Non fate stupidaggini in economia

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Non fate stupidaggini in economia
Economia
martedì 17 maggio 2016
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IL TEMA DELLA SETTIMANA
Il ruolo prezioso dei gestori esterni
Agiscono dietro le quinte e sono preziosi alleati per l’intero settore bancario ticinese. Parliamo dei gestori patrimoniali esterni che dagli anni Novanta hanno assunto un’importanza sempre maggiore anche in Ticino e che ora
si trovano confrontati a un futuro con
qualche incognita. Quale è la loro attività?
Ce lo spiega Carlo Ruggia, membro di
direzione e responsabile per le attività
con i gestori esterni a BancaStato.
“Sono veri e propri intermediari d’affari: offrono un servizio alla clientela
che intende effettuare investimenti
gestendone i patrimoni in collabora-
zione con una banca di riferimento”.
Ma ciò non “intralcia” il lavoro di chi
all’interno degli istituti si occupa di gestione patrimoniale? “No, in quanto il
loro lavoro consente alla banca di incrementare le attività, acquisire nuovi
rapporti di affari e dunque guadagnare.
Anche per i clienti ci sono vantaggi. Oltre alla qualità dei servizi erogati dal
consulente esterno e dalla banca partner, i clienti beneficiano del fatto di relazionarsi a un’unica persona che, di
solito, rimane un punto di riferimento
fisso nel tempo”. Gli ultimi anni hanno
portato a molte novità per il settore in
ambito fiscale e giuridico: come hanno
Carlo Ruggia,
membro di
direzione e
responsabile per
le attività con
i gestori esterni
a BancaStato
reagito i gestori esterni che non necessariamente dispongono di strutture tipiche degli istituti finanziari? “Certamente per loro non è stato facile e le
banche partner hanno costituito un valido aiuto. All’orizzonte non mancano
di certo le nubi: per questo BancaStato
ha creato le basi per una piattaforma di
servizi – una ‘casa’ – da mettere a disposizione dei gestori ticinesi” conclude
Ruggia.
L’ANALISI
Non fate stupidaggini in economia
di Jean Pisani-Ferry
Il 30 agosto 2013, gli Stati Uniti erano in
procinto di lanciare attacchi aerei contro la Siria, dove più di un migliaio di civili erano morti in un attacco di gas Sarin perpetrato dall’esercito del presidente Bashar al-Assad.
Ma poche ore prima che cominciassero
gli attacchi, il presidente degli Stati Uniti
Barack Obama li ha annullati, sorprendendo gli alleati dell’America. Invece, i
diplomatici statunitensi progettarono
un accordo con il presidente russo Vladimir Putin, secondo cui la Russia si sarebbe assunta la responsabilità per la rimozione di armi chimiche dalla Siria. La
guerra civile siriana continuò, senza che
gli Stati Uniti venissero direttamente
Jean Pisani-Ferry
è professore alla
Hertie School
of Governance
di Berlino
coinvolti. Secondo quanto dichiarato
nella sua ultima intervista con Jeffrey
Goldberg nella rivista The Atlantic, Obama è “molto orgoglioso” del momento in
cui ha considerato, ponderato, e, andando contro i suoi consiglieri, deciso di non
seguire il “programma di Washington”.
Non tutti hanno applaudito. Secondo
Goldberg, l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton ha lamentato in privato che
“se dici che colpirai, devi colpire”. Ma
Obama ha rifiutato di dare priorità alla
credibilità: “Sganciare le bombe su qualcuno per dimostrare che sei disposto a
sganciare bombe su qualcuno”, ha detto,
“è proprio il motivo peggiore di usare la
forza”.
La presa di posizione di Obama è stata in
linea con il suo ormai famoso mantra di
politica estera e di sicurezza: “Non fare
cose stupide”.
Quel dictum allude ovviamente alla decisione inopportuna del suo predecesso-
re di intervenire in Iraq; ma, fondamentalmente, esprime il modo in cui Obama
affronta l’equilibrio dei rischi legati alle
grandi scelte politiche. Evidentemente,
non tiene in grande considerazione la
credibilità. L’adeguatezza della decisione finale è più importante della coerenza delle precedenti dichiarazioni. Preservare la libertà di scelta nell’affrontare
un problema è più importante che inviare il messaggio giusto. Il giudizio non
deve essere offuscato.
Una cosa che la politica di sicurezza e la
politica economica hanno in comune è
che costringono i governi a scegliere tra
minimizzare i danni immediati e salvaguardare la credibilità. I dibattiti economici spesso mettono uno contro l’altro
quelli che enfatizzano il giudizio libero e
quelli che considerano la coerenza come
il gold standard di una buona politica.
Questo compromesso è stato evidente
durante l’estate del 2008, nel momento
in cui la crisi finanziaria globale è giunta
al culmine.
Dopo che il governo degli Stati Uniti aveva deciso di salvare la banca di investimenti Bear Stearns e di sostenere le
agenzie di finanziamento dei mutui
Fannie Mae e Freddie Mac, una rivolta
del Congresso ha portato l’amministrazione del presidente George W. Bush a
non iniettare denaro pubblico nella Lehman Brothers, un’altra banca di investimenti in difficoltà. Quando divenne
chiaro che nessun investitore privato
era disposto ad accollarsi la Lehman, il
Tesoro degli Stati Uniti non aveva le risorse necessarie per evitare un disastro.
E il disastro è accaduto il 15 settembre.
Compromessi simili sono ripetutamente emersi nel corso della crisi dell’euro.
Praticamente tutti i principali episodi
hanno comportato una scelta tra restare
attaccati ai primi principi e trovare un
modo per risolvere la crisi in rapido sviluppo. Ma il mantra del Cancelliere tedesco Angela Merkel non era lo stesso di
Obama. Per lei, l’azione non convenzionale potrebbe essere giustificata solo da
una minaccia esistenziale imminente
per la stabilità dell’Eurozona. Questa cosiddetta dottrina di ultima ratio è stata
invocata più volte per rinviare le decisioni o respingere le correzioni precedenti.
È difficile sopravvalutare il significato
del dilemma tra risolvere i problemi imminenti ed evitare il rischio morale. È
diffuso in finanza e si verifica spesso in
decisioni monetarie o fiscali.
Una scuola di pensiero, impersonata dal
governo degli Stati Uniti, considera il rischio morale una preoccupazione legittima, ma pensa che non si dovrebbe esagerare troppo: “I pompieri non sono la
causa degli incendi”, ha detto l’ex segretario al Tesoro Tim Geithner (o, secondo
le parole del vicepresidente della Federal Reserve, Stan Fischer, “i preservativi
non sono la causa del sesso”). La Germania è la più evidente personificazione
dell’altro punto di vista: le conseguenze
a lungo termine di ogni decisione dovrebbero guidare le scelte politiche e
l’aspettativa di assicurazione non deve
provocare imprudenza.
L’esistenza di tali differenze di atteggiamento non dovrebbe suscitare nessuna
sorpresa: il compromesso è reale e i politici possono avere punti di vista diversi,
a seconda della loro esperienza e preferenza temporale. La scuola di pensiero
tedesca, per esempio, enfatizza le regole
di gioco permanenti di un sistema politico e tende a trascurare i costi a breve termine di particolari decisioni. Un’altra,
forse più profonda ragione è il potere.
Per sette decenni, il governo degli Stati
Uniti è stato il vigile del fuoco finale del
sistema globale. Durante questo periodo, si è occupato di una miriade di crisi
in tutto il mondo e ha imparato ad apprezzare la discrezione più che la coerenza politica.
Allora, cosa si può fare per evitare una
stupida politica economica? Ciò che
conta di più è la trasparenza del processo decisionale e le sue conseguenze. Evitare la rigidità delle regole non deve
comportare l’arbitrio. Un solido e critico
scambio di argomenti, e – soprattutto
quando l’urgenza non lascia tempo a
una precedente discussione – la consapevolezza che qualsiasi decisione dovrà
essere spiegata e giustificata ex post
sono ottimi antidoti per l’abuso di poteri
discrezionali. Il dibattito e la responsabilità possono andare oltre l’uccisione di
cattive idee.
Probabilmente, ciò è più facile da applicare al processo di definizione della politica economica piuttosto che al campo
di battaglia. Ma anche le decisioni economiche e finanziarie richiedono segretezza e velocità. Questo non è un motivo
per cui le istituzioni competenti non
debbano organizzare un efficace processo interno o garantire il corretto controllo ex post. A questo proposito, molti
progressi possono ancora essere fatti.
tà commerciali, ma nei capitali pazienti
che sono disposti a coprire perdite colossali pur di raggiungere l’obiettivo finale: il controllo del mercato. E come
mai Google ha ormai il monopolio? Gli
europei, gli indiani o i cinesi non sono
capaci di sviluppare un motore di ricerca simile. Certo che sono capaci di farlo
ma non hanno i capitali pazienti in grado di sostenere la loro crescita.
Ma perché gli europei non riescono a
fare altrettanto? Possibile che non ci siano capitali in grado di attendere che una
società si sia sviluppata ai livelli necessari per assumere una posizione di monopolio? Si potrebbe pensare che in Europa esistano ancora gli ideali di mercato decantati dai manuali e che la concorrenza sia attentamente vigilata. In parte
è così. Gli Stati Uniti tendono ad essere
severi con gli altri, ma preferiscono non
vedere cosa succede dentro le proprie
mura. Ma in Europa manca soprattutto
la mentalità del rischio, in particolare
quando in gioco ci sono somme enormi.
Il capitale a rischio è una specialità storica degli Stati Uniti. Tuttavia il gioco si
sta facendo pericoloso perché queste
grandi società americane stanno dettando le regole del mercato, non solo
dal punto di vista tecnologico, fiscale
(Apple ha appena ammesso di aver nascosto 200 miliardi), ma anche politico
perché sono in grado di pilotare le decisioni politiche dei governi grazie alle
loro potenti lobby e agli strumenti di ricatto (“Ce ne andiamo se non fate come
diciamo noi”). Forse sarebbe ora di
cambiare i manuali di economia, ma
poi Amazon li venderà?
© Project Syndicate, 2016
Il libero mercato secondo Uber e Co.
di Jean Pisani-Ferry
Agli studenti di economia si insegna
(quasi sempre) che il mercato se lasciato
libero di agire sceglie sempre la soluzione migliore, che le aziende che sopravvivono sono le migliori. Nella realtà le cose
si sviluppano in maniera ben diversa.
Vi siete mai chiesti perché le big dei settori tecnologici sono quasi sempre americane? Perché una società come Amazon che non genera profitti, anzi spesso
è in perdita, continua ad espandersi?
Perché Uber è valutata attorno ai 60 miliardi di dollari? O perché Nokia, è praticamente scomparsa nel giro di pochi
anni pur essendo leader del mercato
della telefonia mobile?
La risposta è una sola: perché il mercato
non funziona come dicono i libri di eco-
nomia. Vediamo un po’ meglio come
funzionano le cose prendendo l’esempio
di Uber. In pochi anni ha registrato una
grande espansione internazionale proponendo costi del trasporto inferiore a
quello dei concorrenti tradizionali.
Guardando ai risultati del 2015 capiamo
che qualche cosa non funziona perché
ha registrato una perdita di quasi due
miliardi a fronte di entrate di poco più di
un miliardo. Secondo la logica si tratta
di un’azienda perdente e quindi avrebbe
già dovuto depositare i bilanci. In realtà
può permettersi di continuare a registrare perdite e a praticare prezzi super
concorrenziali, perché alle spalle ha degli investitori come Google, Jeff Bezos e
Goldman Sachs, che sono disposti a pazientare per permettere a Uber di conquistare il mercato. Una volta eliminata
la concorrenza i prezzi potranno iniziare a salire, così da permettere utili miliardari anno dopo anno. Naturalmente
a quel punto il servizio taxi come lo conosciamo ora sarà scomparso, con un
indubbio peggioramento dei servizi a
costi probabilmente superiori a quelli
attuali.
Lo stesso discorso vale per Amazon. Per
anni ha continuato a registrare perdite,
ma pure ad espandersi in diversi settori
tanto da diventare oggi il più grande negozio del mondo. Una volta scremati i
concorrenti – come già sta succedendo
per le librerie – Amazon potrà ritoccare
prezzi e servizi, tornare a fare utili e soprattutto a dettare le regole del gioco da
una posizione di monopolio.
Anche in questo caso il successo di queste società non sta tanto nelle loro abili-