1 una gestione innovativa per la vitalita` del carisma: spunti di
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1 una gestione innovativa per la vitalita` del carisma: spunti di
una gestione innovativa per la vitalita’ del carisma: spunti di riflessione Sr. Alessandra Smerilli L’icona delle Nozze di Cana e i carismi L’episodio delle nozze di Cana è l’immagine più eloquente di Maria come icona dell’azione dei carismi nella storia: Maria che durante la festa di nozze per prima si accorge che i commensali “non hanno più vino” (Gv 2, 3). Questo episodio mariano ci dice alcune cose fondamentali della logica carismatica nella storia: - Innanzitutto parliamo di una festa: carisma viene da charis, che vuol dire gratuità, agape, ma nello stesso tempo dono, grazia, pienezza, eccedenza. La caratteristica dei carismi, e delle opere cha essi prendono vita è quella della pienezza, della festa, della gioia. Quando la dimensione della gratuità splende viva in un carisma, allora il clima che si respira nelle comunità e nelle opere è quello della gioia, della festa. Quando la festa viene a mancare e il vino della gioia non irrora più le nostre mense è segno che la gratuità si sta spegnendo. - I carismi vedono più lontano, in particolare vedono cose diverse che altri (discepoli, amici, istituzioni...) non vedono. Il carisma è, infatti, un dono di occhi diversi che sanno vedere opportunità in cose dove gli altri vedono solo problemi I carismi sono stati e sono ancora oggi i luoghi delle grandi “innovazioni” umane: l’umanità, non solo la Chiesa, procede grazie ad una continua staffetta tra innovatori (i carismatici) e le istituzioni che universalizzano quelle innovazioni. La società antica per esempio vedeva nel lavoro manuale qualcosa che si addiceva solo allo schiavo. Benedetto vi vide qualcosa di “più e di diverso”, e lo pose al centro della nuova vita delle loro comunità: ora et labora. “Ora et labora” di Benedetto rappresentò ben più di una via di mera santità individuale: la cultura benedettina divenne nei secoli una vera e propria cultura del lavoro e dell’economia. Fu la cultura monastica la culla nella quale si formò anche il primo lessico economico e commerciale che informerà di sé l’Europa del basso medioevo . Le abbazie furono infatti le prime strutture economiche complesse, che richiedevano forme adeguate di contabilità e di gestione. La città di Assisi nei poveri vedeva solo lo scarto della società, Francesco vi vide “madonna povertà”, qualcosa di così bello che lo portò a sceglierla come ideale della sua vita e di quella dei tanti che lo seguirono e lo seguono. Quando in una città c’è un indigente, dicevano i francescani, è l’intera città che sia ammala: occorre curare la miseria e l’indigenza! Da un carisma che diede occhi nuovi per vedere nei poveri non un problema ma una risorsa, ecco nascere addirittura delle banche, istituzioni fondamentali per lo sviluppo dell’economia civile nell’Umanesimo italiano. I Monti di pietà si presentano come un’istituzione che sintetizza la riflessione economica francescana e le conferisce una forma concreta. Essi infatti rappresentano il naturale confluire dell’etica economica basata sulla produttività e sull’uso sociale della ricchezza. I francescani ebbero questa intuizione “finchè c’è un povero – un povero non per scelta ma perché subisce la povertà – la città non può essere fraterna”. Negli indigeni del Paraguay i regnanti portoghesi e spagnoli vedevano una specie non sostanzialmente diversa dagli animali della giungla, a cui si negava persino l’anima. Il carisma di Ignazio di Loyola consentì di vedere in quelle popolazioni qualcosa di “più e di diverso”, e di inventare quell’esperienza profetica di civiltà e di inculturazione che furono le “reductiones” nei secoli XVII e XVIII. Giovanni Bosco, a fine ottocento, si trova, da 1 giovane prete, a contatto con la folla di giovani che arrivavano a Torino dalle campagne per lavorare. La maggior parte era analfabeta, o orfana. Il suo amore per quei giovani, in cui aveva visto una risorsa, e non un problema da gestire, gli fece scoprire che in ogni giovane c’è un punto accessibile al bene, bisogna solo scoprirlo, trovare quella corda sensibile e farla vibrare. E comprese che mentre si doveva adoperare perché crescessero sani, e ‘buoni cristiani’ doveva metterli in grado di avere un futuro nella società: nascono i laboratori e quelli che poi diventeranno i corsi professionali, che tutt’oggi rappresentano una delle vie più efficaci per aiutare i ragazzi più deboli negli studi a realizzarsi anche a livello professionale. Ma non ci si poteva fermare ai laboratori e all’istruzione, se questi giovani diventavano poi vittime nelle mani dei datori di lavoro che potevano disporre del loro servizio a piacimento, e ai limiti dello sfruttamento. E fu così che, per amore di quei giovani, che Don Bosco inventò il primo contratto di lavoro per i minorenni, il contratto di apprendistato, che tutt’oggi viene ancora utilizzato. Luisa de Marillac, Francesco di Sales, Giovanna di Chantal, e poi Scalabrini, Cottolengo, don Calabria, Francesca Cabrini, hanno ricevuto occhi per vedere nei poveri, nei vergognosi, nei derelitti, nei ragazzi di strada, negli immigrati, nei malati, persino nei deformati, qualcosa di grande e di bello per cui valse di spendere la loro vita e quella delle centinaia di migliaia di persone che li seguirono, attratti e ispirati da quei carismi. I carismi possono dunque essere considerati, lungo la storia, come esperienze di innalzamento della temperatura spirituale, civile ed economica dell’umanità. - Poi, per soddisfare il bisogno, perché il “vino” arrivi effettivamente ai commensali, occorre attivare tutte le varie componenti della casa (non basta Maria): è necessaria un’alleanza con le altre componenti della vita in comune, che oggi si chiamano “laici”, mercato e politica. Quando in un carisma ci si mette ‘all’opera’, occorre attivare tutte le componenti della società civile , della Chiesa, ecc. - Nel farsi promotrice, Maria fa prendere coscienza agli altri, e anche a Gesù, della propria vocazione: quando un carisma è vivo chi respira il carisma è spinto a rispondere ad una chiamata, a comprendere quale è il suo posto nella storia. - Cana è l’icona non solo degli ‘inizi’, ma di ogni nuovo inizio. «Nel frattempo, venuto a mancare il vino...». Il vino che viene a mancare è il segno di un cuore stanco, di un amore a rischio. “Sembra legge a tutte le esperienze umane la diminuzione, il venir meno, il tramontare. E invece no. Maria a Cana non si rassegna, e sente, come legge fondamentale di speranza, che le cose possono andare dal piccolo al grande, dal debole al forte, dall'acqua al vino. Con lei, ogni credente sa che è possibile ripartire” (Ermes Ronchi). - Cana è anche icona del vino considerato importante come il pane: si vede anche il vino, non solo il pane; si considera il vino primario come il pane; si vede la sete d’acqua, ma anche l’arsura di bellezza, di rapporti, di dignità, di senso. Per questo motivo i carismi spostano in avanti i paletti dell’umano. Quando nei momenti di crisi la genuinità del carisma viene meno, solitamente si comincia a non dare più importanza al ‘vino’, considerato come un superfluo, ma questo può generare un circolo vizioso, che fa perdere sapore sia al vino che al pane. - Il vino ‘buono’: quando un carisma è all’opera i frutti sono buoni, da tutti i punti di vista. 2 La cultura oggi dominante, e la visione della gratuità Oggi risulta più difficile leggere l’importanza dell’azione dei carismi per la vita civile e per l’economia, anche a causa dell’evoluzione del pensiero economico negli ultimi duecento anni. La scienza economica moderna, infatti, e quindi anche quella aziendale, è nata proprio dall’espulsione della gratuità dalle faccende economiche. Nella sua Theory of moral sentiments, Smith ci ricorda che: «La gratuità è meno essenziale della giustizia per l’esistenza della società. La società può sussistere, sebbene non nel modo migliore, senza gratuità; ma la prevalenza dell’ingiustizia la distrugge senz’altro» (1984[1759], p. 86). E su questa base Smith afferma che: “La società civile può esistere tra persone diverse ... sulla base della considerazione dell’utilità individuale, senza alcuna forma di amore reciproco o di affetto” (Ivi, II.3.2). Una tesi importante e apparentemente condivisibile; in realtà, in essa si nasconde un’insidia, rappresentata dall’idea che la società civile possa funzionare e svilupparsi anche senza gratuità, ovvero che il contratto possa essere un buon sostituto del dono: una tesi, questa, che guadagna sempre più consenso oggi nella società globalizzata. Il dono e l’amicizia sono faccende importanti nella sfera privata, si dice, ma nel mercato e nella vita civile possiamo farne tranquillamente a meno; anzi, è bene farne a meno, proprio per la loro carica di dolore e di ferita. In realtà, come la crescente solitudine e infelicità delle nostre economie opulente ci stanno dicendo, una società senza gratuità non è un luogo vivibile, né tantomeno un luogo di gioia. Nessuna idea come questa di Smith si pone ancora oggi al cuore della scienza economica. Le conseguenze che derivano da questo modo di vedere la realtà sono molte. Citiamo solo quelle più rilevanti per noi. o La prima è che l’economia ne è venuta fuori come la scienza triste, che si occupa solo di massimizzazione di profitti e ottimizzazione delle scienze di consumo. Ma se, invece, l’economia è anche il luogo delle passioni, degli ideali, dell’interesse per la felicità pubblica, allora anche oggi, i carismi hanno qualcosa da proporre al modo di fare economia. o La seconda è che la gratuità è stata e tuttora viene considerata come il ‘limoncello’ alla fine di un lauto pranzo: se c’è tutti sono contenti, se non c’è il pranzo comunque l’abbiamo consumato. Infine, questo modo di guardare alla gratuità ha portato sempre più chi si occupa di faccende economiche a non occuparsi di gratuità, e chi si occupa di gratuità a non voler entrare in faccende economiche. Molti dei problemi che oggi abbiamo anche a livello di gestione economica derivano proprio dal fatto che l’economia è stata considerata sempre una variabile a sé. Ma sappiamo bene che quando la dimensione economica non entra fin dall’inizio nelle decisioni da prendere, poi alla fine rischia di essere la variabile dominante, perché quando ci accorgiamo dei problemi economici è troppo tardi, e siamo quindi costretti a fare scelte che non avremmo mai voluto fare. Di fronte a tutto questo l’enciclica Caritas in Veritate ci pone una sfida importante: far rientrare la gratuità nella società e nell’economia. Benedetto XVI prima prende atto “degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro”(CV 2), e in seguito lancia la sfida: «La grande sfida che abbiamo davanti a noi […] è di mostrare, a livello sia di pensiero che di comportamenti, che non solo tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica» (CV 36). 3 Per rispondere alle sfide: la gestione innovativa In questo momento difficile, in cui, guardando alle difficoltà che ci troviamo a vivere all’interno delle nostre opere, la sfida lanciata dall’enciclica potrebbe sembrarci impossibile, ci è chiesto di avere gli occhi di Maria. L’icona della nozze di Cana può essere vista come il simbolo sia delle cose nuove che nascono, sia di ogni riorganizzazione. Ed è uno sguardo che vede i bisogni e le nuove povertà fuori e dentro (nuove povertà che ci circondano, nuove povertà nelle comunità). E, poi, come Maria, siamo chiamate a muoverci, ma nello stesso tempo ad attivare tutte le risorse che abbiamo intorno. E per attivarle dobbiamo saperle riconoscere come risorse. Sono convinta che è occupandoci della ‘città’ che troveremo le risorse per rinnovare le nostre comunità. Perché ritorni la festa nelle nostre comunità abbiamo bisogno, tra le altre cose, di una gestione innovativa. Una buona gestione, infatti, può liberare risorse e tempo. Di gestione si è tanto parlato finora, e credo che qui dobbiamo solo ricordarci che quando facciamo riferimento alla gestione, non parliamo di gestione del carisma o della missione, ma delle opere e quindi dell’organizzazione, intendendo per gestione un o insieme di azioni, modalità, per far interagire tutte le variabili del sistema organizzativo, o coordinandole in maniera efficace ed efficiente, per raggiungere le finalità del carisma nell’oggi. Ma proviamo a dire qualcosa in più sull’aggettivo: innovativa, cioè che innova. Ma cosa è l’innovazione? Esiste, nella vita sociale, una dinamica analoga a quella teorizzata dall’economista austriaco J.A. Schumpeter nella sua visione dell’imprenditore, del profitto e dello sviluppo economico. Nella sua Teoria dello sviluppo economico (1911), quel grande economista ci ha offerto una delle teorie economiche più suggestive e rilevanti del Novecento, quando ha distinto tra imprenditori “innovatori” e imprenditori “imitatori”. L’imprenditore innovatore, il tipo ideale di imprenditore, è colui che con un’innovazione (di prodotto, di processo, di nuovi mercati...), spezza lo stato stazionario, e con questa innovazione crea valore aggiunto e sviluppo, porta avanti l’economia e la società. Poi, in un secondo momento, arrivano, come uno sciame di api richiamate dalla nuova opportunità di profitto, altri imprenditori “imitatori” che fanno pro- pria quell’innovazione, che da quel momento in poi diventerà parte integrante dell’intero mercato e della società. L’economia torna presto allo stato stazionario, finché non arrivano altri innovatori, che, con nuove innovazioni, spingeranno avanti “i paletti dello sviluppo economico”, in un nuovo processo di innovazione-imitazione, che è il vero circolo virtuoso creatore di ricchezza e di sviluppo. Il profitto nel tempo si trasforma in bene comune (innovazioni, riduzioni di costi...), grazie a questa “rincorsa”. Nella dinamica sociale è all’opera un meccanismo simile, cioè esiste una dinamica, questa rincorsa, tra “carisma” e “istituzione” (per usare il linguaggio di Max Weber). Il carismatico innova, vede bisogni insoddisfatti, individua nuove forme di povertà, apre nuove strade alla fraternità, spinge più avanti i “paletti dell’umano” e della civiltà. Poi arriva l’istituzione (lo stato, ad esempio), che imita l’innovatore, fa sua l’innovazione, e la fa diventare “normale”, la istituzionalizza. Gli innovatori, quindi, sono presto raggiunti dalla istituzione e la civiltà avanza, e se non sono capaci di nuove innovazioni presto saranno indistinguibili dagli imitatori. Quando si è imitati non occorre protestare o proteggersi, ma solo rilanciare con nuove innovazioni che vanno a individuare nuovi bisogni, e così spostare ancora avanti la frontiera dell’umano, andando ad individuare nuove criticità e nuove sfide, nuove forme di liberazione, di giustizia, di “amore sociale”, mai soddisfatti e appagati per i risultati raggiunti. Le grandi innovazioni, anche economiche, sono state frutto di un’eccedenza, di un di più antropologico, che ha fatto sì che si spostassero avanti i paletti dell’umano. In questo i 4 carismi hanno fatto da apripista: infatti, per spingere più in là il territorio dell’umano, occorrono occhi diversi, persone capaci di vedere qualcosa di più e di diverso. L’eccedenza che porta all’innovazione si può esprimere in diversi modi: ci sono state innovazioni nate dall’eccedenza dell’economista rispetto alla sola scienza economica (alcuni economisti innovano nell’economia perché sono più grandi dell’economia), altre innovazioni dovute all’irrompere sulla scena della vita che è fuori dall’accademia (è il caso di Yunus e del microcredito), ma la maggior parte delle volte sono eventi, spesso tragici (le varie crisi), che irrompono nella vita di tutti a spingere verso soluzioni nuove e verso cambiamenti culturali. È proprio grazie ad una crisi aziendale, per esempio, che Olivetti, invece di licenziare come gli veniva consigliato dai suoi più alti dirigenti, assume 500 persone e inventa la vendita porta a porta. Come istituto, e in generale come istituti religiosi ci troviamo oggi proprio in un momento che appare a tratti tragico, e forse proprio per questo è un momento fecondo. A noi la scelta: imitare chi a sua volta ha imitato noi… o innovare, facendo nascere qualcosa di nuovo per noi e per l’umanità. L’innovazione può essere nel vedere nuovi bisogni e aprire nuove opere, oppure nel modo di gestire quello che già portiamo avanti e che riteniamo sia importante non lasciare. L’economia, infatti, e la vita civile oggi hanno un bisogno disperato di una nuova gestione, che riconosca la persona, che metta in luce più la cooperazione che la competizione, che non distrugga i beni relazionali, che oggi stanno diventando la vera risorsa scarsa dell’economia. Dai momenti difficili non si esce ‘solo’ con il buon senso, anzi, l’innovazione a volte sfida il buon senso, come ci ricorda Becattini, un grande economista italiano: “Le imprese-progetto non commisurano, per tutta una fase della loro crescita, i risultati via via attenuti al rendimento del capitale investito, ma, semmai, al grado di realizzazione del “progetto iniziale” o di qualche revisione di esso. Il gelido calcolo finanziario potrebbe suggerire ad un’impresa progetto, in una certa fase congiunturale, la smobilitazione, ma le sue ragioni per restare sul mercato sono così complesse, che essa può dispiegare una resistenza “irrazionale”, da un punto di vista strettamente finanziario, alla smobilitazione. E alcune volte accade che, contro il parere degli esperti, quella resistenza abbia successo” (in Bruni e Bellanca 2002, p. 778). La sfida che abbiamo dunque davanti, è quella di rinnovarci, sapendo apprendere dall’esistente, ma introducendo nuove prassi, anche a livello gestionale, che siano l’incarnazione del carisma oggi. Alcuni spunti più concreti Proviamo a delineare alcuni suggerimenti per tradurre la ricchezza del carisma in nuove pratiche di gestione che aiutino a costruire comunità vocazionali. Governance Nessuna organizzazione può sopravvivere se al suo interno si va avanti basandosi solo su contratti, regole e incentivi, ma se c’è un luogo dove ciò non è né possibile, né auspicabile, questo è il mondo delle opere che nascono dai carismi, o organizzazioni a movente ideale. Una organizzazione che nasce da un carisma non è matura, equilibrata e quindi non può svilupparsi armoniosamente nel tempo, fedele al suo carisma-vocazione, se non vive quelle che possono essere pensate come tre forme di reciprocità: o del contratto, o dell’amicizia e o l’agapica. 5 Può, infatti, una realtà che nasce da un carisma, durare se non ha dei buoni contratti con dipendenti, clienti, e se non si basa su un forte e solenne patto sociale, su un contratto? Il fondatore scrive la regola perché sa che senza una regola i suoi successori non potrebbero vivere il carisma, che quindi sarebbe destinato a morire. Infatti, se un’impresa (o una comunità) non ha delle regole ben scritte, quando ha dei conflitti non riesce a risolverli, e quindi non cresce bene e nei casi peggiori l’esperienza termina. Va notato che il mondo carismatico ha una naturale tendenza a non valorizzare i contratti, e a vederli in conflitto con l’amore gratuito, e, in generale, a contrapporre le tre forme di reciprocità che abbiamo indicato. Un rapporto non regolato da contratti è in balia degli abusi di potere (anche fatti in buone fede), degli eventi, delle cattiverie degli altri. Chi vede, quindi, le “regole del gioco” come contrarie all’amore alla fine finisce per alimentare, magari senza volerlo, i conflitti. Occorre poi valorizzare l’amicizia nelle esperienze carismatiche. Come e perché? Nelle organizzazioni la philia si traduce in pratiche di ‘governance’ democratiche e partecipative, in coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni, e in equità nel disegno delle regole e dei premi. Questo permette che il senso di appartenenza dei membri si mantenga alto, contribuendo così anche a tenere elevata la qualità ideale e al tempo stesso l’efficienza. Si potrebbe obiettare che una governance partecipativa allunghi i tempi delle decisioni, e questo rallenti di conseguenza il lavoro di tutti. Crediamo che, sebbene si debba vigilare su quest’aspetto, non bisogna cedere alla tentazione di un’organizzazione più verticistica. Il risultato sarebbe un abbattimento della qualità ideale, del coinvolgimento dei membri e quindi si arriverebbe così alla difficoltà di attrarre nuovi membri motivati, e quindi vocazioni. La terza forma, l’agape, è poi come il sale, o il lievito. Se un’organizzazione carismatica perde gratuità si estingue, e può essere solo “gettata via” perché inutile alla dinamica civile e al bene comune. Questo rischio è quello più subdolo, poiché ha un lungo periodo di incubazione: senza contratti e amicizia i problemi vengono presto al pettine, e l’organizzazione accusa subito varie forme di malessere. La gratuità, invece, soprattutto nelle realtà carismatiche mature e consolidate, può venire meno, può scomparire un po’ alla volta, senza che gli attori di tali esperienze ne siano coscienti. Si può andare avanti a lungo senza gratuità, sentendosi perfettamente a posto, per esempio perché ci si sente efficienti. Il ruolo delle minoranze motivate Le organizzazioni che nascono da un movente ideale vivono soprattutto grazie a un nucleo di persone molto motivate, che riescono a mantenere alto il clima, e cioè la cultura dell’organizzazione. Nelle dinamiche organizzative è ormai un risultato accertato, che quando si vivono momenti di crisi e si abbassano gli standard ideali, i primi a reagire sono proprio i più motivati, e sono loro i primi a lasciare l’organizzazione se non osservano miglioramenti. L’attenzione a questo nucleo di persone, e il lavoro per innalzare le motivazioni in tutti i membri, sono dunque elementi fondamentali di una buona gestione dell’organizzazione. L’attivazione delle risorse Abbiamo visto che la capacità di attivare tutte le risorse dentro e intorno all’organizzazione è una caratteristica peculiare delle esperienze carismatiche. L’avanzamento dell’età media dentro le comunità e la sempre maggiore complessità delle opere potrebbe non voler dire automaticamente necessità di chiudere le opere. Forse ci sono nuove risorse da attivare. Forse una riorganizzazione può prevedere la nascita di nuove figure che operino a livello ispettoriale e nazionale a sostegno, per esempio, della gestione economica, liberando le 6 econome locali da molti pesi e introducendo strumenti di gestione e di controllo che inizino a dare una direzione, verso la realizzazione della mission alle opere esistenti. Olivetti, forse ci suggerirebbe che inventando cose nuove, guardando con occhi nuovi alla realtà, potremmo essere in condizione non solo di non chiudere, ma addirittura di aprire qualcosa di nuovo. E questo potrebbe generare un circolo virtuoso. La gestione economica La gestione è più ampia della sola gestione economica, ma nel corso di questi anni ci stiamo rendendo conto che la gestione economica è oggi quella che più soffre nelle nostre realtà e che ha più bisogno di innovazione. A questo livello sono richieste maggiori competenze (da cercare, da formare, da accompagnare), ma anche un cambiamento culturale e quindi necessariamente strutturale (cultura e struttura vanno di pari passo): si tratta di imparare a pianificare e agire nella preventività, sapendo ben calcolare e valutare costi e benefici dei vari progetti, nella certezza che la Provvidenza ci sostiene, quando noi abbiamo fatto tutta la nostra parte. Don Bosco ci esorta: «Io non temo che ci manchi la Provvidenza, qualunque maggior numero di giovani accetteremo gratuitamente, o per le grandi Opere, anche dispendiosissime nelle quali ci slanciamo per l’utilità spirituale del prossimo; ma la provvidenza ci mancherà in quel giorno in cui sciuperemo denari in cose superflue e non necessarie» (MB XII, 376) . La comunione dei beni a monte La preventività a livello economico si traduce anche in un modo nuovo di vivere la comunione dei beni. Sappiamo che ogni realtà, per riuscire nei suoi intenti deve avere ben presente, chiara e definita oggettivamente la sua mission, la vision, la strategia, la pianificazione e il budget, ovvero la traduzione economico-finanziaria formale e dettagliata degli obiettivi attesi. A livello locale, ogni realtà potrebbe realizzare una comunione di progetti, coerenti con la mission e la strategia e definire la sua pianificazione redigendo una proposta di budget che deve prevedere il sostentamento attivo della realtà locale e il raggiungimento degli obiettivi, mettendo in comune risorse e necessità, nello spirito della comunione. Le varie realtà locali metterebbero poi in comune con l’ispettoria i vari budget realizzando una prima comunione di risorse e necessità a livello di ispettoria. A questo punto si potrebbe redigere un budget dell’ispettoria che metta in comune, parimenti, risorse e necessità, nello spirito della comunione. Il budget preventivo diventerebbe così lo strumento a servizio delle attività e della comunione dei beni. Attraverso il controllo in itinere si potrebbe verificare dove si sta andando e intervenire nei casi di necessità con modalità che saranno frutto e al tempo stesso stimolo per la comunione dal livello locale a quello ispettoriale e viceversa. Per concludere: gli ingredienti non fanno la torta Infine, occorre ricordarci che una buona gestione è una condizione necessaria per aiutare a costruire comunità/comunione, ma non è sufficiente. Quando gli ideali entrano in gioco veramente nella vita individuale e collettiva, succede qualcosa di inevitabile: ci si espone alla ferita dell’altro, perché in queste realtà non ci si può più immunizzare dietro la mediazione del sistema dei prezzi o della gerarchia (i due grandi strumenti immunizzanti dell’economia moderna). Non ci si può immunizzare da quella diversità tra gli esseri umani che è la prima fonte delle sofferenze relazionali quando ci si pone su un piano di vera uguaglianza gli uni con gli altri . E quando questa ferita della diversità non è accolta 7 l’apertura della ferita non diventa feconda, non diventa spazio di incontro e di accesso all’altro, ma si infetta, si incancrenisce nelle mille patologie della diversità rifiutata. Chi vuole tenere alti gli ideali nelle comunità e nelle opere sa che avrà una vita più piena, ma non più facile, anzi semmai più fragile. Se non sappiamo accogliere e valorizzare questa fragilità e vulnerabilità e ci rifugiamo nella ‘gestione’ intesa come strumento di ‘immunizzazione’ allora ci ritroveremo in organizzazioni senza ideali e meno efficienti. Che le nostre comunità siano animate da protagonisti sempre più portatori di vita a tutto tondo e sempre più esperti nell’arte di accudire i rapporti umani: è questo l’augurio che umilmente mi permetto di fare per il futuro dell’Istituto in Italia. 8