Edizione n.10 Dicembre 2012 - Parrocchia Lanuvio Santa Maria
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Edizione n.10 Dicembre 2012 - Parrocchia Lanuvio Santa Maria
COMUNITÀ PARROCCHIALE LANUVIO SANTO NATALE Bollettino Parrocchiale S U COLORO che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulge. Con questo annuncio biblico, la liturgia del Natale ci ricorda che con la venuta del Signore il mondo è stato davvero illuminato dallo splendore di Cristo, luce vera del mondo. Nella notte, attorno al riverbero e al calore del fuoco, i nostri antichi usavano narrare le storie. Forse facevano così pure i pastori, di cui ci narra il Vangelo, i quali vegliavano nella campagna attorno a Betlemme. Anche alla mia mente tornano alcune «storie». Ve ne riferisco due. Dicembre 2012 - n° 6 l’ha semplicemente raccontata, bensì l’ha vissuta in prima persona. Essa narra di un altro «Figlio», che si allontanò da suo «Padre», se ne andò in una terra lontanissima – la «nostra» terra –, per abitare fra noi. Questo Figlio, al contrario del precedente, non sperperò, ma donò tutto quello che aveva. Anzi, donò se stesso. Questa seconda storia è iniziata in un giorno di duemila anni fa. La ricordiamo nel giorno del Natale. Sappiamo pure che quando nacque quel «Figlio», sua madre Maria, la Vergine, «lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia», perché né per lei né per Giuseppe c’era posto nell’albergo. Già sin d’allora quel Figlio non aveva più niente... La notte di Natale è, dunque, un anticipo di un’altra notte, quella in cui, quando, avendo amato i suoi, Gesù li amò sino alla fine. Nella mia mente, ora, tutte queste storie si sovrappongono. Nonostante le loro radicali diversità, esse hanno molte cose in comune. Se, tuttavia, la prima fortemente mi turba, la seconda grandemente mi consola. La medesima consolazione auguro a tutti voi. La notte di Natale La prima è stata raccontata dallo stesso Gesù e parla di un «figlio», il quale richiese dal padre tutto ciò che era suo e quanto gli spettava. Con tutte quelle ricchezze, egli se ne andò in una regione lontana e lì sperperò tutti i suoi averi. Questa storia tutti la conoscete, perché è trascritta nel santo Vangelo ed è ricordata, fra l’altro, come la «parabola del figliol prodigo». Quel prodigo è ciascuno di noi; quel prodigo sono io. Risentendo questa storia mi tornano alla mente, come in un rapido flashback, tutti i luoghi, le circostanze e le ragioni per le quali ho «sperperato». Ne risento nell’animo tutte le suggestioni e le illusioni, con una ripercussione di forte sofferenza e di pentimento. La seconda storia fa anch’essa riferimento a Gesù il quale, però, questa volta non Marcello Semeraro Vescovo di Albano Un felice Natale a tutti voi L’Editoriale Carissimi, esprimendo i miei auguri attraverso queste poche righe, lo faccio con una riflessione/invito alla speranza e alla fede. Un Dio per sperare e per credere (Rif.: Lc 1,9-45). Un invito a meditare e vivere il Natale in attesa e in preparazione della visita pastorale, quando, dal 10 al 13 di gennaio 2013, saremo visitati dal Signore nella persona del nostro vescovo Marcello Semeraro. Dio si è fatto come noi, ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità, è lo scambio più grosso, il baratto più importante che sia mai stato fatto. Ciò si apparenta allo scambio, forse a volte duro e faticoso, che avviene nella famiglia: scambio tra generazioni, tra maschi e femmine, scambio tra persone ciascuna delle quali ha le sue idee, il suo pensiero, i suoi modi di vedere, la sua libertà; scambio da costruire, da rilanciare, scambio che grazie al Signore che nasce, all’interno della famiglia diventa scambio di vita divina. Come è bella la famiglia dove si pratica il perdono e si vive in pace! Preparando il mangiare, lavando, stirando, in realtà si comunica umanità e divinità. Ed è importante che nella famiglia si crei un momento di preghiera, un angolo di silenzio, altrimenti tutte le grandi cose che vi succedono non appaiono, è come se non succedessero e il logorio consuma i rapporti. E allora ogni volta che riusciamo ad innestarci il Natale, noi possiamo ripartire, ricominciare da capo, con la pazienza e la carità che solo Dio ha e può dare. L’episodio di Elisabetta ci parla di lei e del marito Zaccaria, giusti davanti a Dio, ma non in grado di avere figli. Ma Luca ci descrive questa coppia come animata da fede, lode e speranza. Di Elisabetta sappiamo poco: avanti con gli anni e sterile (condizione non facile per un’ebrea). Lei, che ha vissuto il limite umano, capisce che con Maria si sta verificando il mistero di secoli di attese. Da secoli il popolo ebraico non conosceva nuovi profeti: forse che Dio si era stancato del suo popolo? D’altra parte, Elisabetta poteva anche sentirsi abbandonata da Dio per la sua sterilità. Ebbene, nonostante tutto, lei resta aperta alla speranza: quando la ragione umana ha già sentenziato la sconfitta, la sua speranza viene premiata. All’interno delle esperienze negative, siamo chiamati alla speranza. Il cristiano, non essendo di questo mondo – cioè essendo portatore di valori che sono «altri» rispetto quelli mondani – rischia di soffrire e di essere escluso. San Paolo ci dice che Cristo ha voluto che la sua potenza risplendesse maggiormente nella debolezza. Si tratta, quando siamo più deboli, di affidarci alle mani di Dio. Resistere con tenacia al peso della fatica di vivere. Gesù nasce in una famiglia, ha bisogno di essa, dipende totalmente dalla premura di un padre e di una madre. E nascendo, egli prima di tutto entra in contatto con la famiglia ed essendovi accolto, la santifica, la rende nobile e divina. Se guardiamo il presepe, lasciando da parte il bue e l’asinello, vediamo che il posto di Maria e di Giuseppe, dei pastori e dei magi, può essere preso dai vari membri di ogni famiglia qualsiasi; ma Gesù non può essere sostituito, deve esserci lui perché sia presepe, al centro, al cuore di tutte le famiglie. Tra il Natale e la famiglia si crea un parallelismo profondo. La speranza ci deve accompagnare sempre: noi progettiamo il nostro futuro, sognando di diventare in un modo piuttosto che un altro, immaginandoci in un ambiente piuttosto che un altro: speranze che dobbiamo integrare con la grande Speranza, quella della vita eterna. Perciò dobbiamo stare attenti alla nostra vita, a far sì che essa non si disperda dietro la superficialità o la vanità. Ora recuperiamo il senso del Natale, proviamo a immaginare una progettualità della nostra vita che abbia al centro questa sfida: la scelta della povertà, la scelta del Figlio di Dio. Impegno personale: Apri gli occhi del cuore e cerca le angosce e le fatiche degli altri, cercando di sollevarli con la speranza e la fede. O Santa Famiglia di Nazaret veglia su di noi! O Gesù vieni a nascere dentro di noi, nelle nostre famiglie e così vivremo davvero il NATALE. O Bambino Gesù, O Maria, Madre sempre Vergine, O Beatissimo Giuseppe vi affidiamo i bambini senza affetto che non hanno nessuno che dia loro la buona notte e li inviti a dormire tranquilli; vi affidiamo gli orfani, i ragazzi abbandonati dai genitori, quelli che per qualsiasi motivo vivono lontani dalla famiglia; vi affidiamo i bimbi malati, i bimbi sfruttati, coloro che, invece di giocare e studiare sono costretti a lavorare; vi affidiamo i bimbi disabili e coloro ai quali anche oggi il giorno è sembrato lungo e noioso; infine, vi affidiamo tutte le nostre famiglie e le famiglie del mondo affinché tutti possano vivere un vero NATALE. Amen! Cari lettori, ne e dalla condivisione eucaristica) e che desidera essere promotore ed artefice di ciò che si fa! Sinora abbiamo operato con grandi concentrazioni di lavoro su pochi e, forse, anche deresponsabilizzando gli altri. Ciò ha causato diverse presenze di errori, gaffes, articoli pubblicati che non rispecchiavano lo spirito del giornale e della comunità, etc... Per far fronte a ciò si ritiene oggi opportuno mettere in campo due azioni: la prima sarà individuare un referente all’interno di ciascun gruppo che, di concerto con l’animatore del gruppo stesso, riporti sul bollettino qualche momento saliente, al fine di rendere efficace la condivisione con il resto della comunità. La seconda azione sarà quella di assegnare precise responsabilità ad ognuno. Alcune sono già state individuate, per altre occorre individuare idonee candidature. Ci serve un responsabile dei contenuti, che propone l’indice e la struttura del giornale, i temi «culturali» da affrontare, sempre in coerenza con la pastorale parrocchiale. Un altro nostro desiderio sarebbe quello di individuare un responsabile di rubrica, che curasse una rubrica specifica del giornale per ogni uscita (vita ecclesiale, politica, l’angolo del buon umore...). Servirebbero anche dei volontari, per la distribuzione di Comunità Parrocchiale. Insomma, l’avventura del nostro giornalino parrocchiale è ricominciata, e la sfida è aperta per chiunque voglia coglierla. Un grazie di cuore a quelli che ci sosterranno, in primis con la preghiera! subito dopo la fine dell’estate si è svolto un incontro della redazione del nostro giornale e vorremmo in questa sede riassumere gli argomenti emersi sia come promemoria di quanti hanno partecipato, ma anche con il fine di suscitare interesse e sensibilizzare alla collaborazione a questo importante strumento pastorale. Perché fare un giornale parrocchiale? Il bollettino è un servizio verso la comunità ed uno strumento con i seguenti obiettivi: essere luogo ed occasione di condivisione all’interno della comunità, perché con il bollettino è possibile condividere le attività e quanto avviene nei vari gruppi, è possibile raggiungere le persone che non hanno potuto prendere parte ai momenti liturgici e condividere con gli ammalati e con quanti non hanno la possibilità di essere direttamente presenti quanto avviene nella nostra comunità. Un altro obiettivo del giornale è quello di animare la cultura della comunità: anche le testimonianze dei laici che abbiamo avuto nel corso di quest’anno hanno ulteriormente sottolineato quanto le sfide morali, di evangelizzazione e pastorali che la società odierna ci pone davanti, esigono una preparazione adeguata. E chi è quindi la redazione? A tutt’oggi è composta innanzitutto da persone che si mettono al servizio della comunità per favorire la condivisione ed animarla culturalmente. Ciò significa che, chi fa parte della redazione, innanzitutto c’è, è parte integrante della comunità in tutti i suoi momenti di vita (a partire dalla celebrazio- – 3 – Barbara Pellegrino Mio fratello il Pap a U N UOMO, un fratello, prima di essere il Capo della Cristianità, il 265° Papa della Chiesa Cattolica e Vescovo di Roma. È Joseph Ratzinger visto dal fratello maggiore Georg. L’ex maestro di cappella che ora vive a Ratisbona e che lo scorso 29 giugno 2011 ha festeggiato insieme al Papa il sessantesimo anniversario della loro ordinazione, avvenuta nella cattedrale di Frisinga nel 1951, rievoca la lunga vita del Pontefice. La nascita di Joseph il 16 aprile del 1927 nel villaggio di Markti am Inn in Baviera «nei dintorni di Altotting, dove sorge il celebre santuario della Madonna Nera», l’infanzia, l’avvento del nazismo: «I nostri genitori ci avevano solo detto che Hitler era un uomo malvagio, un terribile criminale»; l’adolescenza: «Era un ottimo studente»; la guerra; la vocazione sacerdotale e «La straordinaria carriera tedesca, da figlio di un commissario di polizia a guida spirituale di 1,3 miliardi di cattolici». L’interessante libro-intervista è il resoconto di una serie di colloqui che si sono svolti a Ratisbona nella tarda primavera dello scorso anno tra Monsignor Ratzinger e il giornalista-scrittore Hesemann. «Gli faccio visita in vari momenti dell’anno», perché il legame tra Georg e Joseph non si è mai spezzato, anzi con il trascorrere del tempo si è fatto più intenso, soprattutto dopo l’elezione di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro. «Il rapporto con mio fratello è rimasto praticamente lo stesso. Ora nella preghiera rivolgiamo al buon Dio richieste molto diverse rispetto al passato, ma nella nostra relazione personale è tutto come prima». Georg Ratzinger rivela che al piccolo Joseph piacevano i dolci che preparava la mamma e gli orsi di pezza, e afferma «eravamo un cuore e un’anima sola» fin da piccoli. Incuriosisce come si svolge la giornata del Santo Padre: «Nei giorni feriali pranzi alle 13,15, mentre la domenica alle 13,00; poi fa una breve passeggiata nel giardino del Palazzo Apostolico, perché dopo mangiato devi riposare o fare mille passi e “In estate preghiamo sempre insieme il breviario”, mentre alle 19,00 fa una passeggiata nei giardini vaticani o in quelli di Castel Gandolfo, recitando il rosario insieme al suo segretario, mons. Georg Ganswein. In inverno, invece, siccome diventa buio presto, esce alle 16,00. – 4 – Verso le 18,00 vengono programmate le udienze». Il programma preferito in tv di Benedetto XVI è «La serie del Commissario Rex, anche perché ci piacciono i cani», però «Mio fratello guarda raramente la televisione, al massimo un film che parla del Vaticano o di una prossima canonizzazione o beatificazione». Le parole di Georg Ratzinger coinvolgono il lettore in un racconto incalzante, emozionante: «...Josephum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger». Quando sentii quella parola rimasi pietrificato. Sinceramente devo dire che in quel momento mi sentii scoraggiato, abbattuto. Per lui era una grande sfida, un impegno gravoso, pensavo tra me, ed ero seriamente preoccupato. L’autore ricorda che per il Papa «la sua elezione era stata come un fulmine a ciel sereno» che Benedetto XVI aveva accolto con serenità, consapevole di abbandonarsi al volere di Dio che gli affidava questo alto compito. Il Santo Padre ha scelto di chiamarsi Benedetto, perché ha sempre avuto una venerazione per il Santo di Norcia che considera il suo padrino e protettore ma anche per motivi estetici ed etimologici: «Gli piacevano sia il suono che il significato (dal latino benedicere), benedetto da Dio e benedizione per gli altri, ma gli sembrava anche adatto per un pontefice». Nell’introduzione Hesemann confessa di essere rimasto colpito dal racconto di Georg Ratzinger sui primi anni di formazione di Benedetto XVI. Ne risulta, infatti, il ritratto di una famiglia che, grazie a una fede vissuta intensamente, riuscì a resistere a tutte le avversità del tempo, comprese le malvagità del regime nazista. Un libro-dialogo, un profilo singolare che svela sotto una nuova luce l’uomo e il Pontefice che si vede e si definisce come «un umile servitore nella vigna del Signore» perché comprende «molto chiaramente qual è il confine tra uomo e carica e conosce i suoi limiti». Al termine di questa lunga conversazione Georg Ratzinger, la persona più vicina a Benedetto XVI, si augura che suo fratello «possa sempre adempiere al suo incarico di successore di Pietro liberamente e nel modo migliore. Desidero anche che un giorno, nell’altra vita, dove ognuno di noi sarà giudicato, superi l’ultimo esame di fronte al Padre celeste e tutto finisca bene. Di questo ne sono convinto». San Giovanni Rotondo, 24-25 settembre: I partecipanti al pellegrinaggio. PELLEGRINAGGIO PARROCCHIALE A SAN GIOVANNI ROTONDO IN RICORDO DI ADUA GRASSI Il 22 del mese di ottobre è trascorso un anno da quando Adua non è più tra noi. Carissima, con la presente vogliamo ringraziarti, ancora una volta, per il tuo impegno presso la nostra parrocchia: grazie davvero; grazie per essere stata tra noi come dono di Dio; grazie per la preziosa spirituale eredità che ci hai lasciato. Perdona le nostre incomprensioni, perdonaci se non ti abbiamo dato l’aiuto e le maggiori attenzioni che meritavi e delle quali avevi bisogno. Certi da potersi ritrovare un giorno nella gloria di Dio, ora più che sempre prega per noi. Siamo partiti da Lanuvio il 24 settembre scorso, per un pellegrinaggio organizzato dal sig. Umberto per conto della Parrocchia ed accompagnati, data l’assenza del Parroco per impegni in diocesi, dal diacono Tommaso che svolge il suo esercizio presso la parrocchia di Campoleone. Questi due giorni che abbiamo passato insieme ci hanno riconfermato, ancora una volta, il grande dono che don Pio ha ricevuto e che trasmette ad ognuno di noi. L’esercito di pellegrini che invade i suoi luoghi, non sono altro che il frutto della sua santità, il frutto del suo amore verso le persone più povere, le più bisognose di aiuto. Anche questa volta sono partito da Lanuvio con qualche perplessità, ed anche questa volta sono tornato a casa con delle certezze; certezze che fanno di questo personaggio uno dei più grandi, uno dei più famosi del XX secolo. Penso che il Signore Gesù, attraverso don Pio, abbia fatto in modo di farci conoscere tutta la sua potenza e tutta la sua grandezza. Paolo Comunità parrocchiale è presente anche on-line visitando il sito: www.oratoriodonboscolanuvio.it – 5 – VIVIAMO LA CATECHESI I L CAMMINO cristiano nasce in famiglia indicando principi e valori puri, prosegue con i catechisti con l'insegnamento della dottrina cattolica ai fanciulli, ma trova forse la sua espressione più alta nella vita quotidiana con il confronto tra animi volti al BENE, sempre e comunque. Ma, mi chiedo, basta dedicare un po' del proprio tempo per sentirsi a posto con la propria coscienza? NO! Innanzi tutto occorre distinguere tra qualità e quantità, dato che sicuramente non è il «quanto» a determinare il peso di un'opera. Lo sappiamo bene: «Il Signore pesa i cuori». Inoltre fare del BENE necessita di condivisione, di cooperazione in ogni campo. Infine la condivisione nasce dallo Spirito. Lo Spirito di ognuno di noi. Lo stesso che ti invita a pregare insieme, lo stesso che ti aiuta a riflettere, quello che a volte dimentichiamo di avere, quello che, solo se vogliamo, si arricchisce ogni giorno chiedendoti solo serenità e chiarezza di intenti. Questo è ciò che mi aspetto dal popolo di Dio. Questo è ciò cui dovremmo tendere per imparare l'arte di una comunicazione semplice, ma sempre più difficile perché forse in troppi resi sordi dalle proprie conoscenze. E, allora, queste conoscenze utilizziamole per costruire tante relazioni solide, un grande mondo, anche nella piccola Lanuvio, fatto di vera collaborazione e più verità da scambiarci per dare ai nostri figli le giuste basi per essere testimoni ogni giorno dell'opera di Dio. Modifichiamo i nostri tempi e leggiamo insieme a loro la Bibbia, i libri di catechismo che contengono senz'altro belle illustrazioni, ma soprattutto la strada giusta per la conoscenza dell'autentica pace dei nostri cuori. La pace che ti viene dalla riflessione e dal coraggio di mettersi in gioco con loro nella ricerca della Fede. La catechesi aiuta a tornare bambini, puri. Siamo anche noi piccoli fanciulli che devono imparare ogni giorno la comunione. Apriamoci e ascoltiamo ciò che l'altro ha da dirci. L'altro uguale a noi. L'altro piccolo come noi. Lo diceva proprio Gesù: «Il più piccolo di voi, questi è il più grande». Noi siamo tutti piccoli uomini dotati di grandi doni: la vita, la libertà di scegliere, l'amore. Amore come dovere di amare. Auguri di Buon Natale a tutta la Comunità, ma soprattutto ai ragazzi di Lanuvio che hanno bisogno dei nostri sorrisi. Un saluto e un ringraziamento speciali per il nostro prezioso parroco Don Bernard. Rosanna Mastrogiacomo – 6 – LE DUE CITTÀ Nel numero di gennaio-febbraio 2012 de Le due città, rivista informativa del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, è apparso un articolo riguardante la visita del Santo Padre Benedetto XVI nel carcere romano di Rebibbia avvenuta nel dicembre 2011, ed un'intervista ai fratelli Paolo e Vittorio Taviani, registi del film «Cesare deve morire», girato all'interno del carcere sopra citato e interpretato da attori tutti detenuti, alcuni con «fine pena mai». «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi», è stata l'introduzione del Papa. «Queste sono le parole del giudizio finale raccontate dall'evangelista Matteo e queste parole del Signore nelle quali Egli s'identifica con i detenuti, esprimono in pienezza il senso della mia visita odierna tra voi, ovunque c'è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c'è Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto». Ad accompagnare il Pontefice, c'era il Ministro della Giustizia Paola Severino e il Cappellano del carcere Don Sandro Spriano. Riportiamo un brano molto significativo del suo intervento: «Sbagliamo e pecchiamo tutti. Qui c'è chi ha compiuto azioni anche orrende e ha provocato tragedie spesso insanabili ma essi restano e sono Figli di Dio, bisognosi di consolazione e di amore, desiderosi di essere considerati come nostri fratelli e nostre sorelle. A nome mio e di tutti i detenuti, chiedo perdono per le nostre colpe e per le sofferenze inflitte ad altri uomini, ad altre donne. Vorremmo poter ricomporre le rotture che abbiamo provocato con le nostre azioni… ma non vogliamo essere per sempre identificati con i nostri sbagli, le nostre colpe. Chiediamo di poter tornare nella società senza il marchio di 'mostri del male'…». Affettuosa la risposta del Pontefice quando si è rivolto ad un detenuto dicendogli, a seguito di una sua esternazione: «Anch'io ti voglio bene». Unanime è stato il pensiero dei due registi quando nel mese di maggio del 2011, nell'intervista rilasciata a Le due città, raccontarono del forte sgomento che li coglieva ogni giorno quando tutti, terminato il lavoro delle riprese del film durate quarantacinque giorni, tornavano nelle proprie case, mentre i detenuti rientravano nelle loro celle. «Spero che qualcuno, tornando a casa dopo aver visto “Cesare deve morire”, pensi che anche un detenuto su cui sovrasta una terribile pena, è e resta un uomo». Così Vittorio Taviani ha commentato il premio «Orso d'oro», aggiudicato al film. Personalmente desidero aggiungere che quando, anni fa, lessi per la prima volta il titolo Le due città, lo associai alla «città terrestre» e alla «città celeste», quest'ultima presentata da sant'Agostino come «la città di Dio». La prima vissuta, col passare degli anni, nelle innocenze, nelle colpe, nei dubbi, tra gioie e dolori ma immersa nella fede, nella speranza, nella carità. Virtù queste che fanno intravedere la seconda «quella di Dio», perché illuminata dalla buona notizia significata e presente nel Vangelo nel quale la nascita, la passione, la morte, la risurrezione di Gesù, figlio prediletto di Dio, ne è la certezza sostenuta dalle sue parole, dal suo perdono, dal nutrimento del suo corpo eucaristico. Certezza accompagnata e sostenuta e intercessa dalla sua mamma, Maria, alla quale tutti siamo stati affidati. Benedetto PREGHIERA DEL DETENUTO Signore Gesù, sono un carcerato, avrei più tempo dei monaci certosini per pregarti… ma tu sai quanto sia difficile pregare per un carcerato. È difficile pregare e credere, quando ci si sente abbandonati dall'umanità. Anche per te fu difficile pregare sulla croce tanto che gridasti la tua angoscia, la tua delusione, la tua amarezza: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato»? Il perché sulle tue labbra era diverso… perché tu eri «innocente». Anche tu fosti un carcerato, un torturato, un imputato, un condannato. Ad un tuo compagno di condanna, pentito e fiducioso in Te, hai assicurato il Paradiso, lo hai proclamato santo. 4ª DOMENICA DI AVVENTO (23 dicembre) Dopo aver generosamente accettato la missione affidatale da Dio per mezzo dell’annuncio dell’angelo, Maria «si mise in viaggio verso la montagna», per compiere un atto di squisita carità cristiana: aiutare Elisabetta, anziana, a portare avanti la sua miracolosa gravidanza. Ambedue accettano di diventare mamme come un dono gratuito di Dio; ambedue adempiono con Fede la missione che a loro viene da Dio. Quale insegnamento per i nostri tempi, in cui si impedisce con tutti i mezzi, leciti e illeciti, che la vita si accenda nel grembo delle nostre donne; in cui i figli sono visti, a volte, come degli intrusi che vengono a disturbare, a turbare la nostra «festa» continua, e la nostra vita spendacciona; quando non si arriva all’estinzione violenta e assassina della vita concepita, addirittura all’abbandono dei neonati nei bidoni dell’immondizia o all’infanticidio! Ma che razza di cristiani siamo? Che società cristiana è la nostra? Non solo essa non è cristiana, ma nemmeno umana! Sull’esempio di quelle due sante donne, impariamo che ogni nuova vita è voluta da Dio e che è un suo dono: dono alle mamme e alle famiglie, ma anche alla società e all’intera umanità. Quando una donna concepisce un figlio, come Maria dovrebbe esclamare: «L’anima mia magnifica il Signore... grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente!»; e ognuno di noi dovrebbe dirle, con Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». Il Natale è questo: la celebrazione della fecondità e della vita, dono di Dio. L’unico vero rito, gradito a Dio, è la realizzazione della sua volontà. Per questo Gesù, il Verbo di Dio fatto «carne», è venuto nel mondo ad offrirsi in sacrificio «una volta per sempre». È anche questo il vero significato del Natale. dagli scritti di Fausto Varesi – 7 – A M E N! Parola chiave della liturgia e della preghiera cristiana AMEN! Una parola intraducibile, ma ricca di significato! Amen, è la parola chiave della liturgia e della preghiera cristiana, infatti tutte le preghiere del cristiano terminano con questa parola: «Amen». Sappiamo che il significato comune che si dà al termine «Amen» è: «Così sia». Ma questa traduzione, oltre che impoverire, travisa il termine facendolo diventare l'espressione del conformismo e della passività. Invece il termine «Amen», nella sua etimologia ebraica, esprime immensamente di più, diventando l'espressione dell'entusiasmo e della decisione del credente. Per questo il termine «amen» non è stato tradotto ma è pronunciato così com'è, in qualsiasi lingua il credente prega. «Rimane intraducibile – dice S. Agostino – perché sia rinforzato dal velo del mistero, non per nascondere il senso, ma per non impoverirlo». Cerchiamo ora di conoscere la splendida ricchezza che il termine «Amen» racchiude. Dio è Amen! Amen è il nome di Dio in quanto si è liberamente impegnato e rimane fedele alle sue promesse. È il profeta Isaia che chiama Dio: Amen! «Chi vorrà essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio-Amen» (66,15). Credere e invocare Dio «Amen» significa avere fiducia in lui, poiché le promesse che egli ha fatto agli uomini sono qualche cosa di solido, di fermo, che impegna una fedeltà a tutta prova. che l'assemblea pronuncia diventa il culmine dell'adesione dei fedeli alla preghiera che il sacerdote a nome di tutti indirizza a Dio. Dire, o meglio, acclamare o cantare l'amen diventa il ruolo proprio del popolo cristiano nella liturgia della chiesa. Infatti: Cristo è Amen! 1. acclamando «Amen», il popolo cristiano si inserisce nella preghiera della chiesa, nel suo atto di fede, nel suo rendimento di grazie al Dio vero e fedele; Gesù cristo è l'Amen di Dio. Infatti per mezzo suo Dio realizza pienamente tutte le sue promesse. È l'autore dell'Apocalisse che chiama Cristo: «Amen». «Così parla l'Amen, il testimone fedele e verace» (3,14). Gesù, infatti, è la Parola stessa di Dio, è l'Amen per eccellenza. Per questo quando parla può benissimo iniziare con un Amen ripetuto: «Amen amen, io dico a voi...». Una formula che troviamo spesso nel Vangelo di Giovanni che viene tradotto: «In verità vi dico», ma che potremmo così tradurre: «Ecco ciò che dice il Testimone veramente fedele». Essa sottolinea che Gesù è l'inviato di Dio e che dice parole vere. Credere e invocare Gesù Cristo «Amen» significa proclamare che egli è la «Verità incarnata» (Gv 14,6) la «Perfezione incarnata» (Lc 1,35) la «Fedeltà incarnata» (Gv 6,37). L'Amen nella liturgia cristiana Nella liturgia cristiana l'Amen – 8 – 2. acclamando «Amen», il popolo cristiano si affida a Dio, si fonda e appoggia su di lui come fondamento sicuro; 3. acclamando «Amen», il popolo cristiano si lancia nella scia di Cristo, il Testimone fedele e verace per vivere della sua vita e contribuire con Lui all'avvento del Regno di Dio; 4. così, mentre ora nella liturgia terrena il Cristiano canta il suo «Amen», un giorno nella liturgia celeste canterà la sua gioia con un «amen» senza fine. «Quando contempleremo Dio faccia a faccia, mentre ora lo contempliamo solo come attraverso uno specchio, sarà con commozione ben superiore ed indicibile che potremo dire: Amen». (S. Agostino) Arrivederci alla prossima volta! FESTA DI SAN MARTINO Novembre mese dei Santi! Questo tempo che la Chiesa apre con la Solennità di tutti i Santi è, per l'Oratorio parrocchiale di Lanuvio, occasione per rendere visibile la gioia di seguire il Signore Gesù facendo memoria della santità, fra tradizione ed innovazione. Tradizione con san Giovanni Bosco, protettore del nostro Oratorio, di cui ricordiamo il miracolo della moltiplicazione delle castagne agli inizi della sua missione in mezzo alla gioventù. E così domenica 4 novembre, nel salone dell'Oratorio, molti ragazzi e famiglie hanno vissuto un pomeriggio di allegria, tra giochi, balli, scenette e le immancabili caldarroste offerte dagli ex-allievi di Don Bosco! Innovazione con la festa di San Martino, testimone della carità, che nel povero seppe riconoscere e soccorrere il Cristo. Foto in alto: Momenti di festa nel salone dell’Oratorio: canti, balli, giochi e le caldarroste offerte dagli exallievi don Bosco. Foto a lato e sotto: Corteo e taglio del mantello che rievocano la scena della condivisione con il povero. Domenica 11, al termine della S. Messa, si è aperto il corteo che, seguendo un giovanissimo cavaliere a cavallo, ha rievocato la scena del taglio e della condivisione del mantello con il povero, aprendo così la festa dell'Oratorio in piazza, con giochi e colazione per tutti. Anche se la pioggia ha interrotto la mattinata, siamo tutti grati al nostro responsabile dell'Oratorio Martino, ai suoi animatori e ai generosi collaboratori tutti, per l'impegno profuso nelle varie iniziative, esempio vivo e testimonianza, nell'Anno della Fede! Albino – 9 – Q uanti sono cresciuti nel nostro paese, hanno nella loro memoria un Oratorio: un cortile, un campetto per partite di pallone appassionate. Hanno nel cuore anche il ricordo di persone adulte: qualche prete, salesiano, novizio, qualche compagno di giochi più grande, qualche adulto che sapeva giocare e che sapeva ascoltarci e darci insegnamenti di vita che non ci risultavano troppo difficili, perché li vedevamo interpretati nella pratica e nell’esempio. Crescendo, alcuni hanno occupato il posto di questi fratelli adulti, e abbiamo potuto capire dall’interno, stando dall’altra parte, la passione che li animava e che li portava a passare con noi molto tempo, a volte in attività futili, a volte negli impegnativi dialoghi della vita con cui ragazzi e giovani coscienziosi sanno impegnare i più grandi. L’Oratorio nasce dalla Parrocchia come strumento per la formazione umana e cristiana delle giovani generazioni. Il cristiano non giunge alla maturità della fede con il Battesimo: tutta la sua vita è un itinerario di crescita verso la pienezza di Cristo. La comunità, anch’essa impegnata in un cammino continuo di fedeltà, con l’Oratorio promuove processi educativi che mirano ad aprire spazi di crescita e a creare la mentalità della fede. L’Oratorio è nella tradizione della nostra parrocchia, espressione della consapevolezza di quanto sia delicata e bella la stagione dei primi anni della vita, espressione dell’amore per i ragazzi e dell’impegno di accogliere i giovani, di comunicare una visione grande della vita, di esercitare quel compito educativo al quale non bastano né la famiglia né la scuola. Manifestazione della carità della comunità cristiana, l’Oratorio ha espresso e continua a rivelare la sua passione per la persona, la fiducia e l’interesse per le nuove generazioni, il desiderio di aprire loro gli orizzonti di una vita carica di significato, di libertà e di passione per gli altri. L’Oratorio è un «ambiente», sebbene non l’unico, in cui tutta la comunità evangelizza i ragazzi, gli adolescenti e i giovani. Si parla di «ambiente» e non solo di luogo fisico, perché l’oratorio è soprattutto una mentalità, un modo di vivere assimilato attraverso il contatto con persone che, avvalendosi di strutture adeguate, propone esperienze capaci di L’Oratorio luogo della crescita Celebrazione eucaristica presso la Cappella dell’Oratorio. trasmettere valori. Qui nulla è lasciato al caso. L’Oratorio non è un campetto aperto a tutti e a tutto. L’Oratorio è «ambiente» in cui ci si accompagna nella paziente attesa di crescita di ciascuno, nell’apprezzare la bellezza di ogni fase evolutiva della vita, nella speranza gioiosa di chi tende sempre ad un incontro con i fratelli e con Cristo. Luogo in cui nessuno è maestro, perché l’unico Maestro è Gesù. L’Oratorio è il volto giovane della Chiesa attraverso l’esperienza ecclesiale dei partecipanti, è il volto della Chiesa giovane «Madre e Maestra» che si fa nell’oggi via per condurre a Cristo. È il luogo di accoglienza per tutti, il luogo di confronto, che si fonde con la comunità cristiana esprimendo la sua passione educativa verso coloro che vogliono accettarla. Le iniziative dell’Oratorio intendono arricchire l’umanità di ognuno, liberare dai condizionamenti deleteri, favorire il sorgere della domanda sul senso della vita, proporre la Buona Novella con l’annuncio esplicito e la testimonianza della comunità dei cristiani. Le proposte dell’Oratorio intendono promuovere la persona. Esse sono molteplici: l’Oratorio non è solo il luogo della catechesi, anche se questo è un impegno primario ed essenziale, assolutamente irrinunciabile, e dell’iniziazione alla vita liturgica e spirituale, ma la sua funzione educativa prevede a pieno titolo anche attività ludiche, artistiche, ricreative e sportive in genere, dirette all’animazione del tempo libero. Quest’anno abbiamo continuato ad accogliere i ragazzi nei nostri «laboratori» di dolci tradizioni e di Mamma Margherita, mentre il coro che da ottobre è aperto anche ai bambini più piccoli, insieme al corso di chitarra cercano di far crescere il cuore di tutti coloro che vogliono trovare il Signore attraverso la musica. Con la stessa finalità è nato l’Atelier - la fabbrica dei sogni e il corso di cucito creativo e di découpage, perché la bellezza rivela il vero volto del Creatore. Pensando al creato è venuto alla luce il nostro gruppo di mountain bike per scoprire la bellezza intorno a noi e il laboratorio di archeologia perché non conoscere il proprio passato costituisce un limite nell’affrontare il futu– 10 – ro. I nostri ragazzi dei gruppi postcresima e post-comunione possono continuare a crescere insieme e cominciare ad assumere delle piccole responsabilità per il bene di tutta la comunità. Sempre i ragazzi sono protagonisti nel doposcuola e nel gruppo di ballo perché sentono il bisogno di plasmare la nostra realtà ed aiutare i più piccoli. Non possiamo dimenticarci dei nostri piccoli calciatori e dei loro allenatori che sono una parte integrante dell’Oratorio. Proprio in questi giorni si sta formando anche il gruppo teatrale e quello degli scout. Come non esiste un unico modello di cristiano, né un unico modo di incontrare Cristo, così nessuna capacità o dono, nessuna disponibilità deve essere spenta. Tante proposte rispondono a varie esigenze e a delle diversità di adesione. L’Oratorio non offre iniziative anonime, ma promuove i singoli, guidandoli e animandoli affinché siano abilitati a essere protagonisti nella Chiesa e nel mondo. Don Bosco una volta ha scritto: «Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte, e ce ne dà in mano le chiavi». Ciò che colpisce maggiormente i ragazzi non sono le belle parole ma l’esempio. «L’educatore deve aver bene chiaro che a incidere maggiormente non è ciò che dice, ma bensì ciò che egli stesso è e fa» (R. Guardini). L’educatore dell’Oratorio è colui che si pone a servizio nell’Oratorio e vi opera in quanto persona di fiducia. È degno di fiducia perché fedele agli ideali dell’Oratorio e agli impegni concreti del servizio, compresi quelli semplici della quotidianità, ma che qualifichino uno «stile» di vita. Per questo, con grande gioia, l’Oratorio accoglie tutti coloro che vogliono collaborare nella crescita dei nostri ragazzi (come nel caso di numerosi adulti: delle mamme e dei papà che quest’anno hanno preso «il possesso» del nostro baretto e del cortile). È il Signore che chiama e dà la forza di servire i fratelli. A noi resta solo la gioia di partecipare nel grande mistero della crescita non solo dei ragazzi ma di tutti noi: «cortilai» del Signore. BUON CAMMINO INSIEME!!! Anche quest’anno nel mese di settembre, con rinnovato impegno e con i soliti buoni propositi, è ripartita l’attività sportiva in Oratorio. Sono state allestite due squadre che, dalla metà di novembre, sono impegnate nei tornei di calcio a 5 organizzati dall’ufficio della Pastorale dello sport e del tempo libero della Diocesi di Albano; una per la categoria degli under 12 e una per i ragazzi delle scuole medie under 14. Inoltre, per far avvicinare i bambini a questa disciplina sportiva, è stata creata una sezione denominata «primi calci» per i mini giocatori di anni più piccoli. Che tipo di sport è proposto nell’ambito dell’Oratorio? Il gruppo sportivo formato da allenatori e dirigenti ha, come obiettivo primario, quello di mettere il più possibile in pratica la bella frase contenuta nel logo impresso sulle maglie dei loro giovani calciatori: Educare attraverso lo sport. Ma come si educa attraverso l’attività sportiva? È senza ombra di dubbio una sfida molto difficile da affrontare, in particolare in questi tempi dove l’immagine dello sport è stata inquinata da tanti fattori che ne hanno creato un’idea distorta e in qualche caso ne hanno minato la popolarità. Allora bisogna avere il coraggio e l’intraprendenza di andare contro corrente e trasmettere un’idea di sport libera da ogni forma di interesse che non sia quella educativa e cercare, in questo modo, di tirare fuori il meglio dai ragazzi. Poi per la realtà dell’Oratorio non è nemmeno semplice riuscire a tenere testa con le proposte di tante associazioni sportive nate negli ultimi tempi che hanno concentrato l’attività proprio sul calcio a 5, una disciplina in rapida e continua espansione. Pertanto, per il gruppo sportivo dell’Oratorio, c’è la necessità di proporre un’attività sportiva che sia di qualità, con crescenti competenze tecniche e accorgimenti specifici che vadano ad integrare e ad arricchire l’aspetto del gioco. Perché è vero che la componente fondante dello sport è il gioco ma non può essere ridotto solo a quello; lo sport è fatica, insegna il valore del sacrificio per raggiungere un obiettivo (uno dei cardini educativi); lo sport è regole, insegna il rispetto degli avversari e dei compagni (le regole sono il fondamento della trasmissione dei buoni comportamenti... concetto molto chiaro nell’opera pedagogica di don Bosco); lo sport è relazioni vere, in particolare uno sport di squadra come il calcio a 5 si apre a forme di solidarietà e di amicizia (anche un semplice gesto tecnico come il possesso palla diventa un modo per aumentare la coesione di gruppo o un semplice passaggio diventa occasione di dialogo con il compagno); lo sport è sano agonismo, insegna a vincere e anche a perdere ma insegna soprattutto a «battersi» per raggiungere il risultato e quindi insegna a scoprire i propri limiti e le proprie potenzialità; lo sport è corporeità, insegna a valorizzare il proprio corpo e crea unità tra corpo-anima e spirito (la famosa locuzione latina mens sana in corpore sano) quindi è portatore di benessere. Così l’attività sportiva in Oratorio deve poter diventare un’esperienza di vita per i ragazzi, una valvola di sfogo creativa e costruttiva accanto al loro primario impegno quotidiano che è quello di studenti. Martino Stefano Galli ANDARE CONTRO CORRENTE – 11 – L’ATELIER La fabbrica dei sogni colore, che fin da bambino ha abitato la mia fantasia, oltre alla volontà di interagire, non come riferimento, ma come pretesto, o fonte, per lo scambio d’idee». Paolo Monaco Il «segno», «la macchia» sul foglio, sulla tela, sui muri, sulla superficie del mondo, è il «graffio» del bambino nella vita. Senza sovrastrutture, né canoni, né compromessi, né padroni, né vincitori, né vinti. Tutto è colore... tutto è incanto! Iniziare dalla fine, per i bambini è vitale… «L’ATELIER (la fabbrica dei sogni) è un laboratorio di pittura per bambini, che darà loro l’opportunità di confrontarsi, esprimersi, cimentarsi con il misterioso universo dell’arte. Lungi da me la presunzione d’insegnare od indottrinare l’incontinenza espressiva degli infanti, anzi, gli adulti (io per primo) avranno la possibilità d’imparare e di emozionarsi contemplando i loro concepimenti artistici. Il mio impegno per codesto progetto sarà legato esclusivamente all’esperienza, alla passione ed alla curiosità per la materia ed il Le lezioni avranno luogo, tutti i mercoledì dalle 18,00 presso «l'Atelier» dell'oratorio don Bosco di Lanuvio. L'iniziativa non ha scopo di lucro, l'iscrizione e la frequentazione del corso è gratuita. – 12 – L A FAMIGLIA è l’ambiente naturale per la accoglienza della vita fin dal concepimento, per la crescita totale e l’educazione dei figli. Nella famiglia, l’affetto è autentico, la solidarietà è spontanea; è logico, quindi, che ci sia tra i suoi membri, l’atteggiamento dell’accettazione reciproca che scaturisce solo dall’amore condividendo gioie, dolori, difficoltà. La famiglia ha un ruolo originale e insostituibile per il corretto sviluppo dei bambini ed è soltanto lì che trovano tutto ciò a cui hanno diritto: crescendo e prosperando, accrescendo la loro personalità, dal momento che non ci sono scuole sperimentali dove si insegni ad essere genitori, né a essere figli; non ci sono studi che riescano a fare di noi degli individui buoni, generosi, altruisti, solidali, pazienti, lieti anche nelle contrarietà. Queste cose non si imparano da lezioni, bensì possono essere assorbite, giorno dopo giorno, momento per momento, dagli esempi e dalla maturità: e sono il dono più grande che i bambini possono ricevere dai genitori, dai nonni. L’educazione più efficace passa sempre attraverso le testimonianze dei genitori: specialmente della mamma. Solo bisogna aggiungere che da sola, la madre non può farcela: ci vuole anche la presenza del padre; mentre, per la vita che oggi siamo costretti a fare, troppo spesso il padre è assente; e non di rado nell’ambiente domestico viene a mancare anche la presenza della madre, a causa di qualche lavoro extra familia- LA FAMIGLIA Ambiente di solidarietà e amore re; ai genitori oggi si richiedono più sacrifici di ieri. Oggi la famiglia è diventata più che mai una scelta molto importante, una missione. La famiglia deve educare alla conoscenza e all’apprezzamento dei valori umani; se è poi una famiglia cristiana, deve educare anche ai valori religiosi, sempre tenendo presente come modello originale: la famiglia di Nazareth. Senza dubbio, la famiglia, da sola, specie nell’odierna forma che ha assunto la vita sociale, non basta più né alla sopravvivenza né alla formazione degli uomini. Il recente mutamento sociale che riflette l’avvenuta «riscoperta» della famiglia ci dà l’opportunità di ritrovare «l’intelligente» coraggio di riproporre la famiglia come sicuro campo di unità tra tutte le forze: sociali, religiose, ambientali. Ammesso e concesso che, tranne qualche caso negativo, è la famiglia umana il primo ambiente in cui si formano gli uomini e i cittadini della società terrena; è lampante anche, che nella famiglia che crede in Dio, che segue Cristo e vive la religione, si formeranno i futuri cittadini della patria celeste, coscienti che il Regno di Dio comincia fin da questa terra essendo loro stessi a doverla costruire. – 13 – La famiglia cristiana assume così l’importanza di una scuola di formazione e di educazione non solo umana e sociale, diventando così una scuola di evangelizzazione; ecco perché, nella maturità, i figli apprenderanno dai genitori a considerare la loro vita come una missione: la madre, in particolare, diventa la prima catechista. Così la famiglia diventa «chiesa domestica». I genitori cristiani debbono abituare per tempo i propri bambini ad uscire dall’involucro dell’egoismo, dalla sicurezza della propria famiglia, per guardare in faccia la realtà e accorgersi del mondo esterno, di confrontarsi con altri bambini. Proprio la cultura dei mass-media ha diviso le famiglie, facendole sentire diverse, a seconda del benessere. Ma questa cultura le fa sentire sole, specialmente nelle grandi difficoltà del momento, rendendo sempre più difficile la convivenza entro le mura domestiche e anche fuori: nell’ambiente di lavoro e persino negli svaghi; mentre abbiamo sperimentato che insieme, amando e condividendo, tutto si sopporta meglio. Essere una famiglia sana, buona e felice, è il presupposto per dare spazio, tempo e importanza alla carità cristiana, che è anche solidarietà e soprattutto amore. C. Filippini L’anno della Fede L ’ANNO DELLA FEDE è un anno di meditazione indetto dalla Chiesa cattolica dall'11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013, dedicato ad intensificare «la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l'umanità sta vivendo». Un altro Anno della Fede era stato indetto nel 1967 da papa Paolo VI, nel XIX centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo. Papa Benedetto XVI ha indetto l'Anno della Fede con la lettera apostolica in forma di «MOTU PROPRIO» DATA PORTA FIDEI, che reca la data dell'11 ottobre 2011. L'iniziativa è stata resa nota dal Santo Padre nell'omelia del 16 ottobre, e la lettera apostolica di indizione è stata resa pubblica il 17 ottobre. In quest’anno verrà dato risalto all'importanza della catechesi, per «riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata». Un altro tema importante dell'Anno della Fede è la «nuova evangelizzazione», cioè l'annuncio del Vangelo ai popoli di antica cristianità, che hanno smarrito la fede o che vivono in una società secolarizzata, in cui è difficile testimoniare i valori cristiani. L'Anno della Fede ha avuto inizio l'11 ottobre 2012, cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II e ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Entrambe le ricorrenze sono significative: il Concilio Vaticano II, nella sua corretta traduzione, è «una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa». Il Catechismo della Chiesa Cattolica, «uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II» è uno strumento prezioso per approfondire la conoscenza sistematica dei contenuti della fede cattolica. L'apertura dell'Anno della Fede coincide con la Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi che si svolge nello stesso mese, e ha come tema: «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Avrà termine nella solennità di Cristo Re il 24 novembre 2013. Infatti tutto l'anno «è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore» e l'invocazione di Cristo Re, oltre a chiudere l'anno liturgico, è il traguardo finale del cammino di fede. Il 14 settembre 2012 con il decreto Die quinquagesimo della Penitenzieria Apostolica, papa Benedetto XVI concede l'indulgenza plenaria ai fedeli che durante l'anno della fede: – partecipino ad almeno tre prediche durante le Missioni oppure assistano ad almeno tre lezioni sui documenti del Concilio Vaticano II o sul Catechismo della Chiesa Cattolica; – visitino una basilica papale, una catacomba cristiana, una cattedrale o un altro luogo di culto stabilito dall'Ordinario diocesano per l'Anno della Fede e ivi assistano ad una sacra funzione o almeno vi sostino in meditazione, concludendo le loro preghiere con la recita del Padre nostro, della professione di fede, le invocazioni alla Vergine Maria o ai santi patroni; – partecipino in certi giorni stabiliti dall'Ordinario diocesano alla celebrazione eucaristica o alla recita – 14 – della liturgia delle ore, aggiungendovi la professione di fede; – in un giorno qualsiasi dell'Anno della Fede visitino il luogo del proprio battesimo, rinnovandovi le promesse battesimali. Per lucrare l'indulgenza occorre inoltre che i fedeli siano veramente pentiti, abbiano confessato sacramentalmente i propri peccati, si siano comunicati e preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. L'intreccio di questi eventi e di queste ricorrenze rappresenta, per la nostra associazione come per la Chiesa tutta, un'occasione preziosa per rinnovare il nostro impegno ad educare alla fede e andare sempre più alle radici del nostro essere cristiani, per lasciarci interrogare in profondità dall'esperienza della fede, ma anche per cercare di trovare nuove parole con cui raccontarne «la bellezza e la forza» (Benedetto XVI) alle persone. Giuseppina Salsiccia Oratorio Parrocchiale «Don Bosco» Piazzale San Domenico Savio, 8 - 00040 Lanuvio (Rm) Tel. 069377140 - Sito web: www.oratoriodonboscolanuvio.it UNIONE EXALLIEVI DON BOSCO - Lanuvio Programma del 69° Convegno Exallievi don Bosco Domenica 16 dicembre 2012 Ore 9,00 Nella sala del Teatro Comunale «Don Bosco» in Via San Lorenzo: Accoglienza Ore 9,15 Preghiera; Introduzione dei lavori. tua di don Bosco. Ore 12,15 Santa Messa nella Cappella dell'Oratorio. Ore 9,30 Inizio Convegno, con il seguente Ordine del Giorno: Ore 13,15 Pranzo nel Salone dell'Oratorio. a) illustrazione della Strenna emanata dal Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco per l'anno 2013 a cura del delegato don RAFFAELE PANNO; Durante la giornata, e nei giorni a seguire, si potrà rinnovare e/o procedere all'adesione alla Unione; il costo, comprensivo dei contributi nazionali e regionali è di € 20,00, incluso l'abbonamento alla rivista Voci Fraterne. b) saluti degli ospiti intervenuti al Convegno; c) intervento del Presidente dell'Unione. Ore 10,30 Break caffè. Ore 10,45 Relazione e programmazione annuale sulla nostra Unione a cura del Vice Presidente e, a seguire, Relazione Economica a cura del Tesoriere. Ore 11,15 Discussione. Ore 12,00 Foto ricordo in Oratorio sotto la sta- Tutti possono partecipare al pranzo ed al Convegno, ivi compresi i familiari. Il costo del pranzo è di € 15,00 a persona. Per i bambini il costo è di € 10,00. I posti disponibili sono circa 100. Per l'adesione al pranzo è gradita la prenotazione entro il giorno 13 dicembre, per ovvie ragioni organizzative, rivolgendosi a: Bernardi Bruno, Gozzi Aurelio, Baldazzi Bruno, Galli Giuliano, De Santis Giuliano e Di Cerbo Albino. – 15 – 25 ANNI DI ATTIVITÀ 6 marzo 1987 - 30 settembre 2012 F ESTEGGIARE un anniversario signifca anche e soprattutto fare un bilancio. Un bilancio che si basa sui numeri riguarda cose reali, tangibili da cui non si scappa. Ma un bilancio di ideali, di cose sognate e realizzate, di cose sperate e mai realizzate, è un'altra cosa. Quante cose si volevano fare e non sono state fatte! Quanti traguardi si volevano raggiungere e non sono stati raggiunti! Perché? Perché sono sempre le circostanze, le situazioni più o meno favorevoli, che vanno a decidere il da farsi. Personalmente penso che il filo conduttore di questi venticinque anni di attività sia stato: 1) la fedeltà ai ragazzi, ai loro bisogni, alla loro crescita; 2) cercare di farli uscire dal loro isolamento ed inserirli «nel mondo» per quanto sia stato possibile. Abbiamo tentato di mettere a frutto le capacità che ognuno ha. Non è mai stata pretesa la luna! Ma se la vita ti fa essere Stefano, Roberta, Mario, tu devi realizzare Stefano, Roberta, Mario. Ci sono ancora tanti sogni, uno in particolare: realizzare una fattoria sociale, dove i ragazzi possano maggiormente crescere nella loro personalità, responsabilizzandosi attraverso il lavoro. In questi venticinque anni di attività sono passate nella Associazione 88 famiglie, molte altre hanno usufruito di nostre consulenze, o hanno frequentato per un po', ma poi, per svariati motivi, hanno scelto di non farne parte. Attualmente siamo 46... soci. Sono passati 113 volontari, al 90% giovani studenti. L'Associazione opera con venti volontari tesserati, più altri simpatizzanti, e alcuni genitori sempre presenti sul campo. Come collaboratori: – in primis la Parrocchia di Lanuvio che ci ha fornito la sede senza la quale non saremmo sopravvissuti; – l’Oratorio parrocchiale Don Bosco di Lanuvio, per le feste, per le assemblee e che ci ospita all’interno del laboratorio di «ore golose»; – gli Assistenti sociali del Comune di Lanuvio e dei paesi limitrofi: Genzano, Ariccia, Albano; – la Scuola Media di Lanuvio per la palestra; – il Centro sportivo «Castelli Romani» di Ariccia per la piscina invernale; – l’Agriturismo «Il Civitano» per la piscina estiva; – l’Associazione «Noi con Loro» ad Anzio, per il mare; – la Comunità di Capodarco a Grottaferrata per la casa famiglia «Milly e Memmo»; La sig. Sandra, presidente dell’Associazione, il giorno dei festeggiamenti per il 25° con i suoi ragazzi. AUGURI!!! – 16 – – ancora Capodarco per la Fondazione «Prima del Dopo»; – personale di Spes; – la famiglia Agostini Giulia che ha messo a disposizione il locale per le prove della Band; – la famiglia Baccarini Giuseppe per la disponibilità di supporto a famiglie in difficoltà; – la famiglia Di Pietro Sandro che ha messo a disposizione il terreno per la serra e per il laboratorio ortoflorovivaistico; – la famiglia Fabi Francesco che ospita nella propria casa il laboratorio della «Pasta fresca»; – altre Associazioni presenti sul territorio dei Castelli Romani, con le quali realizziamo i progetti di Servizio Civile; – tutte le strutture che abbiamo girato per i Campi Scuola: da Mondragone ad Ostuni, da Bibbona a Quercianella, Circeo, S. Marinella, dove abbiamo portato il nostro modo di vivere: autonomo ed allegro. In questi anni sono stati realizzati svariati progetti con il supporto di contributi pubblici: – dal 1990 al 2012 ventitré Campi Scuola; dal 2005 con la ASL RMH2 e i Comuni di Lanuvio, Genzano, Albano e Piani di Zona, poi la Legge 328; – nel 2000, Provincia di Roma: Maratonina «al di là delle barriere… ci sono io»; – dal 2001 al 2004, Provincia di Roma: «Approccio all'equitazione», per ragazzi disabili del Centro diurno e della Scuola media di Lanuvio; – nel 2001, Provincia di Roma: «Musicoterapia in acqua»; – nel 2002, Cesv-Spes per l'anno del volontariato: «Progetto della serra per il laboratorio ortobotanico»; – nel 2003, Regione Lazio: «Corso di musicoterapia»; – nel 2006, Regione Lazio, S.G.L.: «Progetto corso di operatore ortoflorovivaista e della costituzione della Cooperativa sociale agricola»; – nel 2006, Regione Lazio, gemellaggio «Associazione INSIEME CENTURIPE, e conferenza: «Integrazione Sociale e Lavorativa nelle Diversità: Utopia o realtà lontana da poter costruire?»; – nel 2011, Regione Lazio: «Domeniche in compagnia»; – dal 2008 al 2012: «Volontari del Servizio Civile». Nel 2012 e 2013 stiamo realizzando il progetto «Week end in autonomia» nella casa famiglia Milly e Memmo di Capodarco a Grottaferrata, finanziato al 75% dalla Regione Lazio. In questi 25 anni si è molto puntato e lavorato sulla crescita e sull'autonomia dei ragazzi, una scelta che ha accresciuto il dinamismo dell'Associazione. Perché questa scelta? Perché quando è nato mio figlio Stefano, mi sono chiesta cosa lo rendeva diverso dagli altri bambini. Forse nella vita non saprà mai chi fosse stato Garibaldi. Ma quante persone si incontrano per la strada che non lo sanno, eppure fanno una vita normale? Io ho capito che ciò che lo rendeva diverso, era dipendere dagli altri a vita. Da qui la volontà di lavorare sull’autonomia, affinché ogni ragazzo raggiunga il massimo delle proprie capacità e siano, un domani, una risorsa affettiva e reale per genitori anziani e a volte anche malati. Per chiudere vorrei ricordare le persone che ci hanno aiutato a decollare: Suor Maria Stefania: iniziatrice, con un gruppo di ragazzini (con età di 13-14 anni) del PostCresima, ad occuparsi dell'integrazione sociale dei ragazzi disabili, era ottobre 2005. Ragazzini che, in seguito, sono divenuti i primi volontari dell'Associazione. – Don Antonio Zarantoniello, che ha creduto in noi e ci ha offerto i locali per la sede della Associazione. – Lamberto Trombetta e la sua fatica a costituire l'Associazione: a quell'epoca pochi ci credevano e ancora più pochi capivano le finalità. – Le signore Gianna Volpi e Lucia Casieri, impagabili volontarie. – Dott. Fausto Poleselli, assistente sociale del Comune di Lanuvio, che ci ha introdotto nel «labirinto» delle Leggi a favore dei ragazzi disabili. – Daniela Salvati, assistente sociale dell'UTR, che mi ha spronato a lavorare da «professionista», anche se gratis, e le sue parole mi hanno guidato in tutti questi anni: «Sandra se apri una strada solo per tuo figlio non risolvi niente, ma se apri una strada che possono percorrere in tanti allora sì che inizi a risolvere un problema». Personalmente ringrazio tutti i volontari che, con la loro carica giovanile, hanno reso molto «movimentata» la vita dei ragazzi «diversamente abili», che, contrariamente, sarebbe stata un fiume che trascorre tranquillamente nel suo letto. – 17 – Sandra Cerabino PELLEGRINI A FATIMA parizioni. Abbiamo attraversato la Basilica con la sua scalinata monumentale e l'ampio colonnato che si estende da ambo i lati in un ideale abbraccio per i pellegrini che arrivano sulla piazza, e rivolgendo il nostro sguardo alla spianata siamo stati catturati dall'immagine della Madonnina che 14 luglio 2012: Pellegrinaggio a Fatima; i partecipanti per una foto ricordo. C ARI AMICI, siamo partiti da Lanuvio nella splendida mattina estiva del 10 luglio scorso, accompagnati da don Bernard, nel suo duplice ruolo di Parroco e di Assistente Spirituale del gruppo. Eravamo pieni di aspettative ed entusiasmo, stavamo per affrontare quello che ogni pellegrino immagina di trovare a Fatima: il forte richiamo di Maria alla conversione e alla preghiera. Una volta arrivati a Lisbona abbiamo conosciuto la nostra guida e con lei ci siamo recati a visitare il Monastero dos Jerónimos, la Torre di Belém sulle rive del fiume Tago, a seguire la cattedrale di La Sé (in portoghese è l'abbreviazione di sede Episco- palis), ed infine la Chiesa di Santo Antonio da Sé che sorge presumibilmente nel luogo dove era situata la casa del Santo; è in quest’ultima splendida cornice che abbiamo assistito alla Santa Messa. Dopo un giro turistico per le strade della vecchia Lisbona, ci siamo diretti a Fatima. Siamo arrivati all'imbrunire, piovigginava e faceva freddo, ma la nostra attenzione si è rivolta immediatamente alle statue a grandezza naturale dei tre pastorelli, sembrava che fossero lì ad aspettare il nostro arrivo. Dopo aver preso possesso delle camere e cenato, dietro invito di don Bernard ci siamo recati alla Cappellina delle Ap– 18 – si venera nella Cappellina. Proprio lì, insieme ad una moltitudine di fratelli, nonostante la pioggia, il freddo e la stanchezza del viaggio, abbiamo pregato, e seguito poi in processione la Madonnina cantando. La mattina dopo eravamo tutti pronti ad affrontare la nostra prima giornata a Fatima. Ci siamo recati in Cova da Iria, dove abbiamo ripercorso il tragitto che i tre pastorelli facevano ogni giorno, trasformato nella Via Sacra, il Valinhos il luogo scelto dalla Madonna per la sua quarta apparizione e il Loca do Cabeço, dove i pastorelli hanno avuto la prima e la terza apparizione dell'Angelo. Nel pomeriggio, nella Cap- pella privata dei Padri che gestiscono l'albergo, ci siamo preparati con una celebrazione per l'atto penitenziale. Abbiamo visitato la Chiesa della Santissima Trinità, dove nel piazzale antistante, è ospitato un immenso Crocifisso, e poco oltre c'è la statua a grandezza naturale di Papa Giovanni Paolo II. Al centro della piazza, s'innalza la colonna che sorregge la statua del Sacro Cuore di Gesù, ai suoi piedi un pozzo per dissetare i pellegrini, che secondo la devozione popolare è dono di molte grazie, ed infine, abbiamo assistito alla Santa Messa in una Cappella del Santuario. Di corsa a cena per essere di nuovo presenti nella Cappellina delle Apparizioni per recitare le preghiere che la Madonna ci ha donato tramite i pastorelli. Troppo importante per tutto il nostro gruppo è stato comprendere che il vero Cuore del Santuario e di questa immensa spianata capace di accogliere milioni di pellegrini è la: «Cappellina delle Apparizioni». Il luogo, che pulsa e vive tramite la fede di chi cerca risposte, di chi invece conferme, o di chi si spinge a fare il primo passo verso il mistero. Siamo rimasti così in silenziosa preghiera nell'ascolto muto dell'altro, ad osservare con quanta fede e devozione i pellegrini percorrono in ginocchio il pezzo di spianata che collega la Chiesa della Santissima Trinità alla Cappelletta. Il giorno dopo, prima della Santa Messa Internazionale, abbiamo visitato l'esposizione Fatima Luce e Pace, dove ci sono tanti doni per ogni grazia ricevuta, e siamo rimasti incantati da tanti meravigliosi oggetti donati per ex voto o devozione, che periodicamente, tra l’altro, vengono venduti per finanziare opere di beneficenza. In questo luogo è custodita la corona della Madonnina dove Giovanni Paolo II, al suo interno, ha fatto incastonare il proiettile dell'attentato ai suoi danni avvenuto il 13 maggio 1981. Abbiamo visitato la cattedrale e sostato in preghiera davanti le tombe dei tre pastorelli custodite al suo interno; ma la sorpresa è stata quando, usciti, abbiamo ammirato l'immensa spianata gremita di pellegrini per la celebrazione Eucaristica e che ci ha lasciato senza parole! Quante persone unite nella fede si sono ritrovate a pregare insieme ed a condividere lo stesso Pane! Nel pomeriggio abbiamo visitato Aljustrel, il villaggio natale dei tre pastorelli con la chiesa, le case e i luoghi delle apparizioni. Nel cortile della casa di Lucia, dove è apparso l'Angelo per la seconda volta, seduta sotto l'albero davanti al pozzo della casa abbiamo incontrato una vecchina con il rosario tra le mani assorta nella preghiera. La nostra guida con voce sommessa ci ha riferito essere l'ultima nipote vivente di Suor Lucia. Noi ci siamo avvicinati e con estrema delicatezza l’abbiamo ringraziata per essersi fatta conoscere, solo che lei non capiva perché noi la ringraziassimo, lei era lì semplicemente per pregare, come faceva tutti i giorni. Al nostro rientro presso la spianata del Santuario per la Processione Eucaristica, in serata abbiamo recitato il Santo Rosario e partecipato alla fiaccolata. La mattina successiva, dopo la S. Messa alla Cappellina, siamo ripartiti per fare rientro in Italia. Un felice Natale a tutti Abbiamo conosciuto persone nuove, pregato insieme a loro in lingue diverse, ma ciò che ci ha accomunato è la stessa identica preghiera di tutti i cattolici: Il Santo Rosario. Questo viaggio ci ha offerto l’opportunità di approfondire i nostri rapporti anche con chi incontriamo semplicemente tutti i giorni per le vie del nostro paese e di aprirci, in un dialogo fraterno, per scoprire di essere compagni di vita nella fede e alla ricerca della fede. Ci siamo salutati con il rammarico di non poter essere ancora un poco insieme, ma nello stesso tempo con il sorriso sulle labbra, negli occhi e nel cuore per essere stati così uniti! Siamo di nuovo pronti per il prossimo viaggio insieme! Il nostro pensiero è rivolto a Roberto, la nostra guida tecnica italiana, un uomo di una bontà eccezionale che vive a Fatima con la moglie e i loro quattro bambini, insieme ad altre famiglie nella Comunità Casa di Maria di cui fa parte. Un grazie di cuore e di vera riconoscenza all'assistente spirituale, il nostro Parroco Don Bernard. Lui ci ha guidati con la cura amorevole di un padre, lasciandoci poi liberi di vivere la nostra ricerca interiore dell'essere pellegrini, nella pace dei luoghi, che ci hanno fatto conoscere e ricordare il messaggio di Fatima. Grazie ad Anna, Umberto e a noi tutti: Aurora, Beatrice, Pasqua, Luigi, Pio, Teresa, Agnese, Anastasia, Iris, Onelia, Enrico, Gilberto, Rosemarì e Giuseppina. L’appuntamento è per il prossimo pellegrinaggio, dove saremo di nuovo e per sempre compagni di vita nella fede. Giuseppina Salsiccia