la vita di adele - Cineforum Pensotti Bruni

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LA VITA DI ADELE
Titolo originale:
Regia:
Sceneggiatura:
Fotografia:
Montaggio:
Costumi:
Scenografia:
Interpreti:
Produzione:
Distribuzione:
Durata:
Origine:
La vie d’Adèle
Abdellatif Kechiche
Abdellatif Kechiche, Ghalia
Lacroix
Sofian El Fani
Ghalia Lacroix, Albertine Lastera,
Jean-Marie Lengellé, Camille
Toubkis
Sylvie Letellier
Julia Lemaire
Léa Seydoux (Emma), Adèle
Exarchopoulos (Adèle), Mona
Walravens (Lise), Salim
Kechiouche (Samir), Aurélien
Recoing (Padre di Adèle),
Catherine Salée (Madre di Adèle),
Jérémie Laheurte (Thomas), Alma
Jodorowsky (Béatrice)
Abdellatif Kechiche, Vincent
Maraval, Brahim Chioua per Wild
Bunch e Quat'sous Films, in
coproduzione con France 2
Cinema, Scope Pictures, Vertigo
Films, Rtbf, con la partecipazione
di Canal+, Cine+, France
Television
Lucky Red
179 min.
Francia, Belgio, Spagna, 2013
Abdellatif Kechiche e la rappresentazione della realtà
Nato a Tunisi il 7 dicembre del 1960 e immigrato a Nizza quando era solo un bambino, Abdellatif
Kechiche debutta inizialmente come attore teatrale e cinematografico. Tra gli anni ’80 e ’90 è
protagonista di una serie di film del cosiddetto cinema “beur”, termine utilizzato per definire quel
movimento nato dai nord-africani di seconda generazione. In particolare, con Bezness di Nouri
Bouzid viene insignito, nel 1992, del premio d’interpretazione al Festival del Film Francofono di
Namur. Nel 2000 avviene il suo esordio dietro la macchina da presa con Tutta colpa di Voltaire,
film che racconta la storia del tunisino Jallel, immigrato a Parigi con la speranza di cambiare la sua
vita e costretto, invece, a rapportarsi con una realtà estremamente difficoltosa che lo spinge a vivere
in un mondo invisibile. La sua seconda opera, La schivata (2003), si presenta già come complessa e
matura: ambientata all’interno della banlieue parigina, fonde alla perfezione la storia d’amore tra
Lydia e Krimo e la degradazione dello sfondo sociale. Nel 2007, con Cous Cous, Kechiche vince il
Gran Premio della Giuria alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia,
confermandosi un regista di grande spessore. La storia di una famiglia francese di origine araba
diventa il mezzo per trattare temi di carattere universale quali amicizia, solidarietà e condivisione, il
tutto attraverso uno stile molto personale, capace di raccontare alla perfezione la realtà della vita,
senza concessioni pittoresche o artifici cinematografici. Il linguaggio di Kechiche, infatti, acquisisce
forza nella rappresentazione della quotidianità autentica. Il suo quarto film, Venere nera (2010),
segna invece un cambio di percorso e diventa, a tutti gli effetti, la sua opera più controversa.
Attraverso il racconto in costume di Saartjie Baartman, giovane ottentotta esibita come fenomeno
da baraccone in spettacoli mortificanti, il regista riflette sul tema dello sguardo e sulle implicazioni
morali che si celano dietro alle differenti tipologie di visione. Del 2013 è La vita di Adele, storia
d’amore e di formazione che riesce a catturare la verità dell’esistenza. Presentato in concorso al
Festival di Cannes, il film è stato premiato con la Palma d’Oro.
La vita di Adele: il blu è il colore della passione
Liberamente tratto dalla graphic novel Il blu è un colore caldo di Julie Maroh, La vita di Adele
racconta l’incontro casuale tra due ragazze, la loro passione iniziale prorompente e le diverse fasi
dell’amore. Il film si può facilmente suddividere in tre parti distinte che rappresentano l’andamento
altalenante della relazione. C’è un prima, quello della presa di coscienza di Adele della propria
sessualità, che si apre, non a caso, a scuola. Assistiamo a una lezione su La vita di Marianna di
Marivaux, romanzo d’appendice, rimasto incompiuto, che racconta la storia di una giovane alla
ricerca di un posto nella società. Come la protagonista del romanzo, anche Adele è alla ricerca di se
stessa: prova a intrattenere una relazione con un compagno di classe che lascia perché “non sa
fingere” e, successivamente, comincia a frequentare Emma, la ragazza dai capelli blu. In questa
prima fase, Kechiche racconta la passione che sprigiona dall’amore, non risparmiando nulla e
incollandosi ai corpi delle due protagoniste. Ne emerge un ritratto profondamente veritiero di un
rapporto di coppia nel suo stadio embrionale: complicità, affetto, voglia di stare insieme. Non
esistono barriere né differenze. La seconda parte ci presenta invece le due donne alle prese con la
loro convivenza. Sempre incollandosi al volto di Adele (il film è pieno di primissimi piani), il
regista racconta le differenze che cominciano a insinuarsi tra le due e la distinzione tra ideale e
reale. Emma è infatti una borghese, appartenente a una classe intellettuale e progressista. Amante
dell’arte e della cultura, ha una grande consapevolezza di sé ed è pronta ad affrontare la società a
testa alta. Adele, invece, è di origini più umili, viene da una famiglia conservatrice, apprezza la
letteratura ma rifugge gli intellettualismi. Molto più pragmatica rispetto a Emma, ama il suo lavoro
di insegnante e fatica a rapportarsi con gli amici della sua compagna perché non vuole indossare
una maschera, ovvero fingere di avere una cultura che non ha. La differenza “sociale” tra le due
emerge in maniera lampante nelle cene con i rispettivi genitori. A casa di Emma si mangiano
ostriche e si beve del buon vino, discutendo di arte e cultura. Da Adele, invece, regna il
pragmatismo: davanti a un piatto di pasta alla bolognese, si parla con la bocca piena e si esprimono
le proprie convinzioni, come ad esempio che la grafica sia più sicura rispetto alla pittura. Queste
due sequenze sono esplicative delle differenze culturali e sociali che saranno il preludio alla scena
“madre” del film, quella del litigio. Il forte impatto emotivo che deriva da questo momento e
l’incredibile realismo messo in scena rappresentano la chiusura della seconda parte de La vita di
Adele, quella della convivenza e del progressivo allontanarsi l’una dall’altra. Kechiche filma senza
edulcorazioni di sorta lo scontro tra Adele ed Emma e le conseguenze di un amore che è mutato nel
tempo, non raggiungendo quella corrispondenza tra reale e ideale auspicata dal personaggio
interpretato dalla Seydoux. A partire da questo momento comincia la terza e ultima parte del film,
quella della sofferenza e della ricostruzione. Adele si rifugia nel suo lavoro e prova, non riuscendoci
completamente, a dimenticare Emma, a reinventare se stessa. Questa fase vive di due momenti che
rappresentano il climax della presa di distanza tra le due donne. Il primo, quello dell’incontro ad
alto tasso erotico nel bar, sancisce il perdurare della passione contrastato dall’impossibilità di
cambiare uno status quo. Il secondo, quello dell’inaugurazione della mostra di Emma, segna invece
la chiusura definitiva della relazione. Estranea e completamente al di fuori di tale contesto sociale,
Adele si rende conto di non potere più nulla e decide, quindi, di uscire per sempre dalla vita della
donna, imboccando solitaria una via laterale, stretta nel suo vestito blu elettrico, tentativo fallito di
recuperare una passione che non può più esistere.
Curiosità: durante una scena di festa, sullo sfondo scorrono le immagini di Lulù - Il vaso di
Pandora, film del 1929 di Georg Wilhelm Pabst che portò per la prima volta sugli schermi
l’attrazione di una donna per un’altra.
A cura di Sergio Grega
Cineforum Marco Pensotti Bruni
59esima Stagione Cinematografica
Legnano, 18-19 Marzo 2015
www.cineforumpensottilegnano.it