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11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
CARATTERISTICHE DIFFERENZIALI DEL DIABETE TIPO 1 E TIPO 2 ALLA DIAGNOSI
TIPO 1
TIPO 2
• Sintomatologia
Importante
Spesso assente
• Chetosi
Presente
Assente
• Peso
Normo/sottopeso
Obesità o sovrappeso
• Età d’esordio (anni)
< 35
> 35
• Comparsa delle complicanze croniche
Parecchi anni dopo l’esordio
Spesso presenti alla diagnosi
• Prevalenza
0,6%
3 - 7%
• Familiarità
Presente
Importante
• Livelli di insulina
Assenti o ridotti
Normali o aumentati
• Sistema HLA
Correlato
Non correlato
• Autoimmunità
Presente
Assente
• Terapia
Insulina
Dieta, ipoglicemizzanti orali, insulina
ALGORITMO DIAGNOSTICO
1.
Sintomi di diabete (poliura, polidipsia, perdita di peso)
➞
Controllo casuale della glicemia (vedi oltre per gli equivalenti capillare/veneso)
se ≥ 200 mg/dl
➞
“Diabete”
se ≥ 100 mg/dl procedere al passo 2
2.
Glicemia a digiuno o casuale
➞
Controllo glicemia a digiuno da plasma venoso
se ≥ 126 mg/dl, ripetere e se confermata
➞
“Diabete”
se ≥ 110 mg/dl fare OGTT
se > 90 mg/dl, considerare controllo annuale dei fattori di rischio cardiovascolare, inclusa la glicemia (se soggetto di
età superiore a 45 aa, o < 45 se soggetto ad alto rischio)
Curva da carico di glucosio (OGTT) da plasma venoso (75 g glucosio in 200 cc acqua):
se 2h ≥ 200 mg/dl
➞
“Diabete”
se 2h < 200 mg/dl e ≥ 140 mg/dl
➞
“IGT”
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11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
PROPOSTA DI GESTIONE DEL PAZIENTE CON IGT O IFG
GLICEMIA A DIGIUNO
≥ 110
GLICEMIA ALLA 2ª ORA
DOPO OGTT
< 126
< 200
≥ 140
IFG
IGT
ALTERATA GLICEMIA
RIDOTTA TOLLERANZA
A DIGIUNO
GLUCIDICA
LABORATORIO 1ª VALUTAZIONE
CLASSIFICARE IL RISCHIO CV
COME PER DIABETE
GLOBALE COME PER IL DIABETE
CORREZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO CV
SPECIE:
FUMO
OBESITA’
SEDENTARIETA’
IPERTENSIONE
DISLIPIDEMIA
RACCOMANDAZIONI PER PAZIENTI CON IGT
I soggetti con alterata glicemia a digiuno (glicemia tra 110 e 125 mg./dl.) devono essere seguiti con particolare attenzione per
l’aumentato rischio di sviluppare diabete e cardiopatia ischemica.
Se il dubbio di diabete è elevato per familiarità, obesità, ecc., potrebbe essere indicata l’esecuzione della curva da carico di glucosio.
Considerato il basso costo e la facilità di eseguire la glicemia a digiuno, questa è raccomandata:
a) in tutti i soggetti all’età di 45 anni (se normale ogni 3 anni);
b) indipendentemente dall’età nei soggetti:
1) obesi o sovrappeso con BMI superiore a 25;
2) parenti di primo grado di un paziente diabetico;
3) donne con pregressa diagnosi di diabete gestazionale (GDM) o che hanno partorito un neonato di peso ≥ 4 kg.;
4) dislipidemia (HDL col. ≤ 35 mg./dl. e/o trigliceridi ≥ 250 mg./dl.;
5) precedente glicemia su plasma a digiuno alterata (IFG) o glicemia alla 2ª ora del carico alterata (IGT).
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PROPOSTA DI GESTIONE GLOBALE DEL PAZIENTE DIABETICO TIPO 2
1ª DIAGNOSI
DIABETE
MELLITO
GLICEMIA
A DIGIUNO
CONFERMATA ≥ 126
ANAMNESI
DI PATOLOGIE
CONCOMITANTI
DATI CLINICI
PESO-BMI
PRESS. ART.
Circonf. addome
LABORATORIO - 1ª VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
DEL RISCHIO CV.
E DANNO D’ORGANO
GLICEMIA A DIGIUNO
GLICEMIA POST. PRANDIUM (2 h)
GOT - GPT - URICEMIA
TRIGLICERIDI - GGT
COLEST. TOT - HDL - LDL
ESAME URINE
EMOCROMO COMPLETO
CREATININA
SODIO - POTASSIO
HbA1 C
MICROALBUMINURIA
DIABETE ED IPERTENSIONE
FATTORI DI RISCHIO
UOMO > 55
DONNA > 65
FUMO
DISLIPIDEMIA
OBESITA’ ADDOM.
FAMILIARITA’
TERAPIA DELL’IPERTENSIONE PER OTTENERE VALORI
DESIDERABILI ≤ 130-80
ACE - INIBITORI O SARTANI *
1° STADIO
+
2° STADIO
CA - ANTAGONISTA O ALFALITICI
3° STADIO
+
ALFALITICI E/O DIURETICI A BASSE DOSI SE GLI ELETTROLITI LO RICHIEDONO E LO CONSENTONO
VALUTAZIONE CARDIOLOGICA
E DEI FATTORI DI RISCHIO
➢
➢
E.C.G. - ECOCARDIOGRAFIA (IVS)
➢
FUNDUS OCULI
ECOCOLORDOPPLER TSA (ISPESS. MEDIO-INTIMA E PLACCHE)
{
MICROANGIOPATIA DIABETICA
RETINOPATIA IPERTENSIVA
* I sartani debbono essere utilizzati in caso di albuminuria e iniziale incremento della creatininemia > 1,5 - < 2,5
FINO A VALORI DESIDERABILI DI:
DIABETE E DISLIPIDEMIA
➢
➢
➢
COLESTEROLO LDL < 100
TRIGLICERIDI < 200
COLESTEROLO HDL > 45
La correzione farmacologica con statine è giustificata dal fatto che il rischio cardiovascolare globale nei diabetici è uguale a quello del
paziente non diabetico che ha già fatto un primo evento Cv maggiore.
E’ da valutare l’uso empirico di aspirina (75-160 mg.) per correggere le alterazioni emoreologiche.
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GESTIONE DELLA TERAPIA DEL DIABETE TIPO 2°
TERAPIA DIETETICA
1° STADIO
DIETA IPOCALORICA BILANCIATA
SE PAZIENTE SOVRAPPESO
DIETA NORMOCALORICA BILANCIATA SE PAZIENTE
NORMOPESO O SOTTOPESO
LA TERAPIA DIETETICA E’ IL CARDINE PRINCIPALE DELLA TERAPIA DEL DIABETE
E VA INIZIATA FIN DAL MOMENTO DELLA DIAGNOSI
+
TERAPIA DIETETICA
2° STADIO
ANTIDIABETICI ORALI
Repaglinide (iperglicemia post-prandiale)
Sulfaniluree (iperglicemia post-prandiale)
PAZIENTE SOVRAPPESO
PAZIENTE NORMOPESO
O SOTTOPESO
1°
METFORMINA fino a 2,5 gr/die
1°
SULFANILUREE O REPAGLINIDE
2°
METFORMINA fino a 2,5 gr/die
+
SULFANILUREA O REPAGLINIDE
2°
METFORMINA + SULFANILUREE
oppure
METFORMINA + REPAGLINIDE
3° STADIO
DIETA
4° STADIO
DIETA
+
+
OBBLIGATORIA IN
CARDIACO
TERAPIA COMBINATA ANTIDIABETICI
ORALI + INSULINA
TERAPIA INSULINICA DA SOLA
DIABETE TIPO 1
GRAVIDANZA
GRAVE STATO TOSSINFETTIVO
GRAVE SCOMPENSO
INSUFFICIENZA EPATICA O RENALE
GRAVE INSUFFICIENZA RESPIRATORIA
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INIZIARE CON 0,3 U/KG/DIE IN 3 O 4 SOMMINISTRAZIONI SECONDO LO SCHEMA
{
COLAZIONE - RAPIDA
PRANZO - RAPIDA
CENA - RAPIDA
oppure
{
COLAZIONE - RAPIDA
PRANZO - RAPIDA
CENA - PREMISCELATA
ORE 23 - INTERMEDIA
|
|
|
30/70
40/60
50/50
L’UTILIZZO DELLE PREMISCELATE A CENA E’ DA RISERVARE SOLTANTO A PAZIENTI ANZIANI NON ASSISTITI DAI FAMILIARI
O CON SCARSA COMPLIANCE ALLA TERAPIA INSULINICA
AUMENTARE I DOSAGGI OGNI 3-4 GIORNI DI 2 U. SECONDO I RISCONTRI GLICEMICI.
Il passaggio da uno stadio terapeutico al successivo è giustificato dal mancato raggiungimento di un compenso glicemico soddisfacente
entro 1-2 mesi.
Il nuovo schema va iniziato con la dose minima ritenuta capace di ridurre la glicemia, la posologia va aumentata progressivamente ad
intervalli di circa 1 mese fino al raggiungimento del dosaggio massimo, salvo dover poi passare al livello terapeutico successivo.
LA TERAPIA DEL DIABETE MELLITO
Il trattamento del diabete mellito è basato su:
— dieta;
— attività fisica;
— terapia farmacologica;
— educazione del paziente alla gestione della malattia.
DIETA
Le raccomandazioni dietetiche per i pazienti affetti da diabete
mellito di tipo 1 non differiscono molto da quelle riguardanti la popolazione generale.
I consigli dietetici devono essere impostati su misura per ciascun singolo paziente.
In generale si consiglia una dieta a basso contenuto di grassi,
ricca di carboidrati complessi, di fibre e con scarso contenuto di sale.
Nel trattamento del paziente con diabete di tipo 2, specie se
in sovrappeso o obeso, la restrizione calorica è fondamentale. Limitare le calorie ed evitare l’assunzione di cibi e bevande dolci permette fin dall’inizio un miglioramento dei sintomi ed una riduzione
dei valori glicemici.
L’obiettivo è comunque la riduzione del peso corporeo!
Occorrono perciò consigli dietetici più dettagliati per impostare
una strategia a lungo termine.
In una dieta equilibrata le calorie introdotte giornalmente devono essere cosi suddivise:
— carboidrati 55-60%;
— lipidi
27-30%, con preferenza per i grassi mono e polinsaturi (preferibilmente olio di oliva);
— proteine
15% (0,6-0,8 g./kg.);
— fibre
25-40 g./die;
— colesterolo < 300 mg./die.
Modiche quantità di vino possono essere consigliate ai pasti
purché considerate nel computo delle calorie totali (100 gr. di vino
a 10° forniscono 70 calorie circa).
Le calorie totali devono essere distribuite in:
— colazione;
— pranzo;
— cena;
— + due o tre spuntini giornalieri soprattutto nel diabetico di
tipo 1 (non necessari se utilizzati analoghi ad azione rapida).
ATTIVITA’ FISICA
L’esercizio fisico giornaliero:
— favorisce un miglior utilizzo del glucosio riducendo la resistenza all’insulina un aumento dei recettori alla stessa;
— riduce il tessuto adiposo soprattutto viscerale;
— migliora il quadro lipidico;
— riduce il fibrinogeno;
— migliora la performance cardio-respiratoria e quindi l’ossigenazione tissutale.
E’ raccomandata l’attività fisica aerobica purché costante (passeggiata, cyclette, nuoto ecc.).
EDUCAZIONE DEL PAZIENTE
Nessun paziente diabetico può essere trattato con successo se
non conosce gli aspetti fondamentali della propria malattia (sapere)
e non impara a gestirla (saper fare).
In particolare il paziente deve essere educato a:
1) conoscere le basi della propria dieta e gli obiettivi che essa
pone imparando, nei limiti che il grado culturale impone, a gestirla;
2) saper controllare a domicilio la propria glicemia secondo
schemi concordati e personalizzati, se necessario;
3) saper riconoscere i segni di ipoglicemia ed attuare le dovute contromisure;
4) saper auto-somministrare l’insulina;
5) aver cura dei propri piedi e denti.
TERAPIA FARMACOLOGICA
Mentre dieta, attività fisica ed educazione del paziente sono
capisaldi terapeutici comuni a tutte le forme di diabete mellito, la
terapia farmacologica differisce fra il diabete mellito di tipo 1 e
tipo 2.
Il diabete mellito di tipo 1, essendo legato a ridotta o assente
produzione di insulina, riconosce nella terapia insulinica l’unico
presidio terapeutico-farmacologico utile.
Il diabete di tipo 2, avendo meccanismi patogenetici diversi, si
avvale dell’uso di farmaci antidiabetici orali in monoterapia o in
combinazione fra loro.
Tuttavia anche il paziente con diabete di tipo 2 può avere necessità di essere sottoposto a terapia insulinica, ciò avviene per:
a) il sopraggiungere di complicanze o di patologie per le
quali la terapia con antidiabetici orali sia controindicata;
b) in caso di fallimento secondario alla terapia con antidiabetici orali.
In quest’ultimo caso può essere indicata pure una terapia combinata fra insulina ed antidiabetici orali.
TERAPIA DEL DIABETE TIPO 2
Gli obiettivi della terapia antidiabetica sono essenzialmente due:
1) la prevenzione e la cura della complicanza acuta (iperglicemia) e delle complicanze croniche (macro-microangiopatia, neuropatia);
2) il mantenimento ed il miglioramento della qualità della vita.
Controllo migliore = meno complicanze.
Quando dieta ed attività fisica non riescono ad ottenere un
compenso glico-metabolico adeguato si ricorre alla terapia farmacologica basata sull’uso di antidiabetici orali e insulina.
Gli antidiabetici orali si possono dividere in tre grandi classi:
— insulino-sensibilizzanti (metformina e glitazoni);
— secretagoghi (sulfaniluree e glinidi);
— modificatori dell’assorbimento intestinale (inibitori alfa glicosidasi intestinale).
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1) Insulino-sensibilizzanti
A) Metformina
Fa parte del gruppo delle biguanidi cui appartiene anche la
fenformina ancora presente in Italia in combinazione con glibenclamide o clorpropamide (si sottolinea a proposito di questa combinazione il rischio di acidosi lattica da fenformina).
I principali meccanismi d’azione della metformina sono:
— ridotta produzione epatica di glucosio;
— aumento dell’utilizzazione muscolare di glucosio;
— ridotto assorbimento intestinale di glucosio;
— inibizione della lipolisi a livello del tessuto adiposo.
Essa è un farmaco antiiperglicemizzante e non ipoglicemizzante
per questo è assolutamente trascurabile l’incidenza di ipoglicemia.
La metformina può essere utilizzata anche in associazione principalmente con le sulfoniluree ottenendo un sinergismo di azione.
L’utilizzo in associazione all’insulina ha dimostrato di poter migliorare il compenso in diabetici di tipo 2 in scarso controllo metabolico. Trova particolare impiego in diabetici obesi o in sovrappeso.
Si usa in dosi da 500-850-1.000 mg. per 2-3 volte al giorno ai
pasti. Può provocare diarrea, nausea e, in casi eccezionali, acidosi
lattica.
E’ controindicata nei casi di:
— ridotta funzionalità renale: creatinina > 1,5-2 mg./dl. o in
caso di clearance creatininica ridotta;
— nell’insufficienza epatica (transaminasi > 2 DS);
— nello scompenso cardiaco congestizio classe III e IV NYHA;
— nell’insufficienza respiratoria;
— al di sopra dei 75 anni a meno non sia documentata una
normale funzione renale (clearance creatininica > 60 ml./dl.);
— gravidanza ed allattamento.
La sua somministrazione dovrebbe essere interrotta temporaneamente in pazienti che devono essere sottoposti ad indagini radiografiche con uso di mezzo di contrasto.
B) Glitazoni
Sono il pioglitazone e il rosiglitazone. Anche questi farmaci,
come la metformina, diminuiscono l’insulino-resistenza aumentando quindi l’utilizzazione di glucosio con effetti antiiperglicemizzanti e scarsa incidenza d’ipoglicemia.
(*) Dall’1 luglio 2005 il pioglitazone e il rosiglitazone sono stati
trasferiti in fascia A su decreto AIFA e dispensati, su piano terapeutico di specialisti di strutture pubbliche e private accreditate individuate dalla Regione, dalle farmacie delle strutture pubbliche e
dalle farmacie private.
2) Secretagoghi
A) Sulfaniluree
Questa classe di farmaci comprende una serie di sostanze, alcune dette di prima generazione, come la clorpropamide (ormai in
disuso) ed altre, dette di seconda generazione, fra cui annoveriamo:
— glibenclamide, a lunga durata di azione (fino a 24 ore);
— gliclazide, ad azione di media durata;
— gliquidone, a breve emivita (5-7 ore);
— glimepiride, va usata in mono-somministrazione.
L’ipoglicemia è l’effetto collaterale più importante delle sulfaniluree poiché esse agiscono stimolando direttamente le cellule beta
a secernere insulina, indipendentemente dalla glicemia.
Gli episodi ipoglicemici sono tanto più probabili quanto più è
lunga la durata d’azione del farmaco e quanto più ci si avvicina
alla dose terapeutica ottimale.
Per ridurre il rischio, specie nei soggetti anziani e con patologia renale, è sempre opportuno iniziare con dosi relativamente basse
aggiustando la posologia ogni 4-7 giorni dopo profilo glicemico. In
tali soggetti sarebbe sempre opportuno utilizzare molecole ad emivita breve e media.
B) Glinidi
Appartengono a questa classe di farmaci la repaglinide e la nateglinide (non disponibile in Italia).
La repaglinide, disponibile in compresse da 0,5, 1 e 2 mg., ha
meccanismo d’azione simile alle sulfoniluree ma si caratterizza per
un’azione rapida e intensa che permette un migliore controllo dell’iperglicemia post-prandiale, riducendo i casi di ipoglicemia tardiva
(quella che insorge fra 3 e 5 ore dopo il pasto).
Il farmaco è controindicato nell’insufficienza epatica, perché la
sua molecola viene metabolizzata esclusivamente a livello epatico
ed escreta con la bile. E’ indicato nei pazienti con insufficienza re-
nale lieve (creatininemia < 2 mg.) mentre va usato con cautela nell’insufficienza renale avanzata (creatininemia > 2 mg.).
3) Modificatori dell’assorbimento del glucosio
Il farmaco in uso è l’acarbosio che, inibendo l’alfa-glicosidasi
intestinale, impedisce l’assorbimento di una parte degli zuccheri
complessi introdotti con la dieta (amidi, destrine, saccarosio).
Questo meccanismo si dimostra utile nel ridurre il picco iperglicemico post-prandiale. Lo stesso meccanismo è però chiaramente
causa dei più comuni effetti indesiderati del farmaco (flatulenza,
diarrea, tensione addominale). Il farmaco può essere associato con
tutti gli altri farmaci antidiabetici. E’ controindicato nei pazienti
con diverticolosi o di età superiore ai 75 anni. Non è a carico del
servizio sanitario nazionale.
In atto non esistono comunque forti evidenze riguardo l’opportunità di impiego.
MODALITA’ DI IMPIEGO DEGLI IPOGLICEMIZZANTI ORALI
La scelta della categoria di farmaci ipoglicemizzanti orali, insulino-stimolanti o insulino-sensibilizzanti, è basata sulle caratteristiche del paziente. Nei soggetti in sovrappeso o obesi, in cui prevale l’insulinoresistenza, è preferibile iniziare il trattamento con la
metformina per la sua capacità di migliorare la sensibilità insulinica. Nei soggetti magri o leggermente in soprappeso, dov’è prevedibile che il diabete sia sostenuto principalmente da una insulinodeficienza, è indicato l’impiego di un farmaco insulino-stimolante
come una sulfanilurea o una glinide (anche in questo secondo
gruppo di pazienti è possibile derivare informazioni sulla entità dell’insulinoresistenza e del deficit di insulinosecrezione, sulla base
della conoscenza dei rilievi glicemici pre e post prandiali: se elevati quelli a digiuno = prevalente insulinoresistenza, se elevati quelli
post prandiali = prevalente deficit insulino secretivo).
E’ buona regola continuare il trattamento in monoterapia, con
il farmaco scelto, il più a lungo possibile, finché il controllo metabolico si mantiene negli obiettivi desiderati. Nella storia naturale
del diabete di tipo 2 si assiste nel tempo ad un graduale peggioramento dell’equilibrio metabolico, dovuto soprattutto ad una riduzione della capacità secretoria delle cellule beta insulari. Di conseguenza si rende necessaria l’associazione con altri farmaci dotati di
meccanismi d’azione differenti. In tal modo un composto insulinostimolante (sulfaniluree o glinide) verrà associato ad un composto
insulino-sensibilizzante (metformina) e viceversa. In caso di resistenza notevole all’azione dell’insulina endogena è possibile l’associazione di un glitazonico. In ultimo, quando con questi schemi
non si riesce ad ottenere un buon controllo glicemico, rimane il
passaggio alla terapia insulinica.
TERAPIA INSULINICA
La terapia insulinica è quella specifica ed unica nel diabete
mellito tipo 1, definito proprio per tale motivo nel passato insulinodipendente.
Nel D.M. tipo 1 essa ha due scopi principali:
— il più immediato di salvavita;
— la prevenzione della comparsa o del rallentamento della progressione delle complicanze microngiopatiche.
A tal proposito è stato documentato con vari studi, tra cui in
particolare il DCCT (diabetes control and complications trial), come
la terapia insulinica intensiva (4 somministrazioni al giorno) delle
complicanze microvascolari (nefropatia, retinopatia, neuropatia
etc.), sia in grado di far raggiungere valori glicemici ottimali, tali
da garantire un’efficace prevenzione, sia primaria, sia secondaria.
Nel D.M. tipo 2 la terapia insulinica si rende necessaria quando
una dieta appropriata, associata alla somministrazione di antidiabetici orali, si è dimostrata insufficiente ad ottenere un adeguato
controllo glico-metabolico, probabilmente a causa del progressivo
deficit delle beta-cellule. Per questo tipo di pazienti, il passaggio
alla terapia sostitutiva non deve prescindere dall’osservanza della
dieta, perché altrimenti si otterrà un notevole guadagno di peso, e
un progressivo aumento delle dosi di insulina richieste.
In alcuni casi è possibile per i diabetici tipo 2 trattati con insulina tornare alla terapia orale.
Indicazioni alla terapia insulinica:
— diabete mellito tipo 1;
— gravidanza;
— gravi stati tossinfettivi;
— fallimento agli antidiabetici orali;
— grave scompenso cardiaco;
— insufficienza epatica;
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— insufficienza renale grave;
— grave insufficienza respiratoria;
— pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico in anestesia
totale.
AVVERTENZE
Non sospendere mai la terapia insulinica, ma adeguarla alle diverse situazioni (stati febbrili, digiuno, vomito, etc.).
A seconda della loro durata d’azione le insuline si dividono in:
1) analoghi dell’insulina ad azione rapida (veloce);
2) analoghi ad azione lenta (glargine e detemir);
3) insulina regolare o pronta;
4) insulina intermedia;
5) insulina ad azione prolungata.
1) Analoghi dell’insulina ad azione rapida
Sono presenti sul mercato:
— lispro - (humalog nome commerciale);
— aspart - (novorapid nome commerciale).
Ottenuti grazie alla modifica della sequenza naturale di aminoacidi della catena beta dell’insulina, questi mostrano:
— estrema rapidità d’assorbimento nel tessuto sottocutaneo
(picco massimo 1 ora);
— capacità di riprodurre un picco insulinico più fisiologico;
— veloce biodisponibilità;
— durata di azione 5-6 ore.
Il principale vantaggio di queste insuline consiste in un miglioramento dello stile di vita del paziente in rapporto all’alimentazione, in quanto esse possono essere iniettate immediatamente
prima o subito dopo i pasti; ne risulta, altresì, una marcata riduzione di ipoglicemie gravi.
2) Analoghi ad azione lenta (*)
Unica insulina in commercio in Italia è la lantus (insulina glargine) con un profilo farmacocinetico di tipo piatto, inizio di azione
dopo 4 ore dalla somministrazione e durata di azione intorno alle
24 ore. Indicata per il mantenimento di livelli insulinemici basali
stabili, sia nel diabete tipo 1 e nel diabete di tipo 2 dopo la evidenziata assenza di insulino secrezione endogena.
(*) Dall’1 luglio l’insulina lantus è stata trasferita in fascia A
su determinazione AIFA e dispensata, su diagnosi e piano terapeutico di specialisti di strutture pubbliche e private accreditate individuate dalla Regione, dalle farmacie delle strutture pubbliche e
dalle farmacie private.
3) Insulina ad azione regolare
— actrapid HM;
— humulin R.
Comincia ad agire 30-60 minuti dopo la sua somministrazione
sottocutanea, picco massimo alla 2ª ora con plateau nelle 4-6 ore
successive all’iniezione. Durata di azione 6-8 ore.
4) Insulina ad azione intermedia
— humulin I;
— monotard;
— protaphane.
Comincia ad agire dopo due ore, massima azione tra la quarta
e la quattordicesima ora, termina d’agire dopo 22 ore.
5) Insulina ad azione lenta e ultralenta
— humulin L;
— humulin U;
— ultratard HM.
Terminano la loro azione dopo 24 ore (fino a 32 ore per la U).
6) Insuline premiscelate
— 10/90;
— 20/80;
— 30/70;
— 40/60;
— 50/50.
Costituite da quantità predefinite nelle opportune proporzioni
di insulina ad azione regolare e di insulina ad azione intermedia.
Esiste già sul mercato la forma premiscelata della lispro
(25/75) nome commerciale humalog mix 25/75.
COMPLICANZE DELLA TERAPIA INSULINICA
In rapporto ai grandi benefici del trattamento insulinico, le sue
complicanze sono di relativa scarsa importanza. Col tempo la mag-
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gior parte di pazienti si abitua al regime terapeutico, anche se multiplo; d’altra parte, l’incidenza delle complicazioni cutanee (allergia)
e sottocutanee (lipo-distrofie) è oggi enormemente diminuita con
l’utilizzo delle insuline nuove purificate.
L’ipoglicemia resta il problema più frequente nel trattamento
insulinico, ma la sua importanza può essere minimizzata pianificando attentamente la dieta, le dosi di insulina e l’esercizio fisico.
La sintomatologia nelle crisi ipoglicemiche è abbastanza tipica:
— nella prima fase, allorquando la glicemia scende al di sotto
di 70 mg./dl., si determina una reazione ormonale adrenergica volta
ad aumentare i valori glicemici;
— nella seconda fase, allorquando i valori scendono al di sotto
di 50 mg./dl., si registra la sofferenza delle cellule cerebrali, le più
sensibili alla carenza del glucosio.
Sintomi della prima fase, detti adrenergici, sono:
— la sudorazione;
— il cardiopalmo;
— l’ansia;
— il tremore;
— l’irritabilità;
— lo sbadiglio (importante nei bambini).
Sintomi della seconda fase, detti neuroglicopenici, sono:
— il senso di fame;
— le vertigini;
— le parestesie;
— l’offuscamento del visus;
— la difficoltà nel linguaggio e nella concentrazione.
Se la glicemia scende ulteriormente si può arrivare al coma
ipoglicemico ed anche alla morte.
La reazione adrenergica all’abbassamento della glicemia è importante in quanto consente, attraverso la secrezione di ormoni iperglicemizzanti (glucagone, catecolamine etc.), non solo di stimolare
il fegato a produrre glucosio, ma anche, attraverso i sintomi sopra
descritti, detti appunto d’allarme, d’allertare il paziente che, in tal
modo, può correre ai ripari ingerendo sostanze zuccherate. Si evita
così che la caduta dei valori glicemici continui sino alla perdita
della coscienza. Purtroppo, in presenza di una neuropatia autonomica può mancare la reazione adrenergica con conseguenze anche
gravi per il paziente. La correzione delle ipoglicemie è piuttosto
semplice se il paziente è cosciente: l’assunzione di liquidi zuccherati può risolvere in poco tempo la crisi.
Se il paziente non è cosciente, a domicilio, i familiari possono
somministrare una fiala di glucagone 1 mg. (IM), ormone che tutti
i diabetici tipo 1 dovrebbero avere nel proprio frigo per le emergenze, mentre in ospedale si può ricorrere alla infusione di glucosata ad alte concentrazioni.
REGOLE DA RISPETTARE
NELLA TERAPIA INSULINICA SOTTOCUTANEA
Somministrare l’insulina regolare 30-40 minuti prima dei pasti (per gli analoghi pronti subito prima dell’inizio dei pasti), sempre nell’addome, ad almeno 2 cm. dall’ombelico, spostando le iniezioni lungo un ideale cerchio e, successivamente, secondo cerchi
concentrici fino alle fasce laterali dell’addome per poi ritornare al
cerchio originario. Quest’indicazione è motivata dal più rapido assorbimento dell’insulina dal sottocutaneo nell’addome, rispetto ad
altre zone quali la deltoidea, i glutei e le cosce.
L’insulina ad azione intermedia della sera andrebbe iniettata
sulla superficie interna della coscia in quanto l’assorbimento sottocutaneo in questa sede è più lento.
Fare attenzione allo spazio morto delle siringhe e alle eventuali
bolle.
Nella miscela aspirare per prima l’insulina regolare.
Preferire comunque le preparazioni “pre-miscelate” perché più
precise rispetto alle miscelazioni estemporanee (non indicate nel
diabete tipo 1 perché inappropriate come percentuale di insulina
pronta).
Eseguire correttamente l’iniezione sottocutanea tenendo la siringa lievemente obliqua, penetrando poi l’ago per 4-5 mm., iniettando l’insulina lentamente e ritirando altrettanto lentamente l’ago.
Il flacone di insulina utilizzata nella giornata può essere tenuto
a temperatura ambiente; i flaconi di riserva a + 4c°.
La somministrazione dell’insulina regolare deve tener conto dell’apporto calorico nel pasto successivo e dell’eventuale successiva
attività fisica.
La dose di insulina da somministrare varia da soggetto a soggetto e, nello stesso soggetto, in vari momenti della vita; è buona
regola cominciare con bassi dosaggi, per esempio 0,3 U./Kg. peso
corporeo/die, di cui 2/3 pronta (ripartita nei tre pasti) ed 1/3 ritar-
30
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data e quindi aumentare progressivamente di non più di 2 unità
per ogni iniezione ogni 2-3 giorni, in base ai risultati del controllo
glicemico che, almeno all’inizio di un trattamento insulinico o durante i periodi di instabilità metabolica, deve essere intensivo.
PERCORSI DIAGNOSTICI E LINEE-GUIDA
PER IL FOLLOW-UP DEL PAZIENTE DIABETICO
Il corretto approccio alla malattia diabetica comprende:
— la prevenzione primaria;
— la diagnosi precoce;
— una terapia scrupolosa (che includa l’educazione e la responsabilizzazione del paziente diabetico);
— la prevenzione e la diagnosi precoce delle complicanze acute
e croniche.
Il raggiungimento di tali obiettivi non può prescindere da una
stretta collaborazione tra MMG e servizi di diabetologia territoriali
od ospedalieri per la relazione della “gestione integrata” del paziente
diabetico.
L’attuale sistema d’assistenza al paziente diabetico non prevede
l’integrazione professionale tra CD e MMG che spesso si trovano a
lavorare in modo scoordinato e/o contrapposto.
L’ASSISTENZA INTEGRATA
Si tratta della partecipazione congiunta dello specialista e del
MMG in un programma stabilito di assistenza nei confronti dei pazienti con diabete mellito in cui lo scambio di informazioni avviene
da entrambe le parti e con il consenso informato del paziente.
Per il paziente diabetico di tipo 2, il modello “integrato” più
idoneo potrebbe essere il seguente:
1) il paziente neo-diagnosticato è inviato a CD per la valutazione complessiva, l’impostazione terapeutica e l’educazione strutturata alla gestione della malattia;
2) in seguito il paziente è avviato ad un follow-up integrato e
condiviso tra MMG e servizio specialistico.
Il paziente si sottopone a visita presso la struttura diabetologica:
— con scadenze concordate con il MMG (in media una volta
ogni anno per i pazienti con compenso accettabile e senza gravi
complicanze);
— in qualsiasi momento si presentino nuovi problemi;
— con maggiore frequenza (pur sempre in stretta collaborazione con il MMG) per i pazienti che presentano complicanze o un
controllo metabolico cattivo o instabile.
In questo modello, la programmazione delle visite, compreso
il richiamo telefonico periodico del paziente, è un elemento fondamentale per migliorare la compliance dei pazienti nei confronti di
suggerimenti comportamentali e terapeutici.
Il modello prevede una sinergia d’intenti, in cui è auspicabile
che i MMG e gli operatori dei servizi di diabetologia si incontrino,
stabiliscano obiettivi comuni, si scambino reciproche esperienze e
si impegnino a lavorare insieme.
RACCOMANDAZIONI PER IL “FOLLOW-UP”
DEL PAZIENTE DIABETICO
I pazienti sia di tipo 1 che di tipo 2 devono essere sottoposti:
— ogni 3-4 mesi a:
– valutazione autocontrollo domiciliare della glicemia (se
prescritto);
– glicemia a digiuno e post-prandiale (non indispensabile se
il paziente fa già l’autocontrollo);
– HbAlc (emoglobina glicosilata frazione stabile);
– peso corporeo (valutazione anche del BMI);
– misurazione pressione arteriosa;
– esame delle urine completo;
— ogni 6 mesi a:
– visita medica generale orientata alla patologia diabetica
(cardiovascolare e neurologica periferica, con controllo dei piedi);
— ogni anno a:
– urinocoltura;
– microalbuminuria;
– clearance della creatinina o creatinina;
– assetto lipidico (colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi);
– uricemia;
– test di funzionalità epatica (GOT, GPT, bilirubina totale e
frazionata, GGT);
– fibrinogenemia;
– elettroliti plasmatici;
– emocromo completo con formula leucocitaria;
– ECG;
– esame del F.O. presso strutture accreditate (non necessario nel diabete tipo 1 nei primi 5 anni);
– visita presso il servizio diabetologico per la messa a punto
annuale del compenso metabolico, per la valutazione dello stato di
complicanze d’organo, per la compliance terapeutica e per eventuale prescrizione di presidi.
Le visite presso le strutture di diabetologia, oltre a quella di
revisione annuale, vanno concordate di norma tra M.M.G. e specialista diabetologo secondo piani personalizzati. Entrambi si impegnano a mantenere attiva una costante comunicazione su qualsiasi
evento relativo al paziente.
In ogni caso il controllo presso la struttura diabetologica va
previsto:
a) con urgenza per:
— sintomatologia suggestiva di scompenso metabolico acuto;
— ripetuti episodi di ipoglicemia;
— gravidanza in donna diabetica o comparsa di diabete in
corso di gravidanza;
— ulcera al piede o severe lesioni ischemiche e/o infettive agli
arti inferiori;
b) programmabile:
— ripetuta glicemia a digiuno > 150 mg./dl. e postprandiale >
180 mg./dl.;
— ripetuto riscontro di HbAlc > 7,5%;
— diagnosi e tipizzazione di diabete mellito all’esordio clinico;
— scompenso metabolico cronico (fallimento secondario alle
sulfaniluree, instabilità glicometaboliche);
— follow-up delle complicanze croniche con accertamenti pluridisciplinari con grado medio-elevato di invasività;
— diabete gestazionale o gravidanza in donna con diabete;
— avvio della terapia insulinica con infusione sottocutanea
continua;
— studio e cura del piede diabetico (preferibile DH).
L’accesso dei pazienti ai servizi specialistici di diabetologia dovrà necessariamente avvenire per:
a) inadeguato compenso metabolico (ipoglicemie ripetute,
glicemia > 400 mg./dl.);
b) presenza di chetonuria;
c) ripetuti processi settici (soprattutto alle vie urinarie);
d) modificazione del visus;
e) incontinenza e/o ritenzione di urina;
f) impotenza;
g) piorrea alveolare;
h) ipertensione arteriosa comparsa di recente;
i) gravi segni di disidratazione;
j) comparsa di alterazioni cliniche e/o umorali da alterata
funzione renale;
k) dopo ricovero in ospedale per qualsiasi natura;
l) in previsione di intervento chirurgico maggiore;
m) iniziali lesioni trofiche ai piedi;
n) riscontro di dislipidemie non note.
RACCOMANDAZIONI PER IL RICOVERO OSPEDALIERO
DEL PAZIENTE DIABETICO
Sarà richiesto direttamente dal MMG o dallo specialista diabetologo per tutte quelle situazioni che riguardano complicanze metaboliche acute, a rischio per la vita del paziente:
— chetoacidosi;
— iperosmolarità non chetosica;
— ipoglicemia grave con segni clinici di neuroglicopenia;
— ipoglicemia da sulfoniluree;
— complicanze acute dell’apparato cardiovascolare;
— stato tossi-infettivo per gangrena diabetica;
— ischemia critica degli arti inferiori.
Inoltre il ricovero programmabile in regime ordinario e/o di
DH avverrà su proposta del MMG o del diabetologo per contrastare
le principali patologie cerebro e cardiovascolari così come previsto
nel Piano sanitario nazionale al punto 5, paragrafo 3 “obiettivo n. 2”.
LINEE GUIDA PER IL FOLLOW-UP
DEL PAZIENTE CON IGT E IFG
Il paziente con ridotta tolleranza agli zuccheri (IGT) o alterata
glicemia a digiuno (IFG) deve eseguire:
— ogni sei mesi:
– glicemia a digiuno e post-prandiale ed eventualmente glicemia due ore dopo OGTT (con 75 g.);
– valutazione del peso corporeo con calcolo del BMI;
– misurazione della pressione arteriosa;
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– insulinemia se necessario;
— ogni anno:
– quadro lipidico (colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi);
– ECG;
– visita medica generale orientata alla patologia diabetica
(cardiovascolare e neurologica periferica).
I pazienti con IGT e IFG devono, comunque, essere segnalati
al servizio di diabetologia per motivi epidemiologici e per ricevere
una educazione strutturata sulla gestione della propria condizione
metabolica, secondo protocolli concordati con i MMG.
DIABETE GESTAZIONALE
DEFINIZIONE
Il diabete gestazionale (DG) è definito come un’alterata tolleranza al glucosio, di gravità variabile, che insorge o viene diagnosticata per la prima volta in gravidanza.
DIAGNOSI
La diagnosi si basa sull’utilizzo di test di “screening” e “diagnostici”.
Il DG deve essere ricercato in tutte le donne in gravidanza fra
la 24ª e la 28ª settimana di gestazione.
Una glicemia a digiuno > 126 mg./dl. e/o ≥ 200 mg./dl. in qualsiasi momento della giornata e della gravidanza sono sufficienti per
la diagnosi.
Il test di screening attualmente più accettato è il minicarico di
glucosio (a digiuno, 50 gr. di glucosio, sciolti in 200 ml. di fisiologica con valutazione della glicemia plasmatica 1 ora dopo). Il test
è positivo quando i valori di glicemia sono ≥ a 140 mg./dl. La positività del test indica la possibilità di un diabete gestazionale, che
deve, comunque, essere diagnosticato con un test specifico, cioè
l’OGTT (in gravidanza con 100 gr. di glucosio). I prelievi vengono
effettuati a digiuno, dopo 1, 2 e 3 ore. Di seguito vengono riportati
i valori glicemici di riferimento per il DG:
Tempo
A
A
A
A
digiuno
1 ora .
2 ore .
3 ore .
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Glicemia
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95
180
155
140
mg./dl.
mg./dl.
mg./dl.
mg./dl.
Per diagnosticare il DG ci devono essere 2 valori uguali o superiori ai ranges di riferimento riportati sopra; in presenza di un
solo valore superiore ai ranges di riferimento viene posta la diagnosi di IGT in gravidanza; in tal caso è utile ripetere l’OGTT dopo
4 settimane per confermare la diagnosi.
Nelle donne ad alto rischio la ricerca del DG deve essere eseguita quanto prima possibile cioè verso la 16ª settimana di gestazione; se il test è negativo è bene ripeterlo alla 24ª settimana. Se
alla 16ª settimana il test è positivo si impone una OGTT (con 100
gr. di glucosio).
Pazienti ad alto rischio sono quelle che presentano:
— glicemie a digiuno ≥ 105 mg./dl.;
— precedente DG;
— familiarità per il diabete di tipo 2;
— BMI ≥ 28 kg./m2;
— età > 35 anni;
— macrosomia fetale (> 4 kg. in gravidanze precedenti);
— poliabortività;
— eccessivo incremento ponderale nell’attuale gravidanza (> 350
g./settimana);
— infezioni recidivanti del tratto urinario.
MONITORAGGIO
Educazione all’autocontrollo della glicemia secondo uno
schema settimanale a scacchiera, con valutazioni delle glicemie a
digiuno e post-prandiali.
Educazione ad una corretta alimentazione.
Ad ogni visita verranno controllati:
— peso corporeo;
— pressione sanguigna;
— HbA1c (possibilmente ogni mese).
I valori ottimali delle glicemie in queste pazienti sono:
— a digiuno < 95 mg./dl.;
31
— a 1 ora post-prandiale ≥ 140 mg./dl.;
— a 2 ore post-prandiali ≥ 120 mg./dl.
Quando con l’approccio dietetico non si raggiungono questi valori bisogna instaurare una terapia insulinica.
CONCLUSIONI
Il diabete mellito è una malattia che coinvolge gran parte degli organi e delle loro funzioni tanto che ognuno dei capitoli di questo breve percorso diagnostico-terapeutico avrebbe meritato ben più
spazio. Ma il nostro scopo è di proporre un approccio al paziente
diabetico che sia sintetico e quanto più condivisibile da parte del
medico di famiglia.
Egli è il professionista che, nell’ambito del servizio sanitario
nazionale, conosce meglio il paziente (anamnesi familiare e personale, patologie pregresse ed in atto, stile di vita, abitudini alimentari, profilo psicologico e sociale).
Il trattamento del diabete mellito, infatti, è soprattutto rivolto
ad evitare le complicanze della malattia dal momento che questa,
nella quasi totalità dei casi, non dà sintomi né provoca, anche per
condizioni di compenso scadenti, significative variazioni nella qualità di vita immediata del paziente.
La gestione del paziente tra MMG e CD potrebbe avvenire attraverso l’uso di una cartella comune condivisa. Questo comporta
un effettivo coinvolgimento clinico del medico di famiglia nella gestione della malattia che lo metterà in condizione di operare anche
i dovuti aggiustamenti terapeutici senza snaturare la logica della terapia concordata.
BIBLIOGRAFIA
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32
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
LINEE GUIDA PER L’ARTRITE REUMATOIDE
Scopo del seguente lavoro è quello di fornire un precoce e corretto inquadramento diagnostico per l’appropriatezza prescrittiva e
terapeutica, al fine di garantire la migliore efficacia clinico-assistenziale e, possibilmente, il contenimento della spesa farmaceutica.
L’individuazione e la standardizzazione di un percorso condiviso rappresentano una guida per i medici che si occuperanno di
tale percorso.
Al fine di un quadro completo delle patologie di interesse reumatologico si è utilizzata la classificazione della S.I.R. (Società italiana di reumatologia).
Nell’ambito della suddetta classificazione si sono scelte alcune
patologie di particolare rilievo per maggiore incidenza e/o prevalenza e di quotidiano riscontro negli ambulatori dei MMG e degli
specialisti.
Le presenti linee guida tratteranno esclusivamente la tematica
relativa alla artrite reumatoide:
1) il medico di medicina generale è il primo contatto; a lui
spetta il compito di inquadrare il paziente dal punto di vista clinico, bioumorale e strumentale:
— orientamento diagnostico, esecuzione accertamenti preliminari, approccio terapeutico iniziale;
— invio allo specialista di riferimento;
— gestione del paziente insieme allo specialista;
2) lo specialista ambulatoriale o ospedaliero:
— acquisisce i dati inviati dal MMG;
— definisce l’iter diagnostico;
— compila una relazione per il MMG;
— suggerisce la terapia, stabilisce in collaborazione con il medico di medicina generale i controlli periodici.
PERCORSO PER LA DIAGNOSI, IL MONITORAGGIO
E LA TERAPIA DELL’AR ALL’ESORDIO
Il sintomo principale dell’artrite reumatoide è il dolore articolare, spesso associato alla presenza di tumefazione locale. Il dolore
è di tipo infiammatorio, presente cioè prevalentemente di notte ed
associato a rigidità mattutina (superiore ai 30 minuti).
Il medico di medicina generale prescrive i primi esami e nella
conferma del sospetto diagnostico, invia il paziente allo specialista
reumatologo.
Quest’ultimo definirà la diagnosi, classificherà la malattia sulla
base di fattori prognostici, informerà il paziente e proporrà la terapia ottimale con apposita relazione clinica.
Il MMG e lo specialista avranno cura di sorvegliare l’evoluzione
della malattia ed i potenziali effetti tossici dei farmaci, collaborando
in stretta integrazione, nel rispetto dei reciproci ruoli. (Si veda la
flow-chart).
Nei pazienti con artrite reumatoide è di primaria importanza
iniziare, al più presto, il trattamento con i cosiddetti farmaci di
fondo (meglio noti come DMARDs: Disease Modifiyng Anti-Rheumatic Drugs); questi farmaci si sono dimostrati in grado di evitare
o rallentare la progressione del danno articolare. L’utilizzo dei
DMARDs ha inoltre permesso ai pazienti con artrite reumatoide di
raggiungere un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale.
Nella logica di una diagnosi precoce e tenendo conto del fatto
che questi farmaci, anche se ben tollerati, sono pur sempre dotati
di una certa tossicità, diviene importante discriminare tra forme di
artrite autolimitante e forme di artrite persistente e, tra queste ultime, vanno individuate, sulla base di fattori prognostici, le artriti
aggressive.
Discriminare tra queste forme ci permette di somministrare il
DMARD (o i DMARDs) più adatti in relazione alle differenti caratteristiche di malattia.
Linee guida finalizzate alla diagnosi precoce entro il terzo mese dall’esordio
Diagnostica clinica
Diagnostica di laboratorio
Diagnostica strumentale
Approccio di primo livello
Dati anamnestici (da quanto tempo c’è il
dolore, dove è localizzato, è presente a riposo o al movimento, è associato a rigidità mattutina, sono presenti altri sintomi)
Indici di flogosi (VES e PCR)
RX torace (serve per valutare segni di sierositi, frequente complicanza extra-articolare
dell’AR, segni di interstiziopatia polmonare,
controindicazione all’uso del methotrexate,
altre eventuali alterazioni)
Parametri vitali
Esame obiettivo generale
Emocromo
RX mani e piedi (valutare la presenza di: tumefazioni dei tessuti molli, osteoporosi
iuxta-articolare, riduzione simmetrica dell’interlinea, erosioni marginali, geodi)
Esame obiettivo articolare (numero articolazioni dolenti, tumefatte), valutazione attività di malattia (Disease Activity Score
o DAS ad esempio)
Esame delle urine
Eventuali ulteriori accertamenti strumentali
che, a discrezione del clinico, possano essere utili alla diagnosi differenziale o alla
conferma di co-morbilità (ecografia ed RM
articolare, ECG, etc.)
Scale di valutazione funzionale (HAQ) e di
qualità della vita (SF-36)
Elettroforesi sieroproteica, transaminasi
(AST/ALT), GGT, ALP
Glicemia, creatininemia, azotemia, uricemia
RA test, anticorpi-anti peptide citrullinato
ciclico (aCCP)
HbsAg, HCVAb (possibile causa di positività del fattore reumatoide)
Approccio di secondo livello
ANA con titolo e pattern, Ab anti-ENA, C3,
C4
La maggior parte degli accertamenti laboratoristici eseguiti è utile per la diagnosi differenziale e la verifica dell’indicazione alla terapia
(ad esempio le transaminasi per l’impiego di Methotrexate).
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
TERAPIA FARMACOLOGICA DELL’ARTRITE REUMATOIDE
La terapia dell’AR è basata sull’impiego di “farmaci sintomatici” e dei “DMARDs”.
Appartengono alla categoria dei farmaci “sintomatici” i farmaci
anti-infiammatori non steroidei (FANS) ed i cortisonici. Queste sostanze, utili nel controllo della sintomatologia dolorosa, non sono
in grado di prevenire l’evoluzione del danno anatomico articolare.
I FANS
Vengono spesso impiegati dai pazienti per la loro veloce azione
sul dolore. I pazienti con AR necessitano spesso di una terapia protratta nel tempo e pertanto di una gastroprotezione continua, volta
ad evitare l’insorgenza di eventi avversi gastrointestinali (gastrite,
ulcera peptica); gli agenti da utilizzare per la gastroprotezione sono
gli inibitori di pompa protonica, mentre per l’impiego dei COXIB,
per i quali si delinea una minore gastrolesività, è controindicata e
non rimborsata dal servizio sanitario nazionale l’associazione con
i gastroprotettori.
Tuttavia è utile ricordare che l’impiego dei COXIB, in coerenza
con quanto previsto dalla nota AIFA 66, va riservato al trattamento
dell’artrite reumatoide in pazienti ad “alto rischio” di eventi avversi
gravi del tratto gastrointestinale superiore (emorragie, perforazioni,
ostruzione pilorica), ove trattati cronicamente con FANS non selettivi e che non sono a rischio cardiovascolare elevato; ciò tenuto
conto della documentata associazione tra esposizione ai Cox 2 inibitori e il rischio cardiovascolare (comunicato EMEA del 27 giugno 2005).
I CORTICOSTEROIDI
Vengono impiegati a basso dosaggio nell’AR. I corticosteroidi
devono essere somministrati preferibilmente al mattino, per rispettare il ritmo circadiano dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. La posologia di questi farmaci viene comunque ridotta o sospesa, in maniera graduale, al raggiungimento della remissione indotta dai farmaci “di fondo”. Anche in questo caso è opportuna la gastroprotezione con gli inibitori di pompa protonica.
DMARDs
Appartengono alla categoria dei DMARDs quelle sostanze che
si sono rivelate in grado di modificare il decorso clinico dell’AR e
di arrestare/rallentare nel tempo l’evoluzione del danno articolare.
1) Antimalarici di sintesi. Sono molecole ormai scarsamente
utilizzate, ad azione lenta, impiegabili in associazione o nelle forme
non particolarmente aggressive di AR. Iniziano ad espletare la loro
azione dopo 4-6 mesi di terapia. Effetti collaterali: retinopatia (a
lungo termine), miopatia (rara), tossicità epatica (rara).
2) Sali d’oro intramuscolari. Sono molecole ad azione lenta,
ormai non più utilizzate.
3) Sulfasalazina. Molecola ad azione lenta con riconosciuta efficacia nel controllo sia dell’AR sia delle spondilo-entesoartriti sieronegative. La posologia raccomandata nell’AR è di 4 cpr./die (2
g./die), da raggiungere gradualmente (iniziare con una cpr. da 500
mg. al giorno per una settimana, aumentando poi di una cpr. ogni
settimana, sino ad arrivare a 4 cpr./die). Esame emocromocitometrico, transaminasemia, creatininemia ed esame delle urine sono
raccomandati almeno una volta al mese nelle fasi iniziali. Questo
farmaco viene impiegato frequentemente in associazione al Methotrexate. Effetti collaterali sono: tossicità epatica e renale (sindrome
nefrosica).
4) *Methotrexate. E’ ritenuto il gold standard per il trattamento
dell’AR. La posologia efficace varia tra 7.5 e 25 mg./settimana per
os o per via i.m. E’ generalmente ben tollerato e la singola assunzione settimanale aumenta la compliance del malato. E’ necessaria
la supplementazione con folati e l’esecuzione, dopo 15 giorni e poi
ogni 2 mesi, dei seguenti esami: AST, ALT, elettroforesi sieroproteica ed emocromo. Effetti collaterali sono: aumento transaminasi,
citopenia, polmonite interstiziale.
5) *Ciclosporina A. Immunosoppressore che si è dimostrato efficace nella prevenzione dell’evoluzione del danno anatomico articolare in corso di AR ove viene impiegato a bassa posologia (2.5-4
mg./Kg./die). Gli effetti collaterali maggiori sono l’ipertensione arteriosa e il danno renale su base vascolare, da cui l’importanza di
monitorare la pressione arteriosa, creatininemia e microalbuminuria, al fine di valutare l’eventuale riduzione o sospensione della terapia.
6) *Leflunomide. Inibitore della sintesi delle pirimidine. Il farmaco può essere prescritto nelle forme attive di artrite reumatoide,
mediante la presentazione del piano terapeutico stilato dallo specialista. E’ impiegato alla dose di 20 mg./die. Tra gli effetti collate-
33
rali segnalati si ricordano: ipertensione arteriosa, diarrea, alopecia,
ipertransaminasemia ed epigastralgie. Sono stati osservati casi di
calo ponderale significativo.
7) *Infliximab. Terapia biologica (anticorpo monoclonale chimerico) anti-Tumor Necrosis Factor (TNFα), citochina pro-infiammatoria che gioca un ruolo centrale nella patogenesi dell’AR. Il farmaco può essere somministrato solo in ospedale ed in ambiente
specialistico, considerati anche i costi elevati. Prima di iniziare il
trattamento con questa categoria di farmaci è necessario documentare l’esclusione di forme tubercolari anche quiescenti.
8) *Etanercept. Terapia biologica (recettore solubile chimerico
del Tumor Necrosis Factor-TNFα) citochina pro-infiammatoria che
gioca un ruolo centrale nella patogenesi dell’AR. Il farmaco può essere dispensato solo in ospedale ed in ambiente specialistico, considerati anche i costi elevati. Sono previste due iniezioni sottocute
ogni settimana che il paziente effettua a domicilio. Prima di iniziare il trattamento con questa categoria di farmaci è necessario
documentare l’esclusione di forme tubercolari anche quiescenti.
9) *Anakinra. Terapia biologica (antagonista recettoriale dell’interleuchina-1), citochina pro-infiammatoria che gioca un ruolo
importante nella patogenesi dell’AR. Il farmaco può essere dispensato solo in ospedale ed in ambiente specialistico, considerati anche i costi elevati. Sono previste iniezioni sottocute quotidiane che
il paziente effettua a domicilio. La somministrazione concomitante
di Anakinra con altri farmaci biologici antagonisti del TNF non è
raccomandata a causa del documentato aumento del rischio di infezioni gravi e del rischio di neutropenia.
10) *Adalimumab. Terapia biologica (anticorpo monoclonale
umano) anti-Tumor Necrosis Factor (TNFα), citochina pro-infiammatoria che gioca un ruolo centrale nella patogenesi dell’AR. Il farmaco può essere dispensato solo in ospedale, in ambiente specialistico, anche considerati gli elevati costi. Prima di iniziare il trattamento con questa categoria di farmaci è necessario documentare
l’esclusione di forme tubercolari anche quiescenti.
NB: L’uso dei farmaci sopraindicati, contrassegnati da un asterisco, è sconsigliato in gravidanza.
Per i farmaci Infliximab, Etanercept, Anakinra e Adalimumab
impiegati nel trattamento dell’artrite reumatoide, la prescrizione e
dispensazione sono riservati ai centri specializzati individuati dalla
Regione secondo le modalità definite nel protocollo dello studio osservazionale denominato “Antares” (decreto del Ministero della salute del 24 maggio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana n. 127 del 4 giugno 2001).
GASTROPROTEZIONE
Limitatamente ai pazienti in trattamento per A.R. con Fans e
corticosteroidi si applica la nota 1 AIFA, primo comma:
La prescrizione a carico del servizio sanitario nazionale è limitata ai
pazienti ad alto rischio
— per la prevenzione delle complicanze gravi del tratto gastrointestinale superiore:
– in trattamento cronico con Fans non selettivi (non con
Coxib);
– in terapia antiaggregante con ASA a basse dosi.
TERAPIA RIABILITATIVA
Nella fase acuta e nelle riacutizzazioni del processo flogistico
è utile l’uso di tutori personalizzati al fine di tenere l’articolazione
colpita a riposo e, soprattutto, di evitare le deformità conseguenti
al processo flogistico.
Nella fase di quiescenza è utile la mobilizzazione delle articolazioni colpite, cercando di ampliare il range of motion delle articolazioni.
TERAPIA CHIRURGICA
Negli ultimi anni le indicazioni all’intervento chirurgico sono
aumentate: in particolare vengono trattati chirurgicamente tutti
quei casi in cui vi siano deformità e spiccata limitazione funzionale oltre alle forme avanzate con distruzione articolare. Gli interventi che vengono eseguiti (artroprotesi, artrodesi, tenodesi, plastiche articolari, ecc.) non influiscono sull’evoluzione della malattia di
base, ma possono contribuire notevolmente a migliorare la qualità
della vita del soggetto.
FARMACOVIGILANZA
Si fa presente che le suddette categorie di farmaci possono causare reazioni avverse che devono essere segnalate al responsabile
34
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
di farmacovigilanza dell’azienda sanitaria di appartenenza e al Centro regionale di riferimento.
Si ricorda che la segnalazione di sospette reazioni avverse ai
farmaci “biologici” in particolare di recente immissione in commercio è rilevante ai fini del programma di sorveglianza post-marketing cui sono sottoposti per la definizione del loro profilo di sicurezza.
2) American College of Rheumatology Subcommitee on Rheumatoid Arthritis Guidelines. Guidelines for the management of
rheumatoid arthritis: 2002 Update. Arthritis Rheum. 2002; 46:
328-46.
BIBLIOGRAFIA
3) Arnett F.C., Edworthy S.M., Bloch D.A., McShane D.J., Fries
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1987 revised criteria for the classification of rheumatoid arthritis.
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1) Alethaha D., Smolen J.S.: DMARDs use in early rheumatoid
arthritis. Lessons from observations in patients with established disease. Clin. Exp. Rheumatol. 2003; 21 (S31): 169-73.
4) Visser H., Le Cessie S., Voss K., Breedveld F.C., Hazzes
J.M.W.: How to diagnose rheumatoid arthritis early. Arthritis and
Rheum. 2002; 46: 357-65.
Flow-chart ARTRITE REUMATOIDE
Paziente con sintomi
infiammatori
articolari
• di tre o più
articolazioni
• delle piccole
articolazioni
delle mani
• articolazioni
simmetriche
• rigidità mattutina
da 30/60 minuti
• (noduli sottocutanei)
MMG
Esami di
1° livello
Relazioni al MMG
1. Considerazioni
diagnostiche
2. Piano terapeutico
3. Prognosi
4. Percorso
assistenziale AR
• Se presenti erosioni:
Rx ogni 6 mesi
• Senza erosioni:
Rx ogni 12 mesi
• VES, PCR
ogni 3 mesi
• Altri controlli
ematochimici
in base alla terapia,
ogni 3 mesi
Sospetto
di AR
Specialista
Reumatologo
Altra
diagnosi
No AR
Criteri predittivi
AR
• Numero articolazioni
dolenti/tumefatte
• Durata dei sintomi/segni
• Sesso femminile
• Età = / > 60 anni
• Condizioni
socio economiche
• HLA (DRB, DR4)
• NVES (IK) > 20, PCR ↑
• CCP
• FR
• Presenza di erosioni
articolari
AR early
aggressiva
Diagnosi differenziale
e permissività alla terapia
•
•
•
•
•
Rx torace
ECG
Ecografia addome completo
Emocromo
Es. urine, creatinina, AST, ALT,
gGt, ALP, glicemia, elettroliti
sierici, calcemia, omocisteinemia
• Screening autoimmunitˆ. ANA,
ENA, anti-DNA, anti-cardiolipina, aCCP
• HbsAg, HCV Ab, Crioglobuline,
TAS, Acido urico, elettroforesi
siero-proteica
AR early
non
aggressiva
Scelta del
trattamento
L’ARTROSI
DEFINIZIONE
L’Osteoartrosi è una malattia degenerativa dell’articolazione con
iniziale degradazione della cartilagine articolare e successivo interessamento dell’osso subcondrale; non è infrequente la presenza di
una componente infiammatoria, spesso associata a versamento ar-
ticolare, che risulta essere tra l’altro un importante fattore di progressione della malattia.
Clinicamente i pazienti con osteoartrosi lamentano un dolore
di tipo meccanico, che aumenta con il movimento e si riduce con
il riposo, anche se nelle fasi flogistiche il ritmo del dolore può essere parzialmente infiammatorio; spesso sono osservabili tumefazioni ossee (legate al disiassamento dei capi articolari o alla pre-
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
senza di osteofiti), così come non sono infrequenti limitazioni della
mobilità articolare.
Gli esami di laboratorio non presentano alterazioni particolari:
il liquido sinoviale ha una viscosità conservata, in assenza di segni
di flogosi.
Radiologicamente si evidenziano riduzione dell’interlinea articolare (spesso asimmetrica), sclerosi dell’osso subcondrale, geodi,
osteofiti.
Le numerose linee-guida per il trattamento della malattia individuano negli analgesici e negli antinfiammatori per via sistemica
i farmaci di primo approccio per il controllo della sintomatologia.
Gli analgesici più impiegati sono il paracetamolo e il tramadolo.
Secondo alcuni recenti orientamenti, anche gli oppiodi possono trovare indicazione nell’Osteoartrosi.
I Fans hanno finora trovato largo impiego anche se gli effetti
collaterali a carico dell’apparato gastroenterico possono rappresentare un limite.
I Coxib, inibitori selettivi della COX-2, sono indicati nel trattamento dei sintomi algici e infiammatori in pazienti affetti
da Osteortrosi limitatamente alle condizioni indicate nella nota
AIFA 66.
Le articolazioni più frequentemente interessate sono: la colonna vertebrale, l’anca, il ginocchio, le dita delle mani e dei piedi.
L’artrosi può essere classificata in:
Artrosi primaria: spesso diffusa a molteplici articolazioni
— artrosi localizzata:
– articolazioni interfalangee distali (n. di Heberden);
– articolazioni interfalangee prossimali (n. di Bouchard);
– rizartrosi del pollice;
– altre;
— artrosi generalizzata;
— artrosi erosiva delle dita;
Artrosi
—
—
—
—
—
secondaria più frequentemente localizzata
a traumatismi;
ad anomalie di sviluppo;
a turbe biomeccaniche;
ad alterazioni della struttura ossea;
a malattie metaboliche ed endocrine:
– congenite;
– acquisite;
— a malattie ereditarie del connettivo;
— a malattie ematologiche;
— ad artriti;
— artrosi endemiche.
35
TERAPIA
Farmaci sistemici
Disease Modifying osteoarthritis drugs (DMOADs)
Si tratta di una categoria di farmaci che ha dimostrato, sulla
base di studi clinici, di prevenire la progressione del danno articolare; ne fanno parte la diacereina e la glucosamina solfato. Questi
farmaci esplicano la loro azione a lungo termine, necessitando pertanto di una somministrazione cronica; sono ben tollerati e con
scarsi effetti collaterali.
Analgesici
Paracetamolo
La singola dose convenzionale per gli adulti oscilla tra 500 mg.
e 1 g. da somministrare ad intervalli di 4-6 ore fino al dosaggio
massimo complessivo di 4 g./die.
Alle dosi generalmente impiegate di 2-3 g. al dì il paracetamolo
è ben tollerato, non danneggia la mucosa gastrica e non modifica
la funzione piastrinica.
A dosi maggiori il farmaco sembra comportarsi perifericamente
come un Fans e, pertanto, è potenzialmente gastrolesivo; esiste inoltre il rischio di danno epatico e renale.
Tramadolo
E’ un antagonista sintetico degli oppioidi, impiegato nei casi
di OA resistenti al trattamento antalgico con Paracetamolo.
L’utilizzo del Tramadolo deve essere preso in considerazione
quando la sintomatologia persiste nonostante l’impiego di Paracetamolo ed anti-infiammatori.
E’ disponibile in compresse da 50 mg. e la dose totale giornaliera non dovrebbe essere superiore a 300 mg., da raggiungere progressivamente e lentamente, specie negli anziani.
Si raccomanda l’aumento progressivo della dose, iniziando anche con 25 mg./die.
Oppioidi
I pazienti candidati all’impiego di oppioidi sono quelli con OA
avanzata in fase iperalgica, con dolore incessante anche di notte,
non eleggibili per un intervento chirurgico e quelli nei quali una
condizione di comorbidità controindica, quanto meno temporaneamente, l’impiego di altri farmaci. Da valutare l’impiego di preparati per via transdermica a lento rilascio, di maggior maneggevolezza.
FANS
DIAGNOSI
I sintomi
— dolore:
– si accentua con il movimento;
– si riduce con il riposo;
– raramente insorge durante il sonno, a meno che non sia
concomitante un processo infiammatorio, può essere presente anche a riposo e accompagnarsi alla sensazione di rigidità mattutina,
generalmente di breve durata;
— limitazione funzionale, più o meno invalidante a seconda
delle sedi articolari coinvolte;
— spesso presenti deformazioni, come ad esempio delle “nodulazioni” a livello delle articolazioni interfalangee distali (noduli
di Heberden) e prossimali (noduli di Bouchard) delle mani o ginocchia vare/valghe.
Indagini bioumorali e strumentali
— Non si accompagna, di solito, ad alterazioni significative degli esami di laboratorio, fatta eccezione per la forma erosiva dove
può osservarsi un modesto incremento della VES.
— Indagini radiografiche, consentono di porre una diagnosi di
certezza e, soprattutto, escludere altre malattie reumatiche.
A tutt’oggi, la radiologia convenzionale per la scarsa invasività
ed il costo relativamente basso, rappresenta la tecnica migliore, non
solo per il riconoscimento delle lesioni elementari in corso di OA,
ma anche per lo studio della progressione radiologica nel tempo e
riveste tuttora un ruolo di primo piano nei processi decisionali in
ambito clinico, nella scelta della terapia e nella valutazione dell’outcome.
I Fans possono essere suddivisi in relazione alla loro classe chimica di appartenenza ed alla loro emivita; recentemente è stata proposta un’ulteriore classificazione in relazione alla loro azione sulle
differenti isoforme di cicloossigenasi.
— Fans con azione specifica sulla COX-1 (ad esempio acido
acetilsalicilico ed indometacina).
— Fans equiattivi nei confronti di COX-1 e COX-2 (ad esempio diclofenac, piroxicam, naprossene, ibuprofene).
— Fans ad azione preferenziale nei confronti della COX-2 (ad
esempio meloxicam, nimesulide, nabumetone).
— Coxib, inibitori selettivi della COX-2 (celecoxib, etoricoxib).
Attualmente prevale l’orientamento di attuare un trattamento
più prolungato, essendo stato dimostrato che tale modalità diminuisce l’entità e la frequenza degli episodi di riacutizzazione.
Inoltre, poiché gli episodi di riacutizzazione flogistica sono generalmente responsabili di un ulteriore peggioramento del danno
cartilagineo, ridurre il numero e l’entità degli episodi infiammatori
significa rallentare il processo degenerativo tipico dell’OA.
Gli effetti collaterali dei Fans riguardano più frequentemente
l’apparato gastroenterico, il rene, il fegato, il sistema respiratorio,
il sistema ematopoietico, il fegato ed eventuali reazioni allergiche.
La prevalenza di effetti collaterali da Fans è maggiore negli anziani,
che costituiscono la fascia di popolazione in cui l’OA è maggiormente rappresentata.
I Coxib hanno minore gastrolesività dei Fans tradizionali ma
presentano un profilo beneficio/rischio che necessita di essere ridefinito nel suo complesso.
E’ bene demandare al MMG l’eventuale impiego di terapia gastroprotettiva in quanto maggiore conoscitore di tutti i fattori di rischio del paziente.
36
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
Si ricorda che la gastroprotezione in associazione con i Coxib
non è rimborsata dal servizio sanitario nazionale.
Farmaci topici
I Fans per uso topico sono un’alternativa utile per quei pazienti
che non vogliono o non possono assumere Fans per via orale, anche se l’effettivo beneficio rimane da stabilire.
Terapia infiltrativa
L’infiltrazione intra-articolare di steroidi ad azione prolungata
è indicata in caso di fase flogistica.
L’introduzione dell’acido ialuronico è stata accolta come un
passo avanti nel trattamento dell’OA ed è stato studiato il suo ruolo
nella riduzione del dolore, nel miglioramento della funzionalità e
nella capacità di influire sull’andamento della malattia artrosica.
Pur essendo un trattamento sicuramente promettente, al momento
non vi sono dati certi su una sua reale efficacia nella prevenzione
del danno cartilagineo.
Raccomandazioni finali sulla base delle opinioni degli esperti
1) Il trattamento dell’artrosi deve essere personalizzato in base
a fattori quali età, dolore e presenza di infiammazione.
2) Il corretto approccio terapeutico all’artrosi prevede sia terapia farmacologica sia non farmacologica.
3) L’infiltrazione intra-articolare di steroidi ad azione prolungata è indicata per le riacutizzazioni algiche, in particolare se associate ad effusione.
4) Esistono prove che i DMOADs abbiano un ruolo nella prevenzione dell’evoluzione del danno articolare.
5) E’ probabile che l’acido ialuronico sia efficace nell’artrosi,
anche se ulteriori studi sono necessari per stabilirne l’effettivo ruolo.
6) Le terapie non farmacologiche dell’artrosi dovrebbero includere: la regolare educazione del paziente, ginnastica, uso di presidi terapeutici (bastoni, plantari) e riduzione del peso corporeo in
caso di eccesso ponderale.
7) La ginnastica è fortemente raccomandata, in particolare gli
esercizi di potenziamento muscolare e/o di conservazione della
normale mobilità articolare.
8) Il Paracetamolo è l’analgesico orale di elezione.
9) Il trattamento con Fans (per via orale) deve essere utilizzato in pazienti non responsivi al Paracetamolo o in caso di intensa
sintomatologia algica o flogosi.
10) L’intervento di artroprotesi deve essere preso in considerazione nel caso di dolore incoercibile associato a disabilità e distruzione anatomica radiologicamente evidente.
TERAPIA CHIRUGICA DELL’ARTROSI
I pazienti che non ottengono un accettabile sollievo dal dolore
e recupero della funzionalità articolare con terapia medica e fisica,
dovrebbero essere avviati ad un chirurgo ortopedico per valutare
un intervento di protesizzazione. Possono essere programmati interventi chirurgici preventivi in caso di situazioni frequentemente
associate alla comparsa di artrosi secondarie (ad esempio correzione di un valgismo del ginocchio). Altra possibilità è la pulizia
dei capi articolari per via artroscopica.
TERAPIA RIABILITATIVA
Gli obiettivi più efficacemente perseguibili attraverso l’intervento della medicina riabilitativa sono, in ordine di importanza:
1) la prevenzione dei danni funzionali secondari;
2) il mantenimento e la valorizzazione delle potenzialità motorie disponibili;
3) il trattamento del dolore cronico.
La scelta terapeutica più idonea è dunque l’attività motoria finalizzata, il cui compito è valorizzare l’autonomia e la responsabilizzazione del soggetto rispetto ai problemi della sua patologia. Il
risultato dell’intervento, date le caratteristiche della patologia, può
essere raggiunto e mantenuto solamente attraverso l’adozione di un
modello motorio corretto ed un profilo ergonomico personalizzato,
da esercitare costantemente e tale da essere introdotto nelle attività
quotidiane (igiene motoria e posturale). E’ importante rendere il
soggetto consapevole del fatto che il beneficio sperimentato in sede
terapeutica può essere conservato ed aumentato solo se viene applicata quotidianamente una corretta igiene articolare e motoria.
Per questo è indispensabile che i principi acquisiti vengano inseriti
nei ritmi e nelle abitudini della vita quotidiana, anche in collaborazione con i familiari ed il medico di medicina generale.
Il momento terapeutico consiste nell’individuare gli specifici
elementi del quadro patologico suscettibili di modificazione e nell’insegnare al soggetto i più corretti modi di incidere su tali elementi attraverso il movimento. Esistono situazioni problematiche
in cui si deve porre particolare attenzione nell’esecuzione del programma fisioterapico e queste sono rappresentate dalla presenza di:
— alterazioni cardiorespiratorie gravi associate;
— deficit percettivi e cognitivi tali da impedire la comunicazione fra terapista e paziente;
— presenza di ipertensione instabile;
— psicosi;
— presenza di irritazione radicolare in fase algica;
— traumi recenti (max 1 anno) nella sede interessata, inclusi
microcrolli vertebrali (minimo 6-8 mesi) nei soggetti con osteoporosi;
— gravi limitazioni articolari distrettuali, incompatibili con le
modalità di attuazione dell’attività di gruppo.
In tutti questi casi lo specialista elabora un piano di trattamento motorio personalizzato.
BIBLIOGRAFIA
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sulphate on osteoarthritis progression: a randomised, placebo-controlled trial. Lancet 2001; 357: 251-6.
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effects of Diacerein in hip osteoarthritis. Echodiah, a three-year,
placebo-controlled trial. Arthritis Rheum 2001; 44: 2539-47.
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hyaluronan in joint diseases. Clin. Exp. Rheumatol. 2001; 19: 242.
4) Dougados M.: The role of anti-inflammatory drugs in the
treatment of osteoarthritis: a European view-point. Clin. Exp.
Rheum. 2001; 19 (S25): 9-14.
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Giinther K.P., Hauselmann H.J., Herrero-Beaumont G., Kaklamanis
P.M., Leeb B., Lequesne M., Lohmander S., Mazieres B., Mola E.M.,
Pavelka K., Semi U., Swoboda B., Verbruggen A.A., Weseloh G.,
Zimmermann-Gorska I.: Raccomandazioni EULAR per il trattamento dell’artrosi: relazione del Committee for International Clinical Studies Including Therapeutic Trials* (ESCISIT). Ann. Rheum.
Dis. 2000; 59: 935-44.
L’OSTEOPOROSI (OP)
Malattia dello scheletro caratterizzata da:
— riduzione della massa ossea (BMD);
— alterazioni della sua microarchitettura;
— predisposizione alle fratture.
E’ la più comune malattia dello scheletro. Si tratta di una condizione frequentissima, che ha avuto negli ultimi decenni un netto
incremento della sua prevalenza. Ciò è dovuto a molteplici fattori
quali:
— l’invecchiamento della popolazione;
— la riduzione progressiva dell’attività fisica ed il conseguente
minor stimolo alla formazione ossea;
— l’incremento dell’abitudine al fumo, specialmente nel sesso
femminile;
— la riduzione dell’apporto di latte e formaggi assieme all’incremento del consumo di acque oligominerali;
— il vasto impiego di farmaci in grado di causare OP (primi
tra tutti i cortisonici, introdotti in terapia negli anni cinquanta) e
l’incremento della prevalenza di molte malattie in grado di causare OP.
L’osso è un tessuto in continuo rimodellamento, che viene
operato in maniera sequenziale e coordinata da cellule che riassorbono osso, gli osteoclasti, e da cellule che formano osso, gli
osteoblasti. L’intensità e la frequenza di questa attivazione sono
controllate da fattori ormonali, quali estrogeni, androgeni, ormone
della crescita (GH), paratormone (PTH), vitamina D e da stimoli
meccanici locali.
CLASSIFICAZIONE DELL’OSTEOPOROSI
L’OP può essere:
— primitiva (non sono presenti altre patologie alla sua base);
— secondaria (ripercussione scheletrica di una patologia, condizione o farmaco).
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
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Osteoporosi primitiva
Genetica
Osteogenesi imperfecta
Idiopatica
Giovanile, dell’adulto, della gravidanza
Involutiva
Postmenopausale e senile
Osteoporosi secondaria
Malattie endocrine
Iperparatiroidismo, ipogonadismo, ipertiroidismo
Malattie reumatiche
Artrite reumatoide, spondilite anchilosante
Malassorbimento
Morbo celiaco
Malattie neurologiche
Tutte quelle che causano riduzione della attività motoria
Malattie ematologiche
Linfomi, mieloma multiplo
Farmaci
Cortisonici, anticoagulanti, ormoni tiroidei in eccesso, chemioterapici, antiepilettici, antivirali (farmaci
anti-HIV)
Anoressia nervosa
La malattia è clinicamente silente finché non compaiono le
fratture. Queste interessano principalmente polso, colonna vertebrale e femore, ma qualsiasi distretto scheletrico, se di densità ridotta, può fratturarsi per traumi minimi. Mentre le fratture delle
ossa lunghe sono sempre evidenti clinicamente, quelle vertebrali
possono non esserlo, ed il dolore che provocano può essere confuso col dolore da discopatia o artrosi. Le fratture vertebrali sono
le più comuni fratture da OP e causano progressiva deformità e riduzione staturale del soggetto. Tipico l’aspetto della ipercifosi dorsale (dorso curvo) per cedimenti multipli dei corpi vertebrali. Sia
le fratture femorali sia quelle vertebrali causano un incremento della
mortalità e della disabilità.
LA DIAGNOSI DI OSTEOPOROSI
La diagnosi si avvale principalmente della densitometria ossea
a raggi x (Dexa). Una normale radiografia coglie infatti una riduzione della massa ossea solo se questa supera il 25-30%, pur rimanendo la radiografia indispensabile per evidenziare la presenza
di fratture.
Il T-score fornisce il numero di deviazioni standard di differenza tra il valore misurato e quello normale di riferimento (nei
giovani adulti sani). Poiché una deviazione standard corrisponde
circa ad un 10%, una riduzione di 2.5 deviazioni standard corrisponde ad una riduzione della BMD del 25%. L’OMS ha identificato proprio in questo valore la soglia dell’OP.
Definizione diagnostica dell’osteoporosi sulla base del T-score
densitometrico
T-score
— > –1
normale;
— da – 1 a – 2.5
osteopenia;
— < – 2.5
osteoporosi;
— < – 2.5 + fratture osteoporosi conclamata.
L’esecuzione della densitometria ossea è raccomandabile a tutti
i soggetti a rischio di OP. La diagnosi di OP richiede sempre l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio, per escludere cause di OP
secondaria.
In alcuni casi può essere necessario ricorrere ad esami di laboratorio più specifici, quali il dosaggio della vitamina D (soprattutto nelle persone più anziane) e del paratormone.
Fattori di rischio che pongono indicazione alla densitometria
MAGGIORI
— età > 65 anni;
— frattura vertebrale;
— frattura da fragilità dopo 40 aa;
— storia familiare di frattura da osteoporosi (soprattutto frattura femorale nella madre);
— terapia con glucocorticoidi per più di 3 mesi;
— sindrome da malassorbimento;
— iperparatiroidismo primitivo;
— propensione alla caduta;
— ipogonadismo;
— menopausa precoce (prima dei 45 anni).
MINORI
— artrite reumatoide;
— storia di ipertiroidismo clinico;
— terapia cronica con anticonvulsivanti;
— basso introito di calcio nella dieta;
— fumo;
— eccesso di alcol;
— eccesso di caffeina;
— basso peso corporeo;
— terapia cronica con eparina.
Quando chiedere una radiografia della colonna dorso-lombare
1) dolore vertebrale intenso, che peggiora con la stazione eretta,
anamnestico o in corso;
2) riduzione dell’altezza > 3 cm.;
3) cifosi dorsale;
4) marcata riduzione dei valori densitometrici;
5) età superiore ai 70 anni.
Quando chiedere un’indagine densitometrica
1) nelle donne dopo i 60 anni;
2) nelle donne in postmenopausa di età inferiore ai 60 anni
con fattori di rischio;
3) donne in premenopausa o uomini in trattamento continuativo con corticosteroidei, affetti da iperparatoroidismo primitivo o
morbo di Cushing;
4) nelle donne o negli uomini con sospetto radiologico di osteoporosi o con fratture non dovute a traumatismi efficienti.
Prevenzione, principi generali
Dieta con adeguato contenuto di calcio (0.5 g./die sino a 3 aa,
0.8 g./die sino a 8 aa, 1-1.5 g./die oltre gli 8 aa).
Adeguati livelli di vitamina D (esposizione al sole, supplementazione con 400 Ul./die nei giovani adulti, 800 Ul./die dopo i 70 aa).
Esercizi sotto carico.
Abolizione del fumo.
Identificazione precoce di cause di Osteoporosi secondaria.
Rimozione cause di caduta individuali e ambientali.
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11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
Farmaci impiegati nella terapia dell’Osteoporosi
— terapia antidolorifica (analgesici);
— bifosfonati:
– 1ª fase im o ev per cicli;
– 2ª fase per os.
Composti che agiscono sui recettori estrogenici
1) estrogeni;
2) serm;
3) tibolone;
Bisfosfonati
1) etidronato;
2) clodronato;
3) alendronato;
4) risedronato.
Terapia con “anabolizzanti”
1) anabolizzanti androgeni;
2) PTH.
TERAPIA SPECIFICA
Osteopenia
— misure preventive e integrazione di Ca++ e vit D.
Osteoporosi
— bifosfonati, serm (sesso femminile);
— integrazione Ca++ e vit D.
Osteoporosi sintomatica (cedimenti e/o fratture)
In particolare si ricorda che l’impiego dei bifosfonati (etidronato, clodronato) è regolamentato dalla nota AIFA 42 che ne limita
tra l’altro la prescrizione al trattamento delle lesioni osteolitiche da
metastasi ossee. Per quanto riguarda l’osteoporosi post-menopausale, l’etidronato somministrato per via orale non ha dimostrato nei
trial clinici controllati risultati univoci e quindi non è da considerare di sicura efficacia rispetto ad endpoint clinici.
L’impiego dei bifosfonati (alendronato risedronato) è regolamentato dalla nota AIFA 79 che ne limita la prescrizione nella prevenzione secondaria di fratture osteoporotiche in donne post-menopausa ed in uomini con pregresse fratture vertebrali o del femore
non dovute a traumi efficienti ed in profilassi primaria di fratture
osteoporotiche in donne post-menopausa o uomini di età > 5mg./die
di prednisone o dosi equivalenti di altri corticosteroidi.
Si ricorda che tali principi attivi non sono privi di effetti collaterali anche gravi dei quali bisogna tenere conto nella valutazione
complessiva della terapia.
MENOPAUSA
Riconoscimento dei fattori di rischio per
OSTEOPOROSI
Fattori di rischio
NO
Fattori di rischio
SI
Attendere e rivalutare all’età
di 60-65 anni
Misure preventive generali
DENSITOMETRIA
BMD > –1 T-score
Misure preventive generali:
• calcio alimentare
• attività fisica
• abitudini di vita
Eventualmente
rivalutare dopo
3-5 anni
BMD da –1 a –2,5 T-score
BMD < –2,5 T-score
Misure preventive generali:
valutare eventuale prevenzione
farmacologica secondo i fattori
di rischio nei soggetti < 65 anni
Misure preventive generali
Biochimica std. e markers
del turnover
Altri accertamenti per diagnosi
differenziale
Forte indicazione
al trattamento
Rivalutare dopo 2-3 anni
Controllare efficacia della terapia
3-6 mesi: markers del turnover
12-18 mesi: densitometria
11-11-2005 - GAZZETTA UFFICIALE DELLA REGIONE SICILIANA - PARTE I n. 48
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Erogabilità della densitometria ossea regolamentata dal decreto dell’Assessorato regionale della sanità n. 1062 del 27 giugno 2002
(Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 31 del 5 luglio 2003).
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Ipogonadismo e/o menopausa precoce (< 45 anni), chirurgica o chimica. Amenorrea prolungata (> 1 anno).
Trattamenti prolungati (> 6 mesi) corticosteroidi (> 5 mg./die di prednisone equivalenti).
Trattamenti prolungati (> 3 mesi ) con i seguenti farmaci:
fenitoina;
fenobarbital;
eparine ed analoghi;
terapia anticoagulante ed analoghi;
Storia familiare (parentela di 1° grado) di fratture di femore e vertebrali.
Riduzione di altezza del corpo vertebrale di 4 mm.
Indice di massa corporea < 19 Kg./m.
Endocrinopatie limitatamente a ipertiroidismo, iperparatiroidismo, morbo o sindrome di Cushing e malassorbimento.
Precedenti fratture da fragilità (limitatamente a femore, colonna vertebrale, polso).
Controllo successivo
Un controllo successivo è consigliabile solo dopo un intervallo di 18 mesi, in presenza di precedente referto patologico con
T-score > –1DS
BIBLIOGRAFIA
1) Cranney A, et al.: Meta-analyses of therapies for post-menopausal Osteoporosis. Endocrine Reviews 2002; 23: 495-578.
2) Felsenberg et al.: Incidece of vertebral fracture in europe:
results from the European Prospective Osteoporosis Study (EPOS).
J. Bone Miner Res. 2002; 17: 716-724.
3) NIH Consensus Development Panel on Osteoporosis prevention, diagnosis, and Therapy. Osteoporosis prevention, diagnosis and therapy. JAMA 2001; 285: 785-95.
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DECRETO 13 ottobre 2005.
Individuazione di una unità di valutazione Alzheimer
presso il presidio ospedaliero Santa Marta e Santa Venera
di Acireale.
IL DIRIGENTE GENERALE
DELL’ISPETTORATO REGIONALE SANITARIO
Vista la nota AIFA 85 di cui alla determinazione AIFA
29 ottobre 2004, che prevede la prescrivibilità a carico
del servizio sanitario nazionale dei farmaci per l’Alzheimer (inibitori dell’acetil-colinesterasi), su diagnosi e
piano terapeutico delle UVA individuate dalle regioni e
dalle province autonome, limitatamente ai pazienti con
malattia di Alzheimer di grado lieve e moderato;
Vista la nota prot. n. 23868 del 30 marzo 2004, con
la quale il direttore generale dell’Azienda sanitaria locale
n. 3 di Catania comunicava l’istituzione presso l’unità
operativa complessa di geriatria del presidio ospedaliero
di Acireale del “Centro demenza” richiedendo, al contempo, il riconoscimento del precitato centro;
Vista la deliberazione n. 587 del 5 marzo 2004, con
la quale l’Azienda unità sanitaria locale n. 3 di Catania
istituiva presso l’unità operativa complessa di geriatria il
“Centro demenza”, per l’assistenza, sia dal punto di vista diagnostico che da quello terapeutico, ai pazienti affetti da deterioramento mentale;
Vista la documentazione attestante la capacità diagnostico-assistenziale della malattia di Alzheimer da
parte della suddetta struttura;
Considerato che nell’intero territorio provinciale i
centri individuati ricadono quattro nella città di Catania
e tre rispettivamente nei comuni di Caltagirone, AcirealeGiarre e Paternò-Gravina e che a questi ultimi afferiscono
circa 500 pazienti di cui circa il 55,5% nella sola U.V.A.
allocata presso il dipartimento di salute mentale del distretto di Acireale;
Ritenuto, al fine di rendere più omogenea l’assistenza
sanitaria a questa particolare categoria di pazienti rendendo più capillare l’accessibilità alle strutture assistenziali all’uopo preposte, di dover individuare l’unità valutativa in questione allo scopo di rendere più efficace il
piano assistenziale per la diagnosi e il trattamento del
morbo di Alzheimer e per la definizione del piano terapeutico dei nuovi farmaci ammessi al rimborso;
Visto lo Statuto della Regione;
Vista la legge 23 ottobre 1992, n. 421;
Visti il D.L. n. 502/92 e successive modifiche ed integrazioni;
Vista la legge regionale 3 novembre 1993, n. 30;
Visto il P.S.R. 2000/2002, che individua, tra l’altro, fra
gli obiettivi prioritari il rafforzamento della tutela dei
soggetti deboli;
Visto il decreto del Ministero della sanità, Commissione unica del farmaco del 20 luglio 2000, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie
generale, n. 204 dell’1 settembre 2000, di approvazione
del “Progetto Cronos” protocollo di monitoraggio dei
piani di trattamento farmacologico per la malattia di
Alzheimer;
Visto, in particolare, l’art. 1, comma 2, che assegna
alle regioni e alle province autonome il compito di identificare le unità di valutazione per i1 monitoraggio dei
piani di trattamento farmacologico della malattia di
Alzheimer (UVA) secondo le indicazioni contenute nel
Decreta:
protocollo;
Visti i decreti nn. 32752/2000, 33377/2000, 33655/
Art. 1
2000, 34071/2001, 33791/2001, 33792/2001 e il decreto
Per le motivazioni di cui in premessa, le unità valun. 6083/2005, con i quali sono state individuate le unità
di valutazione per il monitoraggio dei piani di tratta- tative (UVA) individuate per la diagnosi, cura e monitoraggio dei piani di trattamento farmacologico dei pazienti
mento farmacologico della malattia di Alzheimer;