Feb. 2014 - Collegio Universitario Don Nicola Mazza

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Feb. 2014 - Collegio Universitario Don Nicola Mazza
Nadir
Collegio Universitario
Don Nicola Mazza
l a r iv ist a d e g l i stude nt i maz z i ani di p adov a
Numero 3, marzo 2014
http://studenti.collegiomazza.it/nadir
Copia gratuita
Direzione Andrea Corbanese. Informazioni sulla redazione a pagina 4. Nadir è una pubblicazione autofinanziata e autoprodotta del Collegio Universitario “Don Nicola Mazza” / Residenza “G. Tosi”: via dei Savonarola 176, 35137
Padova, Italia; tel. +39 049 8734411/ “I.S, fax +39 049 8719477. Il Nadir è pubblicato in PDF all’indirizzo http://studenti.collegiomazza.it/nadir. ©2012 Nadir. Disciplinato da licenza Creative Commons by-nc-sa. c
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Nadir, Mar. 2014
In questo numero
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3
ATTUALITA’
Schrödinger’s Cat Requiescant
(Nicola Nicodemo)
Stream of consciousness (Andrea
Corbanese)
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COLLEGIO
Nuovo sistema di gestione stampe
(Alessandro Dal Maso)
Radio Mazza... L’unica Radio che non
trasmette una mazza (Enrico Ridente)
7
I buchi neri esistono? (Vito
Squicciarini)
EDITORIALE
10
POESIE E RACCONTI
Gigantomachia (Angelo Balestra)
Il vuoto (Enrico Ridente)
13
15
17
ANGOLO FILOSOFICO
INTERVISTA DOPPIA
GIOCHI
CULTURA
A 450 anni da una storia diversa
(Mirjam Vego)
Editoriale
Andrea Corbanese
«Roba da matti!», diceva un venditore di camicie di forza. Ben altro che la
mia modesta penna ci vorrebbe, per
condensare sulla pagina tutti i grattacapi che il nostro amabile Paese riesce ultimamente a procurarci, a grande danno di molte capigliature un
tempo fluenti. Pensiamo alle bizzarrie delle spese rimborsate a esponenti
politici locali e nazionali, ai verdetti
di incostituzionalità che colpiscono
leggi approvate da anni, alle sedute
del parlamento in cui volano, ormai,
non solo insulti e fette di mortadella, ma perfino le sberle; e non siamo neppure in campagna elettorale!
Tra l’altro, varrebbe la pena anche di
parlare del perché non lo siamo, visto che il governo Letta non c’è più.
Piuttosto che votare con il “porcellum” costituzionale (“affettatum”?),
Enrico Letta e Matteo Renzi
si è optato per la “staffetta”: Enrico
Letta, senza troppo entusiasmo, ha
passato il testimone a Matteo Renzi,
che ha formato un nuovo governo e
si accinge, dice lui, a fare una riforma
al mese. La fortuna aiuta gli audaci,
dicono: l’audacia se non altro non gli
manca. Si sussurra che sia riuscito
ad attirare nell’orbita della maggioranza l’ala radicale di Feudalesimo e
Libertà, i Guelfi neri; speriamo che
sia vero, perché se la maggioranza è
la stessa del governo Letta c’è da chiedersi cosa sarà capace di fare più del
suo predecessore... Ma non abbandoniamoci al pessimismo: il governo
è (in buona parte) nuovo, piuttosto
snello, giovane, e composto per metà
da donne, del che non possiamo non
gioire. Una perfida vocina nella mia
testa, tuttavia, mi faceva notare, mentre Renzi annunciava i suoi ministri,
che i dicasteri con portafoglio sono
per lo più in mano a uomini... Proprio vero che si trova sempre di che
lamentarsi.
A lungo si potrebbe parlare delle
caotiche vicende della nostra politica, di ghigliottine e di boicottaggio
delle consultazioni, complotti, vaghi
segnali di ripresa economica... Varrebbe la pena parlare anche di quel
che succede all’estero: dei crimini
che il governo nordcoreano si dice
abbia perpetrato contro il suo stesso
popolo, della Svizzera che pare intenzionata a prendere le distanze dal
resto dell’Europa, degli Ucraini che
per avvicinarsi a quella stessa Europa
sembrano disposti a dare (e togliere)
la vita. Sperando che si ingannino
(o mentano a bella posta) quei commentatori che vedono nella protesta
degli Ucraini una maschera rispettabile che cela l’odio e la violenza nei
confronti della minoranza russa...
Ma se fatichiamo a capire quel che
succede a casa nostra cosa possiamo
sperare per quanto riguarda il resto
del mondo?
Questa rivista, senza pretendere di
possedere la verità, cerca di dare
spazio a ciascuna opinione, purché
rispettosa delle altrui e aperta al dibattito. Se qualcuno poi ritenesse
che il proprio punto di vista non è
stato rappresentato, non possiamo
che esortarlo a scrivere: tutto ciò che
merita di essere letto, tutto ciò che
non è insulto e calunnia, su queste
pagine noi lo pubblicheremo.Ringraziamo tutti coloro che hanno voluto
mettersi in gioco scrivendo su questo Giornalino, dentro e fuori dalla
Commissione, e tutti coloro che hanno collaborato alla sua realizzazione
pratica: ringraziamo Angelo Balestra,
che ha curato l’impaginazione, e ringraziamo (ancora e sempre) Patrizia,
che si è occupata della stampa. Infine
ringraziamo tutti voi che lo leggete,
perché se i primi hanno concepito il
Nadir e i secondi, con maieutica virtù, l’hanno fatto nascere, siete voi che
leggendo gli infondete il soffio vitale
e date un senso alla sua esistenza.
Nadir, Mar. 2014
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Attualità
Schrödinger’s Cat Requiescant
Nicola Nicodemo
“A map of the world that does not include Utopia is not
worth even glancing at, for it leaves out the one country
at which Humanity is always landing. And when Humanity lands there, it looks out, and, seeing a better country, sets sail. Progress is the realisation of Utopias.”
O. Wilde
Dall’ultima uscita del Nadir è successo molto. Ci sarebbe
tanto di cui parlare. Eppure nessuno dei fatti che snocciolerò di seguito merita di essere discusso da solo. Perché,
nella sua singolarità, ciascuno di questi fatti può sembrare insignificante, vuoto, privo di senso. Cosa rimane
della politica di questo periodo? Nulla, se non una dietrologia complessa che ha cominciato a stufare. Cosa c’è
dietro Renzi? Lobbisti? Poteri forti? Agli italiani interessa
qualcosa? No. Assuefatti alla crisi, allo stato d’emergenza, non ci pensano. I bisogni sono altri: sopravvivere, ad
esempio. E allora la coerenza, la trasparenza, - perfino la
democrazia - possono andarsi a fare benedire. Interessa
a qualcuno che la Sinistra abbia fallito? Agli operai, ai lavoratori, a chi soffre non interessa la Sinistra intellettuale
che profuma di latte e miele. Preferirebbero votare pure la
Destra, gli industriali, la borghesia, purché condiscano il
minestrone con un po’ di populismo, quello che muove le
masse e fa sognare i disperati.
Ecco allora i fatti, corredati da qualche opinione personale che proprio non posso reprimere. L’anno si è aperto con
lo scatto felino di Renzi sull’Italicum. Dopo otto anni, la
Corte Costituzionale boccia come incostituzionale la legge ‘Porcata’ elettorale con cui sono stati eletti i Parlamenti
- anche quello in carica. Renzi si accorda con Berlusconi
(intanto pregiudicato e fuori dal Parlamento) - proprio lui
che la Porcata l’aveva creata. Scrivono l’Italicum, zeppo
di profili di incostituzionalità, non rispetta il valore della
rappresentanza politica né la volontà di partecipazione
dei cittadini.
La parola d’ordine diventa ‘fare’. A tutti i costi. Non ‘fare
bene’. L’importante è muoversi, per non rimanere invischiati nella melma di una politica che non ce la fa più.
Per compiere la Riforma elettorale, c’è però bisogno di
abolire il Senato: il che richiede la modifica della Costituzione, che si può fare solo ammettendo il pregiudicato
per frode fiscale al tavolo dei Padri Costituenti, come uno
di quelli che la Carta la scrissero.
A fine gennaio Letta sembra incerto. Se un tempo era coccolato dal Presidente della Repubblica e dai Capi di Stato
esteri, ora si vede rubare la scena da Renzi, la cui energia
e voglia di fare sono in netto contrasto con l’inettitudine
di un governo che ha prodotto essenzialmente nulla per
mesi.
Il primo febbraio le donne spagnole scendono in piazza
contro il tentativo del governo conservatore di Rajoy di
limitare il diritto all’aborto. Anche lì il governo ha cominciato pian piano a smantellare i diritti.
Le rivolte in Ucraina hanno portato al crollo del “regime” di Yanukovich. I cittadini vogliono uscire dall’ombra
dell’Unione Sovietica, che ancora persiste nella nomenclatura al governo. Corruzione, privilegi, i cittadini si
sentono defraudati e non liberi: il ritornello è lo stesso.
Tutto il mondo è paese. Per loro il futuro è l’Europa. E
lì, di fronte a un governo di vecchi comunisti imborghesiti, a fare la rivoluzione c’è finita la destra. Stati Uniti e
Europa condannano le violenze dello Stato contro i cittadini, sostengono la lotta del popolo ucraino per la democrazia. Intanto - nell’ipocrisia che non fa più notizia - in
casa propria irrigidiscono le pene contro manifestazioni
e proteste, tacciano di populismo e eversione il dissenso.
Pongono le basi per il nuovo Partito Unico, che però sta
dalla parte giusta.
Anche in Bosnia nasce una rivolta. Lì però non c’è la destra europeista a guidarla, né il sogno di entrare nell’Unione. Lì è lotta di classe, dei lavoratori contro il governo.
Lì l’Europa sostiene il governo e minaccia spedizioni militari.
Ma sono discorsi troppo grandi da affrontare così, e in
Italia conviene parlare dell’urgenza e dello stato di necessità. Gli italiani assistono a uno spettacolo degradante.
Artisti in playback recitano le solite canzonette, cambiano
il ritmo all’occorrenza. No, non è il Festival di Sanermo,
col pubblico borghesuccio seduto in platea, abituato ai salotti che sanno di muffa.
Renzi ha scaraventato Letta giù dallo scranno, impossessandosi della corona da Premier. La democrazia si è
ridotta a un rituale di consultazioni, di teatrini politici,
che salvino la forma. Ma agli italiani non interessa nulla,
perché sennò avrebbero già invaso le piazze. La crisi si
affronta meglio in silenzio, con spirito di pacificazione.
Del perché Renzi abbia sostituito Letta nessuno ha un’idea chiara. I suoi farfugli riempiti di un’eccezionale retorica vuota, ci fanno rimpiangere le intense - e anche più
significanti - pantomime del Crozza che lo imita. Cosa
crederà di fare Renzi che Letta non abbia potuto fare, con
la stessa maggioranza (forse ora ancora più stretta), con
le stesse condizioni dettate (o imposte) da chi sta sopra
di lui, e con le fauci pronte a sbranarlo di quegli ignoti inquilini delle quinte del potere? Gli elettori sono gli ultimi
di cui Renzi debba temere il parere e a cui debba dare una
risposta. Requiescant.
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Nadir, Mar. 2014
Attualità
STREAM OF CONSCIOUSNESS
Andrea Corbanese
Confusione. Cielo sereno sopra di
me, tra le fronde degli alberi, acqua
tutto intorno, monti in lontananza,
ai miei piedi. Guardo il cielo, guardo tra i miei piedi catene non interrotte di monti, addio monti sorgenti
dall’acque. Monti? Monti... Monti era
un uomo. Su questo non c’è dubbio.
Un uomo di valore, così dicevano
tutti. Un magnifico rettore, ecco chi
era! Di una prestigiosa università, un
luminare; e lui, lui sì sarebbe stato il
chirurgo, capace, a costo di far versare sangue, di salvare il paziente dopo
che per anni medici troppo teneri
avevano lasciato progredire la malattia, temendo che il paziente sputasse
la medicina, tanto amara; magari in
faccia a loro... Sputi. Spruzzi d’acqua.
La corrente qui è più veloce, le nuvole
tra i rami degli alberi percorrono il
cielo con più rapidità. Il cielo, le nuvole, ciuffi bianchi, capelli bianchi,
vecchiaia. Il Presidente non voleva
tornare a fare il Presidente, sarebbe
stato troppo vecchio... Il Presidente: attentatore alla Costituzione, per
Grillo; sovvertitore della democrazia,
tessitore di trame, autore di complotti: contro Berlusconi, per Berlusconi;
a favore di Berlusconi, per Travaglio.
Travaglio, pena, fatica, per eleggere
un nuovo Presidente, un vecchio Presidente, per trovare un governo; un
nuovo medico curante, dopo che il
paziente si era svegliato, aveva visto i
ferri sporchi di sangue, aveva gridato
di orrore, e i medici avevano cacciato
il chirurgo, giustamente. Il chirurgo
dalle mani sporche di sangue. Fiumi
di sangue... Il paziente ne aveva perso
troppo; aveva gridato di orrore, aveva
pianto, perché si era sentito ferito, si
era visto magro e pallido, esangue;
esangue, pallido, in preda ai brividi.
Freddo. I vestiti si stanno inzuppando, i panni si stanno inzuppando, i
panni sciacquati in Arno. Arno. Volpi, lupi, e cani ringhiosi, lungo le rive
dell’Arno, lungo le rive del Tevere; Tiber, Tiberius, Tiberius in Tiberim...
Il fiume. Da sempre, il perdente va
buttato a fiume. Come Tiberio Cesare; Cesare, Giulio, Iulo figlio di Enea;
Enea, di Silvio il parente, corruttibile ancora. Silvio, Angelino, un utile
idiota, idioti inutili intorno a Silvio.
Silvio, padre della Patria, la Patria figlia di Silvio, io nipote di Gianni, io
nipote di Mubarak. Angelino come
un figlio, figlio di Cesare, tu quoque,
fili mi. Il fiume. Da sempre, il parricida va gettato nel fiume in un sacco; il parricida, ingrato, a dispetto
della clemenza di Cesare, per Bruto
e Cassio, la clemenza di Silvio, per
Pierferdinando Casini... Ma non era
affogato, Casini, con Fini e con Monti? Monti, ancora Monti, ma i monti
non si vedono più, gli alberi non si
vedono più. Solo il cielo sereno, sopra di me, e l’acqua, sotto. Il fiume
qui torna ad essere placido. Placido
attesi, lungo la riva del fiume. Placido
attesi che il cadavere del mio nemico
passasse portato dalla corrente, portato in braccio dalla corrente. Attesi a
lungo, e non passò. Infine attendevo
solo che l’onda di piena mi portasse
via, l’onda di piena, le precipitazioni
straordinarie, il dissesto idrogeologico. E il livello del fiume si alzava, si
alzava, come i tassi d’interesse, come
il tasso di disoccupazione. Placido attendevo lungo la riva del fiume, come
Siddharta, come un monaco zen,
mentre l’acqua lambiva i miei piedi.
Perché il più cedevole vince il più for-
te, la femmina vince sul maschio, il
maschio, il porco, la porcata, la legge porcata, la legge uguale per tutti.
La legge di gravitazione, di Newton,
il principio di Archimede: un corpo
immerso in un fluido... Ma i vestiti
si inzuppano sempre di più. Affondo, inesorabilmente. L’Italia affonda,
ma chi l’ha affondata, l’Italia? O io, o
Monti, o chi altro? Il capitano affonda
la sua nave, affonda con la sua nave.
Il Giglio, l’Isola del Giglio, il Giglio di
Firenze, il sindaco di Firenze, il sindaco d’Italia. Matteo. Con me, alle
mie spalle, con una mano sulle mie
spalle, per appoggiarmi, appoggiare
il governo, spingere per le riforme
necessarie, spingere il Governo, spingermi in acqua. Una mano sulle mie
spalle, per appoggiarmi, per spingermi in acqua, e dalla riva del fiume
veder passare il mio corpo portato
dalla corrente. La corrente mi avvolge, l’acqua mi ricopre, l’acqua va al
posto del cielo, il cielo sereno, Enrico
stai sereno, acqua sopra di me, acqua
sotto di me, ed Egli separò le acque
dalle acque. Ma perché? Io non volevo galleggiare, non volevo galleggiare quindi affondo. Perché l’ha fatto?
Perché tanta fretta, tanta precipitazione? Precipitazioni straordinarie,
precipitazioni di terrazzini sulle rotaie del treno, dissesto idrogeologico,
dissesto ideologico, fango, macchina
del fango, angeli del fango, la piena
dell’Arno, Firenze. Ma perché l’avrà
fatto? Perché?
Sarà mica perché sono pisano?
Nadir, marzo 2014
Direzione Andrea Corbanese
Redazione Mirjam Vego, Davide Rosi, Cristina Leonardo
Enrico Ridente, Giordana Daniotti, Gabriele Bogo, Chiara
De Faveri, Riccardo Gabrielli, Angelo Balestra.
Copertina Cristina Leonardo
Grafica e impaginazione Angelo Balestra
Stampa Patrizia Norbiato
rizzo [email protected] o allo 049 8734568.
Si ricorda che il Nadir è pubblicato in PDF e scaricabile
all’indirizzo http://studenti.collegiomazza.it/nadir.
Chiuso in Redazione il 25 febbraio 2014 alle 21.35.
©2012 Nadir. Gli articoli sono disciplinati da licenza
Creative Commons by-nc-sa (testo completo su http://
creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/).
La rivista degli studenti mazziani di Padova
Nadir è una pubblicazione autofinanziata e autoprodotta del Collegio Universitario “Don Nicola Mazza” /
Residenze “G. Tosi”: via dei Savonarola 176, 35137 Padova, Italia; tel. +39 049 8734411, fax +39 049 8719477
/ Residenza “I. Scopoli”: via Canal 14, 35137 Padova,
Italia; tel. +39 049 8732210, fax +39 049 8732251; sito:
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Chi desiderasse unirsi alla Redazione o scrivere un
articolo senza impegno non esiti a contattarci all’indi-
La rivista è composta con i caratteri Minion Pro e Arial,
mentre il logo Nadir è in Perpetua Titling MP.
cbna
Nadir, Mar. 2014
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Collegio
Nuovo sistema di gestione stampe
vantaggi e critica
Alessandro Dal Maso
Uno dei servizi più utilizzati dagli
studenti in collegio è quello di stampa. A disposizione vi è una stampante a colori, inkjet, ed una in bianco e
nero, laser. Il servizio è a pagamento, ed è gestito dalla Commissione
Informatica, al cui vertice siedono
Matteo Lisotto e Nicola Bettiol.
Negli ultimi anni, si sono susseguiti
alcuni cambiamenti nelle modalità
di gestione e nel costo delle stampe.
Infatti, si è passati dal sistema a credito a quello a debito (soprattutto per
alleggerire il lavoro dei membri della
Commissione, che da una disponibilità continua, hanno potuto concentrato i pagamenti in scadenze fisse
durante l’anno), mentre il costo delle
stampe è andato progressivamente
riducendosi (da ultimo quello delle
stampe a colori), rimanendo competitivo rispetto alle copisterie della
città (2 centesimi/copia per il bianco
e nero, rispetto ai 3 della Cleup di via
Belzoni, ai 4 della media, ai 5 della
più cara Tecnica di via Paolotti).
Nella scorsa estate si sono, tuttavia,
evidenziate alcune criticità: una, di
entità relativamente modesta, ma
costante nel tempo, è quella del furto dei fogli di carta dai vassoi delle
stampanti; l’altra, di entità ben maggiore (c’è chi ha stampato per più di
40 euro su un account e non ha pagato), e l’uso di account non ancora
eliminati di studenti non più in collegio, per realizzare stampe che dovrebbero essere, invece, a carico di
altri.
Per fronteggiare il primo problema,
alla stampante è stato apposto un
lucchetto saldato al vassoio di alimentazione, di modo che nessuno lo
possa aprire se non in possesso delle
chiavi. Ciò però, comporta l’impossibilità di ripristinare da soli il corretto
caricamento dei fogli, e la necessità
di contattare un commissario (cioè
una matricola, e più precisamente Di
Paolo, Maiella o Valla), attendere che
arrivi, che apra il lucchetto e che sistemi il vassoio. Di conseguenza
Nicola Bettiol e Matteo Lisotto, i due pilastri della
commissione informatia. Nell’ultima foto, Stefano
Massariolo, il loro più fido scagnozzo
si somma oltre al disturbo di un
commissario (studente, che si presuppone sia intento a studiare), anche e soprattutto la perdita di tempo
dell’utente (anche più di 10 minuti
per stampare un foglio).
La soluzione proponibile sarebbe
quella che ogni utente si porti la propria carta. In tal modo, si risparmierebbe tempo e si potrebbe ridurre
anche il costo per la stampa, incrementando al tempo stesso la competitività complessiva del prodotto, fino
ad ora ottima per il prezzo a stampa,
ma viziata da questa procedura che
talvolta risulta macchinosa.
Nonostante ciò, è da evidenziare
in senso positivo la possibilità (che
non c’era in passato e di cui bisogna
rendere merito alla Commissione)
di inviare una richiesta di rimborso
dell’eventuale copia mal riuscita o
non stampata direttamente dal PC da
cui si invia la stampa.
Per il secondo problema, si è ritornati al sistema a credito, predisponendo
un insieme di coupon da 1, 2, 5 o 10
euro acquistabili presso la portineria
o da Stefano Massariolo, responsabile economico della Commissione, se
la portineria è chiusa, e caricabili sul
vecchio sistema di gestione stampe
(PaperCut).
Questa soluzione, sebbene gravi
maggiormente sulla portineria, abbrevia i tempi di riscossione per i
commissari, e parrebbe non evidenziare difficoltà per chi usa il servizio, se non quella di rimanere con
la stampa bloccata a metà quando ci
sono grossi volumi (e qui sta all’utente, però, porre maggior attenzione all’aritmetica e alla gestione del
proprio account). L’altra possibilità,
ovvero una maggiore tempestività
nell’aggiornare l’anagrafe degli account, sarebbe stata sicuramente più
dispendiosa.
6
Nadir, Mar. 2014
Collegio
Radio Mazza…
l’unica radio che non trasmette una mazza
Enrico Ridente
BUONA LA PRIMA
I microfoni accesi, il telefono del coffee staccato, i cellulari spenti, la porta chiusa, il computer trasmette, 32
ascoltatori. 3..2..1… ON AIR.
“Buonasera a tutti i gentili radioascoltatori. Dalla sala regia del quinto piano vi parla il granduca Nicola Bettiol,
ai microfoni di Radio Mazza, una radio serissima...”
Tra pochi minuti toccherà a me e ad
Angelo presentare Supersantos.
Lisotto ha già caricato tutte le canzoni
sul programma, sono pronte a partire. 3 minuti e 45 secondi al lancio, il
microfono è lì con le orecchie aperte
pronto a trasmettere. 35 listeners. E’ il
nostro momento…
Un po’ tremolante esordisco: “ Buona
sera e benvenuti su Radio Mazza…”
“…l’unica radio che non trasmette
una mazza!” aggiunge Angelo.
Presa un po’ di dimestichezza con il
cono può iniziare l’intervista ad Emanuele.
Panico!!!
“Non si sente niente! Avvicina il microfono. Si blocca ogni due secondi!”
continuano a ripetere dalla regia.
Il bello della diretta.
Angelo Balestra e Enrico Ridente, intenti nell’intervista al celebre cantuatore italiano Francesco Guccini.
È il turno del Tg Mazza, presentato da
Luca Zamparo.
Dopo qualche attimo di tensione si ritorna in posizione. È il momento delle
telefonate, “chiedilo al Mazza”.
Fine della trasmissione. Premiamo il
tasto input, inizia l’ultima canzone,
applausi e tutti a festeggiare. Così è
andata la prima serata di radio mazza,
cari lettori, così è finita e così passerà
alla storia! Ma la nostra radio non è
affatto finita, anzi, dopo la pausa sessione siamo pronti a rincominciare!
Ma iniziamo a fare unpo’ di progetti...
UNO SGUARDO AL FUTURO UN
PO’ PIU’ LONTANO
Adesso vorrei rivolgermi a voi cari
lettori uomini e lettori donne, per
dirvi che abbiamo bisogno di un aiuto. Qualunque persona abbia idee da
proporre e voglia mettersi in gioco
lo faccia senza alcun problema. Vogliamo che Radio Mazza diventi una
piattaforma di condivisione, di libera
espressione e sano divertimento, un’
opportunità che penso non capiti tutti
i giorni e che valga la pena di cogliere al volo. Dovete sapere, infatti cari
mazziani, che quest’iniziativa è nata
proprio per dare a voi la possibilità di
far trasmettere le vostre passioni e il
vostro pensiero a chi è in ascolto.
Proprio come è stato per il Nadir, che
ormai è diventato un’istituzione all’interno del collegio, noi vogliamo che
anche la radio diventi un specie di
megafono, un mezzo che possa permettervi di urlare al Mazza tutto quello che vi passa per la mente.
Cari mazziani, forse voi non vi rendete ancora conto che, tra microfoni che
non funzionano e computer antichi,
nel coffe del quinto piano ha visto la
luce una vera e propria “radio libera”,
un animale mitologico di cui la nostra
generazione ha solo sentito parlare!
Ordunque, davvero non volete appoggiare anche voi le labbra sui nostri
microfoni?
Qello che abbiamo in mente è allargare sempre più il numero di persone attive all’interno della radio, in maniera
tale da creare una varietà di contenuti
più vasta possibile. Aspettiamo idee
originali per avviare nuovi programmi e dare anche una continuità a questo progetto, anche perché conivolgere più gente possibile è l’unico modo
che abbiamo matenere Radio Mazza
ON AIR. In parole povere, ragazzi, il
futuro di questa radio è nelle vostre
mani!
UNO SGUARDO AL FUTURO UN
PO’ PIU’ VICINO
Dopo la pausa sessione Radio mazza
tornerà ON AIR il 4 marzo, con Super-santos e Tg Mazza, con interviste,
notizie strane, ospiti a sorpresa e tante
cose nuove. Ci sentiamo, o meglio ci
sentirete il 4 marzo su Radio Mazza,
l’unica radio che non trasmette una
mazza !
Riportiamo ora la segretissima ricetta dei
Crostoli, consegnata nelle mani dei Mazziani
durante la prima puntata di Giallo Zafferanuz:
CROSTOLI PER 3 PERSONE di media corporatura e capelli castani
INGREDIENTI:
-20 uova intere
-1 pizzico di sale per ciascun uovo
-6 bustine di vanillina
-20 cucchiai di zucchero
-200gr margarina
-100gr burro
-1 lt birra
-1/2 lt grappa
-10 arance, succo
-2 limoni, succo
-farina q.b. ~6/7kg
-olio per friggere
-zucchero a velo
-del buon soram‡nego
PROCEDIMENTO:
mescolare. impastare. riposare. sezionare.
stendare. tagliare. friggare. spolverare.
Nadir, Mar. 2014
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Cultura
A 450 anni da…
una storia diversa
Mirjam Vego
Lo sanno tutti: san Valentino è il 14
febbraio! Quest’anno “M’illumino di
meno” ha pensato bene di sfruttare il
lume di candela romantico per un intento maggiore: il famoso risparmio
energetico. Per reazione a catena, il
museo della Specola a Padova ha pensato di sfruttare bene le candele: visita
guidata serale il 14 e il 15 febbraio nella
torre che guarda alle stelle… In tutto
questo risparmio, anche quello delle date si è rivelato una buona sintesi:
perché tutti sanno che il 14 febbraio
è San Valentino, ma non tutti sanno
forse che il 15 febbraio è nato Galileo
Galilei! Dato che allora un evento per
l’anniversario della nascita del celeberrimo bimbo andava pensato, hanno
sfruttato la giornata del risparmio e
della romanticheria per dare maggiore durata all’occasione ed aderire all’iniziativa di Caterpillar... Così, mentre
tutto era spento, anche le stelle e i pianeti erano alla visita. Per molti lunghi
anni le stelle e i pianeti hanno guardato la Specola anche loro (sentendosi
forse osservati hanno che da ricambiare…). Loro sanno benissimo infatti
che Galileo, costruito un cannocchiale
simile a quelli olandesi preesistenti ma con un potenziamento dell’ingrandimento di 20 volte maggiore, si
è ingegnato a sfruttarlo per studiare
gli astri. Il telescopio prima non aveva
quel fine e, benché non fosse il primo
inventore dello strumento, fu il primo
a puntarlo in alto. Mente diversa da
quelle del suo tempo, già da fanciullo aveva rivelato la libertà delle sue
meningi… infatti, nato nel 1564 era
figlio di un liutaio e compositore, un
tale Vincenzo Galilei, noto all’epoca.
Guardando il padre imparò l’arte, ma
questi, desiderandolo medico, lo mandò dai gesuiti a studiare, e lui… invece
di studiare si sentì chiamare e si fece
monaco! Richiamato in casa e svestito
per ordine del padre, continuò a guardare in alto, a osservare lanci e cadute.
Era a Pisa allora, e ci restò fino ad ottenere la cattedra in matematica. Oltre
alla didattica, per cui sembra che non
fosse un buon insegnante, il giovinetto
dovette assumere in eredità il grande
debito accumulato dal babbo per la
famiglia numerosa! Il povero Galileo
prendeva sessanta scudi all’anno, pochini allora, e avendo un contratto in
chiusura quando il padre morì, chiese
una raccomandazione all’amico Guidobaldo Del Monte. Questi lo mandò
nello Studio di Padova, dove era ancora vacante la cattedra di matematica.
Nel 1592 le autorità della Repubblica
di Venezia emanarono il decreto di nomina, con un contratto, prorogabile, di
quattro anni… lui ci restò per 18: era
una cattedra completamente garantita
e finanziata dalla Serenissima con 180
fiorini all’anno! Peccato che un matematico non avesse diritto a parlar di
stelle come un filosofo e la cattedra in
Filosofia naturale sperimentale non gli
fosse stata data: così il buon Galileo
accettò la proposta di tutto ciò a Firenze, con la bellezza di essere cortigiano
per i Medici. Per sdebitarsi ancora,
ingegnò, dopo il flop del termoscopio
a Padova, una bussola per orientare i
cannoni. Già… il termoscopio fu un
flop, anche perché dopo anni di studi
di termometria in cui gli scienziati si
cimentavano tra liquidi di tutti i tipi,
un docente di medicina di Padova,
Santorio, brevettò il suo strumento!
Ah, se avesse ascoltato il padre… forse non sarebbe stato docente di matematica a Padova! Quale orgoglio!
Trasferitosi comprese infatti l’errore:
il vento della Chiesa vaticana soffiava
forte in Toscana, mentre la val padana
forse gli avrebbe garantito di starsene
tranquillo a studiare a casa. Non tutti
forse lo sanno, ma Galileo non osservò mai dalla Specola, conosciuta ora
come osservatorio, ma semplicemente
da casa sua, in quel vicoletto che prende il suo nome tra via del Santo e via
San Francesco in centro a Padova. La
Specola invece allora era parte di un
castello della famiglia carrarese, e per
la precisione era una prigione: altro
che veder le stelle in quel della torre!!
Tornando al nostro Galileo, fu piuttosto un’altra la torre in cui si parla di lui:
quella di Pisa. Lanciò forse giù dalla
torre due palle con una massa diversa?? No! E’ una gran falsità: lui studiò
il fenomeno in maniera inversa e dedusse che se con un liquido sempre più
denso la differenza di caduta aumenta
sempre di più, nel vuoto la differenza
sarebbe stata nulla. Sempre allo stesso modo, con l’intuizione inversa, dedusse l’inerzia dal piano inclinato…
Non riuscì neanche a dimostrare che
il sistema copernicano fosse vero: in
generale ogni genere di pensiero era
formulato in questo modo, poiché bastava allora riuscire a controbattere ad
una critica perché la tesi reggesse! Ad
esempio al fatto che la Terra effettivamente potesse portarsi dietro la Luna
nella sua Rivoluzione, diede sostegno
con l’esistenza dei satelliti di Giove.
Non è però che le pensasse tutte giuste! Infatti ad esempio non appoggiava assolutamente la teoria di Keplero
dell’influenza della Luna sulle maree.
D’altronde chi contraddirebbe però
una grande testa? Solo La Chiesa, che
ancora ferma sulle teorie aristoteliche
e tolemaiche dichiarò eretico il sistema
copernicano! In fondo però l’abiura ne
bloccò le parole, ma lui continuò a
studiare e a scrivere. Conscio poi dei
rischi di plagio era solito anche anagrammare le sue scoperte, come quella
dei satelliti di Saturno. Molto non gli
fu riconosciuto, tanto fu criticato da
colleghi e da studenti, e solo nel 1992
il Vaticano ha cancellato formalmente
le accuse contro Galilei, che di eretico
aveva poco e di originale molto. Infatti
le sue creazioni, tra cui un raccoglitore di pomodori ed un pettine tascabile
e trasformabile in posata, erano tra le
più svariate! Un’altra fu una combinazione di specchi e candele fatta per deviare la luce attraverso i corridoi degli
edifici. Chissà cosa avrebbe detto dei
visitatori della Specola, ciascuno col
suo lume in mano…? Chissà cos’hanno detto di loro le stelle vedendoli sulla
cima della torre? è bastato spegnere le
luci per vedere…
IPSE DIXIT
Ottimisti della sessione:
«Finirà anche questa vita...!»
(A.A.)
«Che schifo di vita che stiamo facendo.»
(L.N.)
«Volevo morire c***o!»
(B.H., rievocazione storica)
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Nadir, Mar. 2014
Cultura
I buchi neri non esistono?
Vito Squicciarini
“Nessuno canti più d’amore o di
guerra. L’ordine donde il cosmo traeva nome è sciolto; le legioni celesti
sono un groviglio di mostri, l’universo ci assedia cieco, violento e
strano.Il sereno è cosparso d’orribili
soli morti, sedimenti densissimi d’atomi stritolati. Da loro non emana
che disperata gravezza, non energia,
non messaggi, non particelle, non
luce; la luce stessa ricade, rotta dal
proprio peso, e tutti noi seme umano viviamo e moriamo per nulla, e
i cieli si convolgono perpetuamente
invano.”
Primo Levi
Odissee nel tempo e nello spazio, caravelle stellari che approdano a lidi
ignoti, inesplorati, d’universi paralleli,
flotte che sostano in isole galattiche
sperdute nel gran mare del futuro e
del passato, civiltà separate da milioni di anni, e d’anni luce, che vengono
improvvisamente in contatto: da Clarke ad Asimov, da Star Trek a Contact,
dall’arte alla letteratura, dal cinema
alla poesia, non c’è campo della cultura che non sia stato voracemente fagocitato dai buchi neri, forse gli unici
oggetti del cosmo, insieme ai gemelli
del nostro pianeta azzurro, a quelle
oasi di vita e di coscienza, sparse qua e
là nella vastità di uno spazio che oggi
ci sembra deserto, ancora capaci di
suscitare curiosità, sogni, emozioni
nell’immaginario collettivo. La loro
esistenza, postulata già nel Settecento
da Pierre-Simon Laplace e inquadrata
nell’ambito della fisica teorica grazie
ai lavori di Schwarzschild e Chandrasekhar della prima metà del secolo
passato, appare ormai confermata da
numerose osservazioni della volta celeste, a tal punto che ogni ipotesi che
ne negasse in toto la presenza sarebbe certamente accolta con scetticismo
dalla maggior parte della comunità
scientifica. Ma se l’ipotesi in questione
fosse avanzata da Stephen Hawking,
che di buchi neri ne sa, probabilmente, più di chiunque altro al mondo, la
reazione non potrebbe che essere di
sincero interesse. “There are no black
holes”: queste parole, estrapolate incautamente da giornali e riviste di
tutto il mondo, sono rapidamente balzate agli onori della cronaca, non solo
scientifica. Eppure, lo studio del settantenne scienziato britannico pubblicato su Nature il 22 Gennaio 2014, dal
titolo (apparentemente) inspiegabile
di “Conservazione dell’informazione
e previsioni meteo nei buchi neri” si
rivela, ad una lettura più attenta, molto meno rivoluzionario di quanto possa inizialmente sembrare.
Hawking e i buchi neri: è la storia di
un rapporto privilegiato, quello che il
grande fisico londinese, già Professore
Lucasiano di Matematica all’Università di Cambridge (cattedra che fu di
Isaac Newton), intrattiene da decenni
con gli oggetti più strani dell’universo.
Teorizzatore, nel 1974, della radiazione che adesso porta il suo nome e autore di innumerevoli articoli, saggi, libri sulle stelle nere, egli ha contribuito
più di ogni altro a plasmarne la nostra
attuale comprensione; tuttavia, l’accumulo nel corso degli anni di dubbi e
perplessità su alcuni aspetti dei modelli teorici attuali ha reso necessaria
una revisione di ciò che si dava ormai
per scontato, la formulazione di nuove
ipotesi, la ricerca di nuove prove che le
convalidassero. Porsi domande, cercare risposte: è questo, in fondo, lo spirito della scienza. Il suo recente articolo – un esempio di elegante e asciutta
Nadir, Mar. 2014
9
Cultura
prosa scientifica – si propone appunto
di evidenziare ciò che non funziona
nei nostri modelli, avanzando nel contempo una nuova idea che permetta di
superarne le contraddizioni.
Che cosa non si è ancora compreso di
questi strani oggetti cosmici? Ma soprattutto, cosa si intende esattamente
per “buco nero”? Nella fase terminale
del ciclo vitale di una stella, quando
tutto l’idrogeno è stato convertito in
elio, le reazioni termonucleari che le
permettevano di bilanciare la forza di
gravità generata dalla sua stessa massa
cessano, determinandone una brusca
contrazione. La temperatura all’interno del nucleo sale fino a 100 milioni
di gradi, rendendo possibile la fusione
di elio in carbonio. Il nuovo equilibrio
così faticosamente raggiunto è però
effimero e quando anche l’elio termina, ricominciano i terribili spasimi
che squassano l’astro morente. L’agonia si prolunga, sempre più terribile,
con la sintesi dell’ossigeno, del sodio,
del silicio; a questo punto, è la massa dell’astro che ne decide il destino.
Stelle piccole come il Sole espellono
con violenza gli strati più esterni nello
spazio circostante, mentre il nucleo,
reso stabile da un fenomeno quantistico detto “pressione di degenerazione”, dà origine ad una nana bianca
caldissima, destinata ad errare solinga, per sempre, nell’infinità dell’universo. Se però il nucleo della stella
supera le 1,44 masse solari, la sintesi
degli elementi della tavola periodica
prosegue fino al ferro; tutto ciò che
rimane dell’astro dopo un’apocalittica
esplosione di supernova è una piccola, ma densissima, stella di neutroni o
pulsar, grande quanto la città di New
York, ma con una massa superiore a
quella del Sole (a proposito, gli scienziati sono giunti alla conclusione che
l’enorme gravità di Krypton, il pianeta
natale di Superman, sia dovuta proprio alla presenza nel suo nucleo di
un pezzo di pulsar)! Le pulsar sono
caratterizzate da un fortissimo campo
magnetico e da rapide e regolarissime
rotazioni attorno a se stesse, tanto che,
sulle prime, furono scambiate, a causa
delle regolari emissioni di raggi gamma in tutte le direzioni, per “fari” interstellari progettati da una razza aliena particolarmente versata nel viaggio
intergalattico. Se il nucleo della nostra
stella supera le tre masse solari, non c’è
nulla che possa fermare la contrazione gravitazionale, che tenderà a concentrare tutta la massa in un punto di
densità infinita, una “singolarità”, che
chiamiamo “buco nero” poiché la sua
velocità di fuga è così alta che neppure
la luce può uscirne.
Ipotizziamo ora di trovarci nelle vicinanze di un buco nero e di essere
curiosi di scoprire ciò che succede
alla materia e all’energia quando esse
varcano il “confine” tra lo spazio interstellare e la singolarità. In base alla
teoria della relatività generale di Einstein (grazie alla quale è stato possibile prevederne e poi confermarne l’esistenza), una volta superato il punto
di non ritorno (comunemente detto
“orizzonte degli eventi”) nulla, sia esso
un raggio di luce o una particella subatomica, può più uscirne. Tuttavia, lo
stesso Hawking dimostrò nel 1974 che
la produzione spontanea di una particella e di un’antiparticella nei pressi
dell’orizzonte degli eventi (un processo detto “polarizzazione del vuoto”)
può effettivamente sottrarre massa a
un buco nero, rendendone dunque
possibile l’evaporazione. La radiazione così ottenuta, sostenne Hawking,
non avrebbe potuto in ogni caso restituire alcuna informazione degli av-
Stephen Hawking
venimenti all’interno del buco nero.
Questo crea però un grave problema,
noto come paradosso dell’informazione: se il buco nero inghiottisse davvero la materia per riemetterla sotto
forma di radiazione completamente
casuale, esso violerebbe un principio
fondamentale della teoria quantistica, secondo la quale l’informazione
non può essere distrutta. La teoria dei
quanti prevede invece che nei pressi
dell’orizzonte degli eventi dovrebbe
esistere una barriera di fuoco (“firewall”) di particelle ad alta energia, in
contrasto clamoroso con il principio
di equivalenza einsteiniano, secondo il quale un osservatore in caduta
libera deve comunque osservare le
stesse leggi della fisica e dunque non
dovrebbe attendersi nulla, a parte l’allungamento relativistico dei tempi, di
eccezionale nella sua caduta senza fine
in una singolarità.
La soluzione proposta dallo scienziato
è l’abbandono del concetto di “orizzonte degli eventi” a favore di un “più
benevolo orizzonte apparente”, che se
da un lato continua a rispettare le leggi della relatività, permette dall’altro
di salvaguardare l’informazione contenuta in materia ed energia; essa, sostiene Hawking, è contenuta solo momentaneamente nel corpo celeste, ma
può essere rilasciata, sebbene in forma
più ingarbugliata, caotica, esattamente
come avviene per le previsioni meteo
sulla Terra. Egli è ben consapevole dei
limiti di questa soluzione, finora priva
della necessaria elaborazione matematica. Ciò che manca davvero per
comprendere finalmente la natura dei
buchi neri, stelle senza più luce ove il
tempo adora fermarsi per prendere un
po’ di riposo, punti nei quali le leggi
dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo convergono e si
danno battaglia, è una teoria capace di
unificare la gravità con la meccanica
quantistica, le due maggiori conquiste
intellettuali della scienza del ventesimo secolo. La ricerca va avanti. I buchi neri si destano all’alba del 23 gennaio scoprendosi un po’ meno buchi e
un po’ meno neri, ma non per questo
essi perdono il loro fascino così particolare che ancora oggi, a distanza di
decenni dalla loro scoperta, continua
a stupirci e a farci sognare.
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Nadir, Mar. 2014
Poesie e Racconti
Gigantomachia
Parte terza
I Custodi della Vita
Angelo Balestra
“Salve, Primo. Come si sente oggi?”
“Mai stato meglio, Senatore, mai stato meglio…”
L’ologramma al centro dell’ufficio era un vecchio seduto su una sedia bianca. La pelle era grigia e rattrappita, e il collo innaturalmente lungo era
percorso da sei tubi d’argento, che sbucavano fuori dalle due cavità tra clavicole e trapezi e gli penetravano nella mandibola.
Il viso e le mani erano devastati da rughe centenarie, gli occhi erano rossi, e ogni singolo muscolo sembrava atrofizzato per lo sforzo di tenersi
aggrappato al corpo antico. Tutto, in lui, pareva immobile: il vecchio non apriva la bocca nemmeno per parlare, ma una voce giovanile riempiva
la stanza quando voleva dire qualcosa, proveniente da dei nano-robot nel suo cervello in grado di leggere le sinapsi del linguaggio.
“La spedizione ha avuto buon esito?”
Il Generale annuì. Era seduto su uno sgabello di fronte al Primo, nell’atteggiamento composto e superiore dei militari di alto grado, avvolto come
sempre dalle stringhe rosse della sua tuta.
“La creatura è stata smembrata e trasportata nei laboratori delle basi tre, cinque e sette. Ora è in corso l’analisi biochimica dei resti.”
“Bene, bene…” sospirò la voce “Avete subito molte perdite?”
“Diciassette aereo-navi sono state abbattute durante il combattimento. In merito a questo, avrei una richiesta da farle, se me lo concede…” rispose
il Generale.
“Prego, Senatore, prego…”
“Vorrei avere a disposizione cannoni ad antimateria più potenti. Mi chiedevo se sulla Terra ci fosse stato un miglioramento nella tecnologia di
queste armi, e se lei potesse procurarci dei progetti per metterle a punto qui.”
“Avete ingegneri e scienziati a sufficienza per progettare nuove armi autonomamente, non avete bisogno di aiuti provenienti dalla nostra galassia.”
Il Generale annuì gravemente, poi piantò il suo sguardo negli occhi rossi del vecchio e si sporse verso di lui.
“Quello che ho in mente, in realtà, è decuplicare la potenza dei nostri cannoni.”
Il labbro del Primo s’incrinò quasi impercettibilmente.
“Decuplicare! Ha in mente di distruggere il pianeta, Senatore Teogon? I cannoni con cui sono attrezzate le sue corazzate sono già sufficienti a
spianare le montagne!” esclamò, e la voce innaturalmente giovane aveva nelle corde una sfumatura d’irritazione.
“Ha ragione... E, nonostante questo, la battaglia che abbiamo ingaggiato con il gigante si è protratta per più di venti micro-croni, e abbiamo perduto molti uomini e molte navi” disse il Generale, sporgendosi ancora “nel caso ci ritrovassimo a lottare contro un gruppo di queste creature, la
potenza di fuoco di cui disponiamo potrebbe non essere sufficiente a garantirci la vittoria”.
Il Primo restò in silenzio. Il Generale non pareva disposto a distogliere lo sguardo.
“Vedremo, Senatore, vedremo…” acconsentì infine, dopo un micro-Crono d’attesa.
“Ora, però, vorrei parlarle di… un’idea, che da qualche tempo gira e rigira nel mio vecchio cervello… Ha mai sentito parlare, Senatore, del mito
di Godzilla?”
“No” disse secco il Generale, ritraendosi e incrociando le braccia.
“Si tratta di una leggenda americana del mille-novecento… Narra di un grosso gorilla, proveniente dalla giungla, che viene portato a New York,
la città più importante del mondo, durante quel periodo storico… Il nome del gorilla è Godzilla, e le radiazioni dei primi esperimenti per la creazione della bomba atomica lo hanno reso mostruosamente grande… Tale creatura suscita enorme scalpore tra la gente, tanto che organizzano
anche degli spettacoli con lui come attrazione, ehm, fino al punto in cui la situazione degenera, e Godzilla riesce a liberarsi e distrugge la città…”
“Lei mi vuole proporre di trasportare uno dei Giganti nella Via Lattea?”
Gli occhi rossi del Primo oscillarono leggermente per l’interruzione, ma poi ritrovarono quelli del Generale e si fermarono “Si, Senatore” affermò
la voce, di nuovo irritata.
Il Generale scosse la testa.
“Non abbiamo navi così grandi, stiamo parlando di creature enormi…”
“Potreste provare a trainarne uno con due navi. Abbiamo pur bisogno di dati provenienti dal Pianeta, e finora molte navi sono partite, ma nessuna
è ancora tornata. E poi, questo potrebbe essere un buon incentivo per finanziare i suoi progetti di armi più potenti, non crede?”.
Il Generale smise di scuotere la testa.
“Proporrò l’idea ai nostri scienziati.”
Di nuovo ci fu silenzio. Gli occhi del Generale si persero sugli olografici sulla parete, che con tabelle di dati e collegamenti con telecamere illuminavano l’ufficio di una luce blu.
“Bene, Senatore. E’ giunto il momento di chiudere questa conversazione. Non so se l’hanno informata, ma questa è l’ultima volta che ci intratterremo a parlare insieme…”.
“Quindi ha deciso di morire?”
“Si, ho deciso di morire. La mia vita va avanti da mille-seicento-venticinque Croni, ormai, e da quasi mille-trecento tengo le redini della Coalizione… Credo di aver fatto tutto quello che avevo da fare, in questa vita. Lei non crede?”
Il Generale restò in silenzio. Dall’intonazione della domanda, era evidente che il Primo volesse continuare. “Tra meno di un Crono smetterò di
curarmi, e lascerò andare la vita. Allora il mio corpo verrà caricato su un’astronave funebre, e in pochi centi-Croni raggiungerà la superfice del
Sole*. E di me, non si avrà più memoria.”
“Bene signore. Non mi resta che augurarle buon viaggio”.
“Com’io l’ho augurato a lei qualche tempo fa… Ricorda, Senatore?” disse il Primo, e un sorriso cercò di sbocciare sulle labbra antiche, ma rimase
invischiato nella ragnatela di rughe.
L’ologramma scomparve, e il Generale si trovò da solo.
Fece un respiro profondo, poi si alzò e cominciò a camminare in cerchio: un Godzilla molto simile al Gigante che aveva abbattuto due deci-Croni
fa si divertì ad abbattere grattacieli nella sua mente per un po’. Mentre camminava, il suo sguardo cadde di nuovo sugli olo-schermi, e vide che la
biologa lo stava aspettando dietro la porta dell’ufficio.
“Prego, dottor Gabriel, entri pure” disse, e la porta bianca si dissolse all’istante.
“Salve Generale”, disse lei entrando.
La biologa era una donna alta, con occhi azzurri e un’espressione grave ricamata su lineamenti perfetti: si posizionò davanti al Generale, con le
spalle dritte e le mani incrociate dietro la schiena.
“Avete i risultati dei primi test?”
Nadir, Mar. 2014
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“Si, Generale. Il guscio del Gigante è una miscela di molti minerali, e solo pochi di questi non sono mai stati classificati nella nostra Galassia.
E’ composto al 45,7% ossigeno, 23% di silicio, 5,5% ferro…” iniziò a elencare gli elementi con voce ferma, mentre questi si materializzarono
all’istante in una tabella proiettata a mezz’aria al centro dell’ufficio. Dopo il guscio, descrisse le proprietà chimiche della pelle, dei muscoli e degli
organi interni.
“Abbiamo inoltre potuto verificare che le ipotesi riguardo al metabolismo e ai processi vitali di queste creature sono corrette.” Aggiunse la biologa,
e al posto delle tabelle comparve l’immagine di un organo dalla membrana gialla e viscosa tagliato in due parti, in modo da mettere alla luce il
magma rosso al suo interno. “I polmoni sono circondati da migliaia di organelli, in grado di sintetizzare l’ossigeno attraverso reazioni chimiche
interne: il Gigante è completamente autosufficiente per quanto riguarda la respirazione. Questo, sommato al fatto che la fauna di plancton e zooplancton presente nel fluido blu che circola all’interno dei loro organismi li rende indipendenti anche per quanto riguarda l’alimentazione, ci
fornisce la prova che i Giganti non hanno alcun bisogno del proprio pianeta per sopravvivere.”
“Sono completamente autonomi…” sussurrò il Generale Teogon a mezza voce, guardando l’immagine. Poi iniziò a percorrere l’ufficio a grandi
passi.
“Eccellente dottor Gabriel, eccellente… Mi congratulo con lei” disse il Generale.
Nonostante che l’esclamazione voleva essere chiaramente un congedo, la biologa rimase al suo posto.
“Ha qualcos’altro da dirmi, Dottor Gabriel?” disse il Generale dopo un breve silenzio.
“In realtà sì.”
“Allora parli, dottore, e poi mi lasci solo, mi ha fornito molte cose su cui riflettere…”
La biologa esitò un momento
“Lei sa che, durante la battaglia, delle navi sono state colpite da dei massi, e uno dei soldati semplici, Bramir Fourier, è precipitato in uno degli
occhi del Gigante…”
“Ricordo. Il ragazzo si trovava sulla nave del Cacciatore. Hanno perso metà dell’equipaggio, e l’aereo-nave è andata distrutta.”
“E’ la verità. Tuttavia, dopo la caduta, i nostri macchinari hanno continuato a registrare l’attività celebrale del soldato per circa tre micro-Croni,
prima di perdere definitivamente ogni contatto. Credo che le registrazioni potrebbero sembrarle molto interessanti…”
La nave spaziale s’immergeva lentamente nell’atmosfera di Yalta. Daeneris sorgeva piano dalle montagne all’orizzonte, e nel bagno dei suoi raggi
soltanto il rumore del vento non era rosso. Sotto la nave c’erano la pineta e il campus: un’oasi protetta da una serra di cristallo, al riparo dalle tempeste
di sabbia e dalle radiazioni cosmiche. La nave entrò nella serra attraverso un portale sottile, permeabile come la membrana di una cellula, e il vento
smise di soffiare.
Un fischio sordo le riempì le orecchie.
Al suo fianco, Bramir muoveva la bocca e gesticolava, ma il fischio ne copriva le parole e a tratti l’immagine. Il ragazzo le mostrò una capsula.
Se la ritrovò in mano.
Ora la girava tra le dita: sulla superficie argentea la sigla “PPJ, expeditons to the Giants Planet, simple soldier” riluceva rossa come il sangue.
Le fronde degli alberi sfioravano i lati della nave, quando la sagoma del gigante cominciò a prender forma nella tempesta di sabbia oltre la serra: il
volto era solcato da profonde cicatrici, la linfa blu gli colava copiosamente dagli occhi e dalle labbra. Era spaventato. Muoveva in modo scomposto le
sei zampe: né levò una, e il pugno si abbatté sul cristallo.
TROOON!
Un tuono risuonò violentemente nella stanza, e Flavia si alzò di scatto.
Si mise seduta sulla branda bianca: per un momento rimase a chiedersi se il rumore era stato reale, oppure provenisse dal suo sogno. Poi vide i
suoi compagni agitarsi nei letti vicini, e sguardi interrogativi percorrere gli angoli bui della cella.
“Cosa è stato?” chiese uno dalla branda al suo fianco.
Flavia non rispose, ma si alzò e si diresse verso la porta. Oltrepassò i letti dei suoi compagni e uscì in corridoio. Altri soldati si affacciavano dalle
loro celle e s’interrogavano a vicenda.
Il rumore era venuto dal bagno comune: alcuni si diressero lì, e Flavia li seguì.
Una creatura si muoveva inquieta nel cerchio degli occhi spalancati.
Aveva forme umane, ma la pelle era nera: gli stava sul corpo in brandelli carbonizzati, pendeva malamente dallo scheletro grigio e lasciava
scoperte intere regioni del corpo. La muscolatura del braccio destro era completamente nuda, il bicipite gonfio si contraeva con difficoltà tra i
legamenti sfilacciati che lo legavano all’osso, e solchi profondi sul torace mostravano gli organi pulsanti oltre le costole, grondanti un liquido blu
elettrico. Le vene e le arterie erano esposte, e stavano attaccate al corpo come fili di spago nero. Il volto sembrava una colata lavica solidificata:
le orbite erano serrate, come se le palpebre si fossero fuse insieme, e così le narici. Le labbra erano sottili e bruciate, e la bocca era spalancata,
nella parte destra del viso, in un enorme squarcio che mostrava completamente l’interno della mandibola. Nonostante l’assenza di occhi, il volto
cercava qualcosa tra la folla.
A un tratto incrociò il viso di Flavia, e la creatura tese una mano verso la ragazza.
Lei gli si avvicinò piano: era quasi certa di scorgere qualcosa di familiare in quel corpo dilaniato. Scansando i compagni arrivò a un passo da lui.
La mano era tesa e aperta. La prese, e strinse forte le dita nere, fragili come rami secchi.
Fu un lampo: un flusso di energia la conquistò, ogni terminazione nervosa s’illuminò di ogni sensazione, ed evaporò: non percepiva più il suo
corpo come un’entità unita, i pensieri smembrati urlavano e lottavano spaventati, e infine esplose: sentì il petto oppresso, sentì l’aria fuggire via
dal luogo dove si stava ricomponendo, si sentì di nuovo una e di scatto lasciò la mano: un boato sordo le ferì le orecchie, lasciando un fischio
sordo rimbombargli nel cervello, e gli occhi erano appannati e i muscoli scossi da molti spasmi. Cadde in ginocchio. Le gambe non incontrarono
il pavimento bianco del bagno comune, ma la terra nera e sabbiosa. Un conato le salì dallo stomaco, e il vomito attraversò la tuta spaziale come
se fosse fatta di aria. Stette un momento con la testa china, respirando forte.
Alzò lo sguardo: si trovava sulla vetta di una montagna, il paesaggio era brullo e giallo, e si percepivano suoni di grandi masse spostate in lontananza.
La creatura la osservava dall’alto, sullo sfondo di nuvole nere e dorate.
Si alzò. Si avvicinò a lui, e con le lacrime agli occhi gli si gettò al collo.
“Oh, Bramir, mi dispiace di averti abbandonato! E’ stato il Cacciatore a lasciarti andare, io ho cercato di fermarlo!” urlò. Sentendo il corpo debole
e fragile tra le sue braccia, smise quasi subito di stringerlo: ma prima di lasciarlo impresse un bacio lieve sulle labbra distrutte.
La creatura non sembrò particolarmente colpita da quel gesto.
“Quello che è successo non dipendeva da te” sussurrò infine.
La voce afona e spenta recava tracce di una grande sofferenza. Flavia seguì angosciata il movimento delle labbra sottili, e una smorfia di tristezza
s’impresse ancora più a fondo nella sua espressione quando si rese conto di non essere in grado di indovinare alcuna emozione sul volto sfigurato.
“Ma come hai fatto a sopravvivere? Come riesci ora a vedermi?”
Le labbra secche di Bramir si contrassero in una specie di sorriso.
“L’occhio del gigante mi ha privato del tatto e della vista, ma mi ha donato nuovi sensi: quella che il mio occhio percepiva come luce, il corpo mio
intero ora la avverte come energia. Qualcosa dentro di me oscilla come una canna nel vento, e mi da coscienza di ciò che ho attorno. Così avviene
per ogni onda che mi attraversa, per ogni particella che mi colpisce”
La risposta fece molto effetto su Flavia. Si avvicinò al ragazzo e iniziò a sfiorargli il volto con la punta delle dita.
“Ti prego, dimmi cosa ti è successo dopo la caduta…”
Bramir non si mosse. Nonostante non riuscisse ad avvertire nessuna pressione, gli faceva piacere sapere le dita dell’amica sul suo viso.
“Alla fine della caduta mi ritrovai nel suo occhio. Allora, ogni estremità del mio corpo prese a brillare: venendo a contatto con il liquido blu, la
tuta aveva iniziato a surriscaldarsi, e le vibrazioni delle stringhe erano impazzite, e all’improvviso fulmini rossi mi circondavano le mani come
vortici incandescenti, traiettorie di particelle infinitamente veloci mi avvolgevano le braccia, finché non non vidi più nulla: la tuta riempì i pochi
millimetri che la separavano dal mio corpo, e iniziò a fondersi con la mia pelle. Sentii gli occhi sciogliersi, il fuoco divorarmi la carne e le ossa,
scavare nei miei muscoli e distruggere gli organi più interni, e le stringhe strinsero in una morsa il mio sistema nervoso: in un istante percepii
tutte le dimensioni possibili, tutte le infinite facce dell’universo. Ero in una sorta di nirvana, e capii che era giunto il tempo di morire. Non ri
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Nadir, Mar. 2014
maneva altro che aspettare di non provare più nulla. Ma nonostante le fiamme, qualcosa mi teneva ancorato alla vita. Qualcosa, nell’occhio del
gigante, si era aggrappato alla mia anima e non permetteva al dolore di finirmi: il liquido vischioso che aveva liberato le stringhe e le aveva aizzate
contro di me ora scivolava sui miei organi, li ricostruiva appena dopo che si carbonizzavano, e lottava contro la furia distruttrice delle particelle.
La morte e la vita si contendevano quello che restava di me, e mi lasciavano agonizzante, strappandomi lembi di carne e rigenerandoli in un ciclo
che non riuscivo a comprendere.
Volli andare via. Volli scomparire. E come se le particelle si fossero legate improvvisamente alla mia volontà, mi disintegrai. Ritrovai me stesso su
una delle montagne del pianeta. Ero come mi vedi ora, non avevo occhi, soltanto una percezione totale dell’esistenza: delle mie braccia spolpate,
della pelle carbonizzata e dei polmoni ai quali ancora era rimasto aggrappato il fluido blu dell’occhio del gigante. Urlai di nuovo, e scomparii.
Ora ero nello spazio, a orbitare intorno al pianeta. Esterrefatto, scoprii che avevo portato la montagna su cui ero atterrato con me. Lì ebbi modo
di riflettere: capii che le particelle che avevano devastato il mio corpo mi permettevano di viaggiare attraverso le dimensioni, e che la linfa del
gigante mi teneva in vita. Riflettei a lungo su quello che era stato in grado di fare quel fluido blu, e ciò mi spinse a ritornare sulla superficie del
pianeta e a cercare un senso: allora, tutto mi fu chiaro.”
Flavia aveva ascoltato in silenzio il discorso di Bramir. Continuava a sfiorare il corpo dell’amico, e guardando attraverso le costole scoperte capiva
finalmente il colore blu elettrico dei polmoni.
“Oh, Bramir, Bramir…” sussurrò piano “E cosa farai ora?”
Bramir allontanò il volto dalle dita di Flavia.
“Parlerò con il Generale Teogon.” Disse deciso. “Molte cose mi sono oscure sulla natura di questa missione, e ho bisogno di chiarimenti.”
Flavia abbassò lo sguardo, poi scosse la testa, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso.
“Non puoi tornare alla base! Ti cattureranno, e ti useranno come cavia per degli esperimenti!” Esclamò tra i singhiozzi. Ma Bramir sorrise con
aria rassicurante.
“Non mi faranno niente, Flavia… Posso viaggiare nelle dimensioni, non mi ci vorrà niente ad allontanarmi, se le cose dovessero andare male. Appena ti ricondurrò nella base parlerò con il Generale Teogon, e pretenderò una risposta alle mie domande. Ma prima di andare, voglio mostrarti
una cosa” disse il ragazzo, e le prese per mano.
Si materializzarono in un isolotto al centro di un grande fiordo. Oltre che dal rombo assordante dell’aria che fuggiva dal luogo dove le loro particelle erano tornate ad aggregarsi, le orecchie di lei furono aggredite da rumori lontani, vibrazioni sismiche, suoni profondi e cupi, che scandivano
il tempo in un ritmo tribale, proveniente dal petto di un tenore primitivo. Lo spavento fu tale che la ragazza non poté trattenersi dal gettarsi tra
le braccia di Bramir, e nascondere lo sguardo dietro al petto carbonizzato.
Il ragazzo, invece, non parve impressionato dai tuoni: aveva il petto in fuori e la testa protesa verso l’estremità del fiordo, come se stesso ispirando
dalle narici perdute, teso in direzione di quella musica lontana, e il suo profilo emanava una sorta di sicurezza, l’aura di chi ha il controllo della
situazione.
“Alza lo sguardo, Flavia, non devi preoccuparti di nulla. Se mai ci troveremo in pericolo, saprò portarti via di qui prima che tu te ne renda conto…” la rassicurò lui, al che la ragazza guardò prima il suo viso, poi l’orizzonte.
Figure lontane ed enormi popolavano l’estremità della valle, talmente distanti che della luce delle stelle riflettevano soltanto il colore grigioazzurro tipico delle montagne lontane. Tuttavia, a causa dell’enorme mole, i loro movimenti e le loro posizioni erano perfettamente distinguibili:
era dai loro polmoni che proveniva la musica primitiva, risuonava dentro di loro come in profonde caverne, si propagava tra le rocce delle montagne e ancora più oltre.
Il Gigante più grande era simile a un granchio grigio, aveva le sei zampe immerse nelle acque, e dal corpo piatto e striato di linee verdi colavano
una miriade di corsi d’acqua che si riversavano nel fiordo come cascate: dai denti mostruosi precipitava un vero e proprio fiume, talmente carico che il rumore dei flutti scroscianti si fondeva alle note cupe e alle scosse sismiche, e i raggi delle stelle creavano nelle acque in caduta libera
un gioco di arcobaleni incrociati. Tra le zampe, solide come pilastri, sgusciavano altri Giganti simili a serpenti marini, con le schiene marroni
formavano file di archi sulla superficie dell’acqua, e quando le loro teste dragonesche uscivano allo scoperto emettevano suoni profondi, come
corni nel corso di una battaglia. Giganti dai corpi sottili percorrevano le pareti rocciose come millepiedi, e nella corsa frenetica le zampe che
impattavano contro la roccia causavano frane e crolli della gravità di piccoli terremoti, e i detriti che cadevano nell’acqua formavano onde alte
molti metri, che percorso il tratto di fiordo inghiottivano periodicamente la spiaggia dell’isolotto. Nel cielo volavano creature simili a uccelli,
ma infinitamente più grandi, con lunghe code marroni e gialle, e guglie acuminate che spuntavano fuori dalla schiena e dalle estremità delle ali,
affilate e scomposte come denti di piranha. I giganti volanti percorrevano cerchi concentrici sopra al fiordo, e partecipavano alla nenia tribale
con grida acute e rauche.
Al centro del fiordo, un solo Gigante si dimenava con foga, talmente pieno dell’attività che lo circondava da sembrava il nucleo pulsante di quel
rito: aveva forme quasi umane, ma le gambe erano squamate e lunghe come corpi di serpenti, e le braccia erano vigorose e imponenti. Ballava
davanti al granchio e tra gli archi dei serpenti marini, strisciando sul pelo dell’acqua: era dal suo torace che provenivano le note più profonde, i
suoi movimenti erano i più rapidi, le sue mosse le più frenetiche.
Una luce blu elettrico brillava dentro il suo corpo, e illuminava le acque e l’aria attraverso le crepe sulla schiena rocciosa. D’un tratto, il gigante si
accucciò con le braccia strette al petto, e vibrazioni vigorose scossero le acque e le montagne, e tutti i giganti si fermarono, la musica s’impantanò
in una sola nota cupa e profonda, e la luce blu del suo corpo illuminò ogni angolo del vasto fiordo. Il Gigante si alzò, diede le braccia al cielo e
un uragano biblico lo trascinò verso l’alto ruggendo: le gambe serpentesche si staccarono dal pelo dell’acqua, estese nel volo miracoloso erano tre
volte superiori alla lunghezza del resto de corpo, la sua enorme mole oltrepassò le montagne e i cerchi concentrici dei Giganti volanti, e infine le
nuvole nere e dorate, e quando la sua sagoma scomparve, oscurità e silenzio calarono nel fiordo, e seppellirono i profili lontani degli altri Giganti.
Flavia rimase immobile per un periodo di tempo imprecisato, lo sguardo a fissare il punto in cui le nuvole avevano inghiottito il Gigante. Spostò
lo sguardo sul viso di Bramir: le labbra nere e deformi erano piegate in una specie di sorriso, e le palpebre fuse erano fisse sul muro di nuvole, e
non capiva se lo faceva per riflesso, o quella cosa che vibrava quando le onde la colpivano si trovava davvero dietro al suo volto.
“Cos’è successo?” chiese Flavia con voce tremante. Bramir si voltò verso di lei.
“Abbiamo assistito a un rito d’iniziazione. Ora il Gigante dalle gambe di serpente sta viaggiando nello spazio profondo, illuminato dall’energia
che gli ha permesso di prendere il volo. Presto, le radiazioni cosmiche modelleranno le sue forme, la sua coscienza morirà, e il suo corpo roccioso
sarà trasformato in un asteroide… ma un brodo primordiale continuerà a ribollire nelle sue vene, il fluido blu che circola nelle caverne del suo
corpo continuerà a scorrere come un torrente sotterraneo, la vita continuerà a vivere al suo interno, e anche quando verrà catturato dalla gravità
di un’altra galassia, e la sua pelle impatterà contro la superficie di un altro pianeta, la vita troverà il mondo di uscire dal suo relitto, e foreste e
animali nasceranno dalla sua linfa blu.”
Il ragazzo pronunciò quelle parole come una profezia solenne. La rivelazione scosse dalle fondamenta tutte le certezze della ragazza, e una profonda inquietudine s’impadronì di lei.
Tornò a rivolgere lo sguardo all’estremità del fiordo.
Il granchio era ancora immobile, ma i serpenti, i millepiedi e gli uccelli avevano abbandonato il luogo del rito. Flavia mosse qualche passo verso
il Gigante, sulla sabbia nera che separava l’isolotto dalle acque del lago. “Un giorno, forse, anche lui volerà oltre le nubi…” pensò la ragazza, osservando le forme grigio-azzurre del Gigante immobile “viaggerà nell’universo come uno spermatozoo finché un pianeta non lo accoglierà come
un ovulo, e la vita sboccerà sua sulla terra e negli oceani… E lo spermatozoo perderà coscienza della sua unità e del suo scopo, ma fiorirà… Ecco
i nostri padri, i custodi della vita!”
Note per i lettori del passato:
*Era da quando la Coalizione iniziò la conquista dello spazio che era nata l’usanza di bruciare i corpi dei Primi e dei personaggi che si erano distinti come grandi
benefattori dell’umanità dopo la morte.
Nadir, Mar. 2014
13
Poesie e Racconti
Il vuoto
Se mi chiedessi di immaginare il vuoto
ti direi che io lo vivo il vuoto,
e preferirei dirti menzogne
che spiegarti le mie rogne.
Il vuoto è un po’ come Dio,
è intorno a me ma non è mio
anzi, il mio vuoto è proprio Dio.
Enrico Ridente
Angolo Filosofico
Esposizione per il corso di Storia della filosofia, a.a. 2013/2014
Riccardo Gabrielli
James Joyce, nella satira The Holy Office,
composta a Dublino nel 1904, poco prima
di lasciare definitivamente la città, dedica
esplicitamente alcuni versi a Tommaso
d’Aquino:
So distantly I turn the view
The shamblings of that motley crew,
Those souls that hate the strenght that
mine has
Steeled in the school of the old Aquinas.1
Tale riferimento poetico al Dottore
Angelico esemplifica chiaramente alcuni tratti peculiari del rapporto tra la filosofia scolastica e l’opera dello scrittore
irlandese. Infatti Joyce, come dimostrano i suoi studi presso scuole gesuitiche,
conosceva a fondo il pensiero del santo
domenicano, e lo considerava fieramente
ribelle ed eversivo. Inoltre, Joyce non solo
ha tratto da un’estetica - quella dell’Aquinate - un’autentica poetica, sfruttando
così le intuizioni di Tommaso come un
trampolino di lancio per la composizione
delle proprie opere, ma ha disseminato
il Portrait di riflessioni e discussioni sulla concezione che del mondo e dell’arte
aveva l’autore della Summa Theologiae,
piegando così un materiale tipicamente
storico-filosofico a fini letterari: piuttosto
che scrivere un grande quantità di note
di filosofia dell’arte, Joyce ha scelto di far
“parlare i propri personaggi di poetica ed
estetica”2, stabilendo così un gioco conti-
nuo, di implicazioni reciproche, tra pratica filosofica e scrittura creativa. Trattare
l’estetica di Joyce rende necessario occuparsi di appunti teorici come di testi narrativi. Gran parte della prima stesura del
Portrait, nota come Stephen Hero, è dedicata alle teorie estetiche del protagonista,
al punto da poter essere considerata come
un compendio delle posizioni del primo
Joyce in merito al tema in questione.
E’ opportuno notare come Joyce non
ripeté mai pedissequamente le dottrine
di Aristotele o Tommaso, ma, affascinato
dal rigore formale e dalla logica stringente delle argomentazioni, cercò sempre di
adattarle alle esigenze di un’arte rivelatrice della Verità - desunta, in particolar
modo, dall’insegnamento di Hegel - e realista. Quindi, nonostante l’influenza del
cattolicesimo medievale su Joyce appaia
evidente anche nei romanzi e nelle sperimentazioni linguistiche della maturità
- Ulysses e Finnegans Wake3 inclusi - la
mia esposizione verterà principalmente
su alcuni scritti e quaderni risalenti agli
anni universitari, con l’obiettivo di sottolineare parzialmente l’influsso di varie tradizioni filosofiche sul giovane autore.
Uno dei cardini delle teorie di Joyce consiste nella suddivisione, di remota origine
platonica4, dell’arte nei generi lirico, epico
e drammatico; una convinzione che è rinvenibile anche nel Paris Notebook, in un
appunto del 25 marzo 1903:
Tre sono le condizioni dell’arte: la lirica,
l’epica e la drammatica. E’ lirica l’arte con
la quale l’artista espone l’immagine in relazione immediata con se stesso; è epica
l’arte con la quale l’artita espone l’immagine in relazione con se stesso e con gli altri,
è drammatica l’arte con la quale l’artista
espone l’immagine in relazione immediata con gli altri.5
In Stephen Hero lo stile è maggiormente curato, la prosa si fa più elegante, ma
i concetti restano perlopiù invariati: si
scrive della lirica come del “più semplice
rivestimento verbale di un attimo di emozione” ed anche del lirico come di colui
che “è più conscio dell’attimo di emozione
che non di se stesso in quanto provi un’emozione”. Il poeta epico è rappresentato
metaforicamente come quel “mare vitale”,
impersonale, che attraversa le figure della
narrazione. Nel romanzo, però, il personaggio Stephen Dedalus aggiunge alcuni dettagli, chiarendo così che il genere
drammatico è il maggiore dei tre, perché
riassume e supera i precedenti:
La personalità dell’autore, dapprima un
grido, una cadenza, uno stato d’animo, poi
una narrazione fluida ed esterna, si sottilizza alla fine sino a sparire, s’impersona,
per così dire. [...] L’artista, come il Dio della creazione, rimane dentro o dietro o al
di là o al di sopra dell’opera sua, invisibile,
sottilizzato sino a sparire, indifferente, occupato a curarsi le unghie.6
Nei passi citati risuona la distinzione
hegeliana tra arte simbolica, classica e
romantica, che il critico Noon ha individuato7, oltre al maggior modello di rife-
14
rimento, ossia la Poetica di Aristotele8. Quest’ultima influenza
risulta evidente se si prende in considerazione il principio di
impersonalità dell’opera d’arte, il quale permette all’artista di
“sparire”, che guida la tematizzazione dell’arte drammatica. Nella
Poetica lo Stagirita, infatti, indica solamente le norme da seguire per una creazione artistica, e si disinteressa anche di definire
emozioni estetiche fondamentali quali pietà e terrore, argomento che analizzerà, invece, nella Retorica9. D’altronde, una simile
problematica dell’oggettività poteva giungere a Joyce - facendo affidamento sulle sue letture e sul dibattito della fine del XIX secolo
- o attraverso Baudelaire e Mallarmé o passando per la “tradizione critica anglosassone, usa a pensare le cose dell’arte in termini
aristotelici”10 e l’autore irlandese subiva l’influsso di quest’ultima
corrente. L’estetica proposta dai simbolisti francesi si basava su di
un’idea della Bellezza di stampo platonico; l’artista, dunque, in
questa prospettiva, non poteva che scomparire per lasciar posto
ad una realtà metafisica altra, ingombrante, irriducibile, se non
per “corrispondenze”, a stati d’animo contingenti ed a pensieri
individuali. Si pensi a Mallarmé, che, riferisce Valéry, invidiando
alla musica la diafana anonimia dei contenuti e la lontananza dalla quotidianità, “usciva dai concerti pieno di una sublime gelosia”,
o ai profumi che, in “Correspondances” di Baudelaire, “Ayant l’expansion des choses infinies”11. In Joyce, quest’aspirazione mistica è completamente assente; se egli non è immune al fascino di
considerare un legame tra arte e Verità, sceglie di approfondire
tale relazione da un punto di vista hegeliano, distante da quello
simbolista. Nell’intervento seminariale Drama and life del 1902
si legge che il dramma è “quell’interazione di passioni che dà il
ritratto della verità”, ma l’autore precisa:
[l]a società umana è l’incarnazione di leggi immutabili, camuffate e rese intricate dalla capricciosità e dalle particolari situazioni
degli uomini e delle donne. Il regno della letteratura è il regno di
queste maniere e di questi umori accidentali: un regno spazioso
ed a questi soprattutto il vero artista letterato si interessa.12
Come per Hegel l’arte, essendo manifestazione solo sensibile dello Spirito, non può avanzare alcuna pretesa conoscitiva
dell’Assoluto, il quale esige per sé il movimento del pensiero puro,
così per Joyce la letteratura ha a che fare con la particolarità e
molteplicità dell’esperienza, ed è solo l’elemento delle “maniere” e
degli “umori accidentali” a costituire il suo regno; non v’è possibilità, né bisogno, che essa esprima le “leggi immutabili” delle quali
la “società umana è l’incarnazione”.
Scrive Umberto Eco che la visione di Dedalus richiama “un
oggetto incentrato su di sè che si risolve in sé, mimesi della vita”,
dove i rimandi “sono interni all’oggetto estetico...”13. Quest’affermazione è confermata dalla lettura del Paris Notebook, in cui,
con un tono che ricorda una nota definizione dell’Etica Nicomachea14, è scritto che
[l]’arte è il modo di disporre la materia sensibile o intellegibile per
un fine estetico.15
Nella sentenza citata manca qualsiasi riferimento ad un’individualità che dovrebbe cogliere il Vero al di là, od oltre, ciò che
è empirico; il momento artistico si esaurisce, confluisce interamente nel prodotto d’arte. I testi medievali che Joyce aveva fatto
propri presentavano la poesia sempre come τέχνη, perizia tecnica, e mai alla stregua di una “espressione sentimentale” o di una
“intuizione noetica”16. Concezioni simili erano incompatibili
con le posizioni degli autori dell’età di mezzo; Eugenio Garin
nota, infatti, che la figura del poeta theologus, la quale mette in
pratica lo “sforzo di assegnare alla poesia una funzione rivelante,
costituendola centro di esperienza umana e momento supremo
di essa, [...] punto in cui l’uomo vede sino in fondo la sua condizione”17, appare essere un’eccezione che “si fa strada” solo in
“protoumanisti come Mussato”.18 A riprova di come Joyce avesse interiorizzato la forma mentis scolastica, si può citare ancora
una volta una nota del Paris Notebook:
Domanda: se un uomo che incide in un accesso di furia un blocco di legno, vi scolpisce l’immagine di una mucca (per dire), fa
così un’opera d’arte?
Risposta: L’immagine di una mucca incisa da un uomo in un ac-
Nadir, Mar. 2014
cesso di furia è la maniera umana di disporre la materia sensibile,
ma non è la manieria umana di disporre la materia sensibile a
fine estetico. Perciò non è opera d’arte.19
Qui Joyce, non senza una certa superficialità, procede ricalcando lo schema delle quaestiones quodlibetales tipiche della filosofia scolastica, in cui le risposte risultavano con necessità da una
definifizione rigida e preliminare. Questa posizione è legata alla
nozione medievale dell’ars come recta ratio factibilium, alla quale
Joyce aggiunge però l’assioma della finalità estetica, che è tipicamente moderno. Per un autore come Tommaso - il quale ritiene
la bellezza essere un trascendentale, quindi una determinazione
che appartiene ad ogni ente in quanto tale - le forme naturali
hanno addirittura la priorità su quelle artificiali, poiché, derivando direttamente dall’opera di Dio, si mostrano con uno “spessore
ontologico” maggiore.
Altri due tra i tanti momenti dell’estetica joyciana in cui si
può evidenziare una rimanipolazione personale di considerazioni medievali sono quelli che riguardano i concetti di autonomia
dell’arte ed i criteri formali della bellezza.
Nel capitolo XIX di Stephen Hero il giovane studente Dedalus
polemizza con il preside del college affermando che “sembra che
egli [San Tommaso] consideri bello tanto ciò che soddisfa l’appetito estetico e nulla più, quanto la semplice sensazione di ciò che
piace”, e ancora: “[c]redo che la sua idea si possa applicare alla tela
di un pittore olandese che rappresenta un piatto di cipolle [...].
L’Aquinate sta dalla parte dell’artista capace. Non vi trovo nessun
cenno di istruzione morale”. Qui, Stephen, da un lato, dimostra
di conoscere il passo della Summa Theologiae secondo cui “pulchrum auter respicit vim cognoscitivam: pulchra enim dicuntur
quae visa placent”20, dall’altro, lo utilizza per occultare “sotto vesti medievali proposizioni come quella di Wilde per cui “all art is
perfectly useless”. L’alter-ego joyciano si sofferma sulla perfectio
prima, che riguarda l’apprezzabilità formale di - ad esempio un’opera d’arte ma tace su ciò che concerne la perfectio secunda;
quest’ultima tipologia di perfezioni implica un riferimento al fine
per il quale l’oggetto è prodotto. In altri termini, un dipinto turpe
ed osceno non rispetterebbe la finalità propria dell’umanità, che
è la morale e la salvezza, e sarebbe quindi compromesso anche
esteticamente. Non è affatto vero, perciò, che non vi è alcun cenno di istruzione morale in Tommaso.
Un discorso analogo può essere svolto nei confronti della discussione, presente nel Portrait, dei requisiti della bellezza secondo l’Aquinate, ossia la proportio, l’integritas e la claritas21.
L’interpretazione della proportio è fedele: non sono differenze
rilevanti tra l’asserzione tomista per cui “ordo semper dicitur
per comparationem ad aliquod principium. Unde sicut dicitur
principium multipliciter [...] ita etiam dicitur ordo”22 e la proposizione joyciana: “[la cosa] la si percepisce complessa, multipla, divisibile, separabile, composta delle parti, risultato e somma
delle parti, armonica”.23 Maggiormente originale è la versione
joyciana dell’integritas: per l’Angelico Dottore essa era una variante peculiare della proportio, la consonanza dell’oggetto, “quae
enim diminuta sunt, turpia sunt”24, alle esigenze della sua forma,
mentre l’autore irlandese si occupa, più che altro, del suo aspetto appercettivo. Scrive Joyce: “[La cosa] [t]u l’hai percepita come
una cosa una. La vedi come un intero. Percepisci la sua interezza.
Questa è l’integritas.”25 Giunto a trattare del complicato ed ambiguo concetto della claritas, Stephen riconosce che “[i]l senso
di questa parola è piuttosto vago”; offre poi la sua sottile ed affascinante opinione: “[l]o splendore di cui parla Tommaso è la
quidditas scolastica, l’essenza di una cosa”.26
Concludendo, in Joyce si palesa un rapporto degno di nota
tra filosofia e letteratura: in un senso, la prima non è relegata,
come accade abitualmente, ai margini del lavoro artistico, ma
ne costituisce piuttosto l’ossatura, la struttura portante; nell’altro
l’opportunità di scrivere su Aristotele o Tommaso in un contesto
che non è quello del trattato o del saggio, permette, forse, di individuare collegamenti e relazioni inusitate tra autori anche molto
distanti tra loro.
Nadir, Mar. 2014
15
Collegio
Giordana Daniotti
Intervista Doppia
Anche in questo numero del Nadir vi proponiamo un’intervista di due mazziani, o meglio, mazziane... E che mazziane! Ma prima facciamo un
ringraziamento speciale ad Anna Rizza, senza l’aiuto della quale sicuramente non potreste leggere quest’intervista... Grazie Anna, ti vogliamo
bene! E ora, iniziamo con le domande:
ARIANNA MORONI
VS
CATERINA BRIGANTE
Arianna
Nome
Caterina
Ah, allora sono Arianna, faccio psi- Per chi ancora non ti conoscesse, par- Sono una studentessa di Economia e
cologia e niente, vengo da Lecco eee
laci di te in mezzo minuto
Management all’università di Padova
niente ho un gatto che si chiama Tie sono da quasi tre anni una Mazziacrillo, Ticrillo con la C, e poi come mi
na
posso definire.. Sono un po’ sulle mie,
no, gli altri mi dicono che sono un po’
nel mio mondo..
Allora sono stata a Pécs, con la é lun- Dove sei stata in Erasmus, quando sei Sono stata a Praga, alla Charles Uniga, che è nel sud-ovest dell’Unghepartita e quando sei tornata?
versity, sono partita a settembre 2013
ria, sono partita il 31 agosto 2013 e
e sono rientrata a inizio febbraio 2014
sono tornata il 5 febbraio 2014, con
un bus da Budapest a Trieste di 8 ore
nel quale ho tentato in tutti i modi di
dormire disperatamente, cercando di
creare cuscini con qualsiasi cosa! Ma
erano tutti super attrezzati..si prendevano il loro cuscino gonfiabile e se lo
mettevano intorno al collo e io.. no
Tornare qui decisamente.. no no Il trauma più grosso è stato arrivare lì Il trauma più grosso è stato arrivare
no, nel senso un bellissimo ambieno tornare qui?
lì… è stato un po’ difficile ambientarte quello del collegio e tutto quanto,
si soprattutto i primi giorni
però lasciare la routine l’Erasmus,
questa vita fatta di tante cose, si..
Abitudini, boh.. No, mi sembrava Hai notato abitudini che qui in Italia Mmm… si, bere la birra per colaziogente normalissima.. Bevono un po’
risulterebbero molto strane?
ne e il latte caldo con il cacao a pranzo
tanto sì, ma per il resto si sono abbastanza normali, sì sono normali!
Ho mangiato questa cosa super fat, La cosa più strana che hai mangiato ( o
una specie di frittella con sopra della che non hai avuto il coraggio di mancrema di formaggio e formaggio in
giare… )
“filamenti” praticamente da mettere
sopra e se volevi aggiungerci anche
un’altra crema acida, insomma era
pieno di crema, super super grasso e
pieno d’olio..
(non ho capito se era dolce o salato!)
Boh, non si capisce! Non lo so perché
la crema è dolce, la pasta però è salata
quindi tu mangi un mix..
(come si chiama?)
Si chiama langos!
Una volta ho cercato di mangiare questa zuppa: hovezì polévka s
jàtrovymi knedlìcky, zuppa di manzo
con gnocchetti di fegato… non è stata
una buona idea
16
Nadir, Mar. 2014
Ah la vita Erasmus, quest’aria spen- Ora che cosa ti manca di più della
sierata degli studenti, la voglia di dire
vita da studente Erasmus?
“prendiamo una macchina e partiamo
per viaggiare, ah ma quanti siamo 1,2,3?
9, 10 no, allora prendiamo un furgone!
Ma dove andiamo? Non lo so, tu dove
vorresti andare? Andiamo in Romania,
no no andiamo in Ucraina…” e alla fine
siamo andati a Praga, in Bosnia.. si mi
manca proprio l’idea di prendere l’iniziativa sul momento e dire “facciamo
questo!” e poi magari perdersi, rompere
il mezzo di locomozione…
La città, i miei nuovi amici, le serate
passate insieme e tutto sommato anche le lezioni in inglese in classe con
studenti cechi.. insomma la vita da
studente Erasmus
Ah si si la consiglio assolutamente, è Quanto è importante secondo te
importantissima perché ti apre tanto la l’Erasmus per chi frequenta la tua
mente, impari una nuova lingua e bla facoltà? In generale, è un’esperienza
bla bla, tutte le cose che si dicono, ma
che consigli?
proprio dal punto di vista personale
ti arricchisce un sacco e conosci tante
belle persone, che potrai andare a rivedere un giorno nella loro casetta in giro
per l’Europa!
Studiare all’estero è molto importante, ti permette di conoscere nuova
gente, nuove abitudini ma soprattutto
ti aiuta a crescere e ti dà la possibilità
di confrontarti con culture diverse.
Quindi è un’opportunità da cogliere
al volo!
-Allora in realtà c’è festa ogni giorno,
quindi non c’è un sabato sera ma è sabato sera ogni giorno, però insomma ci si
ritrova, si sta in compagnia, oddio che
imbarazzante, poi vabbè si beve tanto..
tipo, non c’è mai acqua sulle tavole degli Erasmus.. e poi vabbè si esce si va a
diversi party, soprattutto party in costume, nel senso che ci si traveste, e niente
ce ne sono di tutti i tipi, puoi scegliere
quello che più si addice alla tua personalità!
(il party più strano?)
Il party più strano.. Ah che bello, a Pécs
c’è questo Carnival party a settembre,
per gli studenti, che hanno introdotto
da qualche anno mi han detto, e ci si veste si fa una sfilata per le vie della città
e ognuno si veste dal personaggio che
più si avvicina a suoi gusti.. bello bello!
Ah e termina con un colorful party, nel
quale ci si lanciano sacchettini di polvere colorata addosso, ci si sporca tutti,
ci si colora in pratica e niente, si salta,
si balla!
-Confermo confermo, tanta palinka
Sezione domande scelte con l’aiuto del pubblico: ho chiesto a più
Mazziani “Cosa chiederesti a chi è
appena tornato dall’Erasmus?” e le
domande più gettonate sono state le
seguenti
-Com’è la vita mondana? Quali sono
le abitudini del sabato sera?
-È vero che nei paesi del Nord Europa si beve molto più che qua?
-È risaputo che Praga è una città turistica e piena di attrazioni per giovani
soprattutto studenti universitari. Lì
non c’è differenza tra sabato, venerdì
o domenica sera perché ogni giorno
si organizzano feste o serate nei locali
in centro dove la maggior parte degli
invitati sono studenti Erasmus
-Si posso confermare che a Praga è
così e come ho già detto prima gli
abitanti del posto bevono la birra anche la mattina presto. Loro sono molto orgogliosi della loro produzione di
birra e ho potuto constatare che costa
molto meno dell’acqua e di altre bevande analcoliche
Viszlat, sziasztok!
Salutaci dicendo qualcosa che hai
imparato nella lingua del posto
Dobry den!!
Nadir, Mar. 2014
17
Giochi
Puzzle
Mentre la classe sta seduta e ascolta dice con far sincero:
nel 30 il 27 sta una volta e avanza zero (Chiave: 1,9)
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Abnorme Fede
Abruzzese Felci
Allegra
Guaito
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Notizia
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