east - numero34

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east - numero34
LITUANIA
Vilnius, città del barocco
e del neoclassico
Freddo pungente, pioggia gelata, cielo plumbeo: così mi accoglie Vilnius nel primo pomeriggio
di un autunno “siberiano”.
però, a queste latitudini.
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Il termometro dell’aeroporto segna +2.
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Nulla di così insolito,
L’Hotel Gile, le cui stanze in puro stile Ikea lo fanno assomigliare
più a un ostello scandinavo che a un albergo economico dell’ex Urss, dista circa quindici minuti
variabili: in certi giorni fa un freddo tagliente come in inverno”.
L’Hotel Gile, le cui stanze in puro stile Ikea lo fanno assomigliare più a un ostello scandinavo che a un albergo
economico dell’ex Urss, dista circa quindici minuti a piedi dal centro della città, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità per i suoi “gioielli architettonici”.
Quando un’ora più tardi, intabarrato in giacca a vento
e colbacco, entro nella Città Vecchia dalla Porta dell’Aurora e mi incammino lungo Ausros Vartu gatve, scorgo
dinnanzi a me un autentico tripudio di architetture barocche e neoclassiche.
A SINISTRA Torre di Gediminas
che sorge sull’omonimo colle dove venne fondata Vilnius.
a piedi dal centro della città, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità per i suoi
“gioielli architettonici”.
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Quando un’ora più
tardi, intabarrato in giacca a vento e colbacco,
entro nella Città Vecchia dalla Porta dell’Aurora e mi incammino lungo Ausros Vartu gatve,
scorgo dinnanzi a me un autentico tripudio di
architetture barocche e neoclassiche.
testo e foto di Massimiliano Di Pasquale
.
“
rontiera. In salute, felice, la Russia si nota a stento”:
con queste laconiche parole, appuntate su un taccuino, Lev Tolstoj descrive il suo ingresso a Vilnius,
il 24 aprile 1861, su una carrozza del treno Berlino-San
Pietroburgo.
Lo scrittore, che nel 1863 inizierà a lavorare a Guerra
e pace, fornirà proprio nelle pagine di questo imponente romanzo un’immagine ben più nitida della città lituana. Per Tolstoj, che impiega più di dieci anni a completare quella che ancora oggi è considerata una delle opere fondamentali della letteratura universale, Vilna (così
era chiamata dai russi) diventa un importante luogo di
transizione geopolitica.
Ad est di Vilna c’è la Russia, luogo familiare e spirituale, a ovest l’Europa borghese e occidentale, fortemente
avversata dal romanziere. Ma Vilna per Tolstoj e per il
suo alter ego, il generale Kutuzov, che ai suoi occhi incarna “semplicità e verità”, è soprattutto il luogo in cui
la Madre Russia si trasforma definitivamente in impero
dopo la sconfitta di Napoleone.
F
SOTTO Scorcio della cattedrale da Gediminas prospektas,
il boulevard più noto della capitale.
Dizionario delle vie di Vilna
reddo pungente, pioggia gelata, cielo plumbeo:
così mi accoglie Vilnius nel primo pomeriggio di
un autunno “siberiano”.
Il termometro dell’aeroporto, nonostante sia solo il 2
ottobre, segna +2, una temperatura decisamente rigida.
Nulla di così insolito, però, a queste latitudini. La guida,
alla voce clima, recita infatti: “aprile e ottobre piuttosto
F
Arte moderna a Uzupis.
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A ridosso della porta, la chiesa cattolica di Santa Teresa – che all’esterno presenta forme del primo barocco e
all’interno di una sua declinazione più tarda ed elaborata – testimonia come Vilnius paghi più di un tributo a livello visuale a Wilno, la sua precedente incarnazione polacca. Percorrendo in perfetta solitudine, le guance intirizzite dal freddo, le stradine acciottolate che si schiudono oltre il palazzo della Filarmonica nazionale in direzione del Municipio, tornano alla mente le pagine nostalgiche che il poeta polacco Czeslaw Milosz (premio Nobel per la letteratura nel 1980) dedicò alla sua città nello
struggente Dizionario delle vie di Vilna.
“La Bakszta era una viuzza molto vecchia, buia e angusta, non più di due o tre metri di larghezza in certi punti, con enormi buchi e profondi canali di scolo laterali.
Da bambino avevo un po’ paura ad avventurarmi laggiù,
perché godeva di cattiva reputazione […]”.
La Vilnius degli anni Trenta rievocata da Milosz in
questo scritto “americano” del 1967, costituisce – unitamente alla Leopoli de Il Castello alto di Stanislaw Lem –
il mito fondante di una Polonia “altra” rispetto a quella
odierna. Una Polonia letteraria sostituita sulle mappe
“da un organismo dallo stesso nome, ma dalle frontiere
diverse”.
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Zeppelin e starka
opo aver percorso una Boksto gatve deserta – assai diversa da quella lasciva di Milosz “popolata da creature di sesso femminile” che in inverno “portavano scarpe di feltro o stivali e battevano i piedi sulla neve per riscaldarsi” in attesa di ufficiali e studenti che, dopo solenni bevute, finivano di solito la serata “in uno dei tanti piccoli bordelli noti a tutti i vetturini” – mi fermo a mangiare un boccone in un locale lungo Didzioji gatve.
Tavoli in legno grezzo, corone d’aglio e cipolla appese
alle pareti, un piacevole sottofondo di motivi pop rivisitati in chiave jazz, Amatininku uzeiga serve boccali di
birra scura, distillati di erbe e piatti tipici della cucina lituana. La mia scelta, influenzata dai consigli di una gentile cameriera che parla un buon inglese, come quasi tutti i ragazzi di Vilnius, cade sugli zeppelin.
D
A SINISTRA Chiesa dei Romanov, basilica ortodossa
dalle cupole a cipolla, che risale al 1913.
Ad accompagnare questi gnocchi di patate, ripieni di
carne e serviti con una salsa di cipolle, burro, panna acida e pancetta, un bicchiere di starka, un brandy di foglie
di mela e di pera che la tradizione vuole sia prodotto nelle famiglie in occasione della nascita del primogenito.
Lasciato il locale – e corroborato dai 43 gradi del distillato – imbocco Stikliu gatve, un vicolo illuminato dalle
luci soffuse di piccole boutique dove ricchi assortimenti di abiti, borse e gioielli in stile vintage di giovani stilisti lituani trovano spazio accanto a sculture in terracotta, ceramica e vetro in un trionfo di forme e colori.
Più tardi un ragazzo vestito di tutto punto, che fa fer-
mare il taxi in prossimità del mercato dei fiori sulla Basanaviciaus, aperto tutta la notte, per acquistare un bouquet di rose rosse, offre l’immagine di una Vilnius elegante e romantica.
La Roma baltica
l colle delle Tre Croci e gli altri colli erano pendii scoscesi e renosi, puntellati qua e là di pini.
Ci inerpicavamo fin lassù di quando in quando,
attratti dal panorama e dalla solitudine [...]”.
La collina delle Tre Croci, rievocata nel dizionario
“sentimental-proustiano” di Czeslaw Milosz, è sicuramente uno dei luoghi più ameni della capitale lituana.
L’indomani mattina, approfittando di un estemporaneo sprazzo di cielo azzurro – qui il tempo cambia con
rapidità davvero sorprendente – salgo sulla sommità di
questo colle per ammirare la fisionomia di Vilnius dall’alto. La vicinanza al centro storico e i 50 metri di altezza ne fanno luogo di osservazione privilegiato.
Lo sguardo può infatti soffermarsi, ai piedi della colli-
“
I
AL CENTRO Sant’Anna, splendido esempio di gotico,
fu costruita utilizzando 33 diversi tipi di mattone rosso.
A SINISTRA Taxi in prossimità della Piazza del Municipio.
A DESTRA Collina delle Tre Croci. Furono collocate
SOTTO Porcellana all’imbocco di Bernardinu gatve.
nel XVII secolo in ricordo di tre monaci qui crocifissi.
Le ceramiche di Vilnius sono note in tutta Europa.
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na, su chiese, torri e piazze; all’orizzonte, sugli altri sei
colli della città.
Particolarità, quest’ultima, che porta molti ancora oggi a paragonarla a Roma.
Le affinità con la Città Eterna non finiscono qui. Vilnius, il cui simbolo nell’antichità era un lupo, è tuttora
un centro dalla forte identità cattolica.
Alfred Döblin, scrittore tedesco di origine polacca, in
visita a Wilno nell’autunno del 1924 (nel 1915 la città era
passata in mano prussiana dopo 122 anni di dominazione zarista) rimase quasi più colpito dalla sua aura cattolica che dalla vivacità della sua nutrita comunità ebraica. Qualche anno più tardi l’autore di Berlin Alexanderplatz, il cui padre proveniva da una famiglia ebrea di
Stettino, abiurò la fede socialista e si convertì al cattolicesimo.
Katredos aikste
ceso dalla collina raggiungo Katredos aikste, la
piazza principale di Vilnius. Sede di fiere e mercati nell’Ottocento, oggi è il luogo in cui convergono turisti e viaggiatori per ammirare la splendida cattedrale, realizzata originariamente in legno nel 1387 là
dove si celebrava il culto di Perkunas, il dio pagano del
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zione scritta, che nel 2001 è stata meta addirittura della
visita del Dalai Lama.
A SINISTRA Sculture in legno in vendita in Pilies gatve,
SOPRA Galera, ex squat riconvertito in galleria d’arte:
cuore della Città Vecchia.
è una delle attrazioni di Uzupis
SOPRA Monumento ad Adam Mickiewicz.
A DESTRA Venditore di funghi al mercato Kalvariju,
Il poeta nazionale polacco era cresciuto nei pressi di Vilnius.
uno dei più grandi della città.
Lithuanian perestrojka rock
t’Anna che fece innamorare Napoleone e la basilica ortodossa della Santa Madre di Dio fresca di restauro – varco il confine dello Stato “secessionista” di Uzupis.
Attraversato il ponte, ai cui parapetti gli sposi appongono lucchetti quale auspicio per un felice matrimonio,
costeggiando a sinistra il fiume, mi imbatto in una casa a
due piani decorata da variopinti murales.
Dina, la giovane donna che coordina le attività di questo ex squat, riconvertito in galleria d’arte, mi fa un po’
la storia di questo quartiere bohémien sorto ufficialmente nel 1998.
«L’idea è nata qui 16 anni fa», mi racconta la ragazza,
invitandomi a visitare le creazioni, perlopiù quadri e
sculture, esposte all’interno.
«L’ultimo abitante di questa casa è stato l’attuale ministro della Cultura della nostra piccola repubblica».
Una repubblica, fondata sul peace & love (il simbolo
di Uzupis è, non a caso, un angelo), con tanto di costitu-
a musica era piuttosto lontana dal punk; più simile a un r&b tirato che spesso si trasformava in
qualcosa di interessante ma strano, come una citazione dal folk lituano o un riferimento satirico a qualche melodia dolciastra da Eurovision”.
Con queste parole Artemy Troitsky, il più famoso giornalista rock sovietico, recensì la performance degli Antis al Festival di Vilnius nel 1986.
Guidati dal carismatico Algis Kauspedas, un allampanato architetto di Kaunas – sul palco vestito in smoking
sembrava un incrocio tra Rodolfo Valentino e Bela Lugosi – gli Antis non furono solo la punta di diamante della
new wave lituana, ma la band più dirompente dell’Unione Sovietica gorbacioviana.
Dotato di un’intelligenza e di un’ironia fuori dal comune, Kauspedas dopo aver risvegliato coscienze intorpidite con testi dissacranti e provocazioni situazioniste,
nel 1988 divenne uno dei leader del Sajudis, il fronte popolare che combatteva per l’indipendenza lituana e per
la democrazia.
“
tuono. Trasformata in pinacoteca dai sovietici, a partire
dal 1989 è tornata a essere luogo di preghiera per la comunità dei cattolici.
L’edificio, che dopo i pesanti restauri architettonici di
fine Settecento ha assunto fattezze neoclassiche, è considerato dai lituani il simbolo dell’identità nazionale.
Proprio di fronte a questo solenne duomo in marmo bianco terminava la catena umana di 2 milioni di persone che
il 23 agosto 1989 – cinquantesimo anniversario del patto Molotov-Ribbentrop – unì le tre capitali baltiche, Tallinn, Riga e Vilnius, in una manifestazione di protesta pacifica contro l’occupazione sovietica.
“Welcome to Uzupis”
envenuti nella repubblica di Uzupis”, recita il
cartello posto a ridosso del “ponte dei lucchetti”. Lasciate alle spalle due delle chiese più belle di Vilnius – lo splendido gotico in mattoni rossi di San-
“
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Un anno e mezzo più tardi – l’11 marzo 1990 il soviet
supremo lituano aveva dichiarato l’indipendenza dall’Urss dando inizio a un lungo braccio di ferro con Gorbaciov – Kauspedas era già pronto per un’altra avventura: esportare il rock eclettico e zappiano – Vilnius è l’unica città al mondo ad aver dedicato a Frank Zappa un busto in bronzo – degli Antis in Europa.
La Torre dell’indipendenza
ircondata dal verde di pini e betulle, che in autunno si tingono d’ocra, e dal grigio dell’edilizia
popolare sovietica, la Torre della televisione, con
i suoi 326 metri di altezza, domina lo skyline della periferia occidentale di Vilnius. Prima di salire al ventune-
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simo piano, da cui si gode una vista mozzafiato sulla città, osservo le croci di legno, immediatamente prima dell’ingresso, che commemorano le vittime civili dell’attacco sovietico del 13 gennaio 1991.
Quel giorno le forze speciali di Mosca, dopo essersi impadronite di numerosi uffici pubblici, spararono sulla
folla schieratasi davanti alla Torre della televisione, che
stava informando il Paese e il mondo dell’aggressione sovietica, uccidendo 14 persone.
“La morte è stata confermata, non è più un oggetto
astratto di desiderio con vestiti funebri romantici, assume i corpi delle vittime schiacciate dai cingoli dei carri
armati, sforacchiati dai proiettili [...]”, scriverà nel romanzo Tre secondi di cielo Sigitas Parulskis, rievocando
l’ultimo colpo di coda del regime. Il 29 luglio di quello
stesso anno la Russia di Eltsin, che riaffermava la sua sovranità nei confronti dell’Urss agonizzante di Gorbaciov,
riconobbe l’indipendenza lituana.
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