Appunti di comportamento organizzativo

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Appunti di comportamento organizzativo
Comportamento organizzativo
Prof. Costa - [6 crediti] - II Semestre
Introduzione al corso
Il comportamento organizzativo è come si riesce a far accadere le cose all’interno di un’azienda.
L’organizzazione aziendale non è fatta di formule o organigramma, ma è fatta di uomini. I comportamenti
che i modelli economici ipotizzano come razionale deve fare i conti con le persone, con la varietà umana. Il
comportamento che nella teoria economica è postulato come razionale deve fare i conti con la realtà umana.
Gli individui inoltre non sono soli, ma in azienda sono in gruppo.
La disciplina si occupa di interpretare come implementare le decisioni nella realtà concreta delle persone.
Le decisioni sono processo decisionale all’interno dell’azienda, ad esempio, come implementare una
campagna di vendita per il lancio di un nuovo prodotto.
C’è una varietà di soggetti il cui comportamento deve essere indirizzato e realizzato nella situazione
concreta: il processo decisionale.
Altro tema è la leadership: come una persona riesce effettivamente a coinvolgere le persone, a mobilitarle
per il raggiungimento degli obiettivi.
Altro aspetto è la negoziazione: altra variabile è il potere all’interno dell’organizzazione. Chi detiene il
potere tende a negoziare ovvero arrivare ad un compromesso per arrivare a realizzare un quantum per
entrambe le parti. Ad esempio, negoziare un comportamento, un budget.
La cultura e la comunicazione. Un’azienda è sessista: discriminare un sesso. Un’azienda è internazionale:
ha una cultura di apertura alle problematiche multietniche, multirazziali o multinazionali.
Il cambiamento organizzativo: cambiare una strategia presuppone probabilmente cambiare anche
organizzazione.
Infine, un’incursione dei tratti della personalità: non si tratta dell’uomo aeconomicus, ma delle persone vere.
Film1: Alpacino in un episodio di leadership. Espediente dell’empowerment. Simon: scomposizione del
problema.
Alle basi del comportamento individuale (capitolo 1)
Il comportamento nasce dalle caratteristiche delle persone. Dalla prima impressione nasce il giudizio: poi
conosciuta la persona, il giudizio cambia. Attraverso i suoi comportamenti si è capito di più della sua
personalità. I comportamenti dipendono dalla situazione e dai tratti profondi della persona.
In che misura lo studio della personalità può indirizzare il comportamento all’interno dell’organizzazione.
Senza entrare nella psicologia vengono espressi dei giudizi e facciamo delle congetture sulle persone: è
necessario produrre qualche schema di riferimento per interpretare il nostro comportamento e quello degli
altri.
In termini generali, il comportamento è funzione dell’individuo, delle sue caratteristiche e della situazione.
L’ambiente in genere è un ambiente sociale fatto da altre persone: il fatto d’essere un gruppo ristretto può
essere diverso da quello di un gruppo più ampio. I tratti personali non possono essere modificati, ma
possono essere accentuati in una situazione o nell’altra a seconda dell’ambiente e della situazione sociale.
Gli eventi cioè cosa accade nell’ambiente in cui un individuo è collocato. L’evento cambia il ruolo
dell’ambiente nel comportamento.
L’individuo. Ognuno ha un patrimonio genetico e l’individuo è definito in una certa misura dai suoi geni: è
un fatto ereditario e genetico. Altri fattori possono essere di ordine cognitivo come le conoscenze che sulla
base di geni, l’esperienza e la conoscenza che si è inserita, gli atteggiamenti, l’orientamenti rispetto ad un
fenomeno o ad un altro, i bisogni della personalità, ecc.
Comportamento = f (individuo, ambiente)
Gli studi di comportamento organizzativo sono di orientamento “behviourista” (=comportamento in
inglese): non si può conoscere nulla se non quello che vedo. Tale orientamento postula che l’unica forma di
conoscenza degli uomini è quella che si vede nei comportamenti. Ci sono invece scuole di pensiero
contrarie a questo approccio.
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Ci possono essere comunque delle ipotesi in cui far indagare della mente umana. Lo sviluppo delle
neuroscienze pensano di leggere ciò che accade nel cervello: è un altra opzione.
Noi adottiamo l’opzione che il comportamento è quello visibile: forme, espressioni, verbali e non.
I comportamenti hanno delle conseguenze in termini di produttività, efficacia e risultato dell’azione.
La personalità
Escluse le categorie genetiche, adottiamo un approccio non determista (viceversa si dice che tutto è
determinato dal patrimonio genetico) che dipende dalla:
- prospettiva cognitiva: capacità attraverso l’apprendimento e della valorizzazione del patrimonio genetico
per arrivare a patrimoni diversi.
- prospettiva evolutiva: fonde la prospettiva genetica e cognitiva.
Entrambe sono positive nel ruolo dell’individuo.
La prospettiva cognitiva
L’apprendimento.
Ci sono due fenomeni da considerare: il fenomeno della socializzazione e l’altro che tende ad assumere
comportamenti di gruppo che un individuo assume. Nei comportamenti di gruppo ci sono dei processi di
mimetismo all’interno del gruppo, ovvero individui che sono portati ad identificarsi col gruppo e ad
assumerne i comportamenti. Il gruppo dice come si deve comportare un soggetto (ad esempio, il
comportamento dei “branchi”).
La socializzazione.
E’ uno dei fenomeni che porta ad interiorizzare i comportamenti del gruppo. L’apprendimento è un fenomeno
più complesso: tende a selezionare i comportamenti più appropriati. Dalla famiglia, si selezionano gli
ambienti anche diversi in base ad una strategia di apprendimento.
Nella prospettiva cognitiva c’è un modello del condizionamento, studiato da uno psicologo sovietico che
facendo esperimenti sugli animali ha scoperto come indurre un comportamento attraverso degli stimoli. Si
parla di comportamento per stimolamento.
La teoria del rinforzo che si basa su questo. Se c’è uno stimolo di un comportamento, c’è una conseguenza
che funge da rinforzo al comportamento. L’apprendimento è una sequenza di prove ed errori che ripetuto
da luogo ad un rafforzamento del comportamento che viene interiorizzati.
La teoria dell’apprendimento sociale sviluppo il concetto della socializzazione: si impara imitando le
persone con le quali abbiamo relazioni. Per questo motivo, nel management si dice che l’apprendimento di
gruppo è più efficace dell’apprendimento individuale.
La prospettiva evoluzionista
Mescola le influenze oggettive sia di tipo genetiche che ambientali con la prospettiva di razionalizzazione dei
comportamenti. Questo è importante perché serve per mettere in evidenza una caratteristica importante che
differenzia un uomo dagli altri animali.
L’uomo è un organismo dotato di un intrinseca capacità di apprendimento. La storia dell’umanità è una
storia di apprendimento. Mentre nella storia del mondo animale non si conoscono evoluzioni dei loro
comportamenti: gli animali hanno dei comportamenti sociali (come il branco): il processo d’apprendimento
degli animali si è fermato se c’è stato. Non son stati selezionati solo i tratti genetici ma anche i
comportamenti sociali. Ad esempio, la cura dei piccoli è qualcosa che è avvenuta per apprendimento.
La novità è aver scoperto l’innata capacità dell’uomo di apprendere.
L’ ideal tipo
Una personalità nevrotica: tendenza a percepire comportamenti negativi. E’ un tratto comune a tutti gli
uomini, ma attraverso la parola nevrotica definiamo un ideal tipo con queste caratteristiche.
Un estroverso è uno che sta bene in mezzo agli altri.
La coscienziosità è una tendenza all’autodisciplina. Si può appaiare con un comportamento organizzativo
della personalità detto il professionista: è colui che ha interiorizzato comportamenti o regole tipiche di un
certo ruolo e ha un elevato commitement riguardo queste regole.
Potere = necessità di primeggiare (diverso dall’essere estroverso).
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I tratti della personalità
1) estroversione;
2) amabilità;
3) coscienziosità;
4) nevroticismo;
5) apertura, alle esperienza, ha capacità di ascolto. Un soggetto più ha potere che responsabilità più deve
avere la capacità di ascoltare gli altri (e non se stesso).
In un processo organizzativo avere la capacità di diagnosticare il tratto prevalente di una persona serve ad
esaltare i tratti di personalità che possono essere complementari. Gli uomini sono tutti fatti di tratti dell’ideal
tipo. Questo serve anche per l’autodiagnosi.
Tratti e orientamento al lavoro
a) l’affettività positiva (personalità aperta): persone che stanno bene con se stesse e con gli altri e riescono a
ritrovare gli aspetti piacevoli di tutte queste situazioni. Se l’affettività positiva è bassa, sono persone
spente perchè soffrono;
b) l’affettività negativa se è alta aggrava i tratti negativi, sono pessimiste. Se questa è bassa, c’è una
personalità più tranquilla.
L’affettività è un fattore di ponderazione degli altri tratti.
In quali situazioni organizzative hanno maggiore impatto i tratti della personalità e questi orientamenti; ci
sono due situazioni organizzative di base:
1) deboli: c’è un basso grado di ristrutturazione; sono situazioni poco definite e formalizzate e quindi
l’organizzazione ha un ruolo debole nei riguardi delle persone.
2) forti: il livello di formalizzazione è elevato, ci sono delle procedure, delle regole e dei ruoli già definiti.
L’individuo, sia in quanto tale, sia nei suoi difetti e carenze, ha un ruolo minore nel bene e nel male. Le
sue caratteristiche impattano poco nell’organizzazione perché è la stessa a guidare l’individuo.
Mentre nelle situazioni a bassa formalità, è tutto da definire e il ruolo dell’individuo gioca una misura
maggiore.
Anche a seconda dell’attività che viene svolta, la formalizzazione può essere più o meno ampia
Orientamenti organizzativi della personalità
1) l’istituzionalizzato: ha interiorizzato i valori dell’organizzazione, c’è committment e impegno nei riguardi
dell’organizzazione; crede e rispetta la gerarchia;
2) il professionista ha un elevato grado di committment, ma nei riguardi di se stesso, in quanto
professionista. Il concetto non è identico a quello di professional nell’organizzazione.
Il conflitto fra il ruolo professional e manageriale (il manager ha una tendenza a identificarsi nel ruolo e nei
valori aziendali), mentre il professional ha un interesse che può entrare in conflitto con i valori dell’azienda.
Ciò non è sempre negativo e va bene quando: le organizzazione il cui successo dipende dall’exploitation
plasmano la razionalità di tipo istituzionalizzato, le altre exploration.
Locus control: sono caratteristiche diverse.
- interno: siamo portati a attribuire ciò che capita a se stessi;
- esterno: siamo portati ad attribuire ciò che capita agli altri.
L’equazione dell’idea di se:
- l’uomo è un essere che ha bisogno di trovarsi in equilibrio fra la valutazione e l’idea che ha di se stesso e il
feedback che ricevono dall’ambiente su questo loro essere. Se l’idea che si ha di se stessi è superiore alla
valutazione effettiva: es. pensavo prendere 30, ma prendo 15: 15/30 = 0,5 < 1 si apre un conflitto e siccome
“è colpa degli altri” c’è una tendenza al riportare al pari studiando di più o delegittimo l’altra parte. L’altra
strada è abbassare l’idea di sè. Se una persona ha una forte tendenza nevrotica conferma questa tendenza.
Legge Brunetta: assegnazione dei premi di produttività.
Un’organizzazione è invece più attenta a valori di tipo affettivo. Ad esempio, le burocrazie hanno una forte
connotazione di questo tipo: culture femminili, perchè richiama la “mamma”. Si contrappone alle culture
maschili: stressano e sono attente alle meritrocazie.
Una pratica retributiva coerente con una cultura maschile crea un conflitto (con se stessi o con gli altri).
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C’è incoerenza fra la cultura dell’organizzazione e questa pratica (si pensi alla pubblica amministrazione).
Ma è possibile intervenire in una cultura dell’organizzazione?
L’aspetto negativo è che non credo nella competenza di chi mi ha valutato e premia i soggetti che cercano di
mettere in atto comportamenti opportunistici.
Il fine identifica il mezzo: se si vuole dominare gli altri, tutto quello che mi consente di raggiungere questo
obiettivo è lecito. La personalità macchiavellica si associa ad una persona fredda e disposta a tutto.
Atteggiamenti, percezioni e giudizi (capitolo 2)
Gli atteggiamenti possono derivare da credenze (da un aspetto cognitivo, da un processo d’apprendimento e
non valoriale) ed è un processo con una sua razionalità, oppure può derivare da valori.
Si definisce atteggiamento come la tendenza a rapportarsi ad un determinato oggetto in termini
positivi o negativi.
Gli atteggiamenti possono essere modificati o per effetto dell’indottrinamento o di processi d’apprendimento.
Gli atteggiamenti cercano l’equilibrio.
L’equilibrio richiede un processo d’aggiustamento incrementale per riportare all’equilibrio quando si crea
una dissonanza fra valori e credenze.
Un esempio di valore
In una società multietnica si crede che tutte le persone hanno la stessa dignità e che tutte le persone devono
avere le stesse opportunità indipendentemente dall’etnia e dalla personale. Questo può essere profondamente
radicato e che conforma i comportamenti.
Una società razzista e sessista invece non dà questa idea di multietnicità.
Un esempio di credenza
E’ un processo cognitivo che in base ad un’esperienza non si associa una valenza in termini di valori: è un
fatto neutro dal punto di vista valoriare. Non bisogna confondere un valore da una credenza. I valori sono
difficili da modificare, mentre le credenze è possibile.
Valori e credenze si formano attraverso la socializzazione. La forma di socializzazione è la famiglia
(socializzazione primaria), poi la scuola, lo sport, la vita di comunità.
La socializzazione primaria è la più importante fra le altre. Ci sono degli studi sugli investimenti in capitale
umano: 100 dollari investiti nella socializzazione primaria rende più di 1000 volte che in capitale fisico.
Investire nel miglioramento della qualità della vita e della famiglia determina fenomeni molto importanti.
In una festa: da uno stimolo o “corbeffo” o costruisco un frame di tipo positivo.
Gli atteggiamenti sono sempre rivolti ad un oggetto che può essere una cosa fisica o una persona: hanno una
componente di tipo affettivo. C’è l’elemento cognitivo e l’elemento emotivo, quest’ultimo introduce un
elemento di distorsione.
Dissonanza cognitiva
Richiamo il concetto di equilibrio. Le persone hanno bisogno di sentire una corrispondenza fra credenze e
valori. Quando la coerenza viene a mancare si parla di dissonanza cognitiva e si crea un conflitto interiore o
organizzativo. Si può spostarsi dall’ambiente o ci sottraiamo dalla stessa.
Il tasso di assenteismo è un criterio per osservare la presenza di una dissonanza o di un conflitto. La prima
cosa che si guarda allora è l’orientamento dei capi: in questi casi l’assenteista deve far sapere che può
derivare da una sua decisione: è una forma implicita.
Lo sciopero è invece è il voice esplicito.
La percezione
Ci sono delle situazioni che percepiamo in un modo o in un altro. La percezione non è un dato oggettivo.
La dimensione, l’intensità: non esiste una realtà data, ma una realtà percepita che dipende dalla
caratteristiche delle persone e dell’oggetto.
Il senso di una situazione è dato dai frame che possono diventare delle distorsioni di tipo cognitivo. Per
descrivere questo concetto è importante il senso dell’organizzazione.
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1) Prima impressione
2) Errori di percezione
E’ l’effetto alone: una caratteristica della persona getta il suo alone su altre caratteristiche. Per esempio, “se
c’è una bella ragazza, sicuramente è stupida”. E’ una persona importante “e quindi sicuramente sarà forte,
leale, intelligente, ecc.”.
3) L’attribuzione
Attribuisco i miei tratti di personalità ad altri. “Cooptare le persone più simili a se stesse”: si selezionano
persone simili. E’ una proiezione di proprie caratteristiche sugli altri. E’ una patologia di un leader molto
frequente, soprattutto se è un leader con bisogno di affiliazione.
Mclelland: potere, affiliazione, achievent. L’affiliazione è il bisogno d’essere accettato dagli altri. Un
soggetto viene accettato da sè stesso. Un leader che ha un forte bisogno d’affiliazione è uno che tende a
cooptare le persone con le caratteristiche che lui reputa simili.
4) Teoria implicita della personalità
Utilizzare un frame per indurre delle caratteristiche particolari.
5) Stereotipi
“quelli nati sotto o sopra il Po”.
Questi errori sono chiamati anche euristiche: procedimento semplificato per arrivare rapidamente ad una
certa decisione, intuitiva o saltando dei passaggi. L’euristica è tipicamente definita come un errore di
percezione. La situazione viene percepita come semplificata in base ad alcuni elementi della situazione. C’è
chi dice che l’euristica è un espediente voluto per arrivare ad una decisione, in una situazione di stress di
tempi.
Il falso negativo è un errore, un giudizio negativo su una persona: ma perdo un’opportunità. Nel trade off fra
tempo e necessità di prendere una decisione conviene fare così.
Simon: “non esiste l’uomo aeconomicus, l’uomo organizzativo è pieno di difetti, non ha la disponibilità e la
capacità di elaborare le informazioni per prendere una decisione massimizzante: si ferma alla ricerca di
alternative alla prima soluzione accettabile”.
Si perde più tempo ad approfondire il problema, però guadagno tempo”. Si parla di comportamento
soddisfacente.
L’euristica è un espediente per risparmiare la razionalità limitata in quanto limitata, saltando passaggi e
fermandomi alla prima scelta. L’euristica diventa così uno strumento per economizzare in razionalità.
La teoria dell’attribuzione
Parte da una percezione e un evento e su questo si genera un determinato comportamento: dipende dal
giudizio che diamo a noi stessi e sugli altri: mettendo insieme i due elementi facciamo un attribuzione e
spieghiamo un comportamento. In questo possono avvenire degli errori di attribuzione = spiegare un risultato
con un fattore o un elemento che genera un risultato.
In strategia si possono fare degli errori di attribuzione, come nella competizione, ad esempio la disponibilità
di una risorsa rara genera un vantaggio competitivo: come un’innovazione. E’ sufficiente che sia scarsa?
Deve avere un valore e deve essere difficilmente imitabile per il suo brevetto: il brevetto dà informazioni agli
imitatori i quali possono con delle piccole varianti creare prodotti simili.
L’innovazione deve basarsi su risorse complementari.
L’ambiguità causale induce l’errore di attribuzione.
Tutti i comportamenti di un individuo sono rivolti a dare una spiegazione sbagliata del proprio successo o
meno. Un altro errore di attribuzione importante è quello nella valutazione del personale di valutare lo
sforzo anziché la performance. Può diventare un criterio in un’organizzazione. Si deve aver chiaro cosa si
vuol valutare o premiare. Viceversa si genera un’incoerenza dal punto di vista organizzativo.
[Saltiamo tutto il Capitolo delle Motivazioni]
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Dal comportamento individuale a quello di gruppo (capitolo 5)
Le norme e le regole strutturano un gruppo e inducono comportamenti. In maniera informale c’è un
comportamento di cooperazione.
a) la condivisione è un confronto di valori;
b) l’essere accettati dal gruppo; è questo bisogno d’essere accettati: è un mimetismo ovvero il voler essere
simile agli altri perché una cosa che conviene: protezione, sicurezza.
C’è una patologia nei comportamenti di gruppo chiamata group think. E’ un eccesso di conformismo
all’interno del gruppo. L’effetto che il gruppo plasma i comportamenti arriva ad essere disfunzionale alla
finalità del gruppo.
Se uno ha la percezione che il gruppo sta sbagliando, ma se vuole rimanere all’interno al gruppo, rinuncia
alla propria idea, e il gruppo perde così una risorsa.
Un gruppo performante cade in questo tranello di group think: eccesso di conformismo e i valori della
performance sbagliata non si riproducono.
Si parla di gruppo in generale quando due o più persone interagiscono fra loro per raggiungere un fine.
Si parla di team quando il gruppo ha un minimo di strutturazione e i compiti sono in qualche misura definite.
Sulle ragione di attivare i gruppi all’interno dell’organizzazione: le fondamentali sono le regole di
suddivisione del lavoro: specializzare le attività e coordianarle; due problemi:
1) la divisione dei lavori in base alle competenze;
2) l’unificazione attraverso il coordinamento, far convergere gli sforzi delle specializzazioni verso un
determinato risultato.
Il lavoro di gruppo cerca di raccogliere i vantaggi della specializzazione.
Una forma di coordinamento:
1) le regole;
2) la gerarchia: attraverso l’intervento diretto della decisione del capo;
3) il mutuo adattamento: o meglio auto coordinamento. Ad esempio, il distretto.
In questo modo è il vantaggio dell’integrazione e lo sviluppo delle competenze. La complessità delle attività
da svolgere in azienda porta verso le esigenze di lavorare in gruppo.
Questa necessità viene riportata all’interno del gruppo dei mercati. L’alleanza è una forma per limitare la
competizione, è una decisione di non farsi concorrenza sul prezzo.
Si distingue fra:
1) gruppo primario; come la famiglia. E’ un dato naturale, non è il portato di una decisione, si trova in
natura.
2) gruppo sociale; implica una decisione: si decide d’appartenere ad un gruppo, è un processo di selezione e
identificazione.
Altra classificazione:
1) gruppi formali: vengono stabiliti ruoli e norme di comportamento;
2) gruppi informali: la stessa ragione d’essere nel gruppo non è chiarita, trovando nel tempo la ragione
d’esistere.
Elementi di un gruppo:
a) la caratteristiche personali:
b) interessi e obiettivi:
c) potenziale di influenza:
d) opportunità di interazione:
All’interno del gruppo è più facile avere interazioni.
La teoria dei luoghi e dei non luoghi: un luogo è un ambiente ampio e ristretto dove avviene un elevata
interazione fra le persone e ci sono delle regole e delle norme di comportamento ove le persone si trovano, si
riconoscono. I non luoghi sono situazioni dove c’è una enorme quantità di persone ma non c’è integrazione
sociale. Questo limita le persone, come un aereoporto. Nel luogo tutto è definito, nel non luogo c’è il
massimo di libertà. Se un individuo cerca di arricchire il suo rapporto di esperienze. I gruppi son fatti anche
da persone, obiettivi e situazione fisica.
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Perché si formano i gruppi?
1) Per quanto riguarda le caratteristiche personali si rimanda a valori, idee, atteggiamenti.
2) Attività di team-bulding;
3) Le performance dipendono da interessi ed obiettivi che possono avere in comuni i membri del gruppo. Ciò
comporta la coesione e i conflitti dei membri del gruppo;
4) Le potenzialità di influenza derivano dal maggior potere di pressione (lobbying) che delle persone in
gruppo esercitano rispetto a quelle isolate;
5) le opportunità di interazione derivano dalle economie di prossimtà, il fatto d’essere faccia a faccia
genera queste economie di prossimità. Tipiche dei luoghi.
I fattori che determinano o condizionano la performance e l’efficacia del lavoro di gruppo
1) fattori di contesto: in cui il gruppo a seconda di dove lo colloco può essere più o meno efficace. Se il
contesto è un settore farmaceutico il gruppo evoca l’idea della ricerca scientifica e ci sono elementi che
favoriscono la formazione di un gruppo; se si parla di un venditore, questa è un’azione tipicamente
individuale.
2) l’organizzazione: sistema di vautazione della performance, premi e punizione definiti dalle scelte
organizzative. Ci possono essere sistemi di incentivazione individuale o che premia comportamenti
cooperativi; i fattori di contesto determinano il successo più o meno accentuato di lavorare in gruppo.
3) la sponsorship: il fatto che il gruppo sia sponsorizzato da un’entità che ha una rilevanza. Fare un gruppo
all’interno di un organizzazione favorito dall’AD si realizza in un contesto diverso da un gruppo
spontaneo, allora il livello di sponsorizzazione è basso e ciò influenza lo status del gruppo, il committment
del gruppo.
2) Dinamiche e processi di gruppo:
a) dimensioni: il gruppo piccolo ha dei vantaggi ma può essere meno ricca la varietà di contenuti; le
dimensioni hanno influenza sulle interazioni e nei gruppi piccoli è più facile interagire;
b) la struttura: c’è un leader o meno? è un gruppo inter pares o meno?
c) il grado di maturità: il modo in cui il gruppo ha fatto esperienza con cui si è consolidato attraverso
conflitti. Se non si è mai litigato, genera esperienza e capacità di gestire i conflitti.
d) lo status delle persone all’interno del gruppo;
e) norme: le regole che si è dato il gruppo.
La struttura del gruppo
E’ importante in termini di ruoli all’interno del gruppo capire i problemi di ruolo e singoli all’interno del
gruppo.
- Potrebbe esserci un’incongruenza di ruolo (“quello non ha le caratteristiche del leader”);
- un’ambiguità di ruolo: non si sa bene cosa deve fare all’interno dell’organizzazione: non chiarire il ruolo
dei partecipanti;
- o i conflitti di ruolo: sulla stessa persona fanno capo delle finalità che sono in contrasto fra di loro.
Tutto questo si precisa attraverso il ciclo di vita del gruppo.
La forma di un gruppo passa attraverso delle fasi ciascuna delle quali ha una funzione rispetto alla
performance del gruppo:
1) forming: quali sono gli obiettivi, si precisano gli scopi e i perimetri del gruppo e si comincia a definire il
gruppo e si orienta rispetto ai propri membri e rispetto a quelli che stanno al di fuori del gruppo.
2) storming può essere una fase conflittuale in cui si comincia a prendere le misure uno con l’altro. Ciascuno
cerca di capire e precisare un ruolo rispetto agli altri. Comunque si formano dei sottogruppi e delle
alleanze, emergono delle leadership oppure la leadership è già definita.
3) la risoluzione della conflittualità genera delle norme, regole condivise che genera la coesione del gruppo.
C’è chi si trova bene a fare il follower che accetta il leader. La bravura del leader è quella di attivare il
follower.
4) Passate queste fasi il gruppo comincia a generare risultati e si affinano comportamenti e c’è un processo di
apprendimento. Bisogna però aver prima risolto problemi nelle fasi precedenti.
Adiourning?
C’è una fase di chiusura del gruppo o sentimenti negativi per il fatto che il gruppo ha concluso la sua ragione
d’essere. C’è il problema del tourover all’interno dell’azienda. Si studiano le tecniche d’ingresso e
integrazione del gruppo, ma poco il processo di abbandono. Quindi è fisiologico che un gruppo si trasformi.
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E’ importante a livello di organizzazione per i gruppi temporanei (task force). Un gruppo di progetto. Tali
gruppi si inseriscono nella struttura organizzativa, che può essere ad esempio una matrice che lavora per le
stesse finalità.
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Modelli per prendere le decisioni (capitolo 6)
Prendere una decisione significa risolvere una situazione rispetto ad un dato problema. Bisogna decidere se
andare al cinema o vedere quale film vedere. Significa anche eliminare una situazione di incertezza.
Ci sono varie tipologie di decisioni: bisogna situare il problema decisionale, contestualizzarlo e rispetto a
questo dire qual’è il modello decisionale più appropriato per risolvere la questione.
Bisogna prendere decisioni giuste o prendere decisioni in forma corretta?
Nell’azienda il capo contabile deve applicare le norme contabili (razionalità procedurale) e le cose si fanno
nel modo corretto, mentre inventarsi la strategia non è ne corretto ne incorretto. Son decisioni però hanno
una logica decisionale e di performance completamente diversa.
Simon sosteneva che ci sono le decisioni e le pseudo-decisioni: le decisioni son quelle che hanno
effettivamente un contenuto innovativo, rispetto la decisione di un problema. La pseudo-decisione è
l’applicazione di una routine.
Esempio. Prendo una decisione sul livello delle scorte e riempio i magazzini. Il capo magazziniere in base ai
programmi di produzione settimanale decide di ordinare 50 scatole di viti: la prima è un decisione richiede di
saper combinare molte informazioni, la seconda è una pseudo decisione.
Il lotto economico è economico perché utilizza il capitale di scorta con l’esigenza di alimentare la catena di
montaggio: ma è sbagliato perché si impiega il capitale. Nel punto d’incrocio c’è il lotto economico: come
trasformare la pseudo-decisione in una decisione? Con una dotazione tecnologica di un pc. Il sistema delle
due scatole: quando una scatola è vuota, egli sa che deve lanciare l’ordine. La dimensione è calcolata in base
alla quantità di assorbimento durante il periodo di approvigionamento. Ho trasformato la decisione con una
conoscenza in una pseudo-decisione.
Si prendono decisioni in condizioni di incertezza. La differenza fra rischio ed incertezza.
Con il rischio ha un elemento per calcolare una funzione di probabilità. La speranza matematica è il prodotto
di un valore con una probabilità. Quando non conosco le probabilità sono in una situazione di incertezza.
Nelle situazioni di rischio si possono proceduralizzare le decisioni, nelle situazioni di incertezza ho bisogno
di altri strumenti.
Io mi colloco con una logica di decisione razionale. Ho in mente una funzione di utilità, un dato di fatto (la
situazione da analizzare), calcolo delle probabilità e prendo la decisione che ottimizza o in senso determinato
o probabilistico che utilizza la mia funzione di utilità: sono un decisione razionale.
Nella decisione si risolve un gap fra situazione attuale e desiderata. Implica l’idea che ci sia qualcosa di
migliore rispetto alla situazione in cui ci troviamo.
Le decisioni dipendono dal grado di certezza, incertezza, rischio in una determinata situazione. La
complessità e la natura della decisione cambia a seconda del dato di contesto. Se si cambia un titolo
azionario, il rischio si calcola attraverso la variabilità, calcolata come dispersione sui dati storici. Ma le
performance passate non sono indicative di quelle future: nessuno può dire come andrà in futuro: siamo in
una situazione di incertezza.
Altra variabile è il tempo: ci possono essere decisioni di lungo e di breve periodo, i cui effetti potrebbero
manifestarsi tempi dopo. Più è di lungo periodo, più aumenta l’incertezza. Si pone un problema di previsioni
e di affidabilità delle previsioni.
L’investimenti in impianti non è che sono in assoluto irreversibili ma hanno un basso grado di reversibilità
(sostenendo sunk cost o costi affondati, non recuperabili): secondo Williamson è un investimento di tipo
idiosincratico, al di fuori di questa situazione ha un valore più basso, perchè è farm specific. Più lungo è
l’orizzonte di vita dell’investimento, maggiore è il grado di irriversibilità e idiosincrasia.
La rilevanza. Si parla di decisioni strategiche e di tipo routinario. Investire soldi sulle materie prime è di
tipo strategiche che ci dice il grado di accuratezza e di razionalità che devo dispiegare per prendere la
decisioni giusta da prendere.
La decisione programmata o pseudodecisiono: applico un argoritmo, non implica un calcolo.
Le decisioni non programate affrontanoinvece problemi non strutturati: una delle prime questioni è come
definire il problema, aspetto fondamentale dell’assunzione di decisione.
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La burograzia è un insieme di lavori routinaria. Organizzare un’azienda in maniera efficiente significa
creare routinarie, standardizzare e tutto ciò che risparmia in razionalità è un modo per aumentare la capacità
di un organizzazione nell’affrontare il problema. L’uomo ha razionalità limitata.
La burocrazia è un tipo di organizzazione che non impara dai propri errori, sono routine sbagliate. Ma di per
se l’affermazioen di una rountine significa risolvere un problema in maniera stabile. Quando la routine
non funziona più emerge il problema del cambiamento.
I modelli decisionali
1) il modello razionale normativo:
2) il modello euristico: l’euristica è uno strumento semplificato per affrontare la questione.
3) il modello garbage can: è il modello cestione della spazzatura che è un modello apparentemente casuale
di decisione che ha una sua logica.
4) il modello cibernetico
5) un modello inconscio- intuitivo.
Il modello razionale
Definisce una funzione di utilità e si propone di massimizzarla. Implica che io abbia chiaro qual’è il
problema e che conosca tutte le alternative.
- Che io sappia quali sono le alternative, che conosca effettivamente la mia funzione di utilità ovvero
obiettivi chiari;
- Che non ci siano vincoli in termini di scelta (vincoli monetari, ad esempio);
- massimizzazione del risultato ottenuto.
Nella valutazione delle alternative per sapere qual’è la relazione fra una decisione e l’effetto su determinate
grandezze: non solo conoscere la relazione di causa effetto, ma anche di quantificare questa relazione.
E’ il modello prescelto dall’Homo Aeconomicus.
Il modello euristico
Non conosco la funzione di utilità, gli obietivi, le alternative, ne quantificare relazioni di causa effetto: si
entra in una logica che invece di massimizzare ed ottenere un minimo di soddisfazione e faccio un calcolo
con una sua razionalità su un trade off per migliorare la qualità della decisione o rischio/probabilità che il
miglioramento non produce l’effetto dovuto. Invece di perdere tanto tempo per un risultato aleatorio decido
“a spanne” con una risultato soddisfacente.
Mi arresto nella ricerca di alternative e di informazioni alla prima soluzione accettabile.
L’unica informazione che è necessario sia nota è il prezzo: in un mercato efficiente è necessario conoscere il
prezzo. Non ci sono asimmetrie informative. Nel mercato non è così perchè ci sono asimmetrie informative.
L’informazione costa, mentre nella concorrenza perfetta è un’esternalità positiva. L’informazione è invece un
bene privato che costa.
In questo modello mi fermo alla prima scelta perchè la ricerca di informazione costa e l’unità ennesima è una
curva decrescente. E’ razionale essere soddisfacentisti perchè calcolo il trade off fra il costo di miglioramento
della decisione.
Le euristiche. L’euristica dice “a spanna” che ho una qualce probabilità di entrar alla ricerca della soluzione
corretta ma ci arrivo attraverso delle scorciatoie. Se io ho troppe informazioni devo trovare un criterio per
ridurle.
La tipica euristica è fare credito ad una persona in base alla prima impressione. Ad esempio, “è vestito in
maniera elegante, quindi ha dei costi” ma siccome funziona con una buona probabilità, applico questa
euristica.
Quindi riduco il numero di informazioni e alternative da analizzare.
Altra euristica è decidere sulla base di come viene prospettato un problema.Il modo di affrontarlo può
influenzare il modo in cui viene presa.
Il modello garbage can
Il modello garbage can è un modo di razionalizzare il fatto che nell’organizzazione vengono prese decisioni
in modo casuale. Si valutano le possibili soluzioni e le possibili alternative. Un problema è che problemi e
soluzioni sono mescolate in maniera casuale. Prendere una decisione è combinare questi elementi che sono
estratti casualmente. C’è un problema che ha bisogno di una soluzione: può essere invertito; c’è una
soluzione che ha bisogno di un problema e il processo di decisione può avvenire in maniera casuale.
Il fatto che ci sono delle potenzialità per risolvere i problemi.
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Il modello cibernetico
La cibernetica nasce quando con la missilistica: con un missile si colpisce un aereo. Prima invece un cannone
fermo doveva colpire qualcosa. Quando invece ho due oggetti in movimento ho bisogno di un sistema capace
d’apprendere in grado di fare delle ipotesi o delle congetture per individuare la posizione dell’obiettivo dato
il percorso del missile.
Dietro c’è un processo di decisione che procedere per aggiustamenti, per errori. Tali sistemi devono
scegliere un punto fisso, una scelta e che serve come punto di partenza per fare una serie di calcoli
complessi. Il modello cibernetico è un modello incrementale che si avvicina alla soluzione per progressivi
aggiustamenti sia attraverso un sistema di feedback che sistemi di riferimento.
Si tratta di trovare delle routine, degli strumenti di apprendimenti. E’ anche un modello che copia. Il
processo di decisione cercando di vedere la soluzione.
Il modello inconscio intuitivo
Il modello inconscio intuitivo che è il contrario della razionaltà e sviluppa l’intuizione. La capacità di
decidere a fronte di un problema complesso, con pochissime informazioni ed elementi, ma sviluppando la
visuale d’insieme del problema (visione ghestatica).
Tale metodo cerca di sviluppare la capacità di sintesi delle persone, piuttosto che all’analisi.
Bias decisionali ed euristiche
1) errori nella selezione e nella definizione del problema: molte conseguenze partono da questi errori;
2) errori nella generazione e valutazione delle soluzioni;
3) errori nell’attuazione delle decisioni.
C’è poi il problema dei comportamenti e passaggi di gruppo.
1) Un primo errore è l’ancoraggio. Si emette un giudizio e facciamo delle approssimazioni che ci impedisce
di vedere la vera natura del problema. Il punto di partenza del giudizio è errato ed ha di fronte a se un velo.
Esempio: Manuale di Marketing/ Albergo. Da un segno esteriore si inferisce dalla sua capacità di pagare e
della sua onestà: ma cambiando le mode, si potrebbero commettere errori.
Errori di ancoraggio possono essere ridotti da routine e procedure a livello aziendale.
Gli uomini sono più noti delle donne. Potrebbe esserci sia un errore di ancoraggio: l’attenzione è stata attirata
più dai nomi famosi che dagli altri nomi. L’accoppiamento rispetto al genere avviene in base al quale c’è un
file che dà un senso a quel nome. C’era più disponibilità delle figure maschili elencate che rispetto a quelle
femminili.
Esempio 2. Ci siamo fatti attrarre dalle caratteristiche della persona e non abbiamo pensato alla possibilità di
estrarre l’individuo dalla popolazione. Ci sono elementi di distorsione che si porta ad analizzare un
problema in maniera errata. Abbiamo trascurato la frequenza nella popolazione italiana di queste cose. Ci
sono varie informazioni, ma siamo portati a selezionare quelle più disponibili o in base agli ancoraggi.
2) Errori di disponibilità:
Nelle euristiche c’è un altro effetto importante che è l’effetto framing che è il modo in cui viene presentato
il problema.
I piani vengono presentati con logica più o meno positivistica.
Quando abbiamo una prospettiva positiva quando siamo dei conservatori. Siamo portati a prendere una
decisione poco rischiosa di fronte a dei guadagni, siamo portati ad assumere dei rischi quando invece siamo
di fronte ad una perdita.
Il modo in cui si presenta la cosa può rendere difficoltoso per l’altro dire di si o di no.
Il framing serve a capire qual’è il ruolo del framing nel prendere una decisione e nei processi di
negoziazione.
Nelle decisioni di gruppo, le variabili sono:
- meno tempo si ha, meno è possibile analizzare le alternative, anche quelle scartate.
- la numerosità del gruppo: se eccessiva, rende difficile prendere una decisione condivisa;
- la disposizione delle persone: lungo un tavolo, in cerchio; la disposizione è importante. Assumere una
posizione dominante aiuta ad imporre la decisione;
- per i comportamenti: ci portano a vedere alcuni concetti relativi alle distorsione nei gruppi.
1) il conformismo:
2) il group think:
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In alcuni gruppi, alcuni aspetti prevalgono su altri: l’unanimità rispetto alla qualità della decisione. E’ il
tentativo di avere una decisione di gruppo, un pensiero unico, a discapito di una decisione migliore che
dovrebbe analizzare tutte le alternative, si scartano, si rivalutano in un processo lungo e razionale. Ma in
alcuni gruppi (numerosi, poco tempo, ecc.) è difficile.
Emergono quindi alcune patologie:
1) emerge una dimensione di gruppo e di coesione che nasce dal confronto con gli altri gruppi;
2) il gruppo come migliore oppure come il gruppo che sta facendo il lavoro migliore: illusione di moralità.
Ma ciò non è a favore di prendere una migliore decisione, ma una decisione unita.
Conformismo: è il idea più ampia, si può manifestare all’interno del gruppo, ma è più ampio. Il fatto che le
pressioni che ci sono da parte della maggioranza, portano le persone ad allinearsi alle stesse anche se hanno
idee diverse. Ciò penalizza il processo decisionale e penalizza chi ha un pensiero minoritario. Si ricorda
l’esperimento di Asch. Il 75% delle persone cambiava idea.
All’interno dei gruppi c’erano meccanismi per presa di decisione, e alcune persone non partecipavano:
- si sentivano allineate;
- il gruppo premeva, e non solo il leader, affinchè non si ridiscutesse la decisione già presa: chiusura
mentale e pressioni per l’uniformità. La critica è limitata; quando va contro una buona decisione.
Altre figure:
- guardiani del pensiero: se alcuni si prendono l’incarico di criticare le idee diverse, qualcuno che quando
emergono le critiche si sente tutelare le idee del gruppo ed eliminarle. Cerca comunque di prendere la
decisione insieme;
- c’erano delle idea killer qualcuno che muove critiche in termini distruttivi. Elimina possibili alternative di
scelta in modo non razionale. L’idea killer ammazza le idee, è diverso dal guardiano del pensiero; è uno che
sta sempre fuori dal gruppo.
- l’avvocato del diavolo è un critico costruttivo e può essere una tecnica personale, al fine di far progredire
la decisione, resistente alle critiche. L’obiettivo è capire se la critica che viene mossa può far bene alla
decisione oppure no.
La polarizzazzione: quando prende una decisione all’interno del gruppo trova la forza per spostare il peso
della propria decisione, più o meno rischiosa. Ci aspettiamo che la quantità di rischio nel gruppo è una media
dei rischi individuali (fra quelli con alta e bassa avversione al rischio). Avvengono comunque effetti di
polarizzazione e spostamento del rischio medio della decisione media.
Per prevenire questi fenomeni: Cercare di far intervenire tutti. la ricchezza dei punti di vista può generare
migliori decisioni. Provocare atteggiamenti critici (simile all’avvocato del diavolo). I sottogruppi non per
creare confusione o conflitto ma per lavorare su specifici aspetti, costruiti all’interno dei gruppi di lavoro.
Oppure rimettere in discussione delle decisioni prima di assumerle definitivamente: sarebbe opportuno
rivedere se le decisioni fossero corrette o meno.
Storming: è una tecnica decisionale, un modo per avere il maggior numero di idee permettendo a tutti di
esprimerle, non avendo idea killer; bisognerebbe scrivere tutte le idee, e per altri è possibile costruire le idee
proposte. La migliore decisione avviene comunque per rindondanza di idee: la ricchezza delle idee migliora
la decisione alla quale si può arrivare.
Gruppo nominale: il brainstorming ha il limite del tempo. Un metodo alternativo è questo, ovvero nominale
come “formale”, è un modo di decidere individuale che ha a che fare con una presentazione delle proprie
idee sul giro di tavolo. Non c’è discussione sulle proprie idee. C’è un elenco e vota l’idea che appare più
convincente (senza discussione critica) e permette d’arrivare alla decisione in tempi abbastanza rapidi.
Il gruppo Delphi è una tecnica utilizzata più complessa, perché intervengono esperti che possono essere
addirittura lontani. Gli individui (che sono opinion leader e possono avere punti di vista molto diversi)
rispondono tramite questionari, mentre il leader misura la variabilità delle risposte e doveva scegliere fra le
alternative chiuse, riducendo la complessità, basandosi sulle risposte ricche basate su gruppi diversi.
Possibile prevalenza della minoranza - Anche la minoranza può influenzare il pensiero della minoranza,
rimanendo con una posizione ferma, influenzando la decisione sulla minoranza. Ad esempio, con
l’ostruzionismo.
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Potere: i gruppi sono coalizioni. Emerge la dimensione politica: la differenza fra manager e leader è che
quest’ultimo ha il potere, al di là della sua autorità. L’ostruzionismo, lo sciopero sono modalità per
aumentare il proprio potere. Non c’è il diritto di serrata, non può chiudere l’azienda per ricatto.
Solo le aziende che non hanno un organizzazione non sessista ed hanno un apertura verso le donne, allora le
aziende che hanno questo tipo di orientamento che ad un certo punto arrivano ad aumentare un certo numero
di persone femminili nel Consiglio di Amministrazione. La relazione causa effetto non è questo: l’apertura ai
team manager e poi nel CdA.
Stessa cosa vale per i consiglieri indipendenti: uno che non risponde agli ordini del padrone, ma che porta
la sua competenza e la sua professionalità. Le minoranze svolgono un ruolo di contrastare il group think:
“famiglia” ecc.
Il conflitto fa bene: senza conflitto non c’è apprendimento. La morte del group think è eliminare il
conformismo.
Alcuni fattori importanti:
1) tempo:
2) il pericolo delle soluzioni già sviluppate (viene prima la risposta al problema che la definizione del
problema stesso);
3) il ruolo dei diversi punti di vista;
Il tempo
Nelle decisioni negoziali il limite di tempo è decisivo: quando non è stabilito, non si finisce mai.
La “riunionite”: la produzioni di riunioni dalle riunione. Deve essere stabilito un orario di fine, perchè
sapendo che c’è un vincolo di tempo, il modo di lavorare cambia in funzione di quell’obiettivo. Ciò dipende
dalla complessità del problema, che è ambiguo e che forse è necessaria una certa rindondanza. La variabile
tempo deve essere gestita da noi e non dagli altri.
Il favorito implicito
E’ una soluzione predeterminata e prestabilita, una modalità attraverso cui il leader e il gruppo tende a
trovare argomenti in favore di un idea, piuttosto che favorire delle alternative. La sua riflessione è trovare
argomenti che consolidino una decisione che aveva già preso. Il favorito implicito è un buyers sia ex ante
che ex post la decisione.
Quello di generare alternative è non censurare alcuna idea perché significa favorire altre alternative. Il
brainstorming è l’assenza di giudizio nel momento di generazione delle idee.
Influenze post decisionali
Un momento importante è il pentimento post decisionale detto pianto il coccodrillo. Ci possono essere
ragioni ambientali; come il costo di exit il fatto di revocare una decisione sono fondi affondati
nell’affrontare una decisione. Militari in Afganistan: l’impegno post decisionale è così elevato, per via degli
altri costi di uscita, mi costringe ad aumentare le risorse.
La logica di mediare: si spera che salgano e intanto compro. Se si abbassa il prezzo di carico (esempio della
Borsa), credendo che si rialzi il prezzo, raggiungerò prima il punto di pareggio.
Effetto escalation del committment.
La sindrome di giocatore d’azzardo: si valutano diversamente le opportunità di guadagno che i rischi di
perdita. E’ l’esempio di “salvare la faccia”. La Ford decise per la linea dedicata, ma si sopravvalutò la
capacità d’entrare nel segmento.
La matrice di Rowe e Bulgarides
Lo stile decisionale dipende da due cose:
- le caratteristiche del decisore;
- il modo il cui ci si rapporta alla decisione.
Le due variabili sono la tolleranza per l’ambiguità: in che misura si ha capacità di sopportazione verso una
situazione di carattere ambiguo. Secondo uno studioso canadese, la teoria dell’equa retribuzione, e ha
formulato in termini empirici una correlazione molto alta fra la retribuzione e il tempo di autonomia del
decisore, ovvero il tempo che passa dal momento in cui viene presa la decisone e il momento il cui il
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superiore dice che la decisione è corretta. Un operaio alla catena di montaggio è 0, mentre l’amministratore
delegato ha un tempo minimo di un anno, da un’assemblea all’altra.
La capacità di sopportare l’ansia di sapere se ha fatto una cosa giusta o sbagliata ovvero la capacità di stare
in una situazione ambigua sotto il punto di vista della correttezza.
Si può avere un livello di tolleranza bassa e un modo di pensare più sul razionale o più intuitivo ed inconscio
intuitivo. Abbiamo il modello direttivo definito da una bassa tolleranza per l’ambiguità e un modo di pensare
razionale:
1) il ruolo direttivo;
2) analitico; ho bisogno di ricercare le informazioni, essere sicuro, prendere le decisioni per affrontare
problemi nuovi, mentre lo stile direttivo è diverso. C’è uno stile decisionale di tipo concettuale quando
associamo un ruolo direttivo e un’alta ambiguità.
Spesso i creativi concettuali sono confusionali.
Il modello relazionale: nel momento in cui decide cerca il consenso del gruppo. Lavora molto sul gruppo. Ha
una bassa tolleranza all’ambiguità e un modo di pensare intuitivo.
Leadership (capitolo 6)
- richiama l’aspetto teorico
- costruisce riquadri che richiama i contenuti del film.
Leader si nasce o si diventa?
E’ qualcosa relativo alle caratteristiche di una persona. Il rapporto con la madre è una cosa che segna il
comportamento di una persona.
Si può apprendere dei comportamenti che mi consentono di convivere bene e con caratteristiche profonde.
E’ riuscito a sviluppare un disegno complessivo, che creato un progetto, una finalità. Il problema è una
combinazione economico- finanziarie, relazionali, organizzative.
Gandhi: non aveva potere, coinvolgono attraverso una visione, significati che si traducono in un progetto,
che la gente capisce e che serve a risolvere difficoltà, problemi ed incertezze. La capacità di attivare e
mobilitare risorse ed energie che si impegnano in quel progetto.
La leadership è un processo di influenza, per attivare l’energia delle persone. Persone che sono in grado di
far accadere le cose.
Potremmo scomporre questo concetto come funzione di tratti, di stili e di situazioni. L’approccio dei tratti:
personalità, intelligenza, ecc.
Le situazioni è già una teoria sulla leadershio che è una discriminazione nel definire cos’è un leader. Come
nella teoria delle contingenze che dice sempre “dipende” dalla situazione. Questa della teoria contingente
della leadership si rifiuta di dire che esiste un profilo di leader e dice: esiste un leader adatto a questa
situazione e studia le caratteristiche più adatta di una situazione piuttosto che un’altra.
L’approccio comportamentale è un altro modo per togliere le idee sulla leadership è vedere cosa fa e come si
rapporta il leader rispetto all’organizzazione. Un individuo può avere un orientamento prevalente al job o
alle relazioni. Vedere con chi si rapporta e considera esaurita il suo ruolo in quanto desta attenzione alle
persone.
Il giusto mix di caratteristiche personali che definiscono l’adeguatezza della persona, si tratta di isolarmi per
analizzare quali mix di tratti danno luogo a delle performance sistematicamente di ordine superiore.
L’approccio delle competenze alla Mclelland. Sono concetti che identificano competenze per verificare se
possono accedere ad una attività.
E’ difficile che un individuo diventi leader se non ha una forza idea di se. L’autostima è un tratto forte della
leadership. L’autocontrollo è un altro tratto: condurre un comportamento.
Tratti fisici: è più facile trovare un leader fra le personale alte fra le basse.
La capacità di adottare un comportamento che entra in sintonia con chi si ha di fronte.
Il bisogno di potere: chi ha bisogno di potere tende a manipolare gli altri, e trasformarli in uno strumento. Il
sogno di affiliazione e il bisogno di potere nel leader di successo.
Cè anche bisogno di affiliazione, ma fra i due è prevalente quello di potere. La capacità di suscitare un
sentimento.
E’ necessario verificare i comportamenti efficaci legati alla leadership.
Gli studi di Lewin hanno definito come identificare queste tipologie di comportamenti:
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1) leader autocratico: prima io, poi gli altri.
2) leader democratico: leader che attiva nel processo decisionale gli altri.
3) leader laizzez-faire: non si preoccupa del comportamento, non interviene nelle decisioni, ecc.
Influenza dei follower nelle decisioni
Alcuni studi hanno identificato la prevalenza al job, al compito o se prevale un atteggiamento alla
relazione.
Gli studi dell’Università del Michigan hanno centrato il problema: è un orientamento da psicologo.
L’attenzione è il focus sulla produzione.
Modello di Fidler
Chiedeva a tutti di definire le caratteristiche del meno gradito e del meno apprezzato dei collaboratori.
Modello di Hersey e Blanchard: definisce una relazione leader-follower basata stressando molto il
concetto di maturità del follower.
Leader carismatica e followeship
- il capo tende a lavorare per eccezioni;
- è un leaders che non basa la relazione sullo scambio ma crea una visione, degli obiettivi, delle emozioni
che vanno verso il raggiungimento di un determinato risultato.
Classificazione di potere di Max-Weber; ci sono tre forme di potere:
1) potere tradizionale: potere che la famiglia assegna il ruolo di comando.
2) potere carismatico;
3) potere legislativo.
The power of followeship
Il convolgimento può essere di tipo passivo o attivo.
Il pensiero critico elevato e coinvolgimento passivo: un follower che non sta dentro alla situazione. E’ una
persona che ha capacità di pensare alla sua testa e non si fa coinvolgere nella situazione e si trova sempre
male in qualunque gruppo, ma non fa alcuna mediazione. E’ alinenato perchè è dissociato rispetto alla
situazione.
Il pensiero acritico dipendente: lo schiavo che ha sempre bisogno d’essere comandato.
Il linguaggio della comunicazione
E’ necessario che il ricevente disponga dello stesso codice per decodificare il messaggio di colui che manda
il messaggio.
Chi riceve può rispondere con un feedback. Si parla di comunicazione interattiva. I canali di
comunicazione non sono tutti uguali.
Mcluan distingueva fra:
- mezzi caldi: faccia a faccia
- mezzi freddi: telefono
Il codice con cui si traduce il significato, la specificità del canale, del ricevente. Si comunica attraverso il
modo di vestire. Però se io sottopongo la comunicazione attraverso all’abbigliamento a questo schema devo
chiedermi: il codice che uso io per mettere la minigonna è lo stesso di chi mi guarda?
Il linguaggio del corpo
Se parlando mi avvicino ad una persona, potrebbe significare che voglio convincerlo, ma anche uno spazio
d’invasione. Il problema della vicinanza o una lontananza dipende dalla cultura nazionale.
Ritratto sulla sedia: ostilità. Viceversa interesse. Il contatto con gli occhi afforza la relazione.
Direzioni della comunicazione:
1) gerarchica: dall’alto al basso, sono ordini. E’ una comunicazione discendente perché l’asimmetria è
sanzionata dal contratto di lavoro subordinato.
2) laterale: c’è un’asimmetria di potere. E’ tipica delle persone sullo stesso livello gerarchico.
3) a due vie: i feedback da la possibilità di correggere eventuali distorsioni del canale.
4) diffusa: come il gossip.+
Modalità di comunicazione
a) comunicazione verbale.
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- funzione fatica: comunicare richiede impegno e segnalando questo sforzo.
- funzione poetica: usare immagini attraverso la comunicazione;
- funzione meta linguistica: attraverso la comunicazione stabilisco le regole della comunicazione. Serve per
definire le regole della nostra comunicazione. E’ un processo di affinamento della capacità di comunicazione.
Non solo comunico, ma inizio a definire le regole attraverso cui comunichiamo.
- funzione conativa: è quella di esprimere un desiderio, un’esortazione, convincerti a fare qualcosa. Quando
attribuisco questo alla comunicazione.
- funzione referenziale:
Con il social network c’è il rischio di sovra carico informativo. E’ un fenomeno di intasamento
informativo: l’informazione totale, equivale a nessuna informazione. Il significato è un processo di
selezione. Il problema è come selezionare le informazioni. Nelle aziende le mail creano un elevata
interattività, ma sono da evitare gli abusi.
Video: evocare qualcosa che non è nel campo di controllo del destinatario, creare qualcosa che induce un
certo comportamento.
Comunicazione attraverso l’umorismo: cerca di sdrammatizzare: attraverso la narrazione e il mito dare
efficacia al messaggio.
La comunicazione attraverso i simboli.
Stili comunicativi: aggressivo (2)
Approfitta degli altri, volto all’autovalutazione a danno degli altri.
1) comportamento non verbale: contatto visivo irato, tendenza a sporgersi verso l’interlocutore, gesti
minacciosi (ad es. puntare il dito), voce alta (apparentemente ha ragione), interruzioni frequenti.
2) comunicazione verbale: turpiloquio e parole offensive, valutazione del comportamento.
E’ una persona che tende a prevaricare quello degli interlocutori. Una persona che ha delle idee e vuole
presentarle prevaricando le idee dell’interlocutore, in termini di comportamento verbale, di scelte di parole,
usando minacce e parole che offendono, aggrendendo la persona per imporre la mia idea.
Stile: passivo
Una persona ritiene la propria opinione meno importante dell’altra. Non vuole entrare in contrasto con
l’altro. Pensa che la controparte dica cose più importanti delle proprie. La postura può essere scomposta, con
braccia incrociate in termini di chiusura ed indifesa, con voce debole. In termini di comportamento verbale
con parole dubitative, in tono di suggerimento, con il condizionale.
Stile assertivo (3): sta nel mezzo.
E’ il più virtuoso, si prevede il fatto che la persona che parla comunichi in maniera chiara le proprie idee
senza aggredire la controparte e senza cedere le proprie idee. Ciò avviene utilizzando una comunicazione più
chiara e diretta, non utilizzando forme ipotetiche e affermando ciò che si pensa. E’ un modo diverso di
intendere la comunicazione, è un comportamento da leader carismatico.
Un comunicatore assertivo comunica stabilità, un atteggiamento bilanciato, sicurezza di sè (intelligenza
emotiva), competenza dei manager di avere consapevolezza del proprio modo di reagire alle situazioni e
avere empatia. Capisco come gli altri reagiscono e faccio leva sulle proprie reazioni. Si ha chiara la propria
idea, la fermo aspettando la reazione della controparte.
Tono serio, postura comoda e sicura, non c’è giudizio del comportamento altrui.
Gli stili sono contingenti, dipendono dalle situazioni.
Ascolto attivo - il cattivo ascoltatore
L’ascolto attivo è partecipe, una persona che mi sta realmente ascoltando e capire quello che sto dicendo;
viceversa posso avere degli interlocutori che non stanno cercando di capire ciò che sto dicendo.
L’atteggiamento è osservabile per comprendere se siamo buoni o cattivi ascoltatori.
Ascoltare in maniera parziale: presta attenzione solo agli argomenti che ritiene importante. E’ una
controparte che non è coinvolta nel dialogo e nella partecipazione.
Non prende appunti. Significa avere la capacità di segnarsi le cose importanti.
Uomini e donne nella comunicazione
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Uomo stile aggressivo, la donna meno. Alcune di queste cose sono innate, in altra parte sono un costrutto
sociale. Lo stile di comunicazione: in parte ci viene insegnato dalla società. In altri contesti, comunicheremo
in maniera diversa.
Come da un punto di vista gestionale si possono generare differenze. Da un punto di vista gestionale, come si
può far leva su questo.
Persuasione: l’atteggiamento per portare l’altro sulla propria posizione; oppure la minaccia.
La cultura nazionale
La cultura organizzativa è l’insieme delle ovvietà, delle cose ovvie di un’organizzazione. Sono valori di
riferimento, percorsi d’azione, modalità di rapportarsi, spontaneamente adottati dalle persone e nessuno ne
discute.
Una definizione scientifica è: è un software, e un programma mentale collettivo (cioè adottato da tutti)
che distingue quelli che condividono questo programma mentale, che li rendi membri di un gruppo,
dagli altri.
La cultura sta alla personalità umana, come la personalità sta all’individuo, contraddistingue un gruppo
e un’organizzazione. Definisce il modo di pensare ed agire dei membri di una collettività.
La cultura di una nazione
Bisogna distinguere i tratti nazionale dagli stereotipi.
I maggiori studi su come caratterizzare e dare indicazioni indicazioni sulle differenze culturali sono gli studi
di Hofstede. Ha individuato le categorie con cui distinguere le culture nazionali. Sono però studi datati e
ci sono evoluzioni in corso veloci.
L’avversione all’incertezza sono utili all’interno dei comportamenti umani ed economici e sistematizzano
differenze enormi dal punto di vista delle organizzazioni aziendali.
1) L’avversione all’incertezza può essere alta o bassa:
a) se bassa, ho una cultura nazionale in cui la gente si trova a proprio agio in situazioni poco formalizzate e
vengono attribuite a GranBretagna, Stati Uniti e Svezia; per contro ci sono altri paesi di cultura latina o
mediterranea dove c’è un’alta volontà di lavorare in situazioni strutturate, sulla quantità di norme scritte
che vengono utilizzate. Troviamo subito un sistema giuridico: se è di cultura anglosassone, detto Common
Law: non c’è una legge scritta, il giudice non si rifà ad una legge scritta, e la sentenza è legge, è come se
fosse il potere legislativo. Ciò significa che hanno forza di legge, ma non sono legge scritta. Noi invece
con la nostra cultura latina si dice che: la norma si forma per prassi e il giudice interpreta il comune
sentire di una comunità, detto cultura e lui adegua la sentenza al comune sentire.
b) la propensione ad assumere dei rischi o meno: avere comportamenti più guidati dalle regole formali, che
dall’individualità.
c) L’uso di ritualità: comportamenti che tendono a ripetersi anche se non hanno una loro razionalità
intrinseca.
2) la distanza di potere: le simmetrie che sono tollerate o giudicate accettabili o addirittura cercate dalle
organizzazioni che possono dire “appartengono a quella cultura aziendale”.
a) le culture nazionali dove non c’è differenza fra lavoro manuale ed impiegatizio e quelle in cui c’è grande
differenza.
3) caratteri collettivi vs caratteri di tipo individuali: una bassa caratterizzazione individuale porta a
considerare un’organizzazione con la metafora della famiglia. L’organizzazione difende l’insieme degli
interessi dei suoi membri, mentre i comportamenti sono basati sul senso di lealtà e responsabilità nei
riguardi degli altri membri.
Voice-Loyalty-Exit: se nonva bene il prezzo, esco dal mercato. E’ il mercato struttura di governo delle
transazioni. Perchè l’exit funzioni è necessario che i costi di exit siano nulli, perchè se non sono nulli.
Voice è la protesta. Difende un costo affondato, è una relazione ideosincraica. Per regolare il rapporto di
lavoro, data la specificità del contratto, viene riconosciuto il diritto di voice, e lo sciopero è un diritto
costituzionalmente protetto.
Le culture anglosassoni prevale la dimensione individuale contro la dimensione collettiva. Per esempio, le
organizzazioni sono meno caratterizzate in senso personale. In certe culture, prevalgono le culture collettive,
la loyalty (il Giappone)
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4) cultura maschile - femminile: i ruoli maschili e femminili nella società. Il sistema pregnante si basa
sull’assicurare a tutti i lavoratori un livello adeguato di retribuzione oppure stressare la competitività fra i
lavoratori. E’ un modo di caratterizzare la cultura.
5) l’orientamento al lungo e al breve periodo - temporale: Italia - Giappone; decisione - applicazione.
L’orientamento temporale differenzia i comportamenti negoziali.
Tempo monocronico-policronico, nel secondo caso c’è una circolarità del tempo. Il primo è assimilabile ad
una videocassetta, per raggiungere un punto bisogna percorrerlo tutto; mentre nel CD non c’è un approccio
sequenziale e si può arrivare in qualunque punto subito.
Cultura e...tempo
Il modo in cui si lega passato - presente e futuro. Nella cultura occidentale c’è questo legame nel tempo, in
alcune culture orientali c’è cesura fra dimensioni.
Il ruolo delle tradizioni può cambiare completamente, come il caso di fare la contabilità. Il fair value.
Management interculturale = avere la capacità di convivere ed interagire della diversità delle culture
nazionali. Quando si discute sul fatto d’essere chiusi o aperti, ecc. I valori in gioco.
La crisi economica giapponese secondo alcuni dipende dalla cultura nazionale:
1) il tasso di occupazione delle donne in età feconda è più basso degli USA;
2) il tasso di occupazione degli ultra sessantenni è basso;
3) la capacità di metabolizzare culture ed etnie diverse.
E’ scriveva nel 1990 che il paese non aveva futuro. Una politica aperta degli USA consente di avere tutte le
nazioni rappresentare e una gran quantità di lingue e una capacità di interagire, comportandosi da americani.
La cultura organizzativa
La definizione di Schein. Capacità di scoprire percorsi di comportamento funzionale che risolvono i
problemi.
La capacità di generare significati a fronte di eventi che non erano conosciuti e già stati sperimentati.
Potremmo definire la cultura come una struttura di codici di significato, in cui affronto un problema nuovo e
conosciuto al quale dò un senso. E’ la capacità di fare una teoria di fronte ad un evento che non era stato
previsto e cambiando il sistema di formazione (nell’esempio, degli ingegneri nucleari). E’ una modifica dei
codici di significato generati da una determinata cultura professionale.
Un analisi di multilivello
Si parla di cultura dominante: la selezione di questo valore e la traduzione in cultura delle manifestazioni di
cultura è un processo politico attraverso il quale la colazioni dominante ritiene debbano essere i valori di
una determinata azienda.
La definizione della mission di un’azienda: si tratta di accendere dei riflettori su alcuni fattori rispetto ad
altri: mission, carta dei valori, codice etico, modi di selezionare il valore, e lo fa la cultura dominante.
Si tratta di fare delle affermazioni forti sulla natura umana: valori ecologici e di sostenibilità ambientali.
Utilizzarlo come vantaggio competitivo e distintivo.
Uno dei modi forti di manifestare la cultura ambientale è l’uso di miti, comportamenti e leggende che
hanno la capacità di rafforzare la cultura aziendale.
Potere
Probabilità che ha una certa persona di dare un comando e di vederlo eseguita. Questo porta la distinzione fra
autorità e potere. Si può avere un’autorità perchè mi è conferito da un potere legittimo, da una norma, che
conferisce il diritto e dovere di esercitare una certa autorità.
Un buon leader è sostanzialmente pigro.
Potere di persuasione = capacità di influenzare le persone attraverso forme di persuasione attraverso
un’adesione a questo potere. Tale potere avviene in un processo di relazione. E’ come se due persone e due
punti dell’organizzazione si rapportano l’uno all’altro. Una delle prime basi è la volontà da parte di una
persona di appartenere al gruppo di comando. Su questa volontà si può esercitare l’influenza.
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Altro elemento di questa relazione è la condivisione di valori. Ciò facilita la condivisione. Queste due
categorie generano dipendenza, ma non dipendenza che nasce dal contratto di lavoro subordinato, ma in
forza di un’adesione. Ci sono varie tipologie con cui si può manifestare la relazione di indipendenza:
1) il committment.
Il contratto psicologico è un contratto non legato a nessun potere, ma è più forte di un contratto giuridico.
Violare il contratto psicologico può essere più costoso di un contratto giuridico: la sentenza è immediata.
Influenza su base organizzativa
L’aumento dell’incertezza ambientale è una fonte di potere per chi ha la capacità di risolvere l’incertezza.
1) c’è un’asimmetria informativa; c’è un monopolio dell’informazione. E’ legata all’incertezza.
2) potere degli uffici pubblici: risolvere una situazione di incertezza, la fonte del potere delle burocrazie è
creare incertezza per poi risolverla. Dall’incertezza ambientale si può estendere all’incertezza
organizzativa. Si dimostra che si ha il potere di adattare la norma. La gerarchia e la routine
organizzativa è un modo per risolvere questo problema: la gerarchia ha forze resistenze al cambiamento.
3) altra forma di incertezza è se l’attività è sostituibile o meno. Chi è insostituibile non può essere rimosso.
La sostituibilità è fonte del potere.
E’ vero che il potere logora, ma logora chi non ce l’ha.
Anche le imprese tendono a rendersi insostituibili: come il marketing. Se uno dipende da un marchio, diventa
insostituibile.
L’orientamento politico è la capacità di strumentalizzare, ovvero rendere strumento un obiettivo
(macchivellismo), di usare l’influenza facendo leva sulle caratteristiche degli individui.
Il potere si base personale e non su base organizzativo: potere carismatico.
Nell’economia della conoscenza, si contraddistingue il potere dell’esperto.
Modelli per il cambiamento aziendale
E’ un modello per risolvere una crisi, un caso estremo, il collasso dell’organizzazione. E’ anche vero che il
cambiamento è un evento quotidiano.
Da dove si origina? Le aziende si trovano di fronte a una forza lavoro “più educata” in termini tecnologici
della stessa. Questa è una necessità di cambiamento.
Le aziende cercano di aumentare la reputazione sul mercato perchè cercano di imitare i loro concorrenti
oppure perchè ci sono spinte esterne di carattere istituzionale che le portano a cambiare. L’idea è che
l’azienda cambia per spinte esterne: essere simile ai concorrenti o attori istituzionali forti (stato, ecc.).
Se tutte le organizzazioni sono certificate per la qualità ambientale, lo si fa per essere reclutato nel mercato.
Oppure possono derivare da decisioni interne da qualcuno che vuole il cambiamento. La spinta al
cambiamento, chi guida e decide è un gruppo guida che è il top management, hanno il potere e
l’autorità per farlo.
Infine spinte individuali, riguarda fenomeni legati al singolo individuo che lo portano a portare con sè
elementi di cambiamento.
Il cambiamento può essere pianificato, ma anche incidentale. Il cambiamento è il fatto che si è in uno
STATO A, e arrivare in un STATO B: bisogna capire:
- le possibili strade per arrivare da A a BM;
- il contenuto del cambiamento: che cosa, in che cosa deve essere l’organizzazione da quella che è adesso.
L’organizzaizone è socio-tecnica: mette insieme tecnica e aspetto sociale; l’obiettivo dell’organizzazione è
l’ottimizzazione congiunta di macchine e persone, cercare di trovare un’allineamento fra la
programmazione e l’allineamento della tecnologia. All’interno del gruppo del lavoro c’è sia una
direzione sociale, sia una dimensione tecnica perchè in termini di significato del lavoro si produce un
semi lavorato: è lo stesso concetto delle isole di produzione della FIAT.
Il cambiamento della cultura organizzativa è interno. Quanto dura il cambiamento: un nuovo processo, un
nuovo sistema informativo. Il cambiamento arriverà quando i corsi andranno a regime. Se non c’è mai una
data di fine, è un effetto di demotivare (“piccoli successi”) a far dire alle persone: “allora non è cambiato
nulla?”.
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Il perché: dove si vuole arrivare, qual’è l’obiettivo a cui dobbiamo arrivare. Riuscire a chiarire all’interno di
un’azienda dove si vuole arrivare, spiegando in maniera chiara vision e mission aziendale; i processi con cui
attivare il cambiamento, che possono giocare sull’aspetto emotivo o sull’aspetto tecnico.
Gestire le situazioni di crisi
Da cosa deriva il fallimento?
1) errore umano;
2) errori o criticità dal punto di vista meccanico, di carattere tecnico che incide sulla decisione;
3) cause esterne non controllabili (lo sciopero), criticità esterna;
4) il sistema della città non ha uno slancio organizzativo;
5) le procedure usate: non medita. non lascia tempi in più per venire in contro alla criticità.
Ci sono elementi di natura diversa che possono portare a situazioni di crisi. Questi sono chiamati
“incidenti”, elementi inattesi.
Un evento inatteso, non voluto, non desiderato e non desiderabile di azioni sociali razionali che ha delle
conseguenze sulla vita e sull’integrità fisica e psichica di essere umani e/o conseguenze economiche.
Ci sono delle azioni non intenzionali a creare un danno che avevano una loro razionalità che hanno generato
una sequenza di eventi più grande con effetto di carattere economico e fisico. Le conseguenze possono
essere: immediate, e protratte.
Questi incidenti mettono insieme aspetti tecnici ed umani e non sono frutto di azioni dirette a causare un
danno.
Perché succedono delle situazioni che portano ad una crisi organizzativa che la può portare a scomparire?
Un primo approccio è legato ad una spiegazione di carattere politico:
1) pensare ad un sistema organizzativo che non produrrà danni o mi costa di più pagare per un danno
prodotto (esternalità negativa - inquinamento). Nel Vajont c’era la pressione per la costruzione di una
grande opera; c’erano degli elementi che preannunciavano che quell’opera e quel sistema non avrebbe
retto, ma il ragionamento ragionale fu: fermare l’opera o assumersi il rischio e pagare per le eventuali
conseguenze di una frana.
2) spiegazione tecnico - ingenieristica: i sistemi tecnici sono fallibili. Il sistema tecnico è progettato
dall’uomo, che per natura è limitato.
Gli incidenti succedono perchè gli uomini sbagliano. E’ una questione umana.
3) spiegazione sociotecnica
Mette insieme aspetto tecnologico ed umano. Ci sono piccoli errori che l’uomo vede e sta all’uomo valutare
se l’errore è grave o meno. Il sistema non è in grado di valutare.
E’ un combinato mix delle stesse, di decisioni ed errori (cognitivi e percettivi).
Normal accident
Ci sono delle struttute che le porteranno ad una crisi. Dobbiamo cercare di capire come sono connesse le
attività fra di loro. Ci sono le interdipendenze reciproche.
Dams = dighe
- lasche: si può togliere una parte del sistema senza che il sistema venga meno perchè ha relazioni lasche.
- il fatto che ci sia l’efficienza, la continuità è diversa dalla situazione con abbondanza di risorse.
- l’interazione è complessa e in più, le relazioni fra le parti sono strette, ogni parte ha bisogno dell’altra per
lavorare. Il riquadro due è più soggetto a crisi, basta che una parte vada in crisi perchè l’intero sistema vada
in crisi.
- E’ un modo per cercare di ridurre i problemi. Nei sistemi con risorse scarse, lascio il decentramento.
Ci sono organizzazione ad alta affidabilità. Ci sono organizzazione che riescono ad assorbire gli urti
dall’esterno; continuano ad avere alti livelli di affidabilità e servizio anche a fronte di cambiamenti del
mercato. Il punto è che non tutte le organizzazioni siano così, ma possiamo progettarla. Cerco di progettare
una produttività costante, anche a fronte di un mercato che fruttua, un’organizzazione che resiste alle crisi.
Ci sono tanti elementi di variabilità.
Se ho picchi di domanda: cerco di anticipare la domanda e la pianifico; dall’altra parte lavoro sulla gravità
del danno e cerco di ragionare sulle conseguenze. Cerco di anticipare e prevedere tutto quello che è diverso
dal normale, dall’altro trovare soluzioni per minimizzare le conseguenze negative.
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Poi ci sono organizzazioni che nella quotidiana normalità affrontano il rischio, e progetto l’organizzazione ad
alta affidabilità.
Il conitivismo dice che la realtà di per se non ha un senso proprio ma sono gli individui a visualizzare le
cose. Due manager di fronte allo stesso contesto competitivo vedono due cose diverse. Perchè?
- percezioni, esperienze diverse che derivano da ancore riverse;
La realtà non esiste e i fenomeni ci sono solo agli occhi di chi li guarda. Un soggetto vede le cose che sa. Le
organizzazioni prendono decisioni, a fronte di quello che vedono. E’ un flusso, è qualcosa che si muove, non
è qualcosa di statico.
Il processo di sensemaking
Non puoi pensare alle cose finchè non le vedi realizzate. Nella testa ci possono essere pensieri su ciò che
voglio fare, ma il voler fare non è nulla di empirico e quindi non possiamo prender decisioni su cosa non c’è.
Ci sono cinque caratteristiche che permette all’organizzazione d’essere mainfluss ness (= usa la testa per
prendere decisione), un’organizzazione affidabile.
1) deve essere preoccupata agli eventi critici: ogni situazione critica deve essere riportata e non evitata,
deve essere codificata e celebrata dall’organizzazione. E’ una persona che deve essere premiata, sta
mettendo in luce un elemento critico dell’organizzazione. Le persone che dicono d’aver fatto un errore
sono premiate.
Challegner: la NASA rifiutò di rinviare un lancio per la reputazione e per evitare ulteriori costi. Si era
proposto di rinviare il lancio. In passato si vedeva il problema, ma non era successo nulla. Gli eventi positivi
del passato hanno condizionato le percezioni: la cultura della NASA era convivere con un rischio. In più
l’elemento politico dei costi e pressioni politiche; inoltre le comunicazioni sono farraginose fra i gruppi. In
passato l’organizzazione non aveva messo in campo attività di prevenzione. Nessuno ha fatto errori.
2) la riluttanza a semplificare: un organizzazione dovrebbe vivere nella complessità. Il problema
complesso viene spacchettato in semplici. La semplificazione ci porta ad escludere le anomalie perchè
fuori dallo standard, anomalie che potrebbero anticipare i problemi dell’organizzazione.
Se il mercato ha cinque tipi di clienti, l’ufficio acquisti deve avere altrettante composizione. La composizione
dell’organizzazione deve essere almeno pari a quella esterna, altrimenti la variabilità non è controllabile.
Qualcuno s’accorge del problema ma non è ascoltato perchè non è nella posizione gerarchica.
Viene creato un team con probabilità e danno: era la prima volta che accadeva una cosa simile. Il report che
report i rischi ricco, viene semplificato per i vertici. La semplificazione porta ad una decisione sbagliata.
Porta ad avere una decisione sbagliata.
3) sensibilità alle attività in corso: consapevolezza del contesto, non si guardano solo le dirette
conseguenze, ma anche come si inseriscono in una rete di altre conseguenze prese da altri attori. Le
decisioni possono essere verso il basso o verso l’alto.
Incendio controllato per limitare l’incendio. La squadra parte alle 8.00 in 20 persone e cominciano a
costruire il perimetro che da problemi perchè dovrebbe servire un sentiero. L’incendio ha continuato a
progredire.
I decisori non avevano la sensibilità del problema: valeva la pena chiamare le persone da lontano per un
incendio controllato? C’erano delle conseguenze economiche rilevanti.
Un’organizzazione sensibile doveva prevedere che fosse stato il capo a chiamare la squadra senza rispettare
l’ordine organizzativo.
I processi di mindful organizing
E’ necessario capire le caratteristiche di persone e processi per cogliere i primi tre apsetti: anticipare il
cambiamento; reagire il cambiamento, riducendo le conseguenze negative. Esistono delle soluzioni per
minimizzare il danno:
1) preoccupazione rispetto agli eventi critici: l’organizzazione è attenta ad ogni punto di criticità, sono
celebrate e diventano un momento d’apprendimento.
2) rilattanza a semplificare: visto che l’organizzazione legge con le loro mappe cognitive la realtà, siccome
sono individui con razionalità limitata tendono a ridurre problemi complessi a problemi semplici,
togliendo però elementi di variabilità. Se ancoro i miei schemi mentali al passato, elementi tipo le
euristiche e le routine sono semplificazioni contrarie che ostacolano la capacità di anticipare i
cambiamenti. E’ necessario avere abbondanza di conoscenze;
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3) la sensibilità alle attività in corso: l’organizzazione è in grado di vedere le ricadute di ogni singola attività
sulle altre parti dell’organizzazione. Ciò implica capacità di gestire la complessità e dare responsabilità a
chi ha la capacità di gestire i problemi, perdendo la visione dell’effetto della singola attività sul mercato e
attori;
L’impegno alla resilienza = mi preparo a gestire l’evento negativo
4) La resilienza è la capacità di ritornare ad uno stato di riequilibrio dopo un momento di squilibrio
organizzativa. Può essere un equilibrio precedente o un nuovo equilibrio.
Ciò significa assumere che esistono errori organizzativi e incontra momenti di fallimento e di crisi. Ciò non
significa che l’organizzazione possa escludere momenti di incidenti.
Assumere che le cose possano variare, però mi configuro in maniera tale per cui gestire il cambiamento e
tornare ad uno stato di equilibrio: significa avere un’organizzazione che simula situazioni di errori ed
immagina scenari dove ci saranno fallimenti e immagina come reagire di fronte ai fallimenti.
Esempio: incendio di Mann Gulch (1949).
Il capo da un ordine e poi un ordine contraddittorio in una situazione critica.
C’è una situazione nota da parte dell’organizzazione. Ma i capi danno dei contro ordini, buttare le
attrezzature, buttarsi nel fuoco, ecc. Per risolvere una situazione di crisi, il capo usa una sua esperienza
(buttarsi nel fuoco) per la soluzione di una situazione non nota. Oggi le esercitazioni vengono utilizzate.
5) Scarsa definizione della struttura: in una situazione di crisi, non fidarsi della gerarchia, che è rigida e
adottare modi diversi. Se la situazione è incerta, ove non riesco a capire cause e conseguenze, il modo
migliore è usare un gruppo di pari, e come si coordinano? Generalmente la leadership è basata sulla
competenza anziché sulla gerarchia. La conoscenza è un modo di generazione di leadership di potere.
Nelle situazioni di emergenza (3), si può immaginare che l’organizzazione adotta delle procedure ad hoc
per gestire quelle determinate situazioni. Incerta: si agisce senza averci pensato prima; mentre quella in
emergenza è pianificata ed è prevista un’apposito cambiamento organizzativo. La situazione incerta fa
portare una soluzione al problema (garbage can).
Esempio: il disastro di Tenerife (1977)
Tipologie di cambiamento
Cambiamento pianificato vs non pianificato
1) pianificato: è un cambiamento atteso e prevedibile dell’organizzazione vs una modificazione della propria
struttura. Quando si parla di cambiamento organizzativo, l’organizzazione decide consapevolmente di fare
qualcosa per modificarsi.
2) il cambiamento non pianificato avviene o per spinte non prevedibili di carattere esterno o non esterno,
importanti, che costringono l’organizzazione a cambiare.
Di tipo 1 e di tipo 2
1) di tipo 1: sono cambiamenti piccoli e incrementali, graduali che avvengono nei processi organizzativi.
L’organizzazione quotidianamente impara ed apprende e aggiunge e modifica le proprie procedure.
Progressivamente, accumulo piccoli cambiamenti, di carattere incrementale;
2) di tipo 2: è radicale, c’è una forte discontinuità, fra i due modelli organizzativi. Il cambiamento avviene
tutto insieme e per poco tempo. Ci sono situazioni in vengono chiesti piccoli cambiamenti o dall’oggi al
domani. E’ qualcosa comunque la cui causa sta fuori.
Adattivo, innovativo e radicale
1) adattivo: modifico al margine l’organizzazione e si incontrano basse resistenze al cambiamento;
2) innovativo: faccio qualcosa che prima non facevo, e introduco una novità nell’organizzazione, ad es.
un’area aziendale che prima non c’era, sempre in parte che però non modifica integralmente
l’organizzazione.
3) radicale: modifico in maniera sostanziale l’organizzazione. Si riprogetta l’intera organizzazione su una
logica diversa.
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1) Un modello generale di cambiamento, Lewin (1951)
L’idea di fondo che cambia nei modelli: il cambiamento è una situazione di instabilità temporanea, ma lo
stato normale dell’organizzazione è l’equilibrio. Possono avvenire dei turbamenti ma non possono essere
continui.
Il cambiamento implica apprendimento di qualcosa di nuovo. Se apprendo qualcosa di nuovo vuol dire che
sono un’organizzazione migliore della precedente. Il cambiamento non avviene se le persone non sono
motivate a cambiare.
Anche se le persone desiderano cambiare, è naturale che esistano resistenze al cambiamento: anche se
desideriamo qualcosa di nuovo, sia di carattere individuale che collettivo.
Se le spinte sono più forti del cambiamento, c’è una fase di scongelamento (1) e si crea una motivazione al
cambiamento, si perde l’equilibrio. Succede quando le persone sono insoddisfatte, me ne accorgo con una
forte spinta al cambiamento. Le persone insoddisfatte sono motivate a cambiare.
A cui segue la fase due: di trasformazione (2), in tale fase avviene l’apprendimento e accumula conoscenza,
qualcosa di nuovo. E’ un cambiamento progressivo e cerco un modo nuovo di fare le cose e mi aiuta a fare
un modello di riferimento.
In tutto questo, è una fase in cui le persone sono stressate, perdono le routine e questo genera conflitto e
stress organizzativo, equivoci sull’obiettivo del cambiamento dell’organizzazione. In questa fase, può esserci
nostalgia: ogni individuo deve aver chiaro un beneficio proprio, la ricompensa per lo sforzo individuale che
ostacola il modo di cambiare.
La terza fase è la fase di ricongelamento (3): il cambiamento si ferma e l’organizzazione trova un nuovo
equilibrio: ci devono essere dei rinforzi: l’organizzazione deve premiare i nuovi comportamenti (teoria del
rinforzo).
Il sistema è in equilibrio.
2) Il modello evolutivo di cambiamento (1972)
Le organizzazione cambiano come gli individui: è fisiologico modificarsi, come gli esseri umani, le
organizzazioni evolvono. In questo sviluppo, possiamo vedere fasi particolari che derivano da una sequenza
di momenti evolutivi e di rivoluzione, fasi di evoluzione e di rivoluzione. Evoluzione come sviluppo lento, la
rivoluzione è una fase critica che porta l’organizzazione a raggiungere un’ulteriore fase di sviluppo.
1) età dell’organizzazione: da un lato ci sono problemi organizzativi che avvengono in alcune fasi e non in
altre; con il passare del tempo, le persone irrigidiscono ed è difficile cambiare: fase iniziale o matura della
vita.
2) la dimensione dell’organizzazione: se sei piccoli puoi gestire processi organizzativi su base informale, non
necessariamente insieme all’età. La strutturazione è speso legato alla dimensione. Maggior necessità di
coordinamento;
3) ritmo di sviluppo dell’organizzazione: la traiettoria dello sviluppo dipende dal settore dove si è. Viceversa
in un settore dinamico si è costretti a cambiare rapidamente. Nei settori ad alta redittività, una
sovraabbondanza di risorse, non è necessario cambiare o d’essere più efficiente. In tal caso le fasi di
evoluzione sono più lente.
Fase 1 - Creatività
Azienda giovane e piccola. Usa età e dimensione (l’unica cosa che cambia nel settore è se la curva sia più o
meno ripida).
1) evoluzione: enfasi su creazione di un uovo prodotto e ricerca di un mercato per venderlo;
1) fondamento è tecnico o commerciale.
2) comunicazione frequente ed informale;
3) re(l)azione diretta con mercato e informale; reagisco e sono in contatto diretto con questo.
Questa fase incontra una crisi quando l’organizzazione aumenta di dimensione, da una forma semplice e
funzionale dove nasce la necessità di avere una linea manageriale intermedia che faccia le funzioni che
l’imprenditore non è più in grado di fare da solo.
2) rivoluzione: crisi di comando. Al crescere del’organizzazione cresce la complessità organizzativa e il
manager non è più in grado di controllare tutto.
Nella fase 2. C’è un nuovo manager professionista che aiuta l’azienda a crescere. Autorità:
1) evoluzione. Il manager consolida l’azienda:
1) introduzione di una struttura funzionale;
2) strutturazione e definizione dei ruoli;
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3) introduzione di sistemi operativi di controllo e comunicazione;
2) Rivoluzione: crisi di autonomia degli altri manager. Al crescere dell’organizzazione i manager di più
basso livello richiedono più autonomia decisionale. Si supera la crisi con la delega.
Fase 3 - Delega
1) Evoluzione: decrentalizzazione organizzativa:
1) responsabilità e incentivi a manager locali;
2) divisione come centri di profitto ai manager con suoi budget;
3) top management agisce per eccezione: solo quando c’è necessità.
4) top management concentrato su operazioni finanziarie e societarie.
2) Rivoluzione: crisi di controllo. Al crexcere dlela divesificazione, il vertice percepisc di di perdere il
controllo sulle devisioni.
Fase 4 - Coordinamento: è la soluzione al problema 3.
Rispondo alla perdita di controllo introducendo procedure e standard.
1) Evoluzione: uso di sistemi di coordinamento:
1) divisioni raggruppate per gruppi di prodotto;
2) procedure di pianificazione e controllo;
3) allargamento staff headquarter e accentramento decisionale;
4) allocazione finanziarie fra divisioni;
5) uso di strumenti quali stock option e profit sharing.
2) Rivoluzione: crisi di burocrazia. Tutto viene burocratizzato e ingessa l’organizzaizone. Conflitto centro e
periferia. Procedure più importanti del problem solving.
Fase 5 - Collaborazione:
1) Evoluzione: spinta alla collaborazione interpesioanel per superare le rigidità burocratiche.
1) potrei usare una matrice.
2) gruppi interfunzionali. Ricompensare il gruppo.
3) Riduzione di staff e hedquarter
4) adozione di struttura a matrice
5) manager ha funzione di indirizzo strategico.
6) importanza della comunicazione e dei valori.
2) Rivoluzione: crisi di saturazione psicologica. Il alvoro in team (interdipendenza reciproca) è
estremannete costoso in termini di coridnato e sforzo reciproco.
Tutte queste interdipendenze reciproche sono difficili da gestire: c’è una saturazione psicologica. Non c’è
più nulla dopo.
Critiche al modello
1) è un modello generico ma non dice il tipo di cambiamento.
2) c’è un forte determinismo, ovvero al sequenza delle fasi.
3) Non è detto che la crescita avvenga in questo modo.
4) manca un equilibrio
Il modello di Kotter
C’è un modo di affrontare il cambiamento che si basa sull’analisi: analizzo la situazione, ad es. il tasso di
assenteismo e poi dico deve cambiare.
Il cambiamento si realizza quando un grande numero di persone rispetto all’organizzazione sente il
cambiamento: è emotivamente coinvolto nella decisione di cambiare. Lui ha individuato un modello dove il
concetto viene continuamente declinato, come portare le persone a sentire questa esigenza di cambiamento.
Ci vuole comunque la capacità di effettuare un’analisi, non basta il cuore. Per realizzare il cambiamento ci
vuole comunque un forte coinvolgimento emotivo.
Nei diversi step alcuni sono più decisivi di alto, ma hanno una successione logica:
1) Creare un senso di urgenza
Se c’è il bisogno di convincere le persone del cambiamento.
Caso. Un manager prende la segretaria e le va riempire il tavolo di guanti con cartellini di prezzo diversi.
Quando sono arrivati gli altri, hanno visto che c’era un disastro nel controllo dei costi.
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Kotter fu consulente di Reagan. Esempio dei portacenere per l’introduzione di un sistema di controllo di
gestione nella pubblica amministrazione.
Creare un senso d’urgenza è creare una visione emotiva. Quanto importante fosse il servizio al cliente.
Esempio del manager che visita tutti i punti vendita di una società.
Come viene attivato un processo di cambiamento si tratta di rendere visibile un problema. Per ognuno di
questi step, ci sono cose che funzionano o meno.
Interrompere l’autorefernzialità: creare l’autoreferenzialità che due persone che non si sono mai viste prima
sostituiscono un’alleanza per cambiare, soluzioni semplici; presentare una situazione che suggerisce cosa
bisogna fare.
Mettere subito in contro la resistenza al cambiamento: stare attenti al segnali, ascoltando. Non concentrarsi
solo sulla costruzione di una soluzione razionale.
2) Creare il team che guiderà il cambiamento
Deve fare un rapido censimento per capire chi ci sta e chi ha capito e quindi non caricare su di sé, ma subito
trovare delle alleanze e investirle del problema del cambiamento.
Funziona: creare dei tema funzionali con competenze diverse. Brunetta non ha creato una PA senza
conoscerla di persone, ma restando nel Ministero. Ha una visione accentrata, è un ministro senza portafoglio,
e la sua capacità di spesa è limitata. Ma non ha coinvolto le amministrazioni periferiche.
Creare l’interfunzionalità: cercare chi ci sta nel cambiamento e creare il mix di competenze adeguate. Non
solo leader, ma anche team.
Si deve formare poi un forte committment di gruppo. Se non si riesce, torna all’origine.
Creare team privi di potere: con le commissioni di studio non si crea cambiamento.
3) Creare una visione motivamente
Ora bisogna comunicare. Il caso è di un progetto dove quando arrivava ad un certo stadio non volava perchè
ij attesa dei mancanti veniva mandato avanti. Venne fatto un ordine di servizio “l’aereo non si sposta finchè
ogni fase non è completata”. Visivamente si vedeva il problema e diventava difficile dire che si poteva
andare avanti: soluzioni semplici per rompere l’autorefernzialità.
C’è sempre l’idea di mettere in scena l’evidenza, di drammatizzare i messaggi con co forti. Funziona vedere i
possibili scenari di previsioni, chiari ed efficaci con poche parole e messaggi. Visioni che suggeriscono i
fatti. Delle immagini che hanno una valenza forte, strategie molto sfidanti, e la rapidità: i pesci veloci
mangiano quelli lenti.
4) Comunicare con finalità di ottenere il consenso
La visione, la comunicazione, la rappresentazione sono componenti del processo. I grandi leader sono
soprattuto grandi comunicatori.
Caso: uso dello screensever come messaggio per dare l’idea dei valori. I leader di successo sono i bravi
comunicatori. Lo scopo è entrare in sintonia con i sentimenti delle persone, parlare alla pancia della gente.
Deve essere in grado di creare con le parole una sorta di semplicità fra comunicatore e colui che riceve il
messaggio.
Il canale deve essere semplice, non affollato e diretto e usare le nuove tecnologie con attenzione.
5) Consentire l’azione attraverso l’empowerment.
E’ importante responsabilizzare la linea verso l’operatività verso il cambiamento.
Funziona usare persone cha hanno già sperimentato il cambiamento, utilizzare incentivi di tipo psicologico.
Vestire in maniera dignitosa nelle multi utility di nettezza umana, sono elementi che consentono di non avere
una visione negativa della faccenda. Creare delle job location.
Oppure riconvertire i riluttanti: gestire i casi che resistono al cambiamento. Tenere conto che spesso in
riluttanti stanno sulla stessa linea gerarchica: non c’è niente da fare. Se uno che ha una posizione di
resistenza e ha dimostrato di non credere nel cambiamento.
L’autodenigramento è una malattia delle organizzazione, malattia dell’Italia.
6) Creare dei piccoli successi
Creare e celebrare dei piccoli successi: dare dei feedback positivi per questa cosa. Celebrare i successi é uno
dei modi per far si che il cambiamento funzioni.
7) Non mollare la presa
Rilassarsi: un’organizzazione rilassata non funziona, ne in situazione ordinaria, ne nel cambiamento.E’
necessario mantenere presa diretta sui problemi più importante per avere un alto committment nei riguardi
della strategia.
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Non funziona: piani rigidi su periodi troppo estesi oppure auto convincersi troppo presto. Non va bene sovra
caricare chi deve gestire il cambiamento. Le organizzazioni devono essere stressate ma devono avere dei
laschi che consentano alla gente di star sola per riflettere.
C’è una dimensione affettiva e ludica della creatività che devo trovare sia nel tempo libero che in quello di
lavoro. I capi stressati sono squilibrati e ciò emerge nella capacità di generare leadership e cambiamento.
8) Far attecchire il cambiamento
Le resistenze al cambiamento
La resistenza attiva, il sabotaggio, fanno paura ma hanno il pregio della chiarezza. Resistenza passiva ed
indifferenza possono essere più pericolose. Uno è così pigro che può anche non arrabbiarsi.
Capire il tipo di resistenza e le cause è importante.
E’ un soggetto che non ha capito perchè è necessario cambiare. E’ un atteggiamento razionale nei processi
che disturba.
C’è anche chi resiste al cambiamento perchè ha origine strutturale e che ha origine di tipo psicologico, su
base individuale o su base collettiva. La resistenza di gruppo è difficile da maneggiare, perché il gruppo ha
tutti gli elementi di conformismo più forti di una posizione gerarchica.
Strutturale: in termini di costi di apprendimento.
Con il passaggio del tempo, la curva conta e il livello standard di produttività (C’): passa il tempo e si è
congruenti con la retribuzioni e con lo standar richiesto per quel job. Ma si hanno sostenuto dei costi di
apprendimento.
Viene introdotta una variazione: i cambiamenti di tipo psicologico che generano costi affondati e che
rendono il cambiamento costoso.
Il cambiamento come sviluppo di professionalità: a fronte di competenze e professionalità, e fronte di un
cambiamento, una piccola caduta che però non è disastrosa, e a differenza dell’immagine precedente.
Gestire o facilitare il cambiamento
Esempio di Marchionne e albergo. A livello di pratiche manageriale è importante la comunicazione, lo spirito
di gruppo e la motivazione.
La gestione del conflitto
La negoziazione è il modo con cui si cerca di ridurre il conflitto, per passare da una situazione di conflitto.
E’ una situazione di disaccordo o di tensione. Vi sono vari tipi di conflitto:
1) microconflitti: il basso tasso di turnover è negativo. C’è un rapporto fra l’idea che ognuno ha di sè stesso
e il feedback che ha dall’ambiente e gli altri. Valutazione / Idea di sè < 1 allora entro in conflitto. Esempio
della scuola: si delegittima il professore. Se l’organizzazione è sana e il rapporto è buono, si vedono
alternative, la soluzione è l’exit, si esce dalla situazione che è frustrante per me. Un certo grado di turn
over è fisiologico. Nel pubblico impiego ci si adegua alla percezione sociale.
1) conflitti interperisonali: è una questione di pelle.
2) mesoconflitti ovvero conflitti di entità media, che avvengono a livello di gruppo. Sono di magnitudo
superiore a quelli individuali e hanno un’altra dinamica.
3) macroconflitti: fra organizzazioni, che sono dei gruppi organizzati con struttura e finalità.
Le dimensioni del conflitto
1) comportamentale: le azioni compiute e osservabili dalle parti;
2) atteggiamenti e percezioni: frame cognitivo con ci le parti vedono se stesse, la controparte e il conflitto
in corso; il frame è uno schema mentale con cui si confronta con frame “l’auto migliore è tedesca”. Di
default c’è un atteggiamento positivo o negativo che genera conflitto. Scorciatoia mentale con cui decido
una situazione = frame, è un euristica. Se il conflitto si genera su frame diversi, prima di mettersi a
negoziare si prova a portare a livello cosciente quello che è inconscio, faccio un’operazione di
scongelamento ed entro nel problema.
3) problema alla base del conflitto: l’oggetto del contendere.
Approcci teorici al conflitto
1) teoria sul conflitto di tipo strutturale: pensa che gli interessi economici sia alla base di valori sociali.
L’errore è che la torta sia data. Ma il progresso fa crescere la torta: ciò è la differenza fra visioni
strutturaliste e non.
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2) visioni funzionaliste: il conflitto svolge una funzione all’interno dell’equilibrio sociale. Per le prime il
sistema è in disiquilibrio che lo porterà alla distruzione e al cambiamento, mentre per le funzionaliste
pensano che il sistema sia in equilibrio.
Il conflitto segnala uno squilibrio all’interno del sistema: c’è una parte che svolge la sua funzione. Il conflitto
segnala un gap, è come un termostato. Il conflitto è la febbre dell’organismo.
a) unitario-tradizionale: gioco a somma zero;
b) pluralistico: attraverso il conflitto non solo si ha un rimedio, ma si ingrandisce la torta;
c) interattivo: non solo c’è un frame teorico, ma ci sono gli strumenti per gestire la situazione.
Il conflitto come processo
1. Condizioni antecedenti al conflitto;
2. Conflitto percepito;
3. Conflitto manifesto;
4. Risoluzione o soppressione del conflitto;
5. “Doppio conflitto”
Come nasce un conflitto?
Fattori individuali
a) i conflitto su valori, atteggiamenti: per risolvere un conflitto sui principi non si va da nessuna parte,
possono diventare empasse. Alla base dei conflitti ci sono atteggiamenti personali. Ad esempio, è difficile
avere un bravo negoziatore con forte bisogno di negoziazione.
b) E’ ugualmente difficile fare un accodo se una delle due parti ha bisogno di potere, tendendo a umiliare la
controparte. Bisogna tener conto anche dei conflitti su dei bisogni e portarli a livello conscio. E’ sbagliato
farsi prendere dall’ira. Il che non vuol dire che non si possa mettere in scena l’arrabbittura, ma che sia la
razionalità a guidare l’arrabbiatura come una tattica.
c) Percezioni e giudizio (euristiche).
Fattori situazionali
a) grado di interdipendenza fra conflitti; la frequenza delle interazioni.
b) bisogno di consenso;
Fattori organizzativi
a) specializzazione e differenziazione;
b) goal setting;
c) scarsità di risorse;
d) influenza e autorità multipla;
e) regole e procedure.
La negoziazione
L’obiettivo deve essere dissimulato; le alternative devono essere dichiarate e scoperte tramite un processo di
negoziazione. Queste due altnernative sono il batna: è il prezzo al quale io so potrei raggiungere un altro
accordo soddisfacente.
L’abilità del compratore è scoprire il batna dell’altro.
Spazio di utilità individuale: c’è una richiesta di apertura. Fatta una dichiarazione, l’altro deve rimontare
una cosa messa sul piatto.
Una forza nella negoziazione è essere disposti a chiudere la trattativa, non avere un eccesso di interesse nei
fatti di concludere una trattativa.
Il punto di rottura è quello al quale abbandoniamo la trattativa. L’arroccamento sulla posizione serve per
non perdere la faccia, soprattutto se la negoziazione è pubblica.
Tipi di negoziazione
Strategie di negoziazione distributiva:
1) concessione: lo faccio perché ho paura che si interrompa la negoziazione, per mantenere vivo il rapporto.
Concedere troppo facilmente è un modo per perdere credibilità, mentre l’arma della concessione va usata con
accortezza e in maniera diversa se pensiamo sia una negoziazione one shot o di lungo periodo.
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2) abbandono del negoziato: è una strategia di exit qualora non si raggiunga un accordo.
3) inazione: dimostrare un certo disinteresse e costringere l’altro a venire allo scoperto. Tirarla per le lunghe.
Esercitare pressione temporale per arrivare alla conclusione, per arrivare alle convergenze.
La minaccia come il bluff deve apparire credibile e legittima dal punto di vista delle prassi commerciali.
La minaccia può essere usata come deterrente. Può essere mitigata.
Oppure il pressing: fare richieste continue e irremovibili “prendere o lasciare”: si può vincere, ma si
deteriora anche il rapporto.
La minaccia di nuovi entranti: tener lontano gli entranti.
Strategie di persuasione: argomentare. Dimostrare con argomenti o esempi perché idee o comportamenti
dovrebbero essere adottati.
Altro passaggio è dimostrarsi recalcitranti. Mai accettare subito una proposta. Quando ci si prepara ad una
negoziazione è importante entrare nei dettagli tecnici. In generale, chi ha più informazioni vince.
- ridimensionare la propria autorità: ma allora perché sto a trattare con te?
- convincere la controparte che la mia è una buona controproposta.
- trovare una ragione sociale: è la moda.
- principio di scarsità: è l’ultima offerta che posso fare.
I rischi di una negoziazione distributiva
Non funziona se dobbiamo stabilire i rapporti di lungo periodo. Il vantaggio della negoziazione integrativa è
di generare alternative, in termini di problem solving.
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