Edizione n.10 Dicembre 2012 - Parrocchia Lanuvio Santa Maria

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Edizione n.10 Dicembre 2012 - Parrocchia Lanuvio Santa Maria
COMUNITÀ PARROCCHIALE
LANUVIO
SANTO NATALE
Bollettino Parrocchiale
S
U COLORO che abitavano in terra tenebrosa,
una luce rifulge. Con
questo annuncio biblico, la
liturgia del Natale ci ricorda
che con la venuta del Signore
il mondo è stato davvero illuminato dallo splendore di Cristo, luce vera del mondo.
Nella notte, attorno al riverbero e al calore
del fuoco, i nostri antichi usavano narrare le
storie. Forse facevano così pure i pastori, di
cui ci narra il Vangelo, i quali vegliavano
nella campagna attorno a Betlemme.
Anche alla mia mente tornano alcune
«storie». Ve ne riferisco due.
Dicembre 2012 - n° 6
l’ha semplicemente raccontata,
bensì l’ha vissuta in prima persona. Essa narra di un altro
«Figlio», che si allontanò da
suo «Padre», se ne andò in una
terra lontanissima – la «nostra»
terra –, per abitare fra noi.
Questo Figlio, al contrario del
precedente, non sperperò, ma
donò tutto quello che aveva. Anzi, donò se
stesso.
Questa seconda storia è iniziata in un giorno di duemila anni fa.
La ricordiamo nel giorno del Natale. Sappiamo pure che quando nacque quel «Figlio»,
sua madre Maria, la Vergine, «lo avvolse in
fasce e lo depose in una mangiatoia», perché
né per lei né per Giuseppe c’era posto nell’albergo. Già sin d’allora quel Figlio non aveva
più niente...
La notte di Natale è, dunque, un anticipo
di un’altra notte, quella in cui, quando, avendo amato i suoi, Gesù li amò sino alla fine.
Nella mia mente, ora, tutte queste storie si
sovrappongono. Nonostante le loro radicali
diversità, esse hanno molte cose in comune.
Se, tuttavia, la prima fortemente mi turba, la
seconda grandemente mi consola.
La medesima consolazione auguro a tutti
voi.
La notte
di Natale
La prima è stata raccontata dallo stesso
Gesù e parla di un «figlio», il quale richiese
dal padre tutto ciò che era suo e quanto gli
spettava. Con tutte quelle ricchezze, egli se ne
andò in una regione lontana e lì sperperò tutti
i suoi averi.
Questa storia tutti la conoscete, perché è
trascritta nel santo Vangelo ed è ricordata, fra
l’altro, come la «parabola del figliol prodigo». Quel prodigo è ciascuno di noi; quel prodigo sono io.
Risentendo questa storia mi tornano alla
mente, come in un rapido flashback, tutti i luoghi, le circostanze e le ragioni per le quali ho
«sperperato». Ne risento nell’animo tutte le
suggestioni e le illusioni, con una ripercussione di forte sofferenza e di pentimento.
La seconda storia fa anch’essa riferimento
a Gesù il quale, però, questa volta non
Marcello Semeraro
Vescovo di Albano
Un felice
Natale a tutti voi
L’Editoriale
Carissimi,
esprimendo i miei auguri attraverso queste poche righe, lo faccio con una riflessione/invito alla speranza e alla fede. Un Dio
per sperare e per credere (Rif.: Lc 1,9-45). Un
invito a meditare e vivere il Natale in attesa e
in preparazione della visita pastorale, quando, dal 10 al 13 di gennaio 2013, saremo visitati dal Signore nella persona del nostro
vescovo Marcello Semeraro.
Dio si è fatto come noi, ha assunto la
nostra umanità per donarci la sua divinità, è
lo scambio più grosso, il baratto più importante che sia mai stato fatto. Ciò si apparenta
allo scambio, forse a volte duro e faticoso, che
avviene nella famiglia: scambio tra generazioni, tra maschi e femmine, scambio tra persone ciascuna delle quali ha le sue idee, il suo
pensiero, i suoi modi di vedere, la sua libertà;
scambio da costruire, da rilanciare, scambio
che grazie al Signore che nasce, all’interno
della famiglia diventa scambio di vita divina.
Come è bella la famiglia dove si pratica il
perdono e si vive in pace! Preparando il mangiare, lavando, stirando, in realtà si comunica
umanità e divinità. Ed è importante che nella
famiglia si crei un momento di preghiera, un
angolo di silenzio, altrimenti tutte le grandi
cose che vi succedono non appaiono, è come
se non succedessero e il logorio consuma i
rapporti.
E allora ogni volta che riusciamo ad innestarci il Natale, noi possiamo ripartire, ricominciare da capo, con la pazienza e la carità
che solo Dio ha e può dare.
L’episodio di Elisabetta ci parla di lei e
del marito Zaccaria, giusti davanti a Dio, ma
non in grado di avere figli. Ma Luca ci descrive questa coppia come animata da fede, lode
e speranza.
Di Elisabetta sappiamo poco: avanti con
gli anni e sterile (condizione non facile per
un’ebrea). Lei, che ha vissuto il limite umano,
capisce che con Maria si sta verificando il
mistero di secoli di attese. Da secoli il popolo
ebraico non conosceva nuovi profeti: forse
che Dio si era stancato del suo popolo?
D’altra parte, Elisabetta poteva anche sentirsi abbandonata da Dio per la sua sterilità.
Ebbene, nonostante tutto, lei resta aperta alla
speranza: quando la ragione umana ha già
sentenziato la sconfitta, la sua speranza viene
premiata.
All’interno delle esperienze negative,
siamo chiamati alla speranza. Il cristiano, non
essendo di questo mondo – cioè essendo portatore di valori che sono «altri» rispetto quelli
mondani – rischia di soffrire e di essere escluso. San Paolo ci dice che Cristo ha voluto che
la sua potenza risplendesse maggiormente
nella debolezza. Si tratta, quando siamo più
deboli, di affidarci alle mani di Dio. Resistere
con tenacia al peso della fatica di vivere.
Gesù nasce in una famiglia, ha bisogno di
essa, dipende totalmente dalla premura di un
padre e di una madre. E nascendo, egli prima
di tutto entra in contatto con la famiglia ed
essendovi accolto, la santifica, la rende nobile e divina.
Se guardiamo il presepe, lasciando da
parte il bue e l’asinello, vediamo che il posto
di Maria e di Giuseppe, dei pastori e dei magi,
può essere preso dai vari membri di ogni famiglia qualsiasi; ma Gesù non può essere sostituito, deve esserci lui perché sia presepe, al
centro, al cuore di tutte le famiglie. Tra il
Natale e la famiglia si crea un parallelismo
profondo.
La speranza ci deve accompagnare sempre: noi progettiamo il nostro futuro, sognando di diventare in un modo piuttosto che
un altro, immaginandoci in un ambiente piuttosto che un altro: speranze che dobbiamo
integrare con la grande Speranza, quella della
vita eterna. Perciò dobbiamo stare attenti alla
nostra vita, a far sì che essa non si disperda
dietro la superficialità o la vanità.
Ora recuperiamo il senso del Natale, proviamo a immaginare una progettualità della
nostra vita che abbia al centro questa sfida:
la scelta della povertà, la scelta del Figlio
di Dio.
Impegno personale: Apri gli occhi del
cuore e cerca le angosce e le fatiche degli
altri, cercando di sollevarli con la speranza
e la fede.
O Santa Famiglia di Nazaret veglia su di
noi! O Gesù vieni a nascere dentro di noi,
nelle nostre famiglie e così vivremo davvero il
NATALE. O Bambino Gesù, O Maria, Madre
sempre Vergine, O Beatissimo Giuseppe vi affidiamo i bambini senza affetto che non hanno
nessuno che dia loro la buona notte e li inviti
a dormire tranquilli; vi affidiamo gli orfani, i
ragazzi abbandonati dai genitori, quelli che
per qualsiasi motivo vivono lontani dalla
famiglia; vi affidiamo i bimbi malati, i bimbi
sfruttati, coloro che, invece di giocare e studiare sono costretti a lavorare; vi affidiamo i
bimbi disabili e coloro ai quali anche oggi il
giorno è sembrato lungo e noioso; infine, vi
affidiamo tutte le nostre famiglie e le famiglie
del mondo affinché tutti possano vivere un
vero NATALE. Amen!
Cari lettori,
ne e dalla condivisione eucaristica) e che desidera
essere promotore ed artefice di ciò che si fa!
Sinora abbiamo operato con grandi concentrazioni di lavoro su pochi e, forse, anche deresponsabilizzando gli altri. Ciò ha causato diverse presenze
di errori, gaffes, articoli pubblicati che non rispecchiavano lo spirito del giornale e della comunità,
etc...
Per far fronte a ciò si ritiene oggi opportuno mettere in campo due azioni: la prima sarà individuare
un referente all’interno di ciascun gruppo che, di
concerto con l’animatore del gruppo stesso, riporti
sul bollettino qualche momento saliente, al fine di
rendere efficace la condivisione con il resto della
comunità.
La seconda azione sarà quella di assegnare precise responsabilità ad ognuno. Alcune sono già state
individuate, per altre occorre individuare idonee candidature.
Ci serve un responsabile dei contenuti, che propone l’indice e la struttura del giornale, i temi «culturali» da affrontare, sempre in coerenza con la pastorale parrocchiale. Un altro nostro desiderio sarebbe
quello di individuare un responsabile di rubrica, che
curasse una rubrica specifica del giornale per ogni
uscita (vita ecclesiale, politica, l’angolo del buon
umore...). Servirebbero anche dei volontari, per la
distribuzione di Comunità Parrocchiale.
Insomma, l’avventura del nostro giornalino parrocchiale è ricominciata, e la sfida è aperta per
chiunque voglia coglierla. Un grazie di cuore a quelli
che ci sosterranno, in primis con la preghiera!
subito dopo la fine dell’estate si è svolto un
incontro della redazione del nostro giornale e vorremmo in questa sede riassumere gli argomenti
emersi sia come promemoria di quanti hanno partecipato, ma anche con il fine di suscitare interesse e
sensibilizzare alla collaborazione a questo importante strumento pastorale.
Perché fare un giornale parrocchiale? Il bollettino è un servizio verso la comunità ed uno strumento con i seguenti obiettivi: essere luogo ed occasione di condivisione all’interno della comunità, perché
con il bollettino è possibile condividere le attività e
quanto avviene nei vari gruppi, è possibile raggiungere le persone che non hanno potuto prendere
parte ai momenti liturgici e condividere con gli
ammalati e con quanti non hanno la possibilità di
essere direttamente presenti quanto avviene nella
nostra comunità.
Un altro obiettivo del giornale è quello di animare la cultura della comunità: anche le testimonianze
dei laici che abbiamo avuto nel corso di quest’anno
hanno ulteriormente sottolineato quanto le sfide
morali, di evangelizzazione e pastorali che la società odierna ci pone davanti, esigono una preparazione adeguata.
E chi è quindi la redazione? A tutt’oggi è composta innanzitutto da persone che si mettono al servizio della comunità per favorire la condivisione ed
animarla culturalmente.
Ciò significa che, chi fa parte della redazione,
innanzitutto c’è, è parte integrante della comunità in
tutti i suoi momenti di vita (a partire dalla celebrazio-
– 3 –
Barbara Pellegrino
Mio fratello
il Pap a
U
N UOMO, un fratello,
prima di essere il Capo
della Cristianità, il 265°
Papa della Chiesa Cattolica e Vescovo di Roma. È Joseph Ratzinger visto dal fratello maggiore
Georg.
L’ex maestro di cappella che
ora vive a Ratisbona e che lo scorso 29 giugno 2011 ha festeggiato
insieme al Papa il sessantesimo
anniversario della loro ordinazione, avvenuta nella cattedrale di
Frisinga nel 1951, rievoca la lunga vita del Pontefice.
La nascita di Joseph il 16 aprile del 1927 nel villaggio di Markti
am Inn in Baviera «nei dintorni di
Altotting, dove sorge il celebre
santuario della Madonna Nera»,
l’infanzia, l’avvento del nazismo:
«I nostri genitori ci avevano solo
detto che Hitler era un uomo malvagio, un terribile criminale»; l’adolescenza: «Era un ottimo studente»; la guerra; la vocazione
sacerdotale e «La straordinaria
carriera tedesca, da figlio di un
commissario di polizia a guida
spirituale di 1,3 miliardi di cattolici».
L’interessante libro-intervista
è il resoconto di una serie di
colloqui che si sono svolti a Ratisbona nella tarda primavera dello
scorso anno tra Monsignor Ratzinger e il giornalista-scrittore
Hesemann.
«Gli faccio visita in vari momenti dell’anno», perché il legame tra
Georg e Joseph non si è mai
spezzato, anzi con il trascorrere
del tempo si è fatto più intenso,
soprattutto dopo l’elezione di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro.
«Il rapporto con mio fratello è
rimasto praticamente lo stesso.
Ora nella preghiera rivolgiamo al
buon Dio richieste molto diverse
rispetto al passato, ma nella
nostra relazione personale è tutto
come prima».
Georg Ratzinger rivela che al
piccolo Joseph piacevano i dolci
che preparava la mamma e gli
orsi di pezza, e afferma «eravamo un cuore e un’anima sola»
fin da piccoli.
Incuriosisce come si svolge la
giornata del Santo Padre: «Nei
giorni feriali pranzi alle 13,15,
mentre la domenica alle 13,00; poi
fa una breve passeggiata nel giardino del Palazzo Apostolico, perché dopo mangiato devi riposare
o fare mille passi e “In estate preghiamo sempre insieme il breviario”, mentre alle 19,00 fa una passeggiata nei giardini vaticani o in
quelli di Castel Gandolfo, recitando il rosario insieme al suo segretario, mons. Georg Ganswein. In
inverno, invece, siccome diventa
buio presto, esce alle 16,00.
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Verso le 18,00 vengono programmate le udienze».
Il programma preferito in tv di
Benedetto XVI è «La serie del
Commissario Rex, anche perché
ci piacciono i cani», però «Mio fratello guarda raramente la televisione, al massimo un film che parla del Vaticano o di una prossima
canonizzazione o beatificazione».
Le parole di Georg Ratzinger
coinvolgono il lettore in un racconto incalzante, emozionante:
«...Josephum Sanctae Romanae
Ecclesiae Cardinalem Ratzinger».
Quando sentii quella parola rimasi pietrificato. Sinceramente
devo dire che in quel momento
mi sentii scoraggiato, abbattuto. Per lui era una grande sfida,
un impegno gravoso, pensavo
tra me, ed ero seriamente
preoccupato.
L’autore ricorda che per il Papa
«la sua elezione era stata come
un fulmine a ciel sereno» che Benedetto XVI aveva accolto con
serenità, consapevole di abbandonarsi al volere di Dio che gli affidava questo alto compito.
Il Santo Padre ha scelto di
chiamarsi Benedetto, perché ha
sempre avuto una venerazione
per il Santo di Norcia che considera il suo padrino e protettore
ma anche per motivi estetici ed
etimologici: «Gli piacevano sia il
suono che il significato (dal latino
benedicere), benedetto da Dio e
benedizione per gli altri, ma gli
sembrava anche adatto per un
pontefice».
Nell’introduzione Hesemann
confessa di essere rimasto colpito dal racconto di Georg Ratzinger sui primi anni di formazione
di Benedetto XVI. Ne risulta, infatti, il ritratto di una famiglia che,
grazie a una fede vissuta intensamente, riuscì a resistere a
tutte le avversità del tempo,
comprese le malvagità del regime
nazista.
Un libro-dialogo, un profilo
singolare che svela sotto una
nuova luce l’uomo e il Pontefice
che si vede e si definisce come
«un umile servitore nella vigna
del Signore» perché comprende
«molto chiaramente qual è il confine tra uomo e carica e conosce i
suoi limiti».
Al termine di questa lunga conversazione Georg Ratzinger, la
persona più vicina a Benedetto
XVI, si augura che suo fratello
«possa sempre adempiere al suo
incarico di successore di Pietro
liberamente e nel modo migliore.
Desidero anche che un giorno,
nell’altra vita, dove ognuno di noi
sarà giudicato, superi l’ultimo esame di fronte al Padre celeste e
tutto finisca bene. Di questo ne
sono convinto».
San Giovanni Rotondo, 24-25 settembre: I partecipanti al pellegrinaggio.
PELLEGRINAGGIO PARROCCHIALE
A SAN GIOVANNI ROTONDO
IN RICORDO
DI ADUA GRASSI
Il 22 del mese di ottobre è trascorso un anno da quando Adua
non è più tra noi.
Carissima, con la presente vogliamo ringraziarti, ancora una
volta, per il tuo impegno presso
la nostra parrocchia: grazie davvero; grazie per essere stata tra
noi come dono di Dio; grazie per
la preziosa spirituale eredità che
ci hai lasciato.
Perdona le nostre incomprensioni, perdonaci se non ti abbiamo dato l’aiuto e le maggiori
attenzioni che meritavi e delle
quali avevi bisogno.
Certi da potersi ritrovare un
giorno nella gloria di Dio, ora più
che sempre prega per noi.
Siamo partiti da Lanuvio il 24 settembre scorso, per un pellegrinaggio organizzato dal sig. Umberto per conto della Parrocchia
ed accompagnati, data l’assenza del Parroco per impegni in diocesi, dal diacono Tommaso che svolge il suo esercizio presso la parrocchia di Campoleone.
Questi due giorni che abbiamo passato insieme ci hanno
riconfermato, ancora una volta, il grande dono che don Pio ha
ricevuto e che trasmette ad ognuno di noi.
L’esercito di pellegrini che invade i suoi luoghi, non sono altro
che il frutto della sua santità, il frutto del suo amore verso le persone più povere, le più bisognose di aiuto.
Anche questa volta sono partito da Lanuvio con qualche perplessità, ed anche questa volta sono tornato a casa con delle certezze; certezze che fanno di questo personaggio uno dei più grandi, uno dei più famosi del XX secolo.
Penso che il Signore Gesù, attraverso don Pio, abbia fatto in
modo di farci conoscere tutta la sua potenza e tutta la sua grandezza.
Paolo
Comunità parrocchiale è presente anche on-line visitando il sito:
www.oratoriodonboscolanuvio.it
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VIVIAMO
LA CATECHESI
I
L CAMMINO cristiano nasce in famiglia indicando principi
e valori puri, prosegue con i catechisti con l'insegnamento
della dottrina cattolica ai fanciulli, ma trova forse la sua
espressione più alta nella vita quotidiana con il confronto tra animi
volti al BENE, sempre e comunque.
Ma, mi chiedo, basta dedicare un po' del proprio tempo per sentirsi a posto con la propria coscienza? NO!
Innanzi tutto occorre distinguere tra qualità e quantità, dato che
sicuramente non è il «quanto» a determinare il peso di un'opera.
Lo sappiamo bene: «Il Signore pesa i cuori». Inoltre fare del
BENE necessita di condivisione, di cooperazione in ogni campo.
Infine la condivisione nasce dallo Spirito. Lo Spirito di ognuno di noi.
Lo stesso che ti invita a pregare insieme, lo stesso che ti aiuta a
riflettere, quello che a volte dimentichiamo di avere, quello che, solo
se vogliamo, si arricchisce ogni giorno chiedendoti solo serenità e
chiarezza di intenti.
Questo è ciò che mi aspetto dal popolo di Dio.
Questo è ciò cui dovremmo tendere per imparare l'arte di una
comunicazione semplice, ma sempre più difficile perché forse in troppi resi sordi dalle proprie conoscenze.
E, allora, queste conoscenze utilizziamole per costruire tante
relazioni solide, un grande mondo, anche nella piccola Lanuvio,
fatto di vera collaborazione e più verità da scambiarci per dare ai
nostri figli le giuste basi per essere testimoni ogni giorno dell'opera
di Dio.
Modifichiamo i nostri tempi e leggiamo insieme a loro la Bibbia,
i libri di catechismo che contengono senz'altro belle illustrazioni, ma
soprattutto la strada giusta per la conoscenza dell'autentica pace dei
nostri cuori. La pace che ti viene dalla riflessione e dal coraggio di
mettersi in gioco con loro nella ricerca della Fede.
La catechesi aiuta a tornare bambini, puri. Siamo anche noi piccoli fanciulli che devono imparare ogni giorno la comunione.
Apriamoci e ascoltiamo ciò che l'altro ha da dirci. L'altro uguale a noi. L'altro piccolo come noi.
Lo diceva proprio Gesù: «Il più piccolo di voi, questi è il più
grande». Noi siamo tutti piccoli uomini dotati di grandi doni: la vita,
la libertà di scegliere, l'amore. Amore come dovere di amare.
Auguri di Buon Natale a tutta la Comunità, ma soprattutto ai
ragazzi di Lanuvio che hanno bisogno dei nostri sorrisi.
Un saluto e un ringraziamento speciali per il nostro prezioso parroco Don Bernard.
Rosanna Mastrogiacomo
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LE DUE CITTÀ
Nel numero di gennaio-febbraio
2012 de Le due città, rivista informativa del Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria, è apparso un articolo
riguardante la visita del Santo Padre
Benedetto XVI nel carcere romano di
Rebibbia avvenuta nel dicembre
2011, ed un'intervista ai fratelli Paolo
e Vittorio Taviani, registi del film
«Cesare deve morire», girato all'interno del carcere sopra citato e interpretato da attori tutti detenuti, alcuni
con «fine pena mai».
«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi», è stata l'introduzione del
Papa. «Queste sono le parole del giudizio finale raccontate dall'evangelista
Matteo e queste parole del Signore
nelle quali Egli s'identifica con i detenuti, esprimono in pienezza il senso
della mia visita odierna tra voi, ovunque c'è un affamato, uno straniero, un
ammalato, un carcerato, lì c'è Cristo
stesso che attende la nostra visita e il
nostro aiuto».
Ad accompagnare il Pontefice,
c'era il Ministro della Giustizia Paola
Severino e il Cappellano del carcere
Don Sandro Spriano. Riportiamo un
brano molto significativo del suo intervento:
«Sbagliamo e pecchiamo tutti. Qui
c'è chi ha compiuto azioni anche
orrende e ha provocato tragedie spesso insanabili ma essi restano e sono
Figli di Dio, bisognosi di consolazione
e di amore, desiderosi di essere considerati come nostri fratelli e nostre
sorelle.
A nome mio e di tutti i detenuti,
chiedo perdono per le nostre colpe e
per le sofferenze inflitte ad altri uomini, ad altre donne. Vorremmo poter
ricomporre le rotture che abbiamo
provocato con le nostre azioni… ma
non vogliamo essere per sempre
identificati con i nostri sbagli, le nostre
colpe. Chiediamo di poter tornare
nella società senza il marchio di
'mostri del male'…».
Affettuosa la risposta del Pontefice
quando si è rivolto ad un detenuto
dicendogli, a seguito di una sua esternazione: «Anch'io ti voglio bene».
Unanime è stato il pensiero dei due
registi quando nel mese di maggio del
2011, nell'intervista rilasciata a Le due
città, raccontarono del forte sgomento
che li coglieva ogni giorno quando
tutti, terminato il lavoro delle riprese
del film durate quarantacinque giorni,
tornavano nelle proprie case, mentre i
detenuti rientravano nelle loro celle.
«Spero che qualcuno, tornando a
casa dopo aver visto “Cesare deve
morire”, pensi che anche un detenuto
su cui sovrasta una terribile pena, è
e resta un uomo». Così Vittorio
Taviani ha commentato il premio
«Orso d'oro», aggiudicato al film.
Personalmente desidero aggiungere che quando, anni fa, lessi per la
prima volta il titolo Le due città, lo
associai alla «città terrestre» e alla
«città celeste», quest'ultima presentata da sant'Agostino come «la città di
Dio».
La prima vissuta, col passare degli
anni, nelle innocenze, nelle colpe, nei
dubbi, tra gioie e dolori ma immersa
nella fede, nella speranza, nella carità. Virtù queste che fanno intravedere
la seconda «quella di Dio», perché
illuminata dalla buona notizia significata e presente nel Vangelo nel quale
la nascita, la passione, la morte, la
risurrezione di Gesù, figlio prediletto
di Dio, ne è la certezza sostenuta
dalle sue parole, dal suo perdono, dal
nutrimento del suo corpo eucaristico.
Certezza accompagnata e sostenuta
e intercessa dalla sua mamma, Maria,
alla quale tutti siamo stati affidati.
Benedetto
PREGHIERA
DEL DETENUTO
Signore Gesù, sono un carcerato, avrei più tempo dei monaci
certosini per pregarti… ma tu sai
quanto sia difficile pregare per un
carcerato.
È difficile pregare e credere,
quando ci si sente abbandonati
dall'umanità.
Anche per te fu difficile pregare
sulla croce tanto che gridasti la
tua angoscia, la tua delusione, la
tua amarezza: «Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato»?
Il perché sulle tue labbra era
diverso… perché tu eri «innocente». Anche tu fosti un carcerato,
un torturato, un imputato, un condannato.
Ad un tuo compagno di condanna, pentito e fiducioso in Te, hai
assicurato il Paradiso, lo hai proclamato santo.
4ª DOMENICA DI AVVENTO
(23 dicembre)
Dopo aver generosamente accettato la missione
affidatale da Dio per mezzo dell’annuncio dell’angelo,
Maria «si mise in viaggio verso la montagna», per
compiere un atto di squisita carità cristiana: aiutare
Elisabetta, anziana, a portare avanti la sua miracolosa gravidanza.
Ambedue accettano di diventare mamme come un
dono gratuito di Dio; ambedue adempiono con Fede
la missione che a loro viene da Dio.
Quale insegnamento per i nostri tempi, in cui si
impedisce con tutti i mezzi, leciti e illeciti, che la vita
si accenda nel grembo delle nostre donne; in cui i figli
sono visti, a volte, come degli intrusi che vengono a
disturbare, a turbare la nostra «festa» continua, e la
nostra vita spendacciona; quando non si arriva all’estinzione violenta e assassina della vita concepita,
addirittura all’abbandono dei neonati nei bidoni dell’immondizia o all’infanticidio!
Ma che razza di cristiani siamo? Che società cristiana è la nostra? Non solo essa non è cristiana, ma
nemmeno umana!
Sull’esempio di quelle due sante donne, impariamo che ogni nuova vita è voluta da Dio e che è un suo
dono: dono alle mamme e alle famiglie, ma anche alla
società e all’intera umanità.
Quando una donna concepisce un figlio, come
Maria dovrebbe esclamare: «L’anima mia magnifica
il Signore... grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente!»; e ognuno di noi dovrebbe dirle, con Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto
del tuo grembo!».
Il Natale è questo: la celebrazione della fecondità
e della vita, dono di Dio.
L’unico vero rito, gradito a Dio, è la realizzazione
della sua volontà. Per questo Gesù, il Verbo di Dio
fatto «carne», è venuto nel mondo ad offrirsi in sacrificio «una volta per sempre».
È anche questo il vero significato del Natale.
dagli scritti di Fausto Varesi
– 7 –
A M E N!
Parola chiave della liturgia
e della preghiera cristiana
AMEN!
Una parola intraducibile,
ma ricca di significato!
Amen, è la parola chiave della
liturgia e della preghiera cristiana, infatti tutte le preghiere del
cristiano terminano con questa
parola: «Amen».
Sappiamo che il significato
comune che si dà al termine
«Amen» è: «Così sia». Ma questa traduzione, oltre che impoverire, travisa il termine facendolo
diventare l'espressione del conformismo e della passività.
Invece il termine «Amen»,
nella sua etimologia ebraica,
esprime immensamente di più,
diventando l'espressione dell'entusiasmo e della decisione del
credente. Per questo il termine
«amen» non è stato tradotto ma è
pronunciato così com'è, in qualsiasi lingua il credente prega.
«Rimane intraducibile – dice
S. Agostino – perché sia rinforzato dal velo del mistero, non
per nascondere il senso, ma per
non impoverirlo». Cerchiamo
ora di conoscere la splendida ricchezza che il termine «Amen»
racchiude.
Dio è Amen!
Amen è il nome di Dio in
quanto si è liberamente impegnato e rimane fedele alle sue
promesse. È il profeta Isaia che
chiama Dio: Amen!
«Chi vorrà essere benedetto
nel paese, vorrà esserlo per il
Dio-Amen» (66,15). Credere e
invocare Dio «Amen» significa
avere fiducia in lui, poiché le
promesse che egli ha fatto agli
uomini sono qualche cosa di
solido, di fermo, che impegna
una fedeltà a tutta prova.
che l'assemblea pronuncia diventa il culmine dell'adesione
dei fedeli alla preghiera che il
sacerdote a nome di tutti indirizza a Dio.
Dire, o meglio, acclamare o
cantare l'amen diventa il ruolo
proprio del popolo cristiano
nella liturgia della chiesa. Infatti:
Cristo è Amen!
1. acclamando «Amen», il
popolo cristiano si inserisce
nella preghiera della chiesa, nel
suo atto di fede, nel suo rendimento di grazie al Dio vero e
fedele;
Gesù cristo è l'Amen di Dio.
Infatti per mezzo suo Dio realizza pienamente tutte le sue promesse. È l'autore dell'Apocalisse
che chiama Cristo: «Amen».
«Così parla l'Amen, il testimone
fedele e verace» (3,14).
Gesù, infatti, è la Parola stessa di Dio, è l'Amen per eccellenza. Per questo quando parla può
benissimo iniziare con un Amen
ripetuto: «Amen amen, io dico a
voi...». Una formula che troviamo spesso nel Vangelo di
Giovanni che viene tradotto: «In
verità vi dico», ma che potremmo così tradurre: «Ecco ciò che
dice il Testimone veramente
fedele». Essa sottolinea che
Gesù è l'inviato di Dio e che dice
parole vere. Credere e invocare
Gesù Cristo «Amen» significa
proclamare che egli è la «Verità
incarnata» (Gv 14,6) la «Perfezione incarnata» (Lc 1,35) la
«Fedeltà incarnata» (Gv 6,37).
L'Amen nella liturgia
cristiana
Nella liturgia cristiana l'Amen
– 8 –
2. acclamando «Amen», il
popolo cristiano si affida a Dio,
si fonda e appoggia su di lui
come fondamento sicuro;
3. acclamando «Amen», il
popolo cristiano si lancia nella
scia di Cristo, il Testimone fedele e verace per vivere della sua
vita e contribuire con Lui all'avvento del Regno di Dio;
4. così, mentre ora nella liturgia terrena il Cristiano canta il
suo «Amen», un giorno nella
liturgia celeste canterà la sua
gioia con un «amen» senza fine.
«Quando contempleremo Dio
faccia a faccia, mentre ora lo
contempliamo solo come attraverso uno specchio, sarà con
commozione ben superiore ed
indicibile che potremo dire:
Amen». (S. Agostino)
Arrivederci
alla prossima volta!
FESTA
DI SAN MARTINO
Novembre mese dei Santi! Questo
tempo che la Chiesa apre con la
Solennità di tutti i Santi è, per
l'Oratorio parrocchiale di Lanuvio,
occasione per rendere visibile la
gioia di seguire il Signore Gesù
facendo memoria della santità, fra
tradizione ed innovazione.
Tradizione con san Giovanni
Bosco, protettore del nostro Oratorio, di cui ricordiamo il miracolo
della moltiplicazione delle castagne
agli inizi della sua missione in mezzo
alla gioventù.
E così domenica 4 novembre,
nel salone dell'Oratorio, molti ragazzi e famiglie hanno vissuto un pomeriggio di allegria, tra giochi, balli, scenette e le immancabili caldarroste
offerte dagli ex-allievi di Don Bosco!
Innovazione con la festa di San
Martino, testimone della carità, che
nel povero seppe riconoscere e soccorrere il Cristo.
Foto in alto:
Momenti di festa nel salone
dell’Oratorio: canti, balli, giochi e le caldarroste offerte
dagli exallievi don Bosco.
Foto a lato e sotto:
Corteo e taglio del mantello
che rievocano la scena della
condivisione con il povero.
Domenica 11, al termine della S.
Messa, si è aperto il corteo che,
seguendo un giovanissimo cavaliere
a cavallo, ha rievocato la scena del
taglio e della condivisione del mantello con il povero, aprendo così la
festa dell'Oratorio in piazza, con giochi e colazione per tutti.
Anche se la pioggia ha interrotto
la mattinata, siamo tutti grati al
nostro responsabile dell'Oratorio
Martino, ai suoi animatori e ai generosi collaboratori tutti, per l'impegno
profuso nelle varie iniziative, esempio vivo e testimonianza, nell'Anno
della Fede!
Albino
– 9 –
Q
uanti sono cresciuti nel
nostro paese, hanno nella
loro memoria un Oratorio:
un cortile, un campetto per partite di
pallone appassionate. Hanno nel
cuore anche il ricordo di persone adulte: qualche prete, salesiano, novizio, qualche compagno di giochi più
grande, qualche adulto che sapeva
giocare e che sapeva ascoltarci e
darci insegnamenti di vita che non ci
risultavano troppo difficili, perché li
vedevamo interpretati nella pratica e
nell’esempio.
Crescendo, alcuni hanno occupato
il posto di questi fratelli adulti, e abbiamo potuto capire dall’interno,
stando dall’altra parte, la passione
che li animava e che li portava a passare con noi molto tempo, a volte in
attività futili, a volte negli impegnativi
dialoghi della vita con cui ragazzi e
giovani coscienziosi sanno impegnare i più grandi.
L’Oratorio nasce dalla Parrocchia
come strumento per la formazione
umana e cristiana delle giovani generazioni. Il cristiano non giunge alla
maturità della fede con il Battesimo:
tutta la sua vita è un itinerario di crescita verso la pienezza di Cristo. La
comunità, anch’essa impegnata in un
cammino continuo di fedeltà, con l’Oratorio promuove processi educativi
che mirano ad aprire spazi di crescita e a creare la mentalità della fede.
L’Oratorio è nella tradizione della
nostra parrocchia, espressione della
consapevolezza di quanto sia delicata e bella la stagione dei primi anni
della vita, espressione dell’amore per
i ragazzi e dell’impegno di accogliere
i giovani, di comunicare una visione
grande della vita, di esercitare quel
compito educativo al quale non bastano né la famiglia né la scuola.
Manifestazione della carità della
comunità cristiana, l’Oratorio ha
espresso e continua a rivelare la sua
passione per la persona, la fiducia e
l’interesse per le nuove generazioni,
il desiderio di aprire loro gli orizzonti
di una vita carica di significato, di
libertà e di passione per gli altri.
L’Oratorio è un «ambiente», sebbene non l’unico, in cui tutta la comunità evangelizza i ragazzi, gli adolescenti e i giovani. Si parla di «ambiente» e non solo di luogo fisico,
perché l’oratorio è soprattutto una
mentalità, un modo di vivere assimilato attraverso il contatto con persone che, avvalendosi di strutture adeguate, propone esperienze capaci di
L’Oratorio
luogo della crescita
Celebrazione eucaristica presso la Cappella dell’Oratorio.
trasmettere valori. Qui nulla è lasciato al caso. L’Oratorio non è un campetto
aperto a tutti e a tutto. L’Oratorio è «ambiente» in cui ci si accompagna nella
paziente attesa di crescita di ciascuno, nell’apprezzare la bellezza di ogni fase
evolutiva della vita, nella speranza gioiosa di chi tende sempre ad un incontro
con i fratelli e con Cristo. Luogo in cui nessuno è maestro, perché l’unico
Maestro è Gesù.
L’Oratorio è il volto giovane della Chiesa attraverso l’esperienza ecclesiale dei partecipanti, è il volto della Chiesa giovane «Madre e Maestra» che
si fa nell’oggi via per condurre a Cristo. È il luogo di accoglienza per tutti, il
luogo di confronto, che si fonde con la comunità cristiana esprimendo la sua
passione educativa verso coloro che vogliono accettarla. Le iniziative dell’Oratorio intendono arricchire l’umanità di ognuno, liberare dai condizionamenti deleteri, favorire il sorgere della domanda sul senso della vita, proporre la Buona Novella con l’annuncio esplicito e la testimonianza della comunità dei cristiani.
Le proposte dell’Oratorio intendono promuovere la persona. Esse sono
molteplici: l’Oratorio non è solo il luogo della catechesi, anche se questo è un
impegno primario ed essenziale, assolutamente irrinunciabile, e dell’iniziazione alla vita liturgica e spirituale, ma la sua funzione educativa prevede a pieno
titolo anche attività ludiche, artistiche, ricreative e sportive in genere, dirette
all’animazione del tempo libero. Quest’anno abbiamo continuato ad accogliere i ragazzi nei nostri «laboratori» di dolci tradizioni e di Mamma Margherita,
mentre il coro che da ottobre è aperto anche ai bambini più piccoli, insieme
al corso di chitarra cercano di far crescere il cuore di tutti coloro che vogliono trovare il Signore attraverso la musica.
Con la stessa finalità è nato l’Atelier - la fabbrica dei sogni e il corso di
cucito creativo e di découpage, perché la bellezza rivela il vero volto del
Creatore. Pensando al creato è venuto alla luce il nostro gruppo di mountain
bike per scoprire la bellezza intorno a noi e il laboratorio di archeologia perché non conoscere il proprio passato costituisce un limite nell’affrontare il futu– 10 –
ro. I nostri ragazzi dei gruppi postcresima e post-comunione possono
continuare a crescere insieme e cominciare ad assumere delle piccole
responsabilità per il bene di tutta la
comunità.
Sempre i ragazzi sono protagonisti
nel doposcuola e nel gruppo di
ballo perché sentono il bisogno di
plasmare la nostra realtà ed aiutare i
più piccoli. Non possiamo dimenticarci dei nostri piccoli calciatori e dei loro
allenatori che sono una parte integrante dell’Oratorio. Proprio in questi
giorni si sta formando anche il gruppo teatrale e quello degli scout.
Come non esiste un unico modello
di cristiano, né un unico modo di incontrare Cristo, così nessuna capacità o dono, nessuna disponibilità deve
essere spenta.
Tante proposte rispondono a varie
esigenze e a delle diversità di adesione. L’Oratorio non offre iniziative
anonime, ma promuove i singoli, guidandoli e animandoli affinché siano
abilitati a essere protagonisti nella
Chiesa e nel mondo.
Don Bosco una volta ha scritto:
«Ricordatevi che l’educazione è cosa
di cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa
alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte, e ce ne dà in mano le chiavi».
Ciò che colpisce maggiormente i
ragazzi non sono le belle parole ma
l’esempio.
«L’educatore deve aver bene chiaro che a incidere maggiormente non
è ciò che dice, ma bensì ciò che egli
stesso è e fa» (R. Guardini). L’educatore dell’Oratorio è colui che si
pone a servizio nell’Oratorio e vi
opera in quanto persona di fiducia.
È degno di fiducia perché fedele agli
ideali dell’Oratorio e agli impegni
concreti del servizio, compresi quelli
semplici della quotidianità, ma che
qualifichino uno «stile» di vita.
Per questo, con grande gioia,
l’Oratorio accoglie tutti coloro che
vogliono collaborare nella crescita
dei nostri ragazzi (come nel caso di
numerosi adulti: delle mamme e dei
papà che quest’anno hanno preso «il
possesso» del nostro baretto e del
cortile). È il Signore che chiama e dà
la forza di servire i fratelli. A noi resta
solo la gioia di partecipare nel grande
mistero della crescita non solo dei
ragazzi ma di tutti noi: «cortilai» del
Signore.
BUON CAMMINO INSIEME!!!
Anche quest’anno nel mese di settembre,
con rinnovato impegno e con i soliti buoni
propositi, è ripartita l’attività sportiva in
Oratorio. Sono state allestite due squadre
che, dalla metà di novembre, sono impegnate
nei tornei di calcio a 5 organizzati dall’ufficio
della Pastorale dello sport e del tempo libero
della Diocesi di Albano; una per la categoria
degli under 12 e una per i ragazzi delle scuole medie under 14. Inoltre, per far avvicinare i bambini a questa disciplina sportiva, è stata creata una sezione denominata «primi calci» per
i mini giocatori di anni più piccoli.
Che tipo di sport è proposto nell’ambito dell’Oratorio? Il gruppo
sportivo formato da allenatori e dirigenti ha, come obiettivo primario,
quello di mettere il più possibile in pratica la bella frase contenuta nel
logo impresso sulle maglie dei loro giovani calciatori: Educare attraverso lo sport. Ma come si educa attraverso l’attività sportiva?
È senza ombra di dubbio una sfida molto difficile da affrontare, in
particolare in questi tempi dove l’immagine dello sport è stata inquinata da tanti fattori che ne hanno creato un’idea distorta e in qualche caso
ne hanno minato la popolarità. Allora bisogna avere il coraggio e l’intraprendenza di andare contro corrente e trasmettere un’idea di sport
libera da ogni forma di interesse che non sia quella educativa e cercare, in questo modo, di tirare fuori il meglio dai ragazzi.
Poi per la realtà dell’Oratorio non è nemmeno semplice riuscire a
tenere testa con le proposte di tante associazioni sportive nate negli ultimi tempi che hanno concentrato l’attività proprio sul calcio a 5, una
disciplina in rapida e continua espansione. Pertanto, per il gruppo
sportivo dell’Oratorio, c’è la necessità di proporre un’attività sportiva
che sia di qualità, con crescenti competenze tecniche e accorgimenti
specifici che vadano ad integrare e ad arricchire l’aspetto del gioco.
Perché è vero che la componente fondante dello sport è il gioco ma
non può essere ridotto solo a quello; lo sport è fatica, insegna il valore
del sacrificio per raggiungere un obiettivo (uno dei cardini educativi);
lo sport è regole, insegna il rispetto degli avversari e dei compagni
(le regole sono il fondamento della trasmissione dei buoni comportamenti... concetto molto chiaro nell’opera pedagogica di don Bosco); lo
sport è relazioni vere, in particolare uno sport di squadra come il calcio a 5 si apre a forme di solidarietà e di amicizia (anche un semplice
gesto tecnico come il possesso palla diventa un modo per aumentare la
coesione di gruppo o un semplice passaggio diventa occasione di dialogo con il compagno); lo sport è sano agonismo, insegna a vincere e
anche a perdere ma insegna soprattutto a «battersi» per raggiungere il
risultato e quindi insegna a scoprire i propri limiti e le proprie potenzialità; lo sport è corporeità, insegna a valorizzare il proprio corpo e
crea unità tra corpo-anima e spirito (la famosa locuzione latina mens
sana in corpore sano) quindi è portatore di benessere.
Così l’attività sportiva in Oratorio deve poter diventare un’esperienza di vita per i ragazzi, una valvola di sfogo creativa e costruttiva
accanto al loro primario impegno quotidiano che è quello di studenti.
Martino
Stefano Galli
ANDARE CONTRO CORRENTE
– 11 –
L’ATELIER
La fabbrica dei sogni
colore, che fin da bambino
ha abitato la mia fantasia,
oltre alla volontà di interagire, non come riferimento,
ma come pretesto, o fonte,
per lo scambio d’idee».
Paolo Monaco
Il «segno», «la macchia»
sul foglio, sulla tela, sui muri,
sulla superficie del mondo, è
il «graffio» del bambino nella
vita.
Senza sovrastrutture, né
canoni, né compromessi, né
padroni, né vincitori, né vinti.
Tutto è colore... tutto è incanto! Iniziare dalla fine, per
i bambini è vitale…
«L’ATELIER (la fabbrica
dei sogni) è un laboratorio di
pittura per bambini, che darà
loro l’opportunità di confrontarsi, esprimersi, cimentarsi
con il misterioso universo
dell’arte.
Lungi da me la presunzione d’insegnare od indottrinare l’incontinenza espressiva
degli infanti, anzi, gli adulti
(io per primo) avranno la
possibilità d’imparare e di
emozionarsi contemplando i
loro concepimenti artistici.
Il mio impegno per codesto progetto sarà legato esclusivamente all’esperienza, alla passione ed alla curiosità per la materia ed il
Le lezioni avranno luogo, tutti i mercoledì dalle 18,00 presso «l'Atelier»
dell'oratorio don Bosco di Lanuvio.
L'iniziativa non ha scopo di lucro, l'iscrizione e la frequentazione del
corso è gratuita.
– 12 –
L
A FAMIGLIA è l’ambiente naturale per la
accoglienza della vita
fin dal concepimento, per la crescita totale e l’educazione dei
figli.
Nella famiglia, l’affetto è autentico, la solidarietà è spontanea; è logico, quindi, che ci sia
tra i suoi membri, l’atteggiamento dell’accettazione reciproca che scaturisce solo dall’amore condividendo gioie, dolori, difficoltà.
La famiglia ha un ruolo originale e insostituibile per il corretto sviluppo dei bambini ed è
soltanto lì che trovano tutto ciò
a cui hanno diritto: crescendo e
prosperando, accrescendo la
loro personalità, dal momento
che non ci sono scuole sperimentali dove si insegni ad essere genitori, né a essere figli; non
ci sono studi che riescano a fare
di noi degli individui buoni,
generosi, altruisti, solidali, pazienti, lieti anche nelle contrarietà. Queste cose non si imparano da lezioni, bensì possono
essere assorbite, giorno dopo
giorno, momento per momento,
dagli esempi e dalla maturità: e
sono il dono più grande che i
bambini possono ricevere dai
genitori, dai nonni.
L’educazione più efficace
passa sempre attraverso le testimonianze dei genitori: specialmente della mamma.
Solo bisogna aggiungere che
da sola, la madre non può farcela: ci vuole anche la presenza
del padre; mentre, per la vita
che oggi siamo costretti a fare,
troppo spesso il padre è assente;
e non di rado nell’ambiente domestico viene a mancare anche
la presenza della madre, a causa
di qualche lavoro extra familia-
LA FAMIGLIA
Ambiente di solidarietà e amore
re; ai genitori oggi si richiedono
più sacrifici di ieri.
Oggi la famiglia è diventata
più che mai una scelta molto
importante, una missione.
La famiglia deve educare alla
conoscenza e all’apprezzamento dei valori umani; se è poi una
famiglia cristiana, deve educare
anche ai valori religiosi, sempre
tenendo presente come modello
originale: la famiglia di Nazareth.
Senza dubbio, la famiglia, da
sola, specie nell’odierna forma
che ha assunto la vita sociale,
non basta più né alla sopravvivenza né alla formazione degli
uomini.
Il recente mutamento sociale
che riflette l’avvenuta «riscoperta» della famiglia ci dà l’opportunità di ritrovare «l’intelligente» coraggio di riproporre la
famiglia come sicuro campo di
unità tra tutte le forze: sociali,
religiose, ambientali.
Ammesso e concesso che,
tranne qualche caso negativo, è
la famiglia umana il primo
ambiente in cui si formano gli
uomini e i cittadini della società
terrena; è lampante anche, che
nella famiglia che crede in Dio,
che segue Cristo e vive la religione, si formeranno i futuri cittadini della patria celeste, coscienti che il Regno di Dio
comincia fin da questa terra
essendo loro stessi a doverla
costruire.
– 13 –
La famiglia cristiana assume
così l’importanza di una scuola
di formazione e di educazione
non solo umana e sociale,
diventando così una scuola di
evangelizzazione; ecco perché,
nella maturità, i figli apprenderanno dai genitori a considerare
la loro vita come una missione:
la madre, in particolare, diventa
la prima catechista.
Così la famiglia diventa
«chiesa domestica». I genitori
cristiani debbono abituare per
tempo i propri bambini ad uscire dall’involucro dell’egoismo,
dalla sicurezza della propria
famiglia, per guardare in faccia
la realtà e accorgersi del mondo
esterno, di confrontarsi con altri
bambini. Proprio la cultura dei
mass-media ha diviso le famiglie, facendole sentire diverse,
a seconda del benessere.
Ma questa cultura le fa sentire sole, specialmente nelle grandi difficoltà del momento, rendendo sempre più difficile la
convivenza entro le mura domestiche e anche fuori: nell’ambiente di lavoro e persino negli
svaghi; mentre abbiamo sperimentato che insieme, amando e
condividendo, tutto si sopporta
meglio. Essere una famiglia
sana, buona e felice, è il presupposto per dare spazio, tempo e
importanza alla carità cristiana,
che è anche solidarietà e soprattutto amore.
C. Filippini
L’anno della Fede
L
’ANNO
DELLA FEDE è un anno di meditazione indetto dalla Chiesa cattolica dall'11
ottobre 2012 al 24 novembre 2013, dedicato
ad intensificare «la riflessione sulla fede per aiutare
tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed
a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto
in un momento di profondo cambiamento come quello che l'umanità sta vivendo».
Un altro Anno della Fede era stato indetto nel
1967 da papa Paolo VI, nel XIX centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo.
Papa Benedetto XVI ha indetto l'Anno della Fede
con la lettera apostolica in forma di «MOTU PROPRIO» DATA PORTA FIDEI, che reca la data dell'11
ottobre 2011. L'iniziativa è stata resa nota dal Santo
Padre nell'omelia del 16 ottobre, e la lettera apostolica di indizione è stata resa pubblica il 17 ottobre.
In quest’anno verrà dato risalto all'importanza
della catechesi, per «riscoprire i contenuti della fede
professata, celebrata, vissuta e pregata».
Un altro tema importante dell'Anno della Fede è
la «nuova evangelizzazione», cioè l'annuncio del
Vangelo ai popoli di antica cristianità, che hanno
smarrito la fede o che vivono in una società secolarizzata, in cui è difficile testimoniare i valori cristiani.
L'Anno della Fede ha avuto inizio l'11 ottobre
2012, cinquantesimo anniversario dell'apertura del
Concilio Vaticano II e ventesimo anniversario della
pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Entrambe le ricorrenze sono significative: il
Concilio Vaticano II, nella sua corretta traduzione, è
«una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa». Il Catechismo della Chiesa
Cattolica, «uno dei frutti più importanti del Concilio
Vaticano II» è uno strumento prezioso per approfondire la conoscenza sistematica dei contenuti della
fede cattolica.
L'apertura dell'Anno della Fede coincide con la
Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi che si
svolge nello stesso mese, e ha come tema: «La
nuova evangelizzazione per la trasmissione della
fede cristiana».
Avrà termine nella solennità di Cristo Re il 24
novembre 2013. Infatti tutto l'anno «è un invito ad
un'autentica e rinnovata conversione al Signore» e
l'invocazione di Cristo Re, oltre a chiudere l'anno
liturgico, è il traguardo finale del cammino di fede.
Il 14 settembre 2012 con il decreto Die quinquagesimo della Penitenzieria Apostolica, papa Benedetto XVI concede l'indulgenza plenaria ai fedeli che
durante l'anno della fede:
– partecipino ad almeno tre prediche durante le
Missioni oppure assistano ad almeno tre lezioni sui
documenti del Concilio Vaticano II o sul Catechismo
della Chiesa Cattolica;
– visitino una basilica papale, una catacomba
cristiana, una cattedrale o un altro luogo di culto stabilito dall'Ordinario diocesano per l'Anno della Fede
e ivi assistano ad una sacra funzione o almeno vi
sostino in meditazione, concludendo le loro preghiere con la recita del Padre nostro, della professione di
fede, le invocazioni alla Vergine Maria o ai santi
patroni;
– partecipino in certi giorni stabiliti dall'Ordinario
diocesano alla celebrazione eucaristica o alla recita
– 14 –
della liturgia delle ore, aggiungendovi la professione
di fede;
– in un giorno qualsiasi dell'Anno della Fede
visitino il luogo del proprio battesimo, rinnovandovi le
promesse battesimali.
Per lucrare l'indulgenza occorre inoltre che i
fedeli siano veramente pentiti, abbiano confessato
sacramentalmente i propri peccati, si siano comunicati e preghino secondo le intenzioni del Sommo
Pontefice.
L'intreccio di questi eventi e di queste ricorrenze
rappresenta, per la nostra associazione come per la
Chiesa tutta, un'occasione preziosa per rinnovare il
nostro impegno ad educare alla fede e andare sempre più alle radici del nostro essere cristiani, per
lasciarci interrogare in profondità dall'esperienza
della fede, ma anche per cercare di trovare nuove
parole con cui raccontarne «la bellezza e la forza»
(Benedetto XVI) alle persone.
Giuseppina Salsiccia
Oratorio Parrocchiale «Don Bosco»
Piazzale San Domenico Savio, 8 - 00040 Lanuvio (Rm)
Tel. 069377140 - Sito web: www.oratoriodonboscolanuvio.it
UNIONE EXALLIEVI DON BOSCO - Lanuvio
Programma
del 69° Convegno
Exallievi don Bosco
Domenica 16 dicembre 2012
Ore 9,00 Nella sala del Teatro Comunale
«Don Bosco» in Via San Lorenzo: Accoglienza
Ore 9,15
Preghiera; Introduzione dei lavori.
tua di don Bosco.
Ore 12,15 Santa Messa nella Cappella dell'Oratorio.
Ore 9,30 Inizio Convegno, con il seguente
Ordine del Giorno:
Ore 13,15 Pranzo nel Salone dell'Oratorio.
a) illustrazione della Strenna emanata dal
Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco
per l'anno 2013 a cura del delegato don RAFFAELE PANNO;
Durante la giornata, e nei giorni a seguire, si
potrà rinnovare e/o procedere all'adesione alla
Unione; il costo, comprensivo dei contributi nazionali e regionali è di € 20,00, incluso l'abbonamento alla rivista Voci Fraterne.
b) saluti degli ospiti intervenuti al Convegno;
c) intervento del Presidente dell'Unione.
Ore 10,30 Break caffè.
Ore 10,45 Relazione e programmazione annuale sulla nostra Unione a cura del Vice Presidente e, a seguire, Relazione Economica
a cura del Tesoriere.
Ore 11,15 Discussione.
Ore 12,00 Foto ricordo in Oratorio sotto la sta-
Tutti possono partecipare al pranzo ed al
Convegno, ivi compresi i familiari.
Il costo del pranzo è di € 15,00 a persona.
Per i bambini il costo è di € 10,00. I posti disponibili sono circa 100.
Per l'adesione al pranzo è gradita la prenotazione entro il giorno 13 dicembre, per ovvie ragioni organizzative, rivolgendosi a: Bernardi Bruno, Gozzi Aurelio, Baldazzi Bruno, Galli
Giuliano, De Santis Giuliano e Di Cerbo Albino.
– 15 –
25 ANNI DI ATTIVITÀ
6 marzo 1987 - 30 settembre 2012
F
ESTEGGIARE un anniversario signifca
anche e soprattutto fare un bilancio. Un
bilancio che si basa sui numeri riguarda
cose reali, tangibili da cui non si scappa.
Ma un bilancio di ideali, di cose sognate e
realizzate, di cose sperate e mai realizzate, è
un'altra cosa. Quante cose si volevano fare e non
sono state fatte! Quanti traguardi si volevano
raggiungere e non sono stati raggiunti! Perché?
Perché sono sempre le circostanze, le situazioni più o meno favorevoli, che vanno a decidere il da farsi.
Personalmente penso che il filo conduttore
di questi venticinque anni di attività sia stato:
1) la fedeltà ai ragazzi, ai loro bisogni, alla loro
crescita; 2) cercare di farli uscire dal loro isolamento ed inserirli «nel mondo» per quanto sia
stato possibile.
Abbiamo tentato di mettere a frutto le capacità che ognuno ha. Non è mai stata pretesa la luna!
Ma se la vita ti fa essere Stefano, Roberta, Mario,
tu devi realizzare Stefano, Roberta, Mario.
Ci sono ancora tanti sogni, uno in particolare: realizzare una fattoria sociale, dove i ragazzi
possano maggiormente crescere nella loro personalità, responsabilizzandosi attraverso il lavoro.
In questi venticinque anni di attività sono
passate nella Associazione 88 famiglie, molte
altre hanno usufruito di nostre consulenze, o
hanno frequentato per un po', ma poi, per svariati motivi, hanno scelto di non farne parte.
Attualmente siamo 46... soci. Sono passati
113 volontari, al 90% giovani studenti.
L'Associazione opera con venti volontari
tesserati, più altri simpatizzanti, e alcuni genitori sempre presenti sul campo.
Come collaboratori:
– in primis la Parrocchia di Lanuvio che ci
ha fornito la sede senza la quale non saremmo
sopravvissuti;
– l’Oratorio parrocchiale Don Bosco di Lanuvio, per le feste, per le assemblee e che ci ospita
all’interno del laboratorio di «ore golose»;
– gli Assistenti sociali del
Comune di Lanuvio e dei paesi limitrofi: Genzano, Ariccia, Albano;
– la Scuola Media di Lanuvio
per la palestra;
– il Centro sportivo «Castelli
Romani» di Ariccia per la piscina
invernale;
– l’Agriturismo «Il Civitano»
per la piscina estiva;
– l’Associazione «Noi con
Loro» ad Anzio, per il mare;
– la Comunità di Capodarco a
Grottaferrata per la casa famiglia
«Milly e Memmo»;
La sig. Sandra, presidente dell’Associazione, il giorno dei festeggiamenti per il
25° con i suoi ragazzi. AUGURI!!!
– 16 –
– ancora Capodarco per la Fondazione «Prima
del Dopo»;
– personale di Spes;
– la famiglia Agostini Giulia che ha messo a
disposizione il locale per le prove della Band;
– la famiglia Baccarini Giuseppe per la disponibilità di supporto a famiglie in difficoltà;
– la famiglia Di Pietro Sandro che ha messo a
disposizione il terreno per la serra e per il laboratorio ortoflorovivaistico;
– la famiglia Fabi Francesco che ospita nella
propria casa il laboratorio della «Pasta fresca»;
– altre Associazioni presenti sul territorio dei
Castelli Romani, con le quali realizziamo i progetti
di Servizio Civile;
– tutte le strutture che abbiamo girato per i
Campi Scuola: da Mondragone ad Ostuni, da Bibbona a Quercianella, Circeo, S. Marinella, dove
abbiamo portato il nostro modo di vivere: autonomo
ed allegro.
In questi anni sono stati realizzati svariati
progetti con il supporto di contributi pubblici:
– dal 1990 al 2012 ventitré Campi Scuola; dal
2005 con la ASL RMH2 e i Comuni di Lanuvio,
Genzano, Albano e Piani di Zona, poi la Legge 328;
– nel 2000, Provincia di Roma: Maratonina
«al di là delle barriere… ci sono io»;
– dal 2001 al 2004, Provincia di Roma:
«Approccio all'equitazione», per ragazzi disabili
del Centro diurno e della Scuola media di Lanuvio;
– nel 2001, Provincia di Roma: «Musicoterapia in acqua»;
– nel 2002, Cesv-Spes per l'anno del volontariato: «Progetto della serra per il laboratorio ortobotanico»;
– nel 2003, Regione Lazio: «Corso di musicoterapia»;
– nel 2006, Regione Lazio, S.G.L.: «Progetto
corso di operatore ortoflorovivaista e della costituzione della Cooperativa sociale agricola»;
– nel 2006, Regione Lazio, gemellaggio
«Associazione INSIEME CENTURIPE, e conferenza: «Integrazione Sociale e Lavorativa nelle
Diversità: Utopia o realtà lontana da poter
costruire?»;
– nel 2011, Regione Lazio: «Domeniche in
compagnia»;
– dal 2008 al 2012: «Volontari del Servizio
Civile».
Nel 2012 e 2013 stiamo realizzando il progetto «Week end in autonomia» nella casa
famiglia Milly e Memmo di Capodarco a Grottaferrata, finanziato al 75% dalla Regione Lazio.
In questi 25 anni si è molto puntato e lavorato sulla crescita e sull'autonomia dei ragazzi,
una scelta che ha accresciuto il dinamismo dell'Associazione.
Perché questa scelta? Perché quando è nato
mio figlio Stefano, mi sono chiesta cosa lo rendeva diverso dagli altri bambini.
Forse nella vita non saprà mai chi fosse stato
Garibaldi. Ma quante persone si incontrano per
la strada che non lo sanno, eppure fanno una vita
normale?
Io ho capito che ciò che lo rendeva diverso,
era dipendere dagli altri a vita. Da qui la volontà di lavorare sull’autonomia, affinché ogni
ragazzo raggiunga il massimo delle proprie
capacità e siano, un domani, una risorsa affettiva e reale per genitori anziani e a volte anche
malati.
Per chiudere vorrei ricordare le persone che
ci hanno aiutato a decollare:
Suor Maria Stefania: iniziatrice, con un gruppo
di ragazzini (con età di 13-14 anni) del PostCresima, ad occuparsi dell'integrazione sociale dei
ragazzi disabili, era ottobre 2005. Ragazzini che, in
seguito, sono divenuti i primi volontari dell'Associazione. – Don Antonio Zarantoniello, che ha
creduto in noi e ci ha offerto i locali per la sede della
Associazione. – Lamberto Trombetta e la sua fatica a costituire l'Associazione: a quell'epoca pochi ci
credevano e ancora più pochi capivano le finalità. –
Le signore Gianna Volpi e Lucia Casieri, impagabili volontarie. – Dott. Fausto Poleselli, assistente
sociale del Comune di Lanuvio, che ci ha introdotto
nel «labirinto» delle Leggi a favore dei ragazzi disabili. – Daniela Salvati, assistente sociale dell'UTR,
che mi ha spronato a lavorare da «professionista»,
anche se gratis, e le sue parole mi hanno guidato in
tutti questi anni: «Sandra se apri una strada solo per
tuo figlio non risolvi niente, ma se apri una strada
che possono percorrere in tanti allora sì che inizi a
risolvere un problema».
Personalmente ringrazio tutti i volontari che,
con la loro carica giovanile, hanno reso molto
«movimentata» la vita dei ragazzi «diversamente abili», che, contrariamente, sarebbe stata un
fiume che trascorre tranquillamente nel suo
letto.
– 17 –
Sandra Cerabino
PELLEGRINI
A FATIMA
parizioni. Abbiamo attraversato
la Basilica con la sua scalinata
monumentale e l'ampio colonnato che si estende da ambo i lati in
un ideale abbraccio per i pellegrini che arrivano sulla piazza, e
rivolgendo il nostro sguardo alla
spianata siamo stati catturati dall'immagine della Madonnina che
14 luglio 2012: Pellegrinaggio a Fatima; i partecipanti per una foto ricordo.
C
ARI AMICI, siamo partiti da Lanuvio nella
splendida mattina estiva del 10 luglio scorso, accompagnati da don Bernard, nel suo
duplice ruolo di Parroco e di
Assistente Spirituale del gruppo.
Eravamo pieni di aspettative
ed entusiasmo, stavamo per affrontare quello che ogni pellegrino immagina di trovare a Fatima:
il forte richiamo di Maria alla
conversione e alla preghiera.
Una volta arrivati a Lisbona
abbiamo conosciuto la nostra
guida e con lei ci siamo recati a
visitare il Monastero dos Jerónimos, la Torre di Belém sulle rive
del fiume Tago, a seguire la cattedrale di La Sé (in portoghese è
l'abbreviazione di sede Episco-
palis), ed infine la Chiesa di
Santo Antonio da Sé che sorge
presumibilmente nel luogo dove
era situata la casa del Santo; è in
quest’ultima splendida cornice
che abbiamo assistito alla Santa
Messa.
Dopo un giro turistico per le
strade della vecchia Lisbona, ci
siamo diretti a Fatima. Siamo
arrivati all'imbrunire, piovigginava e faceva freddo, ma la
nostra attenzione si è rivolta
immediatamente alle statue a
grandezza naturale dei tre pastorelli, sembrava che fossero lì ad
aspettare il nostro arrivo.
Dopo aver preso possesso
delle camere e cenato, dietro
invito di don Bernard ci siamo
recati alla Cappellina delle Ap– 18 –
si venera nella Cappellina.
Proprio lì, insieme ad una moltitudine di fratelli, nonostante la
pioggia, il freddo e la stanchezza
del viaggio, abbiamo pregato, e
seguito poi in processione la
Madonnina cantando.
La mattina dopo eravamo tutti
pronti ad affrontare la nostra
prima giornata a Fatima. Ci siamo recati in Cova da Iria, dove
abbiamo ripercorso il tragitto che
i tre pastorelli facevano ogni
giorno, trasformato nella Via
Sacra, il Valinhos il luogo scelto
dalla Madonna per la sua quarta
apparizione e il Loca do Cabeço,
dove i pastorelli hanno avuto la
prima e la terza apparizione
dell'Angelo.
Nel pomeriggio, nella Cap-
pella privata dei Padri che gestiscono l'albergo, ci siamo preparati con una celebrazione per l'atto penitenziale.
Abbiamo visitato la Chiesa
della Santissima Trinità, dove nel
piazzale antistante, è ospitato un
immenso Crocifisso, e poco oltre
c'è la statua a grandezza naturale di Papa Giovanni Paolo II.
Al centro della piazza, s'innalza la colonna che sorregge la statua del Sacro Cuore di Gesù, ai
suoi piedi un pozzo per dissetare
i pellegrini, che secondo la devozione popolare è dono di molte
grazie, ed infine, abbiamo assistito alla Santa Messa in una
Cappella del Santuario.
Di corsa a cena per essere di
nuovo presenti nella Cappellina
delle Apparizioni per recitare le
preghiere che la Madonna ci ha
donato tramite i pastorelli.
Troppo importante per tutto il
nostro gruppo è stato comprendere che il vero Cuore del
Santuario e di questa immensa
spianata capace di accogliere
milioni di pellegrini è la: «Cappellina delle Apparizioni».
Il luogo, che pulsa e vive tramite la fede di chi cerca risposte,
di chi invece conferme, o di chi
si spinge a fare il primo passo
verso il mistero. Siamo rimasti
così in silenziosa preghiera nell'ascolto muto dell'altro, ad osservare con quanta fede e devozione i pellegrini percorrono
in ginocchio il pezzo di spianata
che collega la Chiesa della
Santissima Trinità alla Cappelletta.
Il giorno dopo, prima della
Santa Messa Internazionale, abbiamo visitato l'esposizione Fatima Luce e Pace, dove ci sono
tanti doni per ogni grazia ricevuta, e siamo rimasti incantati da
tanti meravigliosi oggetti donati
per ex voto o devozione, che
periodicamente, tra l’altro, vengono venduti per finanziare
opere di beneficenza.
In questo luogo è custodita la
corona della Madonnina dove
Giovanni Paolo II, al suo interno,
ha fatto incastonare il proiettile
dell'attentato ai suoi danni avvenuto il 13 maggio 1981.
Abbiamo visitato la cattedrale
e sostato in preghiera davanti le
tombe dei tre pastorelli custodite
al suo interno; ma la sorpresa è
stata quando, usciti, abbiamo
ammirato l'immensa spianata
gremita di pellegrini per la celebrazione Eucaristica e che ci ha
lasciato senza parole! Quante
persone unite nella fede si sono
ritrovate a pregare insieme ed a
condividere lo stesso Pane!
Nel pomeriggio abbiamo visitato Aljustrel, il villaggio natale
dei tre pastorelli con la chiesa, le
case e i luoghi delle apparizioni.
Nel cortile della casa di Lucia,
dove è apparso l'Angelo per la
seconda volta, seduta sotto l'albero davanti al pozzo della casa
abbiamo incontrato una vecchina
con il rosario tra le mani assorta
nella preghiera.
La nostra guida con voce sommessa ci ha riferito essere l'ultima nipote vivente di Suor Lucia.
Noi ci siamo avvicinati e con
estrema delicatezza l’abbiamo
ringraziata per essersi fatta conoscere, solo che lei non capiva
perché noi la ringraziassimo, lei
era lì semplicemente per pregare,
come faceva tutti i giorni.
Al nostro rientro presso la
spianata del Santuario per la Processione Eucaristica, in serata
abbiamo recitato il Santo Rosario
e partecipato alla fiaccolata.
La mattina successiva, dopo la
S. Messa alla Cappellina, siamo
ripartiti per fare rientro in Italia.
Un felice
Natale a tutti
Abbiamo conosciuto persone
nuove, pregato insieme a loro in
lingue diverse, ma ciò che ci ha
accomunato è la stessa identica
preghiera di tutti i cattolici: Il
Santo Rosario.
Questo viaggio ci ha offerto
l’opportunità di approfondire i
nostri rapporti anche con chi
incontriamo semplicemente tutti
i giorni per le vie del nostro
paese e di aprirci, in un dialogo
fraterno, per scoprire di essere
compagni di vita nella fede e alla
ricerca della fede.
Ci siamo salutati con il rammarico di non poter essere ancora un poco insieme, ma nello
stesso tempo con il sorriso sulle
labbra, negli occhi e nel cuore
per essere stati così uniti! Siamo
di nuovo pronti per il prossimo
viaggio insieme!
Il nostro pensiero è rivolto a
Roberto, la nostra guida tecnica
italiana, un uomo di una bontà
eccezionale che vive a Fatima
con la moglie e i loro quattro
bambini, insieme ad altre famiglie nella Comunità Casa di
Maria di cui fa parte.
Un grazie di cuore e di vera
riconoscenza all'assistente spirituale, il nostro Parroco Don Bernard. Lui ci ha guidati con la cura
amorevole di un padre, lasciandoci poi liberi di vivere la nostra
ricerca interiore dell'essere pellegrini, nella pace dei luoghi, che
ci hanno fatto conoscere e ricordare il messaggio di Fatima.
Grazie ad Anna, Umberto e a
noi tutti: Aurora, Beatrice, Pasqua, Luigi, Pio, Teresa, Agnese,
Anastasia, Iris, Onelia, Enrico,
Gilberto, Rosemarì e Giuseppina.
L’appuntamento è per il prossimo pellegrinaggio, dove saremo di nuovo e per sempre compagni di vita nella fede.
Giuseppina Salsiccia