“All`origine fu la macchina da cucire" Con Vittorio Marchis e Luca
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“All`origine fu la macchina da cucire" Con Vittorio Marchis e Luca
Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni “All'origine fu la macchina da cucire" Con Vittorio Marchis e Luca Guglielminetti Letture di Francesca Rizzotti Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 1 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni da “PONTI SULL’OCEANO” (1914) di Luciano Folgore Da ITALY di Giovanni Pascoli […] Magnesio Italy allora s’adirò davvero! Piovve; e la pioggia cancellò dal tetto quel po’ di bianco, e fece tutto nero. Il cielo, parve che si fosse stretto, e rovesciava acquate sopra acquate! 155 Stecchita la vita da un inverno notturno di magnesio Porcellana della dura elettricità che comprime faccie e spigoli sulla ghisa nera della notte Nicchie di bar d'alluminio Crudo bianco dei caffè di smalto Una donna di maiolica Un cavallo di cristallo Lastroni di palazzi induriti a p i o m b o O ferraietto, corto e maledetto! Ghita diceva: "Mamma, a che filate? Nessuna fila in Mèrica. Son usi d’una volta, del tempo delle fate. Oh yes! Filare! Assai mi ci confusi 160 da bimba. Or c’è la macchina che scocca d’un frullo solo centomila fusi. Oh yes! Ben altro che la vostra ròcca! E fila unito. E duole poi la vita e ci si sente prosciugar la bocca!" sui pavimenti a cera delle strade Lineamenti dì ferro contorni a sbarre nette figurazioni di marmo durissimo smorfia della città serrata nei cilindri della tramontana Sorpresa dei nottambuli coi visi incro stati nel ghiaccio della luce elettrica Certo al di là dei muri : ANIME DI PIETRA CERVELLI DI PIOMBO e nelle bische la vita con tratta in uno spasimo dal magnesio del vizioTutto preciso tutto rigido nelle linee violente del freddo anche il sonno: MISERABILE DI BRONZO addormentato sotto l'arco dì granito di un portone 165 La mamma allora con le magre dita le sue gugliate traea giù più rare, perché ciascuna fosse bella unita. Vedea le fate, le vedea scoccare fusi a migliaia, e s’indugiava a lungo 170 nel suo cantuccio presso il focolare. Diceva: "Andate a letto, io vi raggiungo" Vedea le mille fate nelle grotte illuminate. A lei faceva il fungo la lucernina nell’oscura notte. 175 […] Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 2 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni Danilo Dolci Nel paese tanto ricco di tecnica che puoi bere latte e ruttare petrolio, tra scienziati così sapienti da saper inventare bombe capaci di far scricchiolare tutta la terra; nel paese tanto ricco che la gente vi perde le mani ma vi trova la droga (e la gente spia l'attimo in cui finalmente può rilassarsi a ridere); nel paese tanto ricco d'invenzioni che ormai vi è inutile pensare o pericoloso (il suo uomo più buono lavora a organizzare i miserabili per conquistare il pane e una baracca per ambulatorio, tenendosi sul tavolo l'effige del ricco più potente); nel paese tanto ricco di democrazia che metà del suo popolo stima inutile andare a votare (e chi vota, come vota? ); mentre fioriscono lager per la gente di pelle più oscura i ragazzi irrequieti, i grandi irrequieti che non vogliono essere assassini; in questo paese tanto ricco - si sa, consuma più del 50 per cento delle risorse del mondo, col 6 per cento di popolazione - : Urge imparare dal trovarsi davanti realizzati sogni prima creduti troppo belli per esser veri, a immaginare l'alto bosco mentre pianti eucalipti nella terra arsigna; e dal geranio : se gli spacchi le braccia in monconi infilando ogni stocco nella terra – ricresce tenero il cespuglio padre, si radicano i figli acri inverdendo. Costruendo, l'uomo si costruisce. La città nuova inizia ove la terra respira, ove ognuno respira poesia - antenna miccia cantiere avvertito la terra può schiantarsi invetrando cancrene. Ti aspettavamo al tuo posto: e all'estremo momento non c'eri. Quando insieme si tenta di alzare una trave pesante pericoloso è fingere di forzare con gli altri: o ti impegni con tutti come puoi o avvisi chiaramente e te ne vai. Danilo Dolci, Poema umano, Torino : Einaudi, 1974, pp. 162-163.e p.178 se chiedo a ciascuno di voi amici capelloni semplici o a voi capelloni di lusso, quali sono gli sprechi più assurdi nel vostro paese, siete sicuri di saper rispondere esattamente? Se chiedo a ciascuno di voi che sogna di cambiare la vita sulla terra come si forma il mostro del potere lì, proprio lì, dove vivete, siete sicuri di sapervi rispondere esattamente? Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 3 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni DA UNA STAZIONE ALL'ALTRA di Attilio Lolini Luigi Di Ruscio Per colazione hanno acqua e pane bevono molta acqua il quintaelementare ingegnere onoriscausa a saliva che hanno devono sputarla sulle mani (che si è fatto da sé) perché il martello non scivoli (venuto su dal nulla) a mezzogiorno mettono nel brodo d’erbe apre la nuova fabbrica il solito pane nero elettrodomestica al coprirsi del sole se io sono pieno di malinconia per loro è bello tornarsene a casa ridendo sedersi in famiglia giocare con i figli dopo dieci ore di lavoro sulle pietre per quel poco pane e perché la moglie ministro in vista (moro) per i cazzabubboli di carosello continui a fare per ultimo il piatto e l'arcivescovo perché a nessuno manchi la parte. a benedire le macchine acqua benedetta selz Le ore sei sono l’inizio della nostra giornata ti spruzza questo noi siamo l’inizio di tutti i giorni inizia il giro delle ore sulla trafilatrice che mi aspetta con la bocca spalancata operai tute bianche in vista inizia la mia danza il mio spettacolo il tricolore sta benissimo in certe ore entra nel reparto una chiazza di sole sulle buzze e lo sporco nostro è schiarito come nelle immagini dei sindaci di sinistra dei santi rubo il tempo per una fumata che raspa nella gola discorso ufficiale spio i minuti sul quadrante dal grande occhio non va per niente male e tutto ad un tratto ci scuote l’urlo della sirena ci attende il riposo per la sveglia di domani la suoneria che entra dentro i sogni esplodendoli ed ecco un nuovo giorno della mia esistenza con l’allegria fuori della mia ragione. Luigi Di Ruscio Poesie operaie, Roma : Ediesse, 2007 rinfresco democratico gli operai tute bianche hanno un tavolo a parte Attilio Lolini, Notizie dalla necropoli 1974-2004, Torino : Einaudi, 2005. Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 4 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni Cesare Pavese La fabbrica illuminata Questa città mi ha vinto, come un mare. Musica di Luigi Nono, testo di Giuliano Scabia, e un frammento da "Due poesie a. T" di Cesare Pavese; dedicata agli operai della ItalsiderCornigliano Non è più il cielo quel vuoto lontano che appare tra le case, ma il peso della pietra che strapiomba. Le strade nere o piene di fragore, dove la folla è forza che sommerge, si aprono come abissi. Io mai comprenderò che sia questa torsione d'ogni spirito, questa fatica folle, che ogni giorno riprende sui miei passi all'apparire delle case enormi e al ruggito confuso, all'impazzire di uomini e di luci nella notte. Mai lo comprenderò, se non forse sia il vano struggimento di sentirmi nel petto la stessa forza salda e irresistibile. Se questo è il desiderio mi son soltanto infranto, ho combattuto solo per piegarmi sopra il corpo distrutto. E sulla mia sconfitta contemplo uscire un gran combattimento, due forze sovrumane. Per le alte strade, all'ora del crepuscolo giù dal cielo infiammato, un vento che discende sulle luci già accese, e le tormenta e trasfigura coi vetri, colle pietre. Come raffiche in mare, su uno scoglio. [28 aprile 1929] II fango è nell'aria di pioggia come tra l'erba del fiume. Nella penembra le finestre velano le luci trepidanti d'umidità. Anche i camini delle fabbriche ne sono impregnati e sporchi. L'unico brivido puro è la freschezza del vento dalle bagnate lontananze. [9 marzo 1928] 1. fabbrica dei morti la chiamavano esposizione operaia a ustioni a esalazioni nocive a gran masse di acciaio fuso esposizione operaia a elevatissime temperature su otto ore solo due ne intasca l'operaio esposizione operaia a materiali proiettati relazioni umane per accelerare i tempi esposizione operaia a cadute a luci abbaglianti a corrente ad alta tensione quanti MINUTI-UOMO per morire? 2. e non si fermano MANI di aggredire ININTERROTTI che vuota le ore al CORPO nuda afferrano quadranti, visi: e non si fermano guardano GUARDANO occhi fissi : occhi mani sera giro del letto tutte le mie notti ma aridi orgasmi TUTTA la citta dai morti VIVI noi continuamente PROTESTE la folla cresce parla del MORTO la cabina detta TOMBA tagliano i tempi fabbrica come lager UCCISI 3. passeranno i mattini passeranno le angosce non sarà così sempre ritroverai qualcosa (Testo reperito in Internet: Cesare Pavese, Le poesie, Torino : Einaudi, 1998. http://www.cini.it/italiano/04attivita/laportasulretro/porta43.html) Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 5 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni Sergio Solmi Giovanni Giudici « Dal balcone » INVERNO A TORINO Letteratura e industria III. Per pochi mesi, nel cinquantotto. Avevo casa verso Mirafìori: mi dava la sveglia al mattino sotto le mie finestre l'assalto dei motori. In quell'inverno m'incontrò uno sguardo severo e cittadino: con vergogna scoprii ch'ero in ritardo, a capo chino - e nitide tutte le cose, nere le fabbriche, assenti i lamenti, le rondini, le rose... Ansioso ogni volta a spiarla, a sorprenderla, dall'auto, dal treno, dal pullmann, l'apparizione notturna, le elitre crudeli d'insetto gigante, picchiettate di luci multicolori, trasvolate da globi di fumo, irte di bandiere di fiamma della « Condor ». Ci vedo come un simbolo ambiguo di questa età convulsa: altri mi dica se indizio di sconfinato avvenire o di fine, di vita o di morte per l'uomo. Ma al solo insorgere improvviso sulla piana oscurata dei suoi incandescenti scheletri in travaglio, al pungermi le nari il suo tanfo di elettrica putredine, più vivace sobbalza il mio cuore che a vista di odorate colline, di beati specchi d'acqua tra boschi. Un emblema del paesaggio mio, del paesaggio che ha cominciato a crescere con me dentro i miei anni, in cui vivo, in cui muoio IV. Le guide turistiche non parlano dell'O ESSE ERRE di corso Peschiera: fra tante nere fabbriche la più nera, mi disse un vecchio riformista. «In altri modi si manda in galera chi è troppo comunista: l'Officina Speciale Ricambi è uno. Non si può visitare. Non insista». Giovanni Giudici, Prove del teatro, 1953-1988, Torino : Einaudi, 1989 (1962) Sergio Solmi, Poesie, Milano . Mondadori, 1978, pp. 87-88 Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 6 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni Luciano Cecchinel Da VIRTÙ VIZIOSE (2003) di Raffaele Crovi BLUES IX vecchio dell'acciaio È razionale ti chiedi, il rispetto del reale o la proiezione di uno schema mentale ? Per te, in ogni caso, è ragionevole quel che ti serve e, in quanto tale, è buono e utile anche se contro le regole. Attribuisci la razionalità, meccanica perfezione, alle macchine: all'uomo riservi il diritto di onorare il superfluo e ciò che è futile. (nell'afa di luglio) via, via dallo stridore della fucina di cicale ! poter sputare il frastuono dell'acciaio come bile in un giorno rovente come inferno... ma sopra lo stomaco il cuore acceso assordante altoforno ah, via dalle cicale in gran stridore, tornati da ogni suolo, sono gli andati compagni dell'acciaio che hanno preso a fondere, a colare su nelle fucine del ciclo scoperchiato dell'Ohio Raffaele Crovi, La vita sopravvissuta, Torino : Einaudi, 2007, p. 121 Luciano Cecchinel, Lungo la traccia, Torino : Einaudi, 2005, p.23 Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 7 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni Inediti Domenico Diaferia Luca Guglielminetti Le morti bianche PROPOSITI (CHEZ VAN GOGH) Le chiamano “morti bianche” quelle dei caduti sui campi di battaglia dei padroni (hanno ancora questo nome?) bell’eufemismo ad addolcire lo strazio della morte sorellastra non invitata alla festa di famiglia bianche come camicie linde nei lindi uffici della competizione e dello sfruttamento terracqueo degli schiavi nuovi bianche come le coscienze anonime riciclate e ripulite nelle banche insieme ai soldi sporchi bianche come i candidati candidi delegati in Parlamento castellani impotenti o conniventi, a difesa di chi? Ma rosso è il sangue di chi versa sulla terra indifferente, qualunque sia il colore della pelle Rossa è la rabbia di chi non ha più bandiere per marciare - era rossa una tempo, ricordi? - Elemosinando Erti bordeggiamo Vicoli dismessi e Vivi di rifiuti Per bonifica da oblio. Con lingua caprina A carponi in terra Scaviamo sub archeologie D’industrie pese Per individuare che? O non alternative, Ossa parentali Sotto dinosauri Di cemento verde rivestiti: Che il ponte d’Arles risorga Chetando quesiti d’ossimoro D’affrontare con perizia D’una sol’ vita! Prima dell’immersione Nell’eco artificiale D’una morte biancastra, Vorremmo intravedere Almeno ancora Vincent: Il fremito dei semi Intatti di lillà E girasoli gialli. [MARZO 2004 - GENNAIO 2008] Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 8 Poesia in Progress Kore Multimedia LA POESIA SOSPESA TRA LA CITTA’FABBRICA E LA FABBRICA DELLA CULTURA di Alessandro Novellini Letteratura e Industria Non sono molte le opere in prosa o in poesia che abbiano come tema o come sfondo il lavoro e la realtà industriale. Un tentativo interessante lo aveva fatto Elio Vittorini con la rivista Il Politecnico e, più tardi, nel 1961, con Il Menabò, edito da Einaudi, che ospitava una serie di racconti, poesie, saggi per lo più inediti aventi per tema Letteratura e Industria, i cui autori più significativi erano (cito dal n. 4 del Menabò): Ottiero Ottieri, con Taccuino industriale: esperienza diaristica in prosa di una realtà industriale in Lombardia. Altre opere di Ottieni, sempre sul tema, sono state: Tempi stretti, sulla Milano industriale del secondo dopoguerra e Donnarumma all’assalto, che narra la sua esperienza come dirigente del personale alla Olivetti di Pozzuoli, con la descrizione della prima calata al Sud delle industrie del Nord; Lamberto Pignotti con L’uomo di qualità (forse in riferimento letterario all’opera ben nota di Musil, L’uomo senza qualità): 31 composizioni poetiche di stile ermetico-realista (cito alcuni titoli: Gli interessi del capitale, Il supersfruttamento, La religione della tecnica, Il presente futuro) in cui l’organizzazione industriale è trattata in sottordine all’espressione letterario-esistenziale; Vittorio Sereni che, con Una visita in fabbrica, racconta con una lunga poesia prosastico-discorsiva la sua visita guidata allo stabilimento Pirelli-Bicocca di Milano; Luigi Davì, con Il capolavoro, un lungo racconto autobiografico (Davì è stato in gioventù operaio tornitore) sull’esecuzione del capolavoro di aggiustaggio in una grande fabbrica ci dà una descrizione realistica della situazione politica e sociologica dell’ambiente operaio torinese. Davì, edito da Einaudi, ha pubblicato anche altro racconti di carattere industriale, raccolti in 3 volumi: Gimkana Cross, L’aria che respiri, Il vello d’oro; Vittorini, sul n. 5 del Menabò, continuò il dibattito su letteratura e industria con interventi di G. Bragantin, Italo Calvino, Giansiro Ferrata, Marco Forti, Franco Fortini. Ma il dibattito si sfilacciò in seguito su questioni letterarie , con gli autori bene assestati nelle loro idee e nei loro corporativismi, cosicché tutto si esaurì presto in fumosità specialistiche e le buone intenzioni di Vittorini, che era un po’ un fuorilegge nel panorama letterario italiano, vennero presto ridimensionate. Arshile Edizioni Il mondo letterario ufficiale italiano era troppo impregnato di letteratura classica e umanistica per poter rivolgere ai rapporti fra Letteratura e Industria l’attenzione che meritavano. Chiaramente, questa non era cosa per loro. Dopo il tentativo, comunque meritorio, di Vittorini, la questione Letteratura e Industria venne rapidamente chiusa e i successivi Menabò (ne escono altri cinque) si occuparono di ricerche poetiche, di letteratura come storiografia o di sociologia nella letteratura. I letterati ritornarono ai loro prediletti giardini del Parnaso e i tornitori a fare il loro mestiere, certamente più utile. 2. Ci vorranno successivamente altri scrittori, come Giovanni Arpino, Primo Levi, Paolo Volponi, per mettere in auge con le loro opere i rapporti tra Letteratura e Industria. Arpino tentò con il romanzo Una nuvola d’ira, edito da Mondatori nel 1962, di darci un quadro della vita operaia torinese attraverso il dramma antico dell’amore-gelosia, con i personaggi emblematici, tutti operai, di Matteo, Angelo e Sperata,una Dona Flor di periferia con i suoi “due mariti”, che si esprimono in un linguaggio tecnico-popolare-gergale, immersi in un contesto politico-ideologico di sinistra, con la tragedia finale del suicidio dell’uomo più anziano, l’operaio Matteo, che si butta con la moto giù da una scarpata sulle colline delle Langhe. Primo Levi, da autore individualista fuori dagli ancoraggi letterari, chimico-industriale, come si definiva, secondo la sua prima e più importante professione, ci ha dato, con La chiave a stella, la storia di Tino Faussone, operaio artigiano di ceppo piemontese, libero e sicuro della propria esperienza e capacità di lavoro, che se ne va per il mondo ad eseguire montaggi di tralicci industriali. Faussone (e per lui Primo Levi) vede e sa riconoscere la realtà, il conflitto fra chi comanda e chi esegue, ma come un arcangelo operoso si innalza tra i suoi tubi metallici, fissa putrelle, serra dadi e bulloni, salda lamiere e longaroni, effettua giunzioni e collegamenti, prova e collauda valvole e tenute. Il suo linguaggio italo-anglopiemontese si fa capire grazie alla meticolosità e all’intelligenza dell’operatore anche nei Paesi più lontani Il libro di Levi, come scrive nella prefazione Corrado Stajano, è una sorta di odissea contemporanea e il protagonista è una specie di Ulisse che dall’India alla Russia, dall’Alaska all’Africa, gira con la sua chiave a stella ad alzare con i suoi tralicci un altro monumento, quello della moralità del lavoro. Paolo Volponi ci ha dato con il suo romanzo Memoriale, edito da Garzanti, ambientato tra le colline del Canavese, di carattere prettamente industriale moderno, un capolavoro anche letterario. Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 9 Poesia in Progress Kore Multimedia E’ la storia di Albino Saluggia, un operaio dell’Olivetti di Ivrea negli anni ’50-’60, al culmine del progresso industriale, che nella sua qualità di uomo subalterno, provato dalla guerra e dalla prigionia, incerto, disadattato ed estraneo all’ambiente in cui opera, rappresenta emblematicamente l’estraniamento della classe operaia privata di ogni potere decisionale, anche là dove le relazioni umane, come alla Olivetti, sembrano essere più democratiche. Ritornato dalla guerra e dalla prigionia in Germania e residente con la madre a Candia, sulle rive del lago, a pochi chilometri dalla grande fabbrica, viene assunto come operaio generico dopo un breve tirocinio, aspetta a lungo e invano l’aumento di qualifica e il passaggio di categoria, comincia a credere di avere intorno a sé solo nemici, si lascia andare a una crisi depressiva, partecipa agli scioperi contro lo sfruttamento, rimedia una sospensione dal lavoro e una lettera di licenziamento. Quindi ritorna a casa, al suo orto, per lasciarsi morire sulle colline intorno al lago. Ha capito che nessuno lo può aiutare. Volponi., come dirigente a Ivrea delle relazioni con il personale, conosceva bene la realtà industriale moderna, fatta di conflitti sociali e di sfruttamento, anche se mascherata dalle tecniche più sofisticate preparate dagli uffici Tempi e Metodi e volute dalla Direzione. Più tardi, nominato direttore della Fondazione Agnelli a Torino, cercò di far valere le sue idee progressiste e di promozione sociale di fronte alla legge del profitto instaurata dalla Fiat, idee bene espresse nella sua raccolta poetica Con testo a fronte, che non collimavano evidentemente con quelle della Direzione della Fiat e della Fondazione, da cui fu allontanato senza troppi riguardi. Nella poesia La deviazione operaia, tratta dall’opera Testo a fronte, Volponi bene definisce il concetto di “d minuscola” intesa come deviazione dalla norma e come forma di resistenza operaia allo sfruttamento scientifico del lavoro: 3. … d compare sempre a lato tremante su tutti i dati richiesti come indice della deviazione operaia dalla norma e dai testi; d deviazione involontaria, fatica, disattenzione e d deviazione volontaria: espedienti, pretesti di conflitto, opposizione … In fabbrica si definiscono, si incasellano, si schedano e poi si ammoniscono e infine si licenziano gli elementi operai K1, K2, K3, ciascuno con le sue peculiarità. … Non sia mai che un K3 abbia la libertà di circolare fra molti operai … Volponi ha creato le sue poesie sulla fabbrica traendole principalmente come ispirazione dall’opera dello psicologo Cesare Musatti Ricerche sui temi Arshile Edizioni dell’organizzazione del lavoro – Studio sui tempi di cottimo di un’azienda metalmeccanica, frutto di una ricerca condotta alla Olivetti per conto dell’Azienda. Il capitolo II del lavoro di Musatti parla di tempo minimo e tempo medio, mentre il capitolo III accenna alla deviazione (d) e al coefficiente di correzione del tempo minimo. Il capitolo VI parla della determinazione del TC (tempo di cottimo) e del sistema salariale. Musatti ha cura di affermare in una nota che la sua ricerca si è svolta nell’estate del ’43, durante la guerra, nel momento in cui le condizioni generali del Paese stavano diventando particolarmente critiche. Per tale motivo il progetto, presentato alla Direzione generale dell’Ufficio Tempi e Metodi per una riduzione del numero delle ore lavorative, congiunta a un ritocco della curva dei cottimi elevante la percentuale remunerativa, non ebbe possibilità di successo. Più tardi, alla Olivetti, la retribuzione aumentò progressivamente con l’aumento del numero di macchine da scrivere che uscivano dalla linea. La consuetudine comportava il raggiungimento del 96% della produzione. La Commissione interna ottenne un più forte incremento del premio di uniformità per i punti di cottimo a partire dal 92%. Con Volponi si entra nel vivo e in modo coinvolgente nei rapporti tra Letteratura e Industria, abbandonando sofisticazioni letterarie e paraventi di comodo. Il suo esempio di partecipazione civile e politica (fu eletto come senatore per il Collegio di Macerata nelle file del PCI) ci fa capire quanto siano vicini letteratura e impegno sociale, senza afflati retorici, ma puntando sul reale espresso in forma poetica. Esempi di letteratura relativi all’industria sono i reportages diretti degli operai della Fiat esiliati da Valletta alla O.S.R. di Torino (Officina Sussidiaria Ricambi), diventata poi nel linguaggio corrente torinese Officina Stella Rossa, raccolti nel volume Fiat Confino, a cura di Aris Accornero, edizioni Avanti 1959, che hanno dato un valido contributo alla conoscenza della condizione operaia in Italia, dando origine più tardi al documento legislativo conosciuto come lo Statuto dei Lavoratori. Un’altra voce che si può allineare a pieno diritto nei rapporti tra letteratura e industria, non fosse altro che per le posizioni rivestite nella società torinese, è quella di Walter Mandelli, dapprima dirigente del PCI, poi segretario della Federmeccanica, che ha pubblicato il libro Ricordi di fonderia, edito da Marsilio. E’ un libro autobiografico interessante e che bene rispecchia, per l’ambigua personalità del protagonista, la vita operaia torinese negli anni del secondo dopoguerra. 4. Fa parte integrante del libro una memoria biografica scritta da Mandelli su suo padre Giovanni, dirigente Fiom negli anni del primo dopoguerra, e poi imprenditore in proprio, che considero una Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 10 Poesia in Progress Kore Multimedia Arshile Edizioni delle più valide descrizioni del trapasso dal mondo contadino del nord Italia alla società imprenditoriale moderna. Dopo Volponi, non vedo altri autori italiani di valore impegnati particolarmente nel rapporto letteratura e industria. Si può citare Aldo Busi con il suo romanzo Diario di un venditore di collants, un quadro ironico e veritiero del miracolo industriale nel nord-est d’Italia, vero paradigma dell’attuale società italiana, arrivista e senza scrupoli. Ultimo, ma non minore, il romanzo allegorico di Oddone Camerana Il Centenario (si riferisce al Centenario della fondazione della Fiat – 1899-1999), edito da Baldini e Castoldi che narra, come dice la fascetta, una vicenda ambientata tra le macerie del capitalismo, grottesca e corrosiva, nel linguaggio stereotipato dei managers, che raggiunge effetti esilaranti degni di Carlo Emilio Gadda. Come esempio di rapporto tra industria e letteratura citerei ancora il libro dell’ing. Giorgio Garuzzo, Fiat, i segreti di un’epoca - edito da Fazi Editore, con la prefazione di Alain Friedman, giornalista dell’Economist, che ci dà uno spaccato della storia della Fiat dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90, vista da uno dei protagonisti. L’ing. Garuzzo, ricordiamolo, è stato per un certo tempo il numero 4 della dirigenza della Fiat. E amerei ricordare, con riferimento alla letteratura in lingua piemontese, un poeta-operaio, Luigi Valsoano, nato a Pont Canavese nel 1862 e morto a Torino nel 1906, di professione meccanico. Egli ci ha lasciato una piccola raccolta di rime piemontesi intitolata Fior del pavé. L’autore lavorò in Piemonte e poi emigrò in cerca di lavoro in Svizzera a La-Chaux-de-Fonds e poi a Liegi. Una delle sue poesie, pubblicate alla fine dell’800 sulla rivista Birichin, dal titolo Ij ciminieje (Le ciminiere), che ricorda i primi scioperi nelle industrie tessili, è diventata una famosa canzone cantata nei cori dei circoli operai: Guarda giù, an cola pianura, ij cimineje fan pa pì fum ij padron dla gran paura as fan goerné da coj die lum. * * coj die lum: così erano chiamati i carabinieri per il cappello a tricorno che ricordava un abatjour. Circolo dei lettori: incontro del 24 gennaio 2008 11 Il sarto dimenticato Era nato in campagna, a novembre, in un paese della Bassa Langa e la sua mamma, che non poteva permetterselo, oltre ai cinque che già aveva, dopo due anni di sofferenze lo affidò alla sorella che viveva in città e faceva la modista. Viveva questa in una camera che si affacciava su un balcone da cui poteva contemplare il fiume e il gazometro. Il balcone era il punto di incontro e di passaggio perché al fondo di esso, dentro una specie di scatola di legno con le persiane sul cortile ci stava il comodo. Sul balcone non si poteva giocare perché si dava fastidio e allora ben presto ci fu il cortile e la strada. E a poco a poco la strada divenne la sua vera casa. Senza un’idea di cosa fosse una famiglia, e intorno a quella strada che costeggiava il fiume, Giovanni passò tutti gli anni della sua fanciullezza sognando una grande vita di fronte a sé, ma intorno c’era solo e sempre un denso odore di cavoli che impregnava come una nebbia feltri e chiffon, e per terra c’erano sempre spilli e fili imbrogliati. E proprio questi fili diventarono il suo modello di vita da cui voleva sbrogliarsi. E sentiva sempre più orrore per quel lavoro che la zia vedeva come un ideale. Un giorno la zia incontrò don Mario, che ogni tanto passava per quei cortili ed ebbe l’offerta di accogliere Giovanni nella scuola per sarti che avevano appena aperto nel nuovo capannone della basse. − Non si tratta di pregare e neppure di diventare prete, vedrai che avrai tempo di giocare al pallone, con tanti amici. – Ma Giovanni si vergognava di diventare anche lui un operaio del ditale e non accettò. E continuò a sognare, a correre sul balcone e ad azzuffarsi con gli amici. Ma la zia un giorno si innamorò di unn carabiniere e lo seguì fino in Sicilia, senza neppure sposarlo. Giovanni restò solo. A casa non poteva tornare e lo prese una vita rude di strada e di portoni, finché fu estate. In autunno, con i primi freddi riuscì a trovare un letto caldo da Clotilde ma fu per poco perché anche quello presto fu occupato. Gli parve così che gli anni gli sfuggissero di mano e in giorno, imbattutosi in don Mario, si vide costretto ad accettare l’umiliazione di quella scuola professionale che aveva come unico pregio la partita di pallone al sabato pomeriggio, dopo il catechismo e prima dei vespri. Ago e filo tra i denti, un grembiule grigio rimboccato alla vita, le ciabatte a terra vicino allo sgabello. Giovanni e i suoi compagni lavoravano seduti, grignà, su dei tavoloni che li sollevavano dall’umido pavimento, di un mezzo metro. Senza sedie, senza deschetto. Nei primi mesi, poiché imparava anche un po’ a scrivere e a far di conto, pensò di contare il numero di punti che faceva e sfidava se stesso giorno dopo giorno a superarsi, in quantità e in bravura. E vinceva sempre se stesso e gli altri trovando nel lavoro quella felicità che aveva assaggiato soltanto affondando la testa tra le lenzuola e i seni caldi e morbidi di Clotilde. Il diploma sarebbe arrivato a giugno e poi ci sarebbe stato il punto di domanda di che cosa fare, di come strappare al suo futuro un po’ di speranza. Ma era impotente e sembrava un rottame dimenticato nella secca di un fiume. Già si sentivano i rumori di guerra, già i preti che erano anche maestri avevano incominciato a far cucire bandiere tricolori e coccarde. Ed era spossato da quella infatuazione di amore di patria. La guerra scoppiò troppo presto e Giovanni era troppo giovane per essere chiamato. Fu così che venne costretto ad entrare come operaio nell’Opificio, nel borgo del fumo. Là si cucivano le divise dei soldati… (Frammento ritrovato tra le carte consegnate da Cesare Pavese a Francesco Barone assieme ai programmi di Italiano presso l’Istituto Margara di Torino, dove entrambi insegnarono per qualche tempo, nella seconda metà degli anni ’40.)