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LA COMPETENZA TERRITORIALE INDEROGABILE NEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO, COME FRENO ALLA PRASSI DEL C.D. “FORUM SHOPPING”
A cura di
Andrea Pittoni
Ai sensi dell'articolo 31 della legge n. 1034 del 1971, la competenza territoriale veniva considerata
derogabile, nel senso che il “prodotto” (atto, provvedimento, comportamento o accordo) poteva
essere impugnato presso qualunque tribunale amministrativo regionale.
Questa scelta si basava sul carattere oggettivo della giurisdizione amministrativa, nata appunto per
decidere sulla legittimità degli atti (c.d. “giurisdizione sugli atti”), ben diversa quindi dal “processo
tra parti” che caratterizza il giudizio civile.
Da ciò derivava che l'annullamento di un atto da parte di un T.A.R. aveva un effetto erga omnes e
non limitato al caso concreto.
Questa impostazione, che vedeva una competenza territoriale fungibile, era coerente al suo interno
con il carattere oggettivo della giurisdizione amministrativa ma, già molto prima dell'approvazione
del codice del processo amministrativo, si verificano fenomeni di “forum shopping”1, ove il privato
impugnava l'atto davanti al T.A.R. che riteneva orientato nel senso a lui più favorevole in modo tale
da ottenere un provvedimento cautelare, rallentare il processo2 e, quindi, avvalersi della sospensiva
a tempo indeterminato.
Davanti a tale situazione, il legislatore - anche a garanzia del principio del giudice naturale
precostituito per legge - interviene prevedendo l'inderogabilità della competenza territoriale.
Da qui l'articolo 13 del c.p.a. che, se ha il pregio di porre fine alle prassi indicate, può lasciare delle
perplessità sia in merito al significato da darsi alla norma che relativamente ai “possibili vulnus di
tutela nella fase cautelare a danno del ricorrente, nel caso in cui quest'ultimo ed il suo difensore
1. Anche definite come “migrazioni cautelari e di merito”; in questi termini, G. VIRGA, La nuova disciplina del
regolamento di competenza e il fenomeno delle migrazioni cautelare, in Giust. Amm., 2001, 496 ss.
2. A questi fini è nata la riprovevole prassi delle “sospensive appese”, dove il ricorrente, ottenuta la misura cautelare,
andava a revocare la domanda di fissazione udienza, in modo tale da far venir meno l'impulso di parte una volta
ottenuta la sospensiva. Da qui la scelta del legislatore di prevedere all'articolo 71 c.p.a. l'irrevocabilità dell'istanza di
fissazione udienza.
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abbiano – si badi: anche in perfetta buona fede e senza alcun intento fraudolento – adito il
tribunale amministrativo regionale non competente”3.
Le perplessità aumentano quando si va a mettere in relazione il primo ed il secondo periodo del
primo comma dell'articolo 13 c.p.a. che, da una prima lettura, sembrano contraddirsi; invero, nel
primo periodo si afferma che “sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordo o
comportamenti di pubbliche amministrazioni è inderogabilmente competente il tribunale
amministrativo regionale nella cui circoscrizione esse hanno sede” ma, al tempo stesso, nel
secondo periodo, si afferma che “il tribunale amministrativo regionale è comunque
inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all'ambito territoriale
della regione in cui il tribunale ha sede”.
Apparentemente, quindi, sembra esserci una contraddizione: non possono, infatti, coesistere due
competenze inderogabili, altrimenti saremmo in un caso di competenza territoriale fungibile.
In realtà, la lettura da darsi alla norma, affinché essa torni a rivestire un significato logico può
essere la seguente; se il “prodotto” dell'amministrazione produce effetti diretti limitatamente ad un
solo ambito territoriale regionale, la competenza sarà del T.A.R. che ha sede nella regione della
pubblica amministrazione che ha emanato l'atto (c.d. “giudice dell'autore”). Diversamente, se il
provvedimento produce effetti diretti4 anche in altri ambiti territoriali sarà competente anche il
giudice ove il provvedimento esplica i suoi effetti diretti5 (c.d. “giudice degli effetti”).
Ad una lettura più approfondita, si comprende che, se l'articolo 13, comma 1, c.p.a. fissa
l'inderogabilità territoriale, il modo per renderla effettiva è contenuto nell'articolo 13, comma 4,
c.p.a. dove si prevede l'inderogabilità della competenza territoriale “anche in ordine alle misure
cautelari”, rafforzato ulteriormente dall'articolo 15, comma 2, c.p.a., il quale prevede che “in ogni
caso il giudice decide sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare e, se non
riconosce la propria competenza ai sensi degli articolo 13 e 14, non decide sulla stessa”.
3. F.G. SCOCA, Giustizia amministrativa, V edizione, 2013, Torino, 130.
4. Sono esclusi, pertanto, gli effetti mediati o ulteriori (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2000, n. 545).
Rientrano, in sostanza, solo quegli effetti che si producono per come è stato confezionato l'atto senza alcun intervento
esterno.
5. Questa impostazione nasce dal fatto che il “giudice dell'autore” può non avere la figura sintomatica dell'illegittimità
del provvedimento.
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In questo modo, qualora vi sia la domanda cautelare, il giudice provvederà alla contestuale
valutazione sulla sussistenza della competenza e sulla fondatezza della domanda cautelare (c.d.
“assorbimento della competenza da parte del giudizio sul cautelare”).
Più complesso è comprendere la scelta del legislatore nel momento in cui, da un lato, ha previsto la
rilevabilità d'ufficio del difetto di competenza (articolo 15, comma 1, c.p.a.) e, dall'altro, ha disposto
un termine per eccepirlo coincidente con la costituzione in giudizio (articolo 15, comma 3, c.p.a.).
L'impostazione scelta dal legislatore del 2010, così come rivisitata dai due correttivi6, è stata - come
prima accennato - da taluni criticata in quanto lesiva delle garanzie del privato nel momento in cui
necessita di una tutela cautelare. Invero, il vulnus al ricorrente lo si ricava non tanto dall'articolo 13
c.p.a. ma dall'articolo 15, comma 6, c.p.a. nella parte in cui, in pendenza del regolamento di
competenza, prevede che a decidere sulla domanda cautelare debba essere il T.A.R. indicato
nell'ordinanza di cui all'articolo 15, comma 4, c.p.a. (scelto, quindi, dal giudice) e non quello
individuato primariamente dalle parti.
In conclusione, se non è mancato chi ha ritenuto che la riforma del 2010 avrebbe creato “una serie
di previsioni vessatorie per gli avvocati, cioè per la difesa dei cittadini”7, in realtà le modifiche si
sono rivelate necessarie in quanto volte a limitare, ed ormai ad estinguere, prassi che non sono più
sostenibili in relazione alla complessità degli interessi coinvolti nei giudizi amministrativi. Inoltre, i
presunti deficit democratici prodotti dalla riforma sono stati ampiamente bilanciati dalla
predisposizione di un potere cautelare atipico che lascia in capo al giudice la possibilità di
comandare all'amministrazione gli accorgimenti più opportuni a garanzia delle parti e del processo,
sottraendo in tal modo alla discrezionalità della pubblica amministrazione il potere di interpretare la
sospensiva.
6. Ci si riferisce al d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195 “Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno
2009, n. 69 (GU Serie Generale n.273 del 23-11-2011)” e al d.lgs. 14 settembre 2012 , n. 160, recante “Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo
amministrativo, a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69”, (GU Serie Generale n. 218
del 18.9.2012)”.
7. Si veda, in tal senso, F. MERUSI, In viaggio con Laband …, in www.giustamm.it, 2010.
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