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LEZIONE N° 2 PARTE 1 - LE NUOVE DIPENDENZE ON LINE
A cura del Prof. Giuseppe Lavenia, Psicologo Clinico - Resp. Area Nuove Dipendenze Centro Studi e
Ricerche “Nostos”, docente di Psicologia Clinica e Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni,
coordinatore del corso integrato in metodologie e tecniche della riabilitazione - Università degli Studi
di Chieti
Aumentano le famiglie che possiedono un personal computer: il 27.2% di quelle italiane ne
possiede uno. Ad usare il pc è il 30% della popolazione dai 3 anni in su, il 19% dei quali, dagli 11
anni in poi si collega ad internet. L’uso di pc e Internet è praticamente raddoppiato rispetto al 1995,
con una crescita che ha visto come protagoniste soprattutto le donne. Gli utenti che utilizzano la rete
Internet sono circa 9.000.000; (dati ISTAT).
Ma quanti di questi utenti sono al corrente dei possibili problemi legati allo scorretto utilizzo di
internet?
La diffusione delle nuove tecnologie sta modificando in breve tempo le nostre abitudini e le
modalità d’intendere i processi di comunicazione. I nostri parametri spazio temporali mutano
continuamente in relazione al costante aggiornamento delle nuove tecnologie e con esse si modifica
sempre più il nostro sistema di comunicazione con gli altri. In passato scrivere una
lettera richiedeva tempi lunghi, talvolta non si era neanche sicuri che il destinatario l’avesse
ricevuta. Questa estate durante le ferie estive mi sono trovato, per altro con piacere, a scrivere delle
cartoline, cercare i francobolli o la buca delle lettere. Mi sono sentito un “cavernicolo”, ormai
ampiamente abituato a comunicare attraverso la posta elettronica e le chat-line.
La tecnologia modifica le nostre abitudini e la nostra vita, ma a fronte degli innumerevoli vantaggi
apportati dall’applicazione di queste nuove tecniche iniziano a manifestarsi “situazioni particolari”
definite da alcuni autori come tecno-patologie.
L’utilizzo delle nuove apparecchiature interagisce con il nostro apparato psichico e per la prima
volta nella storia del genere umano, l’uomo ha ideato un dispositivo che lo costringe ad adeguarsi al
“suo” modo di “pensare”; l’utilizzo del personal computer richiede un reale adattamento mentale al
suo funzionamento e di conseguenza spinge il soggetto ad adeguare le proprie funzioni cognitive al
funzionamento della macchina. Alcuni studiosi statunitensi hanno evidenziato un cambiamento
nelle modalità di comunicazione del linguaggio parlato degli adolescenti in relazione all’uso
dell’informatica. Sempre più spesso questi adolescenti terminano le frasi in tono crescente e
lievemente dubitativo, come per suggerire che tutto quanto dicono sia una domanda più che
un’affermazione (fenomeno battezzato come upspeak). La natura condizionale e aperta di questo
nuovo modo di parlare sembra suggerire che i pensieri di ciascuno, per avere un senso ed essere
convalidati, debbano essere sempre collegati alle relazioni altrui.
C’è apparso quindi indispensabile analizzare le modificazioni che si verificano nella psiche umana
in rapporto con l’ormai totale diffusione della rete e, per quanto riguarda noi operatori della salute
mentale, il possibile approccio per quei fenomeni psicopatologici riuniti nella sigla di IAD (Internet
Addiction Disorder) che sempre più frequentemente si manifestano nella pratica clinica.
INTERNET ADDICTION DISORDER (I.A.D.)
Il termine si deve allo psichiatra americano Ivan Goldberg che, nel 1995, propose dei criteri mutuati
dalla diagnostica per le dipendenze dal DSM. Goldberg con la sua proposta ha dato avvio ad una
riflessione che ha incuriosito numerosi psicologi e psichiatri ed ha imposto all’attenzione del mondo
il rischio di dipendenza da Internet.
Goldberg avanzò la proposta di diagnosticare una I.A.D. qualora venissero individuati nella persona
tre o più dei seguenti segni clinici di tolleranza e/o astinenza, riscontrabili varie volte nel corso dello
stesso anno.
A) Segni clinici di tolleranza:
• Aumento progressivo e costante delle ore da trascorrere on line per ottenere soddisfazione;
• riduzione notevole degli effetti derivanti dall'utilizzo della medesima quantità di tempo
trascorsa in Internet.
B) Segni clinici d’astinenza:
1. marcata riduzione d’interesse per altre attività che non siano Internet;
2. sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso della rete, di agitazione
3. psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line, classici
4. sintomi astinenziali;
5. necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più
6. prolungati rispetto all’intenzione iniziale;
7. impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso d’Internet;
8. dispendio di gran quantità di tempo in attività correlate alla rete;
9. continuare ad utilizzare Internet nonostante la consapevolezza dei problemi fisici,
10. sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete.
ALCUNE IMPORTANTI ANALOGIE CON LE “VECCHIE”DIPENDENZE
Ciò che ha spinto il nostro gruppo di ricerca ad avviare uno studio sull’I.A.D. è stato, in particolare,
la sua analogia psicopatologica con quadri clinici assimilabili all'uso di sostanze psicotrope. Gli
elementi in comune da noi analizzati hanno riguardato inizialmente le modificazioni psicologiche
che si producono nell'individuo che diviene dipendente dalla rete: perdita delle relazioni
interpersonali, modificazioni dell'umore, alterazione del vissuto temporale, cognitività
completamente orientata all'utilizzo compulsivo del mezzo; il soggetto tende a sostituire
il mondo reale con un oggetto artificioso. Una sorta di “feticismo tecnologico”, attraverso il quale
l’individuo riesce a costruire un proprio mondo personale - e in questo caso virtuale - analogo al
mondo del tossicodipendente: esclusivo per linguaggio, abbigliamento, atteggiamenti e
comportamenti.
La domanda profonda che ci siamo posti è che se questo è vero la tossicodipendenza potrebbe
essere vista come un bisogno dell'individuo di crearsi un mondo personale indipendentemente dalla
sostanza o strumento che lo rende dipendente. E’ evidente che attraverso Internet si possono
provare intensi e piacevoli sentimenti di fuga, superando on-line i problemi della vita reale, con un
effetto simile ai “viaggi”consentiti da alcune droghe e inoltre permette al soggetto di provare un
senso d’onnipotenza, connesso con il superamento d’ogni limite personale e spazio temporale
(fenomeno anch’esso presente nell’utilizzatore di sostanze psicotrope).
Il fenomeno della distorsione del tempo è fondamentale per poter meglio comprendere il problema:
“Qualunque sia la ragione di partenza per avventurarsi nella navigazione on-line, presto s’impara
che trovare ciò che serve e poi uscire è ben di rado semplice e veloce come aprire il frigo e
prendersi qualcosa da mangiare al volo” (Young, 1995).
Il tempo sembra fermarsi in rete, la parola fine non c’è mai.
Molte volte i soggetti che utilizzano le rete, oltre a non rendersi conto delle diverse ore già trascorse
dinanzi allo schermo, tendono ad alterarsi facilmente con chi disturba il loro “viaggio”; esperienza
questa che può essere paragonata alla risposta che un alcolista dà ad un amico trovandosi ad una
festa “soltanto un biccherino”, o a quella del fumatore che dice a se stesso “solo un’ultima sigaretta
e andrò a dormire; lo stesso procedimento è messo in atto dagli internet dipendenti che
risponderanno irritati a chi gli chiede di disconnettersi “ancora un minuto e spengo”, oppure diranno
a se stessi razionalizzando “un altro minuto non farà molta differenza” ma poi rimarranno connessi
ancor per ore e ore.
Altro fattore fondamentale per la valutazione degli “addicted” è la “negazione del problema”. Come
spesso accade con altri tipi di dipendenza, è molto difficile ammettere di avere una difficoltà. Nel
contesto internet questo appare ancor più gravoso: come si può chiedere aiuto per qualcosa che la
maggior parte delle persone apprezza per la sua potenza e il suo potere innovativo?
I soggetti “dipendenti” posti di fronte alla chiara evidenza di un comportamento tossicomanico si
trincerano dietro l’opinione comune secondo la quale internet è grandioso, “non può far male”.
TABELLA COMPARATIVA TRA LA DIPENDENZA DA SOSTANZE E INTERNET
ADDICTION DISORDER
ELEMENTI DI PSICOPATOLOGIA
L’utilizzo della rete e delle varie applicazioni è in grado di determinare un ampliamento ed
un’errata percezione dei confini del Sé. Presi nel vortice dei rapporti sociali, dividiamo
disperatamente la nostra limitata attenzione, concedendo frammenti della nostra coscienza ad ogni
cosa o persona che richieda il nostro tempo. Nel farlo, rischiamo di perderci pian piano nella rete
labirintica di connessioni mutevoli e temporanee in cui siamo sempre più integrati. Gergen scrive:
“Questa frammentazione della percezione di sé corrisponde ad una molteplicità di relazioni
incoerenti e fra loro sconnesse. Queste relazioni ci spingono in una miriade di direzioni, invitandoci
ad interpretare una varietà di ruoli tale da far sfumare il concetto stesso di sé autentico, dotato di
caratteristiche conoscibili. Il sé completamente saturato diventa un non sé” (J. Rifkin, “L’era
dell’accesso”, Oscar Mondatori, Milano, 2001).
D’altro canto la mancanza di una reale presenza fisica e l’impossibilità di poter accedere a tutta una
serie di messaggi non verbali ai quali siamo abituati nelle relazioni interpersonali diminuisce la
possibilità d’accesso a tutta una serie d’informazioni fondamentali nell’interazione tra due
individui. Questi due fenomeni appena descritti sono alla base di sensazioni d’onnipotenza legate
all’uso d’Internet e ai vissuti di depersonalizzazione spesso descritti nelle situazioni di grave
intossicazione.
Elemento fondamentale per comprendere le dinamiche legate alla dipendenza da Internet è il
fenomeno della “distorsione del tempo” prodotta dalle chat. La comunicazione in chat possiede
“l'interattività” che le permette di essere assimilata alle altre forme di comunicazione verbale. Ciò
porta istintivamente a confrontarla con esse e a considerare come unità di misura del tempo il
volume d’informazioni trasmesse e ricevute. Purtroppo nonostante l'interattività, la chat è
comunque più lenta di una comunicazione verbale, perciò alla fine di una conversazione in cui ci si
sono scambiate "tot" informazioni il tempo trascorso sarà molto maggiore di quanto sarebbe stato se
la comunicazione fosse avvenuta a voce. Questo però è percepito solo successivamente quando
controllando l'orologio si vede che, come sempre, si è stati in chat più tempo di quanto non ci si era
prefissati. Non è solo la chat a possedere questa peculiarità ma a nostro avviso tutta la struttura del
net che, sebbene con forme diverse, amplifica il problema tempo. Fra tutti ricordiamo l’ipertesto,
elemento fondamentale della rete, costituito da una serie infinita di collegamenti che ci portano a
navigare per ore e ore ricercando e reperendo una quantità così vasta d’informazioni che la
mente umana non può “contenere” e rendendo in questo modo il nostro “viaggio” vano.
Problematica psicopatologica legata alla distorsione del tempo è l’alterazione spazio temporale
prodotta nel soggetto che rimane collegato per molte ore, talvolta per giorni, ad internet. Alcuni
pazienti vanno incontro ad un’inversione del ritmo sonno veglia e a veri e propri stati deliranti in
rapporto al costante utilizzo della rete.
LE VARIE FORME DELL’INTERNET ADDICTION DISORDER
Le numerose attività che si possono svolgere online fanno sì che lo I.A.D. non sia un fenomeno
omogeneo ma si manifesti sotto varie forme:
- lo shopping compulsivo online;
- il gioco d’azzardo online (online gambling);
- la chat dipendenza;
- l’information overloading.
- il cybersex;
LO SHOPPING COMPULSIVO ONLINE
Lo shopping compulsivo è da qualche tempo oggetto d’interesse per la psichiatria, nonostante non
sia ancora stato codificato dal DSM, è descritto come un impulso irrefrenabile, un bisogno
inarrestabile, una tensione costante che può essere alleviata solo comprando.
Appare evidente la concezione del disturbo in funzione della dipendenza, o meglio la necessità di
compiere un rito per alleviare un qualcosa di brutto. Ciò suggerisce che lo shopping compulsivo sia
concepito come un disturbo ossessivo-compulsivo.
Secondo uno studio effettuato da Christenson (1994) i “compulsive buyer” descrivono lo shopping,
almeno all’inizio, come divertente, eccitante; solo con il passare del tempo s’inizierà a provare
vergogna e sensi di colpa. Ciò è in linea con il principio secondo cui è il piacere inizialmente dato
dall’acquistare, e non tanto dal bisogno di eliminare qualcosa di spiacevole, a portare la persona
gradualmente a non poterne fare più a meno. Se questo è vero nello shopping compulsivo, lo è
ancor di più nello shopping compulsivo online, dove può bastare solo una carta di credito per
entrare i tutti i centri commerciali del mondo e frugare in tutte le offerte senza offrirsi
necessariamente all’occhio divertito dei presenti. E senza quindi doversi vergognare.
Quello che spingerà all’ammissione del problema da parte di chi soffre, non sarà l’enorme quantità
di tempo spesa in rete, bensì il non riuscire più a sostenere economicamente il proprio
comportamento: non sono rari i casi di ricorsi a fidi bancari dopo il prosciugamento del proprio
conto, con conseguente vergogna e senso di colpa verso i familiari.
IL NUOVO AZZARDO: GAMBLING ON LINE
Nell’era multimediale il gioco d’azzardo cambia faccia e, naturalmente, nome: comprende i
videopoker, le slot machines e il gioco d’azzardo virtuale (casinò virtuali, aste on line ecc.).
2 Lo shopping compulsivo non è un fenomeno nuovo: già Kraepelin nel 1915 parlava di “oniomania”,
ovvero la mania di comprare di tutto seguendo un impulso irrefrenabile.
Oggi, ai tradizionali “drogati” del tavolo verde, si aggiungono quelli del videopoker, quelli che
navigano nei siti di gioco virtuale su Internet, ma anche quelli degli spericolati investimenti in
Borsa.
La nuova frontiera delle patologie d’azzardo, tuttavia, sembra essere Internet. Il gioco d’azzardo
virtuale esiste da quando si è diffuso l’utilizzo d’Internet: disponendo di un personal computer, di
un collegamento ad Internet e di una carta di credito è possibile puntare e scommettere su tavoli
verdi virtuali della roulette o giocare con slot machines on line stando comodamente seduti a casa
propria.
La pericolosità di tale fenomeno risiede nel fatto che il giocatore on line, soddisfacendo il desiderio
di sentirsi svestito dal pregiudizio sociale negativo che accompagna i frequentatori di casinò, libero,
nella comodità dei suoi spazi, di scommettere 24 ore su 24, può incorrere ad un uso incontrollato e
inopportuno del gioco on line.
Una categoria particolarmente a rischio è rappresentata dai giovani.
La dimensione del gioco telematico sottolinea l’assenza di un elemento cardine del gioco che è la
socializzazione e, inoltre, evidenzia la solitudine e anche la malinconia del gioco, che induce ad
attuare comportamenti patologici.
In Italia non esiste una normativa che proibisca o regoli la diffusione del gioco d’azzardo on line.
Internet ha aperto le porte, inoltre, al tradizionale gioco del Lotto: si gioca accedendo ai siti che
funzionano da vere e proprie ricevitorie virtuali. Cliccando, per esempio, su Totoservice si può
giocare al Lotto, al Totocalcio, al Totogol, al Totip, Tris e SuperEnalotto.
Il meccanismo è ancora una volta basato sul piacere, sulla soddisfazione ottenuta dalla vincita. Con
una differenza: non sempre si vince, ma questo non toglie voglia al giocatore di continuare a
tentare, perché prima o poi si dovrà tornare a vincere.
Praticamente le perdite non danno delusione: aumentano l’eccitazione della ricerca della vittoria.
Vittoria che ogni tanto è conquistata.
A differenza dello shopping compulsivo, questo tipo di patologia non porta conseguenze solo sul
piano economico: lo scommettitore, con lo scopo di recuperare le somme di denaro perso, inizia a
passare sempre più tempo nella dimensione virtuale tralasciando la sua vita.
Spesso entrano a far parte del quadro anche tratti depressivi, dovuti ad un’attività frenetica seguita
dalla perdita di cospicue somme di denaro, ed un notevole nervosismo che è sfogato nei confronti
della famiglia, o di chi cerca di distrarlo dalla sua attività.
LA CHAT DIPENDENZA E LE RELAZIONI IN RETE
Il fenomeno della comunicazione online è uno dei fenomeni più discussi in questi ultimi anni. Si
può considerare il problema della dipendenza dalle chat secondo due aspetti:
• il primo riguarda proprio la modalità di relazionarsi in rete e l’incapacità di allontanarsene (i
maniaci delle chat);
• l’altro in cui la rete rappresenta solo una contaminazione di un’altra patologia, ovvero una
tentata risoluzione del problema relazionale.
I maniaci delle Chat
La chat è una forma di CMC (comunicazione mediata da computer) sincrona, dove vari soggetti
scambiano messaggi di testo in tempo reale; ovviamente la comunicazione può essere tra due sole
persone, oppure tra tutte le persone presenti in quel momento in un determinato canale (o stanza, dal
momento che spesso le chat sono organizzate in stanze, room, con diversi argomenti); comunque di
solito al di là delle tematiche trattate è soprattutto l’aspetto relazionale che spinge all’utilizzo di
questa forma di comunicazione. Si rende quindi obbligatorio l’uso della fantasia sia nel presentarsi
agli altri utenti, sia nell’immaginarli.
Ma ancora più intrigante risulta il fatto di poter dare di se un’immagine diversa da quella effettiva,
suscitando negli altri interesse e curiosità insperabili nella vita di tutti i giorni.
Come dice la Young (1998):”quando si vedono delle persone solo attraverso delle parole scritte su
un monitor, si è liberi di costruirsi un’immagine assolutamente personale e arbitraria di questa
persona nella realtà” (non sono pochi i casi di persone che sperimentano delusioni anche molto forti
in seguito all’incontro con la persona conosciuta in chat e della quale ci si era fatta un’immagine
che esulava anche di molto dalla realtà dei fatti).
Internet ci dà l’opportunità di porci davanti al nostro ideale, e quindi di sentirci finalmente ideali.
Tutto questo può essere sufficiente per far sì che questa modalità comunicativa diventi
irrinunciabile; perciò le ore al computer aumenteranno, sarà difficile passare molto tempo senza
connettersi, per controllare che ci sia quel messaggio di quella data persona; in altri casi si può
avere la sensazione che qualcosa cominci a mancare, come quando la persona di cui ci si innamora
è lontana, e ci sono spazi e vuoti da colmare. Allora si inizierà a sperimentare nuovi tipi di
interazione, basati non più solo sulle parole scritte: ci sono infatti molti programmi (ad esempio il
Messenger di MSN, oppure il Net Meeting di Windows) che consentono anche una connessione
audio-video tramite webcam; quando anche questo non basta più si decide di passare all’incontro, e
si è visto come proprio in questo momento l’”idillio” potrebbe finire.
Quindi se per molte persone conoscere gente su internet, scambiare messaggi, scherzare può essere
un piacevole momento di intrattenimento (che rimane tale), per altri diventa una delle poche, se non
l’unica fonte da cui attingere piacere: il resto conta sempre meno e una persona già introversa e con
scarsa capacità relazionale finisce, a causa della chat, per atrofizzarla del tutto. Il contatto con una
persona in carne ed ossa potrebbe addirittura divenire fonte di ansia, e di conseguenza sarà evitato il
più possibile.
Ed è anche sbagliato pensare che questo genere di persone siano solamente single oppure persone
che abitano da sole, infatti la maggior parte delle volte sono proprio i partner o uno dei familiari che
le minacciano di ricorrere ad una terapia per smettere (G. Nardone, F. Cagnoni, “Perversioni in Rete:
le psicopatologie da Internet ed il loro trattamento”, Ponte alle grazie)
L’INFORMATION OVERLOADING ADDICTION
Information overloading significa sovraccarico di informazioni: qualcuno lo ha definito
“l’inquinamento di Internet”, ovvero la massiccia quantità di informazioni inutili scadenti ed
antiquate che circolano in Rete.
Per Information Overloading Addiction s’intende la ricerca estenuante di notizie, informazioni: ci si
ritrova a passare tantissimo tempo online alla ricerca di informazioni, e frequenti sono anche i tentativi
di ridurre o controllare questa quantità di tempo dedicata all’estenuante ricerca di notizie.
IL CYBERSEX ADDICTION: CHAT SEX e CYBER PORN
E’ difficile stabilire il confine tra normalità e patologia di un disturbo comportamentale: come si fa
a stabilire chi usa troppo il computer, chi compie acquisti in maniera compulsava, chi gioca troppo
d’azzardo, chi pensa e mette in atto il sesso in modo patologico? In realtà, sono queste persone a
riconoscersi per prime come disturbate dal loro comportamento, perché si rendono conto,
gradualmente, di perdere il controllo della propria vita e di non riuscire più né a dominarla, né a
controllare il loro comportamento.
Questo è ciò che avviene nelle vite dei CyberSex Addict, stretti in un vortice di dinamiche sessuali
che non lascia tregua, ossessionati da pensieri carnali e spinti a compiere atti che per pochi attimi di
piacere li rendono schiavi di una tirannica dipendenza.
Nel cybersex addiction rientrano diverse tipologie di comportamenti, che spesso non presentano
caratteristiche omogenee tra loro.
Gli autori individuano quattro categorie di elementi che potrebbero favorire lo sviluppo di disturbi
legati alla Rete e sono:
1) psicopatologie preesistenti ( depressione, etc.);
2) condotte a rischio (“eccessivo consumo”, riduzione delle esperienze di vita e di relazioni
“reali”, etc.);
3) eventi di vita sfavorevoli (problemi lavorativi, familiari etc. “internet come valvola di
sfogo”);
4) potenzialità psicopatologiche proprie della Rete (anonimato e senso di onnipotenza che
possono degenerare in: pedofilia, sesso virtuale, creazione di false identità, gioco d’azzardo, etc.).
Per quanto riguarda invece le singole fasi, nella seguente tabella sono riportate le attività svolgibili
ed i relativi rischi connessi nella fase di Osservazione e ricerca:
Tab. 4 - Attività e Rischi della fase di “Osservazione e Ricerca”.
Si tratta di disturbi che possono avere un’esistenza anche nella vita reale, a prescindere dal pc, ma
ciò che li rende particolarmente accentuati in questo caso sono le caratteristiche, proprie della Rete,
di anonimato e di estrema facilità nell’accedere ai servizi. Come evidenziano i due autori, si tratta
di disturbi propriamente compulsivi, che possono diventare per il soggetto il centro della propria
esistenza. La fase attuale mostra un rapporto di tipo esclusivo “uomo-macchina” in cui non c’è
spazio per la creativà e lo spirito “produttivo” che contraddistingue l’essere umano.
Nella fase Relazionale-Comunicativa è possibile riscontrare le cosiddette NetAddiction, caratteristiche di soggetti con difficoltà a livello comunicativo-relazionale, che tendono
a rifugiarsi nella Rete per evitare le proprie problematiche esistenziali.
La seguente tabella riassume le attività che si possono sviluppare ed i conseguenti rischi:
Tab. 5- Attività e Rischi della fase “Relazionale - Comunicativa”.
I “Cyber-Porn Addict” sono attratti principalmente dalle immagini pornografiche; i
Cybersex addicts invece, preferiscono avventurarsi nelle chat erotiche, dove scambiano, con i
propri partner virtuali, messaggi sessuali scritti a volte accompagnati da foto delle proprie nudità o
da riprese con la Webcam.
Tra i due fenomeni ci sono anche differenze di genere. Dai nostri studi è sempre emersa una
maggiore presenza femminile nelle chat e un maggiore interesse maschile per la pornografia.
Dai nostri lavori emerge un quadro definito del CyberPorn Addiction, caratterizzato dai seguenti
segni clinici:
1) Trascorrere molto tempo in Rete alla ricerca di materiale pornografico;
2) aspettative di eccitazione o gratificazione sessuale legate alle connessioni successive;
3) nascondere agli altri la fruizione in Rete di materiale pornografico;
4) vergogna e senso di colpa per il proprio comportamento in Rete;
5) ricerca attiva di materiale pornografico;
6) masturbazione compulsiva prolungata e controllata, con lo scopo di enfatizzare l'emozione
della visione pornografica;
7) eiaculazione finale (uomini) / orgasmo (donne) liberatoria, quale, spesso, unica possibilità
per riuscire ad interrompere la fruizione pornografica;
8) calo del desiderio sessuale verso la propria partner/il proprio partner;
9) possibilità di masturbazione solo attraverso la visione di materiale pornografico;
10) condizionamento a vivere la propria vita sessuale solo in termini "fisici", l'aspetto affettivo
tende a scomparire;
11) ripetuti tentativi fallimentari di controllare, limitare o sospendere la fruizione pornografica;
12) perpetuare la fruizione di materiale pornografico in Rete, nonostante evidenti conseguenze a
livello familiare, sociale, lavorativo ed economico, da essa derivate o accentuate.
Probabilmente, come per tutte le cose, prima di esprimere giudizi allarmistici e demonizzanti, come
spesso avviene nei riguardi del sesso e della Rete, bisognerebbe soffermarsi a riflettere. Così come
la sessualità è un’entità che esiste a prescindere da noi e non la si può ignorare (o almeno non per
sempre!), anche Internet oramai è entrato a far parte di noi! Non si può pensare di vivere senza
telefono, senza energia elettrica, senza i mezzi di trasporto, e non si può pensare di rinunciare ad un
mezzo come la Rete, che ogni giorno facilita la vita a milioni di persone. Quindi, è stupido da parte
nostra provare a demonizzarla. Piuttosto, ci si sforza di capire i meccanismi, le potenzialità, i
pericoli del mezzo, dimenticando forse, che chi ne resta vittima sono persone che vivono un forte
senso di disagio e disperazione, e la nostra attenzione dovrebbe focalizzarsi principalmente su di
loro. Dovrebbe essere interesse comune di chi esercita questo mestiere interessarsi alle nuove
manifestazioni psicopatologiche, mentre, in genere, questi fenomeni suscitano l’ilarità
dell’ignoranza. Gli individui di cui abbiamo parlato, sono persone che vivono nella convinzione di
essere degli alieni, esseri aberranti diversi ed indegni; e se mai trovano il coraggio di chiedere aiuto
ad uno specialista, hanno bisogno di qualcuno che li rassicuri, che li tranquillizzi e che gli spieghi
quali arcani misteri si celano dietro internet e la sessualità.
APPROCCI TERAPEUTICI ALLE DIPENDENZE ON LINE
L’uso patologico di internet è stato molto discusso negli ultimi anni e soprattutto sono stati
scritti numerosi articoli al riguardo. Vari i terapeuti che si sono interessati alle diagnosi con dipendenza
da Internet elaborando anche dei protocolli di cura specifici.
La popolazione del Nord America è stata quella che per prima ha vissuto l’inserimento di
Internet in ogni aspetto della loro vita, per cui i primi terapeuti che hanno effettuato delle ricerche in
questo ambito sono americani: la dott.ssa Young e il dott. Davis.
Lo scenario italiano è diverso, in quanto non esiste un protocollo di cura ufficiale e ben
strutturato; qui gli psicoterapeuti che hanno in carico pazienti con diagnosi di dipendenza da
Internet tendono ad applicare i principi del proprio orientamento.
Moreno Marcucci, Giuseppe Lavenia e il Centro Ricerche “Nostos”
Moreno Marcucci è psichiatra e docente di psicologia delle nuove dipendenze presso la
facoltà di Psicologia dell’Università di Urbino, e direttore del Centro Studi e Ricerche di Psichiatria,
Psicologia e Psicoterapia Nostos. Giuseppe Lavenia è psicologo clinico, docente di psicologia
clinica e psicologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Chieti , responsabile dell’area New
addictions del Centro Studi e Ricerche “Nostos”.
La metodologia d’intervento utilizzata da Marcucci e Lavenia per la dipendenza da internet parte da
una valutazione clinica tramite l’ausilio dell’Internet Trap Test 2 (I.T.T.2) , che permette di verificare il
grado d’intossicazione (coinvolgimento) raggiunto dai soggetti nei confronti della rete.
Riportiamo di seguito i profili corrispondenti:
1. Utenti regolari: mantengono il controllo della situazione pur connettendosi a lungo.
2. Utenti problematici: presentano i primi problemi dovuti all’uso della rete.
3. Utenti a rischio: stadio simile alla luna di miele per l’eroinomane, l’utente è entusiasta
delle infinite possibilità offerte da internet, si costruisce una nuova identità e un nuovo
mondo col quale sostituire quello reale che trova insoddisfacente e frustrante.
4. Utenti abusatori: i soggetti presentano caratteristiche simili agli utilizzatori abituali di
oppiacei, ovvero gravi problemi nelle relazioni affettive, nel lavoro, e disturbi psicofisici
(disturbi del sonno, della vista, della condotte alimentari ecc).
5. Utenti dipendenti: elemento caratterizzante è la presenza di una precedente patologia
psichiatrica, spesso della sfera sessuale o dell’umore. I soggetti possono sviluppare
allucinazioni visive, disturbi dissociativi, prosopoagnosia, ipertermie, tremori. L’abuso di
internet compromette gravemente la sfera sociale, affettiva, lavorativa del paziente, il quale,
nonostante ne sia consapevole, non riesce a fare a meno di connettersi per un numero
sempre maggiore di ore alla rete.
Da numerosi colloqui con pazienti affetti da disturbi correlati a internet è emerso come spesso i
soggetti presentino una personalità di tipo evitante e tendano a scaricare su internet malumori e
frustrazioni derivanti dalla vita quotidiana.
Marcucci e Lavenia ci tengono a precisare la differenza tra impulsività e compulsione, concetti che
spesso vengono erroneamente sovrapposti. Per impulsività si intende la tendenza ad agire in base
ad un impulso, quindi senza riflettere o considerarne le conseguenze. Mentre
l’azione impulsiva è gratificante (almeno inizialmente, prima che sopraggiungano i rimorsi per
l’incapacità di controllarsi) quella compulsiva viene riconosciuta dal soggetto come inutile e senza
senso e viene compiuta non per ottenere soddisfazione ma per evitare l’insorgere dell’angoscia.
Appare perciò abbastanza chiaro come nel caso dell’abuso della rete e delle sue applicazioni il
costrutto più idoneo sia quello di impulsività e non di compulsività.
Accanto all’uso dei test è fondamentale, per Marcucci e Lavenia, il colloquio clinico. Il colloquio
permette di ottenere informazioni dettagliate in merito alle caratteristiche socio-culturali, alla
personalità, alla presenza attuale o passata di patologie medico-psichiatriche nel soggetto. L’obbiettivo
degli incontri individuali è di rendere consapevole il soggetto dei meccanismi del suo funzionamento
mentale in relazione alle modalità del legame affettivo vissuto durante l’infanzia che attualmente
influisce nelle relazioni.
Il coinvolgimento della rete familiare assume una particolare rilevanza nelle
problematiche legate ad internet, se si considera che l’utilizzo della rete isola il soggetto in un
mondo personale nel quale la presenza dell’altro come “persona completa” è sempre più periferica.
In una patologia nella quale la presenza di una macchina (il computer) incide così fortemente,
depauperandola, nella vita di una persona, è necessaria una terapia che metta la persona stessa e le
relazioni col suo contesto al centro.
L’esperienza del self-help virtuale di Dipendenze.com (Portale a cura del C.S.eR.
“Nostos”)
Il centro studi e ricerche “Nostos”, stimolato da richieste dirette dai numerosi utenti del
Portale Dipendenze.com, con problematiche legate ad internet, ed in particolare da chat, e con la
disponibilità di questi soggetti , ha intrapreso un cammino con il primo gruppo virtuale all’inizio del
2001.
L’idea è quella di poter utilizzare questo strumento per parlare davvero di sé, poter
raccontare come si è veramente, con le proprie risorse e i propri limiti.
Sono stati valutati i rischi di questo progetto, che certamente non dà modo alle persone di
mettersi a nudo faccia a faccia nella stessa stanza, ma rimane in ogni caso una possibilità in più per
confrontarsi e per far sì che anche persone distanti fra loro possano comunicare.
Lo scopo finale del nostro gruppo di auto-aiuto virtuale è certamente quello di far
trovare gli stimoli per passare a sostegni reali e concreti.
Gli incontri, finora effettuati, si tengono una volta alla settimana per un’ora e mezza su
www.dipendenze.com, nel quale i soggetti di diverse provenienze, possono confrontarsi sulle
problematiche comuni che vivono.
Il gruppo d’auto aiuto virtuale è ancora in itinere.
ACCENNI DI CYBERPEDOFILIA
Nel paragrafo seguente cercherò di trattare alcune delle problematiche legate ad un uso
distorto e non previsto della rete; prima di affrontare questo tema è importante ricordare che “il
mondo Internet’’ è fatto da uomini, con i suoi angoli oscuri e i suoi quartieri degradati. Forse è
proprio da questo che bisogna partire per poter comprendere la crescente e nuova cyber criminalità.
Lo sviluppo di internet ha portato numerosi studiosi a rilevare la presenza di una nuova dimensione
organizzata della pedofilia, e non solo. Pur se quantitativamente meno significativa rispetto alle
forme "classiche", la rete riesce a mettere in connessione pedofili di tutto il mondo con minori
rischi di essere scoperti, vista l'enorme quantità di collegamenti che ospita e l'inadeguatezza delle
attuali tecniche di investigazione e controllo. Gli elementi fondamentali della cyberpedofilia,
rispetto alle sue forme classiche, sono relativi alla capacità della rete di far circolare in
maniera riservata le immagini e i messaggi di testo. Per quanto riguarda i fattori individuali
relativi alla cyberpedofilia, è facilmente ipotizzabile che alcuni individui abbiano avuto l'opportunità con
Internet di "sperimentare" la loro perversione, fino a quel
momento vissuta a livello intrapsichico.
La rete consente ad esempio al pedofilo una maggior facilità e riservatezza nella fruizione di
materiale pornografico, con il possibile incremento delle fantasie erotiche, l'ingresso in circuiti di
soggetti omogenei (altri pedofili) con il conseguente apprendimento o rinforzo di fantasie, tecniche
e opportunità. Inoltre il web consente con molta facilità (scaricando una banalissima chat,
inserendo nomi falsi e essendo certi che essi non verranno mai verificati) di adescare e molestare
minori in assoluta libertà.
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LEZIONE N° 2 PARTE 2 - CARATTERISTICHE TRADIZIONALI E RECENTI DEL BULLISMO E
POSSIBILI ATTIVITA’ PREVENTIVE
A cura di Beatrice Benelli, Docente Universita’ degli studi di Padova - Dipartimento di psicologia dello
sviluppo e della socializzazione
Violenza, aggressività, bullismo: quali relazioni?
Sempre più frequentemente vengono portati all’attenzione del pubblico, attraverso i massmedia, episodi di violenze e di comportamenti antisociali i cui protagonisti sono ragazzini e
adolescenti, (aggressioni verbali e fisiche, spesso ai danni di coetanei portatori di difficoltà di vario
genere, prevaricazioni sistematiche, furti e vandalismi nelle scuole o nelle adiacenze, stupri di
compagne di scuola, molestie sessuali alle coetanee ma anche alle insegnanti, delegittimazione delle
autorità, fino ad arrivare a veri e propri omicidi, spesso in forma rituale). I termini che si sentono
sempre più spesso ripetere, in questi casi, sono: violenza, aggressività, abusi, bullismo, prepotenze,
ecc. come se fossero sinonimi e, quindi, intercambiabili per descrivere questo o quell’episodio violento.
In realtà ciascuno di questi concetti si riferisce a fenomeni che, pur essendo spesso associati, sono
però di natura diversa e la loro più precisa definizione costituisce un prerequisito per qualunque
intervento operativo.
Come concetto generale si potrebbe dire che quello di violenza è il contenitore più ampio, che
si applica sia agli individui sia alle realtà sociali, relativamente alle quali descrive molteplici fenomeni
quali guerre, lotte fra gruppi (si pensi alle violenze attorno ai campi di calcio), genocidi, passati o
attuali, ecc.. Quello di aggressività ha più una connotazione soggettiva, di tratto disposizionale
degli individui (che può tradursi o meno in effettivi comportamenti distruttivi a seconda delle
circostanze), tratto che si accompagna ad un’altrettanto basilare predisposizione a mettere in atto
comportamenti prosociali, quali il consolare, l’aiutare, o coinvolgersi emotivamente di fronte alla
sofferenza e, in generale, alle emozioni altrui (empatia).
Nelle discipline psicologiche, comunque, tutti questi concetti sono di solito tradotti nei termini di
comportamenti aggressivi, violenti, ecc., che essendo osservabili possono essere ricondotti a fattori
ugualmente operazionalizzabili, quali una vera e propria psicopatologia, il temperamento individuale, il
clima familiare, i modelli educativi, le dinamiche di gruppo, l’ambiente socio-economico, il contesto
socio-relazionale, l’appartenenza etnica, ecc.. Le spiegazioni più recenti della aggressività e delle sue
manifestazioni adottano criteri di tipo probabilistico e multifattoriale. Il primo termine significa
che tra una predisposizione aggressiva di una persona e la sua traduzione in azione non c’è una
connessione necessaria e causale, ma una maggiore probabilità di esiti violenti, in certe
condizioni rispetto ad altre. L’esito evolutivo di un individuo (funzionale o disfunzionale, adattato o
disadattato, normale o patologico) sarà il prodotto della interazione fra le componenti psicologiche e
l’insieme delle esperienze educativo-sociali, affettive-relazionali e storico-culturali in cui
quell’individuo è inserito. In funzione di queste interazioni si realizzerà il complesso equilibrio fra le
componenti della personalità aggressive, distruttive e volte al dominio degli altri e quelle prosociali,
costruttive e finalizzate al benessere altrui.
Esistono diversi tipi di aggressività ?
Esistono diverse definizioni e tipologie di aggressività, con notevoli differenze tra di loro e diversi
significati. Vi è l’aggressività reattiva, agita “a caldo”, per così dire, in risposta a provocazioni o danni
subiti o percepiti, in cui domina l’aspetto della mancanza di controllo nella risposta, della intensità
eccessiva della risposta violenta, della sproporzione fra la causa e la conseguenza. Vi è l’aggressività
proattiva, di tipo “freddo”, cioè programmatica e intenzionale, volta non a difendere se stessi - sia
pure in modo non adeguato - ma a recare vantaggi strumentali a se stessi e sofferenza e danno agli
altri. Vi è anche una forma ritualizzata, ovvero incanalata in azioni ed espressioni codificate e
controllate da regole (come nelle competizioni sportive, nei giochi di squadra o individuali, ecc.).
Questo conferma che, di per sé l’aggressività, come tendenza alla affermazione di se stessi, non è
negativa, in quanto “dà l’energia” per realizzare le aspirazioni, difendere i diritti, mantenere le
acquisizioni; ciò che è negativo sono le forme incontrollate, la preponderanza di queste motivazioni a
scapito di altre, la assunzione di principi di vita improntati alla sopraffazione altrui.
In sintesi, non tutte le manifestazioni di aggressività sono forme di bullismo, ma tutte
le forme di bullismo sono esempi di comportamenti aggressivi. La distinzione concettuale è
importante, perchè richiede tipi di intervento diversi, tutti comunque accomunati da una riflessione
critica sulla violenza, sulle sue origini e sulle modalità per contrastarla.
Cosa è esattamente il “ bullismo”?
Con il termine di bullismo (bullying) si indica il fenomeno delle prepotenze, delle prevaricazioni e
delle violenze agite, a scuola o in altri contesti di socializzazione, individualmente o in gruppo, da
parte di alcuni ragazzi ( i “bulli” o “persecutori”) nei confronti di altri ragazzi (le “vittime”). E’ una
forma di aggressività proattiva, cioè non in risposta ad attacchi, che si manifesta in molti modi: in
forma diretta, con aggressioni fisiche (calci, spinte, percosse, ecc,) o verbali, (insulti, minacce,
offese di tipo razzistico e sessistico) o come danni alle cose della vittima, o loro sottrazione (furti,
estorsioni, ecc). Esiste anche una forma di aggressività indiretta, che agisce sul sistema delle
relazioni interpersonali significative, attraverso un sistematico isolamento sociale, maldicenze,
dicerie, ecc. nei confronti di una specifica persona, che si trova esclusa dalle normali relazioni socioaffettive e segnalata in modo negativo.
Il bullismo in senso proprio è caratterizzato da: intenzionalità, cioè la non casualità delle
azioni aggressive, ma la esplicita volontà di creare disagio all’altro; ripetizione sistematica nel
tempo delle prevaricazioni, quindi non solo episodi occasionali; disequilibrio di potere, ovvero nell’
età, nella forza fisica e nelle abilità psicologiche, maggiori nel bullo che nella vittima; segretezza, nel
senso che le prevaricazione sono agite lontano dal controllo degli adulti, e non ci si rivolge a
insegnanti o genitori, per avere aiuto, sostegno e consigli, (anche se questa caratteristica sembra
sempre meno presente data la crescente spettacolarizzazione degli episodi di violenza).
Gli studi in materia dicono che il fenomeno coinvolge più i maschi che le femmine, anche se
queste ultime sembrano sempre più presenti in questo fenomeno con manifestazioni “maschili”. Le
modalità dirette fisiche e verbali sono solitamente maschili, quelle indirette sono più tipicamente
femminili. Gli episodi di bullismo diminuiscono al crescere dell’età, cioè l’esperienza di vittimizzazione
è massima a livello della scuola dell’obbligo e cala alle superiori; tuttavia, anche se con l’età
diminuisce quantitativamente, sembra assumere forme qualitativamente più gravi (nonnismo, violenze
esterne alla scuola, agite in gruppo, violenze e molestie sessuali, violenze su persone indifese, ecc).
Quali sono le caratteristiche psicologiche dei bulli e delle vittime?
I Bulli sono per lo più ragazzi forti fisicamente e psicologicamente, con una alta autostima,
capacità sociali di tipo manipolativo, credenze valoriali improntate ad aggressività, impulsività e scarsa
capacità empatica. Esistono diverse tipologie di bulli: il bullo dominante, cioè il leader, manipolatore
e decisionista; il bullo gregario, che fa da spalla al leader; il bullo-vittima, che, in particolare,
presenta difficoltà attentive, iper-reattività ed emotività, e quindi disturba, non controlla le proprie
reazioni e provoca danni agli altri. Per quanto riguarda le Vittime, queste sono per lo più ragazzi
sensibili, timidi e insicuri, con scarsa autostima (vittima passiva) ma a volte anche inquieti, iperreattivi e quindi irritanti, con il risultato che le figura della vittima provocatrice arriva ad
identificarsi con quella del bullo-vittima).
Quanto è diffuso il fenomeno?
In Italia (nella Scuola dell’Obbligo) è stata riscontrata un’incidenza del bullismo circa doppia
rispetto ai dati disponibili a livello europeo ed extraeuropeo. In Italia il fenomeno coinvolgerebbe tra il
30% e il 40% dei ragazzi contro il 15% - 20% degli altri paesi. Il bullismo tende a manifestarsi molto
precocemente, già a livello della scuola elementare; è stato molto indagato nel secondo ciclo della
scuola elementare, ma episodi di sopraffazione sono stati segnalati anche nel primo ciclo o addirittura
nella Scuola per l’infanzia. E’ evidente che più i bambini sono piccoli meno si può parlare di bullismo in
senso proprio, data la non chiara consapevolezza delle proprie azione tipica della infanzia; tuttavia è
evidente che, se questi comportamenti aggressivi o socialmente non adeguati non vengono contenuti
e modificati, potrà instaurarsi – nei singoli bambini e nei gruppi di pari - una costante modalità di agire
improntata alla mancanza di rispetto, fino a vere e proprie prevaricazioni e violenze.
Le conseguenze possono essere anche di lunga durata. Da diverse indagini, risulta che bulli e
vittime restano spesso imprigionati nel tempo nei loro ruoli, gli uni predisposti a diventare adulti
asociali o antisociali, gli altri predisposti all’abbandono scolastico, alla depressione e, in casi estremi, al
suicidio. In particolare i ragazzi che abitualmente sono prepotenti verso i loro compagni di scuola
possono diventare, in seguito, protagonisti di episodi di conclamata devianza, o, addirittura,
criminalità.
Quali sono le ragioni del comportamento prepotente?
Ci sono diversi aspetti personali e sociali legati al fenomeno del bullismo.
Aspetti socio-cognitivi: contrariamente a quanto inizialmente ipotizzato da alcuni autori, i bulli non
sembrano mostrare particolari carenze nella capacità di elaborare correttamente le informazioni
sociali, cioè sanno valutare bene le situazioni e le conseguenze, ma le usano in modo strumentale e a
proprio vantaggio. Inoltre, le forme più complesse di prepotenza, quali quelle relazionali in cui
vengono manipolate le relazioni sociali all’interno del gruppo, risultano positivamente correlate con
l’intelligenza sociale dei bulli, cioè con la capacità di valutare il “senso” delle situazioni
interpersonali per le persone, e dei comportamenti sociali.
Aspetti emotivo-affettivi: sia i bulli che le vittime hanno delle difficoltà nella interpretazione dei
segnali emotivi, facciali degli altri. In particolare, vi sarebbe una carenza da parte dei bulli nella
capacità di riconoscere le espressioni delle emozioni (in particolare quelle positive, come la gioia), di
assumere il punto di vista emotivo degli altri ed esperire in modo vicario le loro emozioni, cioè in
quella fondamentale competenza socio-relazionale che è l’empatia. Nelle vittime si è notata una
difficoltà a riconoscere le espressioni facciali della rabbia, ed in generale una difficoltà ad esprimere il
propio disagio e le proprie esigenze.
Aspetti morali: ci si riferisce alla tendenza da parte dei bulli ad attivare meccanismi di disimpegno
morale, cioè a negare la gravità degli atti violenti per ridurre il senso di disagio o di colpa
conseguenti. Chi agisce in maniera negativa non riconosce la gravità né del comportamento agito né
delle conseguenze di tale comportamento, piuttosto le minimizza, non accetta la responsabilità
personale per i propri atti o, addirittura, attribuisce la colpa per quello che succede alla vittima stessa.
Aspetti di gruppo: il bullismo è un fenomeno che non riguarda solo la diade bullo-vittima, ma
coinvolge tutto il gruppo dei coetanei, i quali possono assumere diversi ruoli durante gli episodi di
prepotenza: l’aiutante del bullo, o il bullo gregario; i sostenitori del bullo, che lo approvano, lo
sostengono e lo incitano; il difensore della vittima, che lo sottrae alle prepotenze, lo consola e lo
protegge, e i cosiddetti esterni, cioè che non sono coinvolti nel fenomeno. Questa è una figura
particolare su cui bisogna riflettere; infatti, da un lato questi ragazzi non possono essere
colpevolizzati, ma dall’altro contribuiscono con la loro “estraneità” al mantenimento di situazioni
anomale. Recenti ricerche hanno mostrato che questi ragazzi, pur avendo un buon grado di empatia
che li porta a non approvare le prepotenze, hanno uno scarso senso di auto-efficacia, cioè la
convinzione di non essere in grado di modificare le cose, di non poter intervenire adeguatamente.
Aspetti educativi. Secondo Hoffman esistono modelli educativi diversi, che (combinandosi con
caratteristiche individuali e personali come il temperamento, più o meno reattivo, più o meno
stabile, più o meno aperto verso gli altri, ecc.) possono dare luogo a esiti evolutivi più o meno
caratterizzati da dimensioni aggressive. Le principali tipologie di questi modelli educativi sono: una
disciplina “orientata sull’amore”, che fa leva sulla paura del bambino di perdere l’approvazione e
l’affetto dei genitori, ma che non punta sulla sicurezza di sé e serenità; una disciplina “imposta dal
potere”, che fa leva sull’autorità e il rigore, ma non favorisce autonomia e accettazione; una
disciplina “induttiva”, che favorisca cioè la capacità di ragionare soprattutto sulle conseguenze – a
breve e a lungo termine, materiali o psicologiche - delle proprie azioni, sia per sé sia soprattutto per
gli altri. Di tutti questi modelli educativi, quello induttivo è quello che si rivela più fortemente
associato ad un alto grado di consapevolezza morale e funge da protettore; ciò, sia nel senso che
induce una “etica” di rispetto e dialogo – l’opposto di una logica aggressiva – sia nel senso che
fornisce strumenti di sicurezza di sé e autostima, ovvero l’opposto di una possible tendenza ad essere
vittimizzati.
Perchè gli episodi di bullismo sono difficili da individuare?
Ci sono molte ragioni per cui il bullismo e la violenza sono fenomeni difficili da eliminare o
contenere. Tra i meccanismi di gruppo che possono contribuire a sostenere o, viceversa, a ridurre i
comportamenti di prepotenza sono particolarmente rilevanti quelli relativi alla costruzione
dell’identità sociale dei ragazzi all’interno del gruppo dei coetanei, e il senso di appartenenza, in
base alle norme e agli atteggiamenti condivisi dal gruppo stesso.
Come meccanismo negativo, il senso di appartenenza al gruppo induce comportamenti di
“omertà”, di silenzio-assenso delle azioni di prepotenza, di contrapposizione al mondo degli adulti,
ecc. Come meccanismo positivo si è visto che, in coloro che possiedono alti livelli di responsività
empatica, si traduce frequentemente comportamenti prosociali e azioni in difesa della vittima,
rappresentando in tal modo una risorsa fondamentale per il gruppo-classe e un fattore di protezione
per il benessere della vittima e di tutti i compagni. Gli interventi devono far aumentare i
comportamenti solidali nei contronti dei più deboli, coinvolgendo il maggior numero possible di ragazzi
e innalzando il livello di consapevolezza del problema.
Cosa si può fare per prevenire il bullismo e le violenze nelle scuole ?
Esistono diversi tipi di programmi di prevenzione del bullismo e delle violenze a scuola, che
agiscono complessivamente in un’ottica sistemica, ovvero che tenta di coinvolgere tutte le
componenti della scuola e di attivare le risorse disponibili. Gli obiettivi principali sono quelli di: a)
formare e sostenere i docenti, fornendo loro le conoscenze necessarie sul fenomeno e le strategie
più efficaci di gestione della classe e delle situazioni problematiche; b) sviluppare negli alunni la
consapevolezza e la sensibilità circa il fenomeno, aiutarli nell’acquisizione delle competenze socioemotive più importanti (empatia, cognizione morale, problem-solving), favorire l’aiuto reciproco tra
pari all’interno del gruppo tramite specifici progetti di “supporto tra pari”; c) aiutare e sostenere le
vittime in difficoltà; d) coinvolgere le famiglie non solo di bulli e vittime ma di tutti gli alunni
coinvolti, tramite incontri e percorsi di formazione e riflessione ad esse specificamente dedicati; e)
collaborare con le altre istituzioni (Enti Locali, agenzie educative esterne alla scuola, ecc)
mediante la creazione di reti territoriali.
Quali sono i principali tipi di intervento antibullismo ?
Lo scopo comune a tutti gli interventi – che non sono in alternativa ma in sinergia - è quello di
migliorare le relazioni tra compagni nella classe, modificando l’atteggiamente nei confronti delle
prepotenze, (ad esempio facendo aumentare le loro segnalazioni, riducendo la tolleranza nei loro
confronti). Le tipologie fondamentali prevedono: 1) Interventi Individuali, che puntano sulla
modifica degli atteggiamenti del singolo. Con i Bulli : a) ferma condanna dei comportamenti di
prepotenza; b) colloqui individuali, di ascolto e discussione. Con le Vittime: a) ascolto empatico; b)
training di assertività e abilità sociali, per renderle più sicure di sé e capaci nei rapporti con gli altri; c)
attività per migliorare l’autostima, come ad esempio attribuire loro dei ruoli (in classe o nel gruppo)
che le valorizzino. 2) Interventi Collettivi, in classe, ovvero interventi di tipo didattico, attraverso le
normali attività curricolari, cioè che “sfruttano” gli argomenti e i metodi usuali nell’insegnamento
delle discipline (discussioni sul tema della violenza partendo dalla letteratura, dalla storia, ecc.; visione
di filmati, attività teatrali, ecc) D) Interventi collettivi, extracurricolari, che necessitano del
coinvolgimento della intera scuola, attraverso la preparazione di contesti fisico-psicologici specifici e
messa in atto di processi formativi più articolati, che richiedono figure professionali diverse (architetto,
psicologo, psicopedagogista, ecc), accanto agli insegnanti. Una strategia, ad esempio, è la
riorganizzazione degli ambienti fisici (eliminazione di zone, appartate o congestionate, più a
rischio di diventare sedi di atti aggressivi). Un ‘altra è la messa in atto di Pratiche cooperative che
coinvolgano più classi, nella realizzazione di qualche progetto, e che creino un “senso di comunità” (ad
esempio un progetto proprio per la riduzione del bullismo; partecipazione della classe ad un concorso
nazionale per ragazzi, ecc.). Ancora, vi è la realizzazione di “Modelli di supporto fra pari”, basati
sulla spontanea capacità e tendenza dei ragazzi a creare reti di amicizia, aiuto, solidarietà reciproca,
creando – con opportuni processi di formazione da svolgersi in momenti e contesti appositi – la figura
dell’ “Operatore amico”. Questi sono ragazzi e ragazze, di particolare sensibilità e capacità di ascolto e
mediazione, che si fanno carico di “sovraintendere” alle dinamiche della classe, aiutare i compagni in
difficoltà, segnalare problemi, ecc.
Su cosa si può agire per contrastarlo e migliorare le relazioni nella scuola?
Altre formule interessanti si possono chiamare “Percorso sulle emozioni” e
“Contrattazione e condivisione di regole”, che si possono realizzare in vari modi nella classe o
nella intera scuola. La prima ha lo scopo sia di aumentare la consapevolezza delle emozioni proprie ed
altrui, delle motivazioni alla base di comportamenti aggressivi o eccessivamente passivi, delle possibili
conseguenze delle azioni, ecc., sia di aumentare la capacità di esprimerle e verbalizzarle. Le modalità
consistono nell’ invitare a riferire i propri vissuti di fronte a certi episodi; invitare alla autodescrizione,
e attribuzione di caratteristiche psicologiche con esempi paradigmatici; abituare ad ipotizzare
situazioni che determinano certe reazioni emotive, ecc. La seconda punta al coinvolgimento e alla
responsabilizzazione individuale e alla uscita dalla logica della denuncia - secondo cui tali azioni
vengono viste dai ragazzi come “delazione” agli adulti e tradimento dell’ “etica del gruppo dei pari” per passare ad una logica della condivisione, attraverso una riflessione sulla necessità delle regole,
sulla natura consensuale ma vincolante del loro rispetto, sulla necessità di un controllo reciproco. Le
modalità con cui ciò può essere realizzato comportano una definizione iniziale di alcune regole
comportamentali, e la periodica verifica e discussione sul loro rispetto; un confronto fra contesti in cui
possono vigere regole diverse (es. famiglia e scuola) ma l’adesione al principio che ciascun contesto
debba essere governato da regole.
E’ cambiato il bullismo con l’evoluzione tecnologica ?
Recentemente si è sviluppata una forma di persecuzione e di violenza che si avvale di nuovi
mezzi di comunicazione, quali la rete telematica e altri stumenti ad essa collegabili. Questa nuova
forma di molestia verbale viene chiamata e-bullying o cyberbullying, e consiste nell’uso di internet o
del telefono cellulare per inviare messaggi minacciosi alla vittima (e-bullying diretto) o per diffondere
messaggi dannosi, calunnie o immagini (e-bullying indiretto). Anche se in Italia solo di recente si è
iniziato a parlare di questo fenomeno, la stampa anglosassone da diversi anni riporta racconti di
studenti, soprattutto preadolescenti ed adolescenti, che subiscono vessazioni attraverso l’uso di
queste nuove tecnologie. Questi racconti descrivono episodi di intere pagine web “dedicate” a studenti
impopolari, di anonime e-mail piene di minacce ed offese o di indesiderate avance mediante i
programmi di instant messaging.
Ancora molto poco si conosce circa la reale entità del problema anche se, da un’indagine
condotta nel Regno Unito dalla National Children’s Home nel 2002, è emerso che un bambino su
quattro è vittima di bullismo mediante telefono cellulare o internet, che il 16% dei ragazzi riceve
messaggi di minaccia, il 7% viene molestato nelle chatroom e il 4% tramite e-mail. La diffusione di
questa particolare forma di bullismo può essere spiegata dal fatto che essa garantisce spesso
l’assoluto anonimato al bullo, consentendogli di essere ancora più ingiurioso ed offensivo, con una
minore probabilità di essere scoperto e punito, rispetto alle forme più tradizionali di bullismo. Proprio
l’anonimato che protegge il bullo rende questa forma di violenza ancora peggiore di
quella tradizionale in quanto, non essendo possibile sapere né l’identità né il numero di persone
che stanno dietro questi messaggi, la paura, e l’ansia nell’affrontare le interazioni con i coetanei,
provocate nella vittima sono ancora maggiori e il danno alla sua immagine ancora più esteso. Inoltre,
l’uso di internet come strumento di attacco rende alcuni ragazzi ancora più sicuri nel dire cose che
normalmente non direbbero in una interazione faccia a faccia con un compagno. Addirittura, sembra
essere diventato un mezzo privilegiato di aggressione, sia diretta che indiretta, tra le ragazze le quali
usano questi mezzi tecnologici per minacciare le loro coetanee e distruggere la loro autostima. In
ultimo, la possibilità di diffondere la documentazione delle prepotenze sul web o tramite cellulare
consente al bullo – e ai suoi accoliti - di allargare all’infinito il pubblico di spettatori, di cui hanno
estremamente bisogno.
Per le stesse ragioni per cui sono così diffuse e dannose, queste forme di prevaricazione e
aggressività sono difficili da combattere. L’azione dovrebbe consistere in una riflessione generale sulle
varie manifestazioni della violenza, da condurre con bambini e adolescenti, secondo i criteri sopra
esposti, aggiungendo a questo una consapevolizzazione sulla natura di questi mezzi di comunicazione,
un apprendimento del loro uso non solo “tecnologico” ma anche culturale ed emotivo, il che significa
che tale uso non deve diventare un valore in se stesso o un mezzo per realizzare in maniera vicaria
bisogni e competenze. Come già detto sopra, gli aspetti negativi sono quelli legati alla possibilità di
agire senza che vi siano delle ricadute reali e concrete, con una conseguente assunzione di
responsabilità: in sostanza, un anonimato etico e legale. Accanto a ciò, paradossalmente vi è un
protagonismo, vuoi nell’essere regista vuoi nell’essere attore degli episodi diffusi in rete, che permette
di soddisfare in maniera vicaria bisogni e competenze che nella vita reale o non sono socialmente
accettabili o richiedono maggiori talenti e impegni. L’immediatezza con cui si possono “raccontare” le
cose, semplicemente riproducendole visivamente con un mezzo immediato, rende queste forme
espressive molto più facili ed appetibili che non, ad esempio, una rielaborazione mentale e una
narrazione linguistica. Quest’ultima richiede conoscenze, sforzo, organizzazione e, grazie al fatto che
un racconto non è una semplice copia della realtà ma una rappresentazione cognitiva, induce una
“presa di distanza” dall’evento, che può favorire una sua più complessa e autentica valutazione. Ecco
perchè “il parlare di ciò che accade”, in classe con gli insegnanti, con gli adulti significativi, con gli
stessi compagni, aiuta l’elaborazione cognitiva ed emotiva e favorisce un allargamento della
prospettiva mentale con cui i fatti vengono considerati (vedi il Percorso delle Emozioni). Gli aspetti
“positivi” della diffusione in rete di episodi di bullismo, o altre forme di violenza, consistono nel fatto
che rendono il fenomeno più visibile, aumentano il numero di coloro che ne vengono a conoscenza, e
possono diventare oggetto di osservazione congiunta tra adulti e ragazzi, spunto di riflessione critica e
di discussione collettiva in classe su eventi che non sono più “segreti” ma osservabili, analizzabili e
giudicabili.
Per saperne di più
Fonzi, A. (a cura di) (1997). Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte
alla Sicilia. Ricerche e prospettive d'intervento. Firenze: Giunti.
Fonzi, A. (a cura di) (1999). Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo.
Firenze: Giunti.
Gini, G. (2005). Il bullismo. Le regole della prepotenza tra caratteristiche individuali e potere nel
gruppo. Edizioni Carlo Amore, Roma.
Gini, G., Albiero, P., e Benelli, B. (2005). Relazione tra bullismo, empatia ed autoefficacia percepita in
un campione di adolescenti. Psicologia Clinica dello Sviluppo, 9, 461-476.
Lazzarin,M.G. e Zambianchi, E. (a cura di) (2004) Pratiche didattiche per prevenire il bullismo a
scuola. Milano: Franco Angeli.
Menesini, E. (2000) Bullismo: Che fare? Firenze: Giunti.
Olweus, D. (1996). Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi e ragazzi che opprimono. Firenze: Giunti.
Schaffer, R. (1998). Lo sviluppo sociale. Milano: Raffaello Cortina.
LEZIONE N° 2 PARTE 3 - INTERNET E COMPUTER CRIMES
A cura di Giuseppe Giliberti, Commissario Capo Polizia di stato – Compartimento Polizia Postale e
delle Comunicazioni del Veneto
La diffusione del computer negli ultimi dieci anni e la tumultuosa crescita di Internet sono il dato di
riferimento per tentare di apprezzare appieno la rilevanza assunta nella moderna società dai
comportamenti illeciti posti in essere utilizzando lo strumento informatico. Con il computer possono
essere commessi pressoché tutti i tipi di reato, compresi quelli di tipo tradizionale. Questo particolare
settore di attività è diventato per la Polizia delle Comunicazioni di rilevanza strategica.
Nelle investigazioni informatiche, la scena del crimine in cui cercare quella “traccia” lasciata dal
responsabile del reato è spesso costituita dal computer o da reti di computer e dall’ambiente virtuale
in cui essi vengono utilizzati. Per tale ragione la ricerca, la raccolta e l’assicurazione delle “prove
informatiche” di reato deve essere affidata ad operatori di particolare abilità e competenza. Le
condotte sospette, per la loro stessa natura digitale, potrebbero facilmente essere alterate, fin
dall’origine o in un momento successivo alla loro formazione, da esperti informatici. Le indagini contro
la diffusione del materiale pedopornografico sulla rete hanno ottenuto risultati operativi di altissimo
livello con l’arresto e la denuncia di oltre 3.000 soggetti responsabili di questi odiosi crimini.
Internet, talora chiamato semplicemente “ the net”, è nato nel bel mezzo della guerra fredda durante
gli anni sessanta. All’epoca, le reti di comunicazione erano connesse “punto a punto” e ciascun punto
nella rete di comunicazione dipendeva da quello precedente: se uno di essi fosse stato distrutto,
l’intera rete di comunicazione sarebbe divenuta inutilizzabile. Il governo degli Stati Uniti, seriamente
preoccupato della possibilità di sviluppi negativi nella contrapposizione fra blocchi, affidò alla società
Rand Corporation l’incarico di studiare un sistema di comunicazione che garantisse alle Autorità
nazionali di riuscire a comunicare tra loro nell’ipotesi di un conflitto nucleare.
Un membro del gruppo di ricercatori, Paul BARAN, suggerì l’idea di usare un sistema di
comunicazione, nel quale i diversi anelli della catena fossero indipendenti uno dall’altro. Egli pensava
ad un modello disegnato come la trama di una rete da pesca, in cui l’informazione potesse trovare la
propria strada attraverso la rete di comunicazione anche se una parte di essa fosse andata distrutta.
L’idea dello studioso venne accantonata dal Pentagono, ma il suo modello che si rifaceva all’idea della
rete da pesca, influenzò lo schema usato nel 1969 dall’Agenzia governativa ARPA ( Advanced
Research Projects Agency ) per creare il precursore di Internet, conosciuto con il nome ARPAnet.
ARPANet raggiunse lo scopo di creare un piccolo, decentrato sistema di comunicazioni che consentiva
di connettere fra loro i computer di quattro differenti campus universitari americani. Un computer di
ricerca situato in uno dei campus riusciva a “parlare” ad altri computer nelle altre università. Nel
sistema ARPANet i messaggi potevano essere instradati o reinstradati in più di una direzione,e quindi
il network poteva continuare a funzionare anche se parzialmente distrutto durante un attacco militare
o un’altra catastrofe. A questo livello iniziale, Internet era un modo con cui trasmettere solamente
testo e non foto, suoni, audio o video. Poiché venivano usati solo lettere e numeri, il solo modo per
avere informazioni da un altro computer connesso alla Rete era quello di digitare complicate sequenze
di comandi sulla tastiera, rendendolo difficile per i principianti. Non appena il mondo degli affari e le
università interessati nella ricerca militare entrarono in contatto con questo sistema di comunicazione,
esso crebbe esponenzialmente fino a ciò che ora conosciamo come INTERNET.
Oggi INTERNET è la rete delle reti: un insieme di reti a livello mondiale che sono in grado di
comunicare tra di loro, cooperando ed auto sostenendosi. Un insieme di sistemi di computer
commerciali, governativi, educativi che instradano dati e massaggi ad alta velocità per consentire loro
di giungere a destinazione. Non c’è un proprietario di INTERNET e non c’è una singola agenzia
normativa responsabile per esso, anche se ad alcune organizzazioni è riconosciuto il compito di
assicurare il corretto funzionamento della struttura. La “rete delle reti” è accessibile a centinaia di
milioni di persone in tutto il pianeta e consente a ciascun utilizzatore di computer collegato di avere
informazioni da ogni altro computer. Oggi lo utilizzano imprese commerciali e industrie, enti per
l’educazione quali università, scuole dell’obbligo, biblioteche, servizi per la ricerca e anche gente
comune.
Una volta connesso a Internet, l’utilizzatore ha accesso a informazioni, programmi e servizi da ogni
parte del globo. Un computer può essere connesso a Internet anche attraverso un cellulare. Anche
senza una linea telefonica fisica o l’ausilio di una rete di telefonia mobile, è comunque possibile la
connessione ad Internet. Un telefono satellitare può spedire e ricevere segnali a e da satellite.
Per l’investigatore sarà importante considerare che dal lato della rete Internet, le tracce verso ciascun
utente di quella rete ci portano ad un solo indirizzo IP: quello del gateway verso Internet della rete
LAN. Quando si deve spedire una lettera a qualcuno, la si mette in una busta, ci si scrive sopra il
nome del destinatario e spesso del mittente e la si imbuca. Dopo un po’, un incaricato ritira la lettera
e la porta a un centro di raccolta e, a seconda dell’indirizzo messo sulla busta, la lettera viene spedita
ad un centro di distribuzione vicino al luogo di residenza del destinatario. Lì la lettera è affidata al
postino che passa per l’indirizzo indicato nella busta durante il giro giornaliero del quartiere. Prima di
inserire la lettera nella cassetta di destinazione il postino controlla per l’ultima volta se l’indirizzo è
corretto – la combinazione di paese, città, codice di avviamento, nome della strada, numero di casa e
nome del destinatario, garantiscono la consegna della lettera alla giusta persona. Nel mondo digitale
delle reti telematiche il meccanismo con cui vengono indirizzati i pacchetti di informazioni è più o
meno lo stesso.
I “computer crimes” sono una categoria concettuale dai contorni piuttosto vaghi essendo frutto di
una metodologia di approccio al fenomeno di tipo casistico. Nella categoria vengono infatti accomunati
tanti fatti illeciti che comunque interferiscono con l’informatica.
Coloro che pongono in essere questi comportamenti illeciti che possono essere riuniti sotto la formula
unitaria di “crimini informatici”, sono in genere conosciuti con il termine anglosassone di Hackers. In
realtà con il termine hacker si indicano i pirati informatici “buoni”, coloro che sono appassionati dello
strumento informatico, talora programmatori che conoscono approfonditamente un sistema operativo
( spesso perché si trovano ad utilizzarlo per ragioni di lavoro) e che, attraverso la violazione di sistemi
informatici protetti, vogliono dimostrare le proprie capacità, magari, come è successo in qualche caso,
per farsi assumere dalla stessa impresa titolare del sistema violato. Dagli “hacker “ che sono mossi da
curiosità e da brama di dimostrare le proprie capacità, si differenziano i “cracker “ o “Kracker”
pirati informatici “cattivi “ che si propongono di violare sistemi informatici per ragioni poco nobili, cioè
per il gusto di creare danni o per carpire dati sensibili in essi contenuti ed utilizzarli a fini illeciti o
addirittura per ottenere il controllo del sistema informatico violato, utilizzandolo per il compimento di
ulteriori attacchi ad altri sistemi telematici. Categoria particolare di “hacker” è costituita dai “phreaker”
termine che, sino dagli anni settanta, sta ad indicare coloro che violando i codici di accesso alle
compagnie telefoniche, riescono a telefonare gratuitamente.
Ci sono un discreto numero di reati informatici che vengono commessi, ma che non vengono
denunciati. Importante è anche riuscire a determinare con esattezza il ruolo svolto dal computer nella
commissione di un reato. Infatti il computer talvolta può essere lo strumento con cui il reato viene
commesso come ad esempio nei casi in cui esso sia utilizzato per un accesso abusivo all’altrui sistema
informatico ovvero per la trasmissione per via telematica di materiale illecito; talvolta può essere
l’oggetto dell’attività delittuosa, il bersaglio finale dei criminali, come nel caso del computer violato o
del quale è stato danneggiato il software o semplicemente i dati in esso custoditi; talvolta infine può
rappresentare il luogo in cui possono essere reperite cose o tracce pertinenti al reato o lo stesso corpo
del reato. Tutto questo ovviamente costituisce una nuova frontiera per la criminalità e in concreto una
sfida per l’investigatore, specie in considerazione dei tempi obiettivamente assai ristretti ( anche pochi
secondi ) che servono per commettere il reato e dell’assenza delle normali costrizioni geografiche,
potendo l’attività illecita svilupparsi da un capo all’altro del mondo. È importante da un lato individuare
tutte le potenziali fonti di informazione, dall’altro il personale tecnicamente preparato, esperto di
informatica che possa essere di aiuto nell’investigazione.
WORLD WIDE WEB. Il servizio più largamente conosciuto e usato in INTERNET è il World Wide
Web. Il WWW fonde le potenzialità di INTERNET di condividere informazioni utilizzando il sistema
dell’ipertesto. Costituisce un sistema globale di informazioni facile da usare, ma allo stesso tempo
potente, accessibile con un interfaccia “point and click” basato sul mouse.
Lo sviluppo del WWW ha cambiato in modo radicale il carattere e la vocazione di INTERNET. Agli inizi
INTERNET era infatti uno strumento usato pressoché esclusivamente da professionisti, educatori,
studenti e fanatici del computer. La facilità di usare il WWW ha invece aperto INTERNET a milioni di
altre persone in tutto il mondo, divenendo la realtà in cui promuovere affari, esprimere opinioni,
riferire eventi locali o mondiali e soprattutto comunicare l’un l’altro.
Con l’innovazione del WWW, le foto, il suono, il video e l’animazione vengono integrati con il testo in
singoli documenti, definiti per l’appunto ipertestuali, che possono essere trasmessi globalmente nella
rete.
Questi documenti sono definiti tecnicamente documenti HTML o Pagine Web.
Una raccolta di pagine Web forma il sito Web (Web Site). Per visualizzare questo concetto, i manuali
suggeriscono di immaginare il WEB come una enorme biblioteca virtuale localizzata in INTERNET. I
Siti Web sono i libri della biblioteca e le pagine web sono le singole pagine. Le Home Page sono le
copertine di questi libri virtuali.
Il WEB rende disponibili milioni di pagine contenenti informazioni. La navigazione è fatta utilizzando
un WEB browser ( navigatore ).
Nel caso in cui l’interesse investigativo si orienti verso un particolare sito WEB, per visionarne il
contenuto basterà utilizzare un normale browser di navigazione.
Tale necessità si presenta frequentemente nella pratica nelle investigazioni di contrasto alla turpe
realtà del commercio e della diffusione per via telematica della pornografia minorile, laddove, a
seguito delle segnalazioni di siti WEB al cui interno vi siano foto o video che riproducono bambini o
minori degli anni diciotto coinvolti in attività sessuali tra loro o con adulti, si ponga anzitutto la
necessità di verificarne la fondatezza.
Problemi di ordine pratico si potrebbero avere nel caso in cui tali siti siano visionabili a pagamento,
soprattutto quando l’unico modo per accedervi è quello del previo pagamento a mezzo di carta di
credito. Superati tali problemi, sarà opportuno ricordare che esistono delle applicazioni che
consentono di scaricare sul proprio hard disk o su altro supporto, l’intero sito web presente in un certo
indirizzo. L’utilizzo di una di queste applicazioni consente all’investigatore di visionare il contenuto del
sito in un momento successivo, rimanendo sconnesso.
POSTA ELETTRONICA. Il servizio di posta elettronica (e-mail) è con ogni probabilità l’ applicazione
più utilizzata in Internet. Per molti utenti Internet, la posta elettronica ha di fatto rimpiazzato il
sistema postale per l’invio di brevi documenti. Una volta la posta elettronica era limitata alla sola
spedizione di messaggi di testo, mentre ora può essere utilizzata per condividere programmi,
immagini, suoni, video clips con altre persone all’altro capo dell’oceano nel volgere di pochi minuti.
L’identità di una persona in Internet è determinata in primo luogo dal suo indirizzo di posta
elettronica. Questo indirizzo è immediatamente visto da altri utenti quando si spedisce un messaggio.
Ma Internet offre anche possibilità di celare tale indirizzo e di intrattenere comunicazioni anonime.
Ogni giorno migliaia di persone trasmettono messaggi anonimi nella rete Internet. Alcuni vogliono
assicurarsi sicurezza e privacy, altri lo fanno semplicemente per fare scherzi o anche per commettere
reati. Un esempio può essere quello del portavoce ufficiale di una società che voglia comunicare alla
stampa qualcosa di confidenziale. La maniera più semplice per garantirsi di fatto l’anonimato è quella
di utilizzare uno dei servizi di posta elettronica gratuiti, disponibili in Rete quali Hotmail.com, Yahoo,
Freemark.com, Usa.net, Geocities.com etc. Iscriversi a tali servizi spesso non comporta la necessità di
fornire generalità reali e comunque, essendo ospitati da server d’oltre oceano, essi mettono eventuali
investigatori nella necessità di ricorrere a strumenti di cooperazione internazionale per ottenere
informazioni sui titolari dell’account di posta elettronica. Ma il modo più comune di rendere
effettivamente anonimi i messaggi spediti è quello di passare attraverso un tipo di centro di raccolta
conosciuto come Remailer ( Reindirizzatore anonimo). Ce ne sono alcune decine nel mondo. Alcuni
sono gratuiti, altri sono a pagamento. Mentre tali centri spediscono in genere messaggi che non
contengono traccia alcuna del mittente, alcuni di essi sono in grado di aggiungere anche un indirizzo
anonimo, al quale altre persone possono inviare messaggi che poi vengono “girati” all’indirizzo reale.
COMUNICAZIONI IN TEMPO REALE. Una delle prime applicazioni di Internet è stata quella delle
comunicazioni in tempo reale. I ricercatori che per primi hanno disegnato e costruito il sistema
“parlavano” l’un l’altro con messaggi digitati, utilizzando un programma chiamato talk.
Successivamente essi hanno sviluppato il modo di spedire messaggi-voce. Una delle maggiori
attrattive dei servizi on-line, nazionali e internazionali, sono le c.d. chat room cioè quei luoghi virtuali
dove gli utenti si possono ritrovare per comunicare in tempo reale. Qualsiasi cosa un utente digiti è
visibile immediatamente a ciascuno presente in quel canale o chat room.
NEWSGROUP. I Newsgroup di USENET sono gruppi di discussione telematica organizzati su scala
mondiale nei quali è possibile condividere informazioni e opinioni con persone provenienti da ogni
angolo del pianeta. Li si può immaginare come bacheche elettroniche dove ciascuno può affiggere un
messaggio che, dopo l’affissione, può essere letto da chiunque. A differenza della posta elettronica
che è essenzialmente una comunicazione privata fra individui, i messaggi di un newsgroup sono
accessibili a chiunque abbia accesso a Internet. Utilizzando un software di lettura di News è possibile
leggere articoli messi da altri, rispondere agli articoli trovati e/o inserire propri messaggi affinché altri
li leggano. Gli argomenti vanno da quelli scientifici a quelli più assurdi e i contributi dei lettori spaziano
dal discorso scientifico alla banale chiacchiera. Per chi è interessato a fruire di tale servizio il primo
passo è trovare il newsgroup; leggere ciò che in esso è contenuto, il secondo. Anche se molti
pensano a newsgroup e chat come a realtà interscambiabili, le due cose sono invece molto differenti.
I newsgroup consentono all’utente di accedere alla discussione ad ogni ora del giorno o della notte e
vedere quali nuovi messaggi sono stati inseriti dopo la precedente visita. Diversamente le chat hanno
uno svolgimento in tempo reale. Chi le frequenta spesso non ha molto tempo per pensare e meno
ancora per digitare il messaggio, cosicché le chat tendono ad essere informali e socievoli per loro
natura. Altra differenza fra i due servizi è data dal fatto che il contenuto della chat in genere non è
più disponibile, quando scompare dallo schermo, mentre i contenuti dei gruppi di discussione
rimangono disponibili per essere letti e rivisitati da chiunque abbia un lettore di news in qualsiasi
momento.
MAILING LISTS. Le mailing list sono liste di persone che essendosi iscritte a un certo gruppo,
ricevono messaggi e informazioni su un particolare argomento tramite la posta elettronica. Ci sono
decine di migliaia di mailing list disponibili su Internet su argomenti che variano dall’ingegneria
aerospaziale alla zoologia. Per gli Internauti esse sono uno dei modi per rimanere aggiornati sugli
argomenti di interesse. Produttori e venditori di software li utilizzano come strumento per mantenersi
in contatto con i propri clienti. Diversamente da un newsgroup al quale tutti possono avere accesso
leggendo i messaggi, la mailing list si avvicina di più alla rivista privata di una organizzazione, in
quanto è spesso moderata e riservata a persone che vi abbiano espressamente aderito. La maggior
parte di esse consente agli utenti di iscriversi spedendo un messaggio di posta elettronica contenente
uno specifico messaggio alla mailing list, mentre altre semplicemente richiedono di inserire un
indirizzo di posta elettronica su un modello in una pagina web. Il server automaticamente aggiunge il
nuovo indirizzo di posta elettronica agli altri e distribuirà in seguito i messaggi a tutti i soci. In genere,
le mailing list forniscono anche istruzioni su come uscire dalle stesse. Il vero vantaggio di una mailing
list è che chi vi aderisce non deve aprire un newsgroup e passare attraverso tutti i messaggi in esso
contenuti per trovare ciò che lo interessa.
Bullismo on line
Sul dizionario Zingarelli al termine “bullo” corrisponde la definizione di: “prepotente, bellimbusto, che
si mette in mostra con spavalderia”, sul Devoto e Oli il bullo è un “teppista sfrontato”, ma anche “in
senso non cattivo, bellimbusto, che si rende ridicolo per la vistosità e l’eccentricità dell’abbigliamento”;
bisogna attendere il 1996 perché il termine bullismo compaia su alcuni dizionari nella sezione
“neologismi”. Il significato che oggi diamo al termine “bullismo” deriva da quello anglosassone.
Sull’Oxford Dictionary del 1990, bully denota una persona che usa la propria forza o potere per
intimorire o danneggiare una persona più debole. Il significato inglese del termine non denota quindi
un semplice atteggiamento, come accadeva nella lingua italiana, quanto una specifica modalità di
relazione tra due persone, tra un più forte, che si avvale della propria superiorità per danneggiare un
soggetto più debole. In questa definizione viene espressa con chiarezza la matrice relazionale del
fenomeno e sono presenti due dei principali criteri che la comunità scientifica è solita utilizzare per
demarcare il fenomeno del bullismo (anche on line) da ciò che non lo è:
• l’esistenza di uno squilibrio nel rapporto di forza tra due o più persone;
• l’intenzione di arrecare danno alla persona più debole.
Una terza condizione, necessaria, per definire un fenomeno come il bullismo (anche on line) concerne,
il perdurare nel tempo di un tale tipo di relazione squilibrata. Quindi intenzionalità, persistenza e
disequilibrio sono gli elementi che caratterizzano il fenomeno del bullismo (anche on line), che può
essere visto come aspetto di un più generale comportamento antisociale che si caratterizza per la
mancanza del rispetto delle regole (disturbi della condotta). Il bullismo (anche on line) è un tipo di
azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per
settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime, spaventate dalle
ripercussioni dei bulli se “denunciano” le prevaricazioni subite. Ciò significa che con il termine bullismo
(anche on line) non ci si riferisce ad una situazione statica in cui c’è qualcuno che aggredisce e
qualcun altro che subisce, ma ad un processo dinamico, in cui persecutori e vittime sono entrambi
coinvolti. Fenomeno non recente, è stato per lungo tempo sottovalutato, ritenendo che riguardasse
soprattutto soggetti tardo-adolescenti; quando per iniziativa della professoressa Ada FONZI
dell’Università di Firenze e della sua equipe, anche in Italia il fenomeno ha cominciato a essere
studiato in modo sistematico, l’interesse che tali ricerche hanno suscitato nel mondo della scuola,
nonché nella pubblica opinione, è stato molto elevato. Come se finalmente fosse dato un nome per
descrivere un disagio che i docenti, familiari e soprattutto i ragazzi percepivano da tempo in modo
pervasivo e disturbante all’interno della scuola.
La nostra rappresentazione dell’infanzia si è profondamente modificata negli ultimi anni. Vi sono due
caratteristiche peculiari apparentemente in contraddizione, che colpiscono maggiormente la nostra
attenzione: da un lato percepiamo i ragazzi sempre più arrabbiati, annoiati, precocemente autonomi,
spesso aggressivi; dall’altro li percepiamo emozionalmente fragili, bisognosi di protezione troppo a
lungo dipendenti. Al di là dell’incidenza percentuale del fenomeno, interessanti sono le concordanze
che i vari studi rivelano circa le caratteristiche del fenomeno e dei suoi correlati. Tali dati ci dicono che
il fenomeno del bullismo (anche on line) tende universalmente a decrescere quantitativamente con
l’aumentare dell’età, in particolare con il passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria, ma
allo stesso tempo aumenta la qualità, la gravita delle condotte messe in atto in quei casi di prepotenza
che perdurano anche nella scuola media, e che la percentuale delle femmine coinvolte è minore di
quella dei maschi. Sono state osservate due forme fondamentali di bullismo (anche on line) l’una di
tipo diretto e l’altra di tipo indiretto. La prima che si articola in prepotenze fisiche e/o verbali, parte dal
prevaricatore e si rivolge direttamente alla vittima, che subisce attacchi fisici, pugni, calci, percosse, o
verbali, insulti minacce prese in giro o entrambi. Nella seconda, di tipo indiretto, la vittima è
intrappolata in una serie di dicerie sul suo conto, di atteggiamenti di esclusione nei suoi confronti, che
condannano all’isolamento. Ed è proprio questa seconda forma che viene agita di preferenza dalle
femmine nei confronti delle compagne, quindi anche difficilmente rilevabile, mentre i maschi si
orientano prevalentemente verso l’aggressività di tipo diretto. Facendo un breve accenno alle
caratteristiche degli attori del fenomeno del bullismo (anche on line) riporto l’analisi di M. A. ZANETTI
professoressa del dipartimento di psicologia dell’università di Pavia:
• Bullo/i attivi: colui o coloro che sono i protagonisti dell’azione di prevaricazione che mettono in
atto di propria iniziativa e senza un apparente reale motivo, gratuitamente, condotte violente
verbali o fisiche, dirette o indirette a discapito di una persona o di un gruppo, vittime.
Caratteristiche: Aggressivi verso i compagni ma anche verso gli adulti, spavaldi, sicuri di sé,
spesso popolari, più forti delle loro vittime, impulsivi, incapaci di rispettare le regole degli
adulti, hanno solitamente un’opinione positiva di sé, nessuna empatia con la vittima, modello
aggressivo associato alla forza fisica (per i maschi); famiglie con clima ostile, scarsa
accettazione del figlio, modelli educativi autoritari e violenti - Ross (1999) parla di “modello
educativo incoerente”.
• Bulli passivi: Seguaci o sobillatori, sostenitori del bullo attivo, al sicuro all’interno del gruppo
prepotente, nel codazzo di compagni ritenuti “prestigiosi”; in loro può verificarsi una parziale
empatia per la vittima, sono caratterizzati da bassa autostima, scarsa stabilità emotiva, scarsa
soddisfazione personale (Lawson, 2001), tendono a diminuire crescendo.
• Vittima passiva o sottomessa: subisce senza reagire i soprusi e le umiliazioni del bullo/i.
Caratteristiche: ansiosi, passivi, molto “attaccati” all’adulto, bassa autostima, immagine di sé
negativa, incapaci di reagire, rassegnati, non sono buoni lettori dell’espressione emotiva altrui,
non riconoscono i codici aggressivi dei potenziali bulli (Fonzi, 1999), modello reattivo ansioso o
sottomesso (per i maschi), debolezza fisica; famiglia iperprotettiva. Figlio non in grado di
gestire relazioni sociali complesse.
• Vittima provocatrice: mette in atto condotte comportamentali tali da istigare, provocare in
qualche modo la violenza nel bullo/i. Caratteristiche: Alternanza dei codici, facilmente irritabili,
scarso controllo emotivo, provocatori solitamente antipatici nei confronti degli adulti, stile
famigliare: a) coercitivo-incoerente; b) permissivo; c) iperprotettivo.
• Gregari: appartengono al gruppo del bullo o dei bulli che aiutano a mettere in atto le condotte
di prevaricazione da parte dei bulli, o a volte eseguono gli “ordini” del bullo stesso.
• Spettatori: osservano a debita distanza senza intervenire nell’azione prevaricatrice, come se la
cosa non li riguardasse il più delle volte, capendo la gravità della situazione, si allontanano
facendo finta di niente per non essere coinvolti.
• Difensori della vittima: sono coloro che in qualche modo prendono le difese della vittima, sono
rari, rischiano, comportandosi in difesa della vittima, di diventare a loro volta bersaglio di
prevaricazioni.
Le vittime possono ancora essere descritte in base alla tipologia di reazione alle
prepotenze:
• vittime aggressive inefficaci: provocano e contrattaccano l’aggressore utilizzando tecniche di
fronteggiamento inefficaci, perdono le loro battaglie attanagliate da sensi di angoscia e di
frustrazione che li irretiscono in conflitti sempre più estesi;
• vittime aggressive efficaci: utilizzano l’aggressione per risolvere il conflitto a loro favore;
• vittime non aggressive: usano tattiche inefficaci compensando glia attacchi passivamente con
la loro disfatta.
Circa le cause del bullismo (anche on line), gli studi condotti minimizzano alcuni luoghi comuni.
Risultano scarsamente probanti i risultati di quelle ricerche che hanno cercato di mettere in rapporto il
fenomeno del bullismo (anche on line) con particolari fattori socio-ambientali o con caratteristiche
fisiche dei soggetti; sembrerebbero scarsamente verificate le ipotesi secondo le quali un alto numero
di studenti per classe e l’ampia dimensione della scuola sarebbero correlati positivamente con le
presenza di prepotenze. Neppure avrebbero incidenza lo scarso rendimento scolastico dei soggetti
coinvolti, né le loro depresse condizioni socioeconomiche, (il bullismo (anche on line) non è un
fenomeno da aree povere e degradate). Anche altri facili parallelismi non hanno retto alle verifiche
empiriche: i bambini che subiscono prepotenze non sono portatori di caratteristiche fisiche particolari
che li indichino agli altri come vittime predestinate; non hanno di frequenza i capelli rossi, non
tendono all’obesità né sono portatori di occhiali. Il bullismo (anche on line) è un fenomeno dinamico si
modifica di pari passo con i cambiamenti sociali, anche nelle sue manifestazioni. Facendo riferimento
agli stili educativi adottati in famiglia, si può dire che approcci unilaterali non spiegano il fenomeno, il
comportamento umano è troppo complesso perché esso possa essere ricondotto alla sola azione degli
stili educativi. Tuttavia è inconfutabile che, qualora i modelli familiari siano improntati alla logica della
sopraffazione e della violenza, se vengono rinforzati ulteriormente dai mass media e sono in sintonia
col contesto socio-ambientale, i bambini e i ragazzi metteranno in atto comportamenti coerenti con
questi modelli, legati a schemi di comportamento interiorizzati altamente disadattivi riproponendoli in
ambiti diversi da quello familiare. Anche il non intervenire può legittimare taluni comportamenti.
Dan Olweus dice che i bulli sono caratterizzati da aggressività generalizzata sia verso gli adulti che i
coetanei, da impulsività, da scarsa empatia nei confronti degli altri e che hanno una buona opinione di
se e un atteggiamento positivo verso la violenza. Le vittime, per contro, che distingue in passive e
provocatrici, sono caratterizzati da atteggiamenti ansiosi e insicuri e da scarsa autostima. Negli studi
condotti da Ada FONZI in Italia, circa i singoli fattori individuali associati al fenomeno delle prepotenze
a scuola, si è constatato che la condizione di vittima e di bullo appare legata a difficoltà nel
riconoscimento delle emozioni. Per le vittime indipendentemente dall’età, si evidenziano deficit nel
riconoscimento di specifici segnali emotivi, in particolare quelli relativi alla rabbia. Da un lato tali
difficoltà potrebbero impedire al bambino di riconoscere l’altro come potenziale aggressore e
conseguentemente di difendersi da questi; dall’altro lato l’incapacità di leggere tale emozione
potrebbe ostacolare il controllo delle proprie manifestazioni comportamentali e favorire l’utilizzo di
modalità che finiscono con il provocare ulteriormente la rabbia del compagno. Per i bulli si riscontra
una generale immaturità nel riconoscimento delle emozioni, soprattutto per quanto riguarda la felicità.
In definitiva gli attori sociali di questo complesso dramma chiamato bullismo (anche on line), risultano
sgrammaticati in una competenza sociale fondamentale, quella che permette di cogliere i segnali
emotivi che provengono dagli altri.
Il deficit legato alla mancanza di empatia cioè, della capacità di un individuo di comprendere e
condividere gli stati emotivi sperimentati da un’altra persona, è, quindi, probabilmente riconducibile ai
soggetti che prevaricano i propri compagni, dal momento che non sembrano rendersi conto delle
sofferenze che inducono in quei ragazzi che subiscono le loro prevaricazioni. Anche le vittime hanno
una scarsa abilità nel sintonizzarsi affettivamente con i propri compagni, interagendo con essi in modo
spesso inadeguato, stimolando la loro aggressività. Molti programmi di intervento, finalizzati a
prevenire e ridurre il bullismo (anche on line) nella scuola, sono incentrati sulla stimolazione e
sull’incremento delle capacità empatiche, favorendo i processi di identificazione reciproca tra i ragazzi.
Si riflette sul fatto che il bullismo sia sempre esistito, sotto l’accezione “nonnismo” o altro, che cosa è
cambiato rispetto al passato? Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la
gestione dei conflitti di Piacenza, nel suo articolo “Bullismo (anche on line) a scuola: istruzioni per
l’uso” scrive che oggi si tratta di qualcos’altro: ci si trova in una fase di transizione, dai modelli rigidi in
cui prevaleva il modello etico-normativo, dall’epoca del galateo in cui le norme erano abbastanza
acquisite e assodate e quindi i trasgressori venivano facilmente individuati, a modelli in cui la
centratura non è più sulla regola ma sulla relazione interpersonale, a modelli educativi in cui
l’elemento affettivo entra a pieno titolo e diventa dominante, come se amare i propri figli
implicherebbe il non rimproverarli quando trasgrediscono le regole, giustificarli, sempre e comunque,
di fronte alle “ragazzate” commesse, lasciarli liberi di fare ciò che desiderano, senza una guida
autorevole e decisiva che li indirizzi verso il rispetto del vivere civile e sociale. Allo spirito di
contestazione rispetto alla società adulta , che aveva caratterizzato in passato i valori e la società della
cultura giovanile, si è sostituito nel mondo giovanile uno spirito di adesione ed omologazione rispetto
ai valori dominanti. Quanto più si è affermata questa nuova cultura ed è aumentato il benessere
insieme al consenso dei giovani al modello della società adulta, tanto più gli adulti hanno abdicato al
loro ruolo di “normatori”, trasmettendo ai giovani il senso della legalità e del rispetto per le regole,
dietro le quali vi sono valori da promuovere e divulgare. Oggi il contesto sociale esalta i
comportamenti “sopra” le regole; inoltre, alla trasgressione delle norme da parte dei giovani il più
delle volte, non segue alcuna sanzione; l’adolescente per crescere ha bisogno di provocare
polemicamente di sfidare l’autorità dell’adulto, chiede di essere limitato in qualche modo, ma se ciò
non avviene come riesce il ragazzo ad interiorizzare le norme date dai genitori per maturare
un’autonoma coscienza etica? Come fa a diventare una “sana” ed equilibrata persona adulta che vive
nel rispetto delle regole della società civile? Questa mancanza di regole e sanzioni ha portato a una
sorta di “anestetizzazione etica” dei giovani, che sono incapaci di sperimentare il sentimento del senso
di colpa di fronte ad ingiustizie agite o patite a danno di sé o di altri. I ragazzi di oggi sono stati
educati ad avere tutto subito, non hanno imparato ad affrontare ed elaborare le frustrazioni, così
finiscono per rubare o rapinare per noia o peggio ancora, incapaci di elaborare emotivamente vissuti
di rifiuto o fallimento che la quotidianità presenta loro, non trovano altra soluzione che non togliersi la
vita per “futili” motivi (bocciatura all’esame per la patente di guida o perché la fidanzata di turno li ha
lasciati). Come afferma Olweus, i ragazzi che opprimono e quelli che subiscono sono il frutto di una
società che tollera sopraffazione, in parte per cecità in parte per tornaconto personale; ignoranza e
indifferenza sono le matrigne di questi figli disadattati, gli uni e gli altri, persecutori e vittime, facce
della stessa medaglia. È incivile sopraffare gli altri ma in qualche misura lo è anche accettare di
essere sopraffatti o permettere che altri lo siano. Come già accennato nel paragrafo precedente, si
ribadisce che il fenomeno del bullismo (anche on line) è complesso e le cause che lo determinano
sono molteplici. Occorre inquadrare il fenomeno in un’ottica interazionista che non privilegi risposte
parziali, basate cioè sulle sole differenze di personalità o sulle sole circostanze ambientali. La
personalità, i modelli familiari, gli stereotipi imposti dai mass media, un’istituzione scolastica spesso
disattenta alle relazioni tra ragazzi, dinamiche di gruppo che trascendono il singolo individuo, sono
tutti fattori concomitanti che, in maggiore o minore misura contribuiscono al determinarsi del
fenomeno. L’indifferenza e il disimpegno morale sono meccanismi per cui si può giustificare un’azione
violenta sostenendo che la si fa a fin di bene, o che contravvenire ad una norma << non è poi così
grave perché lo fanno tutti>>. Spesso i ragazzi che vittimizzano i propri compagni non sembrano
assumersi pienamente la responsabilità di ciò che fanno e tendono sovente a sminuire le conseguenze
delle loro azioni <<sono solo scherzi>>, a deresponsabilizzarsi << è tutta la classe che li prende in
giro>> o tendono a giustificare il loro comportamento svalutando la persona bersaglio delle loro
angherie << in fondo se lo è meritato>>. Non va dimenticato infine il ruolo dei meccanismi di gruppo
che cristallizzano la persona all’interno di un ruolo per cui risulta difficile per un ragazzo, che è stato
etichettato come vittima o come prepotente, modificare il proprio status all’interno di un gruppo che
continua a interpretare i suoi comportamenti alla luce del ruolo che gli è stato assegnato. Questi sono
solamente alcuni dei processi psicologici implicati. I ragazzi spesso agiscono senza pensare alle
conseguenze delle proprie azioni o semplicemente non prendendole in considerazione, Vi è una sorta
di pseudo-inconsapevolezza nei ragazzi bulli, per cui e’ presente in loro la consapevolezza del
fenomeno e del proprio ruolo giocato, che sia di bullo o gregario, tuttavia essi ricorrono a un
complesso sistema di autoguistificazioni che permette di separare la violazione delle norme dalla sua
riprovazione, in questo modo la persona riesce a compiere azioni colpevoli senza provare colpa. M. A.
ZANETTI professoressa del dipartimento di psicologia dell’università di Pavia, ha individuato ricorrenti
meccanismi del disimpegno sociale:
• Giustificazione morale (es. Se lo è meritato è un ladro)
• Etichettamento eufemistico (es. Non l’ho picchiato, gli ho dato uno spintone)
• Confronto vantaggioso (es. Gli ho solo dato uno spintone, mica un pugno)
• Dislocamento della responsabilità (es. Marco mi ha detto di colpirlo)
• Diffusione della responsabilità (es. Non sono stato solo io, c’erano anche altri)
• Distorsione delle conseguenze (es. Ma, non si è fatto niente!)
• Deumanizzazione (es. E’ inferiore a me, potevo farlo! E’ un albanese, uno zingaro, ecc.)
• Attribuzione di colpa alla vittima (es. E’ stato lui ad iniziare..)
Le modalità con cui le prevaricazioni prendono forma a scuola sono molteplici; ad oggi il Legislatore
non prevede la violazione di una condotta che va sotto il nome di bullismo (anche on line); il codice
penale individua quelle condotte che se messe in atto costituiscono reato, il bullismo (anche on line)
non è tra queste, però le singole modalità con cui un’azione di prevaricazione, sia fisica che verbale,
viene agita possono rientrare in condotte costituenti reato sanzionate dal legislatore, (ne resta escluso
l’isolamento, la forma per eccellenza del bullismo (anche on line) indiretto tra le ragazze, non vi è
reato se una ragazza viene esclusa intenzionalmente dal gruppo e isolata).
Piccole estorsioni sono all’ordine del giorno “dammi i soldi o ti picchio”; ragazzi vittime che si trovano
a diventare a loro volta dei piccoli ladri in casa per procurarsi il denaro che viene loro estorto dal
gruppo di bulli; anche i danneggiamenti di beni personali, bicicletta, motorino, che la vittima li usa per
andare a scuola o materiale scolastico. In realtà le condotte di prevaricazione dirette e fisiche
potrebbero concretizzarsi in una molteplice varietà di reati, compresa la violenza sessuale. Ricordo la
vicenda di un ragazzo che frequentava l’ultimo anno delle scuole medie inferiori, durante il corso
dell’anno scolastico era stato ripetutamente perseguitato da un gruppo di compagni di classe bulli, con
continue vessazioni, piccoli furti, dispetti, gli versavano bibite sul banco gli strappavano i quaderni, gli
nascondevano materiale scolastico, di fatto è stata un escalation di condotte sempre più gravi, fino a
quando l’ultimo giorno di scuola, per festeggiare, i compagni prevaricatori trascinano la vittima nei
bagni dei maschi, goliardicamente gli abbassano i pantaloni e tenendolo fermo lo masturbano. I
genitori del ragazzo venuti a conoscenza dei fatti hanno sporto denuncia contro il gruppo di ragazzi
per violenza sessuale sul figlio. Spesso negli atti di bullismo (anche on line) coesistono
contestualmente più condotte illecite, lesioni e minacce per esempio: la vittima viene picchiata e poi
gli viene intimato che se racconterà qualcosa a qualcuno lo aspetterà di molto peggio. Gli atti di
bullismo (anche on line) solitamente vengono messi in atto dai ragazzi a scuola lontano dagli occhi
degli insegnanti o di adulti, che potrebbero sanzionare il comportamento socialmente riprovevole, i
ragazzi sono molto attenti e furbi da questo punto di vista, perciò il più delle volte tali condotte
restano nel silenzio, tra i banchi di scuola.
Il dipartimento della pubblica sicurezza ha da tempo avviato una serie di iniziative, volte a
sensibilizzare le articolazioni territoriali della Polizia di Stato ed a prendere e mantenere significativi
contatti con i responsabili degli organismi scolastici al fine di avviare percorsi nelle scuole con gli
studenti, partendo dalle elementari, in stretta collaborazione con gli insegnanti sensibilizzando anche
questi all’esigenza di un efficace intervento che promuova la legalità tra i ragazzi. La Polizia da sola
non basta in questo quadro preventivo, impegnativo è anche lo sforzo che si chiede agli insegnanti nel
preparare i ragazzi a tali incontri, affinché abbiano senso. Tali iniziative sono mirate a diffondere la
cultura della legalità tramite appunto incontri formativi e divulgativi con gli studenti, docenti e genitori,
per individuare quei segnali di disagio che possono sfociare in comportamenti devianti o illeciti.
La legalità deve essere un processo, una costruzione paziente finalizzata al coinvolgimento di tutti gli
studenti soprattutto gli esclusi. Ecco perché è necessario investire di più nella prevenzione con
iniziative formative cui collaborano, oltre gli insegnanti e gli operatori di Polizia, anche psicologi
preparati nel settore, partendo proprio dalle esperienze dei ragazzi stessi, dagli articoli di cronaca dei
quotidiani, in ogni ambito: codice della strada, uso di sostanze stupefacenti non ultimi gli alcolici,
stragi de sabato sera, violenze e prevaricazione a scuola ecc. Tutto ciò finalizzato a concretizzare
innovativi percorsi di educazione alla legalità e favorire la crescita nelle nuove generazioni, della
consapevolezza delle norme e del valore che tutelano, delle inevitabili conseguenze delle proprie
azioni agendo incivilmente in violazione delle regole, e di una Polizia vicina al disagio giovanile.