Alc. fr. 332 V. (…) ÷ Ora ci si deve ubriacare, e bere anche a forza

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Alc. fr. 332 V. (…) ÷ Ora ci si deve ubriacare, e bere anche a forza
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1XQF HVW ELEHQGXP: la ferocia di Orazio (&DUP I 37), pronto a ‘stappare’ il miglior Cecubo
(v.5) per celebrare la morte di quel IDWDOHPRQVWUXP (v. 21) di Cleopatra, aveva ancora una volta un nobile SHGLJUHHletterario, e precisamente in questo carme alcaico per l’inattesa – ancorché sospirata e perciò
tanto più dolce – morte dell’odiato Mirsilo, di cui il testimone, Ateneo (X 430c), cita probabilmente i
primi due endecasillabi alcaici, a dimostrare come Alceo fosse solito bere, tra l’altro, nei momenti di
letizia.
(…)
÷
0HWUR: due endecasillabi alcaici (ia Rgl: ZNM=NZ=NMMNMW8), certamente la parte iniziale di una strofe
alcaica; FRUUHSWLRµ$WWLFD¶: v. 1
.
Ath. X 430c || $
Ahrens :
cum $ Buttmann |
$ :
Lobel ad correptionem vitandam || Ora ci si deve ubriacare, e bere anche a forza, dacché infine è morto, Mirsilo.
, “ubriacarsi”, è
È un simposio che può finalmente prendere la via dell’ebbrezza più sfrenata –
intiepidito dall’oraziano HVWELEHQGXP, ma i VRGDOHV di Alceo avrebbero bevuto anche senza gioia, ed è
proprio tale esagerazione che marca l’eccezionalità della festa – quello inaugurato dal dirompente
incipitario “ora” ( ), che esprime enfaticamente il punto di partenza della gioia e anticipa la temporale, al v. 1, è nel contempo indefinito e distributivo, “uno” e
causale “dacché …”: e persino chi (
, v. 1) “bere”, persino “a forza” (
), “da quando” e
“ciascuno”) non avesse sete “deve” (
, v. 2) finalmente è morto (
) Mirsilo (con enfatico ritardo del nome proprio
“perché” (
nella clausola del v. 2). Come questa gioia continuasse a debordare, Ateneo non lo ha riportato e sarebbe
imprudente desumerlo da Orazio, abituato a riprendere dai suoi modelli greci ‘motti iniziali’, per continuare poi lungo strade autonome. Ad Alceo si richiama l’oraziano Carducci, in 3HULO/;;9,,,DQQLYHU
VDULRGHOODSURFODPD]LRQHGHOOD5HSXEEOLFDIUDQFHVH 13-16: 9LQRHIHUURYRJO¶LRFRPHD¶EHJOLDQQL/$O
FHRFKLHGHDQHOFDQWLFRLPPRUWDO / LOIHUURSHUXFFLGHUHLWLUDQQL / LOYLQSHUIHVWHJJLDUQHLOIXQHUDO.
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La morte di Mirsilo non ha portato al potere l’eteria di Alceo. E anzi, l’alleato di un tempo, quel
Pittaco di origine tracia (test. 469 V.), approdato forse al pieno VWDWXV di nobile solo grazie alle seconde
nozze di una madre lesbia (cf. frr. 72,11-13 e 129,13 V.) e perciò detto qui “di schiatta plebea” (v. 1), ha
tradito la causa dell’aristocrazia, facendosi eleggere “arbitro” (
) – ma Alceo dice
(v. 3) – dagli imbelli Mitilenesi. Che l’inclusione di Pittaco tra i Sette Sapienti, i suoi detti moderati (cf.
Diog. Laert. I 75-79) e la sua elezione ‘bulgara’ ne attestino una volta per tutte l’equanimità, riversando
sui coloriti e giambici insulti alcaici – da “volpe” (fr. 69,6 V.) a “salsiccione” (fr. 129,21 V.), da “piedi
piatti” a “piedi con le ràgadi”, da “spaccone” a “pancione”, da “gozzovigliatore nelle tenebre” a
“sozzissimo” (tutti nella test. 429 V.) – l’intero onere della faziosità, è assunto condivisibile solo da chi
ignori che le notizie biografiche antiche non erano meno ‘di parte’ di quelle moderne, e che non solo i
dittatori moderni hanno talora affidato a elezioni – più o meno libere – le proprie fortune. Ma che l’amaro
sarcasmo di Alceo – contenuto in un carme conviviale, come documenta Aristotele (3RO III 9,6, 1285a
33-1285b 3), testimone principale del frammento – riflettesse lo stato d’animo smarrito di un’aristocrazia
che la storia stava ormai privando degli antichi privilegi, pare invero indubitabile.
< >
0HWUR: asclepiadei maggiori (gl2c: NZNMMN=NMMN=NMMNMW8).
Arist. 3RO
9,6, 1285a 33-1285b 3 (cum translationibus G. de Moerbeca [216 Susemihl] et L. Aretini
[269 ed. Argentorati 1469, f. 41 edd. Venetiis 1513 et 1595]) (I); Plut. $PDW 18, 763e (II).
< > post I(transl. Aretini ed. Argentorati) Blass : Cf. Hesych. 4094 L. || I(rell.) || I(û) : û- I(rell.) |
Giese :
I|
I( transll. de Moerbeca et
D
Aretini ed. Venetiis 1595) :
- I(+ transl. Aretini edd. rell.) ||
I(rell.) :
I(û) |
I, II.
Ahrens : -
lui ch’è di schiatta plebea, Pittaco, della città imbelle e oppressa da un greve destino lo
elessero tiranno, e l’acclamarono forte tutti in massa.
“Imbelle” (
) e “oppressa da un greve destino” (
) definiscono rispettivamente
, “di schiatta
la causa e l’effetto dell’elezione di Pittaco per Mitilene: ritardato dall’insulto
plebea” (v. 1), il nome del nemico compare all’inizio del v. 2, accanto all’iroso pianto sul destino della
, parola di
città, e alla livorosa ironia con cui, al v. 3, è descritta quell’elezione all’unanimità (
chiare ascendenze epiche [30x nei poemi omerici] e qui fortemente sarcastica), sottolineata da sonora ap’
): è l’anno 590 (cf. Diog. Laert. I 74s.) e il neo-esimnete – protetto da una
provazione (
guardia del corpo cittadina – terrà il potere militare e civile per un decennio, opponendosi alle frange più
estreme dell’aristocrazia e pacificando Lesbo. Un potere così pervasivo da penetrare persino nei canti
popolari, come attesta la canzoncina lesbia della molitura (30*869): “Macina, mola, macina: / macinava
anche Pittaco, / quand’era re di Mitilene grande”. Dove è incerto se l’azione vada inquadrata nel WySRV del
saggio che governa da uomo del popolo e non disdegna l’umiltà del lavoro manuale, in un velenoso :LW]
contro il tiranno raffigurato nell’atto di ‘macinare’ brutalmente il suo popolo, ovvero in un’oscena
ERXWDGH di femmine fantasticanti, sul lavoro, la mirabile DUV PROHQGL di un poderoso maschio (per la
metafora, cf. Pompon. fr. 100 Ribbeck3).
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Un simposio – anzi, la prima occorrenza della parola “simposio” nella letteratura greca –
topicamente caratterizzato da vino (vv. 3s.), festa (v. 5), e divertimento musicale (vv. 3s.), ma fin
dall’inizio rabbuiato dalla presenza di personaggi negativi (v. 4), e poi focalizzato sulla minacciosa figura
di Pittaco (vv. 6-13), il SDUYHQX (v. 6), che divora la città (v. 7) e costringe anche chi non vorrebbe a
prendere le armi in una vera e propria guerra civile (vv. 8-13), è quanto si ricava dai resti di 32[\1234
fr. 2 c. I 1-13, con i relativi scolî marginali, testimone unico del frammento.
>@y>y@y Öyyyy>
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> @ …
5
10
0HWUR: strofe tetrastiche composte da due coppie di giambo + gliconeo (ia gl: ZNMNZZNTNMN8) e
gliconeo con inserto coriambico (glc: ZZNTNNTNMN8^).
3 2[\ 1234 fr. 2 c. I 1-13 (cum scholl.) || init.
dub. Lobel || suppl. Hunt || >
Schmidt || > Bowra || > Kamerbeek || Diehl :
Lobel || suppl. Hunt
>
].[.].F•K•. . . . [ […] S•[.]WRL dire queste cose RG\[ […]. Si allieta nel canto, prendendo
parte a un simposio, la lira, insieme a folli spacconi […], facendo festa con loro (?) HSD[
[…]. Ma quello, imparentantosi agli Atridi, divori la città, come con Mirsilo […], finché
Ares voglia volgerci alle armi (?): potessimo scordare questa rabbia […]; allentiamo la
disgregazione che ci mangia l’animo, e la guerra intestina, che uno degli Olimpî suscitò,
spingendo il popolo dentro alla follia, e dando a Pittaco gloria deliziosa.