Giulia Zanatta

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Giulia Zanatta
Un saggio sulla pace
di Giulia Zanatta
Volere è potere. Questo antico motto popolare sbandierato da
nonne in grembiule o da genitori in carriera sembra non riguardare il
tema della pace. Le alternative sono due: o il motto è un falso storico,
oppure la stragrande maggioranza delle persone in realtà non
desidera la pace e tra le priorità della vita umana non alberga quella
della pace. Poi c'è un altro detto antico: non c'è pace senza giustizia.
L'immaginario collettivo lega l'idea di giustizia molto spesso ad
immagini di rivoluzioni sanguinarie, al grido contro borghesi, ricchi,
industriali o di chi in quel momento detiene gli odi più o meno
giustificati della popolazione. E' in nome della giustizia che c'è la
guerra, il militarismo, il ministero della difesa. Un animo offeso,
calpestato, non può accettare la pace: ma non è questa la pace. La
nonviolenza, a motivo di questa esigenza, ha inteso educare ad un
alternativa morale della guerra: la pace non come eliminazione del
conflitto, al contrario la pace come essenza stessa del conflitto, un
conflitto che ha sempre presente il proprio scopo senza identificarsi
mai con il mezzo. E lo scopo è il bene dell'umanità. Il termine pace
subisce costanti deformazioni emozionali ed immaginative poco utili.
Oggi parlare della pace ad esempio definisce sempre un tipo di
persona ben preciso: un idealista, un sessantottino con la barba
ispida, un adolescente, un bambino. Evitare la standardizzazione è un
obiettivo difficile, cercare anche solo di parlarne in modo semplice ma
non semplicistico è forse anche più complicato. Partendo da una
osservazione facilmente dimostrabile, ovvero che non si può volere ciò
che non si conosce, ci sarà forse possibile concludere qualcosa anche
riguardo alla frase con cui ho iniziato questo saggio. Io non posso
volere ciò che non conosco perché non saprei nemmeno come
realizzarlo, per poter dunque realizzare la pace, ammettendo che io
sia convinta di volerla, ebbene come prima cosa devo chiedermi se
conosco la pace in prima persona. Parlare di pace a livello politico,
economico, mondiale, parlare di pace in contrapposizione a guerra e
violenza, non è un modo esatto di intendere la pace. Per volerla devo
sapere cosa è: l'unica possibilità è esperirla all'interno della mia sfera
di potere, ovvero il mio io. Nella nostra quotidianità possiamo fare
realmente esperienza solo di ciò che si ripercuote direttamente su di
noi. L'uomo raramente esperisce la pace dentro di sé: è
continuamente attraversato da sentimenti di qualsiasi tipo che
disordinatamente lo stimolano verso sempre nuovi e diversi doveri e
piaceri. La nostra anima è in guerra continua contro il capoufficio, la
cassiera del supermercato o il gatto che ha sporcato casa. La guerra è
a volte talmente violenta che le manifestazioni esterne del nostro
sentire si risolvono in grida esasperate o a volte in schiaffi protetti dal
senso di colpa.
I termini come la pace che sembrano lasciarsi intendere in modo
semplice ed immediato nascondono una complessità infinita. La pace
non si domanda a scuola né si spiega, tutti la nominano ma quanti la
possiedono? Tanti vogliono la pace e “volere è potere” non è un falso
storico: ma per “potere” la pace il cammino esige un lungo tratto di
conquista della volontà.