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Cereria Terenzi:
quando l’Italia funziona
LEADER GLOCALISTI
La Cereria Terenzi ha oggi uno stabilimento di 17mila mq a San Giovanni in Marignano, a due
passi dalla sede amministrativa, rimasta a Cattolica, un fatturato 2010 di 8 milioni, circa 100 di-
portante mercato per noi». In quali altri paesi esportate?
«In prevalenza nel mercato europeo. I principali? Regno
Unito, Francia, Spagna, Portogallo, Russia, Olanda, Svizzera, Germania, nei Paesi scandinavi. Anche in Cina, malgrado il cambio sfavorevole. Abbiamo avviato progetti interessanti negli Usa e in Canada e siamo in fase di esplorazione o prime trattative a Singapore, in Giappone e in
Thailandia».
dele, profumatori, lampade catalitiche e sas-
Ci sono spazi nel mercato thailandese?
Sì, perché è il Paese dove, tipicamente, il massaggio è
abitudine diffusa nel costume e assume quasi la forma del
rito. Per questo mercato abbiamo inventato una candela cosmetica da massagI NUMERI
gio, dermatologicamente testata.
Anno di nascita: 1968
si dal respiro naturale.
Fatturato di gruppo
(2010): 8 milioni.
pendenti e 850 operatori per la rete distributiva.
●
Dai laboratori romagnoli esce una gam-
ma di prodotti che comprende, tra l’altro, can-
●
Ecco come Pao-
questo nuovo caso di successo imprenditoria-
Utile netto
consolidato
ante imposte (2010):
3,5%.
le all’italiana.
Numero dipendenti:
100.
lo Terenzi, presidente del gruppo, racconta
●
a cura di Antonio Barbangelo
Quota export:
8% sul fatturato.
L
a storia imprenditoriale della Cereria Terenzi inizia
verso la fine degli anni Cinquanta. Siamo a Cattolica, in provincia di Rimini: Guglielmo Terenzi, insieme al fratello, inizia a produrre candele destinate al mondo votivo e religioso. Nel laboratorio muove i primi passi anche il figlio Evelino, che alcuni anni dopo, nel 1968,
sceglie di aprire una sua azienda, in una stanza di 16 metri quadri accanto alla casa paterna.
Evelino inizia a fabbricare candele in grado di stare a
contatto con gli alimenti, come le torte per compleanno.
Abbandona così il “vecchio” sistema di fusione della cera a vapore e mette a punto un nuovo processo che utilizza l’acqua calda; più impegnativo e costoso, ma compatibile con l’ambiente e attento alla salute dei clienti. Il sistema ha successo e anche papà Guglielmo decide di seguirlo nella nuova impresa.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Marecchia (che sfocia poco sopra Cattolica). L’azienda, inoltre,
realizza progetti di marketing sensoriale e creazioni di logo olfattivo. Per le buone pratiche di responsabilità socia152 . east . europe and asia strategies
Principali Paesi
export: Regno Unito,
Francia, Spagna,
Portogallo, Russia,
Olanda,
Grecia, Svizzera,
Germania, Cina.
Paolo Terenzi.
le d’impresa, nel 2007 ha ricevuto il Sodalitas Social
Award, ed è stata selezionata per il 3° Csr Europe Enterprise 2020 Marketplace di Bruxelles. «Vendiamo sia attraverso sei brand della nostra società, sia con produzioni private label, per case come Acqua di Parma, Ferragamo o Richard Ginori», spiega Paolo Terenzi. «Esportiamo circa l’8% del fatturato». Dove avete iniziato con l’export? «In Francia, circa dieci anni fa, con piccoli clienti»,
aggiunge il presidente. «La Francia ancora oggi è un im-
Lei quando è entrato in azienda?
Nel 1993, avevo 25 anni. Ma conosco
queste stanze e i nostri laboratori da
quando ero bambino. Naturalmente, da
piccoli giocavamo con le candele.
Come cambiarono le candeline per
le torte di compleanno quarant’anni fa?
Nostro padre Evelino ebbe un’idea
innovativa: realizzare candele con materie prime per uso alimentare.
Oggi questa cosa può sembrare ovvia,
ma nel 1968 pareva qualcosa di atipico.
In quel periodo la paraffina per candele proveniva dal riciclo di scarto da
idrocarburi.
Perché tanta attenzione a questi aspetti?
Le candele possono essere fonte di inquinamento indoor e possono provocare anche malattie polmonari, perché producono particolati e polveri sottili. L’allarme è stato sollevato da autorevoli enti internazionali, quali l’Epa
(Environmental Protection Agency), l’agenzia Usa per la
protezione dell’ambiente e da varie associazioni di consumatori nel mondo.
Voi come vi muovete?
Utilizziamo solo paraffina raffinata al 100% per uso alimentare e idrogenata, priva di benzene e di toluene: sostanza che non è nociva per la salute. Lo stoppino è in co-
tone, non sbiancato chimicamente. I coloranti sono a base di pigmenti naturali; profumi ed essenze sono a norma
Reach (Registration, evaluation and authorisation of chemicals), certificate da enti come Ral o Ifra (International
Fragrance Association). Le norme europee nel nostro settore sono giustamente molto rigorose, in particolare la direttiva 95/CE del 2001.
Per produrre candele occorre fare ricerca?
Certo. Noi abbiamo un laboratorio di R&S dove lavorano dodici persone. Ogni anno investiamo circa il 12% del
fatturato in ricerca.
La maggior parte dei consumatori
non immagina che una candela possa inquinare.
È vero. Non c’è informazione su questo tema, né molta
sul nostro settore: l’home fragrance. Insieme a Giunti editore abbiamo pubblicato un libro sulla storia della candela – La luce perfetta. Le candele fra tradizione e innovazione – che si propone di informare il consumatore per
fare acquisti sicuri. Una sorta di guida alla qualità. È stato tradotto in quattro lingue: italiano, inglese, francese e
spagnolo.
Vediamo la rete commerciale.
Mi occupo personalmente della direzione commerciale e seguo con il mio team lo sviluppo dei progetti speciali. Sono affiancato da due responsabili. All’estero contiamo su distributori specializzati nel canale del lusso e uffici di rappresentanza. Noi abbiamo sei brand, ma è come
se ciascuno fosse un’azienda a parte, che opera con proprie regole e proprie strutture commerciali.
Chi sono i vostri competitor italiani?
Ci sono oltre 300 operatori nel settore, sparsi sull’intero territorio nazionale. Si tratta di realtà molte diverse tra
loro: si va dal piccolo negozio, che magari ha una produzione propria, all’industria che raffina le materie prime.
Le aziende di medie dimensioni, come la nostra, sono
una decina, in prevalenza al Nord.
E quelli esteri?
I produttori europei, specie quelli della Germania, hanno caratteristiche differenti dalle nostre: sono di grandi
dimensioni, con produzioni massive concentrate su pochi prodotti. Oggi, inoltre, si stanno affacciando nuovi
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competitor dell’Est Europa, con bassi costi di mano
d’opera. È una vera spina nel fianco per questo mercato,
che dopo aver subito la fase di produzione cinese con costi assurdamente ridotti all’osso, ora deve fare i conti con
un nuovo fronte della concorrenza, in qualche misura
squilibrata.
Dove acquistate le materie prime?
Hanno subito variazioni di prezzo?
Le nostre materie prime vengono dalla Germania, dove
hanno le migliori paraffine raffinate. Le quotazioni sono
determinate da un listino internazionale, definito alla Borsa di Rotterdam. Da oltre un anno stiamo subendo aumenti, legati alle speculazioni sul petrolio e i suoi derivati. Solo nei primi tre mesi del 2011 l’aumento medio della materia prima ha subito un incremento superiore al 30%.
Quali sono i principali eventi espositivi
nel settore a cui partecipate?
Le nostre fiere di riferimento sono il Christmas World
di Francoforte, dedicato alla decorazione della casa e del
Natale, e l’Exsence di Milano, evento riservato alla profumeria artistica mondiale. Ma assistiamo anche i nostri
distributori esteri nelle fiere dei rispettivi Paesi: per esempio al Giftrends di Madrid, o in altri eventi di settore nei
Paesi scandinavi.
E le previsioni di consumo cosa dicono?
In Italia il mercato delle candele presenta una curva in
fase crescente, soprattutto se consideriamo il gap di consumo rispetto ad altri Paesi europei. Si prevede una crescita del consumo pro capite fino al 2015. Dovremmo arrivare ai valori attuali della Francia.
Chi sono nel mondo i maggiori consumatori di candele?
In Europa sono gli svedesi. Nel 2010 nel Paese scandinavo sono stati consumati 4.400 grammi pro capite, in
Germania 1.850, in Francia 960, in Italia 125. Spagna e
Portogallo sono sui nostri livelli, Olanda e Belgio si attestano intorno ai 700 grammi. Negli Usa sono poco sopra
ai consumi della Svezia.
Quali potenzialità presenta per voi il mercato svedese?
Abbiamo siglato una partnership con un’azienda svedese specializzata nel settore, che si svilupperà soprattutto nell’ambito dei profumi e del marketing sensoriale.
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L’obiettivo è di raggiungere, con il nostro partner, un giro d’affari di 1,5 milioni di euro entro il 2013.
Ha parlato più volte di marketing sensoriale.
Ci spieghi meglio.
L’olfatto, come leva di comunicazione, è un senso poco utilizzato. Tutta la comunicazione commerciale e la
pubblicità sono incentrate sulla vista e l’udito. Mentre gli
specialisti in questo campo ci dicono che la leva di acquisto del consumatore medio è influenzata per l’86% proprio dall’odore.
La nostra azienda realizza progetti di marketing sensoriale e creazioni di logo olfattivo. Sono progetti che si
svolgono, in genere, nell’arco di 24 mesi. Creiamo essenze personalizzate nei nostri laboratori, intrecciando le
funzioni e le proprietà di prodotti come diffusori a osmosi o candele in grado di catalizzare le polveri.
Evelino (scomparso),
Tiziana e Paolo Terenzi.
Come si crea un logo olfattivo?
Si elabora un logo olfattivo in funzione del target che
si vuole raggiungere. Prendiamo un caso storico “di scuola”, come il profumo legato al marchio Borotalco: l’aroma dolce della vanillina richiama quello dei pasticcini
mangiati in famiglia la domenica e di creme al latte preparate per i bambini; simboleggia la tenerezza della mamma nei confronti del proprio figlio. Creare un logo olfattivo è un’operazione molto delicata: non solo l’odore scelto deve esprimere i valori dell’azienda, ma anche ottenere il più vasto consenso possibile. Ma non esistono odori universali: un odore piacevole per qualcuno potrebbe
produrre un effetto di disgusto per altri; ecco perché più
ristretto è il target dei consumatori a cui si rivolge il prodotto, più semplice sarà il compito di creare il suo logo
olfattivo. Ci sono aziende che effettuano operazioni molto complesse – con il contributo di studi psicologici – prima che un certo odore diventi la “firma olfattiva” di un
prodotto.
differente rispetto a quella europea. Mi è venuta un’idea:
bisognava usare il vocabolario dell’emozione e dell’olfatto, non quello della ragione, parlando magari di proprietà organolettiche. Così abbiamo costruito un percorso olfattivo con tre diverse aree all’interno del wine bar; il consumatore che le attraversa può comprendere meglio un
vino che “parla” romagnolo attraverso i profumi. È un
modo per fare branding intorno al vino.
Qual è stata l’esperienza più interessante
di marketing sensoriale all’estero?
Un progetto che ha permesso nel 2010 l’apertura del
primo wine bar sensoriale in Giappone, a Hiroshima. Come è nato il tutto? Da un viaggio di lavoro a Dubai di due
anni fa. In aereo ho conosciuto l’export manager di una
nota azienda vinicola italiana, che mi raccontava delle
sue difficoltà nel far conoscere il vino in Paesi di cultura
Cosa vi hanno chiesto i clienti del Paese asiatico?
C’è un aspetto che mi ha colpito: i clienti cinesi erano
poco interessati al prezzo, ma estremamente rigorosi su
certificazioni e prove dei fumi delle candele in laboratorio. In altre parole, mentre tutta l’Europa correva a comprare candele cinesi scadenti a prezzi bassi, nel Paese dei
mandarini si rifiutavano di acquistare ciò che vendevano a noi europei, cercando invece la qualità. All’inizio
Rimaniamo in Asia.
Quando avete “scoperto” il mercato cinese?
Nel 2008. Proprio nel periodo in cui era all’apice in Cina l’export di candele scadenti – e nocive – a prezzi stracciati. La mancanza di controlli e normative nel Paese asiatico ne favoriva la vendita in Italia e in Europa. I nostri
clienti cinesi erano – e sono – ben consapevoli del problema, perché forniscono i monasteri buddisti del Paese,
che utilizzano quanti enormi di candele. E l’inquinamento era ben visibile, con effetti spiacevoli sui monaci.
non hanno comprato il design italiano, ma la candela più
classica e semplice del mondo: la lumella tea light, con il
contenitore in alluminio. Volevano solo la qualità e la sicurezza per la salute dei monaci. La prima fornitura è stata inviata per aereo: un pallet con circa 40mila candeline. Oltre alle schede tecniche e agli esami di laboratorio
hanno voluto la bandiera italiana sulla confezione. Da
quell’ordine di prova ne sono arrivati altri. Oggi l’articolo si è evoluto in una candela, sempre in un contenitore
di alluminio, che deve ardere per tutto il tempo della funzione religiosa.
Facciamo qualche previsione.
È un mercato che può esprimere altre potenzialità?
Certo. Non è solo legato alle candele per i monasteri.
Sono player concreti, attenti alla sostanza. E tecnicamente preparati: conoscono le materie prime impiegate nei
processi di produzione. Naturalmente questo mercato offre molte altre opportunità, specie nel settore del lusso.
Dall’ultima fiera in Germania abbiamo ricevuto numerose richieste per questa linea (ilbrand Tiziana Terenzi); ora
stiamo valutando quale sia il migliore partner sul territorio cinese per la distribuzione. Anche con l’azienda vinicola – fortemente orientata al Far East – stiamo realizzando candele per degustazioni dedicate al mercato cinese,
che saranno lanciate nel secondo semestre dell’anno. Tutto lascia pensare che in Asia ci siano ampi spazi di mercato da esplorare.
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