Obama all`ONU: la realtà capovolta

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Obama all`ONU: la realtà capovolta
Obama all’ONU: la realtà capovolta
Mercoledì 26 Settembre 2012 23:00
di Michele Paris
Il discorso di Barack Obama, tenuto martedì all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha
toccato molti dei temi più caldi dell’agenda internazionale, concentrandosi in particolare sul
mondo arabo e il Medio Oriente e presentando per l’ennesima volta gli Stati Uniti come i
difensori della democrazia e della libertà di espressione nel mondo. Le parole del presidente
americano sono però smentite in maniera clamorosa dalla realtà di un paese nel quale i diritti
democratici fondamentali sono da anni esposti ad un processo di grave deterioramento e che
sfrutta senza eccezione gli eventi internazionali unicamente per promuovere gli interessi della
propria classe dirigente.
La stessa apertura del quarto intervento di Obama al Palazzo di Vetro di New York è stata
all’insegna della falsificazione di fatti recentemente accaduti. L’inquilino della Casa Bianca ha
infatti ricordato l’ambasciatore USA in Libia, J. Christopher Stevens, assassinato l’11 settembre
scorso presso il consolato di Bengasi, tessendone le lodi e dipingendolo come un infaticabile
paladino della democrazia, inviato nel paese nordafricano per contribuire alla realizzazione
delle aspirazioni della popolazione locale.
Stevens, in realtà, non ha rappresentato altro che la faccia pulita e rispettabile dell’imperialismo
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a stelle e strisce e, lo scorso anno, nel pieno del conflitto per rovesciare il regime di Gheddafi,
venne precocemente spedito proprio a Bengasi per facilitare i collegamenti tra la NATO e i
cosiddetti ribelli, tra le cui fila facevano parte quegli stessi estremisti islamici che due settimane
fa hanno rivolto le armi contro il più autorevole rappresentante dei loro ex benefattori americani.
Quei principi di libertà e giustizia che Obama ha affermato essere motivo di ispirazione per
l’ambasciatore Stevens, ammantano così gli slogan privi di significato che gli Stati Uniti
continuano a propagandare per mantenere la loro presenza in aree del globo dove sono in
gioco delicati interessi strategici.
Da qui, Obama ha poi condannato gli attacchi delle ultime settimane alle rappresentanze
diplomatiche e ai simboli americani nel mondo arabo in seguito all’esplosione della rabbia
popolare dopo la diffusione sul web del video amatoriale che irride il profeta Muhammad.
Secondo il presidente, i comportamenti sfociati nelle recenti violenze sarebbero un attacco “agli
stessi ideali sui quali si fondano le Nazioni Unite” e che fanno in modo che “i popoli possano
risolvere le loro differenze pacificamente”.
Simili affermazioni vengono da un leader di un paese che, solo nell’ultimo decennio, ha
scatenato due guerre rovinose basate su motivazioni del tutto infondate, che continua a
condurre incursioni con aerei senza pilota in territori di paesi sovrani uccidendo centinaia di civili
innocenti e si adopera incessantemente per rovesciare con la forza regimi sgraditi senza timore
di appoggiare più o meno direttamente organizzazioni legate a quel terrorismo internazionale
che sostiene di volere combattere.
In modo corretto, inoltre, Obama ha sottolineato come sia necessario “discutere onestamente
delle cause più profonde della crisi” di questi giorni nel mondo arabo, anche se com’è ovvio si è
ben guardato dal farlo. Ciò che ha scatenato la rabbia nelle strade del Cairo, di Bengasi, di
Kabul o di Islamabad non è tanto il filmato offensivo nei confronti dei musulmani quanto le
frustrazioni accumulate da popoli che da decenni subiscono l’oppressione dell’imperialismo
americano e di dittatori al servizio di Washington, così come il sostegno incondizionato degli
Stati Uniti a Israele e le sofferenze patite dalla nazione palestinese.
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