Visualizza - Pubblica Istruzione
Transcript
Visualizza - Pubblica Istruzione
LEZIONE N° 2 PARTE 1 - LE NUOVE DIPENDENZE ON LINE A cura del Prof. Giuseppe Lavenia, Psicologo Clinico - Resp. Area Nuove Dipendenze Centro Studi e Ricerche “Nostos”, docente di Psicologia Clinica e Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, coordinatore del corso integrato in metodologie e tecniche della riabilitazione - Università degli Studi di Chieti Aumentano le famiglie che possiedono un personal computer: il 27.2% di quelle italiane ne possiede uno. Ad usare il pc è il 30% della popolazione dai 3 anni in su, il 19% dei quali, dagli 11 anni in poi si collega ad internet. L’uso di pc e Internet è praticamente raddoppiato rispetto al 1995, con una crescita che ha visto come protagoniste soprattutto le donne. Gli utenti che utilizzano la rete Internet sono circa 9.000.000; (dati ISTAT). Ma quanti di questi utenti sono al corrente dei possibili problemi legati allo scorretto utilizzo di internet? La diffusione delle nuove tecnologie sta modificando in breve tempo le nostre abitudini e le modalità d’intendere i processi di comunicazione. I nostri parametri spazio temporali mutano continuamente in relazione al costante aggiornamento delle nuove tecnologie e con esse si modifica sempre più il nostro sistema di comunicazione con gli altri. In passato scrivere una lettera richiedeva tempi lunghi, talvolta non si era neanche sicuri che il destinatario l’avesse ricevuta. Questa estate durante le ferie estive mi sono trovato, per altro con piacere, a scrivere delle cartoline, cercare i francobolli o la buca delle lettere. Mi sono sentito un “cavernicolo”, ormai ampiamente abituato a comunicare attraverso la posta elettronica e le chat-line. La tecnologia modifica le nostre abitudini e la nostra vita, ma a fronte degli innumerevoli vantaggi apportati dall’applicazione di queste nuove tecniche iniziano a manifestarsi “situazioni particolari” definite da alcuni autori come tecno-patologie. L’utilizzo delle nuove apparecchiature interagisce con il nostro apparato psichico e per la prima volta nella storia del genere umano, l’uomo ha ideato un dispositivo che lo costringe ad adeguarsi al “suo” modo di “pensare”; l’utilizzo del personal computer richiede un reale adattamento mentale al suo funzionamento e di conseguenza spinge il soggetto ad adeguare le proprie funzioni cognitive al funzionamento della macchina. Alcuni studiosi statunitensi hanno evidenziato un cambiamento nelle modalità di comunicazione del linguaggio parlato degli adolescenti in relazione all’uso dell’informatica. Sempre più spesso questi adolescenti terminano le frasi in tono crescente e lievemente dubitativo, come per suggerire che tutto quanto dicono sia una domanda più che un’affermazione (fenomeno battezzato come upspeak). La natura condizionale e aperta di questo nuovo modo di parlare sembra suggerire che i pensieri di ciascuno, per avere un senso ed essere convalidati, debbano essere sempre collegati alle relazioni altrui. C’è apparso quindi indispensabile analizzare le modificazioni che si verificano nella psiche umana in rapporto con l’ormai totale diffusione della rete e, per quanto riguarda noi operatori della salute mentale, il possibile approccio per quei fenomeni psicopatologici riuniti nella sigla di IAD (Internet Addiction Disorder) che sempre più frequentemente si manifestano nella pratica clinica. INTERNET ADDICTION DISORDER (I.A.D.) Il termine si deve allo psichiatra americano Ivan Goldberg che, nel 1995, propose dei criteri mutuati dalla diagnostica per le dipendenze dal DSM. Goldberg con la sua proposta ha dato avvio ad una riflessione che ha incuriosito numerosi psicologi e psichiatri ed ha imposto all’attenzione del mondo il rischio di dipendenza da Internet. Goldberg avanzò la proposta di diagnosticare una I.A.D. qualora venissero individuati nella persona tre o più dei seguenti segni clinici di tolleranza e/o astinenza, riscontrabili varie volte nel corso dello stesso anno. A) Segni clinici di tolleranza: • Aumento progressivo e costante delle ore da trascorrere on line per ottenere soddisfazione; • riduzione notevole degli effetti derivanti dall'utilizzo della medesima quantità di tempo trascorsa in Internet. B) Segni clinici d’astinenza: 1. marcata riduzione d’interesse per altre attività che non siano Internet; 2. sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso della rete, di agitazione 3. psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line, classici 4. sintomi astinenziali; 5. necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più 6. prolungati rispetto all’intenzione iniziale; 7. impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso d’Internet; 8. dispendio di gran quantità di tempo in attività correlate alla rete; 9. continuare ad utilizzare Internet nonostante la consapevolezza dei problemi fisici, 10. sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete. ALCUNE IMPORTANTI ANALOGIE CON LE “VECCHIE”DIPENDENZE Ciò che ha spinto il nostro gruppo di ricerca ad avviare uno studio sull’I.A.D. è stato, in particolare, la sua analogia psicopatologica con quadri clinici assimilabili all'uso di sostanze psicotrope. Gli elementi in comune da noi analizzati hanno riguardato inizialmente le modificazioni psicologiche che si producono nell'individuo che diviene dipendente dalla rete: perdita delle relazioni interpersonali, modificazioni dell'umore, alterazione del vissuto temporale, cognitività completamente orientata all'utilizzo compulsivo del mezzo; il soggetto tende a sostituire il mondo reale con un oggetto artificioso. Una sorta di “feticismo tecnologico”, attraverso il quale l’individuo riesce a costruire un proprio mondo personale - e in questo caso virtuale - analogo al mondo del tossicodipendente: esclusivo per linguaggio, abbigliamento, atteggiamenti e comportamenti. La domanda profonda che ci siamo posti è che se questo è vero la tossicodipendenza potrebbe essere vista come un bisogno dell'individuo di crearsi un mondo personale indipendentemente dalla sostanza o strumento che lo rende dipendente. E’ evidente che attraverso Internet si possono provare intensi e piacevoli sentimenti di fuga, superando on-line i problemi della vita reale, con un effetto simile ai “viaggi”consentiti da alcune droghe e inoltre permette al soggetto di provare un senso d’onnipotenza, connesso con il superamento d’ogni limite personale e spazio temporale (fenomeno anch’esso presente nell’utilizzatore di sostanze psicotrope). Il fenomeno della distorsione del tempo è fondamentale per poter meglio comprendere il problema: “Qualunque sia la ragione di partenza per avventurarsi nella navigazione on-line, presto s’impara che trovare ciò che serve e poi uscire è ben di rado semplice e veloce come aprire il frigo e prendersi qualcosa da mangiare al volo” (Young, 1995). Il tempo sembra fermarsi in rete, la parola fine non c’è mai. Molte volte i soggetti che utilizzano le rete, oltre a non rendersi conto delle diverse ore già trascorse dinanzi allo schermo, tendono ad alterarsi facilmente con chi disturba il loro “viaggio”; esperienza questa che può essere paragonata alla risposta che un alcolista dà ad un amico trovandosi ad una festa “soltanto un biccherino”, o a quella del fumatore che dice a se stesso “solo un’ultima sigaretta e andrò a dormire; lo stesso procedimento è messo in atto dagli internet dipendenti che risponderanno irritati a chi gli chiede di disconnettersi “ancora un minuto e spengo”, oppure diranno a se stessi razionalizzando “un altro minuto non farà molta differenza” ma poi rimarranno connessi ancor per ore e ore. Altro fattore fondamentale per la valutazione degli “addicted” è la “negazione del problema”. Come spesso accade con altri tipi di dipendenza, è molto difficile ammettere di avere una difficoltà. Nel contesto internet questo appare ancor più gravoso: come si può chiedere aiuto per qualcosa che la maggior parte delle persone apprezza per la sua potenza e il suo potere innovativo? I soggetti “dipendenti” posti di fronte alla chiara evidenza di un comportamento tossicomanico si trincerano dietro l’opinione comune secondo la quale internet è grandioso, “non può far male”. TABELLA COMPARATIVA TRA LA DIPENDENZA DA SOSTANZE E INTERNET ADDICTION DISORDER ELEMENTI DI PSICOPATOLOGIA L’utilizzo della rete e delle varie applicazioni è in grado di determinare un ampliamento ed un’errata percezione dei confini del Sé. Presi nel vortice dei rapporti sociali, dividiamo disperatamente la nostra limitata attenzione, concedendo frammenti della nostra coscienza ad ogni cosa o persona che richieda il nostro tempo. Nel farlo, rischiamo di perderci pian piano nella rete labirintica di connessioni mutevoli e temporanee in cui siamo sempre più integrati. Gergen scrive: “Questa frammentazione della percezione di sé corrisponde ad una molteplicità di relazioni incoerenti e fra loro sconnesse. Queste relazioni ci spingono in una miriade di direzioni, invitandoci ad interpretare una varietà di ruoli tale da far sfumare il concetto stesso di sé autentico, dotato di caratteristiche conoscibili. Il sé completamente saturato diventa un non sé” (J. Rifkin, “L’era dell’accesso”, Oscar Mondatori, Milano, 2001). D’altro canto la mancanza di una reale presenza fisica e l’impossibilità di poter accedere a tutta una serie di messaggi non verbali ai quali siamo abituati nelle relazioni interpersonali diminuisce la possibilità d’accesso a tutta una serie d’informazioni fondamentali nell’interazione tra due individui. Questi due fenomeni appena descritti sono alla base di sensazioni d’onnipotenza legate all’uso d’Internet e ai vissuti di depersonalizzazione spesso descritti nelle situazioni di grave intossicazione. Elemento fondamentale per comprendere le dinamiche legate alla dipendenza da Internet è il fenomeno della “distorsione del tempo” prodotta dalle chat. La comunicazione in chat possiede “l'interattività” che le permette di essere assimilata alle altre forme di comunicazione verbale. Ciò porta istintivamente a confrontarla con esse e a considerare come unità di misura del tempo il volume d’informazioni trasmesse e ricevute. Purtroppo nonostante l'interattività, la chat è comunque più lenta di una comunicazione verbale, perciò alla fine di una conversazione in cui ci si sono scambiate "tot" informazioni il tempo trascorso sarà molto maggiore di quanto sarebbe stato se la comunicazione fosse avvenuta a voce. Questo però è percepito solo successivamente quando controllando l'orologio si vede che, come sempre, si è stati in chat più tempo di quanto non ci si era prefissati. Non è solo la chat a possedere questa peculiarità ma a nostro avviso tutta la struttura del net che, sebbene con forme diverse, amplifica il problema tempo. Fra tutti ricordiamo l’ipertesto, elemento fondamentale della rete, costituito da una serie infinita di collegamenti che ci portano a navigare per ore e ore ricercando e reperendo una quantità così vasta d’informazioni che la mente umana non può “contenere” e rendendo in questo modo il nostro “viaggio” vano. Problematica psicopatologica legata alla distorsione del tempo è l’alterazione spazio temporale prodotta nel soggetto che rimane collegato per molte ore, talvolta per giorni, ad internet. Alcuni pazienti vanno incontro ad un’inversione del ritmo sonno veglia e a veri e propri stati deliranti in rapporto al costante utilizzo della rete. LE VARIE FORME DELL’INTERNET ADDICTION DISORDER Le numerose attività che si possono svolgere online fanno sì che lo I.A.D. non sia un fenomeno omogeneo ma si manifesti sotto varie forme: - lo shopping compulsivo online; - il gioco d’azzardo online (online gambling); - la chat dipendenza; - l’information overloading. - il cybersex; LO SHOPPING COMPULSIVO ONLINE Lo shopping compulsivo è da qualche tempo oggetto d’interesse per la psichiatria, nonostante non sia ancora stato codificato dal DSM, è descritto come un impulso irrefrenabile, un bisogno inarrestabile, una tensione costante che può essere alleviata solo comprando. Appare evidente la concezione del disturbo in funzione della dipendenza, o meglio la necessità di compiere un rito per alleviare un qualcosa di brutto. Ciò suggerisce che lo shopping compulsivo sia concepito come un disturbo ossessivo-compulsivo. Secondo uno studio effettuato da Christenson (1994) i “compulsive buyer” descrivono lo shopping, almeno all’inizio, come divertente, eccitante; solo con il passare del tempo s’inizierà a provare vergogna e sensi di colpa. Ciò è in linea con il principio secondo cui è il piacere inizialmente dato dall’acquistare, e non tanto dal bisogno di eliminare qualcosa di spiacevole, a portare la persona gradualmente a non poterne fare più a meno. Se questo è vero nello shopping compulsivo, lo è ancor di più nello shopping compulsivo online, dove può bastare solo una carta di credito per entrare i tutti i centri commerciali del mondo e frugare in tutte le offerte senza offrirsi necessariamente all’occhio divertito dei presenti. E senza quindi doversi vergognare. Quello che spingerà all’ammissione del problema da parte di chi soffre, non sarà l’enorme quantità di tempo spesa in rete, bensì il non riuscire più a sostenere economicamente il proprio comportamento: non sono rari i casi di ricorsi a fidi bancari dopo il prosciugamento del proprio conto, con conseguente vergogna e senso di colpa verso i familiari. IL NUOVO AZZARDO: GAMBLING ON LINE Nell’era multimediale il gioco d’azzardo cambia faccia e, naturalmente, nome: comprende i videopoker, le slot machines e il gioco d’azzardo virtuale (casinò virtuali, aste on line ecc.). 2 Lo shopping compulsivo non è un fenomeno nuovo: già Kraepelin nel 1915 parlava di “oniomania”, ovvero la mania di comprare di tutto seguendo un impulso irrefrenabile. Oggi, ai tradizionali “drogati” del tavolo verde, si aggiungono quelli del videopoker, quelli che navigano nei siti di gioco virtuale su Internet, ma anche quelli degli spericolati investimenti in Borsa. La nuova frontiera delle patologie d’azzardo, tuttavia, sembra essere Internet. Il gioco d’azzardo virtuale esiste da quando si è diffuso l’utilizzo d’Internet: disponendo di un personal computer, di un collegamento ad Internet e di una carta di credito è possibile puntare e scommettere su tavoli verdi virtuali della roulette o giocare con slot machines on line stando comodamente seduti a casa propria. La pericolosità di tale fenomeno risiede nel fatto che il giocatore on line, soddisfacendo il desiderio di sentirsi svestito dal pregiudizio sociale negativo che accompagna i frequentatori di casinò, libero, nella comodità dei suoi spazi, di scommettere 24 ore su 24, può incorrere ad un uso incontrollato e inopportuno del gioco on line. Una categoria particolarmente a rischio è rappresentata dai giovani. La dimensione del gioco telematico sottolinea l’assenza di un elemento cardine del gioco che è la socializzazione e, inoltre, evidenzia la solitudine e anche la malinconia del gioco, che induce ad attuare comportamenti patologici. In Italia non esiste una normativa che proibisca o regoli la diffusione del gioco d’azzardo on line. Internet ha aperto le porte, inoltre, al tradizionale gioco del Lotto: si gioca accedendo ai siti che funzionano da vere e proprie ricevitorie virtuali. Cliccando, per esempio, su Totoservice si può giocare al Lotto, al Totocalcio, al Totogol, al Totip, Tris e SuperEnalotto. Il meccanismo è ancora una volta basato sul piacere, sulla soddisfazione ottenuta dalla vincita. Con una differenza: non sempre si vince, ma questo non toglie voglia al giocatore di continuare a tentare, perché prima o poi si dovrà tornare a vincere. Praticamente le perdite non danno delusione: aumentano l’eccitazione della ricerca della vittoria. Vittoria che ogni tanto è conquistata. A differenza dello shopping compulsivo, questo tipo di patologia non porta conseguenze solo sul piano economico: lo scommettitore, con lo scopo di recuperare le somme di denaro perso, inizia a passare sempre più tempo nella dimensione virtuale tralasciando la sua vita. Spesso entrano a far parte del quadro anche tratti depressivi, dovuti ad un’attività frenetica seguita dalla perdita di cospicue somme di denaro, ed un notevole nervosismo che è sfogato nei confronti della famiglia, o di chi cerca di distrarlo dalla sua attività. LA CHAT DIPENDENZA E LE RELAZIONI IN RETE Il fenomeno della comunicazione online è uno dei fenomeni più discussi in questi ultimi anni. Si può considerare il problema della dipendenza dalle chat secondo due aspetti: • il primo riguarda proprio la modalità di relazionarsi in rete e l’incapacità di allontanarsene (i maniaci delle chat); • l’altro in cui la rete rappresenta solo una contaminazione di un’altra patologia, ovvero una tentata risoluzione del problema relazionale. I maniaci delle Chat La chat è una forma di CMC (comunicazione mediata da computer) sincrona, dove vari soggetti scambiano messaggi di testo in tempo reale; ovviamente la comunicazione può essere tra due sole persone, oppure tra tutte le persone presenti in quel momento in un determinato canale (o stanza, dal momento che spesso le chat sono organizzate in stanze, room, con diversi argomenti); comunque di solito al di là delle tematiche trattate è soprattutto l’aspetto relazionale che spinge all’utilizzo di questa forma di comunicazione. Si rende quindi obbligatorio l’uso della fantasia sia nel presentarsi agli altri utenti, sia nell’immaginarli. Ma ancora più intrigante risulta il fatto di poter dare di se un’immagine diversa da quella effettiva, suscitando negli altri interesse e curiosità insperabili nella vita di tutti i giorni. Come dice la Young (1998):”quando si vedono delle persone solo attraverso delle parole scritte su un monitor, si è liberi di costruirsi un’immagine assolutamente personale e arbitraria di questa persona nella realtà” (non sono pochi i casi di persone che sperimentano delusioni anche molto forti in seguito all’incontro con la persona conosciuta in chat e della quale ci si era fatta un’immagine che esulava anche di molto dalla realtà dei fatti). Internet ci dà l’opportunità di porci davanti al nostro ideale, e quindi di sentirci finalmente ideali. Tutto questo può essere sufficiente per far sì che questa modalità comunicativa diventi irrinunciabile; perciò le ore al computer aumenteranno, sarà difficile passare molto tempo senza connettersi, per controllare che ci sia quel messaggio di quella data persona; in altri casi si può avere la sensazione che qualcosa cominci a mancare, come quando la persona di cui ci si innamora è lontana, e ci sono spazi e vuoti da colmare. Allora si inizierà a sperimentare nuovi tipi di interazione, basati non più solo sulle parole scritte: ci sono infatti molti programmi (ad esempio il Messenger di MSN, oppure il Net Meeting di Windows) che consentono anche una connessione audio-video tramite webcam; quando anche questo non basta più si decide di passare all’incontro, e si è visto come proprio in questo momento l’”idillio” potrebbe finire. Quindi se per molte persone conoscere gente su internet, scambiare messaggi, scherzare può essere un piacevole momento di intrattenimento (che rimane tale), per altri diventa una delle poche, se non l’unica fonte da cui attingere piacere: il resto conta sempre meno e una persona già introversa e con scarsa capacità relazionale finisce, a causa della chat, per atrofizzarla del tutto. Il contatto con una persona in carne ed ossa potrebbe addirittura divenire fonte di ansia, e di conseguenza sarà evitato il più possibile. Ed è anche sbagliato pensare che questo genere di persone siano solamente single oppure persone che abitano da sole, infatti la maggior parte delle volte sono proprio i partner o uno dei familiari che le minacciano di ricorrere ad una terapia per smettere (G. Nardone, F. Cagnoni, “Perversioni in Rete: le psicopatologie da Internet ed il loro trattamento”, Ponte alle grazie) L’INFORMATION OVERLOADING ADDICTION Information overloading significa sovraccarico di informazioni: qualcuno lo ha definito “l’inquinamento di Internet”, ovvero la massiccia quantità di informazioni inutili scadenti ed antiquate che circolano in Rete. Per Information Overloading Addiction s’intende la ricerca estenuante di notizie, informazioni: ci si ritrova a passare tantissimo tempo online alla ricerca di informazioni, e frequenti sono anche i tentativi di ridurre o controllare questa quantità di tempo dedicata all’estenuante ricerca di notizie. IL CYBERSEX ADDICTION: CHAT SEX e CYBER PORN E’ difficile stabilire il confine tra normalità e patologia di un disturbo comportamentale: come si fa a stabilire chi usa troppo il computer, chi compie acquisti in maniera compulsava, chi gioca troppo d’azzardo, chi pensa e mette in atto il sesso in modo patologico? In realtà, sono queste persone a riconoscersi per prime come disturbate dal loro comportamento, perché si rendono conto, gradualmente, di perdere il controllo della propria vita e di non riuscire più né a dominarla, né a controllare il loro comportamento. Questo è ciò che avviene nelle vite dei CyberSex Addict, stretti in un vortice di dinamiche sessuali che non lascia tregua, ossessionati da pensieri carnali e spinti a compiere atti che per pochi attimi di piacere li rendono schiavi di una tirannica dipendenza. Nel cybersex addiction rientrano diverse tipologie di comportamenti, che spesso non presentano caratteristiche omogenee tra loro. Gli autori individuano quattro categorie di elementi che potrebbero favorire lo sviluppo di disturbi legati alla Rete e sono: 1) psicopatologie preesistenti ( depressione, etc.); 2) condotte a rischio (“eccessivo consumo”, riduzione delle esperienze di vita e di relazioni “reali”, etc.); 3) eventi di vita sfavorevoli (problemi lavorativi, familiari etc. “internet come valvola di sfogo”); 4) potenzialità psicopatologiche proprie della Rete (anonimato e senso di onnipotenza che possono degenerare in: pedofilia, sesso virtuale, creazione di false identità, gioco d’azzardo, etc.). Per quanto riguarda invece le singole fasi, nella seguente tabella sono riportate le attività svolgibili ed i relativi rischi connessi nella fase di Osservazione e ricerca: Tab. 4 - Attività e Rischi della fase di “Osservazione e Ricerca”. Si tratta di disturbi che possono avere un’esistenza anche nella vita reale, a prescindere dal pc, ma ciò che li rende particolarmente accentuati in questo caso sono le caratteristiche, proprie della Rete, di anonimato e di estrema facilità nell’accedere ai servizi. Come evidenziano i due autori, si tratta di disturbi propriamente compulsivi, che possono diventare per il soggetto il centro della propria esistenza. La fase attuale mostra un rapporto di tipo esclusivo “uomo-macchina” in cui non c’è spazio per la creativà e lo spirito “produttivo” che contraddistingue l’essere umano. Nella fase Relazionale-Comunicativa è possibile riscontrare le cosiddette NetAddiction, caratteristiche di soggetti con difficoltà a livello comunicativo-relazionale, che tendono a rifugiarsi nella Rete per evitare le proprie problematiche esistenziali. La seguente tabella riassume le attività che si possono sviluppare ed i conseguenti rischi: Tab. 5- Attività e Rischi della fase “Relazionale - Comunicativa”. I “Cyber-Porn Addict” sono attratti principalmente dalle immagini pornografiche; i Cybersex addicts invece, preferiscono avventurarsi nelle chat erotiche, dove scambiano, con i propri partner virtuali, messaggi sessuali scritti a volte accompagnati da foto delle proprie nudità o da riprese con la Webcam. Tra i due fenomeni ci sono anche differenze di genere. Dai nostri studi è sempre emersa una maggiore presenza femminile nelle chat e un maggiore interesse maschile per la pornografia. Dai nostri lavori emerge un quadro definito del CyberPorn Addiction, caratterizzato dai seguenti segni clinici: 1) Trascorrere molto tempo in Rete alla ricerca di materiale pornografico; 2) aspettative di eccitazione o gratificazione sessuale legate alle connessioni successive; 3) nascondere agli altri la fruizione in Rete di materiale pornografico; 4) vergogna e senso di colpa per il proprio comportamento in Rete; 5) ricerca attiva di materiale pornografico; 6) masturbazione compulsiva prolungata e controllata, con lo scopo di enfatizzare l'emozione della visione pornografica; 7) eiaculazione finale (uomini) / orgasmo (donne) liberatoria, quale, spesso, unica possibilità per riuscire ad interrompere la fruizione pornografica; 8) calo del desiderio sessuale verso la propria partner/il proprio partner; 9) possibilità di masturbazione solo attraverso la visione di materiale pornografico; 10) condizionamento a vivere la propria vita sessuale solo in termini "fisici", l'aspetto affettivo tende a scomparire; 11) ripetuti tentativi fallimentari di controllare, limitare o sospendere la fruizione pornografica; 12) perpetuare la fruizione di materiale pornografico in Rete, nonostante evidenti conseguenze a livello familiare, sociale, lavorativo ed economico, da essa derivate o accentuate. Probabilmente, come per tutte le cose, prima di esprimere giudizi allarmistici e demonizzanti, come spesso avviene nei riguardi del sesso e della Rete, bisognerebbe soffermarsi a riflettere. Così come la sessualità è un’entità che esiste a prescindere da noi e non la si può ignorare (o almeno non per sempre!), anche Internet oramai è entrato a far parte di noi! Non si può pensare di vivere senza telefono, senza energia elettrica, senza i mezzi di trasporto, e non si può pensare di rinunciare ad un mezzo come la Rete, che ogni giorno facilita la vita a milioni di persone. Quindi, è stupido da parte nostra provare a demonizzarla. Piuttosto, ci si sforza di capire i meccanismi, le potenzialità, i pericoli del mezzo, dimenticando forse, che chi ne resta vittima sono persone che vivono un forte senso di disagio e disperazione, e la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi principalmente su di loro. Dovrebbe essere interesse comune di chi esercita questo mestiere interessarsi alle nuove manifestazioni psicopatologiche, mentre, in genere, questi fenomeni suscitano l’ilarità dell’ignoranza. Gli individui di cui abbiamo parlato, sono persone che vivono nella convinzione di essere degli alieni, esseri aberranti diversi ed indegni; e se mai trovano il coraggio di chiedere aiuto ad uno specialista, hanno bisogno di qualcuno che li rassicuri, che li tranquillizzi e che gli spieghi quali arcani misteri si celano dietro internet e la sessualità. APPROCCI TERAPEUTICI ALLE DIPENDENZE ON LINE L’uso patologico di internet è stato molto discusso negli ultimi anni e soprattutto sono stati scritti numerosi articoli al riguardo. Vari i terapeuti che si sono interessati alle diagnosi con dipendenza da Internet elaborando anche dei protocolli di cura specifici. La popolazione del Nord America è stata quella che per prima ha vissuto l’inserimento di Internet in ogni aspetto della loro vita, per cui i primi terapeuti che hanno effettuato delle ricerche in questo ambito sono americani: la dott.ssa Young e il dott. Davis. Lo scenario italiano è diverso, in quanto non esiste un protocollo di cura ufficiale e ben strutturato; qui gli psicoterapeuti che hanno in carico pazienti con diagnosi di dipendenza da Internet tendono ad applicare i principi del proprio orientamento. Moreno Marcucci, Giuseppe Lavenia e il Centro Ricerche “Nostos” Moreno Marcucci è psichiatra e docente di psicologia delle nuove dipendenze presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Urbino, e direttore del Centro Studi e Ricerche di Psichiatria, Psicologia e Psicoterapia Nostos. Giuseppe Lavenia è psicologo clinico, docente di psicologia clinica e psicologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Chieti , responsabile dell’area New addictions del Centro Studi e Ricerche “Nostos”. La metodologia d’intervento utilizzata da Marcucci e Lavenia per la dipendenza da internet parte da una valutazione clinica tramite l’ausilio dell’Internet Trap Test 2 (I.T.T.2) , che permette di verificare il grado d’intossicazione (coinvolgimento) raggiunto dai soggetti nei confronti della rete. Riportiamo di seguito i profili corrispondenti: 1. Utenti regolari: mantengono il controllo della situazione pur connettendosi a lungo. 2. Utenti problematici: presentano i primi problemi dovuti all’uso della rete. 3. Utenti a rischio: stadio simile alla luna di miele per l’eroinomane, l’utente è entusiasta delle infinite possibilità offerte da internet, si costruisce una nuova identità e un nuovo mondo col quale sostituire quello reale che trova insoddisfacente e frustrante. 4. Utenti abusatori: i soggetti presentano caratteristiche simili agli utilizzatori abituali di oppiacei, ovvero gravi problemi nelle relazioni affettive, nel lavoro, e disturbi psicofisici (disturbi del sonno, della vista, della condotte alimentari ecc). 5. Utenti dipendenti: elemento caratterizzante è la presenza di una precedente patologia psichiatrica, spesso della sfera sessuale o dell’umore. I soggetti possono sviluppare allucinazioni visive, disturbi dissociativi, prosopoagnosia, ipertermie, tremori. L’abuso di internet compromette gravemente la sfera sociale, affettiva, lavorativa del paziente, il quale, nonostante ne sia consapevole, non riesce a fare a meno di connettersi per un numero sempre maggiore di ore alla rete. Da numerosi colloqui con pazienti affetti da disturbi correlati a internet è emerso come spesso i soggetti presentino una personalità di tipo evitante e tendano a scaricare su internet malumori e frustrazioni derivanti dalla vita quotidiana. Marcucci e Lavenia ci tengono a precisare la differenza tra impulsività e compulsione, concetti che spesso vengono erroneamente sovrapposti. Per impulsività si intende la tendenza ad agire in base ad un impulso, quindi senza riflettere o considerarne le conseguenze. Mentre l’azione impulsiva è gratificante (almeno inizialmente, prima che sopraggiungano i rimorsi per l’incapacità di controllarsi) quella compulsiva viene riconosciuta dal soggetto come inutile e senza senso e viene compiuta non per ottenere soddisfazione ma per evitare l’insorgere dell’angoscia. Appare perciò abbastanza chiaro come nel caso dell’abuso della rete e delle sue applicazioni il costrutto più idoneo sia quello di impulsività e non di compulsività. Accanto all’uso dei test è fondamentale, per Marcucci e Lavenia, il colloquio clinico. Il colloquio permette di ottenere informazioni dettagliate in merito alle caratteristiche socio-culturali, alla personalità, alla presenza attuale o passata di patologie medico-psichiatriche nel soggetto. L’obbiettivo degli incontri individuali è di rendere consapevole il soggetto dei meccanismi del suo funzionamento mentale in relazione alle modalità del legame affettivo vissuto durante l’infanzia che attualmente influisce nelle relazioni. Il coinvolgimento della rete familiare assume una particolare rilevanza nelle problematiche legate ad internet, se si considera che l’utilizzo della rete isola il soggetto in un mondo personale nel quale la presenza dell’altro come “persona completa” è sempre più periferica. In una patologia nella quale la presenza di una macchina (il computer) incide così fortemente, depauperandola, nella vita di una persona, è necessaria una terapia che metta la persona stessa e le relazioni col suo contesto al centro. L’esperienza del self-help virtuale di Dipendenze.com (Portale a cura del C.S.eR. “Nostos”) Il centro studi e ricerche “Nostos”, stimolato da richieste dirette dai numerosi utenti del Portale Dipendenze.com, con problematiche legate ad internet, ed in particolare da chat, e con la disponibilità di questi soggetti , ha intrapreso un cammino con il primo gruppo virtuale all’inizio del 2001. L’idea è quella di poter utilizzare questo strumento per parlare davvero di sé, poter raccontare come si è veramente, con le proprie risorse e i propri limiti. Sono stati valutati i rischi di questo progetto, che certamente non dà modo alle persone di mettersi a nudo faccia a faccia nella stessa stanza, ma rimane in ogni caso una possibilità in più per confrontarsi e per far sì che anche persone distanti fra loro possano comunicare. Lo scopo finale del nostro gruppo di auto-aiuto virtuale è certamente quello di far trovare gli stimoli per passare a sostegni reali e concreti. Gli incontri, finora effettuati, si tengono una volta alla settimana per un’ora e mezza su www.dipendenze.com, nel quale i soggetti di diverse provenienze, possono confrontarsi sulle problematiche comuni che vivono. Il gruppo d’auto aiuto virtuale è ancora in itinere. ACCENNI DI CYBERPEDOFILIA Nel paragrafo seguente cercherò di trattare alcune delle problematiche legate ad un uso distorto e non previsto della rete; prima di affrontare questo tema è importante ricordare che “il mondo Internet’’ è fatto da uomini, con i suoi angoli oscuri e i suoi quartieri degradati. Forse è proprio da questo che bisogna partire per poter comprendere la crescente e nuova cyber criminalità. Lo sviluppo di internet ha portato numerosi studiosi a rilevare la presenza di una nuova dimensione organizzata della pedofilia, e non solo. Pur se quantitativamente meno significativa rispetto alle forme "classiche", la rete riesce a mettere in connessione pedofili di tutto il mondo con minori rischi di essere scoperti, vista l'enorme quantità di collegamenti che ospita e l'inadeguatezza delle attuali tecniche di investigazione e controllo. Gli elementi fondamentali della cyberpedofilia, rispetto alle sue forme classiche, sono relativi alla capacità della rete di far circolare in maniera riservata le immagini e i messaggi di testo. Per quanto riguarda i fattori individuali relativi alla cyberpedofilia, è facilmente ipotizzabile che alcuni individui abbiano avuto l'opportunità con Internet di "sperimentare" la loro perversione, fino a quel momento vissuta a livello intrapsichico. La rete consente ad esempio al pedofilo una maggior facilità e riservatezza nella fruizione di materiale pornografico, con il possibile incremento delle fantasie erotiche, l'ingresso in circuiti di soggetti omogenei (altri pedofili) con il conseguente apprendimento o rinforzo di fantasie, tecniche e opportunità. Inoltre il web consente con molta facilità (scaricando una banalissima chat, inserendo nomi falsi e essendo certi che essi non verranno mai verificati) di adescare e molestare minori in assoluta libertà. BIBLIOGRAFIA • Antonio Roversi: “Chat line”, il Mulino, Bologna, 2001; • American Psychiatric Association, “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM4 TR), Masson, Milano, 2003; • A. Sims, “Introduzione alla psicopatologia descrittiva”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998; • V. Caretti, La Barbera “Psicopatologia delle realtà virtuali. Comunicazione, identità e relazione nell'era digitale”, Masson, Milano, 2001; • Tonino Cantelmi, Simonetta Putti, Massimo Talli, “@psychotherapy. Risultati preliminari di una ricerca sperimentale italiana”, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2001; • T. Maldonato “Critica della ragione informatica”, Feltrinelli, Milano, 1997; • E. Di Frenna , “Net Dipendenza”, Dedizioni, Napoli, 2001; • M. Marcucci, M. Boscaro “Dispensa di psicologia delle dipendenze Patologiche”, Asterisco, Urbino, 2003; • J. Rifkin, “ L’era dell’accesso”, Oscar Mondatori, Milano, 2001; • V. Andreoli, L. Cancrini, W. Fratta, G.L. Gessa “Tossicodipendenze” seconda ed., Masson, Milano, 1993; • A. P. Ercolani, A. Areni, “Statistica per la ricerca in psicologia”, il Mulino, Bologna, 1995; • K.Young, “Presi nella rete”, Calderini edagricole, Bologna, 2000; • P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, Roma, 1997; • P. T. Sudo, “Computer Zen”, Xenia Edizioni, Milano, 2000; • Internet Addiction Disorder: valutazione del fenomeno in Italia, M. Marucci G. Lavenia, pubblicato su PSICOINFORMA.NET Rivista telematica semestrale di PSICOLOGIA e PSICOTERAPIA, Editore CENTRO ITALIANO SVILUPPO PSICOLOGIA numero I (2° semestre 2003); • Alain Ehrenberg, “La fatica di essere se stessi”, Biblioteca Einaudi, Torino 1999. • Gioacchino Lavanco, “Psicologia del gioco d’azzardo – Prospettive psicodinamiche e sociali”, McGraw-Hyll Psicologia, Milano 2001; • Williams, “Gioco d’azzardo un affare di famiglia”, Edizioni Riuniti, Roma 2000; • Galimberti U."Enciclopedia di Psicologia", le Garzatine - Garzanti editore, Milano 2001; • Nardone G., Cagnoni F.: "Perversioni in Rete: le psicopatologie da Internet e il loro trattamento", Ponte alle Grazie, Milano 2002; • Ravenna M."Psicologia delle tossicodipendenze", Il Mulino, Bologna 1997; • Wallace P."La Psicologia di Internet", Raffaello Cortina editore, Milano 2001; • R. Ciofi, D. Graziano, “Giochi pericolosi? Perché i giovani passano ore tra videogiochi online e Comunità virtuali”, Franco Angeli Editore, Milano, 2002. SITOGRAFIA • http://www.dipendenze.com • http://www.psicoonline.it • http://www.fub.it • http://www.multiwire.net • http://www.vnunet.it • http://www.disinformazione.it • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • http://www.fly.to/kidsliberation http://www.danpedo.dk http://www.rai.it http://www.psicologiaonline.it http://www.netaddiction.com http://www.rheingold.com; http://www.larepubbica.it/tecnologia.htm http://www.rheingold.com http://www.istat.it http://www.psychomedia.it http://www.netdipendenza.it http://victorian.fortunecity.com/blake/178/articoli.html http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/ciskje/iadchat.html http://www.aspic.it/html/indice_news.html http://www.assinform.it/ http://www.benessere.com/ http://www.clessidra.it/ http://www.dica33.it/default.asp http://www.donneinviaggio.com/ http://www.efluxa.it/netiquette/ten.html. http://www.e-psichiatria.it/ http://www.eurisko.it/ http://www.gandalf.it/dati/dati3.htm http://www.giuda.it/index.php http://www.gruppokaos.it/pagine/Documenti/Banche%20Dati/2paesi.htm http://www.ilmanifesto.it/ http://www.lastampa.it/redazione/default.asp http://www.piccinonline.com/cantelmim.html http://www.pol-it.org/ital/lifeonline.htm http://www.psicologiaitinerante.it/ http://www.psicologiasalute.it/ http://www.psychoinside.it/index.html http://www.psychomedia.it http://www.repubblica.it http://www.scedu.unibo.it/roversi/SocioNet/Default.htm http://www.siipac.it/indexnuova.htm http://www.siptech.it/ LEZIONE N° 2 PARTE 2 - CARATTERISTICHE TRADIZIONALI E RECENTI DEL BULLISMO E POSSIBILI ATTIVITA’ PREVENTIVE A cura di Beatrice Benelli, Docente Universita’ degli studi di Padova - Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione Violenza, aggressività, bullismo: quali relazioni? Sempre più frequentemente vengono portati all’attenzione del pubblico, attraverso i massmedia, episodi di violenze e di comportamenti antisociali i cui protagonisti sono ragazzini e adolescenti, (aggressioni verbali e fisiche, spesso ai danni di coetanei portatori di difficoltà di vario genere, prevaricazioni sistematiche, furti e vandalismi nelle scuole o nelle adiacenze, stupri di compagne di scuola, molestie sessuali alle coetanee ma anche alle insegnanti, delegittimazione delle autorità, fino ad arrivare a veri e propri omicidi, spesso in forma rituale). I termini che si sentono sempre più spesso ripetere, in questi casi, sono: violenza, aggressività, abusi, bullismo, prepotenze, ecc. come se fossero sinonimi e, quindi, intercambiabili per descrivere questo o quell’episodio violento. In realtà ciascuno di questi concetti si riferisce a fenomeni che, pur essendo spesso associati, sono però di natura diversa e la loro più precisa definizione costituisce un prerequisito per qualunque intervento operativo. Come concetto generale si potrebbe dire che quello di violenza è il contenitore più ampio, che si applica sia agli individui sia alle realtà sociali, relativamente alle quali descrive molteplici fenomeni quali guerre, lotte fra gruppi (si pensi alle violenze attorno ai campi di calcio), genocidi, passati o attuali, ecc.. Quello di aggressività ha più una connotazione soggettiva, di tratto disposizionale degli individui (che può tradursi o meno in effettivi comportamenti distruttivi a seconda delle circostanze), tratto che si accompagna ad un’altrettanto basilare predisposizione a mettere in atto comportamenti prosociali, quali il consolare, l’aiutare, o coinvolgersi emotivamente di fronte alla sofferenza e, in generale, alle emozioni altrui (empatia). Nelle discipline psicologiche, comunque, tutti questi concetti sono di solito tradotti nei termini di comportamenti aggressivi, violenti, ecc., che essendo osservabili possono essere ricondotti a fattori ugualmente operazionalizzabili, quali una vera e propria psicopatologia, il temperamento individuale, il clima familiare, i modelli educativi, le dinamiche di gruppo, l’ambiente socio-economico, il contesto socio-relazionale, l’appartenenza etnica, ecc.. Le spiegazioni più recenti della aggressività e delle sue manifestazioni adottano criteri di tipo probabilistico e multifattoriale. Il primo termine significa che tra una predisposizione aggressiva di una persona e la sua traduzione in azione non c’è una connessione necessaria e causale, ma una maggiore probabilità di esiti violenti, in certe condizioni rispetto ad altre. L’esito evolutivo di un individuo (funzionale o disfunzionale, adattato o disadattato, normale o patologico) sarà il prodotto della interazione fra le componenti psicologiche e l’insieme delle esperienze educativo-sociali, affettive-relazionali e storico-culturali in cui quell’individuo è inserito. In funzione di queste interazioni si realizzerà il complesso equilibrio fra le componenti della personalità aggressive, distruttive e volte al dominio degli altri e quelle prosociali, costruttive e finalizzate al benessere altrui. Esistono diversi tipi di aggressività ? Esistono diverse definizioni e tipologie di aggressività, con notevoli differenze tra di loro e diversi significati. Vi è l’aggressività reattiva, agita “a caldo”, per così dire, in risposta a provocazioni o danni subiti o percepiti, in cui domina l’aspetto della mancanza di controllo nella risposta, della intensità eccessiva della risposta violenta, della sproporzione fra la causa e la conseguenza. Vi è l’aggressività proattiva, di tipo “freddo”, cioè programmatica e intenzionale, volta non a difendere se stessi - sia pure in modo non adeguato - ma a recare vantaggi strumentali a se stessi e sofferenza e danno agli altri. Vi è anche una forma ritualizzata, ovvero incanalata in azioni ed espressioni codificate e controllate da regole (come nelle competizioni sportive, nei giochi di squadra o individuali, ecc.). Questo conferma che, di per sé l’aggressività, come tendenza alla affermazione di se stessi, non è negativa, in quanto “dà l’energia” per realizzare le aspirazioni, difendere i diritti, mantenere le acquisizioni; ciò che è negativo sono le forme incontrollate, la preponderanza di queste motivazioni a scapito di altre, la assunzione di principi di vita improntati alla sopraffazione altrui. In sintesi, non tutte le manifestazioni di aggressività sono forme di bullismo, ma tutte le forme di bullismo sono esempi di comportamenti aggressivi. La distinzione concettuale è importante, perchè richiede tipi di intervento diversi, tutti comunque accomunati da una riflessione critica sulla violenza, sulle sue origini e sulle modalità per contrastarla. Cosa è esattamente il “ bullismo”? Con il termine di bullismo (bullying) si indica il fenomeno delle prepotenze, delle prevaricazioni e delle violenze agite, a scuola o in altri contesti di socializzazione, individualmente o in gruppo, da parte di alcuni ragazzi ( i “bulli” o “persecutori”) nei confronti di altri ragazzi (le “vittime”). E’ una forma di aggressività proattiva, cioè non in risposta ad attacchi, che si manifesta in molti modi: in forma diretta, con aggressioni fisiche (calci, spinte, percosse, ecc,) o verbali, (insulti, minacce, offese di tipo razzistico e sessistico) o come danni alle cose della vittima, o loro sottrazione (furti, estorsioni, ecc). Esiste anche una forma di aggressività indiretta, che agisce sul sistema delle relazioni interpersonali significative, attraverso un sistematico isolamento sociale, maldicenze, dicerie, ecc. nei confronti di una specifica persona, che si trova esclusa dalle normali relazioni socioaffettive e segnalata in modo negativo. Il bullismo in senso proprio è caratterizzato da: intenzionalità, cioè la non casualità delle azioni aggressive, ma la esplicita volontà di creare disagio all’altro; ripetizione sistematica nel tempo delle prevaricazioni, quindi non solo episodi occasionali; disequilibrio di potere, ovvero nell’ età, nella forza fisica e nelle abilità psicologiche, maggiori nel bullo che nella vittima; segretezza, nel senso che le prevaricazione sono agite lontano dal controllo degli adulti, e non ci si rivolge a insegnanti o genitori, per avere aiuto, sostegno e consigli, (anche se questa caratteristica sembra sempre meno presente data la crescente spettacolarizzazione degli episodi di violenza). Gli studi in materia dicono che il fenomeno coinvolge più i maschi che le femmine, anche se queste ultime sembrano sempre più presenti in questo fenomeno con manifestazioni “maschili”. Le modalità dirette fisiche e verbali sono solitamente maschili, quelle indirette sono più tipicamente femminili. Gli episodi di bullismo diminuiscono al crescere dell’età, cioè l’esperienza di vittimizzazione è massima a livello della scuola dell’obbligo e cala alle superiori; tuttavia, anche se con l’età diminuisce quantitativamente, sembra assumere forme qualitativamente più gravi (nonnismo, violenze esterne alla scuola, agite in gruppo, violenze e molestie sessuali, violenze su persone indifese, ecc). Quali sono le caratteristiche psicologiche dei bulli e delle vittime? I Bulli sono per lo più ragazzi forti fisicamente e psicologicamente, con una alta autostima, capacità sociali di tipo manipolativo, credenze valoriali improntate ad aggressività, impulsività e scarsa capacità empatica. Esistono diverse tipologie di bulli: il bullo dominante, cioè il leader, manipolatore e decisionista; il bullo gregario, che fa da spalla al leader; il bullo-vittima, che, in particolare, presenta difficoltà attentive, iper-reattività ed emotività, e quindi disturba, non controlla le proprie reazioni e provoca danni agli altri. Per quanto riguarda le Vittime, queste sono per lo più ragazzi sensibili, timidi e insicuri, con scarsa autostima (vittima passiva) ma a volte anche inquieti, iperreattivi e quindi irritanti, con il risultato che le figura della vittima provocatrice arriva ad identificarsi con quella del bullo-vittima). Quanto è diffuso il fenomeno? In Italia (nella Scuola dell’Obbligo) è stata riscontrata un’incidenza del bullismo circa doppia rispetto ai dati disponibili a livello europeo ed extraeuropeo. In Italia il fenomeno coinvolgerebbe tra il 30% e il 40% dei ragazzi contro il 15% - 20% degli altri paesi. Il bullismo tende a manifestarsi molto precocemente, già a livello della scuola elementare; è stato molto indagato nel secondo ciclo della scuola elementare, ma episodi di sopraffazione sono stati segnalati anche nel primo ciclo o addirittura nella Scuola per l’infanzia. E’ evidente che più i bambini sono piccoli meno si può parlare di bullismo in senso proprio, data la non chiara consapevolezza delle proprie azione tipica della infanzia; tuttavia è evidente che, se questi comportamenti aggressivi o socialmente non adeguati non vengono contenuti e modificati, potrà instaurarsi – nei singoli bambini e nei gruppi di pari - una costante modalità di agire improntata alla mancanza di rispetto, fino a vere e proprie prevaricazioni e violenze. Le conseguenze possono essere anche di lunga durata. Da diverse indagini, risulta che bulli e vittime restano spesso imprigionati nel tempo nei loro ruoli, gli uni predisposti a diventare adulti asociali o antisociali, gli altri predisposti all’abbandono scolastico, alla depressione e, in casi estremi, al suicidio. In particolare i ragazzi che abitualmente sono prepotenti verso i loro compagni di scuola possono diventare, in seguito, protagonisti di episodi di conclamata devianza, o, addirittura, criminalità. Quali sono le ragioni del comportamento prepotente? Ci sono diversi aspetti personali e sociali legati al fenomeno del bullismo. Aspetti socio-cognitivi: contrariamente a quanto inizialmente ipotizzato da alcuni autori, i bulli non sembrano mostrare particolari carenze nella capacità di elaborare correttamente le informazioni sociali, cioè sanno valutare bene le situazioni e le conseguenze, ma le usano in modo strumentale e a proprio vantaggio. Inoltre, le forme più complesse di prepotenza, quali quelle relazionali in cui vengono manipolate le relazioni sociali all’interno del gruppo, risultano positivamente correlate con l’intelligenza sociale dei bulli, cioè con la capacità di valutare il “senso” delle situazioni interpersonali per le persone, e dei comportamenti sociali. Aspetti emotivo-affettivi: sia i bulli che le vittime hanno delle difficoltà nella interpretazione dei segnali emotivi, facciali degli altri. In particolare, vi sarebbe una carenza da parte dei bulli nella capacità di riconoscere le espressioni delle emozioni (in particolare quelle positive, come la gioia), di assumere il punto di vista emotivo degli altri ed esperire in modo vicario le loro emozioni, cioè in quella fondamentale competenza socio-relazionale che è l’empatia. Nelle vittime si è notata una difficoltà a riconoscere le espressioni facciali della rabbia, ed in generale una difficoltà ad esprimere il propio disagio e le proprie esigenze. Aspetti morali: ci si riferisce alla tendenza da parte dei bulli ad attivare meccanismi di disimpegno morale, cioè a negare la gravità degli atti violenti per ridurre il senso di disagio o di colpa conseguenti. Chi agisce in maniera negativa non riconosce la gravità né del comportamento agito né delle conseguenze di tale comportamento, piuttosto le minimizza, non accetta la responsabilità personale per i propri atti o, addirittura, attribuisce la colpa per quello che succede alla vittima stessa. Aspetti di gruppo: il bullismo è un fenomeno che non riguarda solo la diade bullo-vittima, ma coinvolge tutto il gruppo dei coetanei, i quali possono assumere diversi ruoli durante gli episodi di prepotenza: l’aiutante del bullo, o il bullo gregario; i sostenitori del bullo, che lo approvano, lo sostengono e lo incitano; il difensore della vittima, che lo sottrae alle prepotenze, lo consola e lo protegge, e i cosiddetti esterni, cioè che non sono coinvolti nel fenomeno. Questa è una figura particolare su cui bisogna riflettere; infatti, da un lato questi ragazzi non possono essere colpevolizzati, ma dall’altro contribuiscono con la loro “estraneità” al mantenimento di situazioni anomale. Recenti ricerche hanno mostrato che questi ragazzi, pur avendo un buon grado di empatia che li porta a non approvare le prepotenze, hanno uno scarso senso di auto-efficacia, cioè la convinzione di non essere in grado di modificare le cose, di non poter intervenire adeguatamente. Aspetti educativi. Secondo Hoffman esistono modelli educativi diversi, che (combinandosi con caratteristiche individuali e personali come il temperamento, più o meno reattivo, più o meno stabile, più o meno aperto verso gli altri, ecc.) possono dare luogo a esiti evolutivi più o meno caratterizzati da dimensioni aggressive. Le principali tipologie di questi modelli educativi sono: una disciplina “orientata sull’amore”, che fa leva sulla paura del bambino di perdere l’approvazione e l’affetto dei genitori, ma che non punta sulla sicurezza di sé e serenità; una disciplina “imposta dal potere”, che fa leva sull’autorità e il rigore, ma non favorisce autonomia e accettazione; una disciplina “induttiva”, che favorisca cioè la capacità di ragionare soprattutto sulle conseguenze – a breve e a lungo termine, materiali o psicologiche - delle proprie azioni, sia per sé sia soprattutto per gli altri. Di tutti questi modelli educativi, quello induttivo è quello che si rivela più fortemente associato ad un alto grado di consapevolezza morale e funge da protettore; ciò, sia nel senso che induce una “etica” di rispetto e dialogo – l’opposto di una logica aggressiva – sia nel senso che fornisce strumenti di sicurezza di sé e autostima, ovvero l’opposto di una possible tendenza ad essere vittimizzati. Perchè gli episodi di bullismo sono difficili da individuare? Ci sono molte ragioni per cui il bullismo e la violenza sono fenomeni difficili da eliminare o contenere. Tra i meccanismi di gruppo che possono contribuire a sostenere o, viceversa, a ridurre i comportamenti di prepotenza sono particolarmente rilevanti quelli relativi alla costruzione dell’identità sociale dei ragazzi all’interno del gruppo dei coetanei, e il senso di appartenenza, in base alle norme e agli atteggiamenti condivisi dal gruppo stesso. Come meccanismo negativo, il senso di appartenenza al gruppo induce comportamenti di “omertà”, di silenzio-assenso delle azioni di prepotenza, di contrapposizione al mondo degli adulti, ecc. Come meccanismo positivo si è visto che, in coloro che possiedono alti livelli di responsività empatica, si traduce frequentemente comportamenti prosociali e azioni in difesa della vittima, rappresentando in tal modo una risorsa fondamentale per il gruppo-classe e un fattore di protezione per il benessere della vittima e di tutti i compagni. Gli interventi devono far aumentare i comportamenti solidali nei contronti dei più deboli, coinvolgendo il maggior numero possible di ragazzi e innalzando il livello di consapevolezza del problema. Cosa si può fare per prevenire il bullismo e le violenze nelle scuole ? Esistono diversi tipi di programmi di prevenzione del bullismo e delle violenze a scuola, che agiscono complessivamente in un’ottica sistemica, ovvero che tenta di coinvolgere tutte le componenti della scuola e di attivare le risorse disponibili. Gli obiettivi principali sono quelli di: a) formare e sostenere i docenti, fornendo loro le conoscenze necessarie sul fenomeno e le strategie più efficaci di gestione della classe e delle situazioni problematiche; b) sviluppare negli alunni la consapevolezza e la sensibilità circa il fenomeno, aiutarli nell’acquisizione delle competenze socioemotive più importanti (empatia, cognizione morale, problem-solving), favorire l’aiuto reciproco tra pari all’interno del gruppo tramite specifici progetti di “supporto tra pari”; c) aiutare e sostenere le vittime in difficoltà; d) coinvolgere le famiglie non solo di bulli e vittime ma di tutti gli alunni coinvolti, tramite incontri e percorsi di formazione e riflessione ad esse specificamente dedicati; e) collaborare con le altre istituzioni (Enti Locali, agenzie educative esterne alla scuola, ecc) mediante la creazione di reti territoriali. Quali sono i principali tipi di intervento antibullismo ? Lo scopo comune a tutti gli interventi – che non sono in alternativa ma in sinergia - è quello di migliorare le relazioni tra compagni nella classe, modificando l’atteggiamente nei confronti delle prepotenze, (ad esempio facendo aumentare le loro segnalazioni, riducendo la tolleranza nei loro confronti). Le tipologie fondamentali prevedono: 1) Interventi Individuali, che puntano sulla modifica degli atteggiamenti del singolo. Con i Bulli : a) ferma condanna dei comportamenti di prepotenza; b) colloqui individuali, di ascolto e discussione. Con le Vittime: a) ascolto empatico; b) training di assertività e abilità sociali, per renderle più sicure di sé e capaci nei rapporti con gli altri; c) attività per migliorare l’autostima, come ad esempio attribuire loro dei ruoli (in classe o nel gruppo) che le valorizzino. 2) Interventi Collettivi, in classe, ovvero interventi di tipo didattico, attraverso le normali attività curricolari, cioè che “sfruttano” gli argomenti e i metodi usuali nell’insegnamento delle discipline (discussioni sul tema della violenza partendo dalla letteratura, dalla storia, ecc.; visione di filmati, attività teatrali, ecc) D) Interventi collettivi, extracurricolari, che necessitano del coinvolgimento della intera scuola, attraverso la preparazione di contesti fisico-psicologici specifici e messa in atto di processi formativi più articolati, che richiedono figure professionali diverse (architetto, psicologo, psicopedagogista, ecc), accanto agli insegnanti. Una strategia, ad esempio, è la riorganizzazione degli ambienti fisici (eliminazione di zone, appartate o congestionate, più a rischio di diventare sedi di atti aggressivi). Un ‘altra è la messa in atto di Pratiche cooperative che coinvolgano più classi, nella realizzazione di qualche progetto, e che creino un “senso di comunità” (ad esempio un progetto proprio per la riduzione del bullismo; partecipazione della classe ad un concorso nazionale per ragazzi, ecc.). Ancora, vi è la realizzazione di “Modelli di supporto fra pari”, basati sulla spontanea capacità e tendenza dei ragazzi a creare reti di amicizia, aiuto, solidarietà reciproca, creando – con opportuni processi di formazione da svolgersi in momenti e contesti appositi – la figura dell’ “Operatore amico”. Questi sono ragazzi e ragazze, di particolare sensibilità e capacità di ascolto e mediazione, che si fanno carico di “sovraintendere” alle dinamiche della classe, aiutare i compagni in difficoltà, segnalare problemi, ecc. Su cosa si può agire per contrastarlo e migliorare le relazioni nella scuola? Altre formule interessanti si possono chiamare “Percorso sulle emozioni” e “Contrattazione e condivisione di regole”, che si possono realizzare in vari modi nella classe o nella intera scuola. La prima ha lo scopo sia di aumentare la consapevolezza delle emozioni proprie ed altrui, delle motivazioni alla base di comportamenti aggressivi o eccessivamente passivi, delle possibili conseguenze delle azioni, ecc., sia di aumentare la capacità di esprimerle e verbalizzarle. Le modalità consistono nell’ invitare a riferire i propri vissuti di fronte a certi episodi; invitare alla autodescrizione, e attribuzione di caratteristiche psicologiche con esempi paradigmatici; abituare ad ipotizzare situazioni che determinano certe reazioni emotive, ecc. La seconda punta al coinvolgimento e alla responsabilizzazione individuale e alla uscita dalla logica della denuncia - secondo cui tali azioni vengono viste dai ragazzi come “delazione” agli adulti e tradimento dell’ “etica del gruppo dei pari” per passare ad una logica della condivisione, attraverso una riflessione sulla necessità delle regole, sulla natura consensuale ma vincolante del loro rispetto, sulla necessità di un controllo reciproco. Le modalità con cui ciò può essere realizzato comportano una definizione iniziale di alcune regole comportamentali, e la periodica verifica e discussione sul loro rispetto; un confronto fra contesti in cui possono vigere regole diverse (es. famiglia e scuola) ma l’adesione al principio che ciascun contesto debba essere governato da regole. E’ cambiato il bullismo con l’evoluzione tecnologica ? Recentemente si è sviluppata una forma di persecuzione e di violenza che si avvale di nuovi mezzi di comunicazione, quali la rete telematica e altri stumenti ad essa collegabili. Questa nuova forma di molestia verbale viene chiamata e-bullying o cyberbullying, e consiste nell’uso di internet o del telefono cellulare per inviare messaggi minacciosi alla vittima (e-bullying diretto) o per diffondere messaggi dannosi, calunnie o immagini (e-bullying indiretto). Anche se in Italia solo di recente si è iniziato a parlare di questo fenomeno, la stampa anglosassone da diversi anni riporta racconti di studenti, soprattutto preadolescenti ed adolescenti, che subiscono vessazioni attraverso l’uso di queste nuove tecnologie. Questi racconti descrivono episodi di intere pagine web “dedicate” a studenti impopolari, di anonime e-mail piene di minacce ed offese o di indesiderate avance mediante i programmi di instant messaging. Ancora molto poco si conosce circa la reale entità del problema anche se, da un’indagine condotta nel Regno Unito dalla National Children’s Home nel 2002, è emerso che un bambino su quattro è vittima di bullismo mediante telefono cellulare o internet, che il 16% dei ragazzi riceve messaggi di minaccia, il 7% viene molestato nelle chatroom e il 4% tramite e-mail. La diffusione di questa particolare forma di bullismo può essere spiegata dal fatto che essa garantisce spesso l’assoluto anonimato al bullo, consentendogli di essere ancora più ingiurioso ed offensivo, con una minore probabilità di essere scoperto e punito, rispetto alle forme più tradizionali di bullismo. Proprio l’anonimato che protegge il bullo rende questa forma di violenza ancora peggiore di quella tradizionale in quanto, non essendo possibile sapere né l’identità né il numero di persone che stanno dietro questi messaggi, la paura, e l’ansia nell’affrontare le interazioni con i coetanei, provocate nella vittima sono ancora maggiori e il danno alla sua immagine ancora più esteso. Inoltre, l’uso di internet come strumento di attacco rende alcuni ragazzi ancora più sicuri nel dire cose che normalmente non direbbero in una interazione faccia a faccia con un compagno. Addirittura, sembra essere diventato un mezzo privilegiato di aggressione, sia diretta che indiretta, tra le ragazze le quali usano questi mezzi tecnologici per minacciare le loro coetanee e distruggere la loro autostima. In ultimo, la possibilità di diffondere la documentazione delle prepotenze sul web o tramite cellulare consente al bullo – e ai suoi accoliti - di allargare all’infinito il pubblico di spettatori, di cui hanno estremamente bisogno. Per le stesse ragioni per cui sono così diffuse e dannose, queste forme di prevaricazione e aggressività sono difficili da combattere. L’azione dovrebbe consistere in una riflessione generale sulle varie manifestazioni della violenza, da condurre con bambini e adolescenti, secondo i criteri sopra esposti, aggiungendo a questo una consapevolizzazione sulla natura di questi mezzi di comunicazione, un apprendimento del loro uso non solo “tecnologico” ma anche culturale ed emotivo, il che significa che tale uso non deve diventare un valore in se stesso o un mezzo per realizzare in maniera vicaria bisogni e competenze. Come già detto sopra, gli aspetti negativi sono quelli legati alla possibilità di agire senza che vi siano delle ricadute reali e concrete, con una conseguente assunzione di responsabilità: in sostanza, un anonimato etico e legale. Accanto a ciò, paradossalmente vi è un protagonismo, vuoi nell’essere regista vuoi nell’essere attore degli episodi diffusi in rete, che permette di soddisfare in maniera vicaria bisogni e competenze che nella vita reale o non sono socialmente accettabili o richiedono maggiori talenti e impegni. L’immediatezza con cui si possono “raccontare” le cose, semplicemente riproducendole visivamente con un mezzo immediato, rende queste forme espressive molto più facili ed appetibili che non, ad esempio, una rielaborazione mentale e una narrazione linguistica. Quest’ultima richiede conoscenze, sforzo, organizzazione e, grazie al fatto che un racconto non è una semplice copia della realtà ma una rappresentazione cognitiva, induce una “presa di distanza” dall’evento, che può favorire una sua più complessa e autentica valutazione. Ecco perchè “il parlare di ciò che accade”, in classe con gli insegnanti, con gli adulti significativi, con gli stessi compagni, aiuta l’elaborazione cognitiva ed emotiva e favorisce un allargamento della prospettiva mentale con cui i fatti vengono considerati (vedi il Percorso delle Emozioni). Gli aspetti “positivi” della diffusione in rete di episodi di bullismo, o altre forme di violenza, consistono nel fatto che rendono il fenomeno più visibile, aumentano il numero di coloro che ne vengono a conoscenza, e possono diventare oggetto di osservazione congiunta tra adulti e ragazzi, spunto di riflessione critica e di discussione collettiva in classe su eventi che non sono più “segreti” ma osservabili, analizzabili e giudicabili. Per saperne di più Fonzi, A. (a cura di) (1997). Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive d'intervento. Firenze: Giunti. Fonzi, A. (a cura di) (1999). Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo. Firenze: Giunti. Gini, G. (2005). Il bullismo. Le regole della prepotenza tra caratteristiche individuali e potere nel gruppo. Edizioni Carlo Amore, Roma. Gini, G., Albiero, P., e Benelli, B. (2005). Relazione tra bullismo, empatia ed autoefficacia percepita in un campione di adolescenti. Psicologia Clinica dello Sviluppo, 9, 461-476. Lazzarin,M.G. e Zambianchi, E. (a cura di) (2004) Pratiche didattiche per prevenire il bullismo a scuola. Milano: Franco Angeli. Menesini, E. (2000) Bullismo: Che fare? Firenze: Giunti. Olweus, D. (1996). Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi e ragazzi che opprimono. Firenze: Giunti. Schaffer, R. (1998). Lo sviluppo sociale. Milano: Raffaello Cortina. LEZIONE N° 2 PARTE 3 - INTERNET E COMPUTER CRIMES A cura di Giuseppe Giliberti, Commissario Capo Polizia di stato – Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni del Veneto La diffusione del computer negli ultimi dieci anni e la tumultuosa crescita di Internet sono il dato di riferimento per tentare di apprezzare appieno la rilevanza assunta nella moderna società dai comportamenti illeciti posti in essere utilizzando lo strumento informatico. Con il computer possono essere commessi pressoché tutti i tipi di reato, compresi quelli di tipo tradizionale. Questo particolare settore di attività è diventato per la Polizia delle Comunicazioni di rilevanza strategica. Nelle investigazioni informatiche, la scena del crimine in cui cercare quella “traccia” lasciata dal responsabile del reato è spesso costituita dal computer o da reti di computer e dall’ambiente virtuale in cui essi vengono utilizzati. Per tale ragione la ricerca, la raccolta e l’assicurazione delle “prove informatiche” di reato deve essere affidata ad operatori di particolare abilità e competenza. Le condotte sospette, per la loro stessa natura digitale, potrebbero facilmente essere alterate, fin dall’origine o in un momento successivo alla loro formazione, da esperti informatici. Le indagini contro la diffusione del materiale pedopornografico sulla rete hanno ottenuto risultati operativi di altissimo livello con l’arresto e la denuncia di oltre 3.000 soggetti responsabili di questi odiosi crimini. Internet, talora chiamato semplicemente “ the net”, è nato nel bel mezzo della guerra fredda durante gli anni sessanta. All’epoca, le reti di comunicazione erano connesse “punto a punto” e ciascun punto nella rete di comunicazione dipendeva da quello precedente: se uno di essi fosse stato distrutto, l’intera rete di comunicazione sarebbe divenuta inutilizzabile. Il governo degli Stati Uniti, seriamente preoccupato della possibilità di sviluppi negativi nella contrapposizione fra blocchi, affidò alla società Rand Corporation l’incarico di studiare un sistema di comunicazione che garantisse alle Autorità nazionali di riuscire a comunicare tra loro nell’ipotesi di un conflitto nucleare. Un membro del gruppo di ricercatori, Paul BARAN, suggerì l’idea di usare un sistema di comunicazione, nel quale i diversi anelli della catena fossero indipendenti uno dall’altro. Egli pensava ad un modello disegnato come la trama di una rete da pesca, in cui l’informazione potesse trovare la propria strada attraverso la rete di comunicazione anche se una parte di essa fosse andata distrutta. L’idea dello studioso venne accantonata dal Pentagono, ma il suo modello che si rifaceva all’idea della rete da pesca, influenzò lo schema usato nel 1969 dall’Agenzia governativa ARPA ( Advanced Research Projects Agency ) per creare il precursore di Internet, conosciuto con il nome ARPAnet. ARPANet raggiunse lo scopo di creare un piccolo, decentrato sistema di comunicazioni che consentiva di connettere fra loro i computer di quattro differenti campus universitari americani. Un computer di ricerca situato in uno dei campus riusciva a “parlare” ad altri computer nelle altre università. Nel sistema ARPANet i messaggi potevano essere instradati o reinstradati in più di una direzione,e quindi il network poteva continuare a funzionare anche se parzialmente distrutto durante un attacco militare o un’altra catastrofe. A questo livello iniziale, Internet era un modo con cui trasmettere solamente testo e non foto, suoni, audio o video. Poiché venivano usati solo lettere e numeri, il solo modo per avere informazioni da un altro computer connesso alla Rete era quello di digitare complicate sequenze di comandi sulla tastiera, rendendolo difficile per i principianti. Non appena il mondo degli affari e le università interessati nella ricerca militare entrarono in contatto con questo sistema di comunicazione, esso crebbe esponenzialmente fino a ciò che ora conosciamo come INTERNET. Oggi INTERNET è la rete delle reti: un insieme di reti a livello mondiale che sono in grado di comunicare tra di loro, cooperando ed auto sostenendosi. Un insieme di sistemi di computer commerciali, governativi, educativi che instradano dati e massaggi ad alta velocità per consentire loro di giungere a destinazione. Non c’è un proprietario di INTERNET e non c’è una singola agenzia normativa responsabile per esso, anche se ad alcune organizzazioni è riconosciuto il compito di assicurare il corretto funzionamento della struttura. La “rete delle reti” è accessibile a centinaia di milioni di persone in tutto il pianeta e consente a ciascun utilizzatore di computer collegato di avere informazioni da ogni altro computer. Oggi lo utilizzano imprese commerciali e industrie, enti per l’educazione quali università, scuole dell’obbligo, biblioteche, servizi per la ricerca e anche gente comune. Una volta connesso a Internet, l’utilizzatore ha accesso a informazioni, programmi e servizi da ogni parte del globo. Un computer può essere connesso a Internet anche attraverso un cellulare. Anche senza una linea telefonica fisica o l’ausilio di una rete di telefonia mobile, è comunque possibile la connessione ad Internet. Un telefono satellitare può spedire e ricevere segnali a e da satellite. Per l’investigatore sarà importante considerare che dal lato della rete Internet, le tracce verso ciascun utente di quella rete ci portano ad un solo indirizzo IP: quello del gateway verso Internet della rete LAN. Quando si deve spedire una lettera a qualcuno, la si mette in una busta, ci si scrive sopra il nome del destinatario e spesso del mittente e la si imbuca. Dopo un po’, un incaricato ritira la lettera e la porta a un centro di raccolta e, a seconda dell’indirizzo messo sulla busta, la lettera viene spedita ad un centro di distribuzione vicino al luogo di residenza del destinatario. Lì la lettera è affidata al postino che passa per l’indirizzo indicato nella busta durante il giro giornaliero del quartiere. Prima di inserire la lettera nella cassetta di destinazione il postino controlla per l’ultima volta se l’indirizzo è corretto – la combinazione di paese, città, codice di avviamento, nome della strada, numero di casa e nome del destinatario, garantiscono la consegna della lettera alla giusta persona. Nel mondo digitale delle reti telematiche il meccanismo con cui vengono indirizzati i pacchetti di informazioni è più o meno lo stesso. I “computer crimes” sono una categoria concettuale dai contorni piuttosto vaghi essendo frutto di una metodologia di approccio al fenomeno di tipo casistico. Nella categoria vengono infatti accomunati tanti fatti illeciti che comunque interferiscono con l’informatica. Coloro che pongono in essere questi comportamenti illeciti che possono essere riuniti sotto la formula unitaria di “crimini informatici”, sono in genere conosciuti con il termine anglosassone di Hackers. In realtà con il termine hacker si indicano i pirati informatici “buoni”, coloro che sono appassionati dello strumento informatico, talora programmatori che conoscono approfonditamente un sistema operativo ( spesso perché si trovano ad utilizzarlo per ragioni di lavoro) e che, attraverso la violazione di sistemi informatici protetti, vogliono dimostrare le proprie capacità, magari, come è successo in qualche caso, per farsi assumere dalla stessa impresa titolare del sistema violato. Dagli “hacker “ che sono mossi da curiosità e da brama di dimostrare le proprie capacità, si differenziano i “cracker “ o “Kracker” pirati informatici “cattivi “ che si propongono di violare sistemi informatici per ragioni poco nobili, cioè per il gusto di creare danni o per carpire dati sensibili in essi contenuti ed utilizzarli a fini illeciti o addirittura per ottenere il controllo del sistema informatico violato, utilizzandolo per il compimento di ulteriori attacchi ad altri sistemi telematici. Categoria particolare di “hacker” è costituita dai “phreaker” termine che, sino dagli anni settanta, sta ad indicare coloro che violando i codici di accesso alle compagnie telefoniche, riescono a telefonare gratuitamente. Ci sono un discreto numero di reati informatici che vengono commessi, ma che non vengono denunciati. Importante è anche riuscire a determinare con esattezza il ruolo svolto dal computer nella commissione di un reato. Infatti il computer talvolta può essere lo strumento con cui il reato viene commesso come ad esempio nei casi in cui esso sia utilizzato per un accesso abusivo all’altrui sistema informatico ovvero per la trasmissione per via telematica di materiale illecito; talvolta può essere l’oggetto dell’attività delittuosa, il bersaglio finale dei criminali, come nel caso del computer violato o del quale è stato danneggiato il software o semplicemente i dati in esso custoditi; talvolta infine può rappresentare il luogo in cui possono essere reperite cose o tracce pertinenti al reato o lo stesso corpo del reato. Tutto questo ovviamente costituisce una nuova frontiera per la criminalità e in concreto una sfida per l’investigatore, specie in considerazione dei tempi obiettivamente assai ristretti ( anche pochi secondi ) che servono per commettere il reato e dell’assenza delle normali costrizioni geografiche, potendo l’attività illecita svilupparsi da un capo all’altro del mondo. È importante da un lato individuare tutte le potenziali fonti di informazione, dall’altro il personale tecnicamente preparato, esperto di informatica che possa essere di aiuto nell’investigazione. WORLD WIDE WEB. Il servizio più largamente conosciuto e usato in INTERNET è il World Wide Web. Il WWW fonde le potenzialità di INTERNET di condividere informazioni utilizzando il sistema dell’ipertesto. Costituisce un sistema globale di informazioni facile da usare, ma allo stesso tempo potente, accessibile con un interfaccia “point and click” basato sul mouse. Lo sviluppo del WWW ha cambiato in modo radicale il carattere e la vocazione di INTERNET. Agli inizi INTERNET era infatti uno strumento usato pressoché esclusivamente da professionisti, educatori, studenti e fanatici del computer. La facilità di usare il WWW ha invece aperto INTERNET a milioni di altre persone in tutto il mondo, divenendo la realtà in cui promuovere affari, esprimere opinioni, riferire eventi locali o mondiali e soprattutto comunicare l’un l’altro. Con l’innovazione del WWW, le foto, il suono, il video e l’animazione vengono integrati con il testo in singoli documenti, definiti per l’appunto ipertestuali, che possono essere trasmessi globalmente nella rete. Questi documenti sono definiti tecnicamente documenti HTML o Pagine Web. Una raccolta di pagine Web forma il sito Web (Web Site). Per visualizzare questo concetto, i manuali suggeriscono di immaginare il WEB come una enorme biblioteca virtuale localizzata in INTERNET. I Siti Web sono i libri della biblioteca e le pagine web sono le singole pagine. Le Home Page sono le copertine di questi libri virtuali. Il WEB rende disponibili milioni di pagine contenenti informazioni. La navigazione è fatta utilizzando un WEB browser ( navigatore ). Nel caso in cui l’interesse investigativo si orienti verso un particolare sito WEB, per visionarne il contenuto basterà utilizzare un normale browser di navigazione. Tale necessità si presenta frequentemente nella pratica nelle investigazioni di contrasto alla turpe realtà del commercio e della diffusione per via telematica della pornografia minorile, laddove, a seguito delle segnalazioni di siti WEB al cui interno vi siano foto o video che riproducono bambini o minori degli anni diciotto coinvolti in attività sessuali tra loro o con adulti, si ponga anzitutto la necessità di verificarne la fondatezza. Problemi di ordine pratico si potrebbero avere nel caso in cui tali siti siano visionabili a pagamento, soprattutto quando l’unico modo per accedervi è quello del previo pagamento a mezzo di carta di credito. Superati tali problemi, sarà opportuno ricordare che esistono delle applicazioni che consentono di scaricare sul proprio hard disk o su altro supporto, l’intero sito web presente in un certo indirizzo. L’utilizzo di una di queste applicazioni consente all’investigatore di visionare il contenuto del sito in un momento successivo, rimanendo sconnesso. POSTA ELETTRONICA. Il servizio di posta elettronica (e-mail) è con ogni probabilità l’ applicazione più utilizzata in Internet. Per molti utenti Internet, la posta elettronica ha di fatto rimpiazzato il sistema postale per l’invio di brevi documenti. Una volta la posta elettronica era limitata alla sola spedizione di messaggi di testo, mentre ora può essere utilizzata per condividere programmi, immagini, suoni, video clips con altre persone all’altro capo dell’oceano nel volgere di pochi minuti. L’identità di una persona in Internet è determinata in primo luogo dal suo indirizzo di posta elettronica. Questo indirizzo è immediatamente visto da altri utenti quando si spedisce un messaggio. Ma Internet offre anche possibilità di celare tale indirizzo e di intrattenere comunicazioni anonime. Ogni giorno migliaia di persone trasmettono messaggi anonimi nella rete Internet. Alcuni vogliono assicurarsi sicurezza e privacy, altri lo fanno semplicemente per fare scherzi o anche per commettere reati. Un esempio può essere quello del portavoce ufficiale di una società che voglia comunicare alla stampa qualcosa di confidenziale. La maniera più semplice per garantirsi di fatto l’anonimato è quella di utilizzare uno dei servizi di posta elettronica gratuiti, disponibili in Rete quali Hotmail.com, Yahoo, Freemark.com, Usa.net, Geocities.com etc. Iscriversi a tali servizi spesso non comporta la necessità di fornire generalità reali e comunque, essendo ospitati da server d’oltre oceano, essi mettono eventuali investigatori nella necessità di ricorrere a strumenti di cooperazione internazionale per ottenere informazioni sui titolari dell’account di posta elettronica. Ma il modo più comune di rendere effettivamente anonimi i messaggi spediti è quello di passare attraverso un tipo di centro di raccolta conosciuto come Remailer ( Reindirizzatore anonimo). Ce ne sono alcune decine nel mondo. Alcuni sono gratuiti, altri sono a pagamento. Mentre tali centri spediscono in genere messaggi che non contengono traccia alcuna del mittente, alcuni di essi sono in grado di aggiungere anche un indirizzo anonimo, al quale altre persone possono inviare messaggi che poi vengono “girati” all’indirizzo reale. COMUNICAZIONI IN TEMPO REALE. Una delle prime applicazioni di Internet è stata quella delle comunicazioni in tempo reale. I ricercatori che per primi hanno disegnato e costruito il sistema “parlavano” l’un l’altro con messaggi digitati, utilizzando un programma chiamato talk. Successivamente essi hanno sviluppato il modo di spedire messaggi-voce. Una delle maggiori attrattive dei servizi on-line, nazionali e internazionali, sono le c.d. chat room cioè quei luoghi virtuali dove gli utenti si possono ritrovare per comunicare in tempo reale. Qualsiasi cosa un utente digiti è visibile immediatamente a ciascuno presente in quel canale o chat room. NEWSGROUP. I Newsgroup di USENET sono gruppi di discussione telematica organizzati su scala mondiale nei quali è possibile condividere informazioni e opinioni con persone provenienti da ogni angolo del pianeta. Li si può immaginare come bacheche elettroniche dove ciascuno può affiggere un messaggio che, dopo l’affissione, può essere letto da chiunque. A differenza della posta elettronica che è essenzialmente una comunicazione privata fra individui, i messaggi di un newsgroup sono accessibili a chiunque abbia accesso a Internet. Utilizzando un software di lettura di News è possibile leggere articoli messi da altri, rispondere agli articoli trovati e/o inserire propri messaggi affinché altri li leggano. Gli argomenti vanno da quelli scientifici a quelli più assurdi e i contributi dei lettori spaziano dal discorso scientifico alla banale chiacchiera. Per chi è interessato a fruire di tale servizio il primo passo è trovare il newsgroup; leggere ciò che in esso è contenuto, il secondo. Anche se molti pensano a newsgroup e chat come a realtà interscambiabili, le due cose sono invece molto differenti. I newsgroup consentono all’utente di accedere alla discussione ad ogni ora del giorno o della notte e vedere quali nuovi messaggi sono stati inseriti dopo la precedente visita. Diversamente le chat hanno uno svolgimento in tempo reale. Chi le frequenta spesso non ha molto tempo per pensare e meno ancora per digitare il messaggio, cosicché le chat tendono ad essere informali e socievoli per loro natura. Altra differenza fra i due servizi è data dal fatto che il contenuto della chat in genere non è più disponibile, quando scompare dallo schermo, mentre i contenuti dei gruppi di discussione rimangono disponibili per essere letti e rivisitati da chiunque abbia un lettore di news in qualsiasi momento. MAILING LISTS. Le mailing list sono liste di persone che essendosi iscritte a un certo gruppo, ricevono messaggi e informazioni su un particolare argomento tramite la posta elettronica. Ci sono decine di migliaia di mailing list disponibili su Internet su argomenti che variano dall’ingegneria aerospaziale alla zoologia. Per gli Internauti esse sono uno dei modi per rimanere aggiornati sugli argomenti di interesse. Produttori e venditori di software li utilizzano come strumento per mantenersi in contatto con i propri clienti. Diversamente da un newsgroup al quale tutti possono avere accesso leggendo i messaggi, la mailing list si avvicina di più alla rivista privata di una organizzazione, in quanto è spesso moderata e riservata a persone che vi abbiano espressamente aderito. La maggior parte di esse consente agli utenti di iscriversi spedendo un messaggio di posta elettronica contenente uno specifico messaggio alla mailing list, mentre altre semplicemente richiedono di inserire un indirizzo di posta elettronica su un modello in una pagina web. Il server automaticamente aggiunge il nuovo indirizzo di posta elettronica agli altri e distribuirà in seguito i messaggi a tutti i soci. In genere, le mailing list forniscono anche istruzioni su come uscire dalle stesse. Il vero vantaggio di una mailing list è che chi vi aderisce non deve aprire un newsgroup e passare attraverso tutti i messaggi in esso contenuti per trovare ciò che lo interessa. Bullismo on line Sul dizionario Zingarelli al termine “bullo” corrisponde la definizione di: “prepotente, bellimbusto, che si mette in mostra con spavalderia”, sul Devoto e Oli il bullo è un “teppista sfrontato”, ma anche “in senso non cattivo, bellimbusto, che si rende ridicolo per la vistosità e l’eccentricità dell’abbigliamento”; bisogna attendere il 1996 perché il termine bullismo compaia su alcuni dizionari nella sezione “neologismi”. Il significato che oggi diamo al termine “bullismo” deriva da quello anglosassone. Sull’Oxford Dictionary del 1990, bully denota una persona che usa la propria forza o potere per intimorire o danneggiare una persona più debole. Il significato inglese del termine non denota quindi un semplice atteggiamento, come accadeva nella lingua italiana, quanto una specifica modalità di relazione tra due persone, tra un più forte, che si avvale della propria superiorità per danneggiare un soggetto più debole. In questa definizione viene espressa con chiarezza la matrice relazionale del fenomeno e sono presenti due dei principali criteri che la comunità scientifica è solita utilizzare per demarcare il fenomeno del bullismo (anche on line) da ciò che non lo è: • l’esistenza di uno squilibrio nel rapporto di forza tra due o più persone; • l’intenzione di arrecare danno alla persona più debole. Una terza condizione, necessaria, per definire un fenomeno come il bullismo (anche on line) concerne, il perdurare nel tempo di un tale tipo di relazione squilibrata. Quindi intenzionalità, persistenza e disequilibrio sono gli elementi che caratterizzano il fenomeno del bullismo (anche on line), che può essere visto come aspetto di un più generale comportamento antisociale che si caratterizza per la mancanza del rispetto delle regole (disturbi della condotta). Il bullismo (anche on line) è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime, spaventate dalle ripercussioni dei bulli se “denunciano” le prevaricazioni subite. Ciò significa che con il termine bullismo (anche on line) non ci si riferisce ad una situazione statica in cui c’è qualcuno che aggredisce e qualcun altro che subisce, ma ad un processo dinamico, in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti. Fenomeno non recente, è stato per lungo tempo sottovalutato, ritenendo che riguardasse soprattutto soggetti tardo-adolescenti; quando per iniziativa della professoressa Ada FONZI dell’Università di Firenze e della sua equipe, anche in Italia il fenomeno ha cominciato a essere studiato in modo sistematico, l’interesse che tali ricerche hanno suscitato nel mondo della scuola, nonché nella pubblica opinione, è stato molto elevato. Come se finalmente fosse dato un nome per descrivere un disagio che i docenti, familiari e soprattutto i ragazzi percepivano da tempo in modo pervasivo e disturbante all’interno della scuola. La nostra rappresentazione dell’infanzia si è profondamente modificata negli ultimi anni. Vi sono due caratteristiche peculiari apparentemente in contraddizione, che colpiscono maggiormente la nostra attenzione: da un lato percepiamo i ragazzi sempre più arrabbiati, annoiati, precocemente autonomi, spesso aggressivi; dall’altro li percepiamo emozionalmente fragili, bisognosi di protezione troppo a lungo dipendenti. Al di là dell’incidenza percentuale del fenomeno, interessanti sono le concordanze che i vari studi rivelano circa le caratteristiche del fenomeno e dei suoi correlati. Tali dati ci dicono che il fenomeno del bullismo (anche on line) tende universalmente a decrescere quantitativamente con l’aumentare dell’età, in particolare con il passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria, ma allo stesso tempo aumenta la qualità, la gravita delle condotte messe in atto in quei casi di prepotenza che perdurano anche nella scuola media, e che la percentuale delle femmine coinvolte è minore di quella dei maschi. Sono state osservate due forme fondamentali di bullismo (anche on line) l’una di tipo diretto e l’altra di tipo indiretto. La prima che si articola in prepotenze fisiche e/o verbali, parte dal prevaricatore e si rivolge direttamente alla vittima, che subisce attacchi fisici, pugni, calci, percosse, o verbali, insulti minacce prese in giro o entrambi. Nella seconda, di tipo indiretto, la vittima è intrappolata in una serie di dicerie sul suo conto, di atteggiamenti di esclusione nei suoi confronti, che condannano all’isolamento. Ed è proprio questa seconda forma che viene agita di preferenza dalle femmine nei confronti delle compagne, quindi anche difficilmente rilevabile, mentre i maschi si orientano prevalentemente verso l’aggressività di tipo diretto. Facendo un breve accenno alle caratteristiche degli attori del fenomeno del bullismo (anche on line) riporto l’analisi di M. A. ZANETTI professoressa del dipartimento di psicologia dell’università di Pavia: • Bullo/i attivi: colui o coloro che sono i protagonisti dell’azione di prevaricazione che mettono in atto di propria iniziativa e senza un apparente reale motivo, gratuitamente, condotte violente verbali o fisiche, dirette o indirette a discapito di una persona o di un gruppo, vittime. Caratteristiche: Aggressivi verso i compagni ma anche verso gli adulti, spavaldi, sicuri di sé, spesso popolari, più forti delle loro vittime, impulsivi, incapaci di rispettare le regole degli adulti, hanno solitamente un’opinione positiva di sé, nessuna empatia con la vittima, modello aggressivo associato alla forza fisica (per i maschi); famiglie con clima ostile, scarsa accettazione del figlio, modelli educativi autoritari e violenti - Ross (1999) parla di “modello educativo incoerente”. • Bulli passivi: Seguaci o sobillatori, sostenitori del bullo attivo, al sicuro all’interno del gruppo prepotente, nel codazzo di compagni ritenuti “prestigiosi”; in loro può verificarsi una parziale empatia per la vittima, sono caratterizzati da bassa autostima, scarsa stabilità emotiva, scarsa soddisfazione personale (Lawson, 2001), tendono a diminuire crescendo. • Vittima passiva o sottomessa: subisce senza reagire i soprusi e le umiliazioni del bullo/i. Caratteristiche: ansiosi, passivi, molto “attaccati” all’adulto, bassa autostima, immagine di sé negativa, incapaci di reagire, rassegnati, non sono buoni lettori dell’espressione emotiva altrui, non riconoscono i codici aggressivi dei potenziali bulli (Fonzi, 1999), modello reattivo ansioso o sottomesso (per i maschi), debolezza fisica; famiglia iperprotettiva. Figlio non in grado di gestire relazioni sociali complesse. • Vittima provocatrice: mette in atto condotte comportamentali tali da istigare, provocare in qualche modo la violenza nel bullo/i. Caratteristiche: Alternanza dei codici, facilmente irritabili, scarso controllo emotivo, provocatori solitamente antipatici nei confronti degli adulti, stile famigliare: a) coercitivo-incoerente; b) permissivo; c) iperprotettivo. • Gregari: appartengono al gruppo del bullo o dei bulli che aiutano a mettere in atto le condotte di prevaricazione da parte dei bulli, o a volte eseguono gli “ordini” del bullo stesso. • Spettatori: osservano a debita distanza senza intervenire nell’azione prevaricatrice, come se la cosa non li riguardasse il più delle volte, capendo la gravità della situazione, si allontanano facendo finta di niente per non essere coinvolti. • Difensori della vittima: sono coloro che in qualche modo prendono le difese della vittima, sono rari, rischiano, comportandosi in difesa della vittima, di diventare a loro volta bersaglio di prevaricazioni. Le vittime possono ancora essere descritte in base alla tipologia di reazione alle prepotenze: • vittime aggressive inefficaci: provocano e contrattaccano l’aggressore utilizzando tecniche di fronteggiamento inefficaci, perdono le loro battaglie attanagliate da sensi di angoscia e di frustrazione che li irretiscono in conflitti sempre più estesi; • vittime aggressive efficaci: utilizzano l’aggressione per risolvere il conflitto a loro favore; • vittime non aggressive: usano tattiche inefficaci compensando glia attacchi passivamente con la loro disfatta. Circa le cause del bullismo (anche on line), gli studi condotti minimizzano alcuni luoghi comuni. Risultano scarsamente probanti i risultati di quelle ricerche che hanno cercato di mettere in rapporto il fenomeno del bullismo (anche on line) con particolari fattori socio-ambientali o con caratteristiche fisiche dei soggetti; sembrerebbero scarsamente verificate le ipotesi secondo le quali un alto numero di studenti per classe e l’ampia dimensione della scuola sarebbero correlati positivamente con le presenza di prepotenze. Neppure avrebbero incidenza lo scarso rendimento scolastico dei soggetti coinvolti, né le loro depresse condizioni socioeconomiche, (il bullismo (anche on line) non è un fenomeno da aree povere e degradate). Anche altri facili parallelismi non hanno retto alle verifiche empiriche: i bambini che subiscono prepotenze non sono portatori di caratteristiche fisiche particolari che li indichino agli altri come vittime predestinate; non hanno di frequenza i capelli rossi, non tendono all’obesità né sono portatori di occhiali. Il bullismo (anche on line) è un fenomeno dinamico si modifica di pari passo con i cambiamenti sociali, anche nelle sue manifestazioni. Facendo riferimento agli stili educativi adottati in famiglia, si può dire che approcci unilaterali non spiegano il fenomeno, il comportamento umano è troppo complesso perché esso possa essere ricondotto alla sola azione degli stili educativi. Tuttavia è inconfutabile che, qualora i modelli familiari siano improntati alla logica della sopraffazione e della violenza, se vengono rinforzati ulteriormente dai mass media e sono in sintonia col contesto socio-ambientale, i bambini e i ragazzi metteranno in atto comportamenti coerenti con questi modelli, legati a schemi di comportamento interiorizzati altamente disadattivi riproponendoli in ambiti diversi da quello familiare. Anche il non intervenire può legittimare taluni comportamenti. Dan Olweus dice che i bulli sono caratterizzati da aggressività generalizzata sia verso gli adulti che i coetanei, da impulsività, da scarsa empatia nei confronti degli altri e che hanno una buona opinione di se e un atteggiamento positivo verso la violenza. Le vittime, per contro, che distingue in passive e provocatrici, sono caratterizzati da atteggiamenti ansiosi e insicuri e da scarsa autostima. Negli studi condotti da Ada FONZI in Italia, circa i singoli fattori individuali associati al fenomeno delle prepotenze a scuola, si è constatato che la condizione di vittima e di bullo appare legata a difficoltà nel riconoscimento delle emozioni. Per le vittime indipendentemente dall’età, si evidenziano deficit nel riconoscimento di specifici segnali emotivi, in particolare quelli relativi alla rabbia. Da un lato tali difficoltà potrebbero impedire al bambino di riconoscere l’altro come potenziale aggressore e conseguentemente di difendersi da questi; dall’altro lato l’incapacità di leggere tale emozione potrebbe ostacolare il controllo delle proprie manifestazioni comportamentali e favorire l’utilizzo di modalità che finiscono con il provocare ulteriormente la rabbia del compagno. Per i bulli si riscontra una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, soprattutto per quanto riguarda la felicità. In definitiva gli attori sociali di questo complesso dramma chiamato bullismo (anche on line), risultano sgrammaticati in una competenza sociale fondamentale, quella che permette di cogliere i segnali emotivi che provengono dagli altri. Il deficit legato alla mancanza di empatia cioè, della capacità di un individuo di comprendere e condividere gli stati emotivi sperimentati da un’altra persona, è, quindi, probabilmente riconducibile ai soggetti che prevaricano i propri compagni, dal momento che non sembrano rendersi conto delle sofferenze che inducono in quei ragazzi che subiscono le loro prevaricazioni. Anche le vittime hanno una scarsa abilità nel sintonizzarsi affettivamente con i propri compagni, interagendo con essi in modo spesso inadeguato, stimolando la loro aggressività. Molti programmi di intervento, finalizzati a prevenire e ridurre il bullismo (anche on line) nella scuola, sono incentrati sulla stimolazione e sull’incremento delle capacità empatiche, favorendo i processi di identificazione reciproca tra i ragazzi. Si riflette sul fatto che il bullismo sia sempre esistito, sotto l’accezione “nonnismo” o altro, che cosa è cambiato rispetto al passato? Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, nel suo articolo “Bullismo (anche on line) a scuola: istruzioni per l’uso” scrive che oggi si tratta di qualcos’altro: ci si trova in una fase di transizione, dai modelli rigidi in cui prevaleva il modello etico-normativo, dall’epoca del galateo in cui le norme erano abbastanza acquisite e assodate e quindi i trasgressori venivano facilmente individuati, a modelli in cui la centratura non è più sulla regola ma sulla relazione interpersonale, a modelli educativi in cui l’elemento affettivo entra a pieno titolo e diventa dominante, come se amare i propri figli implicherebbe il non rimproverarli quando trasgrediscono le regole, giustificarli, sempre e comunque, di fronte alle “ragazzate” commesse, lasciarli liberi di fare ciò che desiderano, senza una guida autorevole e decisiva che li indirizzi verso il rispetto del vivere civile e sociale. Allo spirito di contestazione rispetto alla società adulta , che aveva caratterizzato in passato i valori e la società della cultura giovanile, si è sostituito nel mondo giovanile uno spirito di adesione ed omologazione rispetto ai valori dominanti. Quanto più si è affermata questa nuova cultura ed è aumentato il benessere insieme al consenso dei giovani al modello della società adulta, tanto più gli adulti hanno abdicato al loro ruolo di “normatori”, trasmettendo ai giovani il senso della legalità e del rispetto per le regole, dietro le quali vi sono valori da promuovere e divulgare. Oggi il contesto sociale esalta i comportamenti “sopra” le regole; inoltre, alla trasgressione delle norme da parte dei giovani il più delle volte, non segue alcuna sanzione; l’adolescente per crescere ha bisogno di provocare polemicamente di sfidare l’autorità dell’adulto, chiede di essere limitato in qualche modo, ma se ciò non avviene come riesce il ragazzo ad interiorizzare le norme date dai genitori per maturare un’autonoma coscienza etica? Come fa a diventare una “sana” ed equilibrata persona adulta che vive nel rispetto delle regole della società civile? Questa mancanza di regole e sanzioni ha portato a una sorta di “anestetizzazione etica” dei giovani, che sono incapaci di sperimentare il sentimento del senso di colpa di fronte ad ingiustizie agite o patite a danno di sé o di altri. I ragazzi di oggi sono stati educati ad avere tutto subito, non hanno imparato ad affrontare ed elaborare le frustrazioni, così finiscono per rubare o rapinare per noia o peggio ancora, incapaci di elaborare emotivamente vissuti di rifiuto o fallimento che la quotidianità presenta loro, non trovano altra soluzione che non togliersi la vita per “futili” motivi (bocciatura all’esame per la patente di guida o perché la fidanzata di turno li ha lasciati). Come afferma Olweus, i ragazzi che opprimono e quelli che subiscono sono il frutto di una società che tollera sopraffazione, in parte per cecità in parte per tornaconto personale; ignoranza e indifferenza sono le matrigne di questi figli disadattati, gli uni e gli altri, persecutori e vittime, facce della stessa medaglia. È incivile sopraffare gli altri ma in qualche misura lo è anche accettare di essere sopraffatti o permettere che altri lo siano. Come già accennato nel paragrafo precedente, si ribadisce che il fenomeno del bullismo (anche on line) è complesso e le cause che lo determinano sono molteplici. Occorre inquadrare il fenomeno in un’ottica interazionista che non privilegi risposte parziali, basate cioè sulle sole differenze di personalità o sulle sole circostanze ambientali. La personalità, i modelli familiari, gli stereotipi imposti dai mass media, un’istituzione scolastica spesso disattenta alle relazioni tra ragazzi, dinamiche di gruppo che trascendono il singolo individuo, sono tutti fattori concomitanti che, in maggiore o minore misura contribuiscono al determinarsi del fenomeno. L’indifferenza e il disimpegno morale sono meccanismi per cui si può giustificare un’azione violenta sostenendo che la si fa a fin di bene, o che contravvenire ad una norma << non è poi così grave perché lo fanno tutti>>. Spesso i ragazzi che vittimizzano i propri compagni non sembrano assumersi pienamente la responsabilità di ciò che fanno e tendono sovente a sminuire le conseguenze delle loro azioni <<sono solo scherzi>>, a deresponsabilizzarsi << è tutta la classe che li prende in giro>> o tendono a giustificare il loro comportamento svalutando la persona bersaglio delle loro angherie << in fondo se lo è meritato>>. Non va dimenticato infine il ruolo dei meccanismi di gruppo che cristallizzano la persona all’interno di un ruolo per cui risulta difficile per un ragazzo, che è stato etichettato come vittima o come prepotente, modificare il proprio status all’interno di un gruppo che continua a interpretare i suoi comportamenti alla luce del ruolo che gli è stato assegnato. Questi sono solamente alcuni dei processi psicologici implicati. I ragazzi spesso agiscono senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni o semplicemente non prendendole in considerazione, Vi è una sorta di pseudo-inconsapevolezza nei ragazzi bulli, per cui e’ presente in loro la consapevolezza del fenomeno e del proprio ruolo giocato, che sia di bullo o gregario, tuttavia essi ricorrono a un complesso sistema di autoguistificazioni che permette di separare la violazione delle norme dalla sua riprovazione, in questo modo la persona riesce a compiere azioni colpevoli senza provare colpa. M. A. ZANETTI professoressa del dipartimento di psicologia dell’università di Pavia, ha individuato ricorrenti meccanismi del disimpegno sociale: • Giustificazione morale (es. Se lo è meritato è un ladro) • Etichettamento eufemistico (es. Non l’ho picchiato, gli ho dato uno spintone) • Confronto vantaggioso (es. Gli ho solo dato uno spintone, mica un pugno) • Dislocamento della responsabilità (es. Marco mi ha detto di colpirlo) • Diffusione della responsabilità (es. Non sono stato solo io, c’erano anche altri) • Distorsione delle conseguenze (es. Ma, non si è fatto niente!) • Deumanizzazione (es. E’ inferiore a me, potevo farlo! E’ un albanese, uno zingaro, ecc.) • Attribuzione di colpa alla vittima (es. E’ stato lui ad iniziare..) Le modalità con cui le prevaricazioni prendono forma a scuola sono molteplici; ad oggi il Legislatore non prevede la violazione di una condotta che va sotto il nome di bullismo (anche on line); il codice penale individua quelle condotte che se messe in atto costituiscono reato, il bullismo (anche on line) non è tra queste, però le singole modalità con cui un’azione di prevaricazione, sia fisica che verbale, viene agita possono rientrare in condotte costituenti reato sanzionate dal legislatore, (ne resta escluso l’isolamento, la forma per eccellenza del bullismo (anche on line) indiretto tra le ragazze, non vi è reato se una ragazza viene esclusa intenzionalmente dal gruppo e isolata). Piccole estorsioni sono all’ordine del giorno “dammi i soldi o ti picchio”; ragazzi vittime che si trovano a diventare a loro volta dei piccoli ladri in casa per procurarsi il denaro che viene loro estorto dal gruppo di bulli; anche i danneggiamenti di beni personali, bicicletta, motorino, che la vittima li usa per andare a scuola o materiale scolastico. In realtà le condotte di prevaricazione dirette e fisiche potrebbero concretizzarsi in una molteplice varietà di reati, compresa la violenza sessuale. Ricordo la vicenda di un ragazzo che frequentava l’ultimo anno delle scuole medie inferiori, durante il corso dell’anno scolastico era stato ripetutamente perseguitato da un gruppo di compagni di classe bulli, con continue vessazioni, piccoli furti, dispetti, gli versavano bibite sul banco gli strappavano i quaderni, gli nascondevano materiale scolastico, di fatto è stata un escalation di condotte sempre più gravi, fino a quando l’ultimo giorno di scuola, per festeggiare, i compagni prevaricatori trascinano la vittima nei bagni dei maschi, goliardicamente gli abbassano i pantaloni e tenendolo fermo lo masturbano. I genitori del ragazzo venuti a conoscenza dei fatti hanno sporto denuncia contro il gruppo di ragazzi per violenza sessuale sul figlio. Spesso negli atti di bullismo (anche on line) coesistono contestualmente più condotte illecite, lesioni e minacce per esempio: la vittima viene picchiata e poi gli viene intimato che se racconterà qualcosa a qualcuno lo aspetterà di molto peggio. Gli atti di bullismo (anche on line) solitamente vengono messi in atto dai ragazzi a scuola lontano dagli occhi degli insegnanti o di adulti, che potrebbero sanzionare il comportamento socialmente riprovevole, i ragazzi sono molto attenti e furbi da questo punto di vista, perciò il più delle volte tali condotte restano nel silenzio, tra i banchi di scuola. Il dipartimento della pubblica sicurezza ha da tempo avviato una serie di iniziative, volte a sensibilizzare le articolazioni territoriali della Polizia di Stato ed a prendere e mantenere significativi contatti con i responsabili degli organismi scolastici al fine di avviare percorsi nelle scuole con gli studenti, partendo dalle elementari, in stretta collaborazione con gli insegnanti sensibilizzando anche questi all’esigenza di un efficace intervento che promuova la legalità tra i ragazzi. La Polizia da sola non basta in questo quadro preventivo, impegnativo è anche lo sforzo che si chiede agli insegnanti nel preparare i ragazzi a tali incontri, affinché abbiano senso. Tali iniziative sono mirate a diffondere la cultura della legalità tramite appunto incontri formativi e divulgativi con gli studenti, docenti e genitori, per individuare quei segnali di disagio che possono sfociare in comportamenti devianti o illeciti. La legalità deve essere un processo, una costruzione paziente finalizzata al coinvolgimento di tutti gli studenti soprattutto gli esclusi. Ecco perché è necessario investire di più nella prevenzione con iniziative formative cui collaborano, oltre gli insegnanti e gli operatori di Polizia, anche psicologi preparati nel settore, partendo proprio dalle esperienze dei ragazzi stessi, dagli articoli di cronaca dei quotidiani, in ogni ambito: codice della strada, uso di sostanze stupefacenti non ultimi gli alcolici, stragi de sabato sera, violenze e prevaricazione a scuola ecc. Tutto ciò finalizzato a concretizzare innovativi percorsi di educazione alla legalità e favorire la crescita nelle nuove generazioni, della consapevolezza delle norme e del valore che tutelano, delle inevitabili conseguenze delle proprie azioni agendo incivilmente in violazione delle regole, e di una Polizia vicina al disagio giovanile.