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CON IN MOVIMENTO + EURO 1,00 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 2,00 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013 ANNO XLVI . N. 194 . SABATO 13 AGOSTO 2016 OGGI CON ALIAS A EURO 2,50 www.ilmanifesto.info CONSIGLIO DEI MINISTRI. MATTEO RENZI E PIER CARLO PADOAN FOTO VINCENZO LIVIERI/LA PRESSE Flip & flop FESTA GRANDE Fidel, 90 anni e non li dimostra Lunga vita alla Revolución Il 13 agosto 1926 nasceva Fidel Alejandro Castro Ruz, il futuro «lider maximo» della Isla Grande. Oggi i festeggiamenti a Cuba e l’omaggio dei leader internazionali a un personaggio che ha attraversato indenne malgrado i numerosi tentativi di assassinarlo - 60 anni di storia contemporanea. Articoli di Geraldina Colotti, Aldo Garzia e Ro|PAGINE 13, 14, 15, 16 berto Livi FIDEL CASTRO Un «gigante» a Cuba Aldo Garzia PENSIONI, BANCHE, DEFLAZIONE N ell’ultimo decennio, Fidel Castro – che compie 90 anni oggi – ha vissuto lontano dal potere che occupava dal 1959. Nell’agosto del 2006, dopo un viaggio in Messico, venne operato d’urgenza e si temette per la sua vita. «Diverticolite acuta», fu la sentenza dei medici. Si vociferò anche di un cancro. Il passaggio di consegne al fratello Raúl fu immediato, anche se divenne ufficiale nel 2011. Da allora in poi il comandante en jefe vive ritirato nella sua residenza a L’Avana con la moglie Dalia Soto del Valle e appare di rado in pubblico, come in occasione dell’ultimo congresso del partito comunista pochi mesi fa dove è persino intervenuto brevemente. Ogni tanto scrive le sue riflessioni per i giornali cubani e qualche nota storico/biografica. Castro ha visto sfilare numerosi presidenti statunitensi nel corso della sua leadership: Dwight D. Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon, Gerald Ford, Jimmy Carter, Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton, George Bush juior, Barack Obama. Presto sarà alle prese con il presidente numero 12 (va tenuto anche conto delle doppie presidenze di Reagan, Clinton, Bush junior e Obama). Obama, nel suo recente viaggio a Cuba, ha dovuto riconoscere che la politica americana contro l’isola «è stata fallimentare». CONTINUA |PAGINA 13 BIANI Nessuna luce in fondo al tunnel Debito all’ennesimo record e Pil inchiodato. È l’impietosa fotografia di Istat e Bankitalia dell’economia nazionale. Renzi e Padoan incolpano terrorismo e Brexit, ma nessuno ci crede. Guai grossi per la legge di bilancio PAGINE 2,3 COLPITE SETTE PROVINCE: 4 MORTI, DECINE I FERITI Undici esplosioni in Thailandia I militari: «Sabotaggio locale» D iverse esplosioni - almeno undici - in Thailandia, per lo più nelle regioni meridionali, hanno provocato quattro vittime e decine di feriti, tra cui due italiani. Il governo del paese, guidato dai militari, ha prima escluso il terrorismo e poi richiamato all’unità nazionale. Il fatto è che tra bombe (artigianali e attivate mediante telefoni cellulari), ordigni inesplosi, piccoli incendi, tutto sembra portare a una strategia molto precisa, benché al momento ancora misteriosa. I militari al potere hanno detto di escludere la pista «terroristica», concentrandosi su «sabotatori locali». PIERANNI |PAGINA 7 ORIENTECH Domenica 14 agosto in edicola L’innovazione al centro dell’Asia: Pokemon alla fermata Ikebukuro a Tokyo, robot al posto dei lavoratori, cyber-juche in Nord Corea e tante atomiche TURCHIA |PAGINA 7 Il leader Hdp Demirtas accusato di «propaganda terroristica». Ora rischia cinque anni di condanna CHIARA CRUCIATI Alfonso Gianni D opo l’autocritica e con l’occhio proteso su sondaggi non entusiasmanti, Renzi intende tarare diversamente tono e contenuti della campagna elettorale sul referendum costituzionale. Alle sue spalle, più che il guru della comunicazione Jim Messina, si staglia la figura Giorgio Napolitano, da lui esplicitamente riconosciuto come il padre della “riforma”. Basta con la personalizzazione, quindi, e avanti con i problemi del paese. Per farlo Renzi ha però bisogno di tempo. Per questo anche l’ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa feriale si è chiuso senza fissazione della data del voto referendario. Probabilmente in una delle due ultime domeniche di novembre. In mezzo c’è la possibilità che la legge di stabilità abbia almeno scavallato il voto di uno dei due rami del parlamento. Evidentemente Renzi pensa a qualcosa di succoso per smuovere la crescente apatia degli elettori nei suoi confronti. Qualcosa che non sia la bufala demagogica – smentita conti alla mano dalla stessa ragioneria di stato - sul risparmio derivante dalla deforma costituzionale da trasferire ai poveri. Solo che le notizie sull’andamento dell’economia italiana – e non solo – non sono affatto buone. Siamo di fronte ad una nuova battuta d’arresto della tanto agognata crescita del Pil, che nel secondo trimestre dell'anno è rimasto fermo, esattamente come alla fine del 2014. CONTINUA |PAGINA 2 ECONOMIA E POLITICA La crisi e il contesto, chi governa il mondo Giorgio Lunghini L a crisi attuale – economica sociale politica culturale: vedi gli articoli recenti di P. Ciocca, A. Burgio e V. Parlato – meriterebbe qualche cenno al suo contesto internazionale (meglio: mondiale). A questo fine sono utili due contributi di Noam Chomsky: la sua metafora del Senato virtuale (mutuata dall’economista Barry Eichengreen), e il suo ultimo libro: Who Rules the World? (che scioglie quella metafora in trecento pagine). Il Senato virtuale è costituito da prestatori di fondi e da investitori internazionali che continuamente sottopongono a giudizio le politiche dei governi nazionali. CONTINUA |PAGINA 12 RIO 2016 Vila Autodromo e favelas dietro la città-vetrina IVAN GROZNY COMPASSO l PAGINA 6 MONTREAL Al Social Forum arriva la resistenza Mohawk FRANCESCO MARTONE l PAGINA 6 pagina 2 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 FLIP & FLOP Italia • Istat: economia a crescita zero a giugno. Nel 2016 prospettive dimezzate: dall’1,2% allo 0,6%. Per il ministero dell’economia «i conti sono sotto controllo» Pil inchiodato, governo al pa L’esecutivo si arrampica sugli specchi: «È tutto in ordine. Se mai, è colpa della Brexit». Il 27 settembre si aggiorna la legge di stabilità. A rischio la manovra «pro Sì» al referendum I l prodotto interno lordo italiano, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è rimasto invariato nel secondo trimestre rispetto al precedente ed è aumentato solo dello 0,7% rispetto al 2015. Con una crescita nulla a fine anno le previsioni del governo sull'economia del 2016 saranno dimezzate: invece dell'1,2% annunciato nel Documento di Economia e Finanza (Def) il Pil sarà pari a +0,6%. Alle stime dell'Istat il governo ieri ha risposto con il gioco dello scaricabarile. Le responsabilità non sono delle politiche economiche basate su bonus e incentivi a pioggia che non hanno risollevato la domanda interna, ma di fattori esogeni alquanto imponderabili: la Brexit, il terrorismo, le migrazioni. A questi risultati del Pil il Tesoro e Palazzo chigi si stanno preparando dal 23 giugno scorso, il giorno del referendum inglese. In loro soccorso sono arrivati i pesi massimi, dal Fmi all'Ocse, per sollevare Renzi e Padoan dalla responsabilità delle loro incerte performance. Ieri, con i dati Istat, hanno esibito la partitura preparata da un mese e mezzo: l'Italia è il paese che perde più ricchezza dell'intera Eurozona a causa di eventi indipendenti dal governo. A suggello di questa autogiustificazione è arrivata una nota da Viale XX settembre che ha confermato l'ordine di scuderia: da un lato, giustificarsi con gli effetti prodotti da una geopolitica fuori controllo, dall'altro lato ridurre la politica economica al compito dei ragionieri che tengono sotto controllo i conti. «I dati non sono una sorpresa» è il commento. La produzione industriale crolla, l'export frena, il Pil cala e aumentano deficit e debito pubblico, il paese è in deflazione, ma «i conti sono a posto, nonostante la crescita sia più fragile del previsto». Come sempre in questi casi viene agitata la bandierina del Jobs Act: «l'occupazione continua a migliorare nel settore dei servizi che potrebbe contribuire a conseguire risultati migliori». Va notato che i precari impiegati nei servizi sono usati per dimostrare l’eccellenza di questa situazione. Una nota al limite del surreale che non spiega la ragione per cui – se i il manifesto DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri CONDIRETTORE Tommaso Di Francesco DESK Matteo Bartocci, Marco Boccitto, Micaela Bongi, Massimo Giannetti, Giulia Sbarigia CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri il nuovo manifesto società coop editrice REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.info iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di Roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 Pubblicazione a stampa: ISSN 0025-2158 Pubblicazione online: ISSN 2465-0870 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 320e semestrale 165e versamento con bonifico bancario fattori di destabilizzazione «erano noti da tempo» - nessuno ha sentito la necessità di correre ai ripari. Anzi, visto che il Def è stato presentato ad aprile si desume che quel «noto da tempo» corrisponde a un periodo inferiore ai quattro mesi, un tempo troppo breve per fermare la corsa del treno renziano. Il 27 settembre il governo presenterà la nota di aggiornamento del Def e «a quel punto vedremo in che situazione ci troveremo» ha detto il viceministro all'Economia Enrico Morando. La situazione sarà brutta al punto da mettere in discussione la «manovra espansiva» a cui Renzi vorrebbe affidarsi per sostenere la sua campagna sul referendum costituzionale. «Inevitabilmente – ha confermato Morando - sarà possibile che si determinino maggiori difficoltà nella definizione delle scelte. O meglio, bisognerà tenere conto di questo andamento nella definizione delle scelte che riguardano il 2017 e gli anni successivi». A rischio sono i fondi sulle pensioni (il governo vorrebbe arrivare a 2,6 miliardi), la decontribuzione fissa sui neoassunti per dare più soldi alle imprese e più a lungo e dire che il Jobs Act funziona. E poi il taglio dell'Irpef. «Alla fine dovremo trovare il modo di avere quattrini su questo. Spero che riusciremo a farlo», aveva detto Renzi il 5 maggio scorso in una diretta social. Non riuscirà a farlo. Due sono le conseguenze di questa situazione: Renzi tornerà alla carica per ottenere ancora più flessibilità da Bruxelles prima del referendum per finanziare in deficit quello che non riesce a produrre con la sua politica economica. E poi si intensificherà la campagna a sostegno del “Sì” alle urne da parte di quotidiani e istituzioni internazionali. Dopo l'Fmi, l'Economist, il Financial Times è stato il turno del Wall Street Journal difendere l'enfant prodige di Rignano: se la sua riforma fosse respinta “l'economia sarà bloccata in una bassa crescita”. La bassa crescita è piuttosto l'esito ultimo dell'austerità economica. Con un rovesciamento del senso comune, sarà invece usata per difendere i loro responsabili: Renzi e Padoan. ro. ci. presso Banca Etica intestato a “il nuovo manifesto società coop editrice” via A. Bargoni 8, 00153 Roma IBAN: IT 30 P 05018 03200 000000153228 COPIE ARRETRATE 06/39745482 [email protected] STAMPA RCS Produzioni Spa via A. Ciamarra 351/353, Roma - RCS Produzioni Milano Spa via R. Luxemburg 2, Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl E-MAIL [email protected] SEDE LEGALE, DIR. GEN. via A. Bargoni 8, 00153 Roma tel. 06 68896911, fax 06 58179764 TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 e a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450e a modulo finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore 4.550 e, b/n 3.780 e posizione di rigore più 15% pagina intera: mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660 x 455 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, v.le Bastioni Michelangelo 5/a 00192 Roma tel. 06 39745482, fax 06 83906171 certificato n. 8142 del 06-04-2016 chiuso in redazione ore 22.00 tiratura prevista 38.584 BANKITALIA Record del debito pubblico, avanti con le privatizzazioni Nuovo record del debito pubblico. A maggio, secondo la Banca d'Italia, il debito delle amministrazioni pubbliche si è attestato a 2.248,8 miliardi, in aumento di 70 miliardi rispetto al mese precedente. Nei primi sei mesi il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di 77,2 miliardi. L'incremento riflette il fabbisogno (24,8 miliardi) e l'aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (56,8 miliardi). Complessivamente gli effetti dell'emissione di titoli sopra la pari hanno ridotto il debito per 4,4 miliardi. Per il governo tutto va bene. La linea difensiva sull’aumento del debito pubblico ha seguito ieri la falsariga di quella sul dimezzamento del Pil. Tutto sotto controllo, si continua con la ricetta di sempre: dismissioni del patrimonio, privatizzazioni. Strumenti che, ad oggi, non hanno affatto fermato il debito pubblico che - con ogni probabilità- segue ben altre logiche. «Sul volume globale del debito non mi pare ci siano sorprese. Siamo relativamente tranquilli sul fatto che l'obiettivo che ci siamo dati per il 2016 e per il 2017 possa essere conseguito anche attraverso operazioni di privatizzazioni, cioè di cessione di patrimonio pubblico, che abbiamo quantificato puntualmente anche in termini di obiettivo» ha detto vice-ministro dell'Economia Enrico Morando. In una nota il ministero dell’Economia ha confermato: «la privatizzazione di Enav ha ottenuto un buon risultato nonostante il clima generale dei mercati e il piano di cessione di una ulteriore quota di azioni di Poste italiane fornirà un contributo utile ad avvicinare gli obiettivi fissati ad aprile». PENSIONI, BANCHE, DEFLAZIONE Nessuna luce in fondo al tunnel DALLA PRIMA Alfonso Gianni La famosa luce in fondo al tunnel non si vede o assomiglia a Tir che travolge le speranze di facili elargizioni per puntellare le sorti di un governo non più sulla cresta dell’onda dei consensi. Non solo ma anche la flessibilità invocata in sede Unione europea è più incerta, e di dubbia efficacia, se l’economia stenta più del previsto e il debito pubblico aumenta. L'obiettivo di crescita del 1.2% per il 2016 è già cancellato dalle stesse dichiarazioni ministeriali. E infatti, il governo già prevede di restringere la borsa. Come al solito le prime vittime sono i pensionati. Dopo un eloquente studio del Sole24Ore persino i dirigenti sindacali più attratti dal carisma del premier, lamentano una cronica carenza di fondi per potere mantenere le promesse incautamente avanzate. In effetti in appena 1,5 miliardi di euro, secondo le più recenti anticipazioni del governo, non ci può stare troppa roba. Soltanto la riforma Ape, ovvero quella relativa alla possibilità di anticipare l’andata in pensione, dovrebbe costare almeno 600 milioni di euro. Un calcolo puramente indicativo ma improntato al ribasso, che quindi fa già prevedere che le penalizzazioni per i potenziali pensionati possano risultare alquanto sostanziose, incrementando il livello di indebitamento dei singoli e delle famiglie. Ma anche se quella cifra fosse credibile, e non lo è, resterebbe in ogni caso meno di un miliardo di euro per tutta una serie di misure, tutte necessarie e lungamente attese: dall'ottavo tentativo di salvaguardia per gli esodati, alla "Quota 41" per i lavoratori precoci, passando per una estensione del concetto di "usura" nella prestazione lavorativa e una riduzione oppure cancellazione dell'onerosità delle ricongiunzioni. Intanto la situazione delle banche continua a ballare sul bordo di un precipizio, malgrado tutte le ripetute assicurazioni sulla solidità del sistema bancario italiano. Renzi aveva nei giorni scorsi cantato vittoria per avere trovato «una soluzione di mercato» per salvare il Monte dei Paschi di Siena. La spavalderia gli derivava dalla presenza di grandi nomi del mondo finanziario nel contratto di pre garanzia per l’aumento di capitale. Ma JP Morgan per prima fa sapere che è pronta a sganciarsi se il premier non supererà la prova del referendum costituzionale. E viceversa: George Soros aveva già dichiarato che il governo italiano non avrebbe vinto la prova referendaria se il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 FLIP & FLOP Crisi • «Un’analisi comparata tra paesi dimostra che la crescita occupazionale italiana è risultata meno della metà della media europea. L'apologia del Jobs Act è infondata» alo BOCCIA NON SI SCOMPONE. «Solite polemiche strumentali delle opposizioni: i dati sul Pil erano prevedibili, nessuno si aspettava dati roboanti» dichiara Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera. «Eviterei, fossi nei panni del governo, di aggrapparmi agli specchi parlando di Brexit e terrorismo: non mi pare che la Germania non sia in Europa e non abbia problemi di terrorismo...» aggiunge. ALL’INTERNO DI PALAZZO CHIGI FOTO LA PRESSE non avesse prima risolto l’inghippo bancario. Da ultima la nota mensile dell’Istat dimostra che la deflazione non si arresta. C’è sì una piccolissima frenata nel mese di luglio, ma questa è dovuta all’aumento dei prezzi connessi con il caro-vacanze, ovvero all’incremento stagionale di prezzi e tariffe nei trasporti e nei viaggi. Per chi le fa, le vacanze sono più care, ma i consumi non ripartono. Tanto è vero che le vendite nella grande distribuzione non superano che di un misero 0,3% il volume raggiunto nel cor- Per chi riesce a farle, le vacanze sono più care. E i consumi non ripartono rispondente periodo dello scorso anno. Ma dove la deflazione fa più danni è nel settore agricolo (le quotazioni del grano duro sono calate del 42%). La Coldiretti stessa lo sottolinea così: «Oggi gli agricoltori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè o quindici chili di grano per comprarne uno di pane». Sembrano parole d’altri tempi, ma sono dell’altro ieri. Naturalmente Renzi dà la colpa alla cattiva congiuntura europea, aggravata dalla Brexit. In effetti la sola politica monetaria e tantomeno quella dei tassi negativi non può risollevare il continente dalla crisi. Ma la renzinomics ne è parte integrante e non un’alternativa. pagina 3 BRUNETTA:«SERVE MANOVRA» Per correggere i conti pubblici servirà una manovra da 30-40 miliardi. «E la legge di Stabilità di ottobre sarà lacrime e sangue per il Paese, altro che bonus promessi a destra e a manca per comprarsi il consenso». Lo sostiene il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta che prevede un autunno ferale per il governo di Matteo Renzi. INTERVISTA · L’economista Emiliano Brancaccio: i fatti economici sono più forti dello storytelling RENZINOMICS «Cresce lo scarto tra annunci e realtà Renzi perderà consensi sulle riforme» Tutti i nodi dell’autunno sulle pensioni Roberto Ciccarelli D opo cinque trimestri consecutivi di aumento il Pil si è fermato. La crescita è a zero nel secondo trimestre, +0,7% sull'anno, ben al di sotto dell'1,2% fissato dal governo. Per il Ministero dell'Economia la responsabilità è della Brexit e del terrorismo. Per Emiliano Brancaccio, docente di economia all'università del Sannio, è invece la conferma che lo storytelling del presidente del Consiglio Renzi non funziona e i suoi presunti successi sulla politica economica o sull'occupazione possono trasformarsi in un boomerang. «Non si tratta di un dato solo italiano – precisa - Eurostat ha segnalato che l'Eurozona cresce di circa la metà rispetto a quello che era stato il trimestre precedente. Il Pil europeo cala rispetto alle previsioni a causa dell'incertezza sulla tenuta economica del sistema bancario, ed anche sulla tenuta politica dell’Unione europea dopo la Brexit. L'italia ci mette il suo: nel declino generale del Pil è uno dei paesi che fa registrare i risultati peggiori». A cosa è dovuto questo primato? Al fallimento delle politiche economiche di Renzi rispetto al suo storytelling. In questi mesi il governo ha insistito sul fatto che dopo il Jobs Act si è verificato un incremento dell'occupazione. È l'atteggiamento tipico dello stregone che fa la danza della pioggia: se vede la pioggia stabilisce una relazione tra il suo balletto e l'andamento del clima. Per determinare su basi scientifiche quali siano stati gli effetti reali del Jobs Act bisogna almeno effettuare un'analisi comparata tra paesi: in questo modo scopriamo che in Italia, dall’entrata in vigore della legge, la crescita occupazionale è risultata meno della metà della media europea. Il dato rivela che la narrazione fondata sull'apologia delle riforme del lavoro è completamente sganciata dai fatti. Queste riforme hanno solo indebolito i lavoratori senza produrre nessun effetto significativo sull'occupazione. La produzione industriale crolla, l'export frena. È un dato sistemico o è colpa della Brexit o del terrorismo come dice il Mef? La Brexit è il sintomo politico di una crisi sistemica che è maturata ben prima del referendum inglese. I problemi dell'Eurozona sono Nel declino generale del Pil l’Italia è uno dei paesi che fa registrare i risultati peggiori. Siamo in una deflazione da debito. Ma il rilancio dei salari è considerato un’eresia messi bene in evidenza dai dati sul calo dei prezzi, che si registra in Italia e in vari altri paesi dell’Unione. Questa tendenza, che a prima vista potrebbe sembrare benvenuta, a livello macroeconomico determina diversi inconvenienti. Quando i prezzi diminuiscono, diminuisce il valore nominale delle entrate. Questo mette i debitori, pubblici e privati, sempre più in difficoltà quando si tratta di onorare gli impegni di pagamento assunti. Le difficoltà dei debitori ricadono poi sul sistema bancario e spiegano la grande incertezza di questi mesi sulla tenuta del quadro finanziario europeo. Si chiama «deflazione da debiti» e ci siamo completamente immersi. Decontribuzioni per i neoassunti, bonus 80 euro, abolizione della tassa sulla prima casa non hanno funzionato, dunque. Per paradosso Renzi e Padoan vengono considerati come dei keynesiani spendaccioni nel consesso europeo. In realtà, il quadro complessivo della politica di bilancio nazionale resta tendenzialmente restrittivo. L'Italia è stata per vent'anni il paese che ha fatto il record europeo degli avanzi primari di bilancio, cioè dell'eccesso di pressione fiscale rispetto alla spesa pubblica al netto del pagamento degli interessi. Il governo Renzi non si è discostato molto da questa tendenza. Quanto pesano su questa situazione gli insoddisfacenti risultati del Quantitative easing di Draghi? La Bce da sola non è in grado di rilanciare l'economia né può contrastare la tendenza alla deflazione. Se continuamo ad affidarci alla Bce per rilanciare l'economia dei paesi in difficoltà commettiamo un grave errore logico. Qual è l'alternativa? L'ex capo economista dell'Fmi Olivier Blanchard ha suggerito, assieme ad Adam Posen, che per contrastare la deflazione giapponese bisognerebbe aumentare in modo significativo i salari. A date condizioni sarebbe una soluzione valida anche dalle nostre parti. Ma in Europa e in Italia il rilancio dei salari è considerato un'eresia indicibile. Nell’Unione prevale un’idea di competizione tra paesi basata sulla demolizione dei sindacati e sullo schiacciamento delle retribuzioni: una soluzione apparentemente razionale per la singola impresa o per gli interessi capitalistici di una singola nazione, ma che deprime la domanda effettiva e diventa un boomerang micidiale a livello sistemico. Se Renzi perde il referendum costituzionale sarà per il fallimento delle sue politiche economiche e sociali? In una celebre campagna elettorale statunitense si diceva: «È l'economia, stupido!». Se lo scarto tra narrazione del governo e fatti economici continuerà ad allargarsi, Renzi vedrà ridursi ulteriormente il consenso sulle sue riforme istituzionali. Renzi è destinato a deteriorarsi ancora. RAPPORTO OXFAM · Diseguaglianze crescono anche fra le generazioni Nel pianeta 500 milioni di giovani vivono con due dollari al giorno M. D. C. U n pianeta sempre più squilibrato moltiplica le diseguaglianze fra generazioni. E scava il solco della povertà per i giovani sempre più disoccupati, sempre meno sicuri dell’accesso ai servizi. Sono 500 milioni, nella fascia d’età compresa fra i 15 e i 24 anni, costretti a sopravvivere con meno di due dollari al giorno. È il dato più eclatante del [/ACM]report che Oxfam ha pubblicato in occasione dell’International Youth Day all’apertura del World Social Forum in Canada. Il mondo è una sorta di flipper impazzito fra demografia ed economia. Le statistiche indicano che con 1,8 miliardi di giovani si è raggiunto il punto più alto della «gioventù» nella storia planetaria. Tuttavia, al massimo rinnovamento anagrafico corrisponde il più eclatante tonfo nell’indigenza proprio per i più giovani. Impoveriti globalmente, esclusi dalla "stanza dei bottoni", primi a pagare le conseguenze della crisi, sempre più sprovvisti dell’accesso ai servizi essenziali e in futuro con livelli di Welfare evanescenti. Oxfam lo conferma nel rapporto «I giovani e la disuguaglianza: è tempo di rendere le nuove generazioni protagoniste del proprio futuro», lanciato nel quadro della campagna «Sfida l'ingiustizia». Dimostra come siano proprio i giovani i più colpiti dagli effetti della crisi economica internazionale iniziata nel 2008: il 43% della forza lavoro giovanile a livello globale è disoccupata o vittima di retribuzioni inadeguate. Un dato mondiale che non risparmia l’Italia. Anzi. È più che preoccupante il tasso di disoccupazione giovanile (sempre nella fascia d’età compresa tra i 15 e 24 anni): a giugno l’Istat certificava quota 36,5%. E lo scenario mondiale è tutt’altro che incoraggiante. Secondo Oxfam, anche se nel biennio 2013-2014 è aumentato del 50% il numero di governi che hanno adottato Piani nazionali per le politiche giovanili, i "nuovi abitanti" del pianeta restano penalizzati. «Con questo nostro report - sottolinea la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti - lanciamo un appello ai leader mondiali affinché rendano i giovani veri attori e motore di un cambiamento da cui tutti possano trarre beneficio». E aggiunge: «Lavoriamo ogni giorno con migliaia di giovani e sappiamo come molti di loro siano impegnati nella costruzione di un mondo più giusto e libero dall’incubo della povertà, che colpisce tantissimi di loro, soprattutto nei paesi poveri». Di conseguenza, urge una svolta proprio in funzione delle nuove generazioni, cioè del futuro stesso del pianeta. «Governi e società civile devono lavorare insieme ai giovani di tutto il mondo perché il peso dell'estrema disuguaglianza economica e socialenon schiacci le nuove generazioni in termini di accesso a servizi e diritti essenziali come l'istruzione, la sanità e il lavoro». Nel mondo, quasi 126 milioni di giovani, soprattutto nei paesi poveri, sono vittime dell'analfabetismo. E in alcuni paesi le ragazze hanno una maggiore probabilità di morire di parto che di finire gli studi. Un contesto globale che richiede, quindi, una riflessione che parta proprio dai giovani per trovare nuove e diverse soluzioni. Ecco perché Oxfam proprio in occasione del World Social Forum di Montreal ha promosso lo «Youth Summit on Inequality», incontro che a partire dai temi proposti dal report porterà giovani attivisti di Oxfam da tutto il mondo a confrontarsi per trovare possibili soluzioni e proposte, che saranno raccolte in un vero e proprio Manifesto, sottoposto al vaglio dei partecipanti al World Social Forum di Montreal. Mario Pierro I l peggioramento del quadro macroeconomico influirà anche sul dibattito sul «pacchetto pensioni» e le risorse che il governo dovrà stanziare. Sul tavolo ci sono al momento 1,5 miliardi. Voci dal sen fuggite parlano di un extra fino a 2,6 miliardi. Con il calo del Pil (dall’1,2% previsto incautamente ad aprile nel Def allo 0,6% previsto dall’Istat a crescita nulla per fine anno) queste cifre rischiano di svanire. Il rovescio comporterà un peggioramento dei rapporti del debito e del deficit. Spazi di manovra per strappare le risorse desiderata ce ne saranno sempre di meno, a partire dal deficit da ricalcolare nella nota di aggiornamento del Def. Sempre che Renzi riesca nella missione impossibile di ottenere da Bruxelles il via libera per un’altra quota di flessibilità rispetto agli austeri parametri di bilancio. Ciò che lo preoccupa è la clausola da 15 miliardi di euro sull’aumento dell’Iva. Bisognerebbe neutralizzarla, ma i soldi sono tanti e, nel quadro di un’economia stagnante, sarebbe un colpo non da poco ai consumi che l’esecutivo stenta a rilanciare. Nonostante la pioggia di bonus elettorali e tagli alle tasse sulla prima casa. Il governo intende riconoscere lo scivolo verso la pensione per i lavoratori precoci che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni. Costo previsto dell’operazione: da 1,2 a 1,4 miliardi. In cantiere c’è anche il raddoppio della platea dei pensionati destinatari di questa misura. Costo: 800 milioni di euro all’anno. L’anticipo pensionistico «Ape» dovrebbe costare alle casse pubbliche tra i 600 e i 700 milioni di euro all’anno. Più altri spiccioli sulle ricongiunzioni. Troppo. Si sta facendo strada allora l'ipotesi di intervenire in due fasi. Nella manovra in autunno, referendum permettendo, il governo potrebbe limitarsi a scrivere l’agenda degli interventi spalmati in due anni: 2017-2019. In un’intervista al Corriere della Sera il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini - in cabina di regia della «Renzinomics» in questo periodo - si è detto fiducioso «che già da questa legge di bilancio si possano dare risposte concrete e ispirate a un criteruio di equità». E nel frattempo è ripresa la polemica sul «mutuo sulla pensione»: una strategia per indebitare a vita i pensionati, come sostenuto su «Il Manifesto» da Christian Marazzi (16 giugno). La Cgil (Camusso e Landini) attaccano il governo. Debole la risposta di Nannicini: «Le loro polemiche mi sembrano indietro di qualche mese: è un passo in avanti visto che la Cgil è apparsa indietro di qualche anno sulle tutele nel mercato del lavoro. Con l’Ape una platea significativa di beneficiari riceverà un reddito ponte verso la pensione senza doverlo ripagare». Si riferisce ai pensionati poveri. Per gli altri ci sarà il debito. «L’Ape rischia di essere un regalo alle banche ed è contraria alla naturale propensione delle persone» ha detto Camusso. pagina 4 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 SOCIETÀ PROFUGHI · Secondo Amnesty la Svizzera viola i diritti dei bambini: così restano separati dai parenti A Como, sospesi davanti ai binari Andrea Cegna COMO L a Svizzera viola la convenzione sui diritti dei bambini secondo Amnesty International. «Due membri di Amnesty sono stati a Como e hanno trovato dei minorenni che hanno parenti in Svizzera, uno di loro persino il papà, ma non sono stati autorizzati a passare il confine. In questi casi c’è davvero un problema perché l’interesse superiore del bambino è che sia il più presto possibile con il padre o con un parente e non che sia mandato indietro in Italia dove non ha nessuno», spiega Denise Graf, responsabile Svizzera, ai microfoni di Radio3i. Manda anche un messaggio a chi critica la posizione di Amnesty: «Abbiamo la certezza di questi casi perché abbiamo incontrato questi minorenni, li abbiamo intervistati e ci hanno dato il contatto dei loro parenti in Svizzera. È chiaro che la situazione è questa». Mentre si sta individuando l’area dove sistemare i container, alla stazione San Giovanni di Como continua l’andirivieni di associazioni e solidali. Tra i vari attivisti che animano lo scalo c’è No Border Radio, progetto nato nei campi migranti della Grecia. Tramite lo strumento radio si abbattono le distanze permettendo a chi è bloccato nel suo viaggio di raccontare la propria storia e di raggiungere i cari all’estero. Abbiamo incontrato Bilal, unico palestinese tra le centinaia di persone che assiepano il parco davanti alla stazione. Ci dice, in italiano faticoso, «sono arrivato in Italia in mare, siamo stati abbandonati su una barca e siamo stati lì due giorni fin quando non siamo stati intercettati da ALLA STAZIONE SAN GOVANNI DI COMO FOTO LAPRESSE una nave della polizia. Ci hanno portato fino a Lampedusa, al centro. Ho iniziato da lì a risalire. Sono arrivato a Roma, poi da Roma in treno a Milano. Da Milano sono arrivato a Como e ho preso un pullman per andare in Svizzera. Al confine i poliziotti Svizzeri mi hanno chiesto perché volevo entrare. Gli ho risposto che da lì dovevo passare per continuare il mio viaggio. Mi hanno rispedito a Como, con altri ragazzi e ragazze dell’Africa. Non voglio fermarmi in Italia, e nemmno in Svizzera. Voglio andare in Svezia. Ho iniziato il mio viaggio 40 giorni fa. Da solo». Yadassham invece è Etiope ed è colui che tiene assieme la sua comunità. Si presenta così come Alla stazione San Giovanni, tra i migranti che non possono continuare il loro viaggio: «Ci aspettiamo che il governo italiano ci aiuti» coordinatore degli etiopi bloccati in città e ci dice che il suo viaggio è iniziato attraversando il deserto del Sahara per poi imbarcarsi per l’Europa: «Noi ci aspettiamo che il governo italiano ci aiuti, sì, ma a continuare il viaggio. Noi abbiamo sempre pensato che l’Europa fosse un posto democratico». Yadassham è elemento di raccordo per gli altri etiopi ma soprattutto opera affinché la sua comunità non entri in rotta di collisione con quella Eritra. Cerchiamo Samuel, il coordinatore della comunità Eritrea. Samuel è stato per anni in carcere nel suo paese, è diacono coopto, e sul suo corpo porta i segni della guerra e della repressione: «Qui siamo arrivati da diversi punti dell’Africa occidentale, Eritra, Etiopia, Egitto. In Italia ci hanno detto che avendo dei parenti in altri paesi europei avevamo maggiori possibilità di continuare il viaggio e non essere fermati. Qui c’è gente che è passata da Milano, Torino, Vicenza e Verona e a Chiasso è stata respinta dalla polizia che ci ha rispedito alla stazione di Como». Samuel ricorda come «in stazione la situazione non è semplice, mancano i bagni e l’assistenza minima per le tante famiglie e per i tanti minori che aspettano di poter continuare il viaggio. Noi ringraziamo tutte le persone che giornalmente ci aiutano, anche la polizia ferroviaria di Como, solidale con noi». Un’altro ragazzo eritreo ci racconta la sua storia ma non vuole essere registrato, ci dice come sia in fuga dal suo paese da 14 anni. Aveva i documenti per andare negli Usa ma gli sono stati rubati. Sorride mentre racconta la sua vita. Parliamo con Sabir, etiope arrivato in Italia da soli dieci giorni, «ho attraversato prima il Sudan e poi la Libia, poi il mare, in solitaria. Arrivato in Italia le autorità mi hanno chiesto dove volevo andare e io ho detto in Svizzera. Ma non ne sono ancora del tutto sicuro. Sono scappato dal mio paese per ragioni politiche. Da noi non c’è libertà, diritto di parola e d’espressione, diciamo che in generale mancano tutti i diritti» e «se tornassi indietro protrebbero ammazzarmi o se mi andasse bene mi metterebbero in carcere. Ho 27 anni e qui vedo democrazia e libertà - conclude - sarebbe bello si utilizzassero per aiutare persone come noi, che non hanno casa, sono in difficoltà e che cercano la salvezza qui in Europa». FRANCIA VIETATO IL BURKINI SULLE SPIAGGE DI CANNES L’ordinanza, emessa a fine luglio, è entrata in vigore: sulle spiagge di Cannes è vietato indossare il burkini, il costume che copre integralmente il corpo. Lo ha deciso il sindaco di centrodestra David Lisnard vietando l’«accesso alle spiagge e ai bagni» alle persone «che non hanno una tenuta corretta, rispettosa del buon costume e della laicità, che rispetti le regole d’igiene e di sicurezza dei bagnanti nel dominio pubblico marittimo». Prevista un’ammenda di 38 euro. Il burkini, è scritto nell’ordinanza, «manifesta in maniera ostentata un’appartenenza religiosa», e «in un momento in cui la Francia e i luoghi di culto religioso sono presi di mira da attacchi terroristi, rischia di creare disturbo all’ordine pubblico». Addirittura, secondo il direttore generale dei servizi della città di Cannes, si tratterebbe di «una tenuta ostentata che fa riferimento a un’adesione a dei movimenti terroristici che ci fanno la guerra». GOLETTA VERDE SULLE COSTE UN PUNTO INQUINATO OGNI 54 CHILOMETRI Lo dice Goletta Verde 2016, la campagna estiva di Legambiente. Dei 265 punti monitorati, uno ogni 28 chilometri di costa, il 52% è risultato inquinato o fortemente inquinato. L’88% in corrispondenza di foci di fiumi, fossi, canali o scarichi, principali veicoli dell’inquinamento da batteri fecali in mare. Più della metà sono in prossimità di spiagge e stabilimenti. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli) e vengono considerati come «inquinati» i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione e «fortemente inquinati» quelli che superano di più del doppio tali valori. Si distinguono positivamente la Sardegna e la Puglia, con poche criticità in corrispondenza di foci di corsi d’acqua o canali. In alto Adriatico la situazione migliore si registra in Veneto. Le situazioni più critiche nelle Marche, in Abruzzo e in Calabria. il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 DIRITTI GIUSTIZIA · La procura di Napoli invia l’avviso di conclusione delle indagini a 22 poliziotti penitenziari e a un medico Poggioreale, prime crepe nel muro della «cella zero» Eleonora Martini D a lesioni aggravate a violenza privata, da sequestro di persona ad abuso di autorità: è ampio il ventaglio di reati ipotizzati dalla procura di Napoli nell’inchiesta sui maltrattamenti subiti da alcuni detenuti nel carcere di Poggioreale, anche nella cosiddetta «cella zero». Non tutti saranno eventualmente oggetto di una possibile richiesta di rinvio a giudizio, ma per intanto i magistrati hanno recapitato l’avviso di chiusura delle indagini a 22 agenti di polizia penitenziaria e a un medico. Tra venti giorni, preso atto delle controdeduzioni presentate nel frattempo dalla difesa, che conta di poter dimostrare l’«infondatezza» delle accuse, il pm Alfonso D’Avino, che coordina le indagini condotte dai procuratori aggiunti Valentina Rametta e Giuseppina Loreto, deciderà se e per quali reati chiedere il rinvio a giudizio di alcuni o di tutti gli indagati. I fatti risalgono ad un arco di tempo che va dal 2012 al 2014. Fu Adriana Tocco, garante dei detenuti della Campania, a raccogliere le prime due denunce di maltrattamenti subiti nel carcere che diedero l’avvio all’attuale inchiesta giudiziaria. La prima vittima attese la fine della pena, prima di decidersi a parlare, nel gennaio 2014. «Era un uomo molto mite, sebbene Le violenze subite dai detenuti tra il 2012 e il 2014. Tra venti giorni si deciderà l’eventuale rinvio a giudizio. E c’è il rischio di prescrizione dei reati avesse commesso un reato di frode finanziaria - racconta al manifesto Adriana Tocco -, mi raccontò per filo e per segno ciò che gli fece un poliziotto, senza alcun motivo». Da allora sono diventate 150 le denunce di sevizie, maltrattamenti, a volte vere e proprie torture, perpetrate negli anni. Fu così che si scoprì la presenza, a Poggioreale, - in realtà antica di oltre un ventennio, come denunciò per primo, nel 2012, Pietro Ioia, attivista per i diritti dei reclusi e presidente dell’associazione degli ex detenuti napoletani - della cosiddetta «cella zero», una stanza vuota posta al piano terra, senza videosorveglianza, sporca di sangue sulle pareti, dove si sarebbero consumati i pestaggi. Il 28 marzo 2014, poi, una delegazione della Commissione libertà civili del parlamento europeo, dopo aver audito formalmente l’associazione Antigone, ispezionò il penitenziario napoletano. In seguito alla visita, l’allora direttrice Teresa Abate venne trasferita ad altro incarico, sostituita con l’attuale dirigente, Antonio Fullone, così come il comandante della polizia penitenziaria. «Da allora - racconta ancora Adriana Tocco - non ho più ricevuto denunce di maltrattamenti. Poche settimane fa, a fine luglio, sono stata in visita di nuovo a Poggioreale per accertarmi della veridicità di alcune lettere ricevute dal garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma. Ho parlato a lungo con i carcerati e ho potuto verificare che quel tipo di violenze sono terminate». «Ci auguriamo - dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - che si arrivi presto ad appurare eventuali responsabilità senza che, nel caso di colpevolezza degli indagati, intervenga la prescrizione come già avvenuto in altri casi simili». Un rischio concreto, innanzitutto perché dai primi casi di violenza sono già passati quattro anni, ma soprattutto perché, come spiega ancora Gonnella, «in mancanza del reato di tortura, al di là del fatto che possa essere effettivamente stato commesso o meno, vengono ipotizzati reati per i quali sussiste il rischio della prescrizione e quindi dell’impunità». Motivo per il quale l’associazione Antigone chiede «che non si perda ulteriormente tempo e che a settembre il Parlamento ricalendarizzi la discussione e approvi la migliore legge possibile per introdurre nell’ordinamento italiano il reato di tortura». Ma al di là dei reati eventualmente commessi da alcuni poliziotti penitenziari, rimane la questione aperta dell’isolamento, regime disciplinare dove, fa notare Antigone, «più facilmente, possono avvenire violenze» e che «rappresenta una soluzione particolarmente afflittiva che spesso induce i detenuti ad atti di autolesionismo e a suicidi». Per questo Antigone ha presentato recentemente una proposta di legge per riformare l’applicazione del regime di isolamento, «invitando i parlamentari della Commissione Giustizia di Camera e Senato a farla loro». Rimane comunque il fatto che la cosiddetta «cella zero» non è contemplata da alcun regolamento penitenziario, e che la sua presenza, all’interno delle mura di molti penitenziari, non solo quello partenopeo, è stata negata per decine di anni. CARCERI · Nel rapporto di Antigone un lungo elenco di casi L’isolamento punitivo fa male E a volte tortura e uccide «N el solo 2015 l’isolamento disciplinare è stato comminato per ben 7.307 volte. Nel 29,6% dei casi è la sanzione prescelta dal consiglio di disciplina oggi composto dal direttore, dall’educatore e dal medico». Nel «Pre-rapporto 2016 sulla condizione di detenzione» pubblicato da Antigone a fine luglio, un intero paragrafo è dedicato a questo provvedimento rispetto al quale, scrive l’associazione, «non vi sono dati». Antigone ha però stilato un lungo elenco di casi esemplificativi di quanto questa misura punitiva - a volte «vessatoria, anti-educativa e disumana» faccia male. Eccolo di seguito: 2004 – Carcere di Asti: due detenuti vengono denudati, condotti in celle di isolamento prive di vetri nonostante il freddo, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino. Viene loro razionato il cibo e impedito di dormire, sono insultati e sottoposti per giorni a percosse quotidiane. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2015 dichiara ammissibile il loro ricorso per tortura. La sentenza è attesa a breve. 2006 – Carcere di Civitavecchia: H.E., 36 anni, eritreo, si uccide impiccandosi in una cella di isolamento della Casa Circondariale. Il giovane si trovava da circa due mesi rinchiuso nella sezione di Alta Sicurezza. 2007 – Carcere di San Sebastiano (SA): alcuni agenti di polizia penitenziaria trovano senza vita nella sua cella il detenuto M.E. Era in isolamento, in una cella liscia, perché in qualche occasione aveva manifestato la volontà di uccidersi. 2008 – Carcere di Marassi (GE): un ragazzo di soli 22 anni, M.E., viene trovato senza vita riverso per terra, con una bomboletta di gas in mano, nel bagno della sua cella. Qualche giorno prima di morire aveva scritto una lettera alla mamma : «Qui mi ammazzano di botte almeno una volta alla settimana. Mi riempiono di psicofarmaci. Sai, mi tengono in isolamento 4 giorni alla settimana». 2009 – Carcere di Venezia: un 28enne di origini marocchine, C.D., si impicca nella cella pagina 5 "di punizione", nella quale era stato trasferito dopo aver tentato il suicidio. Un ispettore della Polizia Penitenziaria è stato condannato a 7 mesi di reclusione per omicidio colposo e abuso di autorità. Non era stata disposta la sorveglianza sul detenuto a rischio. 2010 – Carcere di Foggia: si chiamava R. F. e aveva 41 anni. Si è impiccato trasformando i lembi dei suoi pantaloni in un cappio. Era stato messo in una cella di isolamento "liscia" dopo che aveva mostrato evidenti segni di disagio psichico tentando di darsi fuoco e incendiando la cella che lo ospitava. 2011 – Carcere di Poggioreale (NA): G. R., 50 anni, si impicca facendo a brandelli una co- È attesa a breve la sentenza Cedu sulle violenze inferte a due detenuti di Asti perta mentre era in isolamento in cella singola nel reparto di osservazione. Il suicidio avviene a poche ore dal suo ingresso in carcere. 2012 – Carcere di Trani (BA): il 34 enne G.D. muore durante la notte di capodanno in una cella del carcere di Trani, in isolamento. A dicembre 2011 l’uomo era stato trasferito d’urgenza nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Bisceglie per una crisi epilettica ed era stato tenuto sotto osserva- zione per 4 giorni.Rientrato in carcere era rimasto in isolamento, non si sa bene per quale motivo, se per la difficile convivenza con altri detenuti o perché punito perché accusato di aver simulato la malattia. 2013 – Carcere di Velletri (RM): G. M., un uomo di 40 anni si uccide impiccandosi con le lenzuola all'interno della sua cella di isolamento, 8 ore dopo essere arrivato in carcere. 2014 – carcere di Lucera (FG): un 38enne si impicca nella cella d’isolamento. Avrebbe avuto una lite con un agente della Polizia Penitenziaria, e per questo era stato messo «in osservazione». 2014 – carcere di Poggioreale (NA) – A gennaio un ex detenuto sporge la prima denuncia alla Procura di Napoli per i maltrattamenti subiti, segnalando anche la presenza della cosiddetta «cella zero». 2015 – Carcere di Regina Coeli (RM): due suicidi in meno di 24 ore. Il primo, quello di L. C. Il detenuto era in isolamento e doveva essere tenuto sotto stretta sorveglianza fino all'interrogatorio di garanzia che si sarebbe dovuto svolgere la mattina dopo. Il secondo, quello di T., un ragazzo entrato in carcere a 18 anni e un giorno. Anche il giovane si trovava in isolamento, dapprima in isolamento giudiziario, ma mai trasferito in sezione fino al 20 luglio, quando è avvenuta la morte. Il caso è stato archiviato, ma i legali stanno ripresentando nuova denuncia. 2016 – Carcere di Paola (CS): il detenuto M. P. M., in carcere per spaccio di stupefacenti, si suicida nell’aprile scorso nella sua cella, dopo aver trascorso un periodo di isolamento in una cella liscia. Il suo fine pena era imminente. M. sarebbe uscito dal carcere il 30 giugno. pagina 6 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 AMERICHE RIO 2016 · Una pattuglia di agenti si perde nella Marè: dopo gli spari, scatta la rappresaglia È «guerra» in periferia Amnesty conta i morti Ivan Grozny Compasso RIO DE JANEIRO L a vita delle persone può dipendere anche dal sistema Gps. Non è un riferimento ai taxi che fanno giri strani confidando maliziosamente sul fatto che lo straniero non sappia orientarsi a Rio. Riguarda, invece, un episodio di cronaca che in Brasile ha innescato polemiche e discussioni. Una pattuglia della Força Nacional si è “persa”: così si è ritrovata, in modo inconsapevole, nel complesso della Marè. Quelli della FN sono agenti che vengono da fuori e Rio è difficile perfino per chi la conosce. Non esattamente la migliore delle situazioni, quella in cui si sono trovati gli agenti, alla luce di quanto accade ogni giorno e peggio ancora ogni notte. La jeep della FN deve essere subito stata notata, quando ha scelto di attraversare Vila do Joao. Una sventagliata di colpi d’arma da fuoco ha ferito tre agenti. Per tutta risposta una rappresaglia, con elicotteri e mezzi blindati, sta pesantemente attaccando la zona. Lì è guerra vera. Si calcola che per ogni poliziotto ucciso sono poi state ammazzate almeno 25 persone. Un conto che può sembrare sommario: invece, secondo Amnesty Brasil - che qui si dà davvero da fare attraverso le testimonianze raccolte da vari osservatori e associazioni direttamente sul campo - va confermato per difetto nelle "statistiche" pubblicate. Non è difficile capire cosa stia accadendo in queste giornale olimpiche a Rio. La zona è inaccessibile: le notizie arrivano soltanto da chi si trova sul posto per forza maggiore, sotto tiro per la sola colpa di vivere in un posto e in un altro. E vale lo stesso per Vila Autodromo. Per oggi è previsto l’incontro con la stampa internazionale convocata dagli attivisti di Vila Autodromo, la comunità che è stata letteralmente sacrificata per fare posto al villaggio olimpico. Si sono battuti per anni e continuano a ancora farlo. Mentre i Giochi vanno avanti sotto i riflettori mediatici, la vita quotidiana prosegue anche nella città che resta "fuori onda". E se si va ad osservare con attenzione, gli impianti sportivi dei Giochi non sono gremiti e neppure di fronte agli schermi dei vari locali e ristoranti non si nota gran folla a seguire le gare in diretta tv. Tranne quando gioca la Seleção, ma questo è scontato in tutto il Brasile. Nel Boulevard olimpico e negli altri luoghi di aggregazione sotto il segno dei cinque cerchi l’atmosfera migliora insieme alla presenza della gente. Soprattutto se in programma ci sono concerti. Durante il giorno, invece, il pubblico dei Giochi non si ferma negli stand: preferisce passeggiare, scattare foto dove Kobra, su commissione del Comune di Rio, ha coperto di mural raffiguranti indigeni di tutto il mondo l’edificio più grande che costeggia il Boulevard. Di fatto, è diventato il “selfie-ficio" delle Olimpiadi 2016. Nulla può distrarre dall’attività più gettonata nel Boulevard che va da Praca Saùde a Praca XV. L’altra "calamita" per la gente è rappresentata dalla musica: un’infinita quantità di artisti e band che hanno capito bene come questo è il palcoscenico giusto dove esibirsi. Alla vigilia dei Giochi, lo stesso luogo era il nulla: spazio che sembrava predestinato a rapide e svo- E oggi gli attivisti di Vila Autodromo organizzano un incontro con i media internazionali: la comunità è stata sacrificata per fare posto al villaggio olimpico, ma continua a battersi IL MURAL DI KOBRA LUNGO IL BOULEVARD OLIMPICO. A SINISTRA, LA FAVELA ROCINHA FOTO GROZNY gliate passeggiate per muoversi da una piazza all’altra. Ma poi sono spuntati un sacco di artisti che hanno reso l’atmosfera davvero brasiliana. E la folla è arrivata... Se non si vuole camminare si può sempre prendere il VLT, il trenino che collega Cinelandia con la zona portuale. Ha difficoltà a muoversi, se non viene scortato dai vigili. Una signora in fila per acquistare il biglietto chiede a uno dei tanti agenti presenti: «Anche dopo le Olimpiadi ci sarà la scorta al tram?». L’agente sorride e non risponde. Sui muri spuntano già gli slogan “o VLT tropela” (il VLT investe), che strappano un sorriso e nellostesso tempo rendono l’idea di quanto precaria sia questa opera. Di sicuro, non è pronta per circolare liberamente e troppo spesso cali di energia ne rallentano la corsa. Il biglietto, come in qualsiasi mezzo di trasporto pubblico, è pe- rò stato appaltato a una azienda privata: non è affatto economico, considerando il breve tratto di percorrenza. D’altro canto, immaginare che i lavori siano stati eseguiti male perché l’importante è guadagnare, potrebbe rivelarsi miope. È del tutto evidente come il centro di Rio, Lapa e Santa Teresa compresi, cambieranno nel corso dei prossimi anni. Con il trenino si sta, passo passo, conquistando sempre nuovo territorio. SOCIAL FORUM · Sgraditi i piani economici del governo Trudeau «Salvate il fiume St Lawrence» Mohawk contro multinazionali Francesco Martone MONTREAL «A vete un grande fiume, la sera sedetevi alla sua riva ed ascoltate il fiume che dorme, che lo spirito va per lo spazio», con un sorriso Manari Ushigua Santi, sciamano e leader del popolo Sapara dell’Ecuador parla del Sumak Kawsay, del Buen vivir, come alternativa al modello economico dominante. «Prima sogniamo, e ci connettiamo con gli spiriti della terra, l’acqua, le stelle, le montagne, e questa connessione ci ha permesso di vedere la vita. Quando nel 2008 si decise di inserire il Buen Vivir nella costituzione abbiamo chiesto alla natura che ne pensasse, e lei ci ha detto bene, ma questo non riguarda me ma voi, dovete essere consapevoli di quel che fate sulla terra». Il fiume è il St Lawrence, attraversato dal Mercier Bridge che connette Montreal alla riserva Mohawk di Kahnawake. Tutta Montreal è su terra Mohawk. C’è anche Kahnasake, scesa in piazza 25 anni fa in un confronto durissimo tra guerrieri mohawk e l’esercito canadese per bloccare un campo da golf ad Oka loro terra sacra. Lo scorso anno giovani mohawk hanno marciato per protestare contro un piano del comune di Montreal di sversamento di reflui urbani nel St Lawrence. Kahnasake ed i suoi leader sono oggi sul piede di guerra contro la Transcanada pipeline. Il movimento «Idle no more» resiste all’ampliamento dello sfruttamento delle sabbie bituminose, le «tar sands» che stanno devastando l’Alberta. Eppure il governo Trudeau dei passi in avanti li aveva fatti riconoscendo i diritti dei popoli indigeni, ma il «business as usual» continua, quello delle grandi dighe, e quello del petrolio e del gas. In Canada ed altrove. Due anni fa a Montre- al il Tribunale Permanente dei Popoli giudicò l’operato di multinazionali canadesi del settore minerario in America Latina. In questi giorni al Forum Sociale Mondiale, molto spazio è stato dato alle lotte ed alle iniziative che connettono comunità in resistenza e movimenti sociali di ogni parte del mondo. La campagna «stop corporate crimes» na- sce da una serie di sessioni del Tribunale Permanente dei Popoli, istituzione creata da Lelio Basso, e che nel corso degli anni ha studiato, ascoltato testimonianze di comunità impattate, e giudicato l’operato dell’Unione Europea e delle sue imprese in America Latina. Temi che oggi riaffiorano con forza nelle mobilitazioni contro il Ttip, ed il Ceta, il Canada-Europe Trade Agreement. Da allora i movimenti hanno lavorato «dal basso» per la redazione di un Trattato dei Popoli sulle imprese transnazionali, riprendendo il testimone delle proposte fatte nel lontano 1992 al Global Forum della conferenaz Unced di Rio de Janeiro, mentre «dentro» al Consiglio Onu sui diritti umani il governo dell’Ecuador lavora su un Trattato vincolante per le imprese. Prossimo ap- Perfino Pedra do Sal è diventata oggetto di attenzioni speculative, visto che il lunedì sera, di segunda feira, ci sono talmente tante persone che gli affaristi vogliono allungare le mani. È una zona prossima al porto che proprio in occasione dei Giochi sta cambiando completamente identità, faccia e anima. In questi anni chi ha lavorato qui (dove un tempo venivano portati gli schiavi per essere mostrati e venduti), sono gli ambulanti: pre- puntamento a Ginevra a ottobre, mentre il Tribunale si riunirà, per la prima volta in Africa, la settimana prossima in Swazilando per giudicare le imprese minerarie Vale e Jindal. Qua a Montreal i fili della resistenza si intrecciano, sarà forse l’«esprit du lieu», la presenza di un vibrante movimento studentesco, che due anni fa ha portato in piazza a Montreal un milione di persone, nella «Maple spring». Di giovani se ne vedono tanti a questo Forum, inusuale, che cerca nuove strade e si interroga, approfondisce, cerca di capire. A migliaia hanno cercato di entrare nella sala dove Naomi Klein ha parlato di clima, di oleodotti, ed ha esortato alla mobilitazione, quella dei fatti non delle rivendicazioni. Giovani e anziani canadesi, (in molti commentano che in effetti questo forum è molto canadese, anzi molto «quebec», ma del resto il locale è o non è globale e viceversa?). Giovani canadesi imbracciano tubi per protestare contro le pipeline, marciando ordinati sui marciapiedi del centro città, accompagnati da attivisti che protestano contro le malefatte della Chevron, In una tenda la rete Ong e movimenti brasiliani si interrogano sul futuro del paese, dopo la decisione del Senato di confermare l’impeachment di Dilma. Un’assemblea di convergenza verrà dedicata alla difesa della democrazia. Un’agorà globale forse sospesa tra la terra ed il cielo, pochi canadesi anglofoni, pochi rappresentanti dei popoli indigeni presenti. Eppure il ponte è lì dietro che unisce e che separa. La storia del Canada riaffiora nelle insegne dei grandi magazzini della Compagnia della Baia di Hudson, la «Hudson Bay Company», propaggine imprenditoriale della colonizzazione del passato, dell’invasione delle terre indigene e dei ghiacci per la conquista del mercato delle pelli. Oggi è il petrolio, il gas, il grande business dell’acqua (HydroQuebec è un gigante del settore) lo sfruttamento dei ghiacciai, «Parliamo in nome della Madre Terra ma la gente non ci ascolta» chiosa il leader Dane – Lakota Tom Goldtooth, «ma non ci fermeremo». senza caratteristica con ogni tipo di merce, cibo compreso. Poi i musicisti hanno cominciato a darsi appuntamento ogni lunedì nell’angolo nascosto di Rio. E l’iniziale passaparola per addetti ai lavori ha assunto dimensioni e forza di un evento da non perdere. Tanto più quando i social hanno fatto rimbalzare il lunedì musicale in rete. Gli stranieri in città - che non sono affatto tanti come ci si augurava -si sono adeguati: è più probabile trovarli in luoghi caratteristici e tradizionali, come questo che negli itinerari ufficiali griffati a cinque cerchi. Questo è un altro indice di come i Giochi di Rio non siano riusciti a decollare. L’atmosfera è innegabilmente brasiliana, ma basta uscire dai soliti posti per verificare che non c’è vera partecipazione da parte di chi abita lontano dai siti olimpici. Le soddisfazioni nazionali dalle gare, fino ad ora, non sono praticamente arrivate: i media puntavano moltissimo su questo aspetto, caricando ancora di più di responsabilità atleti che non sono abituati alle grandi ribalte. Lo si nota ancor di più quando sono intervistati dopo le gare. Si dimostrano timidi, un po’ impacciati, quasi si scusano di non avere compiuto l’impresa di qualificarsi a un turno successivo e attendono dall’opinionista di turno una sorta di assoluzione. Per le strade questo non si percepisce. Anzi si vede altro. Come raccontato già una settimana fa, erano "scomparsi" da Rio i senza dimora. Ora si ricominciano a vedere. Le strade interne di Copacabana - visto che il lungomare è impraticabile per chi vuole vendere qualsiasi cosa - sono piene di commercianti che cercano di trovare altre collocazioni. Se ne trovano ovunque da un paio di giorni e l’impressione è che col week end saranno sempre di più. In particolare, chi propone gadget olimpici non originali rischia dalla multa fino all’arresto. Improbabile, perché si dovrebbe portare via centinaia di persone. Vendono di tutto. Dalle finte medaglie alle bandiere, dalle sciarpe fino introvabili Reais dei Giochi. Proposte a 100 e più monete che varrebbero una, coniate qualche mese fa e già sparite dalla circolazione. Un Carnevale del commercio con saltimbanchi, piccole churrasquerie mobili, pezzi di artigianato. il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 INTERNAZIONALE Chan-o-cha ha invocato «l’unità del popolo thailandese: dobbiamo aiutarci a vicenda per ripristinare la sicurezza nel paese». «Dobbiamo unirci per eliminare il male dalla nostra società», ha aggiunto sottolineando come «gli attacchi rivelino la mentalità di alcuni thailandesi e il fatto che alcuni elementi malvagi ancora esistano nella nostra società». La giunta militare thailandese è al potere dal 2014 a seguito di un golpe che ha messo fine alle tensioni degli anni scorsi. Nello scontro, in breve, erano contrapposti i sostenitori delle elite cittadine e della monarchia, di cui fa parte anche l’esercito e le cosiddette camicie rosse che fanno rife- Quattro morti, decine di feriti. Due arresti. Esplosioni nel giorno del compleanno della regina Sirikit POLIZIA THAILANDESE IN UNO DEI LUOGHI DELLE ESPLOSIONI /LAPRESSE THAILANDIA · La giunta e il governo: «Escludiamo la pista terrorista» Undici attentati, i militari: «Atti di sabotaggio locale» Simone Pieranni D iverse esplosioni - almeno undici - in Thailandia, per lo più nelle regioni meridionali, hanno provocato quattro vittime e decine di feriti, tra cui due italiani. Il governo del paese, guidato dai militari, ha prima escluso il terrorismo e poi richiamato all’unità nazionale. Il fatto è che tra bombe (artigianali e attivate mediante telefoni cellulari), ordigni inesplosi, piccoli incendi, tutto sembra portare a una strategia molto precisa, benché al momento ancora misteriosa. Essendoci inoltre una giunta militare al potere sarà molto difficile scoprire cosa sia successo davvero in un paese che vive per lo più di turismo con 30 milioni di arrivi ogni anno. Da un lato si è voluto colpire soprattutto alcune zone turistiche, dall’altro appaiono sospette alcune ricorrenze, come il compleanno della regina e la concomitanza con gli attentati al tempio buddista dell’agosto 2015. Sul fronte delle indagini, secondo i media locali ci sarebbero due persone in stato di arresto e sotto interrogatorio, ma ai reporter che chiedevano lumi uno dei rappresentanti della polizia thai- landese ha risposto: «La soluzione trovatela voi». Tutto è cominciato nel tardo pomeriggio di giovedì a Trang, nell’estremo sud: un morto. Poi nella serata doppio ordigno nei pressi della meta turistica di Hua Hin. La seconda bomba è scoppiata in una via piena di gente, ha ferito un venditore ambulante e altre venti persone (tra le quali nove europei e i due italiani). Ieri, in mattinata il resto: un altro ordigno a Hua Hin ha causato un morto e quattro feriti. Altre due bombe sono esplose a Surat Thani, con un’altra vittima. Due ordigni minori sono scoppiati anche a Phuket, causando un ferito. Altre due bombe sono state segnalate a Phang Nga, e bombe inesplose sono state identificate e disinnescate dagli artificieri in varie località. Considerando anche una serie di incendi scoppiati nella notte in negozi e mercati, le autorità hanno stabilito che le province colpite dagli attacchi sono state sette. Il premier Prayut SIRIA · Manbij liberata ma Isis rapisce 2mila civili Ieri l’annuncio tanto atteso è arrivato: le Forze Democratiche Siriane (federazione di arabi, turkmeni, assiri, guidata dalle Ypg kurde) hanno definitivamente liberato la città di Manbij dall’Isis: «Apriamo una nuova storia dopo aver chiuso il libro delle tenebre», scrive il portavoce delle Sdf. Ma la vittoria resta macchiata dal brutale rapimento da parte degli islamisti in fuga di 2mila civili, usati come scudi umani per evitare il fuoco kurdo. Sono stati presi nel quartiere di al-Sirb, fatti salire su centinaia di auto e portati a Jarabulus, città nord-occidentale in mano islamista, nel distretto di Aleppo. Proprio ad Aleppo continuano gli scontri: le tre ore di tregua promessi dalla Russia non vengono rispettati da nessuno. Un altro ospedale, a Kafr Hamra, è stato colpito ieri uccidendo almeno 18 persone tra cui dei bambini. I "ribelli" accusano il governo di Damasco e la Russia, per poi minacciare proprio le Ypg promettendo morte al quartiere kurdo della città. Intanto ad Ankara il presidente turco Erdogan incontrava il ministro degli Esteri iraniano Zarif: i due si sono detti «pronti a cooperare per giungere ad una pace durevole in Siria». TERRITORI OCCUPATI · Proprietari considerati «sconosciuti» perché rifugiati Israele: «Soluzione per colonia Amona» Spostata ma sempre su terre palestinesi Michele Giorgio GERUSALEMME A lla fine i settler di Amona, il più grande degli oltre 100 avamposti ebraici in Cisgiordania - illegali per il diritto internazionale come le 150 colonie "ufficiali" costruite da Israele -, avranno la sistemazione che cercavano. Le 41 case mobili di Amona, di cui la Corte Suprema ha ordinato la rimozione perché occupano terreni privati palestinesi, saranno trasferite sulle cosiddette "terre di nessuno". I proprietari palestinesi sarebbero «sconosciuti» perché fuggirono (in Giordania) durante la guerra del 1967. Terre di nessuno che Israele considera demaniali tralasciando il particolare che tutta la Cisgiordania è un territorio occupato e l’occupante non può insediarvi la sua popolazione. E il fatto che l’Amministrazione Civile dell’esercito israeliano abbia fatto pubblicare dal giornale palestinese al Quds un avviso in cui chiede ai proprietari di quelle terre di presentare entro 30 giorni un ricorso formale contro la confisca di fatto, è considerato una operazione di facciata, un espediente, dalle stesse associazioni israeliane pacifiste e per i diritti umani, come Peace Now. La vicenda di Amona si trascina da anni. I massimi giudici israeliani, accogliendo il ricorso dei palestinesi, hanno fissato il termine della fine dell’anno per la rimozione delle case dei coloni. Questi ultimi hanno protestato e resistito in tutti i modi alla decisione ottenendo la solidarietà e l’aiuto concreto dei numerosi deputati-coloni e ministri-coloni che affollano i banchi della Knesset e occupano diverse poltrone governative. L’esercito aveva proposto a quelli di Amona di trasferirsi di fatto nella colonia ebraica di Shiloh. Ma ha ricevuto un secco rifiuto. Quindi è intervenuta la ministra della giustizia Ayelet Shaked, del partito Casa ebraica, il principale riferimento politico dei coloni, che ha avanzato l’idea di trasferire le case mobili di Amo- na sulle terre di proprietari «sconosciuti». La soluzione non è piaciuta agli alleati americani. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere di essere «profondamente preoccupati» per questo piano del governo Netanyahu. «Rappresenta un passo senza precedenti e preoccupante, in contrasto con il parere legale [della Corte Suprema] e contro la politica israeliana di non confiscare terre private palestinesi per gli insediamenti [coloniali]», ha fatto sapere la portavoce del Dipartimento di Stato Trudeau. La protesta di Washington è giunta assieme a quella di Parigi per la demolizione di alcune strutture edilizie palestinesi costruite in Cisgiordania con finanziamenti statali francesi. Israele ha risposto di avere il diritto di abbattere ogni edificio privo del permesso dell’Amministrazione Civile. Una disputa "legale" che fa emergere ancora una volta la distanza tra la posizione di Israele che non si considera una potenza occupante in Cisgiordania e a rimento alle zone rurali del sud (e forse suoi ex appartenenti costituiranno l’oggetto di eventuali repressioni) e sono da considerarsi vicine all’ex primo ministro Thaksim Shinawatra, oggi in esilio. La sorella di Thaksim, una volta al potere, tentò di far tornare il fratello scatenando nuove proteste, terminate con il golpe dei militari nel 2014. Questi ultimi, a seguito dei recenti attacchi, sembrano puntare su una pista interna, che tutto sommato giustificherebbe più di altre spiegazioni una nuova stretta securitaria. Gli attentati arrivano pochi giorni dopo il referendum sulla nuova costituzione che ha segnato un punto a favore dei militari, che da ora in avanti potranno gestire il senato e la nomina del futuro primo ministro. Nel sud del paese, da tempo, ci sono movimento insurrezionali indipendentisti e alcuni di matrice più specificamente salafita, ma appare strano che possano essere loro ad aver organizzato attentati in zone turistiche. Il loro modus operandi è sempre stato diverso, privilegiando altri obiettivi e altre metodologie. La loro battaglia contro Bangkok va avanti dal 2004 e ha fatto almeno 6mila vittime. E poiché la Thailandia, come altri paesi dell’area, vive soprattutto di turismo, ecco che il governo pensa a un sabotaggio interno. Gli attacchi sono inoltre giunti nel giorno della festa nazionale della mamma e del compleanno della regina Sirikit. Sia lei sia il vecchio monarca, Bhumibol Adulyadej, pare vivano in ospedale, tenuti in vita solo per non provocare ulteriori sommovimenti sociali. pagina 7 IL CO-SEGRETARIO DELL’HDP, SELAHATTIN DEMIRTAS TURCHIA · Leader Hdp accusato di sostegno al Pkk Demirtas rischia 5 anni Caccia all’ex star Sukur mento kurdo. Guarda caso ben 50 dei 59 deputati Hdp sono accusati a firma con cui presidente Erdi un qualche reato. Così la magidogan ha ratificato la legge stratura avalla una volta ancora le che cancella l'immunità parambizioni autoritarie del governo: lamentare era stata apposta il 7 giuda tempo Erdogan ha di fatto occugno. Una legge che aveva proposto pato il potere giudiziario, dopo lui stesso. Ieri si è concretizzata nelaver fatto lo stesso con il legislatila prima inchiesta contro due parvo, cancellando l'evanescente equilamentari turchi: insieme al regista librio costituzionale, l'anglosassoSirri Sureyya Onder, deputato ne concetto dei pesi e contrappesi: dell'Hdp (Partito Democratico dei lui propone le leggi, il parlamento Popoli, formazione di sinistra le approva, la magistratura agisce. pro-kurda), c'è ovviamente il co-seE con il clima patriottico che pergretario Selahattin Demirtas. vade la Turchia dopo il tentato golSulla sua testa pesano innumerepe, al presidente è tutto consentivoli fascicoli: è stato accusato di to: facile spiegare ad un'opinione tutto, tradimento, sostegno ad orpubblica in preda al panico (dove ganizzazione terroa prevalere sono ristica, incitamenslogan da basso naMandato d’arresto to alla violenza, atzionalismo e dittatacco alla costitu- per l’ex calciatore tura della maggiozione. Ieri, un altro ranza) la necessità fascicolo si è ag- per legami con Gülen di stringere le fila. giunto alla lista, il Ankara: «Più vicini L'Hdp è stato l'uniprimo dopo la canco partito a non escellazione dell'im- all’estradizione» sere invitato alle munità e dunque il manifestazioni di primo che può portare al processo. massa organizzate da Akp, Chp e Demirtas e Onder sono stati accuMhp e ai meeting con il governo sati dal procuratore del distretto di (l'ultimo ieri, si è discusso di un Bakirkoy di «propaganda terroristi«mini pacchetto costituzionale»). ca» a favore del Pkk per un comizio La pacificazione nazionale non vatenuto a Istanbul nel marzo 2013. le per tutti e la sinistra turca resta Un reato che in Turchia è punito da sola a svolgere il ruolo di unica con 5 anni di carcere. Durante vera opposizione al presidente. quella manifestazione, scrive il proLo aveva detto pochi giorni fa lo curatore, la folla sventolava immastesso Demirtas: al mega raduno gini del leader del Partito Kurdo di domenica indetto da Erdogan dei Lavoratori, Abdullah Ocalan, e per incensare se stesso «non c’era dal palco Demirtas e Onder «lodauna briciola di democrazia, noi siavano il Pkk che punta a formare un mo l'unico partito di opposizione. Kurdistan indipendente basato su La gente ha una sola speranza». E valori marxisti e leninisti e che conun altro raduno, stavolta molto più duce attacchi armati dal 1984». ristretto, si terrà domani a IstanL'Hdp l'aveva denunciato subibul: l'Akp festeggerà i suoi 15 anni. to: la sospensione dell’immunità Il partito parla di celebrazioni «moservirà a colpire la sinistra e il movideste» a cui saranno invitate solo 6.500 persone, ma che ricorderà di nuovo «i martiti del tentato golpe». Ma i martiri di quel putsch fallito non sono solo i morti del 15 luglio. Sono anche i purgati, decine di migliaia di persone arrestate, licenziate, sospese, indagate, private dei propri beni perché considerate parte dello “Stato parallelo” del nemico Fethullah Gülen. Nella rete con cui Erdogan pesca da settimane avversari veri e presunti è finita anche una star del calcio turco ed europeo, Hakan Sukur: ieri è stato spiccato un mandato d'arresto nei confronti dell'ex calciatore di Milan e Galatasaray perché accusato di «appartenenza ad un gruppo armato terroristico», ovvero il movimento Hizmet di Gülen. Nel 2011 Sukur era stato eletto in parlamento con l'Akp, per dimettersi SOLDATI ISRAELIANI NEI TERRITORI OCCUPATI PALESTINESI /LAPRESSE nel 2013 dopo che un caso di corrugli Stati membri. Gerusalemme Est e quella della zione aveva coinvolto personalità Intanto l’ondata di demoliziocomunità internazionale che fa rivicine all’imam. ni di case "abusive" in Cisgiordaferimento alle risoluzioni Onu e E se Hakan pare sia già in salvo nia continua a pieno ritmo. alle Convenzioni di Ginevra. negli Stati Uniti, ieri è stato arrestaDall’inizio del mese l’AmminiIn ogni caso questa distanza to suo padre, Selmet Sukur, menstrazione Civile israeliana ha denon ha impedito in alcun modo, tre la corte di Sakarya confiscava molito 20 case e 13 strutture edilinegli ultimi 50 anni, allo Stato di tutte le proprietà dei due, tre miliozie palestinesi (cinque donate da Israele di attuare le sue politiche ni e mezzo di euro. Beni sequestraorganizzazioni umanitarie) lanei Territori palestinesi occupati, ti anche allo stesso Gülen: lo ha desciando 53 persone - tra cui 25 a cominciare dalla colonizzaziociso il tribunale di Adana. Ieri, inminori - senza un tetto. Quest’anne. Le proteste americane, anche tanto, il ministro degli Esteri Cavuno Israele ha demolito almeno durante gli otto anni di ammistrasoglu ha riferito di «segnali positivi 188 case palestinesi in Cisgiordazione Obama, non sono mai stadagli Usa sulla richiesta di estradinia, il numero più alto dal 2006, te seguite da iniziative concrete zione di Gülen», non entrando nei quando il centro B’Tselem per i volte a impedire la violazione del dettagli. Poco prima, però, la portadiritti umani ha cominciato a dodiritto internazionale nei Territovoce del Dipartimento di Stato Trucumentare queste distruzioni. Le ri. L’Europa ha fatto qualche pasdeau aveva reagito agli ultimatum ultime demolizioni hanno riguarso in più ma è frenata dalle diffeturchi affermando che il processo dato comunità nel sud di Hebron renze, spesso molto ampie, tra le di estradizione potrebbe richiedee nella Valle del Giordano. linee di politica mediorientale dere degli anni. Chiara Cruciati L pagina 8 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 CULTURE PER TERRA E PER MARE Il disorientamento di Ulisse che nel comune immaginario sono gli episodi cruciali dell’Odissea hanno nel poema uno statuto narrativo peculiare: sono racconti dello stesso Ulisse, presso la corte dei Feaci, e occupano appena quattro libri su ventiquattro. C’è chi si è domandato: saranno racconti veritieri? La domanda non è demenziale come sembra, se solo la si riformula a questo modo: gli aedi dell’Odissea intendono suggerirci che Ulisse sta mentendo e inventando, qui come in tanti altri luoghi del poema? Del resto, perché i personaggi dell’Odissea, a Scheria e a Itaca, si sentono così spesso minacciati da cantastorie o contafrottole itineranti? Può esserci della malizia nell’elogio che Alcinoo rende a Ulisse nel bel mezzo dei suoi racconti? «Ulisse», gli dice il re dei Feaci, «davvero non ci sembri un imbroglione, un truffatore, come tanti la terra nera ne alleva, di tutte le specie, inventori di false storie». «Tu no», prosegue Alcinoo, «tu sei come un aedo, tu racconti con arte»: e ha spiazzato molti interpreti il fatto che alle frottole dei cantastorie imbroglioni sia opposta non la verità del testimone autoptico, ma la perizia artistica del buon cantore. Come dire: una bugia bella è quasi verità. Federico Condello I taca, Same, Dulichio, Zacinto: nomi d’isole omeriche il cui «nome greco è un verso a ridirlo», per citare Quasimodo, notoriamente e inguaribilmente grecomane. E se delle isole omeriche ci suonano lirici i nomi, figurarsi gli epiteti: Zacinto è «selvosa», Dulichio è «folta di grano», Same è «tutta dirupi», Itaca (inutile dirlo) è «petrosa». Il formulario dell’epica, tramandato e affinato per secoli dai professionisti dell’oral poetry, ci restituisce così una geografia senza tempo, dove la realtà naturale si sublima in pura onomastica, che designa e insieme disegna, con un solo tratto, panorami marittimi e paesaggi insulari. L’Odissea, fin dal suo «prologo in cielo», inizia con un’isola – l’isola dove Ulisse è prigioniero di Calipso – e in un’isola ovviamente termina, la sospirata Itaca: «un’isola bassa, l’estrema del mare, rivolta alla notte. Un’isola dura, ma buona nutrice di giovani. E niente più dolce di quella mia terra potrò mai vedere», come Ulisse stesso la descrive al re Alcinoo, nell’isola di Scheria, l’ultima da lui toccata prima di tornare alla sua petrosa patria. Mondi sulle rive Dove vissero gli Achei? Qualche ellenista ispirato, di quando in quando, consiglia di vedere i luoghi per capire veramente i nomi, gli epiteti, le formule: per capire perché in Omero il mare sia «colore del vino», ma anche «canuto» e «brumoso», e perché le isole siano poeticamente «cinte dall’onde», e magari, come quella di Calipso, collocate «là dov’è l’ombelico del mare». Ma molti amatori e dilettanti, soprattutto, hanno preso sul serio la geografica omerica: il più famoso è Heinrich Schliemann, che dopo essersi arricchito col prestito a usura negli States e col traffico d’armi in Crimea, scoprì Troia – ci assicura lui nella sua epicheggiante autobiografia – facendo dell’Iliade la sua mappa. Un secolo circa prima di Schliemann, un altro grande pioniere della ricerca omerica on-the-spot, l’inglese Robert Wood, si mise in testa – dopo aver seguito i beduini siriani e libanesi alla scoperta di Palmira e di Baalbek – di «leggere l’Odissea nei paesi fra cui Ulisse viaggiò». Ne uscì quel Saggio sul genio originale di Omero (1769) che incantò Goethe, a sua volta fanatico dell’Odissea, al punto da infliggerne la lettura a malcapitati pastori alpini, durante il suo viaggio in Italia; un saggio, quello di Wood, che all’inizio del Novecento suscitava ancora l’ammirazione del «principe dei filologi», Wilamowitz, disposto a ritenere la scoperta dell’esattezza pittorica di Omero in materia paesistica più rilevante di qualsiasi altra scoperta d’ordine linguistico operata sui poemi omerici. Ma la geografia dell’Odissea – e in particolar modo la sua geografia insulare – non ha mai smesso di ispirare visionari più o meno credibili, nemmeno in tempi recenti. Non si può dimenticare che fu un boom editoriale, a metà degli anni Novanta, il surreale Omero nel Baltico di Felice Vinci, ingegnere nucleare. Portentosa la tesi, costata all’autore anni di ricerche: gli Achei vissero in origine fra il Mar Baltico e il Mare del Nord, e gli aedi omerici erano allora bardi norreni. Itaca è in Danimarca, ed è l’attuale isoletta di Lyo; l’arcipelago che nell’Odissea la circonda – tra la dirupata Same, la granosa Dulichio e la selvo- NAVAGIO (SPIAGGIA DEL RELITTO) , ZACINTO; SOTTO, ULISSE E LE SIRENE, II D.C., MUSEO DEL BARDO, TUNISI La geografia dell’Odissea, in particolar modo quella insulare, non ha mai smesso di ispirare visionari più o meno credibili. A metà degli anni Novanta, il surreale «Omero nel Baltico», dell’ingegnere nucleare Felice Vinci, diventò un vero bestseller sa Zacinto - si lascia facilmente riconoscere nelle isole di Aero, Langeland e Tasinge: del resto, «Tasinge» non suona un po’ come «Zacinto»? E il mare omerico non è «brumoso»? E Ulisse non deve affrontare, tra Scilla e Cariddi, il maelström? Pare incredibile, ma questo sogno a occhi aperti, debitamente nutrito di pseudo-climatologia, pseudo-topografia e pseudo-linguistica, ha conquistato molti lettori. Dispiacerà un po’ ai patrioti nostrani che la stessa fortuna non sia arrisa ai tanti volenterosi che, da Victor Bérard negli anni Venti fino ai giorni nostri, hanno disseminato per il territorio italiano – dalla Sardegna alla Campania all’Adriatico – le mitiche tappe del viaggio odissiaco; del resto, come dimenticare Samuel Butler e il suo L’autrice dell’Odissea (1897), che volle situare in Sicilia le peripezie dell’eroe omerico, e attribuirne l’invenzione a una giovane donna locale? Ipotesi immaginifiche Dispiacerà invece ai cultori di mitologia astrale, o di archetipi junghiani, che abbia avuto poco seguito l’ipotesi sviluppata qualche anno fa da Gioachino Chiarini, secondo il quale l’Odissea, di isola in isola e di tappa in tappa, attraverso una continua alternanza di rotte occidentali e rotte orientali, paesaggi solari e paesaggi inferi, delineerebbe la mappa di un labirinto, immagine terrestre di un percorso celeste zigzagante fra pianeti e costellazioni. Suggestiva trovata – basta soltanto farsi tornare i conti – che strappò a qual- che giornalista buontempone il commento: «l’Odissea di Omero era già un’Odissea nello spazio». Più saggio di tanti immaginosi moderni, uno dei padri della geografia occidentale, Eratostene, sbrigava la questione con una boutade passata alla storia grazie a Strabone: «si scoprirà dove ha vagato Odisseo quando si scoprirà il cuoiaio che ha cucito l’otre dei venti». La battuta non bastò, e l’antichità - ben prima delle speculazioni odierne – ha cercato senza tregua le isole di Ulisse, ubicando Itaca, prevedibilmente e preferibilmente, fra le Ionie dell’Eptaneso, dov’è l’Ithaki odierna. Un privilegio, quello della mi- SCAFFALE Un percorso di letture del poema omerico Chi oggi vuol leggere l’«Odissea» (o rileggerla: i classici si rileggono soltanto) può scegliere tra molte traduzioni: non è più vero che ogni generazione ha il suo Omero; oggi ogni editore ha il suo Omero, e specie la sua «Odissea», che a fasi alterne batte l’«Iliade». Oltre alla storica e forse insuperata R. Calzecchi Onesti (Einaudi), ricordiamo almeno: l’«Odissea» di G.A. Privitera (Mondadori), canonica anch’essa; quella di Maria Grazia Ciani (Marsilio), che sceglie la prosa e la gioia del narrare; quella di F. Ferrari (Utet), anch’essa in prosa, e piena di intelligenza; quella di V. Di Benedetto (Rizzoli), bella perché ostica; e quella di G. Paduano (Einaudi), linda e scorrevole. nuscola isoletta, messo in discussione nel 2005, quando l’imprenditore Robert Bittleston, corroborato da un grecista insigne come James Diggle e da un geologo autorevole come John Underhill, avanzò un’ipotesi ben congegnata: che l’Itaca omerica fosse da collocare a Paliki, penisola nord-orientale di Cefalonia. Verità e frottole Ma Ithaki si è presa la sua rivincita nel 2010, e oggi ai turisti si esibisce l’esito mirabile dello scavo condotto da un team archeologico di Ioannina: un palazzo miceneo prontamente identificato – il marketing è marketing – con il «palazzo di Ulisse». Niente di nuovo: Pausania – il «aedeker» dell’antichità, secondo una definizione che infastidiva Giorgio Pasquali – si imbatte non di rado in monumenti presentati ai turisti come testimonianze di Ulisse e del suo peregrinare. Ma al di là di Itaca, dolce agli archeologi non meno che al suo re ramingo, che dire delle altre isole, quelle che ci sembrano ben più rilevanti e fascinose entro la mappa ideale dell’Odissea? Dov’è l’Ogigia di Calipso o l’isola delle Sirene? Il Ciclope sta davvero in Sicilia, a capo Lilibeo, e l’isola di Eolo è Lipari? E l’isola del Sole e la Scheria dei Feaci? Al proposito, c’è un punto che non va dimenticato. Quelli Una malizia simile non stupirebbe troppo da parte di aedi come quelli dell’Odissea, che tanto volentieri inscenano le performances di altri aedi, loro mitici colleghi (Femio, Demodoco, lo stesso Ulisse), e che tanto spesso mostrano di saper giocare con il patrimonio dell’epos anteriore e coevo (che cos’è la discesa all’Ade, con la sua rassegna d’eroi e d’eroine, se non una rassegna di bestsellers epici, Iliade compresa?). Con l’Odissea, ha scritto Vincenzo Di Benedetto, nasce la «letteratura di secondo grado». Di qui i racconti di Ulisse, che sono il racconto di un racconto. Di qui le sue isole e i suoi viaggi, che lasciano appena intravedere, dietro il velo del folk tale, la realtà cruda della colonizzazione greca degli anni bui e dell’arcaismo. Viaggi che presto, si sa, si immaginarono protratti fin oltre le Colonne d’Eracle: al di là di quel piccolo mondo mediterraneo che noi abitiamo, diceva il Socrate del Fedone, «standocene in riva al mare come rane intorno a uno stagno». 11- continua Domani l’isola da esplorare sarà l’Inghilterra: Leonardo Clausi racconta quella speciale «Everland» pronta a contare solo sulle proprie forze il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 CULTURE SCOPERTO MONUMENTO FUNEBRE MAYA Alcuni scavi nel Belize occidentale hanno condotto alla scoperta di un tempio funebre tra le rovine di Xunantunich, antica città Maya sul fiume Mopan. L’euipe di ricercatori della Northern Arizona University e del Belize Institute of oltre tutto Archaeology, guidato da Jaime Awe, si è imbattuta nella camera sepolcrale mentre stava scavando intorno alla scala centrale di una struttura che aveva le funzioni di un centro cerimoniale tra il 600 e l'800 d.C. Tra i 4 e gli 8 metri sottoterra, è venuta alla luce una tomba di 4,5 per pagina 9 2,4 metri, una delle più grandi camere di sepoltura mai scoperte in Belize. All'interno c’era il corpo di un giovane, tra i 20 e i 30 anni, sepolto con il capo rivolto verso sud e accompagnato da ossa di giaguaro e di cervo, sei perle di giada, 13 lame di ossidiana e 36 vasi di ceramica. SPORT · «L’arte di nuotare» di Carola Barbero POESIA L’olimpiade del pensiero galleggiante La quotidianità vissuta in punta di telefono Ernesto Milanesi I mmerso nel cloro di una piscina, alle prese con la grigia melmosità di un lago o sospinto dalla salinità marina - chi nuota è pervaso da pensieri galleggianti e smette in tutti i sensi di avere i piedi per terra. L’acqua è un altro mondo e il nuoto è lo stile per viverlo. Un agile eppure denso saggio di Carola Barbero (ricercatrice all’università di Torino) si tuffa in questa dimensione apparentemente sospesa, in realtà tutt’altro che marginale. L’arte di nuotare. Meditazioni sul nuoto (Il melangolo, pp. 123, euro 8) riempie la vasca della filosofia con la disciplina sportiva che è il naturale contraltare dell’atletica. E lascia schiumare l’attitudine trascendentale di ognuno al ritmo acquatico dell’esistenza. Pagine asciutte, riflessioni inedite, idee appassionate. «Ho sempre nuotato con grande passione, liberandomi una vasca dopo l’altra. Quando nuoto penso sempre molto, ma fino a qualche anno fa non credevo che le mie meditazioni meritassero di essere condivise. Poi un giorno, parlando con un’amica, ho capito che forse mi sbagliavo. Così, quel giorno, sul treno ho preso la Moleskine nera e ho cominciato a scrivere», spiega Barbero. È filosofia «orizzontale», alternativa, a stile libero, con un respiro diverso. Come sintetizza J. Pérez Azaustre all’inizio del suo Nuotatori, «Il nuotatore guarda il suo futuro». Così Barbero fa scivolare nell’acqua storie, arti, letteratura, musica con una sorta di virata continua verso il traguardo della consapevolezza che un tuffo non porta mai a fondo la vera anima. Anzi, «di fronte al mare la felicità è un’idea semplice» (Jean-Claude Izzo). Quattro stili e altrettante tecniche di «guadare» l’elemento primordiale che terrà a galla anche senza più costume, occhialini, cuffia. In vasca si «rompe» il fiato: nuotare costringe alla solitudine, ma insieme manda in apnea la soggettività e costruisce il respiro della vita liberata. A dorso, l’orizzonte invertito apre in mare la visione del cielo: di nuovo Barbero ricostruisce suggestioni naturali che comportano scenografie del pensiero. L’arte di nuotare si trasforma così in una staffetta che alterna versi di Prevert e Alda Merini, la canzone cui è legato indissolubilmente Modugno, citazioni di Scott Fitzgerald o Cheever. E una bracciata dopo l’altra, nelle pagine di Barbero respirano donne speciali. Annette Kellerman che nel 1907 a New York regala uno straordinario balletto all’interno di una piscina di vetro. Addirittura epica l’olimpionica Gertrude Ederle, che nel 1925 attraversa la baia da Manhattan a Sandy Hook in 7 ore e 11 minuti che significa record assoluto, maschi compresi. Ma non basta: la mattina del 6 agosto 1926 entra in acqua a Cap Gris-Nez e dopo 14 ore e 34 minuti approda a Kingsdown. Per la prima volta una donna attraversa la Manica a nuoto con un tempo Ida Travi «I Il libro narra le continue virate in acqua, dove scivolano storie e letteratura. E passano atlete come Gertrude Ederle, che attraversò la baia di Manhattan destinato a resistere fino al 1950. Un ottimo antidoto alla retorica di questi giorni sul dolore del fallimento di Federica Pellegrini a Rio. Le grandi, vere, incancellabili imprese forse non si esauriscono in quattro vasche. E magari vince ancora la nostalgia delle immagini in bianco e nero che nella storia del nuoto italiano accompagnano Novella Calligaris. Le prime medaglie alle Olimpiadi di Monaco e poi il 9 settembre 1973 all’edizione inaugurale dei GERTRUDE EDERLE Mondiali a Belgrado: 8’52"973 negli 800 stile libero valgono il titolo e il primato mondiale. Era allenata da Gianni Gross, recentemente scomparso, e da Bubi Dennerlein entrambi scampati il 28 gennaio 1966 alla tragedia aerea di Brema, la Superga del nuoto azzurro. Tornando al saggio di Barbero, il pensiero si diluisce quasi in acquaticità perché l’arte di nuotare eccede lo sport e non si può nemmeno costringere alla tecnica. In vasca o in mare aperto, abbiamo un’attitudine naturale che combacia con una condizione mentale. Concepiti nel liquido amniotico, siamo fatti per bagnarci. Tant’è che a Roma l’ignoranza umana era definita dall’incapacità di leggere e di nuotare. Al di là di alcune sbavature veniali (la data dei Giochi a Città del Messico o l’errore su Sydney), L’arte di nuotare accompagna il lettore in un’ideale attraversata dal tuffo al traguardo con i quattro capi- toli dedicati ai diversi stili. E alla fine, davvero, si sente l’acqua, come sintetizzava l’australiano Murray Rose tre volte oro a Melbourne 1956 (più uno a Roma 1960): «I nuotatori dovrebbero usare braccia e gambe come fanno i pesci con le pinne. E saper avvertire la pressione dell’acqua sulle mani per mantenerla nel palmo durante la bracciata». Un’arte, appunto. Ma anche la condizione umana fra terra e cielo. MOSTRE · I capolavori della scultura buddhista giapponese alle Scuderie del Quirinale di Roma Corpi sacri incisi nel legno mutante blocco di legno ricavato da un solo albero (ichiboku zukuri), altre ancora realizzate secondo la nuova tecnica scultorea da più blocchi di legno (yosegi zukuri), che permetteva uno sviluppo in ampiezza e una produzione a catena con maestri specializzati nelle varie parti che assemblavano in loco la scultura finita. Dell’epoca Nara (710-794), quando venne fondata la prima capitale del Giappone su modello cinese, è il bellissimo ritratto assiso della figura anziana di Yuima Koji (sanscrito: Vimalakirti), discepolo del buddha Shaka, con le labbra dischiuse nel gesto della predicazione, ma anche le due maschere legate alla tradizione cinese delle danze sacre gigaku utilizzate durante la cerimonia di apertura degli occhi della scultura del Grande Buddha di una mostra d’arte sacra buddhista quelNara nel 752. L’estetica Heian (794-1185), il la che i vertici della politica e della culperiodo di massima fioritura della cultura tura giapponesi hanno voluto a Roma classica giapponese autoctona, quando la cain occasione della commemorazione dei cenpitale imperiale fu spostata a Heiankyo, ossia tocinquant’anni dalla firma del primo Trattaa Kyoto (dove rimase fino al 1868), è invece to di amicizia e commercio tra Giappone e segnata dall’eleganza e dall’armonia formale Italia. Una rassegna che presenta una seleziooltre che dal processo di assorbimento di alne di 35 sculture dal VII al XIII secolo, tesori cune divinità shinto (kami) nel pantheon nazionali e proprietà importanti provenienti buddhista. Sia la possente figura stante di da templi buddhisti, santuari shintoisti e muYakushi nyorai, buddha della guarigione, ricasei nazionali che, sotto la cura di Takeo Oku, vato da un unico tronco di legno scavato specialista dell’Agenzia per gli affari culturali all’interno e ben leggibile nella leggerezza deldel Giappone, ha inaugurato sotto l’alto pala scolpitura che fa aderire la veste al corpo tronato del Presidente della Repubblicreando una ampia Y tra le gambe, sia ca Mattarella. Sarà visibile per un solo la figura di divinità maschile apparenmese alle Scuderie del Quirinale, fino temente incompleta che lascia parlare al 4 settembre. il legno e il tronco d’albero da cui naUn progetto difficile quanto affascisce, le sue impurità e le sue venature, nante, senz’altro speciale per l’Italia sono legate al sentimento religioso dove la scultura per tradizione è imshintoista, a quel panteismo autoctomediatamente associata a soggetti crino giapponese che vede in ogni elestiani o della mitologia greco-romana mento della natura, anche il più piccooltre che all’assoluta perfezione e alla lo la presenza del divino. solidità del marmo. Questa rassegna, Un divino senza nome e che non invece, parla di divinità buddhiste, di aveva ragione di essere rappresentato sincretismo religioso e di incroci culprima che il buddhismo arrivasse in turali, oltre che di una civiltà dove soGiappone, ma che rimase anche in seno la lievità e la mutabilità del legno a guito, mischiandosi in questa forma di segnare il tempo e il rapporto tra umasincretismo, quando l’albero venne inno e divino. vece scelto per divenire scultura budIl primo esempio elegantissimo di fidhista. E mentre il buddha del Paradigura assisa che accoglie il visitatore è so d’Occidente, Amida coperto d’oro e una rappresentazione bronzea del con la testa rotonda come una luna buddha storico Shaka nyorai del VII sepiena e il piccolo bodhisattva danzancolo, l’epoca giapponese Asuka, quante sulla nuvola raccontano con le loro do il pensiero buddhista insieme alle proporzioni perfette l’armonia e la rafsue scritture sacre e alla sua iconografinatezza della cultura di Corte, le pofia era appena sbarcato in Giappone tenti e spaventose figure dei Dodici Geportandosi appresso tutte le caratterinerali Divini, dei Quattro Sovrani Celestiche acquisite durante il suo passagsti così come le realistiche sembianze gio dall’India alla Cina e poi alla Corea di monaci e altre figure religiose esprifino all’Arcipelago. Questo racconta il mono la grande novità della ritrattistivolto calmo di Shaka, dal sorriso appeca di epoca Kamakura (1185-1333), SCULTURA BUDDHISTA GIAPPONESE ESPOSTA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE na percettibile, tipico della statuaria ciquando il potere passò nelle mani delnese del VI e VII secolo, così come è riconoscila classe samuraica. La rassegna è un’occasione bile l’influenza indiana Gupta, già accolta nelUn percorso spirituale, un viaggio geografila Cina dei Tang nell’aderenza della veste al speciale per l’Italia che è solita co ma anche culturale, che attraversa il conticorpo che ne mette in evidenza ogni forma. nente asiatico dall’India, alla Cina alla Corea associare quest’arte a mitologie per raggiungere l’arcipelago nipponico porIl resto delle sculture esposte sono tutte lignee, alcune originariamente coperte in fotando con sé forme, colori, odori, gesti e tesgreco-romane o a soggetti glia d’oro altre con pigmenti colorati oggi apsuti, parole e simboli che si fondono nell’unicristiani, raffigurati in marmo pena percettibili, alcune scolpite da un unico cità dell’espressione artistica giapponese. Rossella Menegazzo È o con le parole faccio cose». È questo il primo verso della raccolta poetica di Anna Toscano, Una telefonata di mattina (La Vita Felice, pp.78, euro 12), con la prefazione di Valeria Viganò. L’incipit ci riporta alla celebre frase di morettiana memoria «faccio cose, vedo gente»: anello di congiunzione tra generazioni. Quell’esserci vagamente diventa allora «un caffè un cinema / una telefonata di mattina per dire poi passo / o per sentire / prendo lo scooter e vengo da te». L’immaginazione corre verso uno sfondo di città, una casa, una cucina, un divano col cellulare appena lanciato sopra. Potrebbe essere Venezia, o Milano, o Affori, chissà… qualcuno s’appoggia alla ringhiera di un balcone di Affori, qualcuno si muove all’interno: «faccio un risotto». Qualcuno spolvera il tavolo rosso, ascolta Maestro Galindo a Radio Cultura, qualcun altro dà da mangiare al gatto. Ma poi, si volta pagina e compare altro mondo: compare il Brasile, e poco più in là il vento sul Bosforo, compare Rio de la Plata, compaiono quindici uruguaiani al Tequila Restaurant di Broadway. «Mi confondo, perdo l’orientamento:/ essere ovunque e in nessun posto / la domenica pomeriggio». In Una telefonata di mattina troviamo un tono retrò e futuro insieme, un raccontarsi per esperienza come quando si compila un curriculum vitae, è tutto un dire «cosa faccio» in poesia. Certo, poesia è questo stare nel linguaggio per esperienza come guardandosi da fuori in una specie di nostalgia del reale mentre dai versi sale un tono ironico, una soavità da spaesamento: «tutti a superare da destra, nessuno che cucini più una minestra». Eppure serpeggia un tratto dolente, una malinconia che non diresti: «ti cadono i capelli, mamma, da quando sei entrata qui». C’è un tu, c’è un luogo, c’è un quando. Nei versi di Anna Toscano la parola non si scolla dal reale, ma forse di più pesa la restituzione d’un mondo dove gli accadimenti si danno omogenei, con lo stesso peso, qui come in Uruguay o chissà dove, così vicino, così lontano. Fino a un tavolo di marmo chiaro, fino a una telefonata di mattina. «Non si torna indietro / mi dici mia cara». Ma indietro dove? Il libro raccoglie 49 inediti e 23 estratti da testi già editi. La prefazione di Valeria Viganò addita quest’andare abitando tra sabbia e asfalto. Questo muoversi facilmente tra continenti e la tristezza dell’acqua che scende da un lavandino intasato. I versi di Una telefonata di mattina, squillano semplicemente come un campanello, una suoneria, soprattutto nella parte che riunisce gli inediti. Il mondo è sottosopra, come in poesia («non ci sono più regole / non ci sono più codici / che dire poi dello stile?»). I vivi, i morti, il muso di qualche cane che spunta da una porta socchiusa, e «dentro al costato / tenevo della moquette a forma di cuore, certo marca Ikea». Spostarsi, muoversi interiormente e sulla faccia della terra, andare con bagaglio leggero. Ma quando finisce il presente? pagina 10 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 VISIONI A teatro • Ad Anghiari la 21esima edizione della «Tovaglia a quadri» di Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini: dalla lotta alla mezzadria al futuro del mondo contadino «Poderi forti» sulla tavola Gianfranco Capitta ANGHIARI G ià solo per il titolo varrebbe la pena di tuffarsi ad Anghiari, tra la piana leonardesca e le suggestioni pierfrancescane, per la cena tipica della Valtiberina tra le cui portate si snoda il racconto Poderi forti. Trovandosi nelle terre che anche hanno ospitato vita e attività di Licio Gelli, nonché l’ascesa e la rovina (per i suoi clienti) di BancaEtruria, ci si potrebbe lecitamente aspettare una visione senza speranza della vita e della società toscana. Invece la serata sarà molto istruttiva, piacevole e ricca, oltre al rinnovato peccato di gola secondo tradizione (info 0575 749279). Perché Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini, alla 21esima a edizione della loro Tovaglia a quadri, sfoderano tutta la sapienza drammaturgica acquisita negli anni, e con grazia e leggerezza, e con l’onestà della prima persona (loro e dei personaggi che si racconta- Fra uno scherzo e un sospiro si indaga la modernizzazione, le sue contraddizioni e conseguenze no) provano a ragionare tra una risata e una punta di acidità, su cosa va succedendo in questo cuore d’Italia. Un territorio che da sempre si è mostrato avanzato e privilegiato: nella natura, nella intraprendenza, nei valori per i quali ha lottato. E che oggi vacilla nelle sue certezze. Per la prima volta dopo 70 anni dall’avvento della costituzione repubblicana, la sinistra ha perso l’amministrazione di Anghiari, così come dalla scorsa consiliatura era accaduto alla contigua Sansepolcro. Niente di tragico, ovviamente, anche perché le liste civiche che si sono affermate sono abbastanza composite: vi dominano le destre, ma vi sono parecchi transfughi di parte avversa. Qui il Movimento 5 stelle pur avendo avuto un’impennata si è piazzato solo terzo. E in assoluto ha prevalso l’astensione. La prima domanda che si pone l’antico elettorato di sinistra è dove sia finito quel patrimonio di valori, e di servizi e cultura spesso additati a modello. Sulla magica piazza del Poggiolino, lo slargo tra gli spalti delle mura anghiaresi dove Tovaglia a quadri ogni sera va in scena e in tavola, la sua personificazione è data dal Federale, il burocrate di solida formazione piccista che più volte è stato delegato dalla federazione di Arezzo per «rimette- IN SCENA Le tre sorelle parlano toscano G. Cap. BORGIO VEREZZI (Savona) P SOPRA LO SPETTACOLO «PODERI FORTI» FOTO DI GIOVANNI SANTI. SOTTO «LABIRINTO» FOTO DI GIUSEPPE TOTARO re le cose a posto» e in riga. E che oggi, bloccato in una patologica coazione a ripetere, non può che ribadire slogan e frasi fatte, inesorabilmente rivolte al passato. Così, tra uno scherzo e un sospiro, lo spettacolo tenta con serenità razionale di scoprire le forze in campo, e le loro contraddizioni, senza barare. Perché la grande «modernizzazione» che è partita dalle gloriose lotte contro la mezzadria (in una proprietà terriera feudalmente divisa fino a mezzo secolo fa tra nobili e notabili) si è evoluta fino ad oggi in forme nuove, dove il contadino è divenuto un coltivatore scientifico, che usa strumenti tecnologici e prodotti chimici finalizzati. Con conseguenze dirompenti negli schieramenti della Valtiberina, dove una coltura privilegiata è quella del tabacco. Gli ambientalisti arrivano a posizioni integraliste (irresistibile il Veg & breakfast dove la smania di alimentazione e comportamenti alternativi è di una comicità dirompente, sfidato da una popolana col suo innaffiatoio a stantuffo in spalla, pronta a spargere il suo pesticida), ma dall’altra parte il coltivatore Ermindo ha toni toccanti nel raccontare il valore del suo tabacco bisognoso di moltissime cure, e ripagato pochissimo dalla multinazionale monopolista. Il vecchio Ddt di buona memoria diviene l’esempio classico di un giudizio impossibile: ha fatto molti danni con i veleni che contiene e che ha diffuso, ma nello stesso tempo ha salvato molte vite umane debellando assieme agli insetti nocivi le epidemie mortali che questi inoculavano. Impossibile dare un giudizio assoluto. La trasformazione di un mondo, e della sua civiltà e della sua cultura, non ha trovato evidentemente né una rotta a quell’equilibrio precario, né una risposta adeguata nella politica, sempre più intenta a far fare affari ai suoi esponenti senza occuparsi dei destini degli altri. E certe riflessioni e certi esempi, portate per evidenti motivi geografici nella lingua e con l’accento del giglio magico fiorentino, arrivano ad assumere, alle orecchie di oggi, toni involontariamente quasi shakespeariani. La catastrofe per fortuna non arriva, almeno sulla scena del Poggiolino. Non perché gli attori d’Anghiari si tirino indietro, magari dopo aver subito nel proprio privato le conseguenze nefaste della crisi che non passa; piuttosto, proprio a rendere la complessità del luogo, e delle scelte che oggi imporrebbe, ci sono le musiche e le canzoni che da temi popolari permettono veri virtuosismi. E non manca lo spiritaccio toscano che fuori di ogni retorica sdrammatizza qualsiasi situazione, riuscendo a trarne aiuto per la solu- zione. Saranno più utili i poteri o i Poderi forti? Se la tecnica compositiva e interpretativa della Tovaglia a quadri è un patrimonio ormai consolidato, questa volta si fa apprezzare ancora di più l’inusuale sincerità, la voglia di mettersi in gioco anche nella condizione spinosa di oggi. E proprio questa capacità di mettere in comune ragionamenti, ricordi, esperienze, e in fondo anche speranze, ne fa un esempio straordinario di teatro nobile e utile. Un «servizio pubblico» di cui si dovrebbe riconoscere legittimità e necessità, per tutti. Si replica fino al 20 agosto. FESTIVAL Un percorso interiore di sentimenti tra via crucis e tableaux vivants Mariateresa Surianello TROIA (Foggia) C ’è un festival nato nell’ultimo decennio, radicatosi nel territorio e per questo resistente ai ritardi che la Puglia di Emiliano presidente sta subendo. Diretto da Francesco O. De Santis, il Festival Troia Teatro si conferma appuntamento unico del foggiano, capace di fare comunità intorno a un nucleo artistico frastagliato nelle tante forme che il teatro può assumere, compresi i tanti raduni in strada. Alle pendici del sub Appennino Dauno, con gli occhi persi sul Tavoliere verso il Gargano, «Tuttaun’altra Troia» si è vissuta. Spettacoli diffusi ovunque per la tenacia dell’Unione giovanile troiana, impegnata nell’organizzazione insieme a Teatri35, il gruppo di De Santis con Gaetano Coccia e Antonella Parrella, incredibili icone caravaggesche in quei fermo immagine che sono i loro tableaux vivants. Nel Chiostro di San Benedetto, Labirinto, loro ultima opera, appare metafora dell’intero festival, con quell’affaccendarsi di corpi tra teli e drappi colorati, prima di bloccarsi in spot tridimensionali di celebri dipinti. Si pone in parallelo la via crucis di Gesù Cristo con un percorso interiore di «Sentimenti» in sintonia con il titolo di questa undicesima edizione. E interiore è lo struggersi di El- se, dall’omonima signorina di Schnitzler, che Nunzia Antonino, diretta da Carlo Bruni, lascia nel delirio dello scandalo non risolto dalla morte dell’originale. Else si agita in veste da notte su quella passerella puntellata di coppe di Veronal, con alle spalle uno trittico di specchi che ne dovrebbe moltiplicare all’infinito l’esposizione al pubblico ludibrio. Antonino, reduce da una memorabile Lenòr (Eleonora de Fonseca Pimentel, intellettuale eroina della Repubblica napoletana del 1799), nel nuovo monologo veste i panni di unaolle fanciulla invecchiata, ma lo spettacolo non entra nella cappa della finis Austriae e perde nel tentativo di attualizzare un testo che negli anni Venti del secolo scorso mise a «nudo» - come il corpo della protagonista - corruzione e crisi morale e culturale della classe borghese. Ne resta una prova virtuosistica che non convince, come pure Mamma – Piccole tragedie minimali di Matremo Teatro, vincitore del Premio Eceplast, per gli eccessi, qui più macchiettistici che virtuosi, delle quattro madri prese in prestito dalla scrittura carnale di Annibale Ruccello. Al sesto concor fso organizzato nell’ambito di Troia Teatro, sono passati lavori forse più meritevoli di portarsi a casa la scrofa, antico stemma della città. L’albero di Nicola Conversano, novello contadino in lotta contro una società che sradica ulivi secolari per spettacolarizzarne la presenza in metropoli fumose. O Niente panico di Luca Avagliano ancora da centrare nella drammaturgia, ma forte della sua presenza scenica. In divenire ma cocente è la ricerca d’identità della Marcia lunga di Saverio Tavano, mentre concluso nella sua infinita riproducibilità è il video Faber navalis di Maurizio Borriello, l’opera più discussa nei talking about sulle scale della Cattedrale, sotto il suo magnifico Rosone. Vera vincitrice della scrofa troiana. rende corpo sulla scena un mito della letteratura italiana del ‘900, le Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi, che sono divenute un archetipo idiomatico nel linguaggio comune, anche da parte dei molti che il libro non l’hanno letto. Ma forse anche per il successo del testo al cinema e in tv (indimenticabili Sarah Ferrati, Rina Morelli e Nora Ricci, con Ave Ninchi governante, della infanzia televisiva nazionale). E’ Geppy Glejeses a prendere l’iniziativa, montando per l’estate di Borgio Verezzi (lo spettacolo sarà poi in tournée da gennaio) un inedito trio di «zitelle fiorentine» con Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati (energica e complice governante Sandra Garuglieri). La riduzione, veloce e garbata, di Ugo Chiti, fa scattare lo spettacolo come un flash affettuoso ed efficace su una intera società tra le due guerre, ma soprattutto su una dannata debolezza del costume nazionale. I cui principi e la cui laboriosità sono inevitabilmente destinati a franare sotto la spinta irresistibile del mammismo. Perché quello è il veleno più tremendo, che affligge le zie nei confronti del nipote, che ha facile gioco fino a mandarle in rovina assoluta, nonostante i loro ricami pregiati costituiscano un capitale ineguagliabile. Ed è sicuramente ascrivibile a Chiti l’ironia sottile in scena (pronta a diventare crudele senza rinunciare a un sorriso in volto) di questa meravigliosa quanto malinconica famiglia. Una icona insuperabile della nostra italietta, che ogni volta commuove e irrita, diverte e addolora per l’ingiustizia evidente, e il male che può nascere da quell’amore eccessivo. Ma la regia di Glejeses (sulla traccia della riscrittura di Chiti), fa qualcosa in più, aprendo dalla periferia fiorentina di Coverciano uno squarcio verso la profonda e immobile campagna russa. A partire dalla bella scena di Roberto Crea: un tavolo e tre sedie in un grande ambiente a metà tra il laboratorio e il salotto, che si apre però, attraverso un grande arco, su un giardino alberato, dove suoni e rumori fanno echeggiare scherzi e risate, rombo di motori e disgrazie. E le tre Materassi, Teresa Carolina e Giselda, sembrano portare dentro di sé lo spirito, sempre sul punto di arrendersi ma mai vinto, delle loro colleghe cechoviane. Lucia Poli più «burbera» e decisa con la sua cuffietta e il toscano che le fluisce per grazia naturale, Milena Vukotic perbene e formale ma sempre arrendevole, Giselda sottomessa alle sorelle ma donna «liberata» grazie a un’antica trasgressione amorosa, autonoma ed autarchica tanto da atteggiarsi a «giovane italiana». Ma la malinconia (se non il piacere della sconfitta) le domerà quietamente, anche se neppure loro vedranno mai la loro Mosca, ovvero il successo americano del nipote bugiardo e scialacquone. I toni non si faranno mai tragici, perché anch’esse, come il loro autore Palazzeschi ai suoi lettori, sembrano in fondo chiedere il classico «lasciatemi divertire». il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 VISIONI NATE PARKER È andato al regista americano il premio Vanguard Leadership Award, assegnato dal Sundance Institute ai filmmaker che con il loro lavoro raggiungono un nuovo traguardo nel mondo del cinema indipendente. Il film per cui Nate Parker ha ricevuto il premio è il suo recente «The Birth of a Nation», che ricostruisce la storia di Nat Turner, leader della rivolta degli schiavi nella Virginia del 1831. Il film ha vinto il gran premio della giuria e quello del pubblico all’ultimo Sundance Festival ed è stato acquistato dalla Fox Searchlight per una cifra di 17,5 milioni di dollari, la più alta mai registrata al Festival di Salt Lake City. IN BASSO DUE IMMAGINI DI «SUICIDE SQUAD». A DESTRA KEN LOACH SUL SET DI UN FILM NEL DOCUMENTARIO DI LOUISE OSMOND pagina 11 Nel suo discorso di accettazione del premio - andato in precedenza a registi come Benh Zeitlin, Ryan Coogler e Damien Chazelle - Nate Parker ha annunciato che lui, il cast e il team ti produttori di «The Birth of a Nation»finanzieranno una borsa di studio per i registi tra i 18 e i 24 anni che partecipano al Sundance Ignite Program. LOCARNO 69 · «Versus» di Louise Osmond Ken Loach, una vita tra cinema e politica Antonello Catacchio LOCARNO «B IN SALA · «Suicide Squad», esce oggi il blockbuster di David Ayer Quella sporca squadra di (anti)eroi psicopatici Giulia D’Agnolo Vallan R ottura netta tra le reazioni critiche e quelle del pubblico sta diventando un po’ la regola per la nuova vena di supereroi sfornati dalla collaborazione tra Warner Brothers e Dc Comics. Mentre il frutto dello strano matrimonio tra Disney e Marvel continua a prosperare con il relativo benestare della critica, dopo la love story con i reboot di Batman diretti da Christopher Nolan, le nuove incarnazioni degli eroi della Dc sembrano essere diventati, a sentire le recensioni, il simbolo di tutto quello che c’è di sbagliato in un grosso cinema d’azione hollywoodiano cinico e ormai sfibrato dal riciclaggio. O, come ha scritto il critico del New York Times A.O. Scott «dell’idiozia del sistema» (in contrapposizione al «genio del sistema» lodato da André Bazin). Come era successo la primavera scorsa per Batman vs Superman, l’uscita americana di Suicide Squad è infatti stata preceduta da un’unanimità di pollici rivolti verso il basso, ma accolta con entusiasmo dagli spettatori, al punto che il nuovo lavo- Il film stroncato dai critici e amato dal pubblico, record assoluto di incassi nel mese di agosto ro di David Ayer - che è poi un libero adattamento di Quella sporca dozzina di Aldrich - ha registrato gli incassi più alti della storia per le uscite nel mese di agosto, superando il record di Guardians of the Galaxy, un film il cui animo anarcoide e irriverente Suicide Squad cerca apertamente di emulare. Purtroppo senza riuscirci; ma anche senza meritare le recensioni devastanti che ha subito. In parte dovuto al una campagna promozionale che è molto più brillante e innovativa dello stesso film (manifesti che sembrano graffiti affissi a tappeto, clip costruite sui singoli personaggi, un trailer affilato sulle note irresistibili di Bohemian Rapsody), in parte al cast «alto» e alla colonna sonora di greatest hits (oltre ai Queens, i Rolling Stones, Animals, Creedence), il successo di Suicide Squad va probabilmente anche attribuito allo spirito del tempo: nell’an- no delle candidature antiestablishment di Trump e Sanders, in cui il nome di un candidato alla presidenza viene salutato dalle grida di «in prigione» o, come negli ultimi giorni, «uccidetela», e in cui si parla di muri per chiudere le frontiere, un manipolo di pendagli da forca sembra più adatto a difendere il pianeta di un classico eroe tutto di un pezzo. Come ci ha raccontato il film di Zack Snyder qualche mese fa, quell’eroe Superman- è morto. In sua assenza, il modo migliore per far fronte alla minacce del nostro tempo - sostiene Viola Davies nei panni di un alto ufficiale dell’intelligence è reclutare dai sotterranei di un carcere di massima sicurezza un mix di assassini e psicopatici, offrendo loro non una fedina penale nuova di zecca ma l’opportunità di redimersi morendo sul campo. Annunciato dalle note di House of the Rising Sun su un movimento di macchina dentro al penitenziario, Will Smith è Deadshot, un killer infallibile, Jay Hernandez è Diablo, un lanciafiamme umano, Adewale Akinnouye un uomo coccodrillo, Killer Croc, Jai Courtney è Boomerang e Margot Robbie - tra cheerleader e stripper- Harley Quinn, la fidanzata di Joker (Jared Leto, nell’incarnazione più Actors Studio del giullare depravato mai vista finora), e un boia con la mazza da baseball. Considerando che Ayer dedica interminabili, e quasi del tutto inutili, sequenze di battaglia tra la «squadra suicida» e dei Metaumani con teste che sembrano blocchi di lava, la parte migliore del film è all’inizio, quando si presentano i personaggi. Ma se il loro cinico, scanzonato, antiautoritarismo e la loro anima antieroica ricordano quella dei guardiani della galassia, la sceneggiatura dello stesso Ayer dà loro pochissime opportunità di svilupparsi nel corso del film, e agli attori di giocare di humor e tra di loro. Il che è un peccato perché sarebbero in grado di farlo bene. Autore interessante quando si confronta con un progetto piccolo e originale come il poliziesco End of Watch, alle prese con un budget di 175 milioni di dollari Ayer è un regista privo di immaginazione. E, se qui è meno statico di quanto lo fosse nel soporifero film di guerra Fury, la sua azione non ha coreografia o coerenza interna. E non sembra nemmeno molto interessato a lavorare su linguaggio del fumetto. Per portare al cinema i supereoi bisogna capirli e amarli almeno un po’, come ci ricorda per esempio Joss Whedon. E, se Christopher Nolan aveva (malamente) celato la sua accondiscendenza nei confronti del loro mondo dietro alla pretenziosità dei suoi film, il suo discendente diretto Zack Snyder (regista di Batman vs Superman e qui produttore/autore) non ha nemmeno quell’ispirazione. Come Batman vs Superman, anche Suicide Squad sembra girato nel catrame, ma il suo «nero» non assume mai la dimensione esistenziale tragica che Tim Burton aveva dato ai suoi film sull’uomo pippistrello. È un’immagine confusa e basta. astardi». Così si conclude il documentario Versus: The Life and Films of Ken Loach di Louise Osmond. È lo stesso Ken a dire quella parola che inquadra perfettamente il suo pensiero anche se, essendo una persona perbene, la dice sorridendo. Parola che appare anche in precedenza nel documentario quando Loach spiega che aveva deciso di smettere con il cinema perché ormai si sentiva vecchio, poi i Conservatori («bastardi») hanno vinto di nuovo le elezioni e allora lui decide che bisogna fare qualcosa. Il risultato è uno dei film più intensi e commoventi degli ultimi anni: I, Daniel Blake, già Palma d’oro a Cannes (la seconda per Loach dopo Il vento che accarezza l’erba) presentato trionfalmente a Locarno in piazza Grande. «Credo che la nostra società sia più che ferita – dice Loach – sta collassando. Credo che il sistema economico stia distruggendo la gente e le loro vite. E penso che nel giro di due o tre generazioni il mondo non potrà sopravvivere. Bisogna sfuggire alla tirannia delle multinazionali che sfruttano il mercato». E nel documentario emerge anche il lato «oscuro» del regista quando, ma di questo in famiglia non si può neppure parlare, realizzòuna pubblicità per quelle multinazionali che detesta. Questioni alimentari perché per molti anni Loach venne praticamente messo al bando per la sua visione ritenuta eccessivamente politica. Del resto dietro l’apparenza mite Ken è irremovibile nelle sue convinzioni. Lo prova la sua carriera fatta di grandi successi (all’estero) e di grandi boicottaggi (in patria). Eppure aveva saputo sconvolgere con The Wednesday Play negli anni ’60 perché portava in tv i drammi della gente comune, grazie al fatto che la Bbc apriva un secondo canale, un successo, ma la cosa fu piuttosto con- BATMAN, LA SAGA INFINITA In «Suicide Squad» Batman appare brevemente, ma è il suo l’«universo» di riferimento del film che mette in scena la terza incarnazione sul grande schermo del supervillain Joker. Con il lavoro di David Ayer siamo arrivati all’ottava versione cinematografica del mondo Dc Comics legato a Batman. La prima, del 1989, è il «Batman» di Tim Burton, con Michael Keaton nei panni di Bruce Wayne e Jack Nicholson in quelli di Joker. Burton è autore anche di «Batman il ritorno», del 1992, in cui l’uomo pipistrello doveva sconfiggere Il pinguino (Danny De Vito) con l’aiuto di Catwoman: Michelle Pfeiffer . Dopo Burton arrivò il «declino» di consensi con Joel Schumacher, regista di «Batman Forever» (1995, con Val Kilmer) e «Batman e Robin» (1997), in cui l’eroe di Gotham aveva il volto di George Clooney. Il reboot di Nolan con la sua trilogia - «Batman Begins», «Il cavaliere oscuro» e «Il ritorno» - ha segnato un nuovo picco di consensi di critica e pubblico, poi sprofondato da «Batman vs Superman» di Zack Snyder, alla regia anche della prossima avventura che coinvolgerà l’uomo pipistrello: «Justice League», in uscita nel 2017. EVENTI · A Bordeaux il «Reggae Sun Ska», con Damian Marley e Alborosie La musica«giamaicana» nella città del vino Grazia Rita Di Florio BORDEAUX B ordeaux ha inaugurato lo scorso giugno l'apertura della Citè du Vin, un enorme edificio di architettura liquida dedicato alla cultura del vino. La città bordelaise ospita anche da alcuni anni uno dei più grandi festival di musica reggae dell'Esagono e uno dei più pregiati (reggae) festival d'Europa. Il Reggae Sun Ska (5-7 agosto) è riuscito ad imporsi nella città bordelaise come un evento culturale degno di interesse e a coinvolgere un nutrito numero di partners e sponsor sia pubblici che privati an- che di rilievo. Per questo motivo il carnet musicale di quest'anno era più ambizioso del consueto cooptando sessanta artisti da ogni parte del mondo, con un occhio di riguardo nei confronti delle proposte musicali «locali» come, per esempio, Dub Inc, il cui nome campeggiava a caratteri cubitali sulla programmazione. Nei tre giorni di festival, frotte di dreadlocks, un pubblico prevalentemente giovane e famigliole ben assortite hanno invaso il campus universitario di Pessac, un po' fuori Bordeaux. Sui due palchi principali denominati simbolicamente One Love e Natty Dread si sono esibiti consecutivamente gli artisti in program- ma per un'ora di set ciascuno. Ad aprire la prima giornata sono stati i Massilia Sound System, che la mattina seguente hanno presentato anche il film, Massilia, sull'epopea del gruppo marsigliese, poi Dub Inc con il solito set energico e un paio di canzoni nuove dal nuovo album, So What, in uscita a settembre. Ma la miglior performance è di Alborosie: l'italiano di Giamaica accompagnato come di consueto dalla Shengen Band ha proposto un set brillante, medley infuocati e una scintillante versione di Still Blazing, con un sax da capogiro. Sabato é stato il ventunenne Naaman ad infuocare la scena; Naaman in ebraico vuol dire «piace- troversa. Channel 4 fece di peggio commissionò a Loach una serie di documentari sul rapporto tra l’allora primo ministro Thatcher e i sindacati. Mai andati in onda (se non anni dopo devitalizzati) perché i papaveri delle Unions ne uscivano come traditori della classe operaia. E Loach non ha dubbi sul fatto che solo la lotta di classe possa portare a un cambiamento, lo dice e lo ripete. Nel documentario scorrono immagini d’epoca, quando a Oxford il cineasta avrebbe dovuto diventare avvocato (sogno del babbo, classe operaia, ma conservatore) lui invece recitava nella compagnia universitaria con risultati spesso esilaranti, occasione per una figlia di parlare della passione del padre per il musical e per i lustrini, anche se si guarda bene dal ballare. Raccontano i fedeli sceneggiatori, lo scomparso Jim Allen (Riff Raff, Piovono pietre) e Paul Laverty (tutti i film di Loach dalla fine degli anni ’90 a oggi), alcuni attori, molti figli (emerge anche una tragedia privata con un figlio di cinque anni perso in un incidente d’auto). Fanno capolino anche i documentari che Ken ha realizzato, non citato ma imperdibile The Spirit of ’45, che sembra essere la risposta allo smarrimento kafkiano di I, Daniel Blake. Infatti Loach insiste sul fatto che si può cambiare direzione solo con la solidarietà di classe che la Gran Bretagna del secondo dopoguerra aveva conosciuto e praticato avendo il coraggio di silurare alle elezioni il conservatore Churchill (che pure l’aveva portata alla vittoria) per premiare i laburisti. Non come il «laburista» Blair che con Bush ha scatenato una guerra pretestuosa e inutile che ha provocato centinaia di migliaia di morti le cui conseguenze sono ancora devastanti. «Andrebbero processati». Perché Ken, a ragione, li considera qualcosa di peggio che «bastardi». volezza», e in effetti il ragazzo normanno ha gli occhi blu, una carnagione eterea e le sembianze di un angelo, e una voce profondamente soulful. Incredibile l'energia sprigionata da questa giovane rivelazione con la complicità dei fedeli Deep Rockers Crew, un gruppo di scalmanati «ribelli per la vita» che meritano di essere tenuti d'occhio. A dominare la scena dell'ultima serata Damian «Jr Gong» Marley, figlio del re del reggae e della modella e cantante Cindy Breakspeare. Come ogni rampollo che si rispetti Damian ha dimostrato di padroneggiare la scena proponendo un'efficace miscela di suoni raggamuffin, hip hop e il reggae di suo padre. Più deludente la seconda parte del set, in cui Damian si é appoggiato quasi interamente al songbook paterno anche senza arrangiamenti paricolarmente significativi; più interessanti gli innesti tra i classici di papà Bob e i pezzi farina del suo sacco. pagina 12 – il manifesto NUOVA FINANZA PUBBLICA COMMUNITY – LA CRISI E IL CONTESTO Chi governa il mondo Imprese indebitate Matteo Bortolon «C CALABRIA ontrariamente a quanto si crede comunemente, il mondo non ha ancora iniziato a sdebitarsi, ma il debito rispetto al Pil sta ancora crescendo, arrivando a un nuovo vertice». Così suonava, in modo un po’ sinistro, l’incipit del poderoso rapporto di fine 2014 sul debito globale. Con cifre confermate dal report di McKinsey del febbraio 2015: si calcolava un incremento del debito globale (cioè finanziario, degli Stati, delle aziende e delle famiglie) fra il 2007-2014 di 57 trilioni (cioè 57mila miliardi...), raggiungendo un rapporto debito/Pil del 286% a livello planetario. Si dovrebbe sia pur brevemente segnalare che i rapporti fra le componenti di esso paiono essere un sintomo di ciò che sosteniamo da sempre su queste pagine: mentre il mainstream si è accanito contro il debito pubblico, con selvagge incitazioni a tagli in sede di finanziaria, il debito privato è di gran lunga più importante e grave; nei dati McKinsey il debito degli Stati è passato da 33 a 58 trilioni, quello delle aziende da 38 a 56. Se non che gli Stati si sono perversamente prestati coi cosiddetti salvataggi a ripianare le perdite di banche private e di fallimenti del mercato i cui ammanchi hanno trovato una comoda sistemazione nei bilanci pubblici (gravando su tutti i cittadini con la mannaia dei tagli) e nonostante ciò l’indebitamento delle aziende è allo stesso livello... Il 15 luglio scorso Standard & Poor’s ha pubblicato un rapporto in cui gli analisti si incentravano sul debito delle aziende (Global Corporate Credit), prevedendo al 2019 una sua ulteriore crescita di 20mila miliardi. Nel panorama generale (bizarramente definito «non molto preoccupante»!) i rischi vengono individuati soprattutto nella tumultuosa crescita del debito corporate cinese e nella fortissima leva di quello statunitense, cioè nel rapporto sempre più divaricato fra cifre prestate e patrimonio proprio posseduto. Un po’ di preoccupazione genera anche il contesto latinoamericano, sebbene le cifre siano troppo basse da generare effetti consistenti sul sistema. Abbastanza stringatamente si fa cenno al ruolo delle attuali politiche monetarie: i soldi facili (cioè con bassi tassi) pompati nel sistema dalle banche centrali di Usa e Ue vanno minando l’economia mondiale generando bolle speculative. Naturalmente Standard and Poor’s è una fonte da prendere con prudenza. Non solo per il fatto di essere una delle malfamate agenzie di rating che hanno dato ottimi punteggi a banche che si sono rivelate marce fino al midollo; o per la incertezza di ogni previsione sul futuro, anche se di pochi anni; ma perché il suo interesse preminente è il rischio di insolvenza, e tutte le analisi di questo genere - anche con un profilo di affidabilità assai elevato - sono dirette a scrutare ansiosamente l’affidabilità del debitore. Al di là di tale problematica quali conseguenze si possono intravedere in termini di giustizia ed equità sociale? Un mondo più indebitato nei suoi snodi cruciali - governo, famiglie, imprese - è un mondo più finanziarizzato. Nel quale sono già abbastanza noti non solo i tratti della gestione politica (deregolamentazioni, privatizzazioni) ma le ricadute sociali, fra le quali giganteggia la subordinazione dell’orizzonte organizzativo tanto delle aziende che del mondo del lavoro alla centralità del valore per gli azionisti (molto attenti a tale aspetto gli studi del professor Angelo Salento). Con la crescita di esternalizzazioni e centralizzazione gestionale, che consentono alla dirigenza di dare segnali univoci e forti ai mercati finanziari in vista degli effetti sulla collocazione in borsa e dell’emissione di obbligazioni; così che i lavoratori possano essere nient’altro che pedine sulla scacchiera del profitto finanziario. Con tanti saluti al diritto del lavoro. – Donald Trump è un calcolatore esaltato: il suo gioco d’azzardo non è finalizzato a far saltare il banco, ma a creare le condizioni di un proprio vantaggio psicologico preliminare. Ha fatto dell’eccitazione, una droga contro la sua tendenza a deprimersi, un lavoro organizzato, molto remunerativo. La sua affermazione ha una solida base nella sua capacità di promuovere la domanda e lo smercio di effetti antidepressivi. Né la domanda né lo smercio li ha creati lui (sono espressione di un processo anonimo della società capitalista), ma nel riflettere la loro logica nel modo più acritico e efficace, egli si costruisce una leadership del tutto plausibile e coerente. In una sua intervista, il linguista statunitense George Lakoff ha attribuito a Trump un talento per le iperbo- SABATO 13 AGOSTO 2016 Sabato 13 agosto ARTEFESTIVAL Nuova edizione del calabrese Armonied’artefestival, con otto appuntamenti. Sabato esibizione dell’etoile Svetlana Zacharova, accompagnata sul palco dal marito, Vadim Repin, violinista e da etoile del Bolshoi di Mosca, del Marijnsky di San Pietroburgo, del Royal Opera Ballet Covent Garde di Londra e dall’Orchestra da Camera del Teatro di San Carlo di Napoli. Maggiori informazioni potrete trovarle sul sito web: ww.armoniedarte.com Parco Archeologico Scolacium, via Scylletion, Roccelletta di Borgia (Cz) EMILIA ROMAGNA Giovedì 18 agosto, ore 21 BELLA CIAO In occasione dell’inagurazione di Festareggio 2016, un concerto evento che ripercorre la storia della musica popolare italiana, riportando nelle piazz il folk nazionale dal titolo «50 anni di bella ciao». Ingresso libero Campovolo, Reggio Emilia, Via dell'Aeronautica, 1 LAZIO Giovedì 25 agosto CI-VITA Dal 25 al 28 agosto un nuovo festival. «Ci-vita», In programma spettacoli, incontri, degustazioni a Civita di Bagnoregio. Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Matteo Garrone, Francesca Comencini, Pilar saranno alcuni degli ospiti. Si tratta di un progetto, curato dalla società Terracotta, che vede la collaborazione del Comune di Bagnoregio, dell’Università di Roma La Sapienza (Dipartimento di Storia dell'Arte e Spettacolo) e dell’Università La Tuscia. Il festival è diviso in cinque sezioni: spettacolo, food, mostre, «Cibo per la vita» e videomapping. L’obiettivo è quello di mettere al centro dell’interesse una sana concezione di alimentazione e qualità dei prodotti, sul quale convergere l'attenzione di ambiti differenti, dalle arti performative al cinema, dall'antropologia alla biomedicina, dalla filosofia ai nuovi media. Nei quattro giorni previsti di questa prima edizione del festival, Civita di Bagnoregio diventa così un museo aperto, il paesaggio si modifica grazie ai tanti progetti artistici, culturali e performativi proposti e lo spazio pubblico si trasforma in un'arena di confronto e condivisione di esperienze legate al piacere dell'enogastronomia, dell'arte e dello spettacolo. Civita di Bagnoregio (Vt) DALLA PRIMA Giorgio Lunghini E che se giudicano ‘irrazionali’ tali politiche – perché contrarie ai loro interessi – votano contro di esse con fughe di capitali, attacchi speculativi o altre misure a danno di quei paesi (in particolare delle varie forme di stato sociale). I governi democratici hanno dunque un doppio elettorato: i loro cittadini e il Senato virtuale, che normalmente prevale. Questo è un portato della liberalizzazione dei movimenti di capitale, a sua volta un effetto dello smantellamento del sistema di Bretton Woods negli anni ‘70: ne sono ovvie le conseguenze per la democrazia economica (i più colpiti sono i più deboli tra i cittadini dei diversi paesi) e dunque per la democrazia in generale. Quanto a Who rules the world?, ecco alcuni stralci dall’Introduzione: «La domanda posta dal titolo di questo libro non ammette risposte semplificate, ma non è difficile identificare gli attori principali quanto a capacità di modellare le politiche mondiali. Tra gli Stati, dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati uniti sono di gran lunga al primo posto, ma con l’inevitabile declino Washington ha dovuto spartire il suo potere con gli altri “padroni dell’universo” all’interno del “governo mondiale de facto”. Questi “padroni dell’universo” sono ovviamente ben lontani dal rappresentare le popolazioni dei loro stessi paesi. Negli Stati uniti le élite economiche e i gruppi organizzati che rappresentano gli interessi del mondo degli affari hanno una influenza autonoma e sostanziale sulla politica del governo, mentre il cittadino medio e i gruppi che lo rappresentano non hanno che poca o nessuna influenza. La maggior parte della popolazione, ai livelli più bassi di reddito e ricchezza, è di fatto esclusa dal sistema politico. TOSCANA Martedì 16 agosto, ore 21 PREMIO TENCO Con le serate del 19 agosto a Piombino e del 26 a Laigueglia continua il tour de «Il Tenco ascolta», il format del Club Tenco che si sviluppa in una serie di appuntamenti, in tutta l’Italia, durante i quali il Club invita ad esibirsi dal vivo i nuovi cantautori ritenuti più interessanti tra le centinaia che ogni anno spediscono il proprio materiale al Club. A Piombino l'evento sarà a Calamoresca alle 21, organizzato da Pomodori Music e dal Comune di Piombino. Gli artisti selezionati sono: Stefano Barotti, Davide Giromini, Massimiliano Larocca, Musica da Ripostiglio e David Ragghianti. «Padrino» sarà Francesco Baccini, con una sua performance finale. Piombino Tutti gli appuntamenti: [email protected] nomica: ma nessuno dei due maggiori partiti, tutti e due sostenuti dal denaro, ciò vorrà fare nella misura richiesta. La conseguenza sarà la disintegrazione del sistema politico. In Europa il declino della democrazia non è meno impressionante, da quando il processo decisionale sulle questioni cruciali è stato spostato alla burocrazia di Bruxelles e ai poteri finanziari che essa rappresenta. Il loro disprezzo della democrazia si è reso manifesto nel giugno del 2015, con la fe- roce reazione all’idea stessa che il popolo potesse avere voce nel determinare le sorti della società greca, devastata dalle brutali politiche di austerità della troika (la Commissione europea, la Banca centrale europea, e il Fondo monetario internazionale): politiche di austerità intese a ridurre il debito greco, che invece hanno fatto aumentare il rapporto tra debito e prodotto interno lordo e che hanno sfibrato il tessuto sociale della Grecia. Poco di nuovo in tutto ciò. La lotta di classe ha una storia lunga e amara. Agli albori del capitalismo Adam Smith condannava i “padroni dell’umanità” dei suoi tempi, i “mercanti e i manifatturieri”, che erano i “principali architetti” della politica, attenti soltanto alla salvaguardia dei loro propri interessi, non importa quanto dannosi fossero gli effetti sugli altri. L’era neoliberale della passata generazione ha aggiunto le sue pennellate a questo quadro classico, con dei padroni che provengono dai livelli più alti di economie sempre più monopolizzate, da istituzioni finanziarie gigantesche e spesso predatorie, da multinazionali protette dallo stato, da quei personaggi politici che rappresentano i loro interessi. Nel frattempo, quasi ogni giorno gli scienziati danno notizie minacciose circa la velocità del degrado ambientale; e non meno preoccupante è la crescente minaccia di conflitti nucleari (conflitti che alcuni autorevoli esperti valutano più probabili oggi che non durante la Guerra fredda). Con queste mie osservazioni, credo di avere descritto con buona approssimazione quali siano i personaggi principali. Nei capitoli seguenti si approfondisce la questione di chi governa il mondo, come si procede in questo tentativo, e dove esso conduce; e come le “popolazioni sottostanti”, per usare la definizione di Veblen, possono sperare di sconfiggere il potere del mondo degli affari. Non c’è più molto tempo». ADDIO A LINDA BIMBI Il suo ottimismo, un aiuto prezioso LOMBARDIA Lunedì 15 agosto, ore 17 FERRAGOSTO ROCK Una serata di ferragosto con Alex Schiavi experience in duo in un grande «jam session rock». Piazza Belloveso, Milano Una conseguenza è l’apatia: chi me lo fa fare di andare a votare! Trentacinque anni fa W.D Burnham mise in relazione l’astensione con una peculiarità del sistema politico americano: la totale assenza di un partito di massa socialista o laburista come concorrente organizzato sul mercato elettorale; e in una analisi delle elezioni del 2014 ha mostrato che il tasso di partecipazione al voto richiamava quello dei primi anni dell’Ottocento, quando il diritto di voto era riservato ai maschi liberi e possidenti. Quanti pensano che pochi grandi interessi controllino la politica, anelano a una iniziativa intesa a invertire il declino economico e la sfrenata diseguaglianza eco- S ono molti quelli che saranno assai addolorati nell’apprendere che Linda Bimbi, per decenni direttrice della sezione internazionale della Fondazione Leslie e Lelio Basso, non c’è più. E’ scomparsa ieri dopo una lunga malattia, «serenamente e dolcemente» - mi dicono Monica e Ruth che l’hanno assistita fino all’ultimo e che sono state sue essenziali compagne di impegno. Molti, a cominciare da me, si sentiranno anzi, oltreché tristissimi, abbandonati. Perché Linda è stata un punto di riferimento essenziale per chiunque sia stato coinvolto nelle vicende del terzo mondo, in particolare dell’America Latina, dove lei aveva vissuto a lungo, in Brasile, come suora missionaria, prima di esser costretta a lasciare quel paese per il rischio che correva in conse- Luciana Castellina guenza del suo impegno contro la dittatura. Il suo ritorno in Italia coincise anzi con il suo definitivo coinvolgimento nella Fondazione di cui Lelio Basso, con grande perspicacia, le affidò la direzione dopo la collaborazione stabilita in occasione della seduta del Tribunale per i diritti dei popoli che si tenne a Roma proprio per condannare i crimini del Brasile. E’ difficile far capire a chi non l’ha direttamente conosciuta che persona è stata Linda: naturale e al tempo stesso anomala. Era nata e cresciuta a Luc- ca, studentessa all’università di Pisa dove aveva fatto parte di un gruppo di intellettuali di sinistra di alto livello e politicamente impegnati, aveva a un certo momento compiuto la sua difficile e in qualche modo inattesa scelta religiosa. Che ha vissuto con uno straordinario equilibrio, senza enfasi, senza integralismi, curiosa anzi sempre del nuovo e diverso che andava scoprendo. Della sua fede ho avvertito solo la sua perenne capacità di portare nell’impegno politico un di più di ottimismo, di fiducia nel pros- VERITÀ NASCOSTE Trump, l’uomo della palude Sarantis Thanopulos li e le provocazioni. Secondo la sua prospettiva, il candidato repubblicano usa metafore potenti in grado di attivare schemi mentali già esistenti nella mente degli elettori, in particolare coloro a cui si rivolge in modo privilegiato. Le pratiche di comunicazione politica che fondano il loro successo sull’influenzamento mentale, fanno storicamente parte della manipolazione psicologica delle masse. Attecchiscono in un funzionamento psichico collettivo incline all’agire compulsivo e agli automatismi. Si posso- no prevedere con esattezza i comportamenti umani solo attraverso l’identificazione con i meccanismi che li rendono schematici. I manipolatori sono gli agenti di un processo di alienazione che li ha resi per primi soggetti alienati. Sia gli studiosi degli schemi mentali sia i politici che diventano loro "utilizzatori finali", agiscono all’interno di una prospettiva prodotta da un modo schematico di ragionare. La "coazione a ripetere" che domina la scena attuale della vita collettiva è il risultato di un processo de- generativo che colpisce i tre pilastri fondamentali di una convivenza sociale sana e creativa: lo spazio potenziale dell’esperienza, il rapporto positivo, vitale con il tempo e l’eguaglianza dei contraenti all’interno delle relazioni di scambio. La capacità di andare oltre un’esistenza puramente adattativa alle circostanze del nostro ambiente (la qualità in cui gli esseri umani maggiormente si differenziano dal resto del mondo animale), è basata sulla possibilità di sospendere l’effettività dell’azione immediata, reattiva, cau- sata dall’urgenza dei nostri bisogni. L’azione acquista in questo modo uno statuto sperimentale, che le consente di essere misurata e prefigurata nelle sue potenzialità nello spazio dell’immaginazione. La sospensione dell’effettività dell’azione è strettamente collegata al tempo della sospensione, sedimentazione del giudizio (epokè), senza il quale il tempo lineare, tempo del cambiamento e del lutto (chronos), perde il suo ancoraggio nell’elaborazione, trasformazione dell’esperienza. Ne fa le spese il simo, che ha aiutato anche noi che con lei abbiamo lavorato a stretto contatto di gomito a diventare migliori. Sembrava, talvolta, ingenua. Non lo era affatto, è solo che non voleva mai rassegnarsi ad accettare gli orrori del mondo; o a subire la paralisi dell’impotenza difronte alle difficoltà dell’agire politico. Grazie Linda. Sono, amaramente, contenta che ti sia stato risparmiato un ultimo dolore: l’imputazione di Lula, suo grande amico, che non mancava mai di venire a via della Dogana quando passava per Roma. Quando fu eletto presidente del suo paese il Ministro degli esteri italiano all’epoca Massimo D’Alema insignì Linda Bimbi di una decorazione per il ruolo da lei avuto nella democratizzazione del Brasile. Un riconoscimento più che meritato. – tempo opportuno (kairòs), il momento dell’azione giusta. Il legame tra lo spazio di sperimentazione, immaginazione dell’azione e l’agire trasformativo che coglie il momento giusto, è intrinsecamente correlato alle differenze tra gli esseri umani, alla molteplicità delle declinazioni della loro esperienze senza la quale la loro esistenza si appiattisce in una serie di reazioni automatiche. Le differenze se non entrano in rapporto di scambio tra di loro (il che implica conflitto, contrattazione e pari dignità delle parti) si trasformano in diversità che si ignorano e le relazioni umane diventano una palude. Nella palude c’è chi affonda in silenzio e chi si agita. I personaggi come Trump ci sguazzano. Gli impaludati li scambiano per nuotatori esperti. il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 FELIZ CUMPLE pagina 13 Dopo 11 presidenti Usa, diverse crisi mondiali e vari tentativi di liquidare con ogni mezzo l’esempio cubano, la Revolución e il suo «lider maximo» sono ancora lì: 57 anni la prima, 90 - compiuti oggi - il secondo DALLA PRIMA Aldo Garzia È quindi presto detto perché Castro appartiene ai miti viventi che hanno i nomi stampati sulle enciclopedie. Su di lui si può pensare tutto il male o tutto il bene possibile, resta il fatto che ha attraversato incolume oltre sessant’anni di storia contemporanea. Ha vissuto l’intero tunnel della "guerra fredda", sfruttando a dovere la contrapposizione Stati Uniti-Unione Sovietica per ritagliarsi uno spazio nella politica mondiale all’ombra di Mosca, e poi - dopo il 1989 - ha saputo posizionarsi nella realtà internazionale diventata unipolare senza portare a un punto di rottura la contrapposizione con Washington e superando pure la crisi del "socialismo reale". Nel 1959, anno della rivoluzione cubana, alla guida dell’Unione Sovietica c’era Nikita Krusciov, mentre in Vaticano il Papa era Giovanni XXIII. Castro ha ricevuto nel frattempo a L’Avana Vladimir Putin, ultimo presidente russo, Giovanni Paolo II (il Pontefice della caduta del Muro di Berlino), Benedetto XVI, papa Francesco, molti leader latinoamericani e Jimmy Carter (unico ex presidente statunitense a tentare con Obama una riconciliazione con l’isola). Fidel è stato pure tra i principali leader del Movimento dei paesi non allineati e ha incontrato innumerevoli personaggi che appartengono alla storia del XX secolo: Nikita Krusciov, Leonid Breznev, il maresciallo jugoslavo Tito, Salvador Allende, Malcolm X, Indira Gandhi, Nelson Mandela, Yasser Arafat, Hugo Chávez, i dirigenti del Fronte sandinista del Nicaragua, gli esponenti dei movimenti progressisti dell’Africa e dell’America Latina, tanti intellettuali a iniziare da Ernest Hemingway che visse a Cuba fino ai primi mesi del 1960. Detentore di tre record Oltre all’indubbio record della longevità politica, il presidente cubano detiene il guinness dei primati per il discorso più lungo della storia: il 24 febbraio 1998, un intervento di sette ore e quindici minuti di fronte al Parlamento cubano. Il terzo record detenuto da Castro è quello degli attentati contro la sua persona. Dopo il 1989, sono stati resi pubblici alcuni documenti della Cia su cui pesava fino a quel momento il segreto di Stato. Dalla loro lettura si apprende che i piani per eliminare fisicamente il leader cubano sono stati 637 dal 1959 in poi, con una media di più di uno al mese. Usando sigari e pasti avvelenati, corrompendo alcuni suoi collaboratori, finanziando attentatori nel corso dei viaggi all’estero di Castro si è tentato in tutti i modi di assassinarlo. Gli attentati sono falliti uno dopo l’altro, grazie agli efficienti servizi di sicurezza cubani e alla buona stella di Fidel. Il 13 agosto 1926 Lina Ruz González e Ángel Castro y Argiz, proprietario terriero del podere Manacas a Birán nella zona orientale di Cuba, hanno il loro terzo figlio: Fidel Alejandro Castro Ruz. Ángel Castro, nato in Spagna, era giunto a Cuba dalla Galizia con l’esercito spagnolo ai tempi della guerra ispanoamericana. Dopo la fine del conflitto, decide di rimanere nell’isola e nel 1904 va a lavorare presso la ferrovia della United Fruit Company. Con i risparmi compra un podere a Birán, nei pressi della cittadina di Mayarí. Angel Castro sposa Lina Ruz González, nativa di Pinar del Rio (morirà nel 1963). Da questo matrimonio nascono sette figli: Angela, Ramón, Fidel, Juana, Raúl, Emma e Augustina. Ángel Castro muore nel 1957 e non assiste, a differenza di sua moglie, ai trion- Cuba libre e in festa per Fidel fi rivoluzionari del terzogenito. In ossequio alle origini sociali di buona famiglia, Fidel è educato nei collegi La Salle e Dolores di Santiago e poi nella rinomata scuola privata gestita dai gesuiti di Belén a L’Avana, dove si diploma nel 1945. In quell’anno si immatricola presso la Facoltà di Giurisprudenza. Nello stesso anno scopre la vita politica. Entra a far parte del gruppo studentesco Manicatos, che ha tra i suoi obiettivi quello di denunciare il degrado istituzionale e politico di Cuba. Nel 1947 aderisce al Partito ortodosso, formazione politica d’ispirazione democratica e nazionalista diretta da Eduardo Chibás. Pur avendo molti amici tra le fila dei giovani comunisti, Castro appare negli anni universitari più attratto da posizioni nazionaliste e dal pensiero indipendentista di José Martí che da riferimenti marxisti. Nel 1950, dopo essersi laureato a pieni voti, inizia l’attività di avvocato e apre con altri giovani colleghi uno studio in via Tejadillo, nel cuore dell’Avana Vieja. I clienti che bussano a quella porta sono soprattutto operai e lavoratori poco abbienti. Castro si candida alle elezioni parlamentari del 1952 tra le fila del Partito ortodosso in una delle circoscrizioni dell’Avana. Il 10 marzo il golpe di Fulgencio Batista annulla la competizione elettorale. Dopo il golpe, Castro si convince della necessità di intraprendere la lotta armata. Alcuni esposti giuridici presentati da lui stesso contro il colpo di mano di Batista non hanno avuto esito. I golpisti sospendono tutte le garanzie costituzionali promettendo elezioni entro il 1954. 26 luglio 1953, data fatidica Il 26 luglio 1953 è la data che avvia la rivoluzione cubana sotto la direzione di Castro. Fidel e 165 militanti del Movimento 26 luglio - fondato da lui stesso - decidono di dare l’assalto alla caserma Moncada e ad altri luoghi strategici di Santiago di Cuba. L’iniziativa fallisce, 29 giovani sono assassinati. Castro è arrestato assieme al fratello Raúl e ad altri militanti. Nel processo, il leader del Movimento 26 luglio pronuncia da solo l’arringa difensiva diventata famosa con il titolo «La storia mi assolverà». Quel discorso diventa il manifesto politico della rivoluzione cubana. Fidel e i militanti del suo movimento sono scarcerati il 15 maggio 1955, dopo ventidue mesi di prigione, grazie all’amnistia promulgata dal governo di Batista Fidel si trasferisce in Messico, dopo un viaggio negli Stati uniti che serve a raccogliere fondi per il Movimento 26 luglio presso la comunità cubana. È in Messico che incontra per la prima volta Ernesto Che Guevara. Il 25 novembre 1956, a bordo della piccola imbarcazione Granma, 82 uomini (tra cui l’italiano Gino Donè) partono alla volta di Cuba. Solo in 15 sopravvivono ai primi scontri con l’esercito batistiano, ma saranno appena 12 coloro che si uniranno a Castro per proseguire la lotta. Il braccio di ferro con l’esercito dura fino al 2 gennaio 1959, quando Guevara e Camilo Cienfuegos fanno il loro ingresso trionfale a L’Avana. Batista riesce a fuggire a Santo Domingo nella notte del 31 dicembre 1958. Castro giunge trionfalmente a L’Avana giovedì 8 gennaio 1959. La rivoluzione radicalizza il suo programma già nei primi mesi del 1959. Il 15 febbraio Castro diventa primo ministro e da quel ruolo sconfigge le componenti moderate dello schieramento che aveva battuto la dittatura di Batista. Si profilano le prime decisioni politiche: la campagna di alfabetizzazione di massa, la riforma agraria, l’avvio delle nazionalizzazioni. La scelta di una via «socialista» per la rivoluzione cubana è però annunciata da Fidel solo nell’aprile del 1961, alla vigilia del fallito tentativo di invasione mercenaria di Cuba finanziata dagli Stati Uniti (quella che va sotto il nome di «Baia dei porci»). Nell’ottobre 1962 scoppia la «crisi dei missili». Il 14 ottobre un aereo spia di Washington fotografa una serie di basi missilistiche dotate di ordigni nucleari che i sovietici stanno costruendo a Cuba. Il presidente Kennedy dà l’ultimatum a cubani e sovietici: quelle basi vanno smantellate. Per rendere efficace il diktat, ordina alla sua flotta navale in assetto di guerra di circondare l’isola. Senza consultare Castro e il governo dell’Avana, Nikita Krusciov, da Mosca, ordina l’alt alle operazioni militari su territorio cubano. Il ruolo di Ernesto Guevara In queste prime fasi della rivoluzione al potere è Ernesto Guevara ad assumere il ruolo di colui che acuisce il dibattito e chiede una scelta netta tra opzioni politiche differenti. Castro si limita a seguirne la scia, a rafforzare il suo ruolo di leader indiscusso alternando prudenza e radicalità. Guevara lascia ufficialmente Cuba nel 1965. È probabile che fino alla decisione di organizzare la guerriglia in Bolivia guidata da Guevara ci sia una divisione di compiti tra Castro e il Che: il primo farà lo statista in patria con l’obiettivo di istituzionalizzare la rivoluzione, pronto a nuove avventure rivoluzionarie se in altri paesi le guerriglie dovessero acquisire consenso; il secondo si assume la responsabilità di far uscire Cuba dall’isolamento in America Latina, condizione per liberarsi dall’abbraccio soffocante con l’Unione Sovietica di cui proprio il Che ha intuito il destino. La morte di Guevara nel 1967 in Bolivia chiude un’epoca della rivoluzione cubana e dell’America Latina. Cuba ripiega e si allinea all’Urss. Nel 1988 Castro prende posizione nei confronti della politica di riforme avviata da Gorbaciov a Mosca: «Nella storia delle rivoluzioni non ce ne sono due uguali. Se si fosse dato retta ai classici del marxismo, quella cubana non ci sarebbe stata. Cuba non ha mai copiato gli altri paesi socialisti. Gorbaciov sta risolvendo i problemi dell’Urss. Noi abbiamo problemi diversi». Gorbaciov, accompagnato dalla moglie Raissa, arriva in visita ufficiale a L’Avana il 2 aprile 1989. Cuba è dipinta in quei giorni dai media come «l’Albania dei Caraibi». Abbondano le previsioni su un «Fidel solitario e sconfitto», destinato a perdere i benefici degli anni della guerra fredda tra Mosca e Washington. Tra il 1989 e il 1990 un nutrito gruppo di giornalisti fa scalo a L’Avana. Vengono redatti articoli-fotocopia con gli stessi titoli: «L’agonia cubana», «Gli ultimi giorni di Fidel Castro». Quanto accade nelle altre capitali dei paesi del "socialismo reale" e la dipendenza di Cuba da quelle economie sembrano dare ragione ai profeti di sventure. Ma lo sconfitto sarà Gorbaciov, non Castro. L’Avana tenta un ritorno alle origini della rivoluzione ma deve aprire al turismo e ad alcune riforme economiche. Tad Szlulc e K. S. Karol, due degli studiosi più documentati su Cuba, hanno individuato fin dagli anni Settanta nel centralismo onnivoro di Fidel il limite maggiore dell’avventura politica rivoluzionaria dell’Avana. Per alcuni decenni il suo dominio sulla politica cubana è stato assoluto: presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei ministri, primo segretario del Partito comunista, comandante in capo delle Forze armate di terra, della Marina e dell’Aviazione. L’eccesso di centralizzazione di poteri nella figura di Castro resta in effetti uno dei limiti dell’esperienza politica di Cuba sotto la sua gestione. Nei discorsi degli ultimi anni, Fidel ha insistito pedagogicamente sulla certezza che Cuba non piegherà la testa perché il suo popolo ha acquisito una «profonda coscienza di sé e l’orgoglio dell’indipendenza». A molti sembra di scorgere in quella fiducia il riaffiorare della giovanile formazione culturale in un istituto di gesuiti della capitale cubana: la missione della politica - quasi fosse una religione - è redimere l’umanità, rendendo uguali gli uomini e le donne nei loro diritti e nei loro stili di vita. Da qui la diffidenza di Fidel verso le diseguaglianze sociali indotte dall’economia mista introdotta nell’isola e dallo sviluppo del turismo. Comunque, la rivoluzione cubana e Fidel sono ancora lì: 57 anni la prima, 90 anni il secondo. pagina 14 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 FELIZ CUMPLE Il vecchio leader e il nuovo - Hugo Chavez - insieme in tutte le battaglie per la rinascita del socialismo in America latina, tra Novecento e nuovo secolo I LEADER DEI PAESI DELL’ALBA. A DX, L’AVANA. SOTTO, L’INTELLETTUALE ERNESTO WONG. E CHAVEZ CON FIDEL LA PRESSE Geraldina Colotti «P ara la partida del amigo que nos devolvió la risa...» Fidel Castro piange ascoltando la canzone «El regreso del amigo», che il giovane musicista cubano Raul Torres ha dedicato alla morte del presidente venezuelano Hugo Chavez, il 5 marzo del 2013. «Chi avrebbe mai pensato, dopo la caduta del campo socialista e il buio in cui eravamo precipitati che sarebbe nato un Chavez – ha detto Castro al funerale del amigo – invece la storia del socialismo non finisce». Una lunga amicizia, quella tra il vecchio leader e il giovane, che Fidel aveva cominciato ad «annusare», pur con qualche diffidenza, subito dopo la ribellione civico-militare del 1992. Uscito dal carcere due anni dopo a seguito di un’amnistia concessa a furor di popolo, l’ex tenente colonnello si era recato all’Avana: per vedere da vicino il pezzo più importante dell’album di famiglia a cui voleva riferirsi, nel solco dei «proceres» (i padri della patria) per una nuova indipendenza latinoamericana. «Ero un bambino di otto anni, forse meno, quando a casa ho cominciato a sentir parlare di un certo Fidel, un barbuto», racconta Chavez nell’ultimo capitolo del libro Cuentos del arañero, curato da due autori cubani, Orlando Oramas Leon e Jorge Legañoa Alonso, e pubblicato da Vadell Hermanos. E riporta molti episodi divertenti dei suoi incontri con Castro: la partita di baseball amichevole, che la squadra venezuelana credeva di giocare con un manipolo di funzionari artritici, e che invece si tolsero le barbe finte e si rivelarono essere giocatori professionisti della squadra cubana; il sasso che lancia da lontano a Fidel per farlo smettere di parlare; o quella volta che i due parlatori maratonici rimangono a discutere per ventiquattr’ore... Fidel andò il Venezuela per l’assunzione d’incarico di Chavez, il 2 febbraio del 1999, e si trattenne fino al 4. Allora - ricorda il presidente venezuelano - vennero «non so quanti presidenti, il colombiano, il principe di Spagna, Menem... Mi dicevano che dovevo riceverli perché erano tutti in agenda. Io ero un ingenuo, uno nuovo... E alla fine, vedo in televisione Fidel all’aeroporto, se ne stava andando. Aveva lasciato diversi messaggi telefonici, ma evidentemente l’establishment non voleva che lo incontrassi...» A gennaio del 1959, a 22 giorni dalla caduta del dittatore Fulgencio Batista, Fidel Castro visitò il Venezuela in cerca di petrolio per Cuba, accolto dall’alleanza che, con l’egemonia del Partito comunista e delle forze di sinistra, il 23 gennaio dell’anno prima aveva rovesciato il dittatore Marco Pérez Jimenez. Ma quella visita e le speranze che la rivoluzione cubana aveva suscitato in tutta l’America latina portarono alla «resistenza tradita» dei comunisti venezuelani: che verranno esclusi dal potere da un’alternanza di governo fra centro-destra e centro-sinistra (il Patto di Punto Fijo), più consona al volere di Washington, e che durerà fino alla vittoria di Chavez. Ma l’influenza di Cuba resterà determinante per tutto il corso del Novecento, sia in Venezuela che in America latina, tracimando nelle nuove esperienze di governo del «socialismo del XXI secolo». Nel libro-intervista di Ignacio Ramonet, Fidel Castro, autobiografia a due voci (Mondadori), la risposta più lunga del leader cubano riguarda il ruolo di Cuba nel contesto internazionale. «Sono più di 2.000 gli eroici combattenti internazionalisti cubani che hanno immolato la loro vita compiendo il sacro dovere di sostenere la lotta di liberazione per l’indipendenza di altri popoli fratelli - dice Castro -. E in nessuno di quei pa- La nuova Alba del Continente esi ci sono proprietà cubane. Oggi come oggi non c’è paese che possa vantare una così brillante pagina di solidarietà sincera e disinteressata». In quella sede, Fidel contestualizza la figura di Chavez e il ruolo degli ufficiali progressisti nella storia dell’America latina. Un tema che Ramonet approfondirà con Chavez nel libro Hugo Chavez, mi primera vida, pubblicato da Vadell Hermanos subito dopo la morte del presidente venezuela- no. Il volume evidenzia i tanti punti in comune fra i due leader nel processo di trasformazione dell’America latina e l’influenza di Fidel Castro nel «rinascimento latinoamericano», sbocciato all’inizio del secolo attuale. A Ramonet che gli chiede se si senta un predestinato, Chavez nega convinto, e spiega con le parole di Marx nel 18 Brumaio il ruolo dell’individuo nella storia e il modo in cui i singoli ne diventano consapevoli, scegliendo da che parte situarsi nel mondo. «Se avessi potuto prevedere le cose, avrei detto, giocando con le parole di Fidel: la storia mi assorbirà. Sono stato trascinato e fatto a pezzi dall'orco della storia. I denti della storia o – per non presentare la storia come una forza aggressiva e maligna -, le braccia della storia mi hanno avvolto, l'uragano della storia mi ha risucchiato. Dice Bolivar: 'Sono solo un filo di paglia trascinato dal vento dell'uragano». Di nuovo, nel solco di quanto ha già espresso Fidel sul ruolo «democratico e dal basso dei militari chavisti», l’ex presidente venezuelano spiega: «Qualcuno, molto confuso ideologicamente dice: "Sono militari, quindi sono di destra, sono gorilla". E' un errore. Noi non abbiamo mai pensato di formare una Giunta militare. Mai abbiamo pensato a un golpe militare classico per cancellare i diritti democratici e i diritti umani. Mai. Siamo antimilitaristi e antigorillisti. Non siamo mai stati golpisti. Siamo insorti per metterci a fianco del popolo venezuelano, come militari trasformatori. C'è anche stato chi ha definito la sostra ribellione “nasseriana”. Non lo era, non avrebbe avuto senso, ma in qualche modo sì, lo era: nella misura in cui avevamo un progetto sociale, socialista, un pensiero panamericanista, ossia bolivariano, e una posizione antimperialista. Siamo patrioti rivoluzionari. Golpisti son quelli che, l'11 aprile del 2002 volevano instaurare una dittatura in Venezuela. Golpisti sono i traditori che si inginocchiano di fronte all'imperialismo nordamericano. Noi siamo bolivariani, rivoluzionari, socialisti, antimperialisti. Ogni giorno di più». Il ruolo di Fidel Castro durante il golpe del 2002 in Venezuela è stato determinante: sia nel portare in luce quel che stava accadendo, sia nel consigliare Chavez, ricor- CARACAS · Ernesto Wong, l’intellettuale cubano che accompagna le relazioni bilaterali e la formazione dei giovani «Fra le destre venezuelane e l’Avana, una distanza incolmabile» C ubano di nascita, classe 1948, il professor Ernesto Wong Maestre è un intellettuale cubano che accompagna le relazioni tra il Venezuela chavista e l'Avana, e che abbiamo incontrato a Caracas. Docente e saggista, dirige l'associazione internazionale Trisol ed è direttore editoriale di una rivista settimanale su Socialismo e lavoro che funziona come “vivaio” teorico e scuola di giornalismo politico. Qual è il suo ruolo in Venezuela? Sono nato all'Avana alla metà del secolo scorso e ho studiato nella Secundaria Basica Simon Bolivar - nome che la revolución Cubana ha dato a questa scuola donata dai proprietari allo Stato. Da lì viene la mia prima vicinanza al Venezuela. Dopo, ho fatto i miei studi di Scienze politiche all'Università dell'Avana e la carriera diplomatica nell'Istituto superiore di Relazioni internazionali, tra il 1974 e il 1979. Vivo in Venezuela dall'inizio del 1994. Conosco il paese dall'agosto del 1988, quando il ministero degli Esteri cubano mi ha inviato qui per osservare lo sviluppo della campagna elettorale di quell'anno. Dalla visita del Comandante Fidel Castro, nel 1989, ho cominciato a occuparmi delle relazioni tra i due popoli, organizzando incontri bilaterali tra università e tra istituzioni culturali venezuelane e cubane, e convegni sportivi bilaterali. Ho terminato il mio periodo diplomatico nel 1991 e sono tornato a Cuba per tre anni, con l'incarico di gestire la promozione delle università cubane, fino a che nel 1994 sono venuto per tenere un dottorato in scienze sociali e promuovere il turismo con Cuba. Con il trionfo del Comandante Chávez, il mio compito è stato e rimane quello di trasmettere conoscenze ed esperienze alle nuove generazioni di venezuelani. Sto facendo questo dal 1998. Cos'è Trisol e di cosa si occupa? E’ un'associazione unica nel suo genere in Venezuela. E' nata il 26 luglio del 2012 ed è stata registrata ufficialmente il 5 marzo del 2013. Due date che, per pura coincidenza hanno un grande significato per i suoi aderenti: il 26 luglio per via dell'assalto alla Moncada, nel 1953. Il 5 marzo del 2013, per via della morte di Chavez. In Trisol si ritrovano rappresentanti di tutte le professioni interessati a studiare il passo del mondo di oggi e a contribuire a sviluppare relazioni di amicizia e solidarietà tra i popoli dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina, così come il nome indica: Trisol, Tricontinental de las Relaciones Internacionales y la Solidaridad. Con questa filosofia, organizziamoseminari scientifici, riflessioni sulla sovranità, l'indipendenza e la libertà raggiunte con la rivoluzione bolivariana, e anche il concorso annuale El Pensamiento de Hugo Chávez. E partecipiamo attivamente alle azioni di solidarietà e amicizia fra i popoli. Con il suo personale docente qualificato, l'associazione ha dato vita, da settembre del 2012, al primo dottorato in Relazioni internazionali nell'Università militare bolivariana, sempre nello spirito di articolare la solidarietà e l'amicizia fra i popoli. E come vede la situazione del Venezuela in questo momento? Occorre analizzare la situazione del paese nella sua interezza, in base alle spinte e controspinte che in tutto questo periodo hanno agito per realizzare o impedire mete, compiti e obiettivi tracciati dal governo bolivariano lungo le tre grandi aspirazioni di Simon Bolivar, riprese da Chavez: il massimo di felicità, di sicurezza e di stabilità politica possibile per il popolo. Un progetto che la borghesia parassitaria ha cercato di sabotare in ogni modo per frenare le trasformazioni necessarie a conseguire questi tre obiettivi. Stiamo attraversando un periodo in cui si sta consolidando il potere popolare mentre quello capitalista è fortemente messo in causa, il che implica grosse tensioni a causa dei mezzi violenti che sta usando la destra, ispirata dai suoi appoggi nordamericani: si stanno moltiplicando gli omicidi di leader sociali, si colpisce nei diversi settori per creare una sensazione di insicurezza e di terrore. Per un altro verso, vi sono forti tensioni nell'ambito finanziario, a causa delle operazioni destabilizzanti del sistema finanziario mondiale contro il Venezuela per togliere l'appoggio materiale ai progetti sociali della rivoluzione e in questo modo cercare di staccare il popolo dal suo governo. Finora, però, non ci sono riusciti, perché la direzione politica ha reagito efficacemente e sta prendendo le decisioni necessarie per superare questa congiuntura critica e dare soluzione ai problemi economici della produzione e della distribuzione. Con il ritorno delle destre, nel Parlamento venezuelano e in America latina che succederà con l'interscambio tra Venezuela e Cuba? il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 FELIZ CUMPLE CUBA · Concerti, eventi sportivi, aquiloni, speciali tv e dibattiti politici. Un’isola in festa «Que Viva Fidel!» sempre, ma no al culto della personalità dando la drammatica esperienza di Allende in Cile. E determinante sarà l’alleanza tra il vecchio e il giovane leader nella costruzione dei nuovi organismi continentali. Nel 2005, a Mar del Plata, quando George W. Bush voleva realizzare l’Accordo di libero commercio per le Americhe (Alca), Chavez mostrò la propria determinazione. E Fidel gli passò un bigliettino: «Ah, ma allora non sono solo...» E nacque l’Alleanza bolivariana per i popoli delle nostre Americhe (Alba), che ancora fende le agitate acque del continente latinoamericano. L’importanza dell’asse Cuba-Venezuela è parso chiaro nei principali atti decisi dal continente - dichiarato zona di pace nel vertice della Celac, a Cuba - e nelle trattative per una soluzione politica in Colombia. Durante gli ultimi tre anni di attacchi al governo di Nicolas Maduro, Fidel è intervenuto a sostenere l’ex operaio del metro, ex militante della Lega socialista che ha frequentato la «scuola quadri» a Cuba. E il 20 marzo, prima che arrivasse Obama, lo ha ricevuto all’Avana. «Se l’impero divorasse l’America latina come fece la balena con il profeta Giona - ha detto Fidel - non riuscirebbe comunque a digerirla. Prima o poi dovrebbe espellerla, e quella risorgerebbe di nuovo nel nostro emisfero». Roberto Livi L’AVANA «Q ue Viva Fidel!» Il grido da giorni« percorre l’isola in vista della celebrazione, oggi, del 90° compleanno del líder máximo della Revolución. Feste, concerti, eventi sportivi, lancio di aquiloni; colloqui e dibattiti politici; documentari e speciali in tv; incontri internazionali; mostre fotografiche e di murales dipinti per l’occasione; compact disc, libri e presentazione di una speciale minienciclopedia online (Fidel, Soldado de las Ideas) dedicata all’opera e al pensiero del leader nel portale ufficiale Cubadebate e premiazione di concorsi si susseguono da giorni in tutta Cuba. Nella capitale non vi è quartiere dove il Cdr (Comitati di difesa della rivoluzione) non organizzi una piccola festa popolare, con musica, balli e possibilmente una caldosa; le maggiori gallerie sono impegnate con mostre fotografiche o di artisti; l’inaugurazione dell’incontro all’Avana dei giovani antimperialisti dell’Organizzazione continentale latinoamericana e caribegna degli studenti (Oclae, composta da 38 federazioni studentesce del subcontinente) è stata dedicata, giovedì, al «gigante politico» la- tinoamericano. I festeggiamenti veri e propri sono iniziati con l’icontro «Sumando alegrías» organizzato, sempre giovedì, alla Ciudad deportiva, la location del famoso concerto dei Rolling Stones, con eventi sportivi per bambini e ragazzi, giochi famigliari, musica e lancio di aquiloni. Ieri è seguito «Cubaila», un concerto che ha riunito migliaia di persone nella Tribuna antimperialista, nel malecón (lungomare) havanero di fronte all’Ambasciata degli Usa. L’apoteosi popolare è prevista ovviamente per oggi e comprende un incontro di giovani di tutta l’isola («Diálogo de generaciones») a Birán, nella provincia orientale di Holguin, dove, nella finca del padre, il gallego Ángel Castro Argiz, 90 anni fa nacque Fidel. Non mancano le testimonianze internazionali di omaggio a un personaggio che ha una statura politica «da gigante», capace di aver tenuto testa a undici presidenti degli Stati Uniti e aver lasciato «un’orma indelebile» nell’America latina. Se oggi - nonostante l’impegno restauratore di personaggi come il presidente argentino Mauricio Macri e il collega (golpista) brasiliano Michel Temer - il subcontinente non è più considerato degli States lo si deve in buona parte alla resistenza del popolo cubano. E del suo leader rivoluzionario. Lo stesso presidente Barack Obama ha riconosciuto il fallimento della politica aggressiva dell’embargo attuata dagli Usa per più di cinquant’anni. E al carisma del lider máximo è attribuita la benedizione che Cuba ha ricevuto da ben tre pontefici. Il bloguero uficialista Iroel Sánchez, sottolinea come questa sorta di fascinazione di Fidel ha coinvolto anche illustri personalità nordamericane. Quattro anni fa, lo storico Joel Stein Essay stilò per conto della rivista Time una lista dei cento personaggi più influenti di tutta la storia dell’umanità che includeva Fidel. «Solo il libro Assolto dalla storia del giornalista Luis Báez - prosegue il bloguero - raccoglie le opinioni elogiative su Fidel di personaggi che vanno dagli scrittori Arthur Miller e Alice Walker, al banchiere David Rockfeller, dal cantante Harry Belafonte agli attori Jack Nicholson, Kevin Costner, Robert Redford e ai registi Oliver Stones, Michael Moore e Sidney Pollack». Non solo, nelle sue memorie, Dwight D. Eisenower, il primo presidente nordamericano che affrontò il leader cubano, ricorda come il suo successore, John F. Kennedy, parlando del leader cubano gli avesse detto che: «Fidel fa partedell’eredità di Bolivar». pagina 15 Alcuni intellettuali e commentatori, non certo legati alla debole e divisa opposizione, si interrogano però se questo complesso di festeggiamenti e soprattutto il battage che da giorni prosegue nei giornali e nella tv di stato non rischino di riesumare una pratica politica - quella del culto della personalità del leader in voga in Unione sovietica e che prosegue nei nostri giorni in Corea del Nord- che Fidel ha sempre rifiutato. Lo stesso Sánchez cita a proposito lo storico statunitense - stretto collaboratore dei Kennedy - Arthur Schlesinger Jr. Il quale scriveva: «Fidel Castro non favorisce il culto della personalità. È difficile incontrare in qualche posto dell’Avana un manifesto, o solo una cartolina postale, di Castro. L’icona della Rivoluzione di Fidel, visibile in ogni dove, è Che Guevara». «Questa enfasi senza precedenti sul ruolo storico di Fidel si deve inquadrare nel periodo di transizione che sta vivendo Cuba con le incognite e i timori che esso genera, Si celebra il «gigante» che ha lasciato «un’orma indelebile» sulle politiche del Latinoamerica. E intanto si pensa al "dopo" sia nella popolazione, che all’interno del vertice politico-militare», sostiene l’analista Enrique López Oliva. Il cambio generazionale è dietro l’angolo. Dunque, non si tratta solo del compleanno di Fidel, «si tratta - aggiunge López Oliva - anche della fine di un’epoca. Assieme a Fidel si sta congedando, soprattutto per ragioni di età, anche quella che possiamo definire la vecchia guardia del partito-governo-stato. Raúl ha annunciato che lascerà la presidenza nel gennaio del 2018 e ancora non emerge una figura che, non dico abbia il carisma di Fidel, ma che possa garantire che le riforme avvengano nell’alveo del socialismo cubano. Inoltre, il processo di normalizzazione con gli Usa è un cambio epocale destinato ad avere riflessi sicuramente economici e sociali, ma probabilmente anche politici. Il Partito comunista, unico gestore del potere, è un anacronismo del XX secolo, che anche Cuba deve digerire». Cayo Coco/ NEL RANCHO LA GUIRA DOVE CRESCE LA NUOVA REVOLUCION El Tio Reinaldo, storia di un contadino metereologo che avrebbe voluto studiare Ge. Co. CAYO COCO «A La destra venezuelana è riuscita a conquistare la maggioranza in Parlamento agendo sulle debolezze del proceso bolivariano, utilizzando la menzogna e la manipolazione psicologica e materiale di certi settori della popolazione, poco consapevoli delle vere intenzioni della borghesia. Bisogna riconoscere che è stata molto abile a non mostrare pubblicamente i suoi interessi di dominio alla popolazione che usufruisce dei servizi medici, sportivi, agricoli provenienti da Cuba. Nella campagna elettorale di ottobre e novembre scorso ha lasciato intendere che avrebbe mantenuto i grandi progetti sociali della rivoluzione e quindi anche la fondamentale presenza dei medici cubani nei quartieri poveri e i servizi sanitari gratuiti. Ma si è trat- tato solo di una strategia per vincere le elezioni. La destra ha sempre attaccato gli aiuti cubani e ha cercato di distorcerne il senso e di demonizzarli. Tra le destre venezuelane e Cuba c'è una distanza incolmabile, soprattutto mentre l'opposizione si dedica a violare la Costituzione e le leggi cercando di utilizzare il Parlamento. Per le destre, gli interscambi solidali sono sprechi da impedire con ogni mezzo. Invece, vanno agevolate leggi come quella che abolisce gli impedimenti alle grandi imprese dell'agrobusiness come Monsanto. Ma la partita non è affatto vinta. E la posizione di Cuba non dà adito a dubbi: appoggio incondizionato alla rivoluzione bolivariana e al governo di Nicolas Maduro. (ge.co.) ttenti, la mucca è aggressiva, ha appena partorito». Reinaldo Abreu Figueroa - El Tio - avverte i visitatori. Siamo nel Rancho la Guira, a 3-4 chilometri dalle spiagge paradisiache di Cayo Coco, nella parte centrale di Cuba. Tutt'intorno, una natura rigogliosa e i resti di un piccolo forno a carbone di legna, coperto di erba e terra. «Oggi non si usa più – spiega El Tio , ma ci serve per ricordare la storia delle persone che c'erano prima a Cayo Coco. La loro era una vita dura. Non c'erano ospedali, né scuole, né botteghe. E la foresta veniva devastata perché il 90% delle cucine erano a carbone a legna...» Reinaldo, classe 1944, da bambino non è andato a scuola «perché eravamo una famiglia povera, di 15 fratelli». Ma ha sempre «avuto sete di conoscenza» e, dopo la rivoluzione, ha potuto avere un'istruzione. Poi, Reinaldo coltiva la terra, diventa metereologo autodidatta, studia per tre anni giornalismo, scrive articoli e vince premi. Navigando in marina, diventa ra- diotelegrafista, poi coltivatore di canna da zucchero. E quando molti zuccherifici chiudono, dopo la caduta del campo socialista, può continuare a studiare di più, mantenendo lo stesso salario «perché la rivoluzione non ti abbandona». Racconta: «Ho ampliato le mie conoscenze scientifiche e nel 1986 sono venuto qui a costruire una stazione metereologica. Questo luogo è un paradiso, e si avverte di più il pericolo che corre l'ambiente. Il cambiamento climatico è un processo naturale, ma gli esseri umani sono colpevoli di averlo accelerato con il capitalismo devastante, il supersfruttamento dei boschi e della terra, l'eccessiva industrializzazione. Lo vediamo dalla violenza degli uragani, dall'alternanza di siccità e alluvioni, dallo sconvolgimento delle stagioni». E Cuba cosa fa per l'ambiente? «Quando arrivò Colombo, 5 secoli fa, Cuba era coperta al 93% di boschi. Dopo la rivoluzione, solo il 14% del territorio aveva boschi. Dopo un'intensa politica di riforestazione, oggi i boschi ricoprono il 29% dell'isola, e la percentuale è più alta a Pinar del Rio». E questa nuova ondata di turismo di massa, dovuta alle «aperture» con gli Usa, non porterà alterazioni? «Sia- mo attrezzati. Qui a Cayo Coco esiste il Centro di investigazione dell'ecosistema costiero per la conservazione dell'ambiente, che monitora e proibisce le attività umane dove l'ecosistema non sia riparabile. Qui si è abbattuto qualche albero solo per far posto all'hotel, ma nessun edificio può superare i 4 piani né prendere lo spazio al mare. Le nostre politiche sono diverse da quelle neoliberiste. Gli imprenditori che vogliono venire a Cuba devono avere requisiti che non colpiscano l'ambiente e che proteggano i lavoratori. Da noi nessuno muore di fame o resta senza lavoro». I salari? «Confrontati con i vostri, i nostri sembrano molto bassi. Ma qui abbiamo tutto gratuito: sanità, istruzione, cultura. Con un peso puoi andare a teatro, al cinema allo stadio. Insieme a Fidel, Raul, al Che abbiamo fatto tutta questa strada. Quando è caduto il campo socialista, a Miami si sono fregati le mani, hanno fatto le valige per venire qui ad ammazzare cubani. Ma abbiamo resistito e oggi non siamo più soli. L'America latina di Bolivar, Marti e della Patria grande si è svegliata e non chiuderà gli occhi». pagina 16 il manifesto SABATO 13 AGOSTO 2016 FELIZ CUMPLE Dieci anni fa i cubano-americani che a Miami festeggiavano la fine di Fidel si sbagliavano di grosso. Oggi, tra riforme epocali e disgelo con gli Usa, ad essere finito è piuttosto il vecchio anticastrismo. E se la nuova crisi economica preoccupa, Cuba sorride con una "bonanza" turistica SINCRETISMO La santera che amava Che Guevara Ge. Co. L’AVANA A Roberto Livi L’AVANA F Mille luci u festa grande a Miami la notte del 31 luglio di dieci anni fa. La televisione cubana aveva appena annunciato che, dopo essersi sottoposto a un complicato intervento, Fidel Castro lasciava temporaneamente la gestione di Cuba al fratello Raúl. Migliaia di cubano-americani scesero nelle strade annunciando la morte del lider maximo e l’imminente fine della «dittatura castrista». «Si sbagliarono, e di grosso - sostiene l’analista Max Lesnik -. I cimiteri di questa parte di Miami sono pieni di tombe di cubano-americani che in varie occasioni hanno celebrato con bottiglie di champagne la morte di Fidel», ha dichiarato all’agenzia Efe un ex anticastrista. Quello che invece è morto è il vecchio anticastrismo. «Oggi – afferma Lesnikla maggioranza di quella che veniva definita la "diaspora" cubana in Florida, e IL MALECÓN soprattutto dei giovani cubano-americaDELL’AVANA ni, sono favorevoli alla linea delle trattaE UN tive col governo dell’Avana». PASSEGGIO A dieci anni dalla rinuncia di Fidel alla "A STELLE E politica attiva, il disgelo tra Cuba e gli Stati STRISCE" Uniti, la costruzione delle basi per un /FOTO "ponte" con la comunità cubana in FloriLAPRESSE da, sono, assieme a una serie di importanSOTTO, ti riforme nell’ambito della «modernizzaLA SANTERA zione del socialismo cubano» - apertura ADELAIDA al settore privato, maggiori agevolazioni DE LA CARIDAD per gli investimenti esteri, eliminazione di /FOTO una serie di restrizioni ormai insostenibili, GERALDINA come la compravendita di case e auto, la COLOTTI possibilità di viaggiare all’estero -, i capisaldi della politica riformatrice di Raúl. Come Lenin negli anni Venti L’avvicendamento tra Fidel e il fratello minore è stato dunque non solo privo di traumi, ma ha permesso di programmare e attuare una nuova politica di «modernizzazione» - alcuni analisti la paragonano alla Nep (Nuova politica economica) di Lenin nell’Urss degli anni venti del secolo scorso - che presuppone nuovi equilibri di potere all’interno del Partito comunista. Il più giovane dei Castro è stato nominato formalmente presidente di Cuba a febbraio del 2008 e un mese dopo ha dato avvio alle prime riforme economiche. Da quel momento Cuba è impegnata in ALL’AVANA profonde trasformazioni, senza però allontanarsi dai propri «ideali rivoluzionari» e dalla «struttura socialista» dell’economia e della società. Oggi nell’isola più di mezzo milione di persone lavorano "in proprio": cuentapropistas in gergo cubano, ovvero una versione (politicamente) light di imprenditori privati (definizione questa ancora osteggiata dai "talebani" del Pc). Sono in gran parte microimprenditori e lavoratori autonomi che stanno cambiando il panorama economico dell’isola con migliaia di piccole attività, dai taxisti ai gestori di paladar (ristoranti) o bar, veri night club; dai carreteros (venditori ambulanti soprattutto di frutta e verdura) ai bicitaxi, ai proprietari di palestre e saloni di bellezza. Non solo. La vita del cubano ha sperimentato un cambiamento consistente con la riforma migratoria del 2013: migliaia di cittadini che possono permetterselo o che con l’aiuto dei parenti riescono a ottenere un visto, escono dal paese per turismo o per affari. L’Avana, la capitale di tutti i cubani, è lo specchio di come queste riforme già hanno prodotto una nuova classe media che ha nuovi bisogni e comportamenti. Complice un forte aumento del turismo (quest’anno si prevede un incremento di circa il 17%) la città sta cambiando volto, dalla felice ristrutturazione dell’Havana Vieja sotto l’impulso dell’historiador Eusebio Leal, all’apertura, appunto, di decine se non centinaia di bar, ristorantini, pizzerie. Da città buia e sostanzialmente noiosa la capitale, di sera, sta accendendo le "mille luci" che la resero famosa. Tanto che è stata appena insignita del lauro di «città meravigliosa». Ed è stata, appunto, premiata dall’attuale boom turistico: una vera e propria bonanza per le asfittiche casse cubane: secondo dati ufficiali lo scorso anno il turismo ha apportato 2,8 miliardi di dollari e quest’anno, a giugno, sono giunti nell’isola 2.147.600 turisti con un incremento del 11,7% rispetto al 2015. Assieme alla crescita del turismo Usa, si registra anche un aumento delle rimesse provenienti dai cittadini cubano-americani (e in gran parte dirette al settore privato) che, secondo dati Usa, avrebbero superato lo scorso anno i 3 miliardi di dollari. Sommate, le due vo- ci, si avvicinano alla maggiore fonte di valuta di Cuba: la vendita all’estero (soprattutto in Venezuela) di servizi. Previsioni di crescita dimezzate Le conseguenze economiche del processo di normalizzazione con gli Stati Uniti, come pure l’evolvere delle riforme risultano però al di sotto delle aspettative e comunque insufficienti per dinamizzare l’economia cubana. Troppo timide e troppo lente, è la critica che gli oppositori - ma anche alcuni analisti vicini al governo - rivolgono al complesso delle riforme, compresa quella sugli investimenti esteri. L’8 luglio, nel suo discorso di fronte all’Assemblea del potere popolare (il parlamento cubano) Raúl Castro ha riconosciuto la crisi: le previsioni di crescita per quest’anno sono state dimezzate fermandosi e all’1%. Il paese, ha detto il presidente, ha una crisi di liquidità e per questo verranno prese misure per contenere il consumo energetico e le spese in divisa (dunque gli acquisti all’estero di generi alimentari). In poche parole che verranno «tempi duri», che i negozi venderanno meno prodotti e che riprenderanno gli apagones, i tagli alla fornitura di corrente. Sostanzialmente, l’economia di Cuba si contrae a causa dei bassi prezzi del petrolio (oltre che del nikel, maggior prodotto di esportazione). Il che è un vero paradosso per un’isola che importa greggio. La causa di tale paradosso risiede nel Venezuela, principale alleato e fonte di valuta di Cuba. Dal 2000, quando era presidente Hugo Chávez, i due paesi hanno stabilito un accordo in base al quale Caracas paga i servizi – medici, insegnanti, istruttori sportivi - forniti dall’Avana con l’invio di circa 90 mila barili di petrolio al giorno a «prezzi preferenziali». Parte di questa fornitura - circa il 60% secondo fonti ufficiose - viene utilizzato per usi interni - centrali termiche soprattutto - il resto viene raffinato o venduto a prezzi di mercato. Il Venezuela però da molti mesi è in preda a una pericolosa crisi istituzionale che ha devastanti effetti economici. Uno dei quali è la decisione di ridurre le forniture di greggio a Cuba, del 20% secondo fonti ufficiali, del 40 % a detta dell’agenzia Reuters. Gli effetti si sono subito fatti sentire, a parte la riduzione delle previsioni di crescita all’1% del Pil, vi è stata la decisione di sospendere il 17% degli investimenti previsti per lo sviluppo e l’adozione di un piano per il risparmio del 30% del combustibile, con tagli ai rifornimenti per le imprese statali. Le meno produttive terminano la giornata di lavoro a mezzogiorno, mentre l’aria condizionata nel settore commerciale, bancario e istituzionale deve essere spenta varie ore al giorno. Come conseguenza, non sono mancate le speculazioni che si stia preparando una crisi come quella - il Periodo especial - vissuta negli anni ’90 del secolo scorso, dopo l’implosione dell’Urss, dalla quale l’Avana dipendeva economicamente. La vicedirettrice del quotidiano del Pc Granma, Karina Marrón, ha messo in guardia sulla possibilità che a Cuba «si stia preparando una tempesta perfetta» a causa delle restrizioni imposte dai risparmi energetici. Segnale che una parte del partito preme per un’accelerazione delle riforme. I più noti economisti indipendenti sostengono che i paragoni con il «periodo speciale» siano allarmi ingiustificati; ammettono però - come l’economista Pavel Vidal - che «è probabile che l’economia cubana entri in recessione, con relativo impatto negativo nel consumo e nel livello di vita dei cubani». L’acuirsi della crisi si somma alla consapevolezza che è iniziato un periodo di transizione e che il ricambio generazionale è dietro l’angolo. Oggi però una consistente parte della società cubana non sembra disposta a mantenere l’apatia politica degli anni seguiti al periodo especial. Il settore privato e cooperativista comprende già più di 700 mila lavoratori. Si tratta del 30% della forza lavoro di Cuba. Secondo Oslay Dueñas, ex funzionario del ministero del Lavoro, «il settore cuentapropista è il germe dal quale si formeranno i gruppi e i leader che esigeranno riforme economiche più incisive. Costituiscono una forza legale che entro un paio d’anni raggiungerà il tetto di un milione (di lavoratori) che offriranno a milioni di cubani servizi con più qualità ed efficienza del settore statale». rtigli coloratissimi e sigaro in bocca, la Santera giganteggia nella piazza dell'Avana. Sul banchetto ha un cartello che dice «Dalle persone false chiedo solo una cosa: distanza». Ci invita a sedere, si presenta. «Mi chiamo Adelaida Victoria de la Caridad, ho 73 anni, 8 figli, 18 nipoti e 6 pronipoti, per via del sigaro mi chiamano señora Avana, ho visto varie epoche di questo paese. Sono santera da 60 anni e sto bene con la rivoluzione». Perché? Tutti i miei figli hanno potuto studiare, siamo una famiglia di musicisti e ballerini. Da piccola ho visto tanta povertà, analfabetismo. Quelli che vogliono il capitalismo, il consumismo, sono una minoranza, il popolo sa quello che perderebbe. Ricordo un'immagine del Che. Era il 1960. Noi ragazze sapevamo che si trovava al porto dov'era arrivata una nave di riso dalla Cina. Tutti davano una mano a scaricare. Decisi di andare anch'io, ma non per aiutare, per vederlo. Prima, mi feci preparare un biglietto per lui dalla santeria. Quando lo vidi, carico di sacchi e senza maglietta, gli dissi: «Quanto sei bello con quei sacchi». Rispose: «Qui di bello c'è solo il lavoro, mettiti a lavorare che vedi il bello». Mi sono messa a lavorare. Poi, il Che si sedette su una cassa a riposare e a fumare il sigaro. Anch'io fumavo il sigaro. Mi fece accendere... Tutta quella magia non si è spenta, chi arriva sull'isola se ne accorge. Ha conosciuto anche Fidel? Non personalmente, ma la santeria è molto legata a lui. E sono circolate molte storie sulla sua relazione con la religione di Ocha, soprattutto dopo quel viaggio in Guinea in cui lo si è visto vestito di bianco, si è detto che in quel periodo si era fatto santo. Nella santeria bisogna seguire un percorso che prevede una serie di divieti. Io amo molto la cultura yoruba, che non nasce a Cuba ma in Nigeria, dove gli yoruba vivono da secoli. Quando arrivarono qui gli spagnoli distrussero gli aborigeni e tutti i gruppi etnici, poi dovettero importare gli schiavi africani. Vennero deportati a Cuba bantu, mandinga, yoruba... Ogni gruppo ha portato la sua cultura, la sua religione, i canti al Dio che si chiama Oricha. Oggi, circa il 70% dei cubani pratica la santeria, ma allora il culto era proibito dai colonialisti e i santi cattolici vennero sincretizzati con quelli africani. Ma né le donne né i gay possono diventare Babalao No, il gran sacerdote è sempre un uomo, i gay – e ce ne sono molti nella santeria – possono essere padrini, ma non Babalao. E ci sono molte donne nella santeria, anche la rivoluzionaria Celia Sanchez ne faceva parte. E' un culto antico, praticato nelle società patriarcali basate sulla forza dei cacciatori che provvedevano al mantenimento della famiglia e che da vecchi passavano il sapere e la saggezza a un altro uomo. Il Babalao è una divinità umana. E' un culto che però ci dà molta forza. Molti Babalao hanno partecipato alla rivoluzione. Quando Fidel si è ammalato, tutta la santeria ha fatto scudo. Ci siamo riuniti per Chavez. Questo popolo è fidelista e anche quando Fidel morirà resterà sempre in ogni uomo, in ogni donna o bambino che cammina per le strade di quest'isola e dell'America latina: come Gesù Cristo, come Bolivar, come Ho Chi Min, come Chavez... come tutti quegli uomini che sono stati forti e hanno rivoluzionato la storia.