Luigi De Marchi

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Luigi De Marchi
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IL CARISMA IN PSICOTERAPIA
Luigi De Marchi*
Riassunto: Una sintetica rassegna sul carisma in psicoterapia, condotta da un originale battitore libero dello scenario culturale del Novecento, il quale conferma nel millennio attuale
le esperienze accumulate da lui stesso e dalle fonti autorevoli che cita: Weber, Rogers, Churchill, Gandhi. Ancor più importanti, appaiono le conclusioni dell’Autore circa le squal-lide
figure dei guru psicoterapeuti, che utilizzano il loro carisma (grande o piccolo che sia) per cercare nella devozione e ammirazione dei pazienti e dei seguaci una conferma del proprio valore e un superamento delle proprie profonde insicurezze.
Parole chiave: carisma, psicoterapia, guru, modo di essere.
Summary: A concise review on charisma in psycotherapy, conducted by a liberal beater of the
cultural scenery of the twentieth century, one that confirms in the current millennium the
various experiences accumulated by him and quotes from authoritative sources: Weber, Rogers, Churchill, Gandhi. Even more important are the conclusions of the author regarding
the miserable figures of the psycotherapists guru that use their charisma (whether big or small)
and search in the devotion and admiration of patients and followers a confirmation of their
own value to overcome their own profound insecurities.
Key words: charisma, psychotherapy, guru, kind of being.
Il tema che i curatori della Rivista hanno voluto affidarmi mi è parso subito non
solo attraente ma anche intrigante: attraente perché mi ha riguardato molto da vicino (ancora pochi anni fa l’illustre recensore d’un mio libro mi ha insignito d’una
sorta di bizzarro e lusinghiero carisma, definendomi “un felice incrocio tra Bertrand
Russell e Woody Allen”) ma anche maledettamente intrigante perché, nel mio lungo viaggio professionale, sono arrivato a considerare il carisma una sorta di dono ambiguo, da maneggiare con estrema cura, come la nitroglicerina.
A parte le battute dei miei recensori, infatti, il carisma è un fenomeno che, nel
suo stesso etimo (“caris” in greco antico significa “grazia divina”), richiama una dimensione religiosa e, in particolare nel cristianesimo, è stato per secoli attribuito prima alla collettività dei credenti e, poi, con successive restrizioni, ad alcune persone
dotate di particolari qualità, sempre religiose. In tutto il mondo protestante, com’è
noto, il possesso della Grazia Divina è divenuto addirittura la discriminante cruciale
* Psicologo, psicoterapista, politologo, autore di varie opere di psicologia clinica e sociale pubblicate in Europa e
in America. È fondatore e presidente dell’Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale (Via G. Moroni 20, 00162
Roma, 06.44247021; 329.1111601).
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per assicurarsi il Paradiso, conforme a quanto sembrava rivelare l’Apostolo Paolo con
le sue parole ai Corinzi: “Molti sono i Chiamati, ma pochi gli Eletti”.
Questo processo di progressiva restrizione del dono del carisma dalla collettività al singolo mi sembra segnalare la tendenza di alcune personalità più affascinanti
e dei loro ammiratori a ricreare tra il capo carismatico ed i seguaci quel rapporto di
obbedienza incondizionata che, nei gruppi religiosi, si crea tra il profeta ed i suoi fedeli.
Nell’epoca moderna il padre della sociologia tedesca, Max Weber, tentò per primo di applicare alla società contemporanea, e in forma laica, il concetto di carisma.
Egli parlò così di una “autorità carismatica”, che attribuì ad alcune personalità politiche e culturali del suo tempo.
E a questo punto il passo dalla sociologia alla psicologia è stato breve e a molti
capiscuola o brillanti esponenti dei vari indirizzi psicologici e psicoterapici è stato
ed è tuttora attribuito un qualche carisma.
Va però sottolineato che il carisma non coincide necessariamente con la valenza creativa e innovativa delle teorie e delle tecniche proposte dal singolo ricercatore od operatore, ma dal suo modo di presentarle, anzi più generalmente dal suo “modo
di essere”. Ci sono stati e ci sono ricercatori e professionisti che hanno portato preziosi contributi di novità e di chiarezza in campo psicologico senza che, per questo,
gli studenti o gli estimatori vedessero in loro un forte carisma.
E, simmetricamente, ci sono stati e ci sono molti psicoterapisti del tutto privi di
originalità e profondità che, tuttavia, hanno esercitato un carisma talmente forte sui
pazienti da trasformarsi per loro in veri e propri guru religiosi, venerati e obbediti
in ogni situazione sia terapeutica che esistenziale e relazionale. E qui, come vedremo, si annida l’ambiguità del fenomeno del carisma.
Si tratta di un’ambiguità che, del resto, era già emersa anche in campo politico.
Mussolini, Hitler, Stalin o Mao avevano sicuramente un loro carisma, che li faceva
adorare dai seguaci. Ma si trattava d’un carisma che affondava le sue radici non nella passione per la ricerca e per il progresso umano, ma nella glorificazione del proprio miserando ego e che, a questa glorificazione, era pronto a sacrificare le idee, le
speranze e la vita d’ogni altro uomo e d’intere moltitudini. E dietro quel bisogno
ossessivo di glorificazione stavano ovviamente enormi insicurezze e complessi d’inferiorità.
Purtroppo, beninteso mutatis mutandis, il meccanismo psicologico non è molto diverso in certi psicoterapisti tanto megalomani quanto inconsistenti. Anche loro,
come certi megalomani della politica o della religione, utilizzano il loro carisma (grande o piccolo che sia) per cercare nella devozione e ammirazione dei pazienti e dei
seguaci una conferma del proprio valore e un superamento delle proprie profonde
insicurezze. Naturalmente il danno psicologico che infliggono questi psicoterapisti
megalomani resta ristretto nella sfera microsociale ma, non per questo, per le vittime è meno grande di quello prodotto dai megalomani che operano a livello ma-
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cro-sociale. Gli uni come gli altri bloccano la maturazione psichica e intellettuale dei
seguaci perché, in sostanza, si limitano a trasferirne la dipendenza dalle figure parentali a se stessi, spesso rafforzandola ed esasperandola. Il risultato finale è che gli
uni e gli altri sfruttano il proprio carisma per mantenere o ridurre il seguace in uno
stato infantile di perpetua dipendenza.
Senonché, come tutti sappiamo, l’obiettivo centrale d’ogni buona psicoterapia
è quello di promuovere nel paziente una condizione esattamente opposta: cioè la capacità di camminare sulle proprie gambe e di crescere in modo autonomo. Per parte mia, da bravo psicoterapista d’indirizzo umanistico, ritengo che con la psicologia umanistica in genere e con quella di Carl Rogers in particolare, la psicoterapia
abbia fatto un grande passo avanti in questa direzione.
Nella maggior parte delle terapie tradizionali, infatti, il terapista resta il depositario del sapere che, come tale, conosce sempre il paziente meglio del paziente stesso e sa dove indirizzarlo per promuovere il suo benessere e la sua autorealizzazione.
Ciò ha portato non di rado a comportamenti molto antiscientifici. Basterà ricordare
la posizione del freudiano ortodosso dinanzi ad un paziente che non si riconosce in
una o più interpretazioni dell’analista. Il freudiano considera quel rifiuto come una
forma di resistenza che dovrà essere logorata e sormontata con un ulteriore lavoro
di analisi.
Ma è un comportamento profondamente antiscientifico. La scienza, infatti, procede notoriamente per trial and error, non certo pretendendo d’imporre le ipotesi
del ricercatore.
La rivoluzione silenziosa di Carl Rogers, della cui Scuola sono stato co-fondatore
e presidente, ha profondamente cambiato il rapporto tra analista e paziente (da Rogers ridefinito “cliente” proprio per non patologizzarlo). L’analista non è più il depositario del sapere ma un consulente e un compagno di viaggio del suo assistito ed
il suo compito non è quello di guidare il cliente dove egli ritiene opportuno che vada,
ma di accompagnarlo dove il cliente stesso vuole andare. E in questa nuova ottica,
che ridimensiona notevolmente il suo ruolo (e la sua carica transferale), lo psicoterapista rogeriano dovrà accettare serenamente il dissenso del cliente e la possibilità
di aver sbagliato ipotesi interpretativa. Beninteso, non è tenuto tassativamente a considerare errata quell’ipotesi, ma è tenuto a ritenere che, se anche il dissenso del cliente esprime una qualche resistenza conscia o inconscia, quella resistenza non va né
forzata né smontata perché essa verrà spontaneamente abbandonata dal cliente quando questi non ne avrà più bisogno.
In questa nuova situazione, che cosa resta del carisma? A mio parere può restare
tutta la valenza positiva, per l’ovvio motivo che il nuovo approccio non consente
l’uso sopraffattorio o manipolativo del carisma, ma non esclude di certo l’affettività e la stima del cliente per il terapista (e viceversa). Per tornare ai paragoni con
i leader della sfera sociale, politica o religiosa, può essere utile ricordare le figure di
Winston Churchill o del Mahatma Gandhi, due leader indubbiamente carismati-
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ci che tuttavia hanno trovato nella loro stessa visione – liberale quella di Churchill,
non violenta quella di Gandhi – la capacità di usare il loro carisma senza invadere, sopraffare o manipolare i seguaci o i dissenzienti. E quando, dopo aver condotto
l’Inghilterra alla vittoria contro la tirannia nazista, il popolo inglese votò a forte maggioranza per il suo rivale Attlee, Churchill seppe trarsi in disparte senza per questo ridurre, anzi accrescendo il suo carisma. La violenza d’un fanatico stroncò la vita
di Gandhi prima che egli avesse compiuto la sua missione, ma tutti i contemporanei sapevano che il suo carisma non era lontanamente legato alla detenzione del
potere.
Prima di concludere, vorrei accennare alla mia personale esperienza col carisma.
Credo che la grande popolarità che fin da giovane ho avuto tra i miei coetanei possa essere considerata un segnale del fatto che, in qualche misura, anch’io ero dotato d’un certo carisma. E quel carisma si è certamente rafforzato quando, nel corso
della mia vita di ricercatore e riformatore, ho fondato e diretto le Scuole di Wilhelm
Reich, di Alexander Lowen e di Carl Rogers, oppure sono stato un pioniere della lotta per la liberalizzazione sessuale e la contraccezione e contro l’esplosione demografica:
la madre di tutte le tragedie del nostro tempo (dalla fame alle guerre territoriali, alla
disoccupazione di massa, al disastro ambientale).
Devo tuttavia anche riconoscere che, fino ai quarant’anni, ho utilizzato il mio
carisma per cercare di ampliare la mia popolarità e il mio potere culturale, con risultati peraltro molto negativi. Ho dovuto scoprire a mie spese, infatti, che i consensi e gli entusiasmi dei seguaci non di rado approdavano al parricidio, come spesso accade nelle organizzazioni strutturate intorno al leader.
Quando però, una trentina d’anni fa, la morte d’una donna che amavo immensamente e alla quale ho dedicato il mio libro più importante (“Lo shock primario”,
Edizioni Rai-Eri), mi ha costretto a guardare nel buco nero dove nessuno, e particolarmente gli psicologi e gli psichiatri, ama guardare, ho scoperto che proprio nella realtà inesorabile della morte ogni psicoterapista maturo può trovare la propria
dote più preziosa, cioè il senso del proprio limite, che lo salverà dalla megalomania
e dall’uso sconsiderato del carisma.
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