Giovanna d`Arco2 - accademiasalute

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Giovanna d`Arco2 - accademiasalute
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Giovanna d’ Arco
“Senza la grazia di Dio, non saprei fare niente”.
Questa è la frase pronunciata da Giovanna d’Arco durante il processo di
eresia indetto contro di lei nel maggio 1431; parole chiare che testimoniano
la sua fede incrollabile e la completa
sottomissione alla Volontà divina.
Giovanna nacque a Domrémy-la-Pucelle il 6
gennaio 1412, figlia di una famiglia di contadini.
La Francia in quel periodo era sconvolta da una
lunga guerra civile che vedeva gli inglesi
dominare, in seguito alla sanguinosa Guerra dei
Cent’anni, su gran parte della nazione.
La vita di Giovanna trascorse nella semplicità e
nella preghiera fino a che, all’età di tredici anni,
successe per lei un fatto straordinario che
avrebbe cambiato completamente la sua vita e
la sorte della Francia stessa: l’apparizione dell’Arcangelo Michele.
La storia della mistica ci insegna che chiunque vuol percorrere un cammino
di perfezione spirituale, prima o poi incontra un Angelo. E’ successo al
profeta Isaia, ad Ezechiele, a San Francesco d’Assisi, a San Bonaventura, a
San Galgano e ad altri personaggi (santi o sante) i quali ebbero quella stessa
visione.
Nel caso di Giovanna d’Arco, San Michele le apparve donandogli una spada.
La spada, chiaro simbolo di volontà incrollabile, nelle sue mani diventa
l’arma del cavaliere “senza paura e dal cuore puro”, che combatte contro gli
“spiriti di nequizia” presenti nei cieli e sulla terra e che si fa difensore dei
deboli e degli oppressi.
Fu in seguito a questa visione ed alle parole
udite che la esortavano a difendere la
Francia dagli invasori, che Giovanna si fece
giovane paladina di Cristo e, alla stessa
stregua di un cavaliere templare, maturò
l’idea di partire dal suo villaggio per
risollevare le sorti della nazione.
La prima mossa fu quella di contattare il
capitano della piazzaforte di Vaucouleurs e
di convincerlo ad accompagnarla al cospetto
del sovrano di Francia. Arrivata al
castello reale di Chinon, il 23 febbraio
1429, chiese ripetutamente un
colloquio con Carlo VII, erede
legittimo al trono.
Il Delfino di Francia, molto scettico nei
confronti di quella giovane che veniva
a parlagli di libertà e di inevitabili
scontri armati, arrivò a riceverla
camuffandosi da cortigiano per non
farsi riconoscere; Giovanna, pur non
avendolo mai visto, riuscì subito ad identificarlo ed a convincerlo, con
l’ardore delle sue parole, a muoversi in quella direzione.
“Vi porto notizie dal nostro Dio. Il Signore vi renderà il vostro regno, voi
sarete incoronato a Reims e scaccerete i vostri nemici”: così Giovanna esortò
il suo re. Fu allora che Carlo VII,
persuaso da tanto impeto, si decise a
mettere la giovane al comando di
settemila uomini e di farla partire alla
volta di Orléans, città ormai dominata
da tempo dagli inglesi.
Questa spedizione militare si presentò
ben presto differente da tutte le altre.
Giovanna d’Arco portò all’interno di
quella truppa una vera e propria
riforma religiosa e morale. Impose ai
soldati uno stile di vita rigoroso e quasi monastico, proibì qualsiasi tipo di
violenza e saccheggio e li invitò a riunirsi in
preghiera due volte al giorno intorno al proprio
stendardo.
Soldati e capitani rimasero positivamente
contagiati dal carisma di quella giovane
condottiera e, sostenuti dalla popolazione di
Orléans, attaccarono con lei le fortificazioni
inglesi, le distrussero e liberarono la città.
Si dice che l’esercito arrivò alle porte della città
preceduto da un lungo corteo inneggiante il
“Veni Creator”: Giovanna d’Arco sul suo cavallo
bianco e subito dietro di lei le milizie francesi.
La giovane, vestita da soldato, con la spada in
pugno ed in mano il candido
stendardo costellato di gigli dorati
(con al centro Dio e gli Arcangeli
Michele e Gabriele) era riuscita a
raccogliere un gran numero di
volontari ed a riportare quella
vittoria: “Jeanne la Pucelle” fu da
quel momento il suo nome e
diventò il fulcro carismatico di tutte
le armate della Francia.
La liberazione d’Orléans segnò un cambiamento totale delle sorti del Paese
perché impedì che i Borgononi, alleatisi con gli Inglesi, occupassero l’intera
parte meridionale della regione e dette
inizio all’avanzata francese nella valle
della Loira.
Carlo VII si era rifugiato nella città di
Loches, situata tra l’Indre e la Loira, e
Giovanna andò a raggiungerlo nel suo
castello per convincerlo ad andare a
Reims e farsi incoronare re di Francia.
Il 27 luglio 1429 il corteo reale si mosse
alla volta di Reims, preceduto da
un’avanguardia condotta dalla Pulzella
d’Orléans.
La Cattedrale di Reims, vero capolavoro di arte gotica, costruita nel 1211, fu
scelta come sede dell’incoronazione dei Re di Francia già dal lontano 496
quando San Remì (Arcivescovo della città) battezzò, durante la notte di
Natale, Re Clodoveo sancendo così l’unione indissolubile fra i Franchi ed il
Cristianesimo. Si dice che in quell’occasione apparisse misteriosamente una
colomba bianca che portava nel becco
un’ampolla d’olio; quel balsamo denso e
giallastro fu da quel giorno utilizzato per tutte
le successive incoronazioni e, cosa ancora più
misteriosa, il livello del liquido contenuto
nella Santa Ampolla rimase sempre il
medesimo.
Con quell’olio sacro il Re diventava l’ “unto
del Signore”, depositario di un Fuoco
Spirituale che lo consacrava Re e Sacerdote.
In quell’occasione riceveva un mantello
costellato di gigli su fondo azzurro, un anello,
uno scettro e una corona. Quel mantello
rappresentava la volta celeste costellata di stelle e
quei gigli trovavano relazione con la Vergine
Maria, con la sua purezza; l’anello sanciva il
matrimonio del Re con il suo reame, lo scettro il
potere di saper governare con giustizia ed infine
la corona lo designava “il centro” della Ruota
Cosmica, vera ipostasi di Cristo qui sulla terra.
Per la consacrazione di Carlo VII fu adottato lo
stesso cerimoniale.
Il 17 luglio 1429 Giovanna d’Arco fece sedere il
Delfino di Francia sul trono di San Luigi e, avvenuta la sua incoronazione, si
inginocchiò davanti a lui pronunciando
queste parole: “Gentile Re, ora è stata
eseguita la volontà di Dio che voleva che
voi veniste in questa città di Reims a
ricevere la vostra santa consacrazione,
dimostrando che voi siete il vero re, colui al
q u a l e i l r e a m e d i Fr a n c i a d e v e
appartenere.”
Dopo questo rito solenne Carlo VII si sentì
pienamente soddisfatto ed in lui decadde la
volontà di continuare a combattere per
liberare il resto della Francia. Così
Giovanna, da sola, con poche centinaia di
uomini rimasti, rinnovando la sua fede in Dio, continuò a portare avanti il
compito divino che le era stato affidato.
Il 23 maggio 1430 la giovane, mentre alla testa dei suoi quattrocento uomini
cercava di portare aiuto alla città di Compiègne, venne fatta prigioniera dai
Borgognoni ed il 6 dicembre dello stesso
anno fu venduta agli Inglesi per 10.000
ducati d’oro. Da quel momento cominciò la
sua atroce detenzione che la vide accusata
delle più terribili infamie.
L’Università di Parigi, nel frattempo, ne
aveva richiesto la consegna e Giovanna
d’Arco fu portata a Rouen ed imprigionata
nella torre del castello della città. Qui la sua
prigionia fu durissima: fu rinchiusa in una
angusta cella guardata a vista da soldati inglesi;
le sue caviglie furono serrate in ceppi di ferro e
le sue mani strettamente legate.
Il processo ebbe inizio il 3 gennaio 1431 e
Pietro Cauchon, vescovo di Beauvais, iniziò la
procedura portando avanti le accuse di “eresia”
e di “stregoneria”. La detenzione e le angherie
subite non riuscirono a fiaccare lo spirito di
Giovanna che corag giosamente se ppe
fronteggiare le accuse rispondendo con
accortezza e saggezza. Alla richiesta di affidarsi
completamente alla autorità ecclesiastica e di
abiurare i crimini contenuti negli atti di
imputazione, la giovane rispose che l’unica autorità che lei riconosceva era
quella di Dio e che si affidava completamente a Lui.
Jean d’Estivet, canonico di Beauvais a cui
Cauchon aveva dato l’incarico, redasse l’accusa
contro Giovanna condensandola in dodici
articoli in base ai quali veniva considerata
“idolatra”, “blasfema” “eretica” “scismatica” ed
evocatrice di forze demoniache. Tutte le udienze
del processo furono fatte a porte chiuse
sottoponendo la giovane alle più terribili torture
da un punto di vista morale; nonostante tutto la
sua risposta fu sempre la stessa: “Mi rimetto a
Dio ed alla sua volontà”.
Il 29 maggio Giovanna d’Arco fu condannata al
rogo e la sentenza fu eseguita subito il giorno
dopo.
Il 30 maggio 1431 due frati domenicani
entrarono nella sua cella; uno di questi
ascoltò la sua confessione e le somministrò
l’eucarestia.
Giovanna, vestita di una lunga tunica
bianca, scortata da circa duecento soldati fu
condotta nella piazza del Vieux Marché e lì
salì fino al palo al quale venne incatenata.
Una grande quantità di legna fu messa sotto
di lei in modo che il supplizio fosse ancora
più terribile. Il fuoco salì veloce; Giovanna
fece in tempo a chiedere dell’acqua
benedetta, poi mentre veniva investita
da quelle fiamme gridò a gran voce il
nome di Gesù.
Così, a soli diciannove anni morì
Giovanna d’Arco, una delle tante
vittime innocenti dell’Inquisizione.
Anche in questo caso furono i raggiri
politico-ecclesiastici orditi dalla così
detta “ragione di stato” a determinarne
l’atroce morte.
Carlo VII, quel re che lei amava tanto, non fece niente per ottenere il suo
rilascio; solo nel 1450 ordinò una revisione analitica di quel processo al fine
di riottenerne la totale riabilitazione.
La Francia si era ormai risollevata dal pericolo imminente dell’invasione
inglese ed adesso poteva venerare la sua eroina.
Il 18 aprile 1909 Giovanna d’Arco venne
beatificata da papa Pio X ed il 16 maggio
1920 papa Benedetto XV la proclamò
santa, riconoscendo i miracoli da lei
compiuti.
Giovanna d’Arco da quel giorno fu
dichiarata patrona di Francia e l’8 maggio
(giorno della battaglia d’Orléans) fu
dichiarato festa nazionale. Tutt’oggi non
esiste chiesa, in Francia, in cui non appaia
la sua effigie.
Le cittadelle di Chinon e di Loches
ricordano tuttora con targhe commemorative e statue il suo coraggio e il suo
valore. La città di Rouen ha innalzato, nel
punto esatto del suo martirio, un’alta pertica in
pietra che termina con una croce di acciaio; a
pochi metri, in suo onore, è stata edificata una
chiesa ed un piccolo museo è stato allestito nella
via adiacente.
Le città di Reims e di Orléans hanno dedicato a
Giovanna d’Arco grandi statue equestri a pochi
metri dalla cattedrale. La cittadella di Lagny sur
Marne ha voluto ricordarla con una statua posta
accanto alla chiesa a lei intitolata; sulla targa,
affissa sulla facciata, si menziona un famoso
miracolo da lei compiuto qualche mese
prima di morire.
Anche l’Inghilterra non è rimasta insensibile
alla grandezza della sua forza e numerose
sono le cattedrali nelle quali viene ricordata.
Giovanna d’Arco pagò a caro prezzo la fama
di cui adesso gode e ancor oggi è rimasta il
modello di fede, di coraggio e di carità
d’amore a cui l’umanità deve attenersi.
Nel museo allestito nella Torre dell’Orologio
del Castello di Chinon, è stata trascritta la
frase da lei udita in quel lontano 1425: “Figlia di Dio, vai, io sarò al tuo
fianco, vai!” (III,12; VI,253)
Fu dopo quelle parole che Giovanna iniziò
la sua missione. L’alto ideale che la
giovane perseguiva la portò a lottare e
combattere contro ogni tipo di
scetticismo, avversione ed insidia.
Giovanna d’Arco rappresenta la donna
che, spinta da una Volontà divina che
conduce sempre in un’unica direzione,
accetta quella “chiamata” e si muove
secondo il volere del Cielo e non
secondo i dettami politici.
I santi sono diventati tali perché hanno
ascoltato quella “voce” e, senza alcun
indugio, hanno dato un taglio alla loro vecchia vita
muovendosi solo ed esclusivamente a beneficio del
prossimo e di Dio.
San Paolo ricorda che bisogna diventare “atleta” di
Cristo per combattere le “potenze inique dei
cieli” (che abitano fuori e dentro di noi) ed invita a
rivestirsi di quella corazza di fede, amore e carità
necessaria per fronteggiarne tutti gli ostacoli.
Quella spada, che l’Arcangelo Michele pose tra le
mani di Giovanna d’Arco, rappresenta la volontà
iniziatica per eccellenza e chi la impugna diventa
l’eroico cavaliere che mette la propria vita a
disposizione dell’ Ideale.
Origene diceva: “Lo puoi fare” perché a quel punto non sei più solo, c’è il
Cristo che milita con te.
Colui o colei che si fa “combattente” per un così alto scopo, riconquista la
sua vera dignità di uomo, di donna e di cristiano: diventa un “cittadino del
Cielo” e non più di questa terra.