1 una gestione innovativa per la vitalita` del carisma: spunti di

Transcript

1 una gestione innovativa per la vitalita` del carisma: spunti di
una gestione innovativa per la vitalita’ del carisma: spunti di riflessione
Sr. Alessandra Smerilli
L’icona delle Nozze di Cana e i carismi
L’episodio delle nozze di Cana è l’immagine più eloquente di Maria come icona
dell’azione dei carismi nella storia: Maria che durante la festa di nozze per prima si accorge
che i commensali “non hanno più vino” (Gv 2, 3). Questo episodio mariano ci dice alcune cose
fondamentali della logica carismatica nella storia:
-
Innanzitutto parliamo di una festa: carisma viene da charis, che vuol dire gratuità,
agape, ma nello stesso tempo dono, grazia, pienezza, eccedenza. La caratteristica dei
carismi, e delle opere cha essi prendono vita è quella della pienezza, della festa, della
gioia. Quando la dimensione della gratuità splende viva in un carisma, allora il clima
che si respira nelle comunità e nelle opere è quello della gioia, della festa. Quando la
festa viene a mancare e il vino della gioia non irrora più le nostre mense è segno che la
gratuità si sta spegnendo.
-
I carismi vedono più lontano, in particolare vedono cose diverse che altri (discepoli,
amici, istituzioni...) non vedono. Il carisma è, infatti, un dono di occhi diversi che sanno
vedere opportunità in cose dove gli altri vedono solo problemi I carismi sono stati e
sono ancora oggi i luoghi delle grandi “innovazioni” umane: l’umanità, non solo la
Chiesa, procede grazie ad una continua staffetta tra innovatori (i carismatici) e le
istituzioni che universalizzano quelle innovazioni. La società antica per esempio
vedeva nel lavoro manuale qualcosa che si addiceva solo allo schiavo. Benedetto vi vide
qualcosa di “più e di diverso”, e lo pose al centro della nuova vita delle loro comunità:
ora et labora. “Ora et labora” di Benedetto rappresentò ben più di una via di mera
santità individuale: la cultura benedettina divenne nei secoli una vera e propria cultura
del lavoro e dell’economia. Fu la cultura monastica la culla nella quale si formò anche il
primo lessico economico e commerciale che informerà di sé l’Europa del basso
medioevo . Le abbazie furono infatti le prime strutture economiche complesse,
che richiedevano forme adeguate di contabilità e di gestione. La città di Assisi nei
poveri vedeva solo lo scarto della società, Francesco vi vide “madonna povertà”,
qualcosa di così bello che lo portò a sceglierla come ideale della sua vita e di quella dei
tanti che lo seguirono e lo seguono. Quando in una città c’è un indigente, dicevano i
francescani, è l’intera città che sia ammala: occorre curare la miseria e l’indigenza! Da
un carisma che diede occhi nuovi per vedere nei poveri non un problema ma una
risorsa, ecco nascere addirittura delle banche, istituzioni fondamentali per lo sviluppo
dell’economia civile nell’Umanesimo italiano. I Monti di pietà si presentano come
un’istituzione che sintetizza la riflessione economica francescana e le conferisce
una forma concreta. Essi infatti rappresentano il naturale confluire dell’etica
economica basata sulla produttività e sull’uso sociale della ricchezza. I
francescani ebbero questa intuizione “finchè c’è un povero – un povero non per scelta
ma perché subisce la povertà – la città non può essere fraterna”. Negli indigeni del
Paraguay i regnanti portoghesi e spagnoli vedevano una specie non sostanzialmente
diversa dagli animali della giungla, a cui si negava persino l’anima. Il carisma di Ignazio
di Loyola consentì di vedere in quelle popolazioni qualcosa di “più e di diverso”, e di
inventare quell’esperienza profetica di civiltà e di inculturazione che furono le
“reductiones” nei secoli XVII e XVIII. Giovanni Bosco, a fine ottocento, si trova, da
1
giovane prete, a contatto con la folla di giovani che arrivavano a Torino dalle campagne
per lavorare. La maggior parte era analfabeta, o orfana. Il suo amore per quei giovani,
in cui aveva visto una risorsa, e non un problema da gestire, gli fece scoprire che in
ogni giovane c’è un punto accessibile al bene, bisogna solo scoprirlo, trovare quella
corda sensibile e farla vibrare. E comprese che mentre si doveva adoperare perché
crescessero sani, e ‘buoni cristiani’ doveva metterli in grado di avere un futuro nella
società: nascono i laboratori e quelli che poi diventeranno i corsi professionali, che
tutt’oggi rappresentano una delle vie più efficaci per aiutare i ragazzi più deboli negli
studi a realizzarsi anche a livello professionale. Ma non ci si poteva fermare ai
laboratori e all’istruzione, se questi giovani diventavano poi vittime nelle mani dei
datori di lavoro che potevano disporre del loro servizio a piacimento, e ai limiti dello
sfruttamento. E fu così che, per amore di quei giovani, che Don Bosco inventò il primo
contratto di lavoro per i minorenni, il contratto di apprendistato, che tutt’oggi
viene ancora utilizzato. Luisa de Marillac, Francesco di Sales, Giovanna di Chantal, e poi
Scalabrini, Cottolengo, don Calabria, Francesca Cabrini, hanno ricevuto occhi per
vedere nei poveri, nei vergognosi, nei derelitti, nei ragazzi di strada, negli immigrati,
nei malati, persino nei deformati, qualcosa di grande e di bello per cui valse di
spendere la loro vita e quella delle centinaia di migliaia di persone che li seguirono,
attratti e ispirati da quei carismi. I carismi possono dunque essere considerati, lungo la
storia, come esperienze di innalzamento della temperatura spirituale, civile ed
economica dell’umanità.
-
Poi, per soddisfare il bisogno, perché il “vino” arrivi effettivamente ai commensali,
occorre attivare tutte le varie componenti della casa (non basta Maria): è necessaria
un’alleanza con le altre componenti della vita in comune, che oggi si chiamano
“laici”, mercato e politica. Quando in un carisma ci si mette ‘all’opera’, occorre
attivare tutte le componenti della società civile , della Chiesa, ecc.
-
Nel farsi promotrice, Maria fa prendere coscienza agli altri, e anche a Gesù, della
propria vocazione: quando un carisma è vivo chi respira il carisma è spinto a
rispondere ad una chiamata, a comprendere quale è il suo posto nella storia.
-
Cana è l’icona non solo degli ‘inizi’, ma di ogni nuovo inizio. «Nel frattempo, venuto a
mancare il vino...». Il vino che viene a mancare è il segno di un cuore stanco, di un
amore a rischio. “Sembra legge a tutte le esperienze umane la diminuzione, il venir
meno, il tramontare. E invece no. Maria a Cana non si rassegna, e sente, come legge
fondamentale di speranza, che le cose possono andare dal piccolo al grande, dal debole
al forte, dall'acqua al vino. Con lei, ogni credente sa che è possibile ripartire” (Ermes
Ronchi).
-
Cana è anche icona del vino considerato importante come il pane: si vede anche il vino,
non solo il pane; si considera il vino primario come il pane; si vede la sete d’acqua, ma
anche l’arsura di bellezza, di rapporti, di dignità, di senso. Per questo motivo i carismi
spostano in avanti i paletti dell’umano. Quando nei momenti di crisi la genuinità del
carisma viene meno, solitamente si comincia a non dare più importanza al ‘vino’,
considerato come un superfluo, ma questo può generare un circolo vizioso, che fa
perdere sapore sia al vino che al pane.
-
Il vino ‘buono’: quando un carisma è all’opera i frutti sono buoni, da tutti i punti di
vista.
2
La cultura oggi dominante, e la visione della gratuità
Oggi risulta più difficile leggere l’importanza dell’azione dei carismi per la vita civile e per
l’economia, anche a causa dell’evoluzione del pensiero economico negli ultimi duecento anni.
La scienza economica moderna, infatti, e quindi anche quella aziendale, è nata proprio
dall’espulsione della gratuità dalle faccende economiche.
Nella sua Theory of moral sentiments, Smith ci ricorda che: «La gratuità è meno essenziale
della giustizia per l’esistenza della società. La società può sussistere, sebbene non nel modo
migliore, senza gratuità; ma la prevalenza dell’ingiustizia la distrugge senz’altro»
(1984[1759], p. 86). E su questa base Smith afferma che: “La società civile può esistere tra
persone diverse ... sulla base della considerazione dell’utilità individuale, senza alcuna forma
di amore reciproco o di affetto” (Ivi, II.3.2).
Una tesi importante e apparentemente condivisibile; in realtà, in essa si nasconde un’insidia,
rappresentata dall’idea che la società civile possa funzionare e svilupparsi anche senza
gratuità, ovvero che il contratto possa essere un buon sostituto del dono: una tesi, questa, che
guadagna sempre più consenso oggi nella società globalizzata. Il dono e l’amicizia sono
faccende importanti nella sfera privata, si dice, ma nel mercato e nella vita civile possiamo
farne tranquillamente a meno; anzi, è bene farne a meno, proprio per la loro carica di dolore e
di ferita. In realtà, come la crescente solitudine e infelicità delle nostre economie opulente ci
stanno dicendo, una società senza gratuità non è un luogo vivibile, né tantomeno un luogo di
gioia.
Nessuna idea come questa di Smith si pone ancora oggi al cuore della scienza economica. Le
conseguenze che derivano da questo modo di vedere la realtà sono molte. Citiamo solo quelle
più rilevanti per noi.
o La prima è che l’economia ne è venuta fuori come la scienza triste, che si occupa solo
di massimizzazione di profitti e ottimizzazione delle scienze di consumo. Ma se, invece,
l’economia è anche il luogo delle passioni, degli ideali, dell’interesse per la felicità
pubblica, allora anche oggi, i carismi hanno qualcosa da proporre al modo di fare
economia.
o La seconda è che la gratuità è stata e tuttora viene considerata come il ‘limoncello’
alla fine di un lauto pranzo: se c’è tutti sono contenti, se non c’è il pranzo comunque
l’abbiamo consumato.
Infine, questo modo di guardare alla gratuità ha portato sempre più chi si occupa di faccende
economiche a non occuparsi di gratuità, e chi si occupa di gratuità a non voler entrare in
faccende economiche. Molti dei problemi che oggi abbiamo anche a livello di gestione
economica derivano proprio dal fatto che l’economia è stata considerata sempre una variabile
a sé. Ma sappiamo bene che quando la dimensione economica non entra fin dall’inizio nelle
decisioni da prendere, poi alla fine rischia di essere la variabile dominante, perché quando ci
accorgiamo dei problemi economici è troppo tardi, e siamo quindi costretti a fare scelte che
non avremmo mai voluto fare.
Di fronte a tutto questo l’enciclica Caritas in Veritate ci pone una sfida importante: far
rientrare la gratuità nella società e nell’economia. Benedetto XVI prima prende atto “degli
sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro”(CV 2), e in
seguito lancia la sfida: «La grande sfida che abbiamo davanti a noi […] è di mostrare, a livello
sia di pensiero che di comportamenti, che non solo tradizionali principi dell’etica sociale, quali la
trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche nei
rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità
possono e devono trovare posto entro la normale attività economica» (CV 36).
3
Per rispondere alle sfide: la gestione innovativa
In questo momento difficile, in cui, guardando alle difficoltà che ci troviamo a vivere
all’interno delle nostre opere, la sfida lanciata dall’enciclica potrebbe sembrarci impossibile,
ci è chiesto di avere gli occhi di Maria. L’icona della nozze di Cana può essere vista come il
simbolo sia delle cose nuove che nascono, sia di ogni riorganizzazione. Ed è uno sguardo che
vede i bisogni e le nuove povertà fuori e dentro (nuove povertà che ci circondano, nuove
povertà nelle comunità). E, poi, come Maria, siamo chiamate a muoverci, ma nello stesso
tempo ad attivare tutte le risorse che abbiamo intorno. E per attivarle dobbiamo saperle
riconoscere come risorse. Sono convinta che è occupandoci della ‘città’ che troveremo le
risorse per rinnovare le nostre comunità.
Perché ritorni la festa nelle nostre comunità abbiamo bisogno, tra le altre cose, di una
gestione innovativa. Una buona gestione, infatti, può liberare risorse e tempo.
Di gestione si è tanto parlato finora, e credo che qui dobbiamo solo ricordarci che quando
facciamo riferimento alla gestione, non parliamo di gestione del carisma o della missione, ma
delle opere e quindi dell’organizzazione, intendendo per
gestione un
o insieme di azioni, modalità, per far interagire tutte le variabili del sistema
organizzativo,
o coordinandole in maniera efficace ed efficiente, per raggiungere le finalità del carisma
nell’oggi. Ma proviamo a dire qualcosa in più sull’aggettivo: innovativa, cioè che innova.
Ma cosa è l’innovazione?
Esiste, nella vita sociale, una dinamica analoga a quella teorizzata dall’economista austriaco
J.A. Schumpeter nella sua visione dell’imprenditore, del profitto e dello sviluppo economico.
Nella sua Teoria dello sviluppo economico (1911), quel grande economista ci ha offerto una
delle teorie economiche più suggestive e rilevanti del Novecento, quando ha distinto tra
imprenditori “innovatori” e imprenditori “imitatori”. L’imprenditore innovatore, il tipo
ideale di imprenditore, è colui che con un’innovazione (di prodotto, di processo, di nuovi
mercati...), spezza lo stato stazionario, e con questa innovazione crea valore aggiunto e
sviluppo, porta avanti l’economia e la società. Poi, in un secondo momento, arrivano, come
uno sciame di api richiamate dalla nuova opportunità di profitto, altri imprenditori “imitatori”
che fanno pro- pria quell’innovazione, che da quel momento in poi diventerà parte integrante
dell’intero mercato e della società. L’economia torna presto allo stato stazionario, finché non
arrivano altri innovatori, che, con nuove innovazioni, spingeranno avanti “i paletti dello
sviluppo economico”, in un nuovo processo di innovazione-imitazione, che è il vero circolo
virtuoso creatore di ricchezza e di sviluppo. Il profitto nel tempo si trasforma in bene comune
(innovazioni, riduzioni di costi...), grazie a questa “rincorsa”.
Nella dinamica sociale è all’opera un meccanismo simile, cioè esiste una dinamica, questa
rincorsa, tra “carisma” e “istituzione” (per usare il linguaggio di Max Weber). Il carismatico
innova, vede bisogni insoddisfatti, individua nuove forme di povertà, apre nuove strade alla
fraternità, spinge più avanti i “paletti dell’umano” e della civiltà. Poi arriva l’istituzione (lo
stato, ad esempio), che imita l’innovatore, fa sua l’innovazione, e la fa diventare “normale”, la
istituzionalizza. Gli innovatori, quindi, sono presto raggiunti dalla istituzione e la civiltà
avanza, e se non sono capaci di nuove innovazioni presto saranno indistinguibili dagli
imitatori. Quando si è imitati non occorre protestare o proteggersi, ma solo rilanciare con
nuove innovazioni che vanno a individuare nuovi bisogni, e così spostare ancora avanti la
frontiera dell’umano, andando ad individuare nuove criticità e nuove sfide, nuove forme di
liberazione, di giustizia, di “amore sociale”, mai soddisfatti e appagati per i risultati raggiunti.
Le grandi innovazioni, anche economiche, sono state frutto di un’eccedenza, di un di più
antropologico, che ha fatto sì che si spostassero avanti i paletti dell’umano. In questo i
4
carismi hanno fatto da apripista: infatti, per spingere più in là il territorio dell’umano,
occorrono occhi diversi, persone capaci di vedere qualcosa di più e di diverso.
L’eccedenza che porta all’innovazione si può esprimere in diversi modi: ci sono state
innovazioni nate dall’eccedenza dell’economista rispetto alla sola scienza economica
(alcuni economisti innovano nell’economia perché sono più grandi dell’economia), altre
innovazioni dovute all’irrompere sulla scena della vita che è fuori dall’accademia (è il caso
di Yunus e del microcredito), ma la maggior parte delle volte sono eventi, spesso tragici (le
varie crisi), che irrompono nella vita di tutti a spingere verso soluzioni nuove e verso
cambiamenti culturali.
È proprio grazie ad una crisi aziendale, per esempio, che Olivetti, invece di licenziare come gli
veniva consigliato dai suoi più alti dirigenti, assume 500 persone e inventa la vendita porta a
porta.
Come istituto, e in generale come istituti religiosi ci troviamo oggi proprio in un momento che
appare a tratti tragico, e forse proprio per questo è un momento fecondo. A noi la scelta:
imitare chi a sua volta ha imitato noi… o innovare, facendo nascere qualcosa di nuovo per noi
e per l’umanità. L’innovazione può essere nel vedere nuovi bisogni e aprire nuove opere,
oppure nel modo di gestire quello che già portiamo avanti e che riteniamo sia importante non
lasciare. L’economia, infatti, e la vita civile oggi hanno un bisogno disperato di una
nuova gestione, che riconosca la persona, che metta in luce più la cooperazione che la
competizione, che non distrugga i beni relazionali, che oggi stanno diventando la vera
risorsa scarsa dell’economia.
Dai momenti difficili non si esce ‘solo’ con il buon senso, anzi, l’innovazione a volte sfida il
buon senso, come ci ricorda Becattini, un grande economista italiano: “Le imprese-progetto
non commisurano, per tutta una fase della loro crescita, i risultati via via attenuti al
rendimento del capitale investito, ma, semmai, al grado di realizzazione del “progetto
iniziale” o di qualche revisione di esso. Il gelido calcolo finanziario potrebbe suggerire ad
un’impresa progetto, in una certa fase congiunturale, la smobilitazione, ma le sue ragioni per
restare sul mercato sono così complesse, che essa può dispiegare una resistenza “irrazionale”,
da un punto di vista strettamente finanziario, alla smobilitazione. E alcune volte accade che,
contro il parere degli esperti, quella resistenza abbia successo” (in Bruni e Bellanca 2002, p.
778).
La sfida che abbiamo dunque davanti, è quella di rinnovarci, sapendo apprendere
dall’esistente, ma introducendo nuove prassi, anche a livello gestionale, che siano
l’incarnazione del carisma oggi.
Alcuni spunti più concreti
Proviamo a delineare alcuni suggerimenti per tradurre la ricchezza del carisma in nuove
pratiche di gestione che aiutino a costruire comunità vocazionali.
Governance
Nessuna organizzazione può sopravvivere se al suo interno si va avanti basandosi solo su
contratti, regole e incentivi, ma se c’è un luogo dove ciò non è né possibile, né auspicabile,
questo è il mondo delle opere che nascono dai carismi, o organizzazioni a movente ideale.
Una organizzazione che nasce da un carisma non è matura, equilibrata e quindi non può
svilupparsi armoniosamente nel tempo, fedele al suo carisma-vocazione, se non vive quelle
che possono essere pensate come tre forme di reciprocità:
o del contratto,
o dell’amicizia e
o l’agapica.
5
Può, infatti, una realtà che nasce da un carisma, durare se non ha dei buoni contratti con
dipendenti, clienti, e se non si basa su un forte e solenne patto sociale, su un contratto? Il
fondatore scrive la regola perché sa che senza una regola i suoi successori non potrebbero
vivere il carisma, che quindi sarebbe destinato a morire. Infatti, se un’impresa (o una
comunità) non ha delle regole ben scritte, quando ha dei conflitti non riesce a risolverli, e
quindi non cresce bene e nei casi peggiori l’esperienza termina.
Va notato che il mondo carismatico ha una naturale tendenza a non valorizzare i contratti, e a
vederli in conflitto con l’amore gratuito, e, in generale, a contrapporre le tre forme di
reciprocità che abbiamo indicato. Un rapporto non regolato da contratti è in balia degli abusi
di potere (anche fatti in buone fede), degli eventi, delle cattiverie degli altri. Chi vede, quindi,
le “regole del gioco” come contrarie all’amore alla fine finisce per alimentare, magari senza
volerlo, i conflitti.
Occorre poi valorizzare l’amicizia nelle esperienze carismatiche. Come e perché? Nelle
organizzazioni la philia si traduce in pratiche di ‘governance’ democratiche e
partecipative, in coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni, e in equità nel disegno
delle regole e dei premi. Questo permette che il senso di appartenenza dei membri si
mantenga alto, contribuendo così anche a tenere elevata la qualità ideale e al tempo stesso
l’efficienza. Si potrebbe obiettare che una governance partecipativa allunghi i tempi delle
decisioni, e questo rallenti di conseguenza il lavoro di tutti. Crediamo che, sebbene si debba
vigilare su quest’aspetto, non bisogna cedere alla tentazione di un’organizzazione più
verticistica. Il risultato sarebbe un abbattimento della qualità ideale, del coinvolgimento dei
membri e quindi si arriverebbe così alla difficoltà di attrarre nuovi membri motivati, e quindi
vocazioni.
La terza forma, l’agape, è poi come il sale, o il lievito. Se un’organizzazione carismatica
perde gratuità si estingue, e può essere solo “gettata via” perché inutile alla dinamica civile e
al bene comune. Questo rischio è quello più subdolo, poiché ha un lungo periodo di
incubazione: senza contratti e amicizia i problemi vengono presto al pettine, e
l’organizzazione accusa subito varie forme di malessere. La gratuità, invece, soprattutto nelle
realtà carismatiche mature e consolidate, può venire meno, può scomparire un po’ alla volta,
senza che gli attori di tali esperienze ne siano coscienti. Si può andare avanti a lungo senza
gratuità, sentendosi perfettamente a posto, per esempio perché ci si sente efficienti.
Il ruolo delle minoranze motivate
Le organizzazioni che nascono da un movente ideale vivono soprattutto grazie a un nucleo di
persone molto motivate, che riescono a mantenere alto il clima, e cioè la cultura
dell’organizzazione. Nelle dinamiche organizzative è ormai un risultato accertato, che quando
si vivono momenti di crisi e si abbassano gli standard ideali, i primi a reagire sono proprio i
più motivati, e sono loro i primi a lasciare l’organizzazione se non osservano miglioramenti.
L’attenzione a questo nucleo di persone, e il lavoro per innalzare le motivazioni in tutti i
membri, sono dunque elementi fondamentali di una buona gestione dell’organizzazione.
L’attivazione delle risorse
Abbiamo visto che la capacità di attivare tutte le risorse dentro e intorno all’organizzazione è
una caratteristica peculiare delle esperienze carismatiche. L’avanzamento dell’età media
dentro le comunità e la sempre maggiore complessità delle opere potrebbe non voler dire
automaticamente necessità di chiudere le opere. Forse ci sono nuove risorse da attivare. Forse
una riorganizzazione può prevedere la nascita di nuove figure che operino a livello
ispettoriale e nazionale a sostegno, per esempio, della gestione economica, liberando le
6
econome locali da molti pesi e introducendo strumenti di gestione e di controllo che inizino
a dare una direzione, verso la realizzazione della mission alle opere esistenti. Olivetti, forse ci
suggerirebbe che inventando cose nuove, guardando con occhi nuovi alla realtà, potremmo
essere in condizione non solo di non chiudere, ma addirittura di aprire qualcosa di nuovo. E
questo potrebbe generare un circolo virtuoso.
La gestione economica
La gestione è più ampia della sola gestione economica, ma nel corso di questi anni ci stiamo
rendendo conto che la gestione economica è oggi quella che più soffre nelle nostre realtà e che
ha più bisogno di innovazione. A questo livello sono richieste maggiori competenze (da
cercare, da formare, da accompagnare), ma anche un cambiamento culturale e quindi
necessariamente strutturale (cultura e struttura vanno di pari passo): si tratta di imparare a
pianificare e agire nella preventività, sapendo ben calcolare e valutare costi e benefici
dei vari progetti, nella certezza che la Provvidenza ci sostiene, quando noi abbiamo fatto
tutta la nostra parte. Don Bosco ci esorta: «Io non temo che ci manchi la Provvidenza,
qualunque maggior numero di giovani accetteremo gratuitamente, o per le grandi Opere,
anche dispendiosissime nelle quali ci slanciamo per l’utilità spirituale del prossimo; ma la
provvidenza ci mancherà in quel giorno in cui sciuperemo denari in cose superflue e non
necessarie» (MB XII, 376) .
La comunione dei beni a monte
La preventività a livello economico si traduce anche in un modo nuovo di vivere la comunione
dei beni.
Sappiamo che ogni realtà, per riuscire nei suoi intenti deve avere ben presente, chiara e
definita oggettivamente la sua mission, la vision, la strategia, la pianificazione e il budget,
ovvero la traduzione economico-finanziaria formale e dettagliata degli obiettivi attesi.
A livello locale, ogni realtà potrebbe realizzare una comunione di progetti, coerenti con la
mission e la strategia e definire la sua pianificazione redigendo una proposta di budget che
deve prevedere il sostentamento attivo della realtà locale e il raggiungimento degli
obiettivi, mettendo in comune risorse e necessità, nello spirito della comunione.
Le varie realtà locali metterebbero poi in comune con l’ispettoria i vari budget realizzando
una prima comunione di risorse e necessità a livello di ispettoria. A questo punto si potrebbe
redigere un budget dell’ispettoria che metta in comune, parimenti, risorse e necessità, nello
spirito della comunione.
Il budget preventivo diventerebbe così lo strumento a servizio delle attività e della comunione
dei beni. Attraverso il controllo in itinere si potrebbe verificare dove si sta andando e
intervenire nei casi di necessità con modalità che saranno frutto e al tempo stesso stimolo per
la comunione dal livello locale a quello ispettoriale e viceversa.
Per concludere: gli ingredienti non fanno la torta
Infine, occorre ricordarci che una buona gestione è una condizione necessaria per
aiutare a costruire comunità/comunione, ma non è sufficiente. Quando gli ideali entrano
in gioco veramente nella vita individuale e collettiva, succede qualcosa di inevitabile: ci si
espone alla ferita dell’altro, perché in queste realtà non ci si può più immunizzare
dietro la mediazione del sistema dei prezzi o della gerarchia (i due grandi strumenti
immunizzanti dell’economia moderna). Non ci si può immunizzare da quella diversità tra gli
esseri umani che è la prima fonte delle sofferenze relazionali quando ci si pone su un piano di
vera uguaglianza gli uni con gli altri . E quando questa ferita della diversità non è accolta
7
l’apertura della ferita non diventa feconda, non diventa spazio di incontro e di accesso
all’altro, ma si infetta, si incancrenisce nelle mille patologie della diversità rifiutata. Chi vuole
tenere alti gli ideali nelle comunità e nelle opere sa che avrà una vita più piena, ma non più
facile, anzi semmai più fragile. Se non sappiamo accogliere e valorizzare questa fragilità e
vulnerabilità e ci rifugiamo nella ‘gestione’ intesa come strumento di ‘immunizzazione’
allora ci ritroveremo in organizzazioni senza ideali e meno efficienti. Che le nostre
comunità siano animate da protagonisti sempre più portatori di vita a tutto tondo e sempre
più esperti nell’arte di accudire i rapporti umani: è questo l’augurio che umilmente mi
permetto di fare per il futuro dell’Istituto in Italia.
8