dica in che modo sono diverse...
Bill: La confusione è una diapositiva, ed è piccola. La comprensione è un film, ed è
grande.
Ci sono anche altre differenze? Se l’immagine della confusione è più piccola,
probabilmente è anche più lontana.
Bill: Sì, è più lontana.
C’è anche una colonna sonora?
Bill: Sì, la comprensione ha una voce che mi spiega quel che vedo. La confusione è
silenziosa.
Come fai a sapere che una cosa ti lascia confuso, mentre l’altra la capisci?
Bill: Quando guardo le due immagini, provo sensazioni diverse.
Bene: Come fanno le tue sensazioni a sapere che devono essere proprio quelle
quando guardi le due immagini?
Bill: Immagino perché gliel’ho insegnato.
Voglio che tutti quanti notino un fatto. Io ho fatto una domanda del tipo: “Come?”,
chiedendo informazioni su un processo, mentre lui ha risposto a una domanda del
genere: “Perché?”. Quando la risposta comincia con un ‘perché’, si sta sempre
rispondendo a un altro ‘perché’. Tutto quel che si ottiene con un ‘perché’ non è altro
che un sacco di chiacchiere più o meno teoriche sulla propria storia individuale.
Personalmente ho una teoria sola: che la vera ragione per cui la gente incontra tanti
problemi a far funzionare il proprio cervello è che la Terra è inclinata sul proprio
asse. Così in realtà ciascuno ha il cervello u1 qualcun altro, ed è una situazione
pazzesca. Le mie teorie non si spingono oltre.
Proviamo ancora. Bill, come fai a sapere che devi provare sensazioni diverse
guardando le due immagini?...
Bill: Non lo so.
Mi piace, come risposta.
Bill: Dopo averci pensato, ho deciso che non lo sapevo.
Qualche volta succede. Fa’ finta di saperlo. Parla. La cosa peggiore che ti può
capitare è di sbagliarti. Anni fa, mi sono reso conto di essermi sbagliato tante di
quelle volte che non mi restava altro da fare che tirare diritto e sbagliarmi in modo
più interessante.
Bill: Quando guardo l’immagine della comprensione, riesco a capire come
funzionano le cose. Questo mi da una sensazione di tranquillità e di rilassamento.
Quando guardo l’altra immagine, non riesco a vedere cosa sta per succedere; mi sento
un po’ teso.
Indubbiamente sembrano due esperienze molto diverse. Qualcuno di voi ha delle
domande riguardo a quello che ho fatto finora?
Uomo: A vederti, sembrava tutto così facile. Come fai a sapere quali domande fare?
Tutto ciò che ho bisogno di sapere è: “In cosa sono diverse le due esperienze?”. Le
risposte mi danno specifiche differenze nell’esperienza visiva, auditiva e cenestesica
della persona. Le mie domande sono spesso rivolte a ciò di cui la persona non si
accorge, e sono sempre dirette ad aiutare quella persona a fare delle distinzioni che
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prima non faceva. Per esempio, quando ho chiesto a Bill se era una diapositiva o un
film, rispondere gli è stato facile. Ma probabilmente prima d’allora non si era mai
nemmeno accorto della differenza, perché nessuno gliel’aveva mai chiesto.
Donna: Le tue domande seguono un ordine preciso? Gli hai chiesto se era una
diapositiva o un film prima di chiedergli se era a colori o in bianco e nero.
È abbastanza utile fare prima domande sulle cose, e poi domande sulle proprietà; sarà
meno facile sbagliare bersaglio. Se chiedi: “Si muove in fretta o lentamente?”, e poi
vien fuori che si trattava di una diapositiva, questo può in qualche misura confondere
la persona con cui state lavorando. Prima di tutto individuate gli elementi
fondamentali, e poi potrete andare alla ricerca di eventuali distinzioni più sottili.
Le domande che si possono fare sono anche funzione della propria familiarità con
certi fenomeni. Non è la prima volta che esploro la confusione e la comprensione, e
di conseguenza so già che genere di differenze è probabile trovare. Quando si impara
qualcosa di nuovo, è sempre così. La prima volta si va un po’ a tentoni. In seguito,
quando ci si è familiarizzati con quel che si sta facendo, si diventa più essenziali e
sistematici. Potreste anche stendere una lunga lista di tutte le possibilità, e prenderle
in esame una per una. Ma è più semplice se prima si mettono in evidenza alcune delle
distinzioni principali, e poi si chiede: “In che modo le due cose sono diverse?”.
Adesso passiamo alla parte più interessante. Bill, voglio che tu renda la ‘confusione’
e la trasformi in modo da farla diventare uguale alla ‘comprensione’. Non voglio che
tu cambi il contenuto. Voglio solo che tu cambi il procedimento che usi per
rappresentare il medesimo contenuto. Prima di tutto voglio che tu prenda la
diapositiva e la trasformi in un film...
Bill: Non mi sembra di riuscirci.
Fallo in questo modo. Prima di tutto, crea una serie di diapositive che rappresentino
momenti diversi. Quando ne hai abbastanza, guardale in rapida successione. Accelera
un po’, ed ecco il film. Un film è solo una sequenza di immagini fisse viste in rapida
successione.
Bill: Va bene. Adesso ho il film.
Bene. Adesso aggiungi una colonna sonora con una voce narrante che descrive il
film... (Bill annuisce).
Adesso ingrandisci il film e avvicinalo, finché non è grande come l’immagine della
comprensione, e alla stessa distanza... Cosa succede se lo fai? Lo capisci, adesso?
Bill: Sì. Adesso riesco a vedere cosa succede. Mi sento molto più a mio agio. Provo
le stesse sensazioni nei confronti delle due immagini.
È senz’altro plausibile che se uno ha un film di grandi dimensioni accompagnato da
una colonna sonora con una voce narrante, è più facile capire la cosa in questione di
quando si dispone soltanto di un’immagine fissa, lontana, di piccole dimensioni. Le
informazioni sono molte di più, e sono organizzate in modo da poterle capire. Questo
è il modo in cui Bill impara spontaneamente a capire le cose.
Donna: Non è che per eliminare la confusione si debba avere una quantità maggiore
di informazioni?
Qualche volta è così. Ma spesso la persona in realtà già dispone delle informazioni
necessarie; solo che non vi accede in modo da permettere la comprensione. Non è che
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ti manchi qualcosa; semplicemente, ciò che hai è male organizzato. Tutti voi sapete
molto di più di quello che credete di sapere. Di solito a creare confusione non è la
scarsità di informazioni, ma l’eccessiva abbondanza. Spesso la confusione è un
enorme collage di dati, o un gran numero di immagini che si susseguono
rapidamente. Nella maggior parte dei casi, invece, l’immagine della comprensione è
bene organizzata e molto economica. È come una equazione matematica ben
congegnata, o una bella poesia. Essa distilla un gran numero di dati in una
rappresentazione estremamente semplice. Quel che ho fatto con Bill gli ha reso
semplicemente possibile raccogliere certi dati di cui già disponeva, in modo da poterli
capire. Esser capaci di usare la mente significa di essere in grado di accedere ai dati
che già si possiedono, di organizzarli e di utilizzarli.
Tutti voi, credo, hanno visto cosa succede quando in un caminetto il fuoco si spegne.
Se si risistemano un po’ i ceppi, il fuoco riprende vita. Non avete aggiunto nulla.
L’unica cosa che avete cambiato è stata la disposizione, ma la differenza è stata
enorme.
Se pensate di aver bisogno di nuove informazioni, probabilmente farete un sacco di
domande. Se le risposte contengono semplicemente dati grezzi, questi non vi saranno
di grande aiuto, e dovrete continuare a far domande. Ma se le risposte vi aiutano a
organizzare i dati che già avete, esse possono aiutarvi a capire. Questo viene spesso
chiamato ‘apprendimento passivo’: è quel tipo di persona che ti chiede sempre di
imboccarla. Altri riescono a incamerare grandi quantità di dati e a organizzarli senza
aiuti determinanti dall’esterno. Questo viene spesso chiamato ‘apprendimento attivo’.
Adesso, Bill, voglio che tu provi a fare l’opposto. Prendi ciò che all’inizio capivi, e
rendi l’immagine più piccola, più lontana, immobile, e poi cancella la colonna
sonora...
Bill: Adesso sono teso e confuso.
Così adesso potremmo prendere tutto ciò di cui tu sei sicuro, e confonderti nel modo
più totale. Voi ridete; non vi rendete conto di quanto ciò possa essere utile? Non
conoscete nessuno che sia sicuro di capire determinate cose, mentre in realtà non le
capisce affatto?... e questa falsa sicurezza lo mette spesso in difficoltà? Una buona
dose di confusione potrebbe motivarlo ad ascoltare gli altri, e a raccogliere
informazioni che potrebbero essergli utilissime. La confusione e la comprensione
sono esperienze interne. Non hanno necessariamente a che fare col mondo esterno.
Anzi, se vi guardate intorno, di solito non c’è un gran rapporto.
Perché Bill possa vivere l’esperienza che lui chiama ‘comprensione’, deve seguire un
processo in cui le informazioni da lui possedute vengono rappresentate da un film di
grandi dimensioni con colonna sonora. Qualche volta ciò succede per caso, mentre
altre volte può darsi che sia qualcun altro a indurlo. Ora che Bill sa come funziona,
tuttavia, può deliberatamente avviare lo stesso processo ogni volta che qualcosa lo
lascia confuso. Se non dispone di dati sufficienti, può darsi che non arrivi a una
comprensione completa; il suo film può avere delle lacune, oppure ogni tanto la
colonna sonora può diminuire di volume fino a sparire. Ma per lui sarà la migliore
rappresentazione possibile di ciò che sa. Quelle lacune del film indicheranno
esattamente dov’è che gli mancano delle informazioni. E ogni volta che è stufo di
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qualcosa che capisce già fin troppo bene, può contendersi come preludio al
raggiungimento di una comprensione nuova e diversa.
Adesso voglio che tutti voi facciate, a turno, ciò che ho fatto con Bill. Mettetevi in
coppia con qualcuno che non conoscete, perché in questo modo vi sarà più facile.
1) Chiedete al vostro compagno di pensare: a) a qualcosa che lo fascia confuso, e b) a
qualcosa di analogo che invece capisce. Il vostro compagno non deve dirvi nulla
riguardo al contenuto.
2) Chiedete: “In che modo le due esperienze sono diverse?”. Non vi serve sapere in
che modo siano analoghe, ma soltanto in che modo siano diverse una dall’altra.
3) Quando siete venuti a sapere almeno due differenze, chiedete al vostro compagno
di trasformare la confusione in modo da farla diventare uguale alla comprensione.
4) Verificate quel che avete fatto chiedendo al compagno se ora capisce ciò che prima
lo confondeva. Se capisce, avete finito. Se non capisce, tornate al punto 2) e trovate
qualche altra differenza. Continuate finché non ha capito, o finché non ha identificato
la specifica mancanza di informazioni che gli impedisce di capire bene. Tenete
presente che nessuno può mai capire nulla totalmente. Va bene così. Questo rende la
vita interessante. Dovreste starci su circa un quarto d’ora per uno...
***
Nella maggior parte dei casi vi sarete accorti che il vostro compagno dentro di sé fa
qualcosa di diverso da voi, relativamente alle parole ‘comprensione’ e ‘confusione’.
Prima di tutto sentiamo qualcuna delle differenze che avete scoperto, e poi
occupiamoci delle domande.
Uomo: La mia confusione è come un televisore quando il comando
dell’aggiustamento verticale è regolato male. Le immagini continuano a susseguirsi
così in fretta che non riesco a vederle. Quando l’ho rallentata e l’ho aggiustata, tutto è
diventato comprensibile. Ma per la mia compagna, la confusione era un panorama
visto da vicino. Succedevano tante cose e tutte così vicino a lei che non riusciva ad
averne una visione unitaria. Per capirle, ha dovuto rallentare e poi indietreggiare
fisicamente e vederle da una certa distanza.
Uomo: II mio compagno è uno scienziato. Quando è confuso, vede un film di cose
che succedono... quelli che lui chiama ‘dati grezzi’. Quando comincia a capire, vede
sovrapporsi al film dei piccoli diagrammi. Questi diagrammi lo aiutano a condensare
gli eventi, e gli spezzoni del film si fanno sempre più brevi, finché non arriva a quella
che lui chiama “immagine fissa in movimento”. È un’immagine fissa conn un
diagramma sovraimpresso che indica tutti i diversi modi in cui l’immagine fissa può
trasformarsi in un film. È come se l’immagine si contorcesse un pochino. È un
sistema molto economico.
Eccezionale. Queste cose risultano comprensibili per tutti? Ne ablamo già una
notevole varietà.
Donna: Quando capisco veramente qualcosa, ho cinque diverse immagini ben chiare
in una volta, come un televisore a schermo diviso. Quando sono confusa, ho una sola
immagine, e indistinta. La mia compagna, invece, quando capisce qualcosa, lo vede
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sempre qui, alla sua destra. Le cose che la lasciano confusa sono al centro, e le cose
di cui non sa nulla sono qui, alla sua sinistra.
Alan: La mia compagna ha fatto qualcosa che secondo me era molto strano. La sua
confusione era estremamente focalizzata e specifica, e la sua comprensione era un
film indistinto, luminoso, sfocato. Rendendo indistinta la confusione, aveva la
sensazione di capire. Le ho detto: “Gira la manopola, regola l’obiettivo in modo da
mandarlo fuori fuoco”.
Si può fare anche in questo modo, ma non c’è bisogno di andare sul metaforico. La
gente in realtà non ha manopole; potete semplicemente dirgli di farlo. Così, quando
rendeva indistinta l’immagine, lei capiva. Spero che non faccia il cardiochirurgo! È
una delle maniere più strane di farlo che mi sia mai capitato di sentire. Se sfochi
l’immagine, allora capisci! Indubbiamente è un caso molto diverso dagli altri che
abbiamo sentito finora. Anche a lei sembrava strano?
Alan: Sì. Non potrebbe darsi che in questo modo lei deleghi la cosa a un qualche
processo inconscio di livello inferiore di cui si fida?
No, non accetto spiegazioni come questa. Tutti questi procedimenti sono inconsci,
finché non si fanno delle domande dirette a renderli coscienti. Ci sono molte cose che
non facciamo intuitivamente, ma questa è differente. Ovviamente potrebbe darsi che
tu non abbia colto qualcosa di importante. Ma presupponendo che la tua descrizione
sia corretta, la sua comprensione non può essere legata a un fare qualcosa. Per fare
qualcosa, bisogna avere dei dettagli specifici. È per questo che ho detto quella
battuta, che speravo che non facesse il cardiochirurgo. Col suo modo di capire le
cose, i suoi pazienti non avrebbero grandi speranze di sopravvivenza.
Una comprensione indistinta e luminosa, però, può senz’altro funzionare in certe
occasioni. Per esempio, si tratta certamente di una persona che alle feste avrà sempre
un successone. Si dimostrerà sempre estremamente aperta nei confronti degli altri,
perché tutto quel che deve fare per avere la sensazione di capire quel che l’altro dice
consiste nel mandare l’immagine fuori fuoco. Non ci vogliono molte informazioni
per fare un film luminoso e indistinto. Lei lo può fare immediatamente, e poi godersi
un sacco di sensazioni guardando quel film pieno di luce.
Immaginate cosa succederebbe se questa persona sposasse un uomo che per capire
avesse bisogno di immagini cristalline. Lui direbbe, per esempio: “Cerchiamo di
mettere a fuoco le cose”, e questo la getterebbe nella confusione. E quando fosse lei a
descrivere le cose che capisce, per lui non sarebbero affatto chiare. Se lui si
lamentasse che tutto quel che lei dice è confuso, lei sorriderebbe e ne sarebbe
perfettamente soddisfatta, ma per lui sarebbe una frustrazione.
Il suo genere di comprensione è del tipo di cui parlavo prima, che non ha molto a che
fare col mondo esterno. L’aiuta a star meglio, ma non le sarà di grande aiuto per
affrontare i problemi reali. Le sarebbe allora utilissimo avere un altro modo di
capire... un modo più preciso e specifico.
Nell’ultimo seminario che ho tenuto, c’era un tale che aveva un tipo di
‘comprensione’ che non gli serviva a molto. Così provò a seguire il processo di
comprensione seguito dal suo compagno. Far questo gli diede un modo
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completamente nuovo di capire che gli spalancò le porte di un intero mondo fino
allora sconosciuto.
Quello di cui vorrei che tutti quanti vi rendeste conto è che tutti voi vi trovate nella
stessa posizione di quell’uomo, e della donna che sfoca le immagini. Per quanto il
vostro processo di comprensione vi sembri valido, ci saranno sempre momenti e
luoghi in cui un altro processo farebbe molto di più al caso vostro. Prima, qualcuno ci
ha esposto il processo seguito da uno scienziato... piccole immagini essenziali, con
dei diagrammi. Questo sistema funzionerà meravigliosamente bene per il mondo
della fisica, ma avanzerei l’ipotesi che questa persona abbia delle difficoltà a capire la
gente... è un problema assai frequente tra gli scienziati. (Uomo: Sì, è vero). Le
persone sono un po’ troppo complicate per capirle con dei diagrammini. Nel caso
delle persone, qualche altro modo di capire funzionerà senz’altro meglio. Più modi di
capire si hanno a disposizione, più saranno le possibilità che vi si schiudono dinanzi,
e più le vostre capacità si espanderanno.
Vorrei che tutti quanti provaste l’esperienza di seguire il processo di comprensione di
un altro. Mettetevi a coppie, scegliendo qualcuno con cui avete già lavorato. Già
sapete qualcosa della confusione e della comprensione di questa persona, come delle
vostre. Però avrete senz’altro bisogno di raccogliere qualche altra informazione.
Avete già individuato ed elencato le differenze tra la confusione e la comprensione,
sia le vostre che quelle del compagno. Non avete però ancora elencato tutte le
differenze tra la vostra comprensione e la confusione del vostro compagno. Già ne
sapete parecchio, ma probabilmente avete trascurato alcuni elementi che erano gli
stessi anche in ciò che avete confrontato in precedenza.
Dopo aver raccolto tutte le informazioni possibili sulla differenza tra la vostra
comprensione e la confusione del vostro compagno, scegliete un qualsiasi contenuto
che voi capite, e prima di tutto trasformatelo nella confusione del vostro compagno.
Quindi apportate tutti i cambiamenti necessari a trasformarlo nella sua comprensione
il vostro compagno potrà darvi delle indicazioni agendo da consulente,
consigliandovi e rispondendo a eventuali domande. Dopo aver provato il suo modo di
comprendere, confrontate la vostra esperienza con quella del compagno, per vedere
se sono uguali. Può darsi che al primo tentativo trascuriate qualcosa, e che dobbiate
ricominciare da capo. Lo scopo consiste nello sperimentare il modo di capire di
qualcun altro. Dopo averlo provato, potete decidere che non vi sembra niente di
speciale, e può darsi che non vi venga fatto di usarlo molto spesso. Ma non siatene
troppo sicuri: può funzionare meravigliosamente bene in cose che adesso vi mettono
in difficoltà. Come minimo, vi aiuterà a capire certe persone che usano questo
processo. Prendetevi una ventina di minuti a testa...
***
Avete trovato la cosa abbastanza interessante? Cosa avete provato quando avete
adottato il modo di capire dell’altro?
Uomo: II mio modo di capire è estremamente dettagliato, e di conseguenza mi è
molto facile capire le cose meccaniche. La comprensione della mia compagna era
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molto più astratta; quando capisce qualcosa vede degli arcobaleni indistinti. In realtà,
penso che personalmente non la definirei tanto ‘comprensione’, quanto sentire cosa
quelle cose significassero e esser capace di reagire facilmente a quegli stimoli. I
colori erano splendidi, e io sentivo una specie di calore e di eccitazione continua.
Erano indubbiamente due esperienze diverse!
Donna: Quando capisco qualcosa, vedo semplicemente un film dettagliato di
quell’evento, mentre succede. Il mio compagno quando capisce qualcosa vede due
immagini bordate che si sovrappongono. L’immagine più vicina è una immagine
associata dell’evento, mentre la seconda è un’immagine dissociata dello stesso
evento. Quando le due immagini corrispondono, ha la sensazione di avere capito. Il
mio compagno fa l’attore, e mi sono resa conto di quanto questo possa essergli utile.
Quando recita una parte è associato, ma allo stesso tempo dispone dell’altra
immagine, quella dissociata, che gli mostra la scena così come la vede il pubblico.
Quando ho assunto il suo modo di capire, ho avuto molte più informazioni sul modo
in cui gli altri mi vedono. Questo mi è stato di grande aiuto, perché di solito mi
scaravento nelle situazioni senza pensare a come gli altri possono vedermi.
Mi sembra indubbiamente utile. Assumere il modo di capire di qualcun altro è il
miglior modo che esista per entrare nel mondo quella persona. Quanti di voi avevano
già più o meno lo stesso tipo di comprensione del compagno?... Circa otto su
sessanta. Qui avete semplicemente preso qualcuno a caso. Ma la cosa è ancora più
affascinante se si scelgono persone di successo. Io sono un pragmatista; mi piace
sapere come agiscono le persone eccezionali. Un uomo d’affari dell’Oregon che
riscuoteva grandi successi, quando voleva capire un certo progetto faceva quanto
segue: partiva da una diapositiva, e l’ingrandiva finché non diventava una
panoramica completa, e lui c’era dentro. Quindi la trasformava in un film. Se in
qualche momento aveva difficoltà a vedere dove quel film lo portasse, indietreggiava
un pochino e vedeva se stesso dal di fuori. Non appena il film ripartiva, lui ci
rientrava dentro. Ecco un esempio di comprensione molto pratica, intimamente legata
al fatto di fare effettivamente qualcosa. Per lui, capire qualcosa e essere capace di
farlo erano due cose inestricabilmente legate.
Capire è un processo vitale per la sopravvivenza e l’apprendimento. Se in qualche
modo non riusciste a dare un senso alla vostra esperienza, vi trovereste in guai grossi.
Ciascuno di noi ha circa un chilo e mezzo di materia grigia che usa per cercare di
capire il mondo. Quel chilo e mezzo di sostanza gelatinosa può fare delle cose
veramente straordinarie, ma non ha modo di capire niente in modo veramente
completo. Quando pensate di capire qualcosa, questa è sempre una definizione di ciò
che non sapete. Karl Popper l’ha detto bene: “La conoscenza è una raffinata
dichiarazione di ignoranza”. Esistono diversi tipi di comprensione, e alcuni sono
molto più utili di altri.
Un primo tipo di comprensione vi permette di giustificare quello che fate, e vi
fornisce delle ragioni per non riuscire a fare niente di diverso. “Le cose stanno così
perché... ed è per questo che non si può cambiare nulla”. Dalle parti in cui sono
cresciuto, la chiamavamo una ‘scusa del cavolo’. Gran parte di ciò che gli ‘esperti’
dicono di sapere riguardo a cose come la schizofrenia o le difficoltà di apprendimento
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appartiene a questa categoria. Sono definizioni che possono far colpo, ma
fondamentalmente si tratta di insiemi di parole che
dicono: “Non ci si può fare nulla”. Personalmente, non sono interessato a ‘modi di
capire’ che portano in un vicolo cieco, anche se può essere la verità. Preferisco allora
lasciare la questione aperta.
Un secondo tipo di comprensione ci permette semplicemente di provare una
sensazione piacevole: “Ahhh”. La persona che per capire sfoca le immagini ne è un
esempio. È un po’ come salivare al suono di un campanello: è una risposta
condizionata, e tutto quel che se ne ricava è quella sensazione piacevole. È il genere
di cosa che può portare a dire: “Oh, sì, l’Io è quello lassù in cima alla tabella. L’ho
già vista; sì, capisco”. Fatto sta che questo genere di comprensione non ci insegna a
fare nulla di nuovo.
Un terzo tipo di comprensione ci permette di parlare di determinati argomenti
utilizzando concetti altisonanti e talvolta addirittura equazioni. Quanti di voi hanno
raggiunto una qualche ‘comprensione’ di un certo modo di comportarsi che a loro
non piace, ma questa comprensione non serve loro a comportarsi diversamente?
Questo è esempio di quello che sto dicendo. I concetti possono essere utili ma solo se
hanno una base esperienziale, e solo se permettono di fare qualcosa di diverso.
Spesso si può indurre una persona ad accettare consciamente una certa idea, ma è raro
che questo la porti a comportarsi diversamente. Se c’è qualcosa che è stato dimostrato
al di là di ogni possibilità di dubbio dalla maggior parte delle religioni del mondo, è
proprio questo. Prendete per esempio il comandamento “Non uccidere”. Non dice:
“salvo che...”. Eppure, i Crociati facevano allegramente a fette i musulmani, e la
Maggioranza Morale vuole altri missili in modo da avere la possibilità di far fuori
qualche milione di russi in più.
Spesso i partecipanti ai miei seminali mi chiedono: “Ma una persona di tipo ‘visivo’ è
la stessa cosa del Genitore in analisi transazionale?". Questo mi dice che queste
persone prendono quello che sto insegnando loro, e lo costringono a forza entro i
concetti che già possiedono. Se si può far sì che qualcosa di nuovo collimi con quel
che già si sa, non se ne imparerà nulla, e nulla cambierà del nostro comportamento. Si
avrà soltanto una gradevole sensazione di comprensione, una compiacenza di sé che
impedirà di apprendere qualsiasi novità.
Spesso dimostro come si possa trasformare una persona in pochi minuti, e qualcuno
mi dice: “Non pensi che questa persona stia semplicemente rispondendo alle
aspettative della situazione di ruolo?”. Personalmente ho rivoltato diversi ubriachi,
ma non ho mai rivoltato una situazione. È il tipo di persona che viene ai seminari e
non ottiene nulla in cambio di ciò che ha speso, in quanto se ne va con l’esatto genere
di comprensione con cui è arrivata.
L’unico genere di comprensione che mi interessa è quello che ci permette di fare
qualcosa. In tutti i nostri seminari si insegnano tecniche specifiche che permettono di
fare certe cose. Sembra semplice. Ma qualche volta le cose che insegno non
collimano col vostro abituale modo di capire le cose. La cosa più sana che potete fare
in queste circostanze è di restare confusi, e molti si lamentano del fatto che io
confonda la gente. Non si rendono ancora conto che la confusione è l'inizio di una
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nuova comprensione. La confusione è un’opportunità di ristrutturare l’esperienza e di
organizzarla in modo diverso da quello che adottereste normalmente. Questo vi
permette di imparare a fare qualcosa di nuovo e di vedere e udire il mondo in modo
nuovo. Si spera che l’ultimo esercizio vi abbia fornito un’esperienza concreta del
modo in cui la cosa funziona, e del genere di impatto che può avere.
Se aveste capito tutto quello che ho detto finora, e non foste mai rimasti confusi,
potreste star certi che non state imparando nulla di significativo e che state sprecando
i soldi che avete pagato per venire qui. Sarebbe una prova del fatto che state
continuando a capire il mondo nello stesso esatto modo di quando siete arrivati qui.
Così, ogni volta che vi sentite confusi, dovreste emozionarvi al pensiero della nuova
comprensione che vi attende. Dovreste allora essere grati per questa opportunità di
avviarvi su una strada nuova, anche se non sapete ancora dove vi porterà. Se il luogo
in cui vi porta non vi piace, potete sempre abbandonarla. Come minimo, sarete
arricchiti per il fatto di averla conosciuta, e di sapere che non vi piace.
Nel caso di certe persone, la comprensione ha in sé un elemento di incertezza. Un
ingegnere che conosco ha una comprensione composta da una matrice rettangolare di
immagini, con circa otto caselle per lato. Comincia a pensare di capire qualcosa
quando la matrice è per metà occupata da immagini. Quando le caselle sono occupate
al novanta per cento circa, sa di capire una certa cosa in modo abbastanza
approfondito. La sua matrice, tuttavia, ha sempre delle caselle vuote, il che significa
che la sua comprensione è sempre incompleta. Questo gli impedisce di essere sicuro
al cento per cento di qualsiasi cosa.
La comprensione di una delle mie allieve più promettenti è un film dissociato di se
stessa che fa la cosa che capisce. Quando vuole farlo veramente, entra nel film...
capire e fare sono quasi la stessa cosa. Dietro questo film c’è una successione di film
di lei stessa che fa la medesima cosa in situazioni diverse, la fa superando degli
ostacoli e via dicendo. Più sono i film di cui dispone, più è sicura di capir bene
qualcosa. Una volta le ho chiesto: “Di quanti film hai bisogno per capire qualcosa?”.
Lei mi ha risposto: “È sempre una questione di quanto io capisco una certa cosa. Se
ho solo alcuni film, ciò mi permette di capirla un pochino. Se ne ho di più, la capisco
meglio. Più film ho, e meglio capisco. Ma non raggiungo mai una comprensione
completa”.
Ci sono persone, invece, che sono assolutamente sicure di capire come si fa a fare una
certa cosa disponendo di un solo film in cui la fanno. Conosco un tale che una volta
aveva pilotato un aereo, e di conseguenza era completamente sicuro di saper pilotare
qualsiasi aereo, ovunque, con qualsiasi tempo, e con una mano sola! Questo tale
venne a un mio seminario che durava cinque giorni, imparò un unico schema, e se ne
andò a mezzogiorno della prima giornata, totalmente certo di sapere ormai tutto della
PNL. Che ve ne pare, come sistema per bloccarsi?
Bloccarsi in uno specifico modo di capire il mondo, quale che sia, è la causa di tre
malattie che affliggono l’umanità e a cui mi piacerebbe porre rimedio. La prima è la
serietà, come in ‘terribilmente serio’. Se decidete che volete far qualcosa, va
benissimo, ma prenderla troppo sul serio vi accecherà e diventerà un ostacolo.
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La seconda malattia è la certezza, la sicurezza. La certezza è quando la gente smette
di pensare e di accorgersi di ciò che la circonda. Ogni volta che vi sentite
assolutamente certi di qualcosa, potete star sicuri che qualche elemento vi è sfuggito.
Qualche volta può essere comodo ignorare una certa cosa per qualche tempo, ma se
siete assolutamente certi, probabilmente la trascurerete per sempre.
È facile farsi sorprendere dalla certezza. Anche chi è incerto, di solito è certo di
esserlo. O è sicuro di esser sicuro, o è sicuro di essere insicuro. È raro trovare
qualcuno che sia incerto sui propri dubbi, o incerto della propria certezza. Questa
esperienza la si può creare, ma di solito non la si incontra. Si potrebbe chiedere: “Sei
abbastanza sicuro da essere insicuro?”. È una domanda stupida, ma dopo che la si è
fatta l’altro non sarà più sicuro.
La terza malattia è l’importanza; e credere di essere importanti è la peggiore di tutte.
Non appena qualcosa diventa ‘importante’, ciò significa che altre cose non lo sono.
L’importanza è un ottimo modo per giustificare la cattiveria o la distruttività, o il fare
qualsiasi altra cosa abbastanza sgradevole da aver bisogno di una giustificazione.
Queste tre malattie sono quelle che bloccano la maggior parte delle persone. Si può
decidere che una certa cosa è importante, ma non si riesce a prenderla sul serio finché
non si è sicuri che sia importante. A questo punto si smette completamente di
pensare. L’ayatollah Khomeini è un ottimo esempio... ma potremmo trovare molti
esempi anche più vicino a noi.
Una volta parcheggiai di fronte al negozio di alimentari di una cittadina nei pressi di
dove vivevo. Un tizio arrivò di corsa e mi disse, arrabbiatissimo: “La mia amica dice
che mi hai fatto diventare scemo!”.
“Non credo proprio: vuoi che lo faccia?”.
“Ascoltami bene...”.
“Aspetta un secondo”, gli dissi, ed entrai nel negozio a fare la spesa.
Quando uscii, lui era sempre lì! Mi avvicinai alla macchina, e lui ribolliva di rabbia.
Presi un sacchetto della spesa, glielo porsi, e lui lo prese. Aprii la porta della
macchina, misi gli altri tre sacchetti dentro, gli presi il sacchetto dalle mani, entrai in
macchina e chiusi lo sportello. Quindi gli dissi: “Benissimo, se insisti”, gli feci
marameo e partii.
Mentre mi allontanavo, scoppiò a ridere istericamente, per il semplice fatto che io mi
rifiutassi di prenderlo sul serio.
Per la maggior parte delle persone, ‘essere bloccato’ significa volere qualcosa e non
poterlo ottenere. Sono pochissimi quelli che a questo punto riescono a fare una pausa
e a mettere in dubbio la propria sicurezza che la cosa in questione sia per loro
davvero tanto importante. Esiste però un altro tipo di blocco di cui nessuno si
accorge; non volere qualcosa e non averlo. Questa è la limitazione più grave che ci
sia perché non si sa nemmeno di essere bloccati. Vorrei che adesso ciascuno di voi
pensasse a qualcosa che in questo momento considera molto utile, o divertente, o
piacevole...
Adesso tornate a un’epoca antecedente della vostra vita, in cui non ne sospettavate
nemmeno l’esistenza, oppure ne eravate già a conoscenza, ma per voi non significava
nulla...
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Non sapevate proprio cosa stavate perdendo, non è vero? A quell’epoca non avevate
la minima idea di come foste bloccati, e non eravate motivati a cambiare. Eravate
sicuri che la vostra comprensione fosse un’accurata rappresentazione del mondo.
Ecco quand’è che siete veramente bloccati. Cos’è che vi starete perdendo adesso?...
Probabilmente la certezza impedisce il progresso umano più di qualsiasi altro stato
mentale. La certezza tuttavia, come qualsiasi altra cosa, è un’esperienza soggettiva
che voi potete trasformare. Scegliete un ricordo abbastanza dettagliato in cui eravate
assolutamente sicuri di aver capito una certa cosa. Era un’esperienza di
apprendimento; forse qualcuno vi stava insegnando qualcosa. Forse era difficile,
forse era facile, ma a un certo punto siete arrivati a quella sensazione di: “Ma certo!
Ora capisco!”. Richiamate il ricordo in modo che sia sufficientemente dettagliato...
Ora voglio che ricordiate tutto l’episodio all’indietro, proprio come quando si fa
girare un film alla rovescia...
Quando avete fatto, pensate alla cosa che avevate imparato o capito. È la stessa di
qualche minuto fa?
Marty: Quando ho mandato il film in avanti, sono passata da uno stato di confusione
a un: “Ah! Capisco!”. E poi, quando l’ho rimandato indietro, mi sono ritrovata al
punto in cui ero confusa.
Sì, mandarlo indietro significa fare proprio questo. Qual è adesso la tua esperienza,
quando pensi a ciò che qualche istante fa eri sicura di aver capito, qualsiasi cosa
fosse?
Marty: Beh, mi trovo di nuovo nello stato di confusione, ma una parte di me sa che
ho ancora quella comprensione che è venuta poi. Non riesco a ricreare lo stesso senso
di totale confusione che avevo la prima volta. Ma non sono tanto sicura neanche di
questo.
E gli altri? È lo stesso?
Ben: Beh, ho imparato qualcosa di nuovo di cui non so se mi rendevo conto
all’epoca, riguardo a quello che mi è successo nel corso dell’esperienza.
Beh, è interessante, ma non era questo che volevo sapere. Voglio sapere se la tua
esperienza attuale di ciò che avevi imparato è differente.
Ben: No, non c’è differenza.
Assolutamente nessuna differenza? Devi veramente pensarci su un attimo. Non puoi
dire semplicemente: “Oh, è lo stesso”. Sarebbe come dire: “Ho cercato di imparare a
volare, ma non sono riuscito a salire sull’aereo, perciò non funziona”.
Ben: Beh, è buffo che tu abbia parlato di volare, perché il mio ricordo era di quando
ho imparato a provare la sensazione dell’atterraggio sull’acqua... la sensazione del
contatto con l’acqua. Quando ho fatto andare il ricordo all’indietro, mi sono
distaccato da quella sensazione, e per far sì che l’aereo si muovesse all’indietro ho
dovuto guardare da una certa distanza. E questo ha aggiunto una nuova dimensione al
fatto di imparare a toccare l’acqua.
Ti ha dato una nuova prospettiva. Adesso sai qualcosa di più rispetto a prima riguardo
all’atterraggio di un aereo?
Ben: Sì.
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Che altro non sai? Ancora? Si possono imparare moltissime cose col semplice
espediente di proiettare un film all’indietro. Molti proiettano i loro film in avanti in
modo da poter imparare dall’esperienza, ma non sono molti quelli che li riproiettano
all’indietro. E gli altri? La vostra esperienza è rimasta la stessa?
Sally: No. I dettagli sono cambiati. È cambiato ciò a cui presto attenzione. Si tratta di
una sequenza di cose ordinate in modo diverso.
La sequenza è ordinata in modo diverso. E adesso, quel che avevi imparato allora è
diventato qualcosa di diverso?
Sally: Sì.
In che senso, diverso? Sai qualcosa che prima non sapevi? Oppure adesso sapresti
fare qualcosa di diverso?
Sally: Fondamentalmente, quello che so è rimasto lo stesso. Quello che ho imparato
non è diverso, ma è diverso il modo di sentirlo, e il modo di considerarlo.
E questo potrebbe influire sul tuo comportamento?
Sally: Sì.
Diversi di voi hanno ricavato parecchio dal semplice fatto di dedicare un minuto a
ripercorrere una certa esperienza all’indietro. Quanto potreste imparare riproiettando
tutte le vostre esperienze all’indietro.
Vedete, Sally ha perfettamente ragione. Riproiettare un film all’indietro cambia la
sequenza dell’esperienza. Pensate a due esperienze. (1) essere capaci di fare una certa
cosa, e (2) essere incapaci di fare la stessa cosa. Prima ordinatele nella sequenza 1-2,
cioè prima siete capaci di fare una certa cosa, e poi non ne siete capaci... Adesso
ordinatele nella sequenza 2-1, prima non siete capaci di fare una certa cosa, e poi ne
siete capaci... Sono due cose molto diverse, no?
Nella vostra vita avete vissuto certe esperienze in un certo ordine. Per lo più la
sequenza non era pianificata; è successo così, e basta. Molto di quel che capite è
fondato su questa sequenza abbastanza casuale. Siccome di sequenze ne avete una
sola, capite solo un certo insieme di cose, e questo rappresenta una limitazione. Se gli
stessi eventi vi fossero capitati in ordine diverso, le cose che capite sarebbero molto
diverse, e voi reagireste in modo molto diverso.
Ciascuno di voi ha un’intera storia personale che è il patrimonio di esperienze al
quale attingerà per procedere nel futuro. Il modo in cui lo utilizza determinerà ciò che
ne deriva. Se si ha un solo modo di utilizzarla, il risultato sarà estremamente limitato.
Ci saranno moltissime cose di cui non ci si accorgerà, moltissimi posti in cui non si
andrà, e moltissime idee che semplicemente non si avranno.
Mandare un’esperienza in avanti e mandarla all’indietro sono solo due degli infiniti
modi in cui si può ordinarla in sequenza. Se dividete un film anche solo in quattro
parti, ci saranno altre ventitre sequenze da sperimentare. Se lo dividete in un numero
maggiore di parti, il numero di sequenze sarà ancora maggiore. Ogni sequenza darà
luogo a un diverso significato, proprio come diverse sequenze di lettere creano parole
diverse, e diverse sequenze di parole creano significati diversi. Molte delle tecniche
della PNL sono semplicemente modi di cambiare la sequenza delle esperienze.
Vorrei far vostro quello che secondo me è uno dei passi più importanti
dell’evoluzione della vostra coscienza: diffidate del successo. Ogni volta che vi
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sentite sicuri, e che riuscite più volte ad ottenere un certo risultato, voglio che
cominciate a diffidare di ciò di cui non vi state accorgendo. Quando avete qualcosa
che funziona, questo non significa che altre cose non funzionerebbero, o che non ci
siano altre cose interessanti da fare.
Anni fa alcuni escogitarono un modo per estrarre dal terreno un certo liquido nero,
oleoso e repellente, per bruciarlo nelle lampade. Quindi escogitarono un modo per
farlo bruciare in grandi scatole d’acciaio sulle quali andare in giro. Si può perfino
farlo bruciare dentro un tubo, e spedire quel tubo sulla luna. Ma questo non significa
che non esistano altri modi per fare le stesse cose. Tra cent’anni la gente considererà
la nostra economia ‘ad alta tecnologia’ con la stessa commiserazione con cui noi
pensiamo ai carri a trazione animale.
Le vere innovazioni sarebbero state più facili all’inizio. Si sarebbero potute fare cose
veramente straordinarie. Che sarebbe successo se qualcuno si fosse detto: “Ehi,
funziona davvero! Che altro potrebbe funzionare? Che altro si potrebbe fare? Che
altri modi ci potrebbero essere per spostarsi, a parte bruciare questa roba e sputarla
fuori da questo coso? Quali altri modi ci sono per spostarsi, a parte girare in scatole di
metallo e volare in tubi di metallo?”. Più successi si hanno più si diventa sicuri, e
meno diventa probabile che uno si fermi a pensare: “Cos’è che non sto facendo?”. Le
cose che vi sto insegnando funzionano, ma voglio che pensiate a qualcos’altro che
potrebbe funzionare ancora meglio.
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7
Superare le convinzioni
Un altro modo di pensare al comportamento è ritenere che esso sia organizzato
attorno a certe cose estremamente durevoli chiamate ‘convinzioni’. Ogni volta che
qualcuno dice che fare una certa cosa è importante o non è importante, è perché al
riguardo ha una certa convinzione. Si può pensare che qualsiasi comportamento
venga mobilitato dalle nostre convinzioni. Per esempio, probabilmente voi non
sareste qui a imparare certe cose sulla PNL se non foste convinti che essa possa
essere interessante, o utile, o in qualche modo fruttuosa. I genitori non
trascorrerebbero tanto tempo con i figli piccoli se non fossero convinti che in seguito
ciò si tradurrà in un vantaggio per il figlio. Una volta i genitori evitavano ai figli una
stimolazione eccessiva, perché erano convinti che altrimenti sarebbero diventati
iperattivi; ora forniscono loro stimoli in quantità, perché sono convinti che in questo
modo ne venga favorito lo sviluppo intellettuale.
Le convinzioni sono veramente una cosa fenomenale. Le convinzioni possono
costringere gente assolutamente per bene ad andare ad ammazzare altri esseri umani
in nome di un’idea, e a sentirsene addirittura orgogliosi. Nella misura in cui si riesce
a far rientrare un certo comportamento nel sistema di convinzioni di una persona, si
può farle fare qualsiasi cosa, o farle smettere di fare qualsiasi cosa. È quello che ho
fatto col padre che non voleva che sua figlia fosse una puttana. Non appena misi in
rilievo che il suo comportamento violento e autoritario era esattamente lo stesso con
cui i protettori trattano le puttane, lui non potè più adottarlo senza violare le sue
stesse convinzioni. Non l’ho costretto a smettere ‘contro la sua volontà’, ammesso
che ciò significhi qualcosa. Feci in modo che il cambiamento si inserisse così bene
nel suo sistema di convinzioni da impedirgli di fare altrimenti.
Allo stesso tempo, le convinzioni possono mutare. Non si nasce già provvisti di
convinzioni. Tutti voi da bambini eravate convinti di cose che ora considerate
sciocche. E ci sono cose di cui siete convinti adesso e a cui in precedenza non avevate
mai nemmeno pensato... partecipare a questo seminario, per esempio.
La parola ‘convinzione’ è un concetto abbastanza vago per la maggior parte delle
persone, anche quando per una convinzione sarebbero dispostissime ad ammazzare
qualcuno. Vorrei darvi una dimostrazione di cosa sono fatte le convinzioni, e poi
farvi vedere in che modo si possano cambiare. Vorrei che venisse qui qualcuno che
ha una convinzione riguardo a se stesso, una convinzione che gli piacerebbe fosse
diversa. Vorrei che pensaste a una convinzione che in qualche modo vi limita. Di
solito è più utile cambiare le nostre convinzioni su noi stessi di quanto non lo sia
cambiare le nostre convinzioni sul mondo. Perciò trovatene una che secondo voi, una
volta trasformata in qualcosa di diverso, produrrebbe un cambiamento sostanziale.
Lou: Ne avrei una io.
73
Come se gli altri non ne avessero! Non dirmi di che si tratta. Voglio semplicemente
che tu pensassi a questa convinzione che tu preferiresti non avere... Adesso metti da
parte un momento l’esperienza in questione, e pensa a qualcosa su cui sei in dubbio.
Potrebbe essere vero, o potrebbe non esserlo; tu non ne sei per niente sicura...
Adesso vorrei che tu mi spiegassi in che modo l’esperienza della convinzione e quella
del dubbio differiscono l’una dall’altra. Voglio che tu faccia la stessa cosa che
abbiamo fatto prima con Bill, riguardo alla comprensione e alla confusione.
Lou: Beh, la mia convinzione è un’immagine di grandi dimensioni. È luminosa,
vivida e molto dettagliata. Il dubbio è un’immagine molto più piccola. È più scura e
confusa, ed è come se andasse a intermittenza.
Benissimo. Sono differenze piuttosto chiare. Non posso fare a meno di rilevare che la
convinzione si trova proprio di fronte a te, mentre il dubbio si trova in alto alla tua
destra. Ci sono altre differenze?
Lou: Beh, la convinzione praticamente riempie tutta la cornice, e per lo sfondo non
resta che pochissimo spazio. Il dubbio ha tanto sfondo, e non ha cornice.
Il passo successivo consiste nel prendere questo elenco di differenze e provarle una
alla volta, in modo da scoprire quali di esse siano più efficaci nel trasformare la
convinzione in dubbio. Per esempio, Lou, prendi l’immagine della convinzione, e
prova a rimpicciolirla...
Lou: Mi sembra che in questo modo diventi un po' meno reale, ma non è che cambi
gran che.
CONVINZIONE
grande
luminosa e vivida
dettagliata
stabile
di fronte
con cornice
poco sfondo
DUBBIO
piccolo
scuro e scialbo
confuso
intermittente
in alto a sinistra
senza cornice
molto sfondo
Benissimo. Riportala alle dimensioni originali e quindi prova a eliminare la cornice
dall’immagine della convinzione, in modo da poter vedere una parte maggiore dello
sfondo che la circonda...
Lou: Quando lo faccio, l’immagine automaticamente rimpicciolisce, e mi fa meno
effetto.
Molto bene. Così la cornice da anche le dimensioni, e ha un impatto superiore a
quello delle dimensioni da sole. Torna ali immagine originaria, e poi cambia la messa
a fuoco di questa immagine della convinzione in modo che diventi confusa...
Lou: In questo modo non è che cambi gran che.
Ritrasformala nell’immagine originaria, e poi rendila più scura...
Lou: Quando lo faccio comincia a andare a intermittenza, un po’ come il dubbio.
Quindi modificare la luminosità porta a dei cambiamenti anche nell’intermittenza.
Ritrasformala di nuovo nell’immagine originaria, e quindi prendi questa immagine
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della convinzione e cambiane la posizione. Spostala dal centro del tuo campo visivo
verso destra e verso l’alto...
Lou: È stranissimo. Sento come una specie di galleggiamento, e sento che il cuore mi
batte più in fretta. Quando comincio a cambiare la posizione, anche tutto il resto
comincia a cambiare. Rimpicciolisce, si oscura e va fuori fuoco; la cornice svanisce,
e comincia ad andare a intermittenza.
Bene. Riporta l’immagine di fronte a tè. La collocazione dell’immagine muta anche
tutti gli altri elementi, e di conseguenza questa è la submodalità che nel caso di Lou è
la più efficace nello spostare qualcosa dalla convinzione al dubbio. Ma prima di far
questo, abbiamo bisogno di qualcos’altro da mettere al suo posto. Lou, tu lo sai quale
convinzione ti piacerebbe avere al posto di quella che hai adesso?
Lou: Beh, veramente non ci ho mai pensato molto su.
Comincia a pensarci adesso, e accertati di pensarci in termini positivi, e non in
termini di negazioni. Pensa a qualcosa di cui vuoi essere convinta, non a qualcosa di
cui non vorresti essere convinta.
Vorrei anche che gli altri inquadrassero questa convinzione non in termini di un fine,
o di uno scopo, ma in termini di un processo o di una capacità che permetterebbe di
raggiungere lo scopo in questione. Per esempio, se vi piacerebbe essere convinti di
conoscere la PNL, trasformate questa convinzione così da essere convinti di poter
prestare attenzione, e imparare a rispondere al feedback in modo da imparare la PNL.
Lou: Sono pronta. So di cosa vorrei essere convinta.
Questa nuova convinzione è formulata in termini positivi, senza negazioni, e ha a che
fare con un processo che conduce a un certo scopo piuttosto che con lo scopo in sé?
Lou: Sì.
Bene. Adesso voglio che tu svolga quello che noi chiamiamo un ‘controllo
ecologico’. Voglio che ti prenda un po’ di tempo per immaginare in che maniera il
tuo comportamento cambierebbe se tu già possedessi questa nuova convinzione, e
pensassi a eventuali modi in cui questo cambiamento potrebbe costituire un problema
per te, o per le persone che ti sono vicine, o per le persone con cui lavori...
Lou: Non penso che costituirebbe un problema in nessun senso.
Bene. Questa la chiamiamo ‘nuova convinzione’. Mettila da parte un momento.
Adesso voglio che tu prenda l’immagine grande, quella della convinzione che non ti
piace, e che tu la sposti fino a farla arrivare là dove c’è il tuo dubbio. Facendo questo,
l’immagine perderà la cornice, si oscurerà, diventerà più piccola e più confusa e
comincerà ad andare a intermittenza...
Lou: Sì. Adesso è quassù, e sembra una qualsiasi immagine di dubbio.
Bene. In uno dei momenti in cui si oscura, fai scomparire l’immagine della vecchia
convinzione, e al suo posto fai comparire quella della nuova convinzione...
Lou: Sì. La nuova convinzione adesso è lì che va a intermittenza.
Adesso prendi questa immagine della nuova convinzione, e riportala al centro del tuo
campo visivo. Facendo questo osserva come intorno le compaia una cornice, e
l’immagine diventi più grande, più luminosa, più nitida e più vivida...
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Lou: È incredibile! Adesso è proprio dove prima c’era la vecchia convinzione. Sento
come se tutto il mio corpo fosse uscito da una prigione, e mi sento le guance
arrossate.
È vero. Sono in corso anche tanti altri bei cambiamenti. Puoi prenderti qualche
minuto per lasciare che questi cambiamenti si assestino, mentre io rispondo a qualche
domanda.
Uomo: Perché non si può semplicemente prendere l’immagine della convinzione
desiderata e non la si trasforma in una vera convinzione… come abbiamo fatto
trasformando la confusione in comprensione?
Quando avete trasformato la confusione in comprensione, non erano presenti altri tipi
di comprensione che potessero essere d’ostacolo. Si può addirittura avere vari tipi di
comprensione del medesimo contenuto senza che essi siano necessariamente in
reciproco conflitto. La convinzione tende a essere molto più universale e categorica
della comprensione. Quando si ha già una convinzione, non c’è spazio per un’altra a
meno che non si indebolisca innanzi tutto la vecchia convinzione. Di solito la nuova
convinzione è l’opposto della vecchia, o per lo meno molto diversa sotto certi aspetti.
Hai mai provato a convincere qualcuno di qualcosa che è l’opposto di ciò di cui è già
convinto? Di solito la convinzione esistente gli impedirà perfino di prendere in
considerazione quella nuova. Più forte è la convinzione, più questo sarà vero.
Pensatela in questi termini. Immaginiamo che una persona creda che X e bene, e che
voi riusciate a installarle una nuova convinzione, che X è male, senza cambiare quella
vecchia. Che cosa creereste?... Cosa è probabile che succeda se qualcuno è
fermamente convinto di due idee opposte?... Uno dei modi in cui si può risolvere la
situazione consiste nel diventare una personalità multipla... Per qualche tempo è una
delle due convinzioni a organizzare la persona in una certa maniera; quindi l’altra
convinzione prende il sopravvento, e riorganizza la persona in modo molto diverso.
Non è quello che io chiamerei un cambiamento evolutivo.
Donna: Vorrei chiedere il tuo parere sulla sensazione di ‘galleggiamento’ di cui Lou
ha parlato la prima volta che hai provato a cambiare la posizione dell’immagine della
convinzione.
Beh, questo genere di reazione mi dice due cose. La prima è che ho scoperto un
cambiamento di submodalità che induce effettivamente un profondo mutamento della
sua esperienza. La seconda cosa che mi dice è che lei non dispone ancora di una
nuova convinzione da sostituire a quella vecchia. Vi è mai capitato di vivere
un’esperienza che abbia mandato in frantumi una vecchia convinzione, senza che voi
ne aveste un'altra da mettere al suo posto? Alcuni vagano in una specie di nebbia per
giorni prima di riuscire a riorganizzarsi. Questo succede spesso a chi viene licenziato,
o quando muore un amico o un parente. Una volta mi è capitato di parlare con un tale
al quale un professore universitario di filosofia aveva mandato in frantumi una delle
sue convinzioni basilari. Mi disse che aveva abbandonato gli studi, e aveva vissuto
come in una nebbia per più di sei mesi. Così, prima di indebolire permanentemente la
vecchia convinzione, devo averne una nuova in attesa ‘dietro l’angolo’.
Adesso torniamo a Lou, e controlliamo cosa è successo. Lou, la nuova convinzione è
sempre lì?
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Lou: (Guarda diritto davanti a sé e lo sguardo le va fuori fuoco). Si Continuo a
controllare per essere sicura. È difficile credere che potesse essere così facile.
Che succede quando pensi alla vecchia convinzione?
Lou: (Porta lo sguardo in alto a sinistra, e sorride). Adesso sembra come rinsecchita.
Sicuramente non è più dov’era prima. Questo è un altro modo per controllare quello
che ho fatto, e ovviamente presto maggiore attenzione alle sue indicazioni non verbali
che alle sue parole. Adesso disponiamo di una verifica svolta dopo cinque minuti.
Vorrei che tutti quanti provaste questo schema in gruppi di tre persone. Uno di voi
farà il programmatore, un altro il paziente, e il terzo farà da osservatore-consulente.
Prima di cominciare, riassumerò di nuovo tutti i passi da seguire.
SCHEMA DI CAMBIAMENTO DELLE CONVINZIONI
A. Raccolta delle informazioni e preparazione
1. Convinzione: “Pensa a una tua convinzione riguardo a tè stesso che vorresti
non avere, perché in qualche modo ti limita o ha conseguenze indesiderabili.
Come rappresenti questa convinzione nella tua esperienza interna?”.
2. Dubbio: “Adesso pensa a qualcosa di cui dubiti. Può essere vero o può non
esserlo: non ne sei sicuro. Come rappresenti questo dubbio nella tua esperienza
interna?”.
Quando chiedete al vostro compagno di pensare a qualcosa di cui dubita, accertatevi
che sia qualcosa di cui è effettivamente insicuro. Se dice qualcosa come: “Dubito che
sia una buona idea”, in realtà può voler dire che è convinto che non sia una buona
idea. Il dubbio è quando si oscilla tra il pensare che qualcosa possa essere vero, e il
pensare che possa non essere vero; non lo si sa, e basta.
3. Differenze: Svolgete un'analisi per contrasto, per scoprire ed elencare le
differenze di submodalità tra la Convinzione e il Dubbio, come avete fatto
prima per la confusione e la comprensione.
4. Verifica: Verificate una alla volta ciascuna delle submodalità del vostro elenco
di differenze, per scoprire quali sono più efficaci nel trasformare la
convinzione in dubbio. Dopo aver verificato ciascuna submodalità,
ritrasformatela in quella che era originariamente, prima di verificare la
successiva.
5. Nuova convinzione: “Quale nuova convinzione vorresti avere al posto della
vecchia convinzione che hai adesso e non ti piace?”. Accenatevi che questa
convinzione sia formulata in termini positivi, senza negazioni. “Posso imparare
a cambiare in risposta alle reazioni altrui” e non: “Non sarò più incapace di
cambiare quello che faccio”.
Accertatevi anche che il vostro compagno pensi alla nuova convinzione nei termini di
una capacità o di un processo, anziché nel senso di avere già raggiunto uno scopo
desiderato. “Sono convinta di poter imparare a cambiare così da mantenere la linea” è
una convinzione utile. “Peso quarantotto chili e mezzo” non è una convinzione molto
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utile, specialmente se lei in realtà pesa centocinquanta chili! Voglialo mobilitare
nuove abilità, e non installare nuove illusioni.
Bisogna anche chiedere alla persona di svolgere un controllo ecologico: “Una volta
che tu avessi questa nuova convinzione, in che modo essa potrebbe crearti dei
problemi?”. “Tuo marito o i tuoi figli reagirebbero diversamente se tu avessi questa
nuova convinzione? Come?”. “Come influirà sul tuo lavoro questa nuova
convinzione?”, e via dicendo. Modificate la nuova convinzione così da tener conto di
tutte le possibili difficoltà.
Il vostro compagno non ha nessun bisogno di comunicarvi in che consista
esattamente la nuova convinzione. Per identificare il nuovo contenuto, basta una
parola.
B. Processo di cambiamento delle convinzioni
6. Dalla convinzione al dubbio: Mantenendo uguale il contenuto, trasformate la
convinzione indesiderata in dubbio usando le submodalità più efficaci da voi
scoperte nel passo 4, che possono essere una sola o più di una. Per esempio, se
le due differenze più rilevanti erano da film a diapositiva, e da panoramica
coinvolgente a immagine lontana e racchiusa da una cornice, fate in modo che
il film panoramico rallenti fino a diventare una diapositiva fissa, mentre allo
stesso tempo questa si allontana e viene racchiusa da una cornice.
7. Cambiare il contenuto: Usando qualche altra submodalità, cambiate il
contenuto passando dalla vecchia convinzione indesiderata a quella nuova che
si vorrebbe sostituirvi. Utilizzate qualcosa che il vostro compagno già fa,
oppure qualsiasi metodo graduale analogo. Per esempio, se nel dubbio il vostro
compagno fa scorrere le immagini avanti e indietro, può, facendole scorrere,
sostituire il nuovo contenuto a quello vecchio. Potreste far allontanare
l’immagine della vecchia convinzione finché non è tanto lontana da non potersi
più distinguere, e quindi farla riavvicinare con l’immagine della nuova
convinzione. Potreste rendere l’immagine tanto luminosa o tanto buia da far
sparire il vecchio contenuto, e quindi farla ricomparire col contenuto nuovo, e
così via.
8. Dal dubbio alla convinzione: Conservando il nuovo contenuto, trasformate il
dubbio in convinzione invertendo gli stessi cambiamenti di submodalità che
avete usato nel passo 6. Se il vostro compagno trasformava la vecchia
convinzione in dubbio spostando l’immagine verso destra, adesso spostate di
nuovo l’immagine verso sinistra per trasformare il nuovo contenuto da dubbio
in convinzione. Facendo questo, state attenti a qualsiasi ‘resistenza’, o a
qualsiasi difficoltà il vostro compagno possa incontrare. Se la nuova
convinzione non è formulata correttamente, o se contiene delle negazioni, può
darsi che qualche parte della persona abbia delle obiezioni. Quando vi trovate
di fronte a delle obiezioni, accoglietele, raccogliete le informazioni che vi
servono, e ripartite dal passo 5 ridefinendo la nuova convinzione.
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C. Verifica
9. Ci sono diversi modi per verificare quel che avete fatto. Potete chiedere:
“Come pensi a questa nuova convinzione?”. Chiedete informazioni sulle
submodalità, e usate il comportamento non verbale per confermare (o
confutare) l’esposizione verbale.
10. Quando la nuova convinzione è al suo posto, la vecchia convinzione
probabilmente acquisirà le submodalità dell’incredulità. Se scoprite come
viene rappresentata adesso la vecchia convinzione, potete confrontare le sue
submodalità con quelle del dubbio, che già conoscete, o con le submodalità
dell’incredulità, che potrete scoprire chiedendo alla persona di pensare a
qualcos’altro che la lascia totalmente incredula.
Spesso dico che in PNL un buon lavoro è fatto per il 95% di raccolta di informazioni,
e per il 5% di intervento. I primi cinque passi servono a predisporre il terreno per
l’intervento. Ciò facilita il compito di effettuare rapidamente e senza intoppi la fase
dell’intervento vero e proprio. Ricordate, il cervello non impara lentamente: impara
in fretta. Se tutto quanto è predisposto in anticipo, fare un buon lavoro è molto più
facile. È un po’ come mettere in piedi una lunga fila di tessere del domino, e quindi
dare un colpetto alla prima per far cadere tutte le altre.
Adesso andate avanti e provate questo schema in gruppi di tre persone. So che alcuni
di voi avrebbero delle domande; a molte di queste domande sarà data una risposta
dall’esercizio stesso. Le domande che vorrete ancora rivolgermi una volta eseguito
l’esercizio saranno molto più interessanti, poiché avrete una certa esperienza di cosa
significa mettere in pratica questo schema. E le mie risposte a loro volta saranno
molto più comprensibili.
Adesso che avete provato e avete una certa esperienza diretta della cosa, possiamo
passare a eventuali domande e commenti.
Uomo: Quando ho fatto il cambiamento delle convinzioni, ho provato tutta una serie
di profonde sensazioni interne. Avevo la sensazione di avere tantissimi pesciolini che
mi nuotavano nel cervello e nel corpo, e le due persone che mi osservavano hanno
notato anche loro tutta una serie di mutamenti visibili. È normale?
Quando la convinzione è particolarmente importante, quella che mi descrivi è la
reazione normale. Esistono convinzioni centrali, che organizzano gran parte del
comportamento della persona. Quando operi una trasformazione in una convinzione
centrale, spesso ne deriva unaprofonda riorganizzazione interna. Se la convinzione è
più periferica, i cambiamenti non sono altrettanto evidenti.
Uomo: Mi è risultato difficile pensare a una convinzione che mi fosse utile cambiare.
Mi piacerebbe avere qualche esempio di contenuto di quelle convinzioni che altri
hanno cambiato.
Donna: Sono anni che lotto per perdere gli ultimi tre chili che ho ancora di troppo per
arrivare al mio peso ideale, ma sono sempre stata convinta che dovevo lottare e
combattere per controllarmi in modo da perdere quegli ultimi tre chili. Così ho
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cambiato la mia convinzione che fosse difficile, e vi ho sostituito la convinzione che
perdere quegli ultimi tre chili sarà facile. Che sollievo: mi sento molto più rilassata.
Uomo: Ho lavorato io con lei su questa cosa, ed è stato veramente bello guardarla
fare questo cambiamento. Il viso, la voce, tutto il corpo... tutto era molto più rilassato,
dopo.
Donna: Ho il naso che mi cola, e ho cambiato la mia convinzione dì non poterci fare
nulla. Sono rimasta stupefatta, perché sento proprio il naso che mi si sta asciugando.
Uomo: Sono partito dalla convinzione che per me fosse pericoloso guidare di notte
senza occhiali. Volevo invece passare alla convinzione di poter guidare di notte senza
occhiali e senza pericolo. Allora il mio compagno mi ha fatto notare che la
convinzione che desideravo avere era una meta, e che cambiare convinzione poteva
essere pericoloso. Avrei potuto mettermi a guidare di notte pensando che questo non
fosse pericoloso, mentre invece lo era. Così siamo passati alla convinzione di poter
imparare a guidare di notte senza occhiali e senza correre alcun pericolo. In realtà
penso di aver lavorato su una convincono molto più generale, quella di non essere
capace di imparare, punto e basta. Credo che questo influirà su molte più cose che il
semplice guidare di notte; mi sembra qualcosa di molto più ampio.
Ottimo. Per molti è senz’altro utile cambiare la convinzione di non potere imparare a
fare qualcosa di nuovo. Molti provano a fare qualcosa una volta, non ci riescono, e ne
concludono che non lo sanno fare e che non potranno mai imparare a farlo. Conosco
un tale che ‘sapeva’ di non riuscire a suonare, il pianoforte: “Una volta mi sono
seduto al pianoforte, e ci ho provato, ma non ne è venuto fuori nulla”. Personalmente
prendo le mosse dalla convinzione che finché la maggior parte delle cellule cerebrali
sono intatte, chiunque possa fare qualsiasi cosa. Può darsi che dobbiate suddividere in
più parti ciò che vi proponete di fare, o che dobbiate imparare a farlo in modo
diverso, e può darsi che per ottenere buoni risultati vi ci voglia un certo tempo, ma
partire dal presupposto che potete imparare a farlo vi porterà un bei pezzo avanti. La
mia convinzione talvolta può anche essere errata, ma mi rende possibile fare cose e
ottenere risultati che nemmeno prenderei in considerazione se presupponessi che
certe persone sono geneticamente incapaci di fare certe cose.
Uomo: Alcuni usano il camminare sui carboni ardenti come sistema per cambiare le
convinzioni limitanti della gente. Potresti darci il tuo parere?
Se qualcuno è convinto di non potere fare una cosa come camminare sui carboni
ardenti, e tu gli fai scoprire che invece è possibile, questo può indubbiamente
mandare in frantumi una vecchia convinzione, specialmente se gli viene detto: “Se
puoi camminare sui carboni ardenti, puoi fare qualsiasi cosa!”. Tuttavia, non c’è
modo di calibrare esattamente la nuova convinzione che prende il posto della vecchia.
Ho letto di un tale che dopo aver camminato sui carboni ardenti ha detto: “Adesso
sono convinto che potrei trovarmi nel bei mezzo di un’esplosione nucleare, e non mi
succederebbe niente”. Se è fortunato, può darsi che non si trovi mai nella necessità di
verificare la sua convinzione, ma questo è un esempio del genere di convinzioni
sballate che in questo modo possono venire indotte. Se si inducono delle convinzioni
in questo modo, è facile che la gente s’inventi delle convinzioni che non hanno alcun
rapporto con la realtà di fatto o con le reazioni altrui. C’è addirittura uno di quelli che
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insegnano a camminare sui carboni ardenti che si definisce “il più grande istruttore di
PNL”, mentre non ha nemmeno l’abilitazione alla professione: figuriamoci se può
essere un istruttore! Questo individuo ha anche altre convinzioni ancora meno basate
sulla realtà di fatto.
So che alcuni dopo aver camminato sui carboni ardenti ne hanno ricavato
un’utilissima trasformazione delle proprie convinzioni. Anche un orologio fermo
segna l’ora giusta due volte al giorno. Il problema è che camminando sui carboni
ardenti si ha ben scarso controllo sulla nuova convinzione che prende il posto di
quella vecchia. Al mondo ci sono abbastanza convinzioni bizzarre e pericolose senza
che ci sia bisogno di aggiungerne altre in modo del tutto casuale.
Un altro problema relativo a cose come camminare sui carboni ardenti è che esse
tendono a indurre la convinzione che per cambiare sia necessario un evento esterno
particolarmente drammatico. Personalmente preferirei indurre la convinzione che il
cambiamento avviene continuamente, e facilmente, e fare in modo che avvenga a
nostro vantaggio dipende solo dal fatto di capire come si fa a far funzionare il nostro
cervello. Per far questo non è necessario camminare sui carboni ardenti.
Un problema a parte è sapere se camminare sui carboni ardenti sia in effetti una cosa
difficile da fare o no, o se le sei ore di preparazione evangelica significano
effettivamente qualcosa per riuscire a camminare sui carboni ardenti. Un giornalista
della rivista Rolling Stone ha cronometrato delle persone che camminavano sui
carboni ardenti, riscontrando tempi che variavano da un secondo e mezzo a un
secondo e nove decimi, con una media di circa un secondo e sette decimi. Il percorso
era di tre metri circa, e di conseguenza se fate passi di settantacinque centimetri
potete farcela facilmente in quattro passi: due per piede. Questo ci da un massimo di
meno di mezzo secondo di effettivo contatto ogni volta che si appoggia il piede.
Quelli che camminano sui carboni ardenti la fanno tanto lunga sulla temperatura dei
carboni — da 800 a 1000 gradi — ma non si soffermano sul fatto che il piede entra in
contatto solo due volte con i carboni ardenti, e ogni volta per meno di mezzo
secondo. Quando si raccoglie Un carbone ardente caduto sul tappeto per ributtarlo nel
caminetto, le dita restano probabilmente altrettanto a lungo a contatto col carbone... e
le punte delle dita sono molto più sensibili dei piedi.
La combustione non richiede solo la temperatura, ma anche un trasferimento di
calore, e il tempo di contatto è solo uno dei fattori nel trasferimento di calore.
Immaginiamo di essere in una baita di montagna, e di uscire dal letto la mattina con
20 gradi sotto zero, e che un piede nudo si appoggi su una lastra d’acciaio, e l’altro su
un tappeto di pelle di pecora. Sebbene tanto il tappeto quanto l’acciaio si trovino a 20
gradi sotto zero, l’acciaio sembrerà molto più freddo del tappeto, a causa della sua
superiore conduttività termica. La conduttività della brace è superiore a quella della
lana di pecora, ma molto inferiore a quella dell’acciaio. Al prossimo adepto delle
passeggiate sui carboni ardenti che incontrate, chiedete se è disposto a tare lo stesso
percorso su una lastra d’acciaio arroventata alla stessa temperatura di quei carboni!
Esiste un ulteriore fattore, che i fisici chiamano ‘effetto Leidenfrost’. Quando vi è una
significativa differenza di temperatura tra due sostanze, e quella più fredda è un
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liquido o contiene del liquido, si forma un sottile velo di vapore che crea una barriera
isolante, la quale riduce in modo significativo il trasferimento di calore.
Tutte le prove in mio possesso indicano che una passeggiata sui carboni ardenti della
durata di un secondo e mezzo e su un percorso di tre metri è qualcosa che chiunque
può fare, con o senza preparazione evangelica; pochissimi, tuttavia, pensano di
poterlo fare.
Donna: Alcune persone hanno delle convinzioni che non sembrano influire molto sul
loro comportamento. Il mio capufficio, per esempio, parla sempre della necessità di
essere cortesi, mentre lui di solito si comporta in modo estremamente sgarbato. Come
si spiega?
Io cerco di capire come le cose funzionano, non cerco di ‘spiegarle’. Ci sono diverse
possibilità. Una è che questa convinzione non sia in realtà qualcosa di cui lui è
convinto, anche se ne parla. Tanti ‘intellettuali’ hanno convinzioni di questo genere,
che non hanno alcun effetto sul loro comportamento. In casi del genere si potrebbe
usare lo schema di cambiamento delle convinzioni in modo da trasformare questa
convinzione in un’altra, soggettivamente abbastanza reale da influire sul suo
comportamento.
Un’altra possibilità è che la convinzione sia sì reale, ma selettiva: sono gli altri che
dovrebbero comportarsi gentilmente con lui, mentre lui non ha bisogno di
comportarsi gentilmente con gli altri, perché è un individuo speciale. I re, i dittatori e
alcuni divi del cinema sono così. Le convinzioni non comportano sempre la
reciprocità.
Una terza possibilità è che la convinzione del tuo capuffìcio sia reale e abbia in sé un
elemento di reciprocità, ma che ciò che lui considera ‘essere gentile’, per gli altri sia
una manifestazione di scortesia. Negli anni Sessanta tanti psicologi di scuola
umanista abbracciavano chiunque con troppa foga, perché erano convinti che fosse
bello farlo, senza notare se l’ ‘abbracciato’ lo apprezzava o no. Avevano anche
l’abitudine di andare in giro a insultare la gente, perché pensavano che fosse sempre
un bene essere onesti e dire la verità. I crociati erano convinti che fosse importante
salvare delle anime, e non si curavano del fatto che qualche volta, per salvare
l’anima, fosse necessario uccidere il corpo.
Il processo di trasformazione delle convinzioni è relativamente facile, purché si abbia
il consenso della persona. Se la persona non vuole cambiare le sue convinzioni, è un
po’ più difficile. Sono anche partito dal presupposto che foste in grado di identificare
una convinzione che valesse la pena di cambiare. Qualche volta non è affatto facile, e
può darsi che si debba lavorarci su per determinare qual è la convinzione limitante.
Spesso la convinzione che la persona vuole cambiare non è quella che in effetti limita
il suo comportamento.
In questa sede, il mio scopo principale è insegnarvi un procedimento che voi possiate
usare per trasformare le convinzioni. Però è importante anche il contenuto che si
mette in una certa convinzione. Ecco perché vi ho chiesto di svolgere sempre e
comunque il controllo ecologico, come pure di formulare la nuova convinzione in
termini di processo anziché di scopo, e di formularla in termini positivi. Vi ho chiesto
di mettere in pratica questo processo di cambiamento delle convinzioni senza
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conoscere il contenuto della nuova convinzione, perché so che alcuni di voi si
perderebbero nel contenuto, e avrebbero difficoltà ad apprendere il processo. Dopo
aver imparato bene il processo, sarà meno facile che vi perdiate nel contenuto.
Quando si lavora con dei pazienti, è certamente opportuno sapere qualcosa del
contenuto, in modo da poter verificare che la nuova convinzione sia formulata in
termini positivi, che sia un processo e non uno scopo, e che non possa causare
problemi di tipo ecologico. Le convinzioni sono qualcosa di molto potente;
cambiarne una può dare ottimi risultati, ma se si installa quella sbagliata, i risultati
possono anche essere pessimi. Voglio che stiate molto attenti alle nuove convinzioni
che andate installando negli altri.
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8
Imparare
Ho sempre ritenuto interessante il fatto che quando qualcuno discute su un tema di
scarsa importanza, si dica che è una discussione ‘accademica’. Io e John Grinder
fummo costretti a lasciare l’incarico di docenti all’Università di California perché
insegnavamo agli studenti a fare delle cose importanti per la loro vita. L’accusa che
ci venne mossa fu proprio questa. Si disse che la scuola serviva solo a insegnare agli
studenti delle cose su certi argomenti.
Da studente universitario, gli unici due corsi nei quali andai male furono quello di
psicologia e quello in cui si insegnava a parlare in pubblico. Al primo esame di
psicologia mi buttarono fuori, e a quello di oratoria presi un ‘insufficiente’. Che ve ne
pare? La PNL è la mia vendetta.
Nei miei contatti con gli educatori, mi sono accorto che chi insegna una certa materia
può essere ferratissimo, e sapere un sacco di cose su quello specifico argomento. Con
tutto ciò, di solito sa pochissimo su come le ha imparate, e ancor meno su come
insegnarle agli altri. Una volta ho assistito a una lezione del primo corso di chimica.
Il professore si presentò di fronte a 350 persone e disse: “Adesso voglio che
immaginiate che qui ci sia uno specchio, e che di fronte allo specchio ci sia una
molecola a elica di DNA, che ruota all’indietro. Alcuni dei presenti fecero: “Ahhh!”.
Quelli poi finirono col fare i chimici. Alcuni fecero “Huh?”. Questi non diventarono
dei chimici. Alcuni dei presenti invece fecero: “Urghh!”. E questi ultimi finirono col
fare gli psicoterapeuti!
Quel professore non si rendeva assolutamente conto che la maggior parte delle
persone non riusciva a visualizzare con la sua stessa ricchezza di dettagli. Questo
genere di visualizzazione è una condizione necessaria per dedicarsi con successo alla
chimica, ed è un’abilità che può essere insegnata a persone che non sanno ancora
visualizzare bene. Ma poiché quel professore presupponeva che chiunque potesse già
fare quello che faceva lui, non faceva altro che perdere il suo tempo con la maggior
parte delle persone che frequentavano i suoi corsi.
La maggioranza degli studi sul processo di apprendimento hanno un’impostazione
‘oggettiva’. La PNL, invece, si propone di indagare l’esperienza soggettiva dei
processi mediante i quali le persone imparano. Gli studi ‘oggettivi’ di solito studiano
persone che hanno dei problemi di apprendimento; la PNL studia l’esperienza
soggettiva di persone che hanno la soluzione. Se si studia la dislessia, alla fine si
sapranno un sacco di cose sulla dislessia. Ma se si vuole insegnare a leggere ai
bambini, è più logico studiare persone che sanno leggere bene.
Quando inventammo il nome di ‘programmazione neurolinguistica’, tanti dissero:
“Sa un po’ di ‘controllo della mente’ “, come se in questo ci fosse qualcosa di male.
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Io dissi: “Sì, certo”. Se non si comincia a controllare e a usare il proprio cervello, non
si può fare altro che affidarsi al caso. Il nostro sistema educativo è un po’ la stessa
cosa. Ti mettono davanti un contenuto per dodici anni di seguito; se lo impari, allora
tè lo hanno insegnato. Il sistema educativo attuale è un fallimento sotto diversi
aspetti, e io vorrei discuterne alcuni.
fobie scolastiche
Uno dei problemi più diffusi è che tanti ragazzi hanno già avuto brutte esperienze
scolastiche. Per questo motivo, una certa materia, o la scuola in generale, diviene uno
stimolo tale da scatenare nel ragazzo brutti ricordi, che lo fanno star male. E nel caso
che non ve ne siate accorti, quando si sta male non è che si possa imparare gran che.
Se la reazione del ragazzo è particolarmente intensa, gli psicologi la definiscono
‘fobia scolastica’. Lo star male in reazione a una certa situazione scolastica può
essere risolto rapidamente, utilizzando alcune delle tecniche che abbiamo descritto e
dimostrato in precedenza, ma vorrei farvi vedere un altro semplicissimo metodo con
cui si può ottenere lo stesso risultato.
Quanti di voi provano sensazioni spiacevoli riguardo alla matematica... frazioni,
radici quadrate, equazioni quadratiche e roba del genere? (Scrive alla lavagna una
lunga serie di equazioni, e diverse persone gemono o sospirano).
Adesso chiudete gli occhi e pensate a un’esperienza che per voi sia stata
assolutamente meravigliosa... qualche situazione in cui vi siate sentiti emozionati e
curiosi...
Adesso aprite gli occhi per un paio di secondi e guardate queste equazioni, e poi
chiudete gli occhi e tornate a quell’esperienza meravigliosa...
Adesso aprite gli occhi e guardate le equazioni per diversi secondi in più, e poi
tornate alla vostra esperienza emozionante. Alternate le due cose qualche altra volta,
finché le due esperienze non si sono completamente integrate...
Adesso è il momento di fare una verifica. Prima guardate da un’altra parte e pensate a
una qualsiasi esperienza ne brutta ne bella... e poi guardate queste equazioni, e notate
la vostra reazione.
Uomo: Santo cielo, funziona!
In realtà questo è un vecchio metodo di PNL che noi chiamiamo ‘integrare le ancore’.
Se volete saperne di più, potete leggere La metamorfosi terapeutica. È possibile
trasformare con la stessa facilità e rapidità la maggior parte delle reazioni negative
alla scuola, ma per poterlo fare dovete sapere come funziona il nostro cervello.
Un modo più fantasioso per utilizzare lo stesso principio consiste nel collegare fin
dall’inizio l’apprendimento con la gioia e il divertimento. Nella maggior parte delle
scuole, i ragazzi sono costretti a sedere in silenzio in file di banchi perfettamente
allineate. Io domando sempre: “Quanto ci vorrà prima che i ragazzi possano avere
l’opportunità di ridere, muoversi e divertirsi?”. Se all’apprendimento sono legate solo
noia e scomodità, non c’è da meravigliarsi che nessuno abbia voglia di imparare. Uno
dei grandi vantaggi dell’educazione assistita dai calcolatori è che stare con un
calcolatore è molto più divertente che stare con la maggior parte degli insegnanti. Il
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calcolatore ha una pazienza infinita, e non fa mai star male il ragazzo come fanno
tanti insegnanti.
Ricordare
Un altro grosso problema per molti ragazzi è ricordare le cose che imparano a scuola.
Gran parte della cosiddetta educazione consiste semplicemente nel mandare a
memoria. Qui le cose stanno un po’ cambiando. Gli insegnanti stanno cominciando a
rendersi conto che la massa delle informazioni è tale e si sta espandendo così
rapidamente e sta cambiando così in fretta, che la memorizzazione non è più tanto
importante come si pensava una volta. Oggi è molto più importante esser capaci di
trovare le informazioni necessario quando se ne ha bisogno, utilizzarle e quindi
scordarsene. Però bisogna esser capaci di ricordare come si fa.
Uno degli aspetti della memoria è paragonabile a quello che abbiamo appena
discusso a proposito dell’apprendimento. Il ricordo è associato a esperienze piacevoli
o spiacevoli? Perché la persona possa ricordare qualcosa, deve tornare allo stato di
coscienza in cui l’informazione le è pervenuta. È così che funziona la memoria. Se
quando chiedete a una persona di fare qualcosa la fate arrabbiare o la rendete infelice,
per ricordare quella cosa dovrà tornare in quello stato di coscienza. E siccome non
avrà nessuna voglia di star male, non è facile che se ne ricordi. Ecco perché per la
maggior parte abbiamo un’amnesia totale riguardo ai nostri dodici o sedici anni di
educazione scolastica. Personalmente non riesco nemmeno a ricordare i nomi degli
insegnanti, per non parlare della maggior parte di quello che mi è stato insegnato, o
dei fatti che sono successi. Ma l’ultimo giorno di scuola me lo ricordo bene!
Come ti chiami?
Donna: Lydia.
Hai dimenticato di metterti la targhetta con il nome. L’unico modo in cui riesco a
ricordarmi i nomi è di allucinare sulla persona una targhetta con il nome. Ogni volta
che conosco una persona nuova, fisso lo sguardo sulla parte sinistra del petto; a
questo punto mi crederanno un pervertito. Una volta ho tenuto un seminario alla
Xerox, e siccome tutti avevano una targhetta della Xerox, io continuavo a chiamare
tutti ‘Xerox’. Sono cose che funzionano così; il cervello impara a fare in un certo
modo, e continua a farlo anche dopo essersi reso conto che non serve a niente.
Lydia, adesso ti dirò un numero: 357. Adesso voglio che tu dimentichi il numero che
ti ho appena detto... Tè ne sei dimenticata? (No). Se non riesci a dimenticare anche
solo un numero, un numero privo di significato, come fai a dimenticarti la targhetta
col nome, o contenuti importanti presentati in un seminario? E adesso te ne sei
dimenticata? (No). Allora, com’è possibile che tu non riesca a dimenticare qualcosa
che non ha nessuna importanza?
Lydia: Se continuiamo a parlarne, me ne ricorderò ancora meglio. Non importa se è
importante o no. E specialmente se mi chiedi di dimenticarlo, io non riesco a
dimenticarmene.
Mi sembra logico... Hai visto quanti hanno annuito quando l’hai detto? “Certo, tu mi
hai chiesto di dimenticarmene, e allora devo ricordarmene. Dopo tutto non ha
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nessuna importanza, ma ne stiamo pur parlando. Se mi chiedi di dimenticare qualcosa
di nessuna importanza di cui si è parlato a lungo, io sono costretta a ricordarmene”. È
bizzarro, non è vero?... Ma Lydia ha perfettamente ragione.
Sembra strano, ma anche se sembra strano sapete che ha ragione. Il fatto che lei dica
questo è altrettanto strano quanto che lei lo faccia. Eppure la psicologia lo ignora,
come se non avesse alcun significato, e continua a studiare cose come i ‘complessi
edipici’ e altre astruserie. La psicologia trascura di studiare come si imparano le cose,
e preferisce studiare la ‘profondità’ dello stato di trance in cui ci si trova... è la
metafora per cui la trance è una buca in cui si cade, e acquista maggior valore quanto
più giù si va. Quelli che parlano di ‘livelli di coscienza’ non sono d'accordo; secondo
loro è meglio andare più in su, e non più in giù.
Se non ne avessi parlato tanto a lungo, e ne avessi parlato nel modo giusto, Lydia
avrebbe anche potuto dimenticare un numero di sole tre cifre. Si è ben potuta
dimenticare la targhetta con il nome anche se le è stato detto che era importante.
Molti di voi cercano di far ricordare agli altri certe cose. A quanti di voi è capitato di
parlare a qualcun altro di cose importanti, per poi accorgersi che l’altro se n’è subito
dimenticato? E voi avete pensato che fosse colpa sua! Ricordatevene, quando volete
che un altro si ricordi di qualcosa.
A parte torturare i topi, probabilmente la psicologia ha dedicato allo studio della
memoria più tempo che a qualsiasi altro soggetto. Eppure, non è mai veramente
riuscita a capire come la memoria funzioni in termini di esperienza soggettiva.
Quanti di voi hanno difficoltà a ricordare i numeri di telefono? La maggior parte di
voi probabilmente cerca di farlo auditivamente, ripetendosi il numero verbalmente. A
molti di voi le tabelline sono state insegnate proprio mediante la recitazione auditiva.
Anche quando si raggiunge lo scopo, è un processo molto lento, perché per arrivarci
dovete recitare dentro di voi tutte quelle parole. ”Nove, sei tre... zero, quattro, sei,
otto”; “Sei per nove, cinquantaquattro”. Nel caso di molte informazioni, è molto più
utile memorizzarle visivamente, e non auditivamente: 963-0468, 6x9 = 54. Quando
ricordate visivamente, l’intera immagine si presenta alla vostra mente tutta insieme, e
voi la scorrete fino all’informazione di cui avete bisogno, e poi la leggete o la
ricopiate. Molti ragazzi che sono considerati ‘lenti nell’apprendimento’ non fanno
altro che ricordare auditivamente, e non visivamente. Se si dedicano un paio d’ore a
insegnar loro a farlo visivamente, imparano molto più in fretta.
D’altra parte, c’è chi cerca di ricordare la musica creando delle immagini o provando
certe sensazioni, invece di udire i suoni. Quindi è sempre questione di ricordare in un
modo che sia appropriato a ciò che volete ricordare.
Un altro buon sistema per avere una cattiva memoria consiste nel fare cose totalmente
irrilevanti allo scopo di mandare a memoria le informazioni desiderate. Se ci si
continua a ripetere: “Devo ricordare quel numero di telefono”, allora ciò che si
ricorderà è questa frase, invece del numero di telefono! C’è tanta gente che fa cose
del genere, e poi si chiede come mai ha così ‘poca memoria’. In realtà hanno una
memoria eccellente, solo che la usano per ricordare delle stupidaggini.
Se si studiano coloro che hanno una memoria fenomenale, si scoprirà che fanno cose
veramente interessanti. Un tale dalla memoria eccellente mette dei sottotitoli sotto
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tutte le sue immagini. Imprime letteralmente certe parole sulle immagini, parole che
descrivono il significato dell’immagine stessa. Questa breve descrizione verbale
codifica e categorizza il ricordo, così che ritornarvi è facile. È come mettere un titolo
a un film, in modo da poter dare un’occhiata al titolo e capire di che si tratta senza
doversi guardare tutto il film. Nel campo dei calcolatori lo chiamiamo ‘codice di
etichettatura casuale’... qualcosa di arbitrario ma caratterizzante, che è correlato con
questo e allo stesso tempo correlato con quello, e collega insieme le due cose.
Una volta a uno dei nostri seminari c’era una signora che venne rapidamente
presentata a quarantacinque persone, che le dissero il loro nome e cognome. Fu tutto
quel che le ci volle per ricordare il nome di tutti. Ho visto Harry Lorange fare la
stessa cosa con circa trecento persone a uno show televisivo. Quando questa signora
veniva presentata a qualcuno, si concentrava su qualcosa di estremamente
caratterizzante: la forma del naso, il colore della pelle, il mento, o qualsiasi cosa che
spontaneamente le si presentasse come tipico di quella persona. Quindi continuava a
concentrare la sua attenzione su quella particolare caratteristica mentre udiva il nome
della persona, e questo legava le due cose. In più, faceva un rapido controllo
distogliendo un attimo lo sguardo per visualizzare quella caratteristica tipica mentre
ascoltava il nome della persona, per accertarsi che il collegamento fosse avvenuto.
Personalmente, preferisco che la gente porti una targhetta con il nome, per non
dovermi preoccupare di cose del genere. Tuttavia si tratta certamente di un talento
utile, che potrebbe essere insegnato ai venditori di professione. Questi hanno spesso a
che fare con molte persone, ed è considerato importante ricordare il nome di tutte ed
avere rapporti di cordialità a livello individuale.
Se i vostri rapporti con la gente si svolgono soprattutto per telefono, questo metodo
visivo non funzionerà. Però si può facilmente adattarlo al sistema auditivo: quando
sentite il nome, individuate qualcosa di tipico nel tono o nella cadenza della voce
della persona, e ascoltatela pronunciare il proprio nome con quella caratteristica
tipica. Chi tende a visualizzare potrebbe preferire di immaginare il nome visivamente
al momento in cui lo sente pronunciare. È sempre possibile adattare in questo senso
qualsiasi strategia di memorizzazione, per renderla appropriata al contesto o alle
capacità della persona che vuole ricordare qualcosa.
Se volete veramente ricordare un nome, associatelo a qualcosa di caratteristico in
ciascuno dei tre principali sistemi rappresentativi: quello auditivo, quello visivo e
quello cenestesico. Quando udite il suono del nome, pronunciato nel tono di voce
della persona in questione, potreste osservare qualcosa di tipico in ciò che vedete
quando la guardate, e anche in ciò che provate quando le stringete la mano. Ciò vi
fornirà un codice di etichettatura casuale in ciascuno dei principali sistemi
rappresentativi, e di conseguenza avrete tre diversi modi per ricordare il suo nome.
Un altro sistema per avere una ‘buona memoria’ consiste nell’essere il più possibile
efficienti ed essenziali in ciò che riuscite a ricordare, e nell’usare il più possibile ciò
che ricordate già. Per esempio, se mettete sempre le chiavi di casa nella tasca
anteriore destra dei calzoni, dovrete ricordarvene una volta sola. Chi invece mette le
chiavi in molti posti diversi, può darsi che debba ricordarsene quattro o cinque volte
al giorno, anziché una volta sola in tutta la sua vita.
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Uno dei nostri allievi manda avanti due aziende, e deve archiviare una quantità di
carte e di schede. Ogni volta che deve archiviare qualcosa, si chiede: “Dove lo
cercherei, se ne avessi bisogno?”, e comincia a muoversi verso l’armadietto degli
schedari. Facendo questo, nella mente gli compare l’immagine dell’etichetta di un
particolare schedario, e archivia il documento in quello schedario. Questo metodo gli
permette di usare ciò che ricorda già per organizzare i suoi schedari, e di conseguenza
ben di rado gli accade di dover ricordare qualcosa di nuovo. Ogni volta che archivia
un documento, rafforza l’associazione tra il documento stesso e l’etichetta dello
schedario, rendendo il sistema ogni volta più affidabile.
Uno dei modi in cui si può pensare a questi due esempi è che essi creano una
situazione in cui si deve ricordare il minimo possibile. Ecco un altro esempio.
Guardate per qualche istante l’insieme di numeri che segue, e quindi distogliete lo
sguardo e guardate quanti ne riuscite a ricordare.
149162536496481100
Adesso guardateli abbastanza a lungo da far sì che quando distogliete lo sguardo ve li
ricordiate ancora tutti...
Se ci avete provato seriamente, probabilmente avete cominciato a raggruppare i
numeri in serie di due o tre, in modo da organizzare il compito e rendere più facile la
memorizzazione:
14,91,62,53,64,96,48,11,00
oppure
149,162,536,496,481,100
È un processo che noi chiamiamo ‘frantumazione’: suddividere un compito difficile
in pezzi più piccoli e maneggevoli. Tra uomini d’affari corre una vecchia battuta:
"Come si fa a mangiare un elefante?". La risposta è: “Un boccone alla volta”.
A questo punto, per quanto pensate di riuscire a ricordare accuratamente questo
numero? Per un'ora? Un giorno? Una settimana?
Adesso, frantumiamo il numero in un modo un po' diverso. Vi viene in mente nulla?
1 4 9 16 25 36 49 64 81 100
Possiamo scrivere la stessa serie di numeri in modo un po’ diverso, ossia come una
serie di quadrati:
1² 2² 3² 4² 5² 6² 7² 8² 9² 10²
Ora, è ovvio che il numero da cui siamo partiti è la successione dei quadrati dei
numeri da 1 a 10 scritti uno di seguito all’altro. Sapendo questo, potrete facilmente
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ricordarvi questo numero per dieci anni, o per venti. Cos’è a rendere la cosa così
facile? Avete molto meno da ricordare, e quello che avete da ricordare è tutto
codificato in termini di cose che voi ricordate già. La matematica e le scienze non
sono altro che questo: codificare il mondo in modo efficace ed elegante, in modo da
avere meno cose da ricordare e lasciando libero il vostro cervello di fare altre cose
più divertenti e interessanti.
Questi sono soltanto alcuni dei principi che rendono molto più facile e rapido il
ricordare. Purtroppo, per adesso non sono molto usati nella pratica scolastica.
Difficoltà di apprendimento
Una delle belle cose che succedono quando si scrive un numero sufficiente di libri è
che la gente ti fa fare cose che prima avresti voluto fare, ma non potevi. Di solito a
questo punto non ti ricordi più di che si trattava, ma io me ne ero annotate alcune.
Una volta che mi venne chiesto di lavorare per un distretto scolastico, c’erano alcune
cose su cui avrei voluto lavorare. Una di queste era il concetto generale di ‘difficoltà
di apprendimento’, ‘disfunzione cerebrale mininiale’, ‘dislessia’ o ‘handicap
educativo’. Sono parole che possono far colpo; tutte quante, tuttavia, descrivono
semplicemente il fatto che l’insegnamento non funziona.
Ogni volta che un ragazzo non impara, gli esperti sono lesti a concluderne che il
problema sta in una ‘difficoltà di apprendimento’... ma non fanno mai molta
chiarezza su chi ne soffra! Avrete forse notato che gli stessi esperti non parlano mai
di ‘difficoltà di insegnamento’. Il presupposto è sempre che la causa del fallimento
risiede nel fatto che il cervello del ragazzo è debole o lesionato, spesso per presunte
cause genetiche. Quando non si sa in che modo cambiare qualcosa spesso si comincia
ad andare alla ricerca di un modo per giustificare il fallimento, invece di pensare a
come si potrebbe cercare di fare qualcosa di diverso per far sì che la cosa funzioni. Se
si parte dal presupposto che il ragazzo abbia un difetto nel lobo dell’apprendimento,
non c’è assolutamente modo di rimediare finché non sarà stata perfezionata la tecnica
dei trapianti di cervello.
Personalmente preferirei non spiegare il fallimento in questo modo. Preferirei
pensarlo come una ‘disfunzione dell’insegnamento’, e così per lo meno lasciare
aperta la possibilità di imparare a superarla. Se facciamo finta di poter insegnare
qualsiasi cosa a chiunque, scopriremo dov’è che questo non è (ancora) vero. Ma se
pensiamo che quando qualcuno non impara, questo significa che non è possibile
insegnargli nulla, nessuno si darà mai nemmeno la pena di tentare.
Nel secolo scorso era risaputo che l’uomo non potesse volare. Poi, quando gli
aeroplani entrarono a far parte della vita di tutti i giorni, la maggior parte delle
persone non pensava che fosse possibile mandare un uomo sulla luna. Se si assume
un atteggiamento per cui tutto è possibile, si scoprirà che tante cose che prima erano
ritenute impossibili diventano poi possibilissime.
L’intero concetto di ‘difficoltà di apprendimento’ si basa principalmente su vecchi
studi neurologici sull’ ‘ablazione’, che derivavano da una concezione abbastanza
primitiva del funzionamento del cervello: cioè, che si potesse capire come una certa
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cosa funzionasse osservando cosa succedeva quando era rotta. Scoprivano magari una
lesione in una determinata parte del cervello di una persona che non riusciva a
parlare, e dicevano: “Ecco la sede del linguaggio verbale”. La logica è la stessa che se
si tagliasse un filo dentro un televisore, si notasse che l’immagine ondeggia
lateralmente, e se ne concludesse: “Ecco la sede della verticalità dell’immagine”. A
tenere l’immagine diritta concorrono migliaia di fili, connessioni e transistor, in un
sistema estremamente complesso e interdipendente, e il cervello è molto più
complesso di un televisore. Per alcune delle regioni più primitive del cervello,
sussiste in effetti una certa misura di localizzazione delle funzioni. Tuttavia, è
altrettanto vero che si sa da anni che un bambino piccolo può perdere un intero
emisfero cerebrale, e imparare perfettamente da capo tutto quanto con l’emisfero
rimanente.
I risultati di recenti ricerche stanno spazzando via molti vecchi dogmi neurologici. In
uno studio tomografico ai raggi X, è stato trovato uno studente di una scuola
universitaria di perfezionamento con un QI di 120 e con dei ventricoli cerebrali tanto
dilatati che la corteccia non era più spessa di un centimetro! La maggior parte della
sua calotta cranica era piena di liquido, e secondo il dogma non avrebbe dovuto
nemmeno essere capace di alzarsi dal letto la mattina, per non parlare di andare
all’università!
Un altro vecchio dogma è che nei vertebrati dopo la nascita non si formino più nuovi
neuroni. L’anno scorso hanno scoperto che il numero dei neuroni nella parte del
cervello del canarino maschio dedicata al canto raddoppia ogni primavera, e che poi
metà di questi neuroni si atrofizzano e muoiono durante il resto dell’anno.
In un altro studio si è scoperto che se si amputa un dito a una scimmia, la parte del
cervello che prima governava il dito mancante viene progressivamente utilizzata dalle
dita rimanenti nel giro di qualche settimana, e questo rende le dita rimanenti più
sensibili di prima. Tutte le più recenti informazioni ci portano a concludere che il
cervello è molto più flessibile e adattabile di quanto una volta si pensasse.
Non mi è mai andata a genio l’idea che un bambino potesse essere ‘educativamente
handicappato’, perché non ho mai pensato che la lettura fosse principalmente un fatto
genetico. Perfino nella giungla, e senza genitori laureati, un bambino può imparare a
parlare in tre anni! Perché ci dovrebbero volere altri dieci anni per insegnargli a
leggere le stesse cose che sa già dire? I bambini dei ghetti riescono a imparare tre
lingue in una volta, e possono imparare a scrivere cose di ogni genere usando codici
segreti. Ma il modo in cui si insegnano certe cose a scuola produce una situazione in
cui alcuni bambini non imparano a leggere. Qualcuno di voi ricorderà magari certi
corsi in cui non è riuscito a imparare gran che a causa del modo spaventoso in cui i
contenuti venivano presentati.
In realtà, imparare a leggere non è affatto difficile. Tutto quel che bisogna fare è
collegare l’immagine della parola al suono della parola che già si conosce. Se si
conosce la parola come viene pronunciata, si è già collegato quel suono con
un’esperienza di ciò che quella parola significa. Da bambini, probabilmente avete
imparato abbastanza presto che il suono ‘gatto’ indicava una cosettina pelosa
provvista di artigli che si muoveva e miagolava. Nel nostro cervello ciò avviene nel
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modo seguente: si sente la parola ‘gatto’, e allo stesso tempo si rammenta
l’esperienza del vedere, udire e toccare un gatto. Poi, se qualcuno pronuncia la parola,
quell’esperienza è lì nella mente, e se si vede, si sente o si tocca un gatto, ecco il
suono della parola. La lettura non fa altro che aggiungere un’immagine della parola a
ciò che già si sa. Vedendo la parola ‘cane’ nella mente si ottengono un suono e
un’immagine diversi da quelli che si ottengono vedendo la parola ‘gatto’.
Ora, tutto questo sembra piuttosto semplice, e lo è. Eppure riguardo ai problemi della
lettura sono state scritte montagne di sciocchezze, e per risolverli si profonde una
enorme quantità di energie. Esiste invece un gruppo di Denver che lavora su ogni
genere di problemi educativi impiegando i principi della PNL. Queste persone
garantiscono un innalzamento del livello di lettura del bambino, misurato secondo i
test standard di profitto, dell’equivalente di almeno un anno scolastico, e questo con
una serie di otto sedute di un’ora. Di solito riescono a compiere progressi molto
maggiori in un tempo molto minore. Negli ultimi tre anni è successo solo una volta
che dovessero risarcire un cliente in base alla garanzia offerta. L’unico prerequisito
che chiedono è che il bambino abbia una sufficiente stabilità muscolare nell'uso degli
occhi da poter vedere ciò che sta cercando di leggere.
Farmaci
Un’altra delle cose delle quali avrei voluto occuparmi nell’ambito del sistema
scolastico è la pratica assai diffusa di prescrivere farmaci come il Ritalin ai bambini
‘iperattivi’ che hanno dei problemi a restarsene seduti tranquilli nel banco per ore. Il
Ritalin li rallenta, in modo che l’insegnante possa riuscire a star loro dietro. La
giustificazione che viene immancabilmente data alla prescrizione di questi medicinali
è che si tratta di sostanze innocue. Uno degli aspetti interessanti del Ritalin è che,
sebbene rallenti il bambino iperattivo, il suo effetto sull’adulto è più quello di
un’amfetamina, ossia quello di una accelerazione.
Perciò, parlando ai responsabili di quel distretto scolastico, dissi: “Questo Ritalin che
voi date ai bambini li rallenta, mentre se viene dato agli adulti li accelera, giusto? E
voi siete tutti quanti convinti che sia perfettamente innocuo e non abbia effetti
collaterali dannosi, esatto? Bene. Ho una proposta che vi farà risparmiare un sacco di
soldi. Smettete di darlo ai bambini, e datelo invece agli insegnanti, così che possano
accelerare e tenere il passo dei bambini”. Erano rimasti intrappolati dal loro stesso
ragionamento; nonostante ciò, la mia proposta non piacque. Provate a proporre una
cosa del genere nella vostra scuola, e notate quanti ‘insegnanti con problemi di
apprendimento’ sono disposti a prendere una ‘medicina perfettamente innocua’. Lo
stesso succede con gli psichiatri: quasi mai prescrivono farmaci psicoattivi ad altri
psichiatri quando questi vengono ricoverati in ospedale! Dopo aver prescritto per
trent’anni farmaci a base di fenotiazina, adesso hanno scoperto che a distanza di
tempo questi provocano una cosa chiamata ‘discinesia tardiva’. È un disturbo che
colpisce i muscoli, così che uno trema tutto e ha problemi a camminare o a tenere in
mano una tazza di tè.
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Donna: Sono un’insegnante, e proprio la settimana scorsa ho avuto un incontro con
un medico, un’infermiera e un’altra insegnante. L’infermiera diceva: “Credo che a
questo bambino dovremmo dare qualche farmaco”. Gli altri erano d’accordo. Io mi
sono arrabbiata moltissimo, e ho detto: “Non riesco a credere che con tutto quello che
si dice sull’abuso di tarmaci voi proponiate che questo bambino prenda delle
medicine! Se foste voi a doverle prendere, che direste?”. Il medico ha detto: “Io ne
prendo ogni sera per rilassarmi”. E l’altra insegnante ha detto: “Anch’io”. E
l’infermiera ha detto: “Io vado avanti a Valium”. Non riuscivo a crederci, e sono
rimasta così scossa che non ho saputo cosa dire.
Beh, prendere dei farmaci non è assolutamente la stessa cosa che costringere un altro
a prenderli. Sono convinto che ciascuno debba decidere per proprio conto se prendere
dei farmaci, e quali. Quel che è veramente triste è che la maggior parte dei problemi
per cui oggi si prescrivono certi farmaci potrebbero essere risolti con tanta facilità
usando la PNL. Un qualsiasi terapeuta che lavori con i metodi della PNL dovrebbe
riuscire a risolvere una fobia scolastica nel giro di una mezz’ora, e la maggior parte
dei bambini che hanno problemi ortografici potrebbero scrivere correttamente nel
giro di un paio d’ore.
Tuttavia, a questo punto è necessaria una certa cautela. La PNL sta cominciando a
farsi un nome, e c’è un sacco di gente non qualificata che afferma di avere ricevuto
un addestramento in PNL. C’è addirittura un tizio che afferma di essere ‘il più grande
istruttore di PNL’, dopo aver seguito un solo corso! Questo è il genere di cose che
succede quando qualcosa di efficace comincia a farsi un nome, e di conseguenza siate
cauti, e a chi afferma di aver ricevuto un addestramento in PNL fate qualche
domanda in proposito.
Allo stesso tempo, c’è gente in gamba che dopo avere appreso i metodi della PNL
torna nelle classi differenziali e spazza via a tutto spiano problemi di apprendimento
di ogni genere. Quando si sa come fare a scoprire in che modo funziona il cervello di
qualcuno, è relativamente facile insegnargli a usarlo in modo più efficace ed
efficiente.
Le potenzialità di apprendimento trovano una effettiva realizzazione non quando
qualcuno ci inonda con un certo contenuto, ma quando qualcuno ci insegna il
meccanismo con cui si può fare una certa cosa: le strutture e le sequenze soggettive
che sono necessarie a imparare.
93
9
La scozzata
II prossimo schema submodale che voglio insegnarvi può essere usato quasi per
qualsiasi cosa. È uno schema altamente generativo, che programma il cervello ad
andare in una nuova direzione. Per rendervi questo schema facile da imparare,
comincerò da qualcosa di estremamente semplice e facile. Moltissime persone sono
interessate a una cosa chiamata ‘controllo delle abitudini’. Chi di voi si mangia le
unghie e vorrebbe smettere? (Jack sale sulla pedana). Adesso utilizzerò questo
schema per far sì che Jack invece di mangiarsi le unghie faccia qualcos’altro.
Che cosa vedi subito prima di mangiarti le unghie?
Jack: Non lo so. Di solito non mi accorgo di farlo prima che sia trascorso un certo
tempo.
Questo vale per la maggior parte delle abitudini. Inserisci il ‘pilota automatico’, e poi,
quando ormai è troppo tardi per rimediare, te ne accorgi e stai male. Sapresti dirmi
quando o dove di solito ti mangi le unghie?
Jack: Di solito quando leggo un libro, o vedo un film.
Bene. Voglio che tu immagini di vedere un film, e che alzi veramente una mano
come se stessi per cominciare a mangiarti le unghie. Voglio che tu osservi cosa vedi
quando la mano si alza, sapendo che stai per mangiarti le unghie.
Jack: Fatto. Ora so cosa vedo quando alzo la mano.
Bene. Useremo questa immagine tra qualche istante, ma per adesso mettila da parte.
Prima abbiamo bisogno di un’altra immagine. Jack, se tu non ti mangiassi più le
unghie, in che cosa ti vedresti diverso? Non voglio dire semplicemente che ti vedresti
con le unghie più lunghe. Che valore potrebbe avere il perdere questa abitudine? Che
differenza determinerebbe per te come persona? Quale significato avrebbe per te?
Non voglio che tu mi dica le risposte; voglio che tu risponda creando un’immagine di
come saresti se non avessi più questa abitudine.
Jack: Sì, ho fatto.
Ora voglio che tu prenda la prima immagine, quella della tua mano che si alza, e la
renda grande e luminosa... e che nell’angolo inferiore destro di quell’immagine tu
collochi un’immagine piccola e scura di come ti vedresti diverso se tu non avessi più
quest’abitudine...
Ora voglio che tu faccia quella che io chiamo ‘la scozzata’. Voglio che tu ingrandisca
e renda più luminosa l’immagine piccola e scura finché non copre la vecchia
immagine della mano, che simultaneamente dovrà oscurarsi e rimpicciolire. Voglio
che tu lo faccia con estrema rapidità, in meno di un secondo. Non appena avrai
‘scozzato’ queste immagini, hai due possibilità di scelta: o oscuri completamente lo
schermo, o apri gli occhi e ti guardi attorno. Quindi tornati dentro e fallo di nuovo,
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partendo da quella grande immagine luminosa della mano che viene su, e dalla
piccola immagine scura di te stesso nell’angolo. Fallo per un totale di cinque volte.
Accertati di oscurare lo schermo o di aprire gli occhi ogni volta che l’hai fatto...
Adesso è il momento di fare una verifica. Jack, crea quella grande immagine
luminosa della mano che viene su, e dimmi che succede...
Jack: Beh, è difficile tenercela. Svanisce, e al suo posto arriva l’altra immagine.
Lo schema della scozzata direziona il cervello. Gli esseri umani hanno la tendenza a
evitare ciò che è spiacevole, e ad andare verso ciò che è piacevole. Prima c’è una
grande immagine luminosa dello stimolo che suggerisce il comportamento che non
gli piace. Quando quell’immagine si affievolisce e rimpicciolisce, il disagio
diminuisce. Allo stesso tempo, lui viene attratto dall’immagine piacevole che diventa
più grande e luminosa. Ciò fissa, letteralmente, una direzione che la sua mente può
seguire: “da qui a lì”. Quando si direziona la mente, il comportamento ha una
fortissima tendenza a seguire la stessa direzione.
Jack, voglio che tu faccia un’altra cosa. Alza la mano fino a raggiungere la bocca,
come facevi quando ti mangiavi le unghie. (Jack alza la mano. Subito prima di
raggiungere la bocca, la mano si arresta e quindi si abbassa di un centimetro circa).
Beh, che è successo?
Jack: Non lo so. La mano è venuta su, ma poi si è fermata. Avrei voluto metterla giù,
ma l’ho tenuta su deliberatamente, perché mi avevi detto di fare così.
Questo è un test comportamentale. Quel comportamento che prima lo portava a
mangiarsi le unghie ora lo conduce da qualche altra parte. È una cosa automatica
come quella di prima, ma lo porta in una direzione che a lui piace di più.
Questo si tradurrà in esperienza. Ogni volta che la mano verrà su perché in te è
comparsa quella coazione, sarà quella stessa sensazione a condurti nell’altra
direzione. Diventerà una nuova coazione. In realtà non è che la coazione scompaia:
piuttosto, sei costretto a essere qualcosa che corrisponde di più ai tuoi desideri.
Una volta ho seguito questo schema con una sfrenata mangiatrice di cioccolata, che
voleva essere ‘libera’. Non voleva essere schiava di quella coazione, perché questo
non corrispondeva al modo in cui lei vedeva se stessa. Dopo aver finito, non riusciva
più a tener ferma nella mente l’immagine della cioccolata. Non appena la creava,
puf!, l’immagine svaniva. Adesso, quando guarda la cioccolata vera, non ha più la
vecchia reazione. La direzione dei suoi pensieri va verso l’essere attratta da ciò che
lei vuole essere. È una nuova coazione. Questo schema può essere definito ‘scambio
di coazioni’. Io le dissi: “Adesso sei proprio incastrata. Sei costretta a non riuscire a
creare questo genere di immagini”. “Non me ne importa”, mi rispose. In realtà non
aveva obiezioni sul fatto di essere costretta; solo che voleva esserlo a modo suo. E
questa è veramente la differenza che conta.
Lo schema della scozzata ha un effetto più potente di qualsiasi altra tecnica che io
abbia mai usata. In un recente seminario c’era una signora in prima fila che
brontolava e mugugnava perché erano undici anni che cercava di smettere di fumare.
Io l’ho fatta cambiare in meno di undici minuti. Addirittura, sono stato io a decidere
cosa mettere in quella piccola immagine scura nell’angolo. Non sono quello che si
dice un ‘terapeuta non direttivo’. Le dissi di vedere un’immagine di se stessa che
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apprezzava educatamente il fatto che altre persone fumassero. Non avevo nessuna
voglia di creare un’altra fanatica convertita. Non volevo che si vedesse disprezzare i
fumatori, rendendo loro la vita impossibile.
Adesso voglio che tutti quanti vi mettiate a coppie e proviate questo schema. Prima,
però, vorrei riepilogare nuovamente le istruzioni.
Lo schema della scozzata
1. Identificare il contesto. “Prima di tutto, individua il punto in cui sei in crisi o
bloccato. In che occasione, o in che momento vorresti comportarti o reagire
diversamente da come fai adesso? Potresti scegliere qualcosa come il vizio di
mangiarti le unghie, oppure potresti scegliere qualcosa come arrabbiarti con
tuo marito, o tua moglie”.
2. Identificare l’immagine che da l’avvio al comportamento. “Adesso voglio che
identifichi cosa effettivamente vedi in quella situazione subito prima di iniziare
il comportamento che non ti piace. Siccome in queste occasioni la maggior
parte delle persone inserisce il proprio ‘pilota automatico’, può essere utile fare
realmente ciò che deve precedere il comportamento stesso, in modo da poter
vedere di cosa si tratta”. Questo è ciò che ho fatto con Jack. Ho dovuto fargli
portare la mano verso il viso, e utilizzare quell’immagine. Siccome questa è
l’immagine che da l’avvio a una certa reazione che alla persona non piace, a
questa immagine dovrebbe essere associata almeno una certa sgradevolezza.
Più è sgradevole, meglio funzionerà.
3. Creare l’immagine dell’esito. “Adesso crea una seconda immagine di come ti
vedresti diverso se avessi già ottenuto il cambiamento desiderato. Voglio che
continui a regolare questa immagine finché per te non diviene un’immagine
veramente attraente, qualcosa che ti attrae fortemente”. Mentre il vostro
compagno crea l’immagine in questione, voglio che osserviate le sue reazioni,
in modo da esser sicuri che si tratta di qualcosa che veramente gli piace e lo
attrae. Bisogna che in viso gli compaia una luce che vi dice che ciò che lui si
sta raffigurando è qualcosa che veramente vale la pena di ottenere. Se
osservandolo non riuscite ad avere le prove che si tratta di qualcosa che vale la
pena di ottenere, non dateglielo.
4. La scozzata. “Adesso ‘scozza’ le due immagini. Comincia col vedere
l’immagine di partenza, grande e luminosa. Quindi colloca una piccola
raffigurazione scura dell’immagine dell’esito nell’angolo inferiore destro. La
piccola immagine scura diventerà via via più grande e luminosa e coprirà la
prima immagine, che si oscurerà e rimpicciolirà in fretta, nel tempo che vi ci
vuole a dire ‘scozza’. Infine, oscura completamente lo schermo, o apri gli
occhi. Ripeti la scozzata per un totale di cinque volte. Accertati di oscurare lo
schermo al termine di ogni scozzata”.
5. Verifica.
a. “Adesso ricrea la prima immagine... Che succede?”. Se la scozzata è
stata efficace, farlo gli sarà difficile. L’immagine tenderà a svanire e a
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essere sostituita dalla seconda immagine, quella di come si desidera
essere.
b. Un secondo tipo di verifica è quello comportamentale: trovate un modo
per creare la situazione di avvio rappresentata nell’immagine di partenza
del vostro compagno. Se in quell’immagine è rappresentato un
comportamento della persona stessa, come nel caso di Jack, chiedetele di
eseguirlo. Se quell’immagine rappresenta qualcun altro che offre un
cioccolatino o una sigaretta, o urla, allora voglio che voi stessi lo
facciate con il vostro compagno, osservando quel che fa e il modo in cui
reagisce.
Se al momento della verifica il comportamento è restato lo stesso, tornate indietro e
ripetete lo schema della scozzata. Vedete se riuscite a capire cosa avete trascurato, o
che altro potreste fare per far funzionare il processo. Vi sto insegnando una versione
assai semplice di uno schema molto più generale. So che alcuni di voi avrebbero delle
domande, ma voglio che proviate a farlo prima di esprimerle. Dopo una prova
pratica, le vostre domande saranno molto più interessanti. Stateci su un quarto d’ora
circa per uno. Andate avanti.
***
Girando per la stanza, ho notato che molti di voi ci sono riusciti. Di questi casi non
parliamo, a meno che non abbiano incontrato delle difficoltà e poi siano riusciti a
escogitare qualcosa di interessante che ha permesso loro di superarle. Voglio
piuttosto sentire qualcosa dei casi in cui non ha funzionato.
Amy: Io voglio smettere di fumare. Ma quando abbiamo fatto la verifica, ho sentito
lo stesso il desiderio di fumare.
Bene. Descrivimi la prima immagine.
Amy: Mi vedo con una sigaretta in bocca, e...
Alt. È importantissimo che tu non ti veda. in quella prima immagine, e che invece ti
veda nella seconda. È una delle condizioni che fanno sì che la scozzata funzioni. La
prima immagine deve essere una rappresentazione associata di ciò che vedi con i tuoi
stessi occhi quando ti metti a fumare... per esempio, la mano che prende la sigaretta.
Se ti vedi la mano con una sigaretta fra le dita, senti la coazione a fumare? O è il
vedere la sigaretta? Qualunque cosa sia, voglio che ti crei un’immagine di quella cosa
che quando la vedi scatena in te la sensazione di aver bisogno di fumare; creati
un’immagine di ciò che precede immediatamente il fumare, qualunque cosa sia.
Potrebbe essere prendere la sigaretta, accenderla, portartela alle labbra o qualsiasi
altra cosa tu faccia. Prova il procedimento con quell’immagine, e poi torna a dirci
com’è andata.
Uomo: In che libro si parla di questo procedimento?
In nessun libro. Perché verrei a insegnarvi qualcosa che si trova già in un libro? Siete
adulti; sapete leggere. Ho sempre pensato che fosse una gran cretinata scrivere un
libro e andarlo a leggere nei seminari. Ma tanti fanno proprio questo, e alcuni di loro
fanno un sacco di soldi, per cui immagino che possa essere di una qualche utilità.
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Donna: In molte precedenti tecniche di PNL si sostituisce a un vecchio
comportamento un nuovo comportamento altrettanto specifico. Ma in questa sede si
vede semplicemente come si sarebbe diversi se si cambiasse.
Esattamente. È questo a rendere questo schema così generativo. Anziché sostituire a
un comportamento specifico un altro comportamento specifico, si crea una direzione.
Per fissare questa direzione si usa quella che viene spesso chiamata ‘immagine di sé’,
qualcosa di estremamente motivante.
Quando ero a Toronto, in gennaio, una signora mi disse che aveva la fobia dei
lombrichi. Siccome Toronto è gelata per la maggior parte dell’anno, il problema non
mi pareva poi così grave, e allora dissi: “Beh, perché non ti limiti a evitarli?”. Lei
rispose: “Beh, semplicemente perché non corrisponde al modo in cui vedo me
stessa”. Questa sfasatura la motivava assai fortemente, anche se la fobia dei vermi per
lei non era poi un problema così grave. Non era nemmeno quella che io chiamo ‘una
fobia coi fiocchi’. Più che una fobia del tipo “AAHHGGH!”, era una fobia del tipo
“ahhh!”. Ancora il suo cervello non era stato direzionato in modo appropriato, ma
quella sua immagine di se stessa continuava a farla tentare. Così, ovviamente, le
chiesi: “Se tu facessi questo cambiamento, in cosa ti vedresti diversa?”. L’efficacia di
questo schema dipende nella maniera più assoluta dalla risposta che ottenete a questa
domanda. Questo procedimento non vi conduce a una meta... vi sospinge in una certa
direzione. Se vi vedeste fare qualcosa in particolare, non fareste che programmare
questa nuova scelta. Se invece vi vedete come una persona con qualità diverse,
questa nuova persona può generare molte nuove possibilità specifiche. Una volta
stabilita la direzione, la persona inizierà a generare comportamenti specifici più in
fretta di quanto credereste possibile.
Se con lei avessi usato la cura standard per le fobie, non si sarebbe più curata dei
lombrichi, anzi, non li avrebbe nemmeno più notati. Ma indurre qualcuno a non
curarsi più di qualcosa è troppo facile, e di gente così al mondo ce n’è anche troppa.
Se avessi installato un comportamento specifico, come prendere i lombrichi in mano,
allora sarebbe diventata capace di prendere in mano i lombrichi. Ma nessuno dei due
cambiamenti sarebbe stato particolarmente profondo ai fini dell’evoluzione personale
di quella signora. Mi sembra che un essere umano possa realizzare cambiamenti ben
più interessanti di questi.
Quando ho eseguito la scozzata, ho determinato una direzione tale da far sì che lei
fosse attratta da quell’immagine di lei stessa come donna più competente, più felice,
più capace, meglio disposta nei propri confronti, e, soprattutto, capace di credere di
poter effettuare rapidamente dei cambiamenti nel senso da lei stessa voluto.
Donna: Penso di aver capito, ma sto cercando di capire il rapporto con alcune delle
tecniche di ‘ancoraggio’ che ho imparato in passato seguendo corsi di PNL. Per
esempio, c’è una tecnica per cui si crea un’immagine di come si vorrebbe essere,
quindi ci si entra dentro per provarne le sensazioni cenestesiche, e infine si ancora
questo stato.
Certo. Era una delle nostre vecchie tecniche. Ha i suoi vantaggi, ma ha anche certi
svantaggi. Se una persona ha una rappresentazione interna di se stessa veramente
dettagliata e accurata, è possibile creare un comportamento specifico che funzioni
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perfettamente. Ma se ci si limita a creare un’immagine di come si vorrebbe essere, e
quindi ci si entra dentro per capire che sensazioni ricaveremmo dall’essere così,
questo non significa necessariamente che tu possieda effettivamente quelle qualità, o
che tu nel frattempo abbia imparato qualcosa di utile. È un ottimo modo per crearsi
false immagini di se stesi, e per di più non indica direzioni alternative.
Tanti vanno dallo psicoterapeuta chiedendo di sentirsi più sicuri di se stessi, perché si
sentono incompetenti. Questa mancanza di fiducia in se stessi potrebbe costituire una
valutazione accurata delle loro capacità. Se si usa l’ancoraggio per far sì che una
persona si senta più sicura di sé, questa sensazione potrebbe permetterle di far cose
che in realtà sa già fare, ma che finora non ha mai fatto perché non si sentiva
abbastanza sicura di sé da provare. Questo accrescerà anche le sue capacità. Ma si
potrebbe creare soltanto una eccessiva sicurezza di sé: la persona resta incompetente
come prima, ma non se ne accorge più! In giro ci sono già abbastanza persone del
genere, spesso pericolose per gli altri e per se stesse. Sono anni che rilevo come tante
persone chiedano al terapeuta una maggiore sicurezza di sé, e così poche invece
chiedano una maggiore competenza.
Si può cambiare una persona in modo che questa sia convinta di riuscire benissimo a
fare una certa cosa, mentre in realtà non ci riesce affatto. Quando una persona riesce a
dimostrarsi sicura di sé, di solito convince anche molti altri a fidarsi di capacità che
invece non possiede. Non cessa mai di stupirmi quante persone pensino che se un
‘esperto’ si dimostra sicuro di sé, allora deve per forza sapere quello che fa. Credo
che se uno deve nutrire una falsa sensazione di sicurezza, tanto vale che strada
facendo acquisti un po’ di competenza.
Dov’è Amy? Hai finito di fare la scozzata con la nuova immagine?
Amy: Sì.
Quanto ti ci è voluto a farlo cinque volte?
Amy: Un bel po’.
Lo immaginavo. Voglio che tu lo rifaccia più in fretta. Ogni volta non dovresti
metterci più di un paio di secondi. Anche la rapidità è un elemento importantissimo di
questo schema. Il cervello non impara lentamente, ma in fretta. Non ho nessuna
intenzione di farti seguire il procedimento sbagliato, per poi sentirmi dire: “Oh, non
ha funzionato”. Fallo adesso, e io ti controllerò. Apri gli occhi dopo ogni scozzata...
Adesso ricrea la prima immagine. Che succede?...
Amy: Adesso se ne va.
Vuoi una sigaretta? (Le porge un pacchetto di sigarette).
Amy: No, grazie.
La coazione c’è sempre? Non m’interessa se fumi o no. Voglio sapere se c’è ancora il
bisogno automatico. Qualche minuto fa mi hai detto che provavi il bisogno di fumare.
Amy: In questo preciso momento non sento il bisogno di fumare.
Ecco. Tieni le sigarette; tirane fuori una e tienila fra le dita. Guardale; giocaci.
Quando lavorate sul cambiamento, non esitate a verificare i risultati ottenuti.
Metteteli severamente alla prova. Gli eventi del mondo li metteranno comunque alla
prova, perciò già che ci siete fatelo anche voi, in modo da sapere subito cosa
succederà. In questo modo ci si può sempre tornare sopra. L’osservazione delle
99
reazioni non verbali del paziente vi fornirà molte più informazioni delle risposte
verbali alle vostre domande. (Amy annusa le sigarette, e l’espressione del viso
cambia rapidamente). Eccoci tornati al punto di partenza; l’odore delle sigarette ha
fatto nuovamente venir fuori la coazione. Allora devi tornare indietro e fare di nuovo
la scozzata, questa volta aggiungendo l’odore. In quella prima immagine, quando
vedi qualcuno che ti offre una sigaretta, sentirai l’odore delle sigarette. E nella
seconda immagine, ti vedrai contenta di sentire l’odore delle sigarette senza sentirti
costretta a fumare. Rifallo da capo come ti ho detto.
Questo si chiama ‘essere coscienziosi’. Al matematico non basta trovare una risposta
per dire: “Bene, ho finito”. Il matematico verifica attentamente le sue risposte, perché
se non lo fa lui, lo faranno gli altri! È un genere di rigore che è sempre mancato alla
psicoterapia e alle scienze dell’educazione. Si inventa qualcosa, lo si mette alla prova,
e quindi si fa uno studio sequenziale di due anni per vedere se ha funzionato oppure
no. Se si sottopone una certa tecnica a una verifica rigorosa, si può capire in quali
casi funziona e in quali non funziona, e lo si può capire immediatamente. E se si
scopre che non funziona affatto, è necessario provare qualche altra tecnica.
Quella che io vi ho appena insegnato è la versione semplificata di uno schema molto
più generale di scozzata. Ma alcuni di voi si sono smarriti e sono rimasti confusi lo
stesso. Un altro modo per essere coscienziosi consiste nel cominciare effettuando la
scozzata in tutti i sistemi rappresentativi. Ma di solito è molto più economico partire
dal sistema visivo, e quindi effettuare una verifica rigorosa per capire cosa
eventualmente è necessario aggiungere. Spesso non bisogna aggiungere nulla. O la
persona non ne ha bisogno, o aggiungerà da sola quello che serve senza nemmeno
rendersene conto.
Amy, cosa succede adesso quando senti l’odore delle sigarette?
Amy: È diverso. È difficile dire in che senso. Adesso quando ne sento l’odore ho
voglia di metterla giù, invece di fumarla.
Il cervello non impara a raggiungere delle mete; impara ad andare in determinate
direzioni. Amy aveva appreso un certo insieme di comportamenti: “Posso offrirti una
sigaretta?”. “Sì”. Accendere e tirare una bella boccata. Una sedia sarebbe incapace di
imparare una cosa del genere. È indubbiamente un bei risultato quello di imparare
una cosa del genere in modo tanto completo che per anni nessuno riesce in alcun
modo a modificarla. Ora invece Amy ha usato la stessa capacità per imparare a
procedere in un’altra direzione.
Quando si comincia a usare il proprio cervello per fargli fare quel che si vuole, è
necessario fissare rigorosamente la direzione in cui lo si vuole far procedere, e
bisogna farlo in anticipo. La delusione non è l’unica cosa che richieda una
pianificazione adeguata. Tutto quanto la richiede. Senza una pianificazione adeguata
si diviene vittime della coazione a fare cose che non si vogliono fare: a mostrare a noi
stessi vecchi ricordi e starci male, a fare cose che danneggiano il nostro organismo, a
urlare alle persone che amiamo, a comportarci da vigliacchi quando siamo furiosi...
Tutto questo può essere cambiato, ma non mentre si è nella situazione. Ci si può
riprogrammare in seguito, o ci si può programmare in anticipo. Il cervello non è
progettato per ottenere dei risultati; il cervello impara a procedere in determinate
100
direzioni. Se si sa come il cervello funziona, si può scegliere in quale direzione
procedere. Se non lo fate voi, qualcun altro lo farà al posto vostro.
Quella che vi ho appena insegnato è la versione che di solito uso nei seminari di un
giorno o di due giorni. Lo schema standard della scozzata è qualcosa che chiunque
può afferrare e utilizzare, e che funzionerà nella maggior parte dei casi. Ma ciò non
mi dimostra che la persona abbia una comprensione competente dello schema
sottostante. Chiunque, se gli date un ricettario, riuscirà a fare un dolce. Ma se quello
stesso ricettario lo date a un vero cuoco, ne ricaverà un prodotto migliore. Il cuoco
veramente in gamba ha delle conoscenze di chimica della cucina che lo guidano in
quel che fa e nel modo in cui lo fa. Sa a cosa servono, per esempio, le chiare d’uovo
nell’impasto; sa qual è la loro funzione. Per il cuoco, non è semplicemente questione
di mettere insieme un po’ di questo e un po’ di quello, e poi frullare il tutto. Sa che
certe cose fanno sì che l’impasto si rapprenda fino a raggiungere quella determinata
consistenza, che certe cose vanno aggiunte in un determinato ordine, e che certi altri
ingredienti fanno sì che il sapore cambi in un senso o nell’altro.
Lo stesso vale quando si comincia a usare lo schema della scozzata. Come primo
passo per fare. di voi dei cuochi provetti, voglio che proviate a usare di nuovo lo
schema della scozzata, ma notando cosa accade se si cambia un solo elemento.
L’ultima volta abbiamo usato le submodalità delle dimensioni, della luminosità e
dell’associazione/dissociazione, come elementi che cambiano passando da
un’immagine all’altra.
Due di questi elementi, le dimensioni e la luminosità, sono elementi che cambiano
gradualmente entro una certa gamma di variabilità. Quando abbiamo qualcosa che
può essere cambiato gradualmente si parla di variabili analogiche.
L’associazione/dissociazione è una di quelle che chiamiamo variabili digitali, perché
i casi sono soltanto due. O si vive un’esperienza dall’interno, o la si osserva
dall’esterno; non è che si passi gradualmente dall’una all’altra. Il primo elemento
della scozzata sarà dunque sempre quello dell’associazione/dissociazione. Gli altri
due elementi analogici possono essere due elementi qualsiasi, purché abbiano un
poderoso effetto sulla persona interessata.
Questa volta voglio che conserviate tutto com’è, solo che invece delle dimensioni
userete la distanza. La prima immagine inizialmente sarà luminosa e vicina. La
seconda sarà inizialmente scura e lontana, e poi si avvicinerà rapidamente
illuminandosi, mentre la prima si allontanerà oscurandosi. Come cambiamento non è
molto rilevante, e alcuni di voi non noteranno alcuna differenza, in quanto le
dimensioni e la distanza sono strettamente correlate. Ma è un primo passo per
insegnarvi a usare lo schema della scozzata in modo molto più generale e flessibile.
Prendetevi un altro quarto d’ora a testa per effettuare la scozzata con la distanza
invece che con le dimensioni.
Il fatto di usare la distanza anziché le dimensioni ha prodotto qualche differenza per
qualcuno di voi? È possibile impiegare qualsiasi distinzione submodale per effettuare
la scozzata, ma essa funzionerà bene soltanto se le distinzioni che impiegate sono
soggettivamente rilevanti per la persona con cui state lavorando. Per la maggior parte
delle persone la luminosità e le dimensioni sono fattori efficaci, perciò la versione
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che vi ho insegnato all’inizio funzionerà nella maggior parte dei casi. La distanza è
un’altra submodalità importante per molte persone, perciò vi ho fatto
successivamente provare anche questa. Ma se le dimensioni, la luminosità e la
distanza non sono importanti per la persona con cui lavorate, allora bisogna scoprire
quali submodalità hanno effettivamente un impatto, e progettare una scozzata che le
utilizzi.
Un paio di anni fa lavorai con tre pazienti per una seduta da registrare al videotape. Il
primo paziente era una signora che soffriva di ‘perdite anticipatorie’. Mi piacciono
moltissimo le definizioni che vengono tirate fuori per descrivere i pasticci in cui la
gente va a cacciarsi! In parole povere, se aveva fissato di vedersi con una persona a
cui si sentiva vicina, e questa persona ritardava di mezz’ora, lei aveva quello che
definiva un ‘attacco di panico’. Perdeva completamente la trebisonda, e non sapeva
più che fare. Quando le chiesi cosa avrebbe voluto ricavare dalla seduta con me, mi
rispose in questo modo:
Il mio problema è una paura che in certe occasioni mi blocca quasi
completamente. Quando mi viene, è come se avessi degli attacchi di panico.
Quello che vorrei fare sarebbe riuscire a distanziarmi un po’ da certe situazioni,
così che quando mi ci trovo non proverei più quella paura nella misura in cui la
provo adesso, e riuscirei a controllarmi e a prendere decisioni migliori.
Siccome mi parlava di “distanziarsi”, mi forniva una chiara indicazione del fatto che
per lei la distanza era una submodalità importante. Parlava anche parecchio di
persone che “le erano vicine”, e di “rapporti stretti”. In seguito, parlando di quel che
faceva quando qualcuno era in ritardo, disse: “Ho bisogno di concedere loro una certa
distanza... voglio dire un po’ di tempo”. Con questa signora, una scozzata che
impieghi la distanza sarà molto più efficace di una scozzata che impieghi le
dimensioni. Difatti andai avanti, e provai la versione standard usando le dimensioni,
per capire se poteva funzionare. L’impatto fu minimo. Quindi usai la distanza, e
funzionò perfettamente.
L’elemento più importante per effettuare la scozzata in modo veramente elegante
consiste nel raccogliere accuratamente tutte le informazioni necessario a predisporre
le cose nel modo più appropriato. Quando una persona afferma che una certa cosa “è
più grande del reale”, oppure che “ha raggiunto proporzioni preoccupanti”, questa è
senz’altro un’indicazione che le dimensioni sono una importante variabile da
utilizzare.
Quando qualcuno descrive una limitazione che vorrebbe superare, bisogna riuscire a
prestare attenzione al modo in cui questo specifico problema funziona. Io tengo
sempre presente che qualsiasi cosa uno faccia, si tratta pur sempre di un risultato, per
quanto irrilevante o doloroso possa essere. La gente non si rompe; la gente funziona
sempre perfettamente. La domanda fondamentale è: “Come funziona questa persona
in questo momento?”, così da poterla aiutare a funzionare perfettamente in modo più
piacevole e utile.
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Una delle cose che faccio per raccogliere informazioni consiste nel dire al paziente:
“Beh, immaginiamo che io debba prendere il tuo posto per un giorno. Una delle cose
che dovrei fare sarebbe quella di avere la tua limitazione. Come potrei fare? Devi
insegnarmi come si fa ad avere questo problema”. Siccome parto dal presupposto che
si tratti di un risultato, cioè di qualcosa di appreso che può essere insegnato ad altri,
questo trasforma completamente il modo in cui la persona può pensare alla propria
difficoltà ed affrontarla.
Quando chiesi alla signora che aveva gli attacchi di panico quando gli altri erano in
ritardo di insegnarmi ad averne anch’io, lei mi disse:
Si comincia col dirsi frasi del tipo: “Sono in ritardo; può darsi che non arrivino
più”.
Te lo dici in tono di voce annoiato: “Ahem...”.
No. La voce inizia lentamente: “Diamogli tempo un’altra mezz’ora”. Quindi
accelera col trascorrere del tempo.
Ci sono anche delle immagini?
Sì. Vedo un’immagine della persona, per esempio tra i rottami dell’auto, come se
io fossi lì ad assistere alla scena, come attraverso un teleobiettivo. Altre volte mi
guardo intorno, guardo il mondo attraverso i miei stessi occhi, e non c’è nessuno.
Nel suo caso, quindi, aveva una voce che accelerava e saliva di tono col trascorrere
del tempo. A un certo punto la voce dice: “Non arriveranno più”, e lei si crea
un’immagine in primo piano, come attraverso uno zoom, della persona tra i rottami
dell’auto, oppure una immagine in cui è completamente sola.
Quando le chiesi di crearsi l’immagine dei rottami dell’auto, scoprii che il fatto di
allontanare o avvicinare l’immagine aveva un effetto molto rilevante. Quando provai
l’effetto della luminosità, disse: “Se la oscuro, è come se si allontanasse”. Questo mi
dice che anche la luminosità è un fattore importante.
Adesso voglio che vi mettiate in coppia con qualcuno, e gli chiediate di pensare a una
limitazione... qualcosa che l’altro consideri un problema da risolvere. Questa volta
non voglio che lo risolviate; voglio soltanto che scopriate come funziona questo
risultato che la persona ha raggiunto. Utilizzate lo schema dell’: “Immaginiamo che
io debba prendere il tuo posto per un giorno. Insegnami cosa debbo fare”. Fate la
stessa cosa che avete fatto in precedenza quando avete scoperto in che modo l’altro
motivava se stesso a fare qualcosa.
Ogni volta che una persona prova una coazione a fare una certa cosa che non
vorrebbe fare, è inevitabile che dentro di lei qualcosa si intensifichi fino a un
determinato limite. Bisogna cioè che qualcosa diventi più grande, o più luminoso, o
più forte, o che cambi il tono, o che il ritmo acceleri o rallenti. Voglio che scopriate
come questa persona ottiene la sua particolare limitazione. Innanzi tutto chiedetele
quando lo fa, e poi scoprite come lo fa: cosa fa, dentro di sé, per indurre quella
reazione? Quando pensate di avere identificato le submodalità determinanti,
verificatele chiedendo al compagno di variarle una alla volta, e osservando in che
modo ciò muta la sua reazione. Quindi chiedetegli di prendere un’altra immagine, e
103
variate di nuovo le stesse submodalità, per vedere come le sue reazioni alla seconda
immagine ne vengono modificate nello stesso senso. Cercate di raccogliere sufficienti
informazioni sul funzionamento della cosa in modo da essere in grado, volendo, di
avere anche voi la stessa limitazione. Quando le avete raccolte, esse vi diranno con
esattezza come effettuare la scozzata con questo particolare individuo. Ma non fatelo;
limitatevi a raccogliere le informazioni necessario. Vi ci vorrà una mezz’ora circa.
***
Uomo: II mio compagno ha due immagini che rappresentano due diversi stati:
desiderabile e indesiderabile. In un’immagine vede dei movimenti a scatti, mentre
nell’altra i movimenti sono fluidi e aggraziati.
Bene. Queste due immagini creano e perpetuano quella che secondo lui è la sua
difficoltà? La mia domanda era questa. Non ho ancora chiesto dov’è che la persona
vuole andare: ho chiesto soltanto in che modo si crea la difficoltà. Nel caso della
signora con gli attacchi di panico, doveva passare dallo stadio ‘ahem...’ allo stato di
‘dare i numeri’. Partiva con una voce e certe immagini. Quindi col passar del tempo
la voce doveva parlare più in fretta e salire di tono, mentre l’immagine doveva farsi
sempre più vicina.
Uomo: II mio compagno ha una sensazione di urgenza...
Certo. È la sensazione della coazione. Ma come fa a produrre quella sensazione?
Qual è la submodalità determinante? Fondamentalmente, quello che vogliamo sapere
è: “Come fa questa persona a passare, già ora, da un certo stato di coscienza a un
altro?”.
Uomo: Ciò che per lui è determinante è avvolgere l’immagine intorno a sé. Se la tira
addosso, se l’avvolge intorno, ci entra dentro, e quindi guarda l’immagine dal proprio
punto di vista.
Ecco. Bene. Ecco come entra nello stato in cui non vorrebbe entrare.
Uomo: Sì. Prima entra in questo stato, e poi se ne dissocia uscendone, ricollocandolo
qui alla sua sinistra, lontano da sé, e restandone a una distanza di qualche metro.
Bene. Quindi la submodalità determinante è quella dell’associazione/dissociazione.
Non ci sono poi tante possibilità di scelta, perciò dobbiamo aspettarci una certa
ripetitività. E gli altri, quali altre submodalità determinanti hanno trovato?
Donna: Determinanti erano la larghezza dell’immagine, e anche la luminosità.
Quando l’immagine si restringeva e si oscurava, lei si sentiva come imprigionata.
Mi sembra logico. Se le immagini si assottigliano, si sente imprigionata.
Donna: Era un po’ come una sinestesia.
Tutte queste cose funzionano per sinestesia. È proprio su questo che stiamo facendo i
nostri esperimenti. Pensaci. Se si muta la luminosità dell’immagine, ciò muta
l’intensità delle sensazioni. Si tratta sempre di sinestesia. Noi vogliamo sapere come
tali elementi sono collegati, in modo da usare quel legame per costruire la scozzata.
Quel che ti serve sapere per costruire una scozzata adatta a lei è se restringere
qualsiasi immagine rafforza la sua reazione oppure no, e se oscurare qualsiasi
immagine rafforza la sua reazione oppure no. Vedi, può ben darsi che usi la parola
104
‘imprigionata’ perché non le piace il particolare tipo di scelta che è costretta a
compiere in quella determinata immagine. Se vedesse una possibilità di scelta che le
piace e l’immagine si restringesse, potrebbe descrivere le sue sensazioni con i termini
‘determinazione’ o ‘impegno’. Se restringere l’immagine e oscurarla rafforza la sua
reazione, potresti costruirle una scozzata su misura partendo da un’immagine stretta e
buia dello ‘stato problematico’, che si allarga e diventa più luminosa mentre
l’immagine dello stato desiderato si assottiglia e si oscura. Questo sembrerà strano
alla maggior parte di voi, ma tenete presente che il cervello di ciascuno è codificato
in modo leggermente diverso. Ciò che rende la scozzata veramente elegante è
progettarla in modo che il cervello di quel particolare individuo reagisca bene.
L’altra possibilità è che rendendo più stretta questa particolare immagine in cui
compaiono certe possibilità di scelta si intensifichi la sua sensazione di costrizione,
mentre creando un’immagine in cui lei ha altre possibilità di scelta si ottenga una
reazione più intensa quando la si amplia. In questo caso, potresti farle restringere
l’immagine del problema fino a farla diventare una linea, e da quella stessa linea far
nascere l’immagine della soluzione. Devi quindi fare un passo indietro e raccogliere
maggiori informazioni su come la cosa funziona prima di poter capire qual è il
miglior modo di progettare una scozzata adatta a lei.
Vi sto parlando di queste possibilità perché voi cominciate a capire l’importanza di
calibrare le vostre tecniche di cambiamento a seconda della persona. Dovete creare
una direzione nella quale l’immagine del vecchio problema porti a una soluzione, e
l’immagine della soluzione crei una reazione di intensità crescente.
Uomo: La mia compagna aveva un’immagine con una doppia cornice, una bianca e
una nera, e l’immagine è inclinata invece di essere diritta. Quando viene presa dal
panico, la parte superiore dell’immagine si inclina allontanandosi da lei.
Cos’è che cambia? C’è un momento in cui l’immagine torna diritta? È quando
l’immagine si allontana inclinandosi e ha un bordo che lei viene presa dal panico?
Uomo: No, sta lì e basta.
Beh, non è possibile che stia lì e basta. Deve pur venire da qualche parte. Noi
dobbiamo andare alla ricerca di ciò che cambia. Una volta che lei arriva all’immagine
che tu hai descritto, viene presa dal panico. Ma l’immagine da cui lei parte deve
essere in qualche modo diversa. Spero che il suo non sia un panico costante! Come fa
ad arrivare a quel punto? È qualcosa che ha a che fare con il cambiamento di
inclinazione dell’immagine? Oppure l’inclinazione è fissa, ed è qualcos’altro a
cambiare?
Uomo: All’inizio è diritta, e col cambiare della situazione si inclina.
Così quando l’immagine si inclina [tilts], va in tilt anche lei. Quando l’inclinazione
arriva a un certo punto, viene presa dal panico. L’immagine ha quel doppio bordo
anche quando è verticale?
Uomo: Sì.
Quindi il bordo non è un elemento determinante, c’è e basta. Quando l’immagine si
inclina, non succede altro? Non è che cambi la luminosità, o cose simili? Cambia per
caso la velocità con cui le immagini si susseguono?
Uomo: No. Cambia il suono, però, che diventa come confuso e ronzante.
105
E sei sicuro che visivamente non cambi altro.
Uomo: Non tanto.
Bene. Sono contento che tu non ne sia sicuro. Mi rende l’idea che la semplice
inclinazione dell’immagine non sia sufficiente. Riprova, e chiediglielo. Falle
prendere l’immagine di qualcos’altro, fagliela inclinare, e osserva cosa succede. Se il
semplice fatto di inclinare una qualsiasi immagine basta a farla sentire ‘fuori squadra’
e in preda al panico, potresti farle inclinare la prima immagine finché non diventa una
linea, e quindi farle fare un giro completo finché dall’altra parte non compare la
seconda immagine. Falle fare un bei giro! Hai mai visto in televisione quegli effetti
elettronici, quando compare un quadrato che quindi ruota su se stesso? Al termine
della rotazione, si è trasformato in una nuova immagine. Potresti farlo nello stesso
modo. Tutti quanti state cominciando a capire come si possono utilizzare queste
informazioni per costruire una scozzata che possa risultare particolarmente efficace
per una determinata persona?
Uomo: Il problema del mio compagno era dovuto al fatto che perdeva lo sfondo
dell’immagine che stava guardando. All’inizio nello sfondo c’erano tante persone, e
poi, arrivato al punto critico, lo sfondo era scomparso; restavano solo certe persone.
C’è stato un cambiamento nella messa a fuoco, o nella profondità di campo?
Uomo: È scomparso e basta. Credo che fosse una questione di messa a fuoco. Non
c’era più nulla.
Ma le figure in primo piano sono nitide?
Uomo: Nitide come prima; non sono cambiate.
È come guardare attraverso un obiettivo? Con un obiettivo, si può fare in modo che
una parte dell’immagine sia nitida, mentre il resto viene sfocato. È di una cosa del
genere che stai parlando?
Uomo: No, non è questo. È come se mettesse una mascherina su tutto quanto,
all’infuori delle persone direttamente coinvolte, e tutto il resto sparisse.
E le persone non si appoggiano su nulla?
Uomo: Credo che le sedie e le cose su cui sedevano ci fossero ancora, mentre ogni
altra cosa nella stanza era stata eliminata. Apparentemente si concentrava sulle
persone.
Certo. Ma non sai in che modo lo facesse... con la messa a fuoco, o con che cosa?
Uomo: No, non lo so.
Questa è proprio la parte che ci interessa. Devi venire a sapere in che modo avviene la
transizione, in modo da poter usare lo stesso metodo di transizione con qualsiasi
immagine..
Donna: La persona con cui stavo lavorando aveva una diapositiva fissa, senza
movimento e senza colore. Quando vede l’immagine, all’inizio è la sua stessa voce a
commentarla, con un tono ne alto ne basso: “Hmmm, non c’è male”, e il tono va su e
giù. Ben presto la voce cambia, e diventa monotona e bassa. E a questo punto sta
male.
L’immagine resta costante? Non cambia per nulla? Trovo un po’ difficile credere che
quando cambia il tono e il ritmo della voce, la diapositiva resti costante, che non
cambi la luminosità o qualcos’altro, e questo per il semplice motivo che finora non
106
mi è mai capitato di trovare una cosa del genere. Questo non significa che non sia
possibile, ma mi sembra molto improbabile. Una persona può guidare il processo
auditivamente, ma di solito insieme alla voce cambia anche qualcos’altro.
Supponiamo che guardi quest’immagine, e che si guidi da uno stato all’altro
semplicemente cambiando il tono di voce. La cosa può senz’altro funzionare. Per
effettuare una scozzata auditiva, però, ci vorrebbe un altro parametro auditivo.
Probabilmente cambierà il ritmo. Di solito i parametri che cambiano sono più di uno.
Uomo: E se uno cercando un’altra variabile la trovasse in un’altra modalità, e si
avessero così una submodalità visiva e una submodalità auditiva, questa
combinazione potrebbe funzionare?
Potrebbe, ma per lo più non sarebbe necessario. Potresti farlo se proprio non riuscissi
a trovare una seconda submodalità nello stesso sistema rappresentativo. Il motivo per
cui insisto sul sistema visivo è che il sistema visivo ha la proprietà della simultaneità.
Vedere due diverse immagini contemporaneamente è una cosa abbastanza facile. Il
sistema auditivo è più sequenziale. È difficile prestare attenzione a due voci
contemporaneamente. È possibile effettuare una scozzata auditiva, ma bisogna
procedere in modo un po’ diverso. Se si impara a essere precisi per quanto riguarda il
sistema visivo, allora quando si comincia a lavorare sul canale auditivo sarà più facile
adattarsi.
Uomo: L’ho. chiesto perché nel caso della mia compagna l’immagine cambia, ma
allo stesso tempo quando lei entra nell’immagine sente la propria voce. Mi sto
chiedendo se effettuando la scozzata con l’aggiunta di un elemento auditivo ciò non
equivarrebbe a dargli un’ultima inchiodata [nailing it shut].
“Dargli un’ultima inchiodata” è un buon modo di pensare alla cosa. Se si effettua la
scozzata utilizzando una sola submodalità, sarebbe come inchiodare insieme due assi
da una parte sola. In un incastro a coda di rondine i chiodi o le viti entrano da due
direzioni contemporaneamente. Se si tira da una parte, lavora una serie di chiodi; se si
tira dall’altra, è la seconda serie di chiodi a reggere. Ecco perché quando si effettua la
scozzata è importante usare contemporaneamente due submodalità efficaci. Da soli di
solito non si cambia più di una submodalità alla volta, e per effettuare la scozzata
bisognerebbe variarne almeno due allo stesso tempo.
Se state effettuando una scozzata visiva e ci sono anche componenti auditive, di
solito la persona parlandovi delle due immagini vi darà anche una dimostrazione
inconscia dei mutamenti auditivi. Allora, quando le dite di creare le immagini in
questione, potete indurre i mutamenti auditivi dall’esterno, con la vostra voce, senza
accennarvi esplicitamente. Per farlo bene, bisogna esser capaci di parlare con la voce
di un altro.
La capacità di imitare la voce di un altro è semplicemente questione di pratica, ed è
un talento che nel nostro ramo di attività vale la pena di acquisire. Dopo un po’ si
scopre che non è necessario imitare la voce di un altro alla perfezione; basta cogliere
certe caratteristiche distintive. Queste devono essere sufficienti a far sì che se imitate
la voce di un altro questi non si accorga se è lui stesso a parlarsi, o siete voi. È il
vecchio schema del: “Beh, sono entrato dentro e ho detto a te stesso...”. Una volta
nei seminari lo facevo spesso, e pochissimi se ne accorgevano.
107
Adesso voglio che ciascuno di voi si rimetta insieme alla persona con cui era qualche
minuto fa, e trovi quel paio di submodalità analogiche che sono le più importanti nel
creare la limitazione. Alcuni di voi dispongono già di queste informazioni, ma molti
devono ancora ottenerle.
Quindi voglio che prendiate la seconda immagine, quella di come l’altro si vedrebbe
diverso se non avesse quella limitazione. Questa immagine deve essere dissociata,
mentre la prima sarà sempre associata. Un elemento fondamentale della scozzata sarà
sempre l’associazione nella prima immagine, e la dissociazione nella seconda.
Quindi costruirete una scozzata utilizzando le due submodalità analogiche che avete
individuato come le più importanti (invece della misura e della luminosità come avete
fatto nella scozzata standard). Prima di tutto fate creare al vostro compagno
un’immagine associata degli stimoli iniziali, utilizzando quelle submodalità che
danno luogo a una reazione rilevante (una grande immagine luminosa). Quindi fate
creare al vostro compagno un’immagine dissociata di se stesso come gli piacerebbe
essere, partendo dall’altro estremo delle medesime submodalità (una piccola
immagine scura). Quando fate la scozzata, le submodalità cambieranno in modo da
indebolire rapidamente la reazione alla prima immagine, rafforzando
contemporaneamente la reazione alla seconda. Ci rivediamo tra una mezz’eretta.
***
Quello che avete appena fatto è la base per utilizzare la scozzata in modo artistico e
preciso. Si può sempre provare per prima la scozzata standard. Se non funziona, se ne
può provare un’altra, e continuare a provare finché non se ne trova una che funziona.
Questo è senz’altro meglio che non provarne nessun’altra. Ma meglio ancora è
raccogliere informazioni sufficienti a sapere esattamente cosa state facendo, e da
prevedere in anticipo cosa funzionerà e cosa no. Ci sono domande?
Uomo: Che si può fare con un paziente che non ha una grande consapevolezza dei
processi interni? Quando a certi miei pazienti chiedo come fanno certe cose dentro di
sé, si stringono nelle spalle e dicono: “Non lo so”.
Ci sono diverse cose che potresti fare. Una sarebbe continuare a far domande finché
lui non comincia a prestare attenzione a quel che gli succede dentro. Un’altra sarebbe
fare tutta una serie di domande, leggendo le risposte ‘sì/no’ a livello non verbale. Per
esempio, potresti chiedergli: “Stai parlando con te stesso?”, osservando la reazione
immediatamente precedente alla verbalizzazione “Non lo so”. Questa tecnica è
discussa approfonditamente nel libro Trance-formations.
Un’altra delle cose che potresti fare sarebbe creare la situazione problematica e
osservare il comportamento della persona. Tutte le variazioni submodali trovano
espressione in certi comportamenti esterni. Per esempio, quando uno da luminosità a
un’immagine, la testa ruota inclinandosi leggermente all’indietro, mentre se
l’immagine si avvicina la testa va sì all’indietro, ma senza inclinarsi. Se si osserva la
persona quando le si chiede di operare un cambiamento di submodalità si possono
calibrare le nostre azioni su quelle variazioni comportamentali che noi chiamiamo
‘indizi di accesso submodale’. Si possono quindi utilizzare queste variazioni per
108
determinare cosa la persona stia facendo dentro di sé, anche quando non se ne rende
conto. Personalmente utilizzo sempre questo tipo di calibratura per controllare che il
paziente faccia veramente quello che gli ho chiesto di fare.
Come in ogni altra cosa in PNL, quanto più si sa del modo in cui il cambiamento
funziona, e quanto più si calibrano le nostre azioni sulle reazioni comportamentali,
tanto più si possono fare le cose di nascosto. Per esempio, qualche volta uno, prima di
riuscire a effettuare efficacemente la scozzata, ha bisogno di fare delle prove. Allora
si può chiedergli di farla una prima volta, e poi domandargli:
“L’hai fatta bene?”. Per poter rispondere a questa domanda, dovrà farla un’altra volta.
Allora potreste domandargli: “Sei sicuro di averla fatta bene?”, e lui dovrà farla di
nuovo. In questo modo ci riuscirà prima e meglio, perché il suo non sarà un tentativo
cosciente.
Donna: Esistono studi sequenziali a lungo termine dell’efficacia di questo metodo?
Mi interessano molto di più gli studi sequenziali di venti minuti. L’unico motivo che
può giustificare uno studio sequenziale a lungo termine è se non si è in grado di dire
se la persona è cambiata mentre si trovava davanti a noi. Pensaci: se tu inducessi un
cambiamento in qualcuno, e questi restasse così per cinque anni, cosa avresti
dimostrato? Questo non ci direbbe nulla sul fatto che quel cambiamento abbia
effettivamente un valore, o che possa dar luogo a successive evoluzioni. Vedi, fare in
modo che una persona non abbia più paura dei lombrichi o che non abbia più la
coazione a ingozzarsi di cioccolata, non è un grande risultato, anche se dura per tutta
la vita. La cosa importante da capire riguardo allo schema della scozzata è che esso
indirizza la persona in una direzione generativa ed evolutiva. Quando mi è capitato di
effettuare una verifica più a lungo termine con pazienti con i quali avevo lavorato con
la tecnica della scozzata, di solito questi mi hanno riferito che il cambiamento da me
indotto era divenuto la base di molti altri cambiamenti dei quali erano soddisfatti. Lo
schema della scozzata non spiega alla gente come deve comportarsi, ma piuttosto la
mantiene in una direzione che li conduce ad andare verso ciò che vogliono diventare.
Per me, stabilire questa direzione è la parte principale del significato profondo del
cambiamento.
109
Conclusione
C’è una cosa che più di tutte le altre ci fa capire se qualcuno sa cos’è la PNL. Non è
un insieme di tecniche, è un atteggiamento. È un atteggiamento che ha a che fare con
la curiosità, col voler sapere le cose, col voler essere capaci di influire sulle cose, e
voler essere capaci di influirvi in modo che valga la pena di farlo. Tutto si può
cambiare. Questo è quello che disse Virginia Satir la prima volta che la vidi condurre
un seminario, ed è assolutamente vero. Tutti i fisici lo sanno. Ogni essere umano può
essere cambiato con una calibro 45... è quella che viene chiamata ‘co-terapia col
signor Smith e il signor Wesson’.
La tecnologia di cui vi siete impadroniti in questo seminario è estremamente efficace.
Il problema di come usarla, e per cosa usarla, è un problema che spero vogliate
considerare molto attentamente... non come un faticoso dovere, ma con la curiosità di
scoprire cosa sia che valga la pena di fare. Le esperienze che in vita vostra si sono
dimostrate più benefiche a lunga scadenza, e che rappresentano per voi una base per
poter provare piacere, soddisfazione, gioia e felicità, non sono necessariamente state
del tutto gioiose all’epoca in cui le avete vissute. Talvolta alcune di queste esperienze
sono state estremamente frustranti. Talvolta vi hanno lasciati confusi. Talvolta sono
state divertenti in sé e di per sé. Questi diversi tipi di esperienza non si escludono a
vicenda. Tenetelo ben presente quando progettate delle esperienze per qualcun altro,
e poi gliele fate vivere.
Una volta presi un aereo per il Texas, dove dovevo tenere un seminario. Seduto
accanto a me sull’aereo c’era un tale che leggeva un libro intitolato La struttura della
magia. Sapete com’è, mi era caduto l’occhio sulla copertina. “Lei fa il
prestigiatore?”, gli chiesi.
“No, sono psicologo”.
“E come mai uno psicologo legge un libro sulla magia?”.
“Non è un libro sulla magia, è un libro serio sulla comunicazione”.
“E allora perché è intitolato La struttura della magia?”.
Per le tre ore successive mi spiegò di che si trattava. Quello che mi disse su quel libro
non aveva niente a che fare con quello che avevo creduto di fare mentre lo scrivevo.
Nel migliore dei casi, il rapporto non avrebbe nemmeno potuto essere definito tenue:
arrivato al secondo capitolo, era partito completamente per la tangente. Ma mentre mi
spiegava il contenuto del libro, io gli rivolgevo domande del genere: “In che modo,
specificamente?”, e “Che cosa, specificamente?”.
“Beh, se la si guarda in questo modo...”.
“Se io la guardassi in questo modo, che cosa vedrei?”.
“Beh, si prende questa immagine, ecco, e si prende l’altra immagine (non sapeva che
la maggior parte delle persone non vede sempre due immagini), e poi si
rimpicciolisce l’una mentre si ingrandisce l’altra...”.
110
Mentre mi descriveva queste cose, che per lui erano assolutamente scontate, io me ne
stavo lì seduto e pensavo: “Accidenti, che strano. Qui potrebbe esserci un intero
mondo da scoprire!”.
Mi spiegò che per l’appunto stava andando in Texas per partecipare a un seminario di
PNL. Il giorno seguente, quando mi vide entrare nella sala, restò piacevolmente
sorpreso dal fatto che avessi seguito il suo consiglio e avessi deciso di andarci
anch’io... finché non salii sul podio e non accesi il microfono! Ciò che probabilmente
lui non apprezzerà mai è che il motivo per cui non gli avevo semplicemente detto:
“Questo libro l’ho scritto io”, era che non volevo privarmi della possibilità di
imparare qualcosa di nuovo.
Vedete, ogni volta che si pensa di aver capito appieno qualcosa, è giunto il momento
di entrarsi dentro e dire: “Ci sono cascato di nuovo”. Infatti è proprio in questi
momenti di certezza che si può star sicuri che ci si sta accontentando di conoscenze
irrilevanti, e che il terreno fertile resta ancora inesplorato. Ovviamente resta sempre
molto, moltissimo da imparare, e questa è la parte divertente della PNL, il suo futuro.
Quando si padroneggia qualcosa a tal punto da riuscire a farla alla perfezione, allora
diventa un fatto di routine, esattamente come maneggiare una cucitrice. Si potrebbe
metter su una clinica, e farci venire la gente e curare una fobia dopo l’altra, per tutto
il giorno. Non ci sarebbe nessuna differenza con qualsiasi altro lavoro di routine.
Tuttavia, ogni volta che arriva un paziente si potrebbero anche cominciare a fare delle
indagini per capire come si potrebbe rendere la cosa più interessante e produttiva del
puro fatto di curare una fobia in modo che la persona non abbia più il terrore panico
degli ascensori. Perché non fare in modo che la persona possa divertirsi ad andare in
ascensore? Perché non cercar di capire come funzionano le fobie, in modo da poter
dispensare a volontà fobie che valga la pena di avere? Varrebbe anche la pena di
avere la fobia di certe cose! Avete per caso una tendenza coatta a spendere? A
compiere atti violenti? A mangiare? A consumare? Che ne direste della fobia di
vivere nell’apatia e nella noia? Questa fobia potrebbe sospingervi in direzioni nuove
e più interessanti.
Ogni volta che vado da qualche parte per tenere un seminario, arrivo sempre in
albergo la sera prima. Di recente sono andato a Filadelfia, e nel mio stesso albergo
c’erano diversi programmatori neurolinguistici ‘avanzati’, che per lo più neanche mi
conoscevano. Quando scesi al bar, uno di loro stava dicendo a un amico: “Spero che
non ci propini ancora quella roba sulle submodalità, perché so già tutto”. Ovviamente
mi avvicinai e chiesi: “Ma che diavolo è questa PNL?”. Era un’occasione che non mi
sarei lasciato sfuggire per tutto l’oro del mondo.
“Beh, è difficile da spiegare”.
“Ma lei la conosce bene, no? La usa con profitto? La capisce?”.
“Certo, naturalmente”.
“Beh, io non ne so nulla e non ho grandi pretese. Visto che lei è un esperto, potrebbe
spiegarmi di che si tratta? Su, io le pago qualcosa da bere e lei mi spiega tutto
quanto”.
Nelle sue fantasie più sfrenate, non avrebbe mai sospettato minimamente la
sensazione che avrebbe provato la mattina seguente alle nove e mezzo quando io
111
sarei salito sul podio per iniziare il seminario. Non sospettava nemmeno
lontanamente di avermi insegnato di più lui in quel bar di quello che gli insegnai io
nel corso di tre giorni di seminario.
Mi piacerebbe che consideraste la possibilità di trasformare tutto in un seminario
introduttivo, nel senso di non imparare mai abbastanza da trascurare ciò che resta
ancora da sapere. Succede fin troppo spesso che ci si dimentichi come si fa a non
sapere. Si dice: “Ah sì, mi rammenta quello che...”, “È la stessa cosa che...”, “Sì,
l’anno scorso ho imparato tutta quella roba sulle submodalità...”. Nemmeno io l’ho
imparata tutta, perciò se qualcuno l’avesse imparata tutta l’anno scorso vorrei che
l’insegnasse anche a me, in modo da non dover fare tutta questa fatica per scoprirla
da solo!
C’è una enorme differenza tra l’imparare certe cose e lo scoprire cosa resti ancora da
imparare. Ma è questa la differenza che veramente conta. Io so fare cose che nessuno
nemmeno sospetta. Ma vale anche il contrario. Siccome le submodalità sono qualcosa
che tutti hanno, tutti ci fanno cose interessanti. Possono non sapere consciamente
come le fanno, ma ciò nonostante riescono a creare e a utilizzare configurazioni del
tutto singolari. Quando il paziente entra e gli chiedete: “In che modo si sente in
crisi?”, egli darà una certa risposta. Ma non dimenticate che è ‘in crisi’ così bene da
riuscire a ricreare ininterrottamente lo stesso problema nello stesso identico modo!
Questo fatto deve sempre farvi rammentare che si tratta di un risultato, per quanto
irrilevante, disgustoso o repellente possa essere.
È proprio la capacità di restare affascinati dalla complessità di quel risultato a
distinguere chi lavora in modo generativo da chi lavora in modo riparatore. Senza
questo senso di curiosità, quelle cose irrilevanti, repellenti e disgustose resteranno
cose sulle quali non sapete come influire. E senza questa capacità di influire, la gente
continuerà a scatenare guerre per località remote e differenze insignificanti, senza
riuscire a scoprire nuovi modi in cui tutti quanti possano venirne fuori arrivando
primi. L’essenza del fatto di essere generativi consiste nel creare un mondo in cui
tutti vincono, perché esistono modi di creare di più, anziché avere una quantità
limitata da dividere e su cui litigare.
Tutto ciò che un essere umano riesce a fare è un risultato; bisogna solo vedere dove,
quando e per cosa viene utilizzato. Ciascuno di voi può ricavarne qualcosa, perché
ciascuno di voi saprà guidare il proprio autobus. Adesso che sapete come, la domanda
interessante è: “Dove?”. Se non si è capaci di guidare il proprio autobus, non ha una
grande importanza dove vogliate andare, perché comunque non ci arrivereste.
Quando si impara a usare il proprio cervello, ecco che questa domanda diviene di
un’importanza fondamentale. Alcune persone guidano girando in tondo. Altre
prendono la stessa strada tutti i giorni. Altri ancora prendono la stessa strada, ma
invece di metterci un giorno ci mettono un mese.
Nella nostra mente c’è tanto di più di quello che immaginiamo. Nel mondo che ci
circonda c’è tanto di più rispetto a ciò di cui riusciamo a essere curiosi. È solo questo
crescente senso di curiosità a permetterci di catturare quell’entusiasmo che rende
utile, divertente ed emozionante tanto il compito più banale quanto quello più
affascinante. Senza questa curiosità, la vita è soltanto uno stare in coda. Quando si sta
112
in coda, si può portare alla perfezione l’arte di battere col piede per terra, ma si può
fare anche molto di più. E ho una sorpresa per voi. Ho scoperto che la vita nell’aldilà
comincia con una lunga attesa in coda. Sarà dunque meglio che vi divertiate adesso,
perché a coloro che riescono a divertirsi e a fare cose che vale la pena di fare con un
profondo senso di curiosità toccherà una coda più breve di quelli che sono riusciti a
sviluppare soltanto la capacità di attendere in coda.
Ovunque voi siate e qualsiasi cosa facciate, le abilità, le tecniche e gli strumenti che
avete acquisito in questa sede costituiranno per voi una base per divertirvi e per
imparare qualcosa di nuovo. Il signore che si trovava insieme a me su quell’aereo
diretto in Texas e che mi spiegò cosa fosse la PNL è diverso da me in un senso
soltanto. La mattina seguente, quando si mise a sedere e alzò lo sguardo e mi vide e
pensò: “Oh, santo cielo!”, non si rese conto che io avevo imparato qualcosa da lui. È
l’unica differenza tra lui e me. Io non l’avevo fatto per fargli fare la figura dello
stupido; l’avevo fatto al fine di imparare, perché ero curioso. Era un’opportunità
rara, senza precedenti. E lo stesso vale per qualsiasi altra esperienza della vostra
vita.
113
Appendice
Distinzioni submodali
L’elenco che segue non è completo, e l’ordine di presentazione non ha alcuna
importanza. E voi, quali distinzioni fate dentro di voi da poter aggiungere all’elenco?
SUBMODALITÀ VISIVE
Luminosità
Dimensioni
Colore/bianco e nero
Saturazione (vivacità)
Sfumature, o bilanciamento del colore
Forma
Collocazione
Distanza
Contrasto
Chiarezza
Messa a fuoco
Durata
Movimento (diapositiva/film)
Velocità
Direzione
Immagine tridimensionale/piatta
Stabilità orizzontale e verticale
Punti luminosi
Prospettiva (punto di vista)
Immagine associata/dissociata
Primo piano/sfondo
Sé/contesto
Frequenza o numero (schermo suddiviso,
o immagini multiple)
Primo piano/panoramica (focale
dellobiettivo)
Rapporto tra altezza e larghezza
Orientamento (inclinazione, rotazione,
ecc.)
Densità (‘granulosità’, ‘numero di pixel’)
Lampeggiamento
Orientamento dell’illuminazione
Simmetria
Immagine digitale (caratteri scritti)
Ingrandimento
Aspetto delle superfici
SUBMODALITÀ AUDITIVE
Altezza
Tempo (velocità)
Volume
Ritmo
Suono continuo o interrotto
Timbro o tonalità
Suono digitale (parole)
Suono associato/dissociato
Durata
Localizzazione
Distanza
Contrasto
Figura/sfondo
Chiarezza
Numero
Simmetria
Risonanza col contesto
Fonte esterna/interna
Monoaurale/stereofonico
114
SUBMODALITÀ CENESTESICHE
Pressione
Localizzazione
Ampiezza
Grana
Temperatura
Numero
Movimento
Durata
Intensità
Forma
Frequenza (tempo)
Un modo utile per suddividere le sensazioni cenestesiche è il seguente:
1) Tattili: le sensazioni della pelle.
2) Propriocettive: le sensazioni muscolari e altre sensazioni interne.
3) Meta-sensazioni valutative su altre percezioni o rappresentazioni, altrimenti
chiamate emozioni, sentimenti o cenestesia viscerale, generalmente
rappresentate nel torace e/o nell’addome o lungo la linea mediana del torso.
Queste sensazioni non sono sensazioni/percezioni dirette, ma rappresentazioni
derivate da altre sensazioni/percezioni.
SUBMODALITÀ OLFATTIVE E GUSTATIVE (ODORATO E GUSTO)
I termini impiegati dalla psicofisiologia sperimentale (dolce, aspro, amaro, salato,
bruciato, aromatico ecc.) probabilmente non ci saranno di grande aiuto. Piuttosto, ci
saranno spesso assai utili il rafforzarsi o l’indebolirsi gradualmente (mutamenti di
intensità e/o durata) di un sapore o di un odore particolare che si riveli determinante
nell’esperienza individuale. Odori e sapori sono ancore efficacissime per i nostri stati
interiori.
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Indice
Introduzione
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pag. 2
1. Chi guida l'autobus? .
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.
»
La maggior parte di noi lascia correre il proprio cervello all’impazza
fa, e trascorre molto tempo ad avere esperienze che preferirebbe non
avere. Bandler mette in ridicolo molti dei modi in cui abitualmente
cerchiamo di pensare ai problemi umani e di risolverli, iniziando al
tempo stesso a fornire delle alternative.
6
1. Far funzionare il cervello
.
.
.
.
.
.
.
»
A seconda delle dimensioni, della vivacità, della vicinanza, ecc., delle
nostre immagini interne, noi reagiamo agli stessi pensieri in maniera
molto differente. Capire questi semplici principi ci permette di
trasformare le nostre esperienze in modo da reagire come vogliamo.
Viene data una dimostrazione di ‘terapia rapida’.
16
3. Punti di vista .
.
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Vedere un ricordo dal proprio punto di vista (attraverso i propri
occhi) ha un impatto molto diverso dall’osservarsi in quello stesso
ricordo da qualche altro punto di vista. Se si sa come utilizzare questa
differenza, diviene possibile, tra l’altro, risolvere una fobia o una
‘sindrome da stress post-traumatico’ in pochi minuti.
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4. Sbagliarsi
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Noi cerchiamo spesso di correggere un problema dopo che qualcosa è
andato storto, anziché predisporre le cose in modo da assicurarci che
vadano come vogliamo. Il tentativo di correzione spesso non fa che
aggravare il problema stesso.
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5. Andare allo scopo
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Tutti quanti nel corso della giornata ci motiviamo ripetutamente a
fare certe cose. Sapendo come funziona questo meccanismo, diviene
possibile scegliere ciò che siamo motivati a fare, sfruttando allo
scopo intensi sentimenti positivi. Si da inoltre una dimostrazione di
come si possano trasformare le voci interne che ci criticano in alleati
servizievoli e utili.
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6. Capire la confusione .
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I modi in cui ciascuno di noi organizza la propria esperienza allo
scopo di capire sono unici e originali, e possono essere diretti e
modificati. Si può imparare molto dal fatto di provare a usare il modo
di capire di un’altra persona.
7. Superare le convinzioni
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Il nostro cervello codifica le esperienze interne, così che noi
sappiamo in cosa crediamo e in cosa non crediamo. Accedendo
direttamente a questo codice interno e modificandolo, e possibile
trasformare rapidamente le proprie credenze limitanti su noi stessi in
credenze che ci danno forza e risorse.
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8. Imparare .
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Il nostro sistema educativo cerca di insegnare agli studenti dei
contenuti, invece di insegnar loro a imparare. È possibile risolvere
facilmente le fobie scolastiche che impediscono di imparare. Si
discutono inoltre anche la memoria e i problemi di apprendimento.
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9. La scozzata
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Se si comprende come il proprio cervello collega le esperienze, è
possibile trasformare ogni situazione problematica in un
suggerimento capace di farci avvicinare a ciò che vorremmo essere.
Questo metodo fornisce una soluzione produttiva di quasi ogni
comportamento o risposta problematica. Se ne da una dimostrazione
con il fumo e altre risposte abituali.
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Conclusione
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Appendice: distinzioni submodali
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Indice .
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