La categoria neutrale nella diacronia del napoletano: implicazioni

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La categoria neutrale nella diacronia del napoletano: implicazioni
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano:
implicazioni morfologiche, lessicali, semantiche*
Il napoletano, insieme con altri dialetti centro-meridionali, è caratterizzato dalla
categoria semantica di neutro1. Si tratta del «mantenimento del genere neutro,
seppure come reinterpretazione della categoria neutrale latina» (Fanciullo
1986:86s.; 1988:681; in preparazione) nei casi in cui abbiamo a che fare con nomi
che indicano concetti o entità collettive esprimenti prodotto o sostanza (ad es. il
ferro in quanto metallo), gli astratti (il male, il bene), gli aggettivi sostantivati, i participi passati, gli infiniti sostantivati, nonché altri concetti non pluralizzabili «sempre che il contesto non sia attualizzante» (Formentin 1998:305; cf. anche De Blasi-Imperatore 1998:88, 93 e N1).
Come appare evidente da un esame della documentazione scritta napoletana
medievale e della letteratura dialettale riflessa dei secoli XVII-XVIII, la categoria
neutrale del napoletano risulta tuttavia scissa in almeno due tipi morfologici. Il primo è il tipo flessivo in -o, opposto ad un maschile omofono e ad un femminile
omofono (per es. fico); e si tratta appunto del tipo appena descritto. L’individuazione del sostantivo neutro è affidata in questo caso all’applicazione del raddoppiamento fonosintattico2, o alla presenza di un dimostrativo e di un aggettivo non
metafonizzato, o alla conservazione della laterale geminata nelle preposizioni articolate. La reinterpretazione semantica consiste nell’aggancio referenziale ai
campi lessicali del materiale e del collettivo3, col risultato di unità lessicali dotate
* Max Pfister mi ha messo a disposizione il suo archivio e mi ha fornito importanti osservazioni; Rita Franceschini e Franck Floricic hanno letto per intero il dattiloscritto postillandolo con
grande attenzione: restando, ovviamente, inteso che la responsabilità degli errori è solo mia, a tutti loro desidero esprimere la mia riconoscenza.
1 Cf. in particolare Rohlfs 1966-69/1:7, 145; ib./2:419-420, 449; Lüdtke 1979:68; Franceschi
1962:31s.; Maiden 1987:181s.; 1997:74; Vignuzzi 1988:625; 1994:338; Vignuzzi/Avolio 1991:648650; Formentin 1994a:51s.; 1998:304s.; Avolio 1996:312; De Blasi/Imperatore 1998:87-94; Fanciullo in preparazione.
2 Ha effetto raddoppiante una lista chiusa di morfi funzionali quasi tutti riconducibili a una
consonante etimologica.
3 Per l’origine del neutro centro-meridionale e la sua interazione con altri fattori come la metafonia ecc., la distinzione tra -o ed -u finali, cf. Merlo 1922:52s.; Krefeld 1999:55s.; Vignuzzi
1988:607ss.; 622-625; 1994:336s.; 343; Avolio 1996:300ss.; Maiden 1997:73s.; De Blasi/Imperatore 1998:87-94. Per la delimitazione geografica del fenomeno nei dialetti centro-meridionali, cf.
Avolio 1995:50s. Brevemente sulla situazione campana, cf. Bianchi/De Blasi/Librandi 1993:13.
Cf. inoltre, sulla relazione tra metafonia e neutro di materia, Alonso 1958:19-24; Penny 1970:2130; Lüdtke 1988:61-69; Meyer-Lübke §643; Hall 1968:480-486; in particolare, cf. Arias Cabal
1998:35s. per la situazione in asturiano già descritta da Lüdtke 1970:42s.
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del tratto semantico [-numerabile], a prescindere dal genere latino (Formentin
1994a:51)4.
L’altro tipo flessivo che si realizza nella forma di un antico accordo, è un un tipo
morfologico arcaico del napoletano antico: si tratta di un plurale neutro con significato collettivo e desinenza in -a. L’individuazione è affidata all’accordo sintattico al plurale del verbo e del predicato nominale. Questo morfema di neutro plurale -a rappresenta una desinenza fossile che risulta rifunzionalizzata in alcuni casi
nella classe femminile singolare omofona o nella classe di femminile plurale (tipo
maggioritario del napoletano moderno) con conseguenti nuove implicazioni sul
piano morfologico, semantico e lessicale.
Nell’ambito della morfologia nominale, si tratta di una vera e propria desinenza di neutro plurale collettivo che emerge dal tipo maggioritario in nap. antico ‘braza tagliata’ o ‘la denocchia’ (nel caso specifico lessico «duale»). Accanto a quest’ultimo tipo segnaliamo il tipo le bracia, le cofena (nella Cronaca del Ferraiolo5),
ossia il tipo più spiccatamente eteroclito, proprio del dialetto moderno (cfr. §4).
Nelle fonti sei-settecentesche il singolare collettivo in -a risulta definitivamente
rifunzionalizzato come femminile plurale.
Il tipo morfologico in -a che occorre soprattutto con i nomi di frutta o con il lessico duale, è già reperibile nelle carte mediolatine campane. Nel Codex Diplomaticus Cavensis riscontriamo pera ‘pere’ e ‘peri’ (De Bartholomaeis 1901:350); questo evento sottolinea il concetto di continuità tra neutro latino e neutro romanzo.
Alla classe dei sostantivi neutri di II declinazione che conservano il plurale in
-a come braza o denocchia si aggregano inoltre molti sostantivi originariamente
maschili, utilizzati al plurale come neutri con selezione del morfema -a. Per anel4 L’opposizione tassonomica dei due generi latini, maschile e neutro, subisce un riassetto
morfologico e semantico che trasferisce alla nuova classe dei neutri, non solo i neutri latini come
mel o lac, ma anche i nomi maschili caseus, panis, sal, piper e tutto ciò che attiene alla collettività materiale; trasferendo invece alla classe dei maschili corpus pectus tempus ecc. Sono neutri
i sostantivi uscenti in -o e senza plurale (Lüdtke 1970:42).
5 Per lo scioglimento delle abbreviazioni presenti in questo lavoro (es. HistTroya = Historia
de la destructione de Troya) si rinvia direttamente a Russo 2001a:7s. Le citazioni seicentesche e
settecentesche, quando non si citano fonti secondarie, sono frutto dello spoglio diretto dei seguenti testi, tutti pubblicati dalla casa ed. Benincasa, Roma: Domenico Basile, Il Pastor fido in
lingua napolitana (1628), ed. Clivio 1997; Andrea Perrucci, Agnano zeffonnato (1678), ed.
Facecchia, 1986; Nicola Corvo, Storia de li remmure de Napole (prima metà sec. XVIII), ed. Marzo, 1997; Anonimo, La Violeieda spartuta ntra buffe e bernacchie (1719), ed. Perrone, 1983; Nicolò Capasso, L’Iliade in lingua napolitana (1737ca.), ed. Giordano, 1989; Nunziante Pagano, La
vattaglia ntra le rranonchie e li surece (metà sec. XVIII), ed. Malato, 1989. Le citazioni dalla Cronaca del Ferraiolo, quando non tratte dallo studio di Coluccia 1987, si intendono ricavate direttamente dal testo (segue quindi indicazione di carta e rigo del manoscritto, secondo l’edizione).
Nel corso del lavoro si fa riferimento a inchieste dialettali condotte dalla scrivente nella sua zona
di provenienza (in particolare Pozzuoli, Monte di Procida, Procida, Ischia) dal 1997 al 2001; le
località indicate sono seguite, laddove è sembrato opportuno, dalla sigla della provincia (es.:
Cetara-SA). L’accesso alle inchieste non ancora pubblicate dell’ALI è stato possibile grazie alla
cortesia del prof. Lorenzo Massobrio, che qui si ringrazia.
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la e mura (in De Rosa anche deta), cantara e cofena si tratta di sostantivi in origine maschili aggregatisi al neutro: il fenomeno riguarda già in nap. antico la selezione del morfema plurale, come tradisce spesso l’accordo sintattico. L’evento
è di nuovo riscontrabile nelle carte latine. Infatti, a sottolineare la continuità tra
la categoria latina e quella semantica di neutro romanzo, si osservi che già nel
Codex Cajetanus si legge: «habeat introitum et exoitum [sic] da ipsa gradas
Johanni buffo» (anno 906) (De Bartholomaeis 1902-05:23). L’alternanza grado
‘gradino’ m.sing. ~ grade f.pl. ‘gradini’ sarà poi definitivamente del napoletano
moderno. Spiccano ancora una volta già nelle carte latine del Codex Cavensis
(De Bartholomaeis 1901:266) le attestazioni del morfema plurale -a congiunto
a sostantivi in origine maschili, ad es. «dua paria de otra caprina» ‘otri’ (anno
1031), ecc. (cf. §4).
Anche il tipo morfologico femminile singolare collettivo o «aumentativo» in a con orientamento alla lessicalizzazione non è privo di interesse. Esso, infatti, è
documentato in nap. antico (anche se in misura minoritaria) e riflette la sovrapposizione tra neutro plurale e femminile singolare, quest’ultimo con spiccata sfumatura semantica collettiva. Il risultato è la perdita del tratto morfologico di plurale: ma anche la conservazione del tratto semantico di collettivo (sui paradigmi
«eterogeni» e sul genere differenziale in relazione alla categoria del non individuato nei testi notarili mediolatini di area meridionale, cf. di recente Giuliani
2001-02). È stato più volte sottolineato che la desinenza del genere di fatto spesso funzioni come un affisso derivazionale (cf. García 1970:39).
La ricategorizzazione del neutro pl. -a (opposto a un m.sing. -o) come f.sing. è
pienamente funzionale e produttiva soprattutto in area iberica ed occitanica
(Kahane/Kahane 1949) e rappresenta per il napoletano il tipo minoritario.
Si intende in questa sede fornire un quadro dei processi di rianalisi classificatoria avvenuti in napoletano di forme relative a un genere neutro progressivamente
oscurato. La duplicità del morfema -a con traduzioni morfologiche di collettivo o
integrazioni nella classe di femminile singolare e plurale innesca infatti nuovi modelli oppositivi sul piano del genere. Le nuove opposizioni si basano sull’acquisizione del tratto semantico di collettivo, e il cambio di genere in coppie lessicali
semi-omonime (con la stessa radice) segnala la presenza di sistemi morfologici e
lessicali diseguali generati in seguito a differenti conversioni morfologiche e a
diversi processi di integrazione lessicale (cf. Giuliani 2001-02:219s.).
Il fenomeno delle alternanze nell’attribuzione del genere grammaticale va inquadrato nei cambiamenti strutturali e fono-morfologici che si verificano nella
transizione dal latino alle lingue romanze.
Nei paragrafi seguenti si esporranno gli strumenti descrittivi utilizzati nella classificazione e nell’interpretazione dei dati forniti nel corso del lavoro.
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1. Il nome, la declinazione e il genere
Il sistema flessionale del napoletano è basato sul meccanismo della metafonia e in
parte per la fase antica su quello delle vocali desinenziali (con un sistema di vocali atone finali già parzialmente oscurato: ad esempio, -e (cioè [@]) ⬍ i, -ae può essere sia maschile che femminile (cf. Formentin 1998:290; Russo 2001:466s.).
La metafonia si applica sia ai sostantivi semanticamente neutri (per ciò che
attiene al singolare) che a quelli maschili. In napoletano (antico e moderno) esiste
quindi una tripla opposizione morfologica nei sostantivi e negli aggettivi tra singolare ~ plurale ~ non contabile ( senza plurale o non pluralizzabile). L’assenza di
metafonia nei sostantivi semanticamente neutri, laddove è riscontrata, va ricondotta alla minore funzionalità morfologica di questi sostantivi che non risultano inseriti in schemi flessivi; «in un avverbio o in un sostantivo di materia non numerabile
la metafonesi non servirebbe infatti a distinguere il genere o il numero» (Formentin 1998:98).
Inoltre la metafonia gioca un ruolo anche nelle alternanze del tipo guveto ‘gomito’ ~ goveta f.pl. (in cui è riconoscibile l’antico neutro plurale); infatti, il morfema
sing.- m diventa un maschile metafonetico e il morfema pl.-a (l’antico neutro latino
o estensione del genere neutro) diventa un femminile non metafonetico (cf. Fanciullo 1994:577, N13).
Tra i riassestamenti morfologici avvenuti all’interno del sistema napoletano segnaliamo anche quello dei sostantivi femminili di IV declinazione latina o ad essa
aggregatisi. Questo tipo flessivo dà vita in nap. antico a una classe di indeclinabili
in -o per lo più femminili (escono in -o sia al sing. che al pl., Formentin 1998:298)
non soggetta a metafonia (senza alterazione della vocale tonica). Fanno parte di
questa tipizzazione morfologica, ad es., fico e mano. Il tipo morfologico in questione, assieme al dimostrativo neutro [-numerabile], al tipo arcaico e moderno in
-a e ad alcuni avverbi indeclinabili o non numerabili (avverbi non inseriti in un paradigma flessionale), non è soggetto a metafonia: se la vocale tonica non è passibile di metafonia, infatti, il sostantivo resta invariato.
2. I sostantivi neutri o di materia
Cominciamo la nostra analisi dai sostantivi semanticamente neutri, non tutti necessariamente collegati al genere neutro latino, ma tuttavia aventi un uso grammaticale
neutro; e seguiamone la distribuzione nella documentazione scritta napoletana medievale e nella letteratura dialettale riflessa dei secoli XVII-XVIII. La rifunzionalizzazione dei maschili latini come neutri romanzi è qui motivata sul piano semantico.
In napoletano antico e moderno risultano per lo più metafonizzati i seguenti sostantivi singolari non numerabili (cf. Petrucci 1993:44)6:
6 Anche ciento rientra in questa categoria (Merlo 1911/1934:89; Lüdtke 1965:491, N21;
Petrucci 1993:44): in G.B. Basile ciento (‘Ntroduzzione.24 e 84 ulteriori occ.) con sostantivi in-
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• argiento (materiale) Cronaca del Ferraiolo 96v 8, 100r 30, 100r 34 (e 4 ulteriori
occ.) e ariento 99r 6, 104r 7, 112v 26. Nella documentazione sei-settecentesca: argiento G.B. Basile (Giorn.1, tratten.7.21; e 32 ulteriori occ.); Perrucci I.13; Stigliola I.141; Capasso I.10 (cf. anche D’Ambra; Andreoli; Altamura);
• chumbo ‘piombo’ Petazza (con trattamento dialettale del nesso, Petrucci
1993:63s. e N196), ma anche pio⬍m⬎bo; piu(m)mo, chiu(n)bo Loise de Rosa
(Formentin 1998:127); piumbo Ferraiolo 100r 25. Nella documentazione seisettecentesca: chiummo G.B. Basile (Giorn.1, tratten.1.24; e 7 ulteriori occ.);
Perrucci VI.85; Capasso III.90 (cf. anche D’Ambra; Andreoli);
• fierro BagniR, BagniN, HistTroya, Petazza, Bozzuto, Romanzo di Francia (Petrucci 1993:44)7; Loise de Rosa (Formentin 1998:100); Ferraiolo 114v 29, 114v
29, 114v 29 (e 14 ulteriori occ., contro ferro 95v 11)8; e ancora G.B. Basile
(Giorn.1, tratten.5.18; e 23 ulteriori occ.); Dom.Basile I.1; Perrucci I.36; Stigliola II.111; Capasso I.99; Corvo I.17; (cf. anche D’Ambra; Andreoli; Altamura);
• fuoco HistTroya (De Blasi 1986:354); LibroAntichiFacti (Petrucci 1993:42
N54); fuocho, -i, fuoco ms. Riccardiano 2752 (Schirru 1995:121); fuoco Loise de
Rosa (Formentin 1998:109); fuco (con riduzione grafica del dittongo al suo solo
primo elemento, piuttosto diffusa nei testi napoletani antichi9) Ferraiolo 84r 3,
108r 1, 116r 25 (e 8 ulteriori occ.), ffuco 116r 43, 140r 6, 145r 11, contro foco 130v
15, 139v 9, 139v 1010; fuoco G.B. Basile (‘Ntroduzzione.24; e 73 ulteriori occ.; contro foco Giorn.2, tratten.2.6); Dom.Basile I.1; Stigliola II.70; Capasso II.93; ffuoco Dom.Basile I.2; Violeieda, Buffo 41; Corvo Pr. 25 (cf. anche D’Ambra;
Andreoli; Altamura);
• sivo ‘grasso’ Loise de Rosa (Formentin 1998:118); G.B. Basile (Giorn.1, tratten.2.11);
• uoglio G.B. Basile (Giorn.1, tratten.3.12; e 14 ulteriori occ.); ueglio (‘Ntroduzzione.2; e un’ulteriore occ.); uoglio Perrucci I.7; Capasso II.46; Pagano II.2111;
• vitro Loise de Rosa (Formentin 1998:121); vrito ‘vetro’ G.B. Basile (Giorn.1,
tratten.7.34; e 5 ulteriori occ.); brito Dom.Basile, III.1; Corvo I.35; vrito Perrucci VI.74; Capasso I.127 (cf. anche Andreoli; Altamura).
differentemente maschili e femminili; in due casi ricorre la forma cento (Giorn.5, tratten. 5.12; e
un’ulteriore occ.) con sostantivi femminili.
7 Forma non dittongata in BagniR, Cronaca di Partenope, Petazza.
8 Nel Ferraiolo ricorre anche il singolativo m. pl. fierre ‘ceppi, catene’ 119v 17. Cf. ancora fierre
m. pl. Capasso I.38.
9 Già Sabatini (1975:285 N128; poi 1993/1996:476s.) rileva «la frequentissima riduzione dei
dittonghi metafonetici ie e uo a i e u [. . .] dovuta a percezione diretta di una pronuncia in cui il
primo elemento del dittongo è fortemente accentuato». Per una discussione e i rinvii bibliografici sull’argomento cf., da ultimo, Russo 2001a:36.
10 Dittongano sempre in De Rosa fie(r)ro e fuoco, argiento (1 su 18), non dittonga oglio (Formentin 1998:98).
11 La forma oglio [-metaf.] in De Rosa potrebbe anche essere un maschile (Formentin
1994a:70 N79; 1996c:145 N25; 1998:98 N129).
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Abbiamo poi o viro ‘ovvero’ (ma overo, o veru, overu) negli Statuti di Maddaloni
(Matera-Schirru 1997:69); e poi in Loise de Rosa (Formentin 1998:118, accanto
a vero, overo, hovero, ib.:120) con significati semanticamente neutrali (Formentin
1998:118 N271; 120 N281)12.
La metafonia si applica sia ai sostantivi neutri che a quelli maschili, e la distinzione di un sostantivo neutro è affidata alla fonosintassi13, o alla presenza di un dimostrativo o di un aggettivo con vocale inalterata dalla metafonia, oppure alla
conservazione della laterale geminata etimologica in forma di articolo o preposizione (Formentin 1998:305)14.
Tra i sostantivi di materia nel Ferraiolo registriamo, senza poter definire se siano maschili o neutri, lo fuco 130v 16; lo pane 79v 38; lo terreno 101v 20; 133r 35; ma
appaiono neutri dello Vino 123v 22 (cf. quesso vino, con dimost. [-metaf.], Corti
1956, lxxvii); Torre dello Griecho 115v 9; Torre dello Grieco 150r 13; 150r 1815; il
nome astratto nostro male 79r 41 (agg. [-metaf.]); alcuni senza ripercussione sulla
vocale tonica. Anche l’aggettivo sostantivato largo appare neutro: allo largo ‘larghezza’ e ‘piazza’ 100v 8; 101v 10; 110v 8; non definibile innante lo largo 102r 4; 102r
10; per lo largo 115v 60. E così gli infiniti sostantivati: quello intrare 84r 15 dimostrat. [-metaf.]; questo sollevare 105v 3 dimostrat. [-metaf.]; questo calvaccare 112v
6 dimostrat. [-metaf.]; questo aspettare 133r 6 dimostr. [-metaf.]; allo intrare 101r 18;
149v 18; allo levare 79v 32; allo portare 100r 16; agli infiniti aggiungiamo allo presente 133r 1016.
12 Cf. l’astratto viro ‘la verità’ HistTroya (De Blasi 1986:357; accanto a vero, con lo stesso significato).
13 Secondo Fanciullo (in preparazione), il genere neutro (correlato al raddoppiamento fonosintattico con gli opportuni articoli e determinatori), se molto vivace in Campania, è piuttosto recessivo sul lato adriatico, dove resiste per lo più in forme cristallizzate; tanto che in alcuni casi è in
atto un processo di conguaglio tra genere maschile e neutro che porta alla generalizzazione della
geminata iniziale a tutti i sostantivi non femminili purché preceduti da articolo (così ad es. a Bari).
14 La geminata di ille si conserva in nap. antico nelle preposizioni articolate, cf. Formentin
(1994a:85s.; 90; 1998:318); si veda anche Loporcaro (1991:279-308; 299, N16) e Rohlfs (§175).
Osserva Formentin 1994a:47: «Di norma . . . la conservazione della geminata di ille nell’articolo femminile plurale e neutro non è rilevabile nelle forme semplici (le do(n)ne, lo pane, come lo
figlio, la figlia, ly figlie) ma solo nelle preposizioni articolate (delle do(n)ne, dello pane, di contro
a de lo figlio, de la figlia, de ly figlie)».
15 La preposizione articolata, che ritroviamo in To(r)re dello Grieco (De Rosa), conferma l’ipotesi della derivazione di questo toponimo dal nome della qualità di vino detta ‘greco’ (Formentin 1998:305 N895).
16 Formentin (1994a:52; 1998:305) scheda come neutri i collettivi di materia argento, fierro,
fuoco, grano, musto, pane, pesce, te(r)reno, venino, vino, vitro; i nomi astratti bene, male, insulto e
du(m)manio ‘insieme delle proprietà del sovrano’; i participi passati; alcuni aggettivi sostantivati (meglio, largo); alcune espressioni avverbiali, come allo meno, allo postutto, allo presente; gli infiniti sostantivati. In Mussafia (1884:Glossario) troviamo chesto affare, dimostrat. [-metaf.].
Quanto alla situazione nel Ferraiolo, cf. Formentin 1994a:87: «per il masch. e il femm. sing. è bene
attestata la presenza, anche se quasi sempre minoritaria, delle forme con l scempia, le preposizioni articolate femm. plur. e neutre presentano senza eccezione ll».
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Da Formentin 1994a:61s. estraiamo appena qualche esempio relativo al nap.
antico. Per ad illud: allo ma(n)yare, allo fugire (e molti altri esempi di infinito sostantivato) HistTroya; allo fuoco, allo te(r)reno, allo bene paterno Loise de Rosa.
Per cum illud: collo quale [venino] HistTroya. Per de ab illud: dallo troppo bevere BagniR; dallo falzo HistTroya. Per de illud: dello grano BagniR; dello grano
BagniN; dello dicere, dello male, dello bene Loise de Rosa. Per in de illud: indello greco LibroAntichiFacti; dello loro parlare, dello meglio de Italia Loise de Rosa.
Il lessema sangue è maschile negli esiti odierni della zona che ci interessa
(Rohlfs 1966-69/2:419; AIS 88). Per le fasi antiche: negli esempi del Ferraiolo non
è definibile il genere in lo sango 79v 29; 143r 5; con lo sango 143r 4. Anche in HistTroya compare quillo sangue (Formentin 1994a:52, N36), col dimostrativo maschile metafonizzato; e in De Rosa de lo sango, de lo sangue (non *dello sango,
*dello sangue) (Formentin 1994a:40).
Diversamente dal napoletano antico, in cui non si distingue nelle forme semplici l’articolo maschile da quello neutro, i sostantivi collettivi, negli esiti locali odienui, possono accordarsi con un articolo neutro, distinto dal maschile (Fanciullo
1988:680; Formentin 1994a:209s.)17.
Nelle zone in cui le vocali finali hanno raggiunto il conguaglio, spesso l’articolo
continua a designare il genere (ad es. a Procida, Monte di Procida); inoltre, il raddoppiamento fonosintattico si applica al sostantivo di materia. Il napoletano non
distingue tra -o e -u finali (per una sintesi della questione si rinvia in nota18). Tra i
17 Cf. Zamboni 1998d:140; Vignuzzi/Avolio 1991:649; per una sintesi del dibattito precedente, Avolio 1996:296-337; Castellani 2000:260. Si vedano almeno le carte AIS 354; 403; 408; 936;
1075; 1185; 1201; 1340. Sembra interessante notare che dai dati AIS 1340 (‘il vino è buono’) si
evince che vino è maschile in tutta la Campania e neutro in Puglia dove però si usa il lessema
me%ru preceduto da RF [r@’m:iQ@]. Questo stesso tipo è presente anche nell’Irpinia orientale:
[r@’m:ieQ@], [r@’m:IeQ@’nieveQe] (e cf. Nittoli 1873 s.v. miero). Si tratta di avamposti occidentali
di lessico di tipo chiaramente sud-orientale, cf. Fanciullo 1988:684. Cf. Formentin 1994a:209: «al
tipo masch. sing. lu (u), femm. sing. la (a), masch.plur. li (i) si contrappone il tipo femm. plur. re
(ri), neutro re (ro, ru)». A Cetara-SA, Ravello-SA, Scala-SA e altrove, alcuni sostantivi femminili (nomi collettivi o astratti) subiscono un metaplasmo di genere, dal femminile al neutro, col conseguente raddoppiamento fonosintattico: ad es. [o’k:aQt@] ‘la carta’ (Avolio 1996:313). Il fenomeno è legato anche al valore «aumentativo» del genere, v. infra (cf. Hasselrot 1950:135s.; 146;
Malkiel 1977/1983:162), frequentemente assegnato al femminile, ma alcune volte anche al maschile.
18 Sull’ipotesi della reintroduzione analogica di -u finale, cf. Vignuzzi 1994:343; la -u finale dei
sostantivi non è ereditaria, ma reintrodotta analogicamente a partire dall’articolo che non sarebbe passato a lo per non confondersi con la forma neutra. Il neutro dell’articolo determinativo segnala una «marca specifica dei sostantivi senza plurale». Zamboni (1998d:140) parla di una
rianalisi in maschile (numerabile) e neutro (non numerabile), a partire dall’opposizione $llu ⬎
lu m. ~ $llud ⬎ lo neutro che riguarda una larga fascia dell’Italia centro-meridionale e dell’Iberia settentrionale (Asturie) (sul problema della qualità della /-u/ finale, cf. le tesi contrapposte del
Merlo 1906:448s.; 1920:233 con la trafila ipotizzata -u ⬎ /-u/, - , - ⬎ /-o/; e del Rohlfs 196669/2:419, 449, 456, 456, con la trafila -u ⬎ /-u/, -u/- ⬎ /-o/). Per la distinzione della velare finale
(-u/-o), in riferimento all’evoluzione fonetica, ipotesi diffusa (Rohlfs 1966-69/2:456; Lüdtke
1965:488; 1970:41s.; 1988:62s.; Castellani 2000:260 e N18) è che la caduta di -m avrebbe provo-
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Michela Russo
continuatori di $llum la vocale -u è ben conservata già nei testi centro-meridionali del XIV-XV sec., ma priva di valore distintivo tra maschile e neutro (MateraSchirru 1997:72 N25; Corti 1956:cxliv; Coluccia 1992:217s.)19. Secondo MateraSchirru (1997:72 N27), la -o potrebbe costituire, nei testi suddetti, un’innovazione recente delle zone metafonetiche20.
Veniamo ora alla strategia di individuazione del sostantivo neutro attraverso i
dimostrativi non metafonizzati. I dimostrativi soggiacciono in Italia centro-meridionale alla tripartizione del genere da cui discende il meccanismo metafonetico
in quelli maschili (Rohlfs 1966-69/1:145, 147; ib./2:494; Merlo 1920:133; Vignuzzi-Avolio 1991:650).
Nel nap. antico e nella letteratura dialettale riflessa esiste un sistema di pronomi e aggettivi dimostrativi a tre gradi di vicinanza (Formentin 1998:333; Rohlfs
1966-69/2:494; Lausberg 1971:740; Vignuzzi/Avolio 1991:650): eccu $stu, eccu
$psu, eccu $llu21. Successivamente in napoletano è avvenuto un processo di semplificazione tra le prime due forme per cui l’uso funzionale di chisso ⬍ eccu $psu
è diminuito a favore di chisto, anche se per un periodo deve esserci stata una sovrapposizione (Capozzoli 1889:211s.; Rohlfs 1966-69/2:464)22. Dalle mie inchiecato un allungamento di compenso della /u/ precedente; se il latino non aveva nessuna -m il risultato doveva essere -o. In seguito a questo fenomeno, u della desinenza -um si è trasformata in
- . $llum ⬎ *$ll ⬎ lu. Altrimenti, la u nel caso di $llud non si allunga e si ottiene o: $llud ⬎ lo
(cf. anche Avolio 1996:322s.). Nell’area mediana che distingue o e u finali (cf. Merlo 1920:117;
233-235; 262s.; Vignuzzi 1988:622-625; 1992:594-595; 1994:336-337 e N20; 343; 359; VignuzziAvolio 1991:655; Avolio 1995:66; Castellani 2000:260), il gruppo nominale distingue sia il nominale collettivo che termina in -o (il maschile in -u), che l’articolo (lu/lo). I dialetti mediani dell’area aquilana mantengono la distinzione tra -u ed -o finali altrove per lo più confluita in
/o/ e reperibile mediante altre strategie: raddoppiamento fonosintattico, metafonia, grazie
appunto alla categoria neutrale. Per una distinzione in zona marchigiana umbra romanesca vedi
anche Merlo 1934:58-60.
19 In un testo edito da Romano (1985), probabilmente di area cassinese-campana settentrionale (il «detto» dei tre morti e dei tre vivi), il dimostrativo non presenta alternanza della tonica
a seconda del genere, e la forma neutrale questu (ib.:415) presenta u finale alla pari del maschile ed «è più che dubbia l’esistenza di un’opposizione maschile / neutro, dato -u nei sostantivi di
materia» con gli ess. di auru, argentu, ecc. Formentin (1994b:100s.) studia le relazioni tra metafonia e distinzione delle vocali finali u/ e in un antico volgarizzamento meridionale della
Regola di San Benedetto.
20 Matera-Schirru 1997:72 osservano la conservazione di -u nell’articolo maschile, maggioritario rispetto a lo neo-neutro.
21 In area umbra, Castellani 2000:260 N18 riporta dallo Statuto dei Disciplinati di Porta
Fratta di Todi (il più antico testo todino in prosa, primo Trecento) quello neutro, accanto a quillu
maschile; per il maschile di ‘questo’ rileva solo forme in -o, quisto, ma il neutro non presenta mai
la vocale metafonizzata: questo; il che, osserva Castellani, mostra che questa -o è originaria.
22 Si veda la testimonianza del Capozzoli 1889:212:«E bisogna notare finalmente che le voci chesto, chesso e chello si adoperano per significare chesta cosa, chessa cosa e chella cosa [con ess. di Cortese, Fasano, Stigliola], benché alcuni le abbiano usate come semplici aggettivi». Que- sti gli usi aggettivali illustrati da Capozzoli 1889: chesto grieco ‘questo vino’ (con es. di Pagano), chesto lignammo ‘questo legno’ (con es. di Vottiero), cchello poco ‘quel poco’ (con es. di Cortese), chell’oro ‘quell’oro’ (Mormile). Essi non sono metafonetici e si accompagnano a sostantivi non pluralizzabili.
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
125
ste risulta tuttavia che il sistema dei dimostrativi a tre gradi di vicinanza si conserva ancora oggi almeno a Forío d’Ischia23.
Quanto ai dimostrativi in nap. antico, dalle voci del Glossario di De Blasi 1986
si deduce il seguente uso per ‘codesto’: m.sing. quisso e chi- (quisso re), m.pl. quissi (quissi nuostri nemici); f.sing. quessa e che- (quessa vostra opinione). Non sono
rilevate, nel Glossario, occorrenze di neutro. La tripartizione tra dimostrativi maschili, femminili e neutri è rispettata nelle due redazioni dei Bagni (Petrucci
1973:255)24.
Si veda poi il quadro offerto da Schirru 1995:152s. per il ms. Riccardiano 2752.
In particolare, in uno dei copisti è ben osservabile la forma tripartita dei continuatori del tipo eccu $stu quisto (pl. -i) m. ~ questa (pl. -e) f. ~ questo neutro (meno
definita è la situazione per il tipo eccu $llu). Il tipo eccu $psu è rilevabile in
q(ui)sso m.sing.25
Il sistema a tre gradi è anche di Loise de Rosa (Formentin 1998:122s. e N296; 333335). Per il neutro, le forme sostantivali sono chesto, chesso, chello (e czò); quelle
aggettivali chesto e chello. Nel Ferraiolo abbiamo invece un sistema con due dimostrativi, ‘questo’ e ‘quello’ (manca cioè il dimostrativo chisso ~ chissa ~ chesso)26.
In quest’ultimo testo il pron. e agg. neutro non metafonizzato questo compare,
globalmente, 103 volte. Trascuriamo casi banali, segnalando invece, perché particolarmente frequenti, gli usi pronominali in frasi come le seguenti, introdotte da
un gerundio: vedenno questo 84r 6, adonannose de questo ‘accorgendosi di ciò’ 123r
3, penzanno a questo 105r 26; o in espressioni del tipo questo fo de dì de festa ‘ciò
accadde nel giorno di festa’ 95r 12. Va segnalata inoltre la locuzione in questo ‘allora, in quel momento’ 79r 4; 84r 21; 97r 19; ecc. Quanto all’agg., esso risulta neutro e [-metaf.] quando si accompagna ai sostantivi astratti ‘impaccio’, ‘tempo’ e ‘regno’: tutto questo inpazio ‘impaccio’ 79v 25; in questo tienpo 80r 1; questo Regnio
148r 5; agli infiniti sostantivati questo sollevare 105v 3; questo calvaccare ‘cavalcare’ 112v 6; questo parllare 132r 10, questo aspettare 133r 6.
Schematicamente, abbiamo poi il m.sing. metafonetico quisto: agg. quisto
triunfo 84v 927; pron. quisto andò 115v 50; il m.pl. quiste: agg. quiste fante 84r 13;
pron. et quiste [. . .] se intitolaro 84v15; il f.sing. questa: agg. questa vita 89v 1, questa montava un gran dinare 102r 14; il f.pl. queste: sempre agg. queste ditte confratarie 100r 1.
23 Anche Mussafia 1884 fornisce per il napoletano una spiegazione di tipo semantico per ciò
che concerne la categoria neutrale: i neutri in quanto non pluralizzabili sono privi di metafonia
per influsso di -i finale; sarebbe mancata al singolare la spinta analogica dalla quale si sarebbe
avuto il processo metafonetico nei singolari. Per i neutri e per gli indeclinabili cf. ancora Mussafia 1884:517.
24 Ad eccezione di un maschile questo [-metaf.] in BagniN segnalato da Petrucci 1975:255 e
da Corti 1956:lxxviii.
25 Nell’Epistola napoletana del Boccaccio troviamo la forma neutrale chesso ‘codesta cosa’
(cf. Sabatini 1983/1996:462 N30).
26 Per ulteriori osservazioni si rinvia a Coluccia 1987: Glossario.
27 Oscillazione quisto / questo almeno nei seguenti casi: quisto dì 99r 10 / questo dì 115v 27.
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Michela Russo
Quello è quasi sempre usato come pron. (prima occ.: 94r 30), tranne che nel contesto neutro e [-metaf.] quello intrare 84r 15, in cui si riferisce, come aggettivo, a un
infinito sostantivato. Si segnalano inoltre i non banali casi neutrali dovuti ad aggettivi sostantivati (in quello bello ‘sul più bello’), a preposizioni (in quel mezzo 79r
25), a sostantivi astratti (in quello de Piacenza ‘nel territorio di Piacenza’ 119r 7).
Le altre forme risultano maschili metafonizzati: m.sing. quillo: agg. quillo dì
‘quel giorno’ 89v 16; pron. quillo de Capacze ‘quello [il conte] di Capaccio’ 84v 17;
il m.pl. quille: agg. quille cinco gintili ommini 84v 20; pron. uno de quille 84r 22, ma
quelli in ttutte quelli 79r 11, quelli turchi 79r 17; f.sing. quella: agg. quella giente 79r
2, pron. alla clemencia de quella 94r 32; f.pl. quelle: agg. quelle casematte 105r 40,
pron. con quelle 114r 6.
La tripartizione rilevata in De Rosa (ma, come abbiamo appena visto, assente
nel Ferraiolo) è ben visibile in G.B. Basile. Ci si limita qui a scegliere, tra i tanti possibili, per eccu $psu l’es. di neutro sentette chesso ‘sentì ciò’ (Giorn.1, tratten.7.15;
e 16 ulteriori occ.), che alterna con il m. chisso28 e con il f. chessa29. Per eccu $llu
chello [-metaf.] (si fai chello che divi, Giorn.4, tratten.5.1630; chello poco, Giorn.5,
tratten.1.3)31, che alterna con il m. [+metaf.] chillo32 e con il f. chella33. Per eccu $stu
chesto [-metaf.] (’nteso chesto, Giorn.1, tratten.4.18; chesto parlare, Giorn.1,
tratten.7.9)34, che alterna con il m. [+metaf.] chisto35 e con il f. chesta36.
Quanto ai restanti testi letterari sei-settecenteschi, ricaveremo i dati di questo
paragrafo spogliando campioni relativi a Cortese (le parti in prosa e il primo canto della «Vaiasseide», del 161537), Perrucci (la Dedicatoria), Pagano (entrambe le
Dedicatorie).
Per Cortese, ricaviamo l’intero paradigma per tutti i dimostrativi:
eccu $stu m.sing. «chisto deve essere lo cchiù granne ommo» Vaiass.Lett.4; m.pl. «a chiste, sì,
falle lo peo che puoie» Vaiass.Lett.16; f.sing. «chesta canzona» Vaiass.I.8; f.pl. «cheste [Vaiasse]
fanno» Vaiass.I.16; neutro «e chesto è niente» Vaiass.Lett.4; eccu $psu m.sing. «chisso nc’era
28 Anche qui un es. di pron.: «chisso se cannareia» (Giorn.1, tratten.7.14); e uno di agg.: «chisso cuoiero» (Giorn.1, tratten.5.6).
29 Pron.: «portate chessa pe memoria mia» (Giorn.1, tratten.1.22); agg.: «chessa arte lorda»
(Giorn.2, egloga.6).
30 Ma anche «chello proverbio», m. (Giorn.4, tratten.7.8).
31 Per gli esiti non metafonetici di poco, cf. §5.
32 Pron.: «simele a chillo» (Giorn.1, tratten.1.17); agg.: «chillo denucchio» (Giorn.1, tratten.3.3); ma cf. anche «chillo grasso», con sost. non numerabile (Giorn.2, tratten.2.17); il termine
grasso, tuttavia, è già menzionato in precedenza nel testo; «chillo sango» (Giorn.2, tratten.5.33;
Giorn.4, tratten.9.4).
33 Pron.: «chella s’accosciaie» (Giorn.1, tratten.1.25); agg.: «chella casa» (Giorn.1, tratten.2.4).
34 Ma «chesto effetto» (Giorn.1, tratten.6.16); tuttavia il nap. affetto, effetto potrebbe essere di
genere neutro in quanto facente parte della categoria degli astratti.
35 Pron.: «comm’a chisto» (Giorn.1, tratten.1.9); agg.: «chisto cuorvo» (Giorn.4, tratten.9.4).
36 Pron.: «chesta sia ‘n capo de lista» (Giorn.1, tratten.6.24); agg.: «chesta via» (Giorn.2, tratten.3.11).
37 Per alcuni esempi è stato necessario risalire oltre il primo canto.
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
127
depinto» Vaiass.V.10; m.pl. «nesciun autro de chisse» Vaiass.Lett.8; f.sing. «chessa cosa»
Vaiass.I.2; f.pl. «chesse cose» Vaiass.I.33; neutro «tu dice chesso» Vaiass.II.10; eccu $llu m.sing.
«a chillo» Vaiass. Lett.7; m.pl. «chille a chi se dedecano l’opere» Vaiass. Lett.4; f.sing. «chell’acqua» Vaiass.I.3; f.pl. «chelle bone stasciune» Vaiass. Lett.11; neutro «chello che l’è ‘mpromisso» ‘ciò che gli hai promesso’ Vaiass.I.31.
Lo schema tripartito è facilmente osservabile anche negli altri autori:
eccu $stu m.sing. «chisto avea sopierchio tiempo» Perrucci Ded.22; «chisto vuosto sospietto»
‘quel vostro sospetto’ Pagano Ded.I. 4; m.pl. «da chiste» Stigliola I.6; f.sing. «chesta è stata na
cetate» ‘questa è stata una città’ Perrucci Ded.17; «la meglio meglio nne sia chesta» ‘la migliore
sia proprio questa’ Pagano Ded.II.1; «se scoprevano cheste» Stigliola I.25; neutro «pe cchesto»
‘perciò’ Pagano Ded.I.4; eccu $psu m.sing. «chisso beiaggio» ‘questo viaggio’ Perrucci I.35;
m.pl. «chisse so’ canosciute» ‘questi sono conosciuti’ Perrucci Ded.14; «tutte chisse» Pagano
Ded.I.7; f.sing. «chess’acqua» Perrucci I.4; f.pl. «tutte chesse» Pagano Ded.I.7; neutro «e si fosse chesso» ‘e se ciò fosse’ Perrucci Ded.10; eccu $llu m.sing. «chillo c’ha ffatto na gran fatica»
Pagano Ded.I.5, «chillo componemiento» Pagano Ded.I.5; m.pl. «tutte chille» Perrucci
Ded.15; f.sing. «e cchella pace» Pagano Ded.I.9; f.pl. «’n miezo a chelle» Stigliola I.17; neutro
«tutto chello che n’è de nesciuno» Pagano Ded.I.5; neutro «tutto chello che trovarrite scritto»
Perrucci Ded.19.
Vanno poi aggiunti i casi di chílleto ‘quella cosa (per indicare qualcosa di cui non
si ricordi esattamente il nome)’ ~ f. chélleta (l’alternanza è in Cortese, Malato
1967: Glossario; e poi almeno in «chilleto loco» Pagano Ded.I.4 contro «chelleta
napoletanesca» Pagano Ded.I.6).
3. Le desinenze di IV declinazione latina
Per l’area napoletana, la vocale -u, in una fase precedente al conguaglio, è regolare nei sostantivi derivanti dalla IV declinazione (Matera/Schirru 1997:72 N27;
Formentin 1994b:107 N32; Romano 1985:416; Petrucci 1973:254).
A Ischia, Procida e Monte di Procida metafonizzano anche i nomi femminili della IV declinazione latina o ad essa aggregati: a Serrara Fontana [a’mEn@] ‘la mano’,
[e’m:En@] ‘le mani’ (Freund 1933:2; Formentin 1998:97 N126; sull’evoluzione dei
nomi di IV, cf. anche Maiden 1997:70)38. Questo tipo flessivo sopravvive piuttosto
bene in alcune aree dell’Italia meridionale (Rohlfs 1966-69/2:354, 367)39 e dà vita
in nap. antico a una classe di indeclinabili in -o per lo più femminili (Formentin
1998:298) non soggetta a metafonia. Fanno parte di questa tipizzazione morfologica, ad es., fico e mano. Negli antichi testi centro-merid. rileviamo almeno fico
Le mie inchieste confermano questi dati.
La desinenza -us della quarta declinazione ha un valore fonetico diverso dalle desinenze
-us e -um della seconda (cf. Rohlfs 1966-69/1:7; ib./2:354; Lausberg 1971:657-662). Non mancano
metaplasmi dalla IV alla I declinazione, attestati già in epoca tardo-latina (Rohlfs 1966-69/2:354;
Lausberg 1971:658): cf. in nap. antico e moderno il tipo nora e socra. Inoltre, si ricorda che i maschili e i neutri di IV declinazione sono per lo più confluiti nei maschili di II declinazione.
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f.sing. in P. J. De Jennaro (Corti 1956:Glossario) e nella Storia naturale del Brancati (Barbato 1998:Glossario), f.pl. nel Regimen Sanitatis (Mussafia 1884:543),
ancora nei volgarizzamenti di Brancati (Aprile 2001:Glossario), nello Gliommero di P.J. de Jennaro fico secche (verso 215 dell’ed. Parenti 1978:365); in Cortese
(Malato 1967:Glossario); G.B. Basile (Petrini 1976:Glossario); aggiungiamo da
parte nostra «le fico pallare» ‘varietà di fichi’ che abbiamo rinvenuto in Dom.Basile II.1. Accanto alle forme indeclinabili anche quelle declinate (che possono coesistere nello stesso testo, come accade in Brancati: Aprile 2001:Glossario): fiche
f.pl. (nel Conto delle Fuste di Policastro, Luongo 1981-83:247)40.
Quanto ai dialetti moderni, la forma indeclinabile è nel Cilento, a CastellabateSA e a Vallo-SA (Rohlfs 1966-69/2:367; 1937, 435).
Il tipo le mano f.pl. (su cui Rohlfs 1966-69/2:354, 367; cf. anche Lüdtke
1965:491-493) ricorre, nei testi antichi merid., almeno nel ms. Riccardiano 2752
(Schirru 1995:158), in Lupo de Spechio (Compagna 1990:Glossario), in Loise de
Rosa (Formentin 1998:298), nel Ferraiolo (Formentin 1988:141 e N21)41, nei volgarizzamenti del Brancati (Aprile 2001:Glossario); poi in Cortese (Malato 1967:
Glossario), G.B. Basile (Petrini 1967: Glossario)42.
Un ulteriore indeclinabile è aco f. sing. e pl. (su cui Rohlfs 1966-69/2:354; LEI
1:558), che si riscontra nel Moamin nap. (Glessgen 1996:907: acu) e in Loise de
Rosa (Formentin 1998:298 e Glossario, con gli ulteriori rinvii cinquecenteschi ivi
indicati).
Solo un cenno per capo, soro e nomo f., che si sono uniti a questo tipo flessivo
(Formentin 1998:298).
In Ferraiolo il sost. capo sembra m. pl. nei seguenti casi: li capo de squatre ‘i
capisquadra’ 79v 143; li capo nustre 127r 5 (ma anche li cape 138v 10). Sing. m. lo fe’
capo 79r 37; lo capo 146v 12; dall’ uno capo all’autro ‘punto’ 101v 11; da uno capo
della montagnia 114v 7-114v 8; allo capo della Rua Catalana 116r 25-116r 26.
Il metaplasmo di genere è diffuso tra i nomi neutri in -men44.Il tipo metaplastico nomo f. (Rohlfs 1966-69/2:353) è in HistTroya (De Blasi 1986:Glossario; nello
stesso testo anche f.pl., cf. Formentin 1998:298, N868), in BagniR (nomu, Petrucci 1973:254), Loise de Rosa (Formentin 1998:298; si alterna con il m., ib., Glossario); nel ms. Riccardiano 2752 (Schirru 1995:158)45. In Ferraiolo nomo 136r 1, 136r
18 è maschile nei due casi in cui il genere può essere stabilito con certezza, ma nel40 Secondo Luongo (1981-83:247) si tratta di un metaplasmo dalla IV alla I declinazione. Cf.
anche Rohlfs 1966-69/2:382; AIS 1289.
41 Sicuramente pl. mano 79r 2; 79v 32; 79v 45 ecc.
42 Per la documentazione del tipo al pl. nel Cilento (Omignano-SA; Torre Orsaia-SA) cf.
Rohlfs 1937:435.
43 In De Rosa le capoescuatre, ly capoesscuatre, e ly capoescuate; secondo Formentin (1998:300
N877) «il primo elemento (capo-) potrebbe essere tanto sing. che plur.».
44 Confluiscono nel femminile anche i sostantivi in -ame, -ime, -ume (Rohlfs 1966-69/2:385;
ib./3 1087-1089; Formentin 1998:302s.).
45 Nello Gliommero di P.J. De Jennaro si ha nomo per nomo (Parenti 1978:355).
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
129
lo stesso testo ricorre, con solo metaplasmo di genere, anche la nome 94v 16, 94v
21 (Coluccia 1987:Glossario; cf. in HistTroya, quella nomme, De Blasi 1986:Glossario)46. Si tratta di un metaplasmo di declinazione; la voce si è aggregata agli
indeclinabili di IV, «con metaplasma di genere comune ai neutri in -men». Il
maschile, come spiega Formentin (1998:296 e N868), è l’adattamento di un
femminile precedente, secondo la trafila nomen ⬎ la nome, in seguito con aggregazione alla IVa ⬎ la nomo.
Per quanto riguarda il tipo meridionale la soro, le soro, Formentin (1998:97 e
N126; cf. anche Rohlfs 1966-69/1: 7) segnala come foneticamente regolare, nei testi antichi, l’assenza di metafonia; infatti il sing. soro deriva da soror. Il tipo si è
poi aggregato ai continuatori della IV declinazione (es. aco, mano)47. Anche negli
Statuti di Maddaloni si trovano soro e consoro (Matera/Schirru 1997:68 N10); ma
in Ferraiolo sua sore 89v 29; 90r 8; 150v 29. Loporcaro (1988:233; cf. anche Merlo
1920:142, 168) inoltre ricorda, a sostegno del fatto che il sing. soro non risale a una
forma ricostruita *sorus (ipotesi di Rohlfs 1937:426, 435), che altrove in Italia
meridionale sopravvive lo schema imparisillabo soror/sorores48.
4. Plurali collettivi in -a
Le forme neutre latine in -a aventi valore collettivo appaiono in napoletano antico talvolta rifunzionalizzate come femminili singolari, con implicazioni nuove sul
piano morfologico, semantico e lessicale. In latino è attestato l’uso del neutro plurale in -a con valore di collettivo (plurale morfologico loci; plurale collettivo loca);
la scelta del plurale di tipo paradigmatico è guidata da criteri semantici. Quello
che sembra rilevante è che a uno dei tre generi latini possa essere associato il valore di collettività o di materialità (Wartburg 1921:51-55; Spitzer 1941:339s.;
Kahane/Kahane 1949:168; Hasselrot 1950:143; «Gender as a derivational device», García 1970:39; Arias Cabal 1998:38; Giuliani 2001-02:131)49. Il tipo morfologico femminile singolare collettivo o «aumentativo» in -a (Wartburg 1921:51s.;
Hasselrot 1950:136; Kahane/Kahane 1949:135; Malkiel 1977/1983:156s.) con
orientamento alla lessicalizzazione è documentato in nap. antico (in misura largamente minoritaria) e riflette in alcuni casi la convergenza tra neutro plurale e
femminile singolare (neutro pl. f. sing.): in De Rosa abbiamo testemonia ‘testi46 Inoltre, cf. Corti 1956:cxlvii; Compagna 1990:209. Nell’Epistola napoletana del Boccaccio
(1339) troviamo nuome (riga 25) dovuto a ipercaratterizzazione.
47 Freund 1933:8 registra al sing. [a ’mEnaQ@’Qit:] ‘la mano destra’ e [a ’mEna :maʮk] ‘mano
sinistra’ (cf. Barry-Russo in stampa).
48 Cf. tuttavia Castellani 2000:313: «il tipo soro, suoro, sing. e plur., anche senese e tosc.or.,
risale al lat. volg. *sorus, foggiato su socrus e nurus, da cui in campano mer., calabrese, salentino, siciliano soru [suoru] sing. e plur.». Cf. anche Rohlfs 1966-69/2:354, 367.
49 García 1970:39: «It has been pointed out more than once that gender, by and large, actually functions like a derivational affix».
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monianza’50, canaglia, leona, membra f.sing. ‘membro virile’51; nel Ferraiolo vittoaglia f. sing. ‘vettovaglia’ 141v 16, che è anche in De Rosa (vettoaglia, vettuaglia
«con più spiccata sfumatura semantica collettiva»); marmora, -ura ‘marmi’ De
Rosa (Formentin 1987:66; 1998:291); la marmora anche in P.J. De Jennaro (Corti 1956:cil)52. Il risultato è la perdita del tratto morfologico del numero, il mantenimento del tratto semantico di collettivo e la rifunzionalizzazione del neutro nella classe femminile omofona.
Una vera e propria desinenza di neutro plurale collettivo, tuttavia, emerge dal
tipo ‘braza tagliata’ o ‘la denocchia’ (nel caso specifico, lessico «duale»). Ci limitiamo qui a riportare qualche esempio tra quelli raccolti in Formentin 1998:292
N844 (cf. anche Formentin 1994a:213 e N182): la accidencia tucte BagniN; a multi
erano braza taglyata, la deta, quella mura [. . .] frabicate53, co. la puyna ‘pugni’ se batteva la face, sopervennero la trona ‘tuoni’ HistTroya; (con) la bracia aperta, stava
i[n] te(r)ra (con) la denochia inuda ‘le ginocchia’, mura forte auta e spisse ‘con mura
molto alte e spesse’, piede de melania (con) pera e ‘n auto erano l’accerva e pe.
te(r)ra erano la matura Romanzo di Francia; cerasa da epsa Cerer(e) sono chiamata LibroAntichiFacti; beloccola de ova b(e)n(e) netta (et) miettele ad uno pignato
nuovo ‘tuorli d’uovo’, no tocar(e) colle mano la ditta ova Petazza; mirabile mura
Cronaca di Partenope; lla languide ossa Lettera del ms. It. 1035; fazza alla puyna
‘faccia a pugni’ ms. Riccardiano 275254.
Con significato collettivo e accordo plurale segnaliamo dal Ferraiolo reparate se
avevano quella canaglia 79r 52 (cf. Rohlfs 1966-69/3:1063); quella canaglia et homine dannate, per loro costritte, se mesino a ffoire 79v 5-6. Infine, in Loise de Rosa
e nel Ferraiolo (79v 14; 84r 12; 139r 12) la mura ‘cinta muraria’; nel Ferraiolo anche le mura 79v 11; 84r 10; 84r 19 (e 3 ulteriori occ.); le mmure 129v 7 (2 volte); in
HistTroya la mura (De Blasi 1989:56 e N47-48)55; in Ferraiolo le bracia 116r 23;
142r 9; 142r 11 (e 2 ulteriori occ.); alle bragia 140v 10; doye castella 139r 156; canta-
50 Cf. in BagniR tre bocche testemonia fanno plu fermi e belli riferito da Formentin 1998:291
N843. La ricategorizzazione al f. sing. per il neutro pl. testimonia in altamurano è rilevata da Loporcaro 1988:235.
51 Ma anche mienbro (cf. Formentin 1998:101; 104; 291).
52 In BagniR un es. di neutro plurale interpretato come singolare: si alcune male happesse la
tua cute, / per chisto ba(n)gno tucta ce l’astute (Formentin 1994a:216).
53 In Bozzuto mure f.pl. (Coluccia 1992:307).
54 In generale, i neutri di IIa declinazione che conservano i plurali in-a in Italia meridionale non
sono pochi (Rohlfs 1966-69/2:368; Formentin 1988:154; 1994a:213; 1998:294). In De Rosa anche
centenara, migliara, ova, gr. ‘grana (tipo di moneta)’, olimenta, deta, ecc. (Formentin 1998:294).
55 Cf. Formentin 1998:291: «Per la mura . . .‘cinta muraria di una città’ si può pensare a una vera e
propria forma fossile di plurale neutro con significato collettivo, cioè a un *illa mura, com’è segnalato sintatticamente dall’accordo al plur. del verbo e del predicato nominale». In Ferraiolo anche
muro muro 109r 3; muro 123r 24; 130v 9 ‘la parete’; in De Rosa lo muro (Formentin 1998:294, N851).
56 In Capozzoli 1889:62 castiello m. sing. ~ m. pl. castielle (con es. di Sarnelli) e ccastella f.pl.
(con es. di Quattromani). In G.B. Basile m.sing. castiello (‘Ntroduzzione.8; e 12 ulteriori occ., compresi i topon.); al pl. solo castielle m.pl. (Giorn.1, egloga 711).
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
131
ra quatto ‘quattro grossi recipienti’ 98v 12; trecienta cantara135v 457; le cofena ‘grandi casse’ 130v 1658; ppedita ‘peti’ (Formentin 1988:154); quarantaquatto miglia 79r
9; iiij miglia 115r 6; xv miglia 115v 18; 141v 5; l’anella de nostre mogliere 131v 18. Si
aggiunga quale es. di neutro plurale in BagniR: cha chesta dicta omnia illo te la darray (Formentin 1994a:216 N193).
È probabile che appartengano a questo tipo di plurale anche gli invariabili in
-a degli agg./pron. tanto, quanto59. Due casi di quanta riferiti a pl. sono nell’Epistola napoletana del Boccaccio e un ulteriore caso è in una lettera cancelleresca della metà del sec. XIV (per questi e per ulteriori riscontri cf. Sabatini 1993/1996:480;
per riscontri quattrocenteschi, cf. Formentin 1987:67); nel Ferraiolo quanta (riferito ai soldati) 116r 31; 116r 32; quanta perzune 127v 3; in De Rosa tanta titole, tanta suone, quanta lancze ecc. (Formentin 1998:308); in HistTroya tanta possessiune
(De Blasi 1986:368).
Molto abbondante è la documentazione ricavabile dall’opera di G.B. Basile: tanta (paise), tanta (vuosche e shiommare) ‘tanti paesi, tanti boschi e fiumare’ (‘Ntroduzzione.11); tanta trille ‘tanti trilli’ (‘Ntroduzzione.18); tanta piacire ‘tanti piaceri’
(‘Ntroduzzione.24); tanta peccerille ‘tanti bambini’ (Giorn.1, tratten.3.10); tanta
pertosa ‘tanti buchi’ (Giorn.1, tratten.5.20; e un’ulteriore occ.); tanta cracace e peccenaglie ‘tanti ranocchi e bambini’ (Giorn.tratten.8.3); tanta iuorne ‘tanti giorni’
(Giorn.1, tratten.9.21); tanta marcancegne ‘tanti marchingegni’ (Giorn.1, egloga.36); tanta vote ‘tante volte’ (Giorn.2, tratten.1.6); tanta stiente ‘tanti stenti’
(Giorn.2, tratten.3.2); tanta ammoinamiento ‘tanto fastidio’ (Giorn.2, tratten.10.13); tanta paparacchie ‘tante fandonie’ (Giorn.2, egloga.2.9); tanta cunte ‘tanti racconti’ (Giorn.2, egloga.298); tanta taluorne ‘tanti lamenti’ (Giorn.2, egloga.299); tanta vierre ‘tanti complimenti’ (Giorn.3, tratten.1.16); tanta squacquare
‘tante figlie’ (Giorn.3, tratten.6.4); tanta miembre ‘tante membra’ (Giorn.3, tratten.7.14); tanta cioffe ‘tante imbottiture’ (Giorn.3, tratten.10.15); tanta cuoccole e
argiamma, tanta sbruonzole e purchie ‘tanti quattrini e denaro, tanti soldi e monete’ (Giorn.4, egloga.166-167); tanta carizze ‘tante carezze’ (Giorn.5, tratten.1.12);
tanta belle cose (Giorn.5, tratten.4.8); tanta sbotamiente ‘tante slogature’ (Giorn.5,
tratten.5.14); tanta zappe ‘tante zappe’ (Giorn.5, tratten.6.14); quanta para ‘quante
paia’ (Giorn.1, tratten.1.22); quanta danne e quanta ruine, quanta scasamiente
‘quanti danni e quante rovine, quanti guai’ (Giorn.1, tratten.2.2); quanta me n’haie
fatte ‘quante me ne hai fatte’ (Giorn.1, tratten.4.15); quanta lupine ‘quanti lupini’
57 In G.B. Basile cantaro m.sing. (Giorn.1, tratten.3.31; e 14 ulteriori occ.), cantara f.pl.
(Giorn.3, tratten.7.5).
58 In G.B. Basile cuofano m.sing. (Giorn.2, tratten. 5.13; e 5 ulteriori occ.); in Capozzoli
1889:61 cuòfano ~ m.pl. cuofane (con es. di Cortese) e f.pl. ccofane (con es. di Genoino).
59 Cf. Rohlfs 1966-69/1:141, che pensa a una «generalizzazione meccanica» non etimologica
a partire da sintagmi tipo [e quantus]; Loporcaro 1988:64; 240 in maniera convincente propone
che la desinenza -a continui il neutro pl. latino. Cf. a p. 64: «le forme con -a potrebbero infatti risalire ad un tanta [e quanta] n. pl., impostosi sul tantus [e quantus] declinabile, usato in origine coi soli sost. plur. ed esteso successivamente ai sing. non numerabili».
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Michela Russo
(Giorn.1, tratten.4.16); quanta appelarelle ‘quanti tappi’ (Giorn.1, tratten.5.20);
quanta ne so accise ‘quanti ne sono uccisi’ (Giorn.1, tratten.7.37); quanta tagliole
‘quante tagliole’ (Giorn.1, egloga.586); quanta defiette e quanta ‘ quanti e quanti difetti’ (Giorn.1, egloga.646); quanta pulece (Giorn.2, tratten.3.16; e 2 ulteriori occ.);
quanta morre ‘quante greggi’ (Giorn.2, tratten.4.10); quanta figlie ‘quanti figli’
(Giorn.3, tratten.6.4); quanta vote ‘quante volte’ (Giorn.3, tratten.10.20).
Non si riscontra raddoppiamento fonosintattico nelle forme riscontra indeclinate
tanta vote ‘tante volte’ (Giorn.2, tratten. 1.6) e quanta vote ‘quante volte’ (Giorn.3,
tratten.10.20), ma cf. l’esempio dei BagniR segnalato da Formentin (1998:309 N905)
tante bolte «con regolare betacismo»,dato che tante è qui rifunzionalizzato come f.pl.
Molti sostantivi maschili sono utilizzati al plurale come neutri con selezione del
morfema -a. Per anella e mura (in De Rosa anche deta), cantara, cofena si tratta di
sostantivi in origine maschili aggregatisi al neutro.
Numerose sono le attestazioni del morfema collettivo -a nelle carte latine del
Codex Cavensis (De Bartholomaeis 1901:266): per es. «pro faciendum ipsa cercha» ‘cerchi’ (anno 1021). Spiccano le attestazioni del morfema plurale -a congiunto in alcuni casi a sostantivi in origine maschili: «terraticum de sex cupella
uno» ‘piccole coppe (unità di misura)’ (anno 966), forse a la fornella (anno 1064),
«dua paria de otra caprina» ‘otri’ (anno 1031), «quattuor ova» ‘uova’ (anno 1061),
setazza dua ‘setacci’ (anno 1053); per -ora, «tribus applitora de terra» (significato
incerto) (anno 986), «facere debeatis arcora» ‘archi’ (anno 1034), «ortora ibi facere» ‘orti’ (senza data), lacora ‘laghi?’ (anno 1012), «revolvente per cilium et pescora» ‘pietre’ (anno 1038), «torum in quo ipsa plescora sunt» ‘rocce’ (anno 983),
pratora ‘prati’ (anno 1064), ecc.; attraverso Sepulcri 1907:425 ricaviamo per i nomi
di frutti ancora cetra, cetrea, poma (anno 974), «omnis binum et poma» (anno 969),
«cum arboribus et pomifera sua» (senza indicazione di data).
Nel Codex Cajetanus De Bartholomaeis 1902-05:16 raccoglie inoltre: tara ‘tarì
(moneta)’ (anno 935), le cirasa topon. (anno 1020), «quadtuor cocclaria de argento» ‘cucchiai’ (anno 1028), «duo scanna de tornum» ‘scanni’ (anno 1028); arcora
(anno 924), fructora (anno 924), arbustora (anno 934), pratora (anno 974), domora ‘case’ (anno 1013), campora (anno 1070), ecc.60. Nello stesso Codex Cajetanus
abbiamo ancora: «habeat introitum et exoitum [sic] da ipsa gradas Johanni buffo»
(anno 906) e «cum gradas marmoreas» (anno 1002) contro «cum ipse gradi» (anno
1052) (De Bartholomaeis 1902-05:23). L’alternanza grado ‘gradino’ m.sing. ~ grade ‘gradini’ f.pl. è documentata da D’Ambra (senza es. d’autore) e da Capozzoli
1889:51 (grado m. sing. ~ le ggrade; il f.pl. con es. di Sarnelli).
La desinenza del collettivo in -a è presente anche nel Conto delle fuste di Policastro: rotola pl.‘unità di misura’, cerasa, balestra e foia ‘erbaggio’, gli ultimi tre con
60 Sabatini (1965a/1996:109; 112) segnala da un testo proveniente da Lusciano presso Bolsena dell’anno 762 «modia quattuor», da un testo pisano degli anni 768-774 «duo anula aurie», da
un testo lucchese dell’anno 765 «duo congia vino», e infine da un altro testo lucchese dell’anno
804 «duo fila fica sicche bone».
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
133
numero non definibile (Luongo 1981-83:247)61. Si aggiunga anche puma dulci
Regimen Sanitatis (Mussafia 1884:612); sopervennero la trona spotestata e fuorte
HistTroya (De Blasi 1986:Glossario)62.
Nel Boezio abruzzese del sec. XV ricorrono forme come esse vestementa, soctilissime fila, milliara, demonia (Raso 2001:99, con ulteriori rinvii ad altri testi abruzzesi).
Il morfema collettivo -a potrebbe essere stato esteso al suffisso -etto (non indigeno nel Meridione, Rohlfs 1966-69/3:1141): in De Rosa (cf. Formentin 1998:295)
abbiamo casstelletta, colonbetta; in Ferraiolo 200 armetta ‘elmetti’ 136r 27 (maggioritario armette 136r 19; 136r 21; 136r 22; e 3 ulteriori occ.)63.
Nell’ambito della morfologia nominale, accanto al tipo la ova segnaliamo il tipo
le bracia, le cofena (Ferraiolo), ovvero il tipo marcatamente eteroclito, tipico del
dialetto moderno, i cui tratti sono la conservazione del plurale collettivo e l’orientamento alla grammaticalizzazione in base alla tipologia dell’accordo sintattico (e
accordo del determinante). Si tratta di vere e proprie rimorfologizzazioni e ristrutturazioni della flessione, in base a principi semantici con nuove opposizioni di
genere64. Nel napoletano moderno questi nomi in -a assumono tutti il determinante plurale: nap. antico la denochia
nap. moderno [e d:e’noc:˰], anche se a
Ischia-NA si conserva il tipo [a’lab:j@] «in der Kollektiv-Bedeutung von ‘le labbra’» (Freund 1933:69).
Segnaliamo qualche possibile fenomeno di incrocio tra le classi flessive. Non
mancano alcune sostituzioni di -a con -e. Corti (1956:cil N101) nota residui di pl.
in -e (le menbre in BagniN). Svariati casi di neutri pl. in -e e in -a (e in -ora e in
-ore) sono nel Sidrac salentino (1450ca.)65; a meno che non si tratti semplicemente di un adeguamento analogico sull’articolo (Formentin 1998:295, con il tipo colle bracczie, le stentine ⬍ stentina ecc. in Loise de Rosa)66.
61 Secondo Luongo (1981-83:247), anche alice pl. e radice rappresentano una quantità non definibile; «giustificabili come campioni di vocalismo finale neutro non rifiutano una genesi morfologica quali plurali in -e».
62 In HistTroya truono m.sing., troni e la trona pl. (De Blasi 1986:Glossario).
63 In un testo della seconda decade del ‘500 si riscontra li pometta (Bianchi/De Blasi/Librandi 1993:244).
64 Non in secondo piano va, inoltre, il riscontro dell’applicazione del raddoppiamento fonosintattico indotto su sostantivi neutri e f.pl. nelle medesime condizioni; Lausberg 1971:606, 745;
Merlo 1917:85; Formentin 1994a:213: «l’affinità tra neutro e femm. plur. si deve probabilmente
all’estensione del paradigma illoc brachium / illaec brachia, illoc membrum / illaec membra,
illoc tempus / illaec tempora, ecc. al tipo illoc ferrum, illaec feminae, quando il neutro risorse
come categoria semantica indipendente dal genere latino e l’articolo illaec si estese a tutti i
sostantivi femm. plur.».
65 Sgrilli 1984:131 (bracza, dita, tre granella, tale grida, ecc.; ij bracze, bracce, le comandamente, le ginochye ecc.; le latora; le locore); cf. anche la N278, in cui sono radunati altri es. da testi antichi centro-meridionali.
66 Altrimenti il dato andrebbe integrato con un’altra questione interpretativa: la genesi morfologica del f.pl.-e nella Romania orientale (italiano e rumeno,con relative distribuzioni allomorfiche
-i, a) e con la sopravvivenza della flessione romanza bicasuale o monocasuale (cf. Russo 2001).
134
Michela Russo
Nelle fonti sei-settecentesche il singolare collettivo in -a risulta rifunzionalizzato come femminile plurale (sistema eteroclito)67. Il plurale collettivo ricopre anche qui in buona parte il lessico «duale» (ddenocchia, goveta ecc.); in De Rosa ritroviamo la tetelleca, la teteleca neutro pl. ‘le ascelle’ (Formentin 1998:292s.), in
G.B. Basile tetelleche f. pl. (Giorn.1, tratten. 10.15); in Cortese tetelleche (Vaiass.
Lett.11), ma anche vostre tetélleca (Vaiass.I.23); anche Capozzoli 1889:51 (vedi
inoltre Porcelli 1789) segnala tetillico [+metaf.] ~ pl. [-metaf.] tetelleca 68 (senza
es. d’autore) e tetelleche (con es. di Basile) con regolare opposizione metafonetica. Nelle alternanze metafonetiche del tipo /i/ m.sg. ~ /e/ f. pl. pídeto ~ pédeta, /u/
m. sg. ~ /o/ f. pl. guveto ‘gomito’ ~ goveta f.pl.69 si riconoscono gli antichi neutri latini o estensioni del genere neutro (ad es. p ditum m. REW e Faré n° 6358 nap.
antico neutro pl. ppedita
nap. moderno f.pl. pedeta), in cui il morfema sing. -um
diventa un maschile metafonetico e il morfema pl. -a un femminile non metafonetico (cf. Fanciullo 1994:577 N13; Del Puente 1995:57s.; Maiden 1997:71)70: in
G.B. Basile pideto m. sing. ‘peto’ (Giorn.1, tratten. 2.24; e 2 ulteriori occ.)71; in Cortese pídeto m.sing. ~ pédeta f.pl. (Malato 1967: Glossario); pedeta è attestato nel
ms. Riccardiano 2752 (Schirru 1995:130), Ferraiolo (Formentin 1988:154) e
D’Ambra; guveto m.sing. ‘gomito’ G.B. Basile (Giorn.1, tratten.1.22; e un’ulteriore occ.) ~ goveta f.pl. (Giorn.1, egloga.753; si veda anche, in Cortese, Vaiass.Lett.7,
le goveta).
Capozzoli (1889:51s.) registra alcuni nomi di frutti ambigenere con opposizione metafonetica di genere e numero: nièspolo m. sing. ~ nèspola f.pl. (il f.pl. con es.
dallo Stigliola72), pièrzeco m.sing. ~ pèrzeca f.pl. (il f.pl. con es. di Zezza, 1834183873); milo m.sing. ~ mela74 f.pl., piro m.sing. ~ pera75 f.pl., percuòco m.sing. ~ percoca f.pl. (il f.pl. con es. di Pagano); grisuòmmolo m.sing. ~. grisòmmola f. pl. (con
Sulla femminizzazione degli items lessicali in - ra e -a, cf. anche Malkiel 1989:105.
In un volgarizzamento dei Bagni di Pozzuoli è attestato le tetelleche pl. (Formentin 1998:293
N845).
69 Cf. negli esiti locali, ad es., il tipo irpino [lU ’vUt@] [+metaf.] ~ [-metaf.] [Q@ ’b:ote] ‘il gomito/-i’ < cubitum; [ji’Qitu g’růs:u] [+metaf.] ~ [-metaf.] [QI ’ :eQ@t˰] < base metatetica *giditu (cf.
a Castellabate yérita ~ yírito, Rohlfs 1937:428; 1966-69/1:49) per l’estensione nap. e campana dei
continuatori di digitus ~ *digita, *denuculu / genuculu / gunuculu, ad es. Procida-NA
[Q@’nuc:@] [+metaf.] ~ [-metaf.] [Q@ d:@’noc:@Q@], cf. Russo/Aprile in stampa.
70 Loporcaro 1988:238-240 discute delle eventuali tracce di neutro plurale -a negli aggettivi.
71 Ad esse va aggiunta l’attestazione di pideto-‘m-braca ‘uomo senza valore’ (Giorn.2, egloga.274).
72 In G.B. Basile il f.pl. è nespole (Giorn.2, tratten.7.9; e un’ulteriore occ.); niespolo m. (1714,
Martuscelli, D’Ambra; Altamura, niespulo Andreoli.
73 In G.B. Basile il f.pl. è perzeca (Giorn.2, tratten.5.10).
74 In G.B. Basile il f.pl. è mela (Giorn.3, tratten.1.16; e un’ulteriore occ.); il m.sing. milo
(Giorn.1, tratten.2.24; e ulteriori 5 occ.).
75 In G.B. Basile il f.pl. è pera (Giorn.3, tratten.4.12; e 2 ulteriori occ.); il m.sing. piro (Giorn.1,
tratten.2.24; e 4 ulteriori occ.). In De Rosa invece pummo indica sia il frutto che l’albero (Formentin 1998:302 e n. 882; Rohlfs 1966-69/2:382 per il campano riporta piro ‘la pera’ e ‘il pero’;
De Bartholomaeis 1901:350 nel Codice Cavense pera ‘peri’ e ‘pere’).
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La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
135
es. di Cortese)76; suorvo m.sing. ~ f. pl. sorva (con es. di Capasso)77; cotugno m.sing.
~ f. pl. cotogna (con es. di Cortese). Altrettanto aveva fatto nel secolo precedente
il Galiani (ed. Malato 1970:29)78. Oltre ai nomi di frutti da Capozzoli (1889:6062) segnaliamo : aniello m.sing. ~ anielle m.pl. e anella f. pl. (con es. di G.B. Basile;
cf. su questo LEI 2:1134 N1)79; niervo m.sing. ~ nierve m. pl. (con es. di Quattromani) e nnerva f. pl. (con es. di Piccinni)80; pedamiento m.sing. ~ pedamiente m.pl.
(con es. di Rocchi) e ppedamenta f. pl. (con es. di Lombardo)81; cuorno m.sing. ~
cuorne m. pl. (con es. di Fasano) e ccorna f. pl. (con es. di Basile)82; gliuòmmaro
m.sing. ~ gliuommare m.pl. (con es. di G.B. Basile) e gliommare f.pl. (con es. di
Quattromani)83; muorzo m.sing. ~ muorze m.pl. (con es. di Pagano) e mmorza f. pl.
(con es. di Capasso)84; scuoglio m.sing. ~ scuoglie m.pl. (con es. di Stigliola) e scogliora f. pl. (con es. di Saddumene)85; spruòccolo m.sing. ~ spruccole m.pl. (con es.
76 In G.B. Basile il f.pl. è gresommola (Giorn.2, tratten.5.10). Cf. per la questione etimologica
del tipo, cf. Fanciullo 1993/1996:108.
77 In G.B. Basile il f.pl. sorva (Giorn.4, tratten.3.21), m.sing. suorvo (Giorn.1, tratten.5.19; e
un’ulteriore occ.).
78 Si veda la testimonianza settecentesca di Galiani 29 (ed. Malato 1970): «Ne’ generi s’incontra qualche volta varietà dal toscano. Bizzarra e rimarchevole è ne’ nomi delle frutta. Lo piro,
ed in genere mascolino, dicesi la pera frutto non men che l’albero; nel plurale poi diconsi le pera;
lo milo nel singolare, nel plurale le mela; lo pruno, le pruna; lo crisuommolo, le crisommola; lo
percuoco, le percoca; lo suorvo, le sorva; lo niespolo, le nespola». Un’alternanza documentabile
anche attraverso i vocabolari: D’Ambra s.v. percuoco offre un es. del f.pl. percoca tratto da Tansillo; ciéuzo m. ‘gelso’ (D’Ambra, con es. di Cortese; Andreoli; Altamura; e f. cèuza; pl. cceuze:
D’Ambra, con es. di Basile).
79 In G.B. Basile m.sing. aniello (Giorn.1, tratten.1.11; e 26 ulteriori occ.); f.pl. anella (Giorn.3,
tratten.4.16; e un’ulteriore occ.); anelle (Giorn.3, tratten.8.17; e un’ulteriore occ.); m.pl. anielle
(Giorn.4, tratten.3.7). Quanto a LEI 2:1134 N1: «Accanto al pl. regolare anelli m.pl. abbiamo anella f.pl., un plurale rifoggiato sul neutro plurale latino (fine del sec. XIII, Novellino, B-1735, Forteguerri, Crusca 1863; GAVI; EncDant), anelle (sec. XIV, SGirolamo volg., GlossCrusca)»; seguono
abbondanti esempi da testi fior., prat., pis., roman. (StorieTroyaVolg), esempi moderni di area
emil., tosc., aquil., e soprattutto la forma annella documentata in CorteseMalato e D’Ambra.
80 In G.B. Basile niervo (Giorn.3, tratten.8.18; e un’ulteriore occ.), m.pl. nierve (Gior.2, tratten.6.17; e un’ulteriore occ.). L’alternanza è documentabile anche attraverso la documentazione
vocabolaristica: D’Ambra s.v. nièrevo offre un es. del f.pl. nèreva (sec. XVIII, QuatrOdAraz), e
s.v. niervo offre un es. del f.pl. nerva (nella stessa opera settecentesca). Aggiungiamo nierve BagniR, BagniN; niervo Capasso I.45; nierve pl. Violeieda, Vern. 10 (cf. anche Altamura).
81 In G.B. Basile m.sing. pedamiento (Giorn.1, tratten.6.21), f.pl. pedamenta (Giorn.4, tratten.6.27; e un’ulteriore occ.), pedamente (Giorn.2, tratten.5.14; e un’ulteriore occ.).
82 In G.B. Basile m.sing. cuorno (Giorn.1, tratten.3.12; e 5 ulteriori occ.), f.pl. corna (Giorn.1,
tratten.3.11; e 10 ulteriori occ.); cuorno Dom.Basile I.1; Perrucci I.16; Violeieda, Son. 3; Stigliola
I.12; Capasso I.24; Corvo Pr. 6; Pagano Ded. II.3; cuorne m.pl. Perrucci IV.9 (cf. f.pl. corna Perrucci V.78) (cf. anche D’Ambra; Andreoli; Altamura).
83 In G.B. Basile m.sing. gliuommaro (Giorn.2, tratten.3.8), f.pl. gliommare (Giorn.1, egloga.588).
84 In G.B. Basile m.sing. muorzo (Giorn.1, tratten.2.8; e 17 ulteriori occ.); m.pl. muorze
(Giorn.1, tratten.10.19; e ulteriori 12 occ.); f.pl. morza (Giorn.3, tratten.2.6).
85 In G.B. Basile m.sing. scuoglio (Giorn.1, tratten.4.18; e 17 ulteriori occ.); m.pl. scuoglie
(Giorn.4, tratten.8.18; e 2 ulteriori occ.).
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Michela Russo
di Vegliante) e sproccole f.pl. (con es. di Pagano)86; truònolo m.sing. ~ truonnole
m.pl. (con es. di Fasano) e ttronnola f.pl. (con es. di Perrucci)87; vruògnolo m.sing.
~ vruognole m. pl. (con es. di Genoino) e vrognola f.pl. (con es. di Vottiero)88; cetrulo m.sing. ~ cetrola f. pl. e cetrule m.pl. (con es. di T.Valentino)89; chiuppo m.sing.
~ chiuppe m.pl. (con es. di Stigliola) e cchioppe f.pl. (con es. di Quattromani)90; denucchio m.sing. ~ denucchie m.pl. (con es. di D’Antonio) e ddenocchia f. pl. (con
es. di Cortese)91; lenzulo m.sing. ~ lenzule m.pl. (con es. di Perrucci) e lenzola f.pl.
(con es. di Capasso)92; nudeco m.sing. ~ nnudeche m.pl. (con es. di Rocco) e nodeca f. pl. (con es. di Cortese)93; puzo m.sing. ~ puze m.pl. (con es. di Vottiero) e ppoza f. pl. (con es. di Basile)94; uovo m.sing. ~ ova f. pl. (con es. di Perrucci)95; rasulo
m.sing. ~ rasule m.pl. (con es. di Stigliola) e rasola f. pl. (con es. di G.B. Basile)96;
strummolo m.sing. ~ strummole m.pl. (con es.nello «Spassatiempo») e strommola
f.pl. (con es. di Vottiero)97; turso m.sing. ~ tturze m.pl. (con es. di Quattromani) e
torze f.pl. (con es. di Priscolo)98.
Ricaviamo ancora, da G.B. Basile, furno m.sing. (Giorn.1, tratten.4.9; e 8 ulteriori occ.); forna f.pl. (Giorn.4, tratten.1.5), forne f. pl. (Giorn.1,tratten.7.34)99;
un’alternanza documentata anche da D’Ambra, che s.v. furno offre un es. del f.pl.
86 In G.B. Basile m.sing. spruoccolo (Giorn.1, tratten.5.15; e 23 ulteriori occ.); f.pl. sproccola
(Giorn.1, tratten.4.6; e 3 ulteriori occ.); sproccole (Giorn.3, tratten.5.11; e 2 ulteriori occ.).
87 In G.B. Basile f.pl. tronola (Giorn.3, egloga.137); in HistTroya trona neutro pl. (v. supra).
88 In G.B. Basile m.sing. vruognolo (Giorn.2, tratten.7.4; e 3 ulteriori occ.); f.pl. vrognole
(Giorn.2, tratten.8.11).
89 In G.B. Basile m.sing. cetrulo (Giorn.1, tratten.7.36), f.pl. cetrola (Giorn.1, egloga.390; e
un’ulteriore occ.); cetrole (Giorn.3, tratten.8.3); ma fasulo < *phasi lu (Giorn.2, egloga.164),
m.pl. fasule (Giorn.2, tratten.7.4; e 6 ulteriori occ.).
90 In G.B. Basile m.sing. chiuppo (Giorn.1, tratten.1.4; e 7 ulteriori occ.); f.pl. chioppa (Giorn.4,
apertura1); m.pl. chiuppe (Giorn.1, egloga 828; e 3 ulteriori occ.).
91 In G.B. Basile m.sing. denucchio (Giorn.1, tratten.3.3; e un’ulteriore occ.); f.pl. denocchia
(giorn.4, tratten.5.29); denocchie (Giorn.2, tratten.7.6).
92 In G.B. Basile m.sing. lenzulo (Giorn.5, tratten.1.8); f.pl. lenzola (Giorn.1, tratten.1.11; e 13
ulteriori occ.); lenzole (Giorn.3, tratten.3.10; e 3 ulteriori occ.).
93 In G.B. Basile m.sing. nudeco (Giorn.2, tratten.6.10; e un’ulteriore occ.); f.pl. nodeca
(Giorn.2, egloga.165).
94 In G.B. Basile m.sing. puzo (Giorn.1, tratten.2.10; e 5 ulteriori occ.); f.pl. poza (Giorn.4, tratten.5.23).
95 In G.B. Basile f.pl. ova (Giorn.1, tratten.2.10; e 11 ulteriori occ.), m.sing. ovo (Giorn.1, tratten.7.35; e 6 ulteriori occ.). A Castelvetere di Val Fortore [’ov@] m. sing. [+metaf.] ~ [’Ov@] [-metaf.], il sing. con metafonia sabina, cf. Tambascia 1998:s.v.
96 In G.B. Basile m.sing. rasulo (Giorn.2, tratten.10.5; e 2 ulteriori occ.); f.pl. rasola (Giorn.1.,
tratten.5.18); rasole (Giorn.1, tratten.5.15).
97 In G.B. Basile m.sing. strummolo (Giorn.3, tratten.6.16); f.pl. strommola (Giorn.3, tratten.6.7).
98 In G.B. Basile m.sing. turzo (Giorn.5, tratten.4; e 4 ulteriori occ.); f.pl. torza (Giorn.1, tratten.2.3; e 3 ulteriori occ.); torze (Giorn.1, tratten.7.6; e un’ulteriore occ.).
99 furno nel topon. Furno Novo Ferraiolo ‘Fornonovo (Parma)’ 118v 3, 145v 6; antropon. in
Loise de Rosa (Formentin 1998:127); Corvo IV.56; Stigliola II.52 (cf. anche D’Ambra; Andreoli; Altamura).
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
137
forna tratto da Corvo; G.B. Basile ruotolo m. sing.‘unità di misura’100 (Giorn.1, tratten.8.9; e 5 ulteriori occ.) ~ rotola f. pl. (Giorn.1, tratten.4.17; e 3 ulteriori occ.);
mbruoglio m.sing. (Giorn.3, tratten.8.15); mbroglie f. pl. (Giorn.1, tratten.4.5; e 5
ulteriori occ.); mbruoglie m.pl. (Giorn.2, tratten.8.5; e 2 ulteriori occ.)101; in G.B. Basile cellevriello (Giorn.1, tratten.1.7; e 41 ulteriori occ.); Dom.Basile I.1; ccellevriello Corvo Pr. 32 (cf. anche D’Ambra; Altamura), pl. f.: le cellevrella G.B. Basile (Giorn.5, tratten.4.33)102; pantuosco ‘rozzo’ Capasso V.168; pantuosche m. pl.
Violeieda, Buffo 38 (cf. anche D’Ambra; Andreoli; Altamura); in G.B. Basile ricorre una volta pantosche f.pl.103; in G.B. Basile medullo (Giorn.1, tratten.1.23; e
un’ulteriore occ.), poi almeno in Capasso V.98, è femminile al pl. medolla G.B. Basile (Giorn.4, egloga); bodella f.pl. ⬍ b tellum Stigliola II.43.
Veniamo alle forme di plurale in - ra (cf., sul tipo - ra, Zamboni 1997:35;
1998b:657; Malkiel 1989:103-108).
I neutri latini del tipo corpus costituiscono una vera e propria categoria di rimorfologizzazione flessiva; ad essi vengono attratti paradigmi diversi (su basi semantiche,cf.Zamboni 1998b:657)104.Nello schema flessivo in - ra rientrano i nomi
neutri e maschili di cosa (ma anche femminili di cosa in -a, in quanto collettivi) con
tema originario in -o: rumeno ierburi, it. casora (cf. Zamboni 1998c:116; 1998d:138;
Malkiel 1989:104). Il fenomeno coinvolge anche prestiti: it. merid. burgora, waldora (germanismi, cf. Zamboni 1997:57 N56; 1998b:658 N54; 1998d:138).
100 Già nel Conto delle Fuste di Policastro rotola ‘unità di misura equivalente a chilogrammi
0,793’ (Luongo 1981-83:253); in Capozzoli 1889:52 ruòtolo m. sing. ~ f. pl. ròtola (con es. di Capasso). Altri ess. di ruotolo nei vocabolari (Andreoli; Altamura; pl. rotola: 1714, Martuscelli,
D’Ambra).
101 Cf. Galiani 29: «Oltre ai suddetti nomi [scil. i nomi di frutti], ve n’è anche qualche altro nel
quale avviene questa mutazion di genere passando al plurale, come lo nudeco,‘nodo’, che nel plurale fa le nódeca. Per altro non è in tutto esente il comune italiano da questa anomalia, giacché
“il braccio” fa “le braccia”, “il dito” “le dita”, ecc.». Ricaviamo ancora da Capozzoli 1889:51s.;
60-62: cerviello m.sing.~ m. pl. cervielle (con es. di Stigliola) e f.pl. cervella (con es. di Oliva); cuorio m.sing. ~ m. pl. cuorie (con es. di Stigliola) e f.pl. coria (con es. di Quattromani); muojo
m.sing.‘moggio’ ~ m. pl. muoje (con es. di Rocco) e f.pl. moja (con es. di Stigliola); moccaturo
m.sing. ~ m. pl. moccature (con es. di Stigliola) e f.pl. moccatore (con es. di Cerlone); teraturo
m.sing. ~ m. pl. terature (con es. nelle «Vierze»), f.pl. teratora (con es. di Quattromani); surco
m.sing.~ m. pl. surche (con es. di Rocco) e f.pl. sorca (con es. di Oliva); tammurro m.sing. ~ m. pl.
tammurre (con es. di Mormile) e f.pl. tammorra (con es. di Quattromani). Dalle fonti vocabolaristiche segnaliamo almeno: pepierno m. sing. (D’Ambra; Altamura; e f.pl. peperna).
102 Il morfema -a è in questo caso preceduto da un altro suffisso, cf. Kahane/Kahane 1949:157:
«a high percentage of examples in some of the Romance languages show that augmentative -a is
especially used as a secondary suffix, that is, as a suffix preceded by another suffix.The most common of these preceding suffixes (or infixes) are: the diminutives . . .».
103 Nei vocabolari pantuosco m.sing. ‘panno’ (1717, Feralintisco, D’Ambra; Andreoli; Altamura; e f.pl. pantosca). Rohlfs 1926:159 segnala ad Acerno-SA [pan’dOSk˰], Montefusco-AV
[pan’duoSk˰], Monte di Procida-NA [pan’dOSk˰].
104 I neutri in -s della IIIa declinazione tipo corpus e tempus si sono adeguati al modello flessivo di IIa declinazione (Formentin 1998:293s.); in De Rosa cuorpo, cuorpe, corpo, corpe, tienpo,
tienppo, tenpo, tienpe, tienppe.
138
Michela Russo
Sia in rumeno che in italiano le forme neutre plurali in -ora sono ricategorizzate come femminili, ma rimangono vitali solo nel primo (cf. Zamboni 1998c:116;
per gli esiti dialettali, cf. anche Maiden 1997:73)105. Tale ricategorizzazione appare evidente da alcune varianti latine medievali del sec. VIII tratte dal Codice diplomatico longobardo: camporas, fundoras, lacoras, ortoras, vicoras (cf. Zamboni
1998c:116). Si può considerarle come espansioni analogiche (databili al IV-V sec.:
nella Mulomedicina Chironis armora, f. pl. di armus, cf. Zamboni 1998b:658;
1998c:117 e N56 anche per altri esempi tardo-antichi) del plurale dei neutri latini
in -s (corpus ~ corpora), frequenti in documenti medievali specialmente toscani,
campani e lombardi (Zamboni 1998c:116)106.
Aggiungiamo qui vari esempi tratti da un nostro spoglio del Chronicon Vulturnense107, un’importante cronaca medievale meridionale in cui il fenomeno è abbastanza vistoso. Raccogliamo: capora per capita II.298, domora per domus II.99,
fundora per fundi I.242 (ma più volte), fructora per fructus III.61, ortora per hortos II.195 (e un’ulteriore occ.), riora per rivi I.250, votora per vota II.208.
Veniamo ai neutri plurali in - ra in nap. antico. La Corti (1956:cil) rileva nei
Bagni rupura108, nomura, morbora, sònora; De Blasi (1986:355) segnala in BagniR
reposora109; Formentin (1998:292 N844) segnala ma solo chesta locora ne poteno
sanare BagniR; a la latora ‘ai fianchi’, chesta bagnora BagniN (ma cf. Formentin
1998:293 N844).
I plurali neutri latini in -a e - ra, interpretati o meglio ricategorizzati come femminili vengono utilizzati come strumento di differenziazione morfologica110. Nu-
105 Cf. Maiden 1997:73: «Where final unstressed vowels have been neutralized, -[ora] furnishes a distinctive plural marker, yet remains overwhelmingly limited to inanimate nouns [. . .]»,
«*-[ora] suffixes may supplant original -[a]».
106 Tendenzialmente, vengono collocati in questa categoria gli inanimati (neutri) che presentano un’uscita latina in -us al nominativo sing. (temi in /o/ e /u/ della IIa e IVa coniugazione, cf.
Zamboni 1997:35s.).
107 In Vincenzo Federici (ed.), Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, Roma, Tipografia del Senato, 1925-1938.
108 Entrambi i manoscritti dei Bagni hanno ripura (Baldelli 1971:44).
109 Da segnalare anche capora sing. ‘cervice’ nelle Glosse in volgare cassinese del sec. XIII
(Baldelli 1971:44).
110 Cf. Fanciullo 1988:682; 1994:583; Formentin 1998:292s. e N844; Lausberg 1971:604-14,
642-45; Rohlfs 1966-69/1:33; ib./3:368-370. In questi studi si affronta anche in generale il problema della formazione dei plurali neutri e delle retroformazioni dal plurale neutro al femminile
singolare, ossia delle coppie lessicali e del genere differenziale, ad es. illud folium / *illaec folia ‘il foglio / le foglie’ ( singolare ‘la foglia’ / pl. ‘le foglie’ (‘il foglio’ differisce a livello semantico). Meyer-Lübke 1890/1906:345 spiega come da un plurale le orecchia, per retroformazione si
sia imposto l’orecchio. Il plurale in -ora (rum. -uri), come anche il plurale collettivo in -a dell’italiano: il braccio ~ le braccia (con qualche forma fossilizzata in sardo capita, ossa), in fase protoromanza per marcare l’opposizione Nom ~ Acc (Zamboni 1998d:139). Cf. Maiden 1997:71: «-[a]
remained in a few (originally) neuter nouns, notably those denoting sets or pairs: os [. . .], bracchium [. . .]». Il plurale -a è stato poi esteso ad un gruppo di nomi maschili «notably those also
denoting sets: eg. digiti».
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
139
merosi sono gli slittamenti e le attrazioni a questo sistema (cf. Fanciullo 1988:
682s.): Capozzoli 1889:62 registra il tipo fuso m. sing. ~ m. pl. fuse (con es. di Stigliola), ma anche f.pl. ffosa (con es. di Rocchi), ossia il tipo con abbassamento
«morfologico» della vocale /u/ rizotonica che rende la ristrutturazione flessiva ottimale, anche se l’abbassamento è, «a rigor di termini, ridondante» (cf. Fanciullo
1988:682s.; 1994:583s.)111.
5. I suffissi collettivi -amen, -anam e -mentu
In nap. il suffisso neutro -ame ⬍ - amen (cf. Rohlfs 1966-69/2:385; ib./3:1087-1089)
ripropone il collettivo su base derivativa. Si tratta di un gruppo di nomi neutri in latino, ma passati in nap. al genere femminile (Formentin 1998:302s.) con metaplasmo di declinazione III I. Da G.B. Basile estraiamo ramma (Giorn.3, tratten.8.17;
e 3 ulteriori occ.) ⬍ lat. tardo aeramen; lotamma (Giorn.3, tratten.10.20). Già in
nap. antico registriamo castellamma f. sing. ‘catafalco, letto funebre’ Ferraiolo (Coluccia 1987: Glossario); aggiungiamo a questa serie, traendolo da LEI 3:559, il nap.
guazzamma ‘luogo di basso fondo dove si pescano conchiglie’ D’Ambra.
Per -ame: castellame f. sing. ‘fortificazione’ (De Blasi 1986:Glossario); vassellamme f. sing. (De Blasi 1986:Glossario); fuorti serramme f.pl. ‘serrature’ HistTroya (De Blasi 1986:Glossario). In De Rosa abbiamo ligniame, lingnia(m)me,
rame (Formentin 1998:302)112, ma senza la possibilità di appurare il genere (rame
è femminile in Petazza, Brancati, Sannazaro e altri, Formentin 1998:ib.)
Infine, per il suffisso collettivo -ana ⬍ -anam (Rohlfs 1966-69/3:979, 1092) registriamo: chymmanna HistTroya (De Blasi 1986: Glossario); G.B. Basile quarantana (Giorn.1, tratten.10.11), n’ dozzana (Giorn.2, tratten.6.7, e due ulteriori occ.);
dozzana Sarnelli, Ded.2.
Merita un cenno anche il suffisso -mentu: in G.B. Basile m.sing. pedamiento
(Giorn.1, tratten.6.21), f.pl. pedamenta (Giorn.4, tratten.6.27; e un’ulteriore occ.),
pedamente (Giorn.2, tratten.5.14; e un’ulteriore occ.)113; già in Loise de Rosa le pedamente, -(n)te neutro pl. con probabile livellamento analogico di -a all’articolo, e
olimenta neutro pl. e olimiente m.pl. ‘elementi’ (Formentin 1998:294s.).
111 Negli esiti locali, Fanciullo 1994:583 riscontra il tipo con abbassamento della vocale /u/ a
Gallo-CE: [ fus@] m.sing. ~ f.pl. [ fos@r@]; il plurale metafonetico regolare si accompagna ad un
«segmento fonico» [-Q@] non completamente scomparso (cf. Fanciullo 1988:682), sviluppato
analogicamente e utilizzato per incrementare in maniera più funzionale il carico morfologico con
una differenziazione ottimale dal singolare.
112 Cf. patimme f.sing. ‘opportunità, comodità’ (De Blasi 1986:Glossario, con suffisso -imme
passato al genere f.).
113 Attestato anche da Capozzoli 1889, cf. supra.
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6. Gli indeclinabili
Pertengono alla categoria semantica di neutro gli indeclinabili, anche a prescindere
dal genere neutro latino. Negli indeclinabili, come nei sostantivi semanticamente
neutri, l’assenza di metafonia non deve necessariamente essere collegata a ragioni di
ordine fonetico (presenza di una originaria desinenza in -o), ma alla minore funzionalità morfologica di questi lessemi che non risultano inseriti in un paradigma flessionale (cf. Formentin 1998:98s.; l’ipotesi morfologica è già del Mussafia 1884:517).
Sembra improbabile che nei continuatori di melior e peior (Merlo 1906:441-443)
ci siano i presupposti per la metafonia (Formentin 1998:108 e N200; 311)114. Rohlfs
(1931:258; 1937:426; sull’argomento cf. anche Lausberg 1951:322) pone peius alla
base delle forme non metafonetiche riscontrate nel Cilento [’pE u] a Laurito-SA e
Roccagloriosa-SA, [’pEo] a Castellabate-SA, Perdifumo-SA, Stella Cilento-SA115.
Quanto alla documentazione antica, si riscontra mieglio mieglio ‘il fior fiore; i
migliori’ nell’Epistola napoletana del Boccaccio (riga 22 dell’ed. Sabatini
1993/1996:438), ma si tratta con ogni probabilità di un’ipercaratterizzazione. Per il
resto abbiamo in generale forme non dittongate: in HistTroya meglyo (con valore
neutro, cf. De Blasi 1986:352 e N27); in De Rosa meglio e pegio, peio, peyo; nel
Ferraiolo meglio 105r 23, 105r 28, 115v 21 avv.; e 6 ulteriori occ.); in G.B. Basile meglio (‘Ntroduzzione.23; e 88 ulteriori occ.), peo (Giorn.1, tratten.3.17; e 22 ulteriori occ.); stesse forme in Cortese (Malato 1967: Glossario).
Quanto a ‘meno’, abbiamo: mino in Diomede Carafa, nel Codice Aragonese
(Savj-Lopez 1906:34 N2) e nel Regimen Sanitatis, ma meno nel ms. Riccardiano
2752 (Schirru 1995:124). Al di là di queste tre forme nominativali di comparativo
(melior, peior, minor e non melius, peius, minus), secondo l’ipotesi di Merlo le
forme di comparativo continuano il caso accusativo116.
114 Lüdtke 1965 riconduce l’assenza di metafonia alla desinenza -o di -us melius, peius (con -us
⬎-o). È generalmente ammesso che si ha la metafonia per effetto di -um desinenziale lat. ⬎ nap. /o/ (⬎ /-@/), ma non per effetto -us e -ud, ugualmente ⬎ /-o/ in napoletano, né per effetto di /-o/ < lat.
- . Secondo l’opinione di Lüdtke 1965:488-93 la desinenza lat. -um diventa - a causa dell’allungamento di -u dovuto alla caduta di -m finale; di conseguenza la metafonia agisce data - finale non
per influsso di -u < -us, -ud. Rohlfs 1966-69/1:7 (contrapponendosi a Lüdtke 1965) sostiene la precoce confluenza di -u < -us e -ud con - sviluppo che sarebbe anteriore alla metafonia; al contrario
la -u della desinenza -um avrebbe regolarmente prodotto metafonia (cf. sull’argomento Lausberg
1951:326; Loporcaro 1988:35; 75 N26; Savj-Lopez 1906:34; Subak 1897:6). Secondo Merlo
(1906:441-43; 1920:137; 168; 234; 1938:226) l’u dei neutri in us ha potere metafonetico al pari della u
di um, tesi già del Meyer-Lübke (Merlo riporta l’es. di minus ⬎ laz. minu); ed è per questo che fa
derivare gli avverbi meglio e peggio dalle forme nominati-vali meølior e peøjor e non da quelle neutrali. Quanto alle attestazioni di mino in nap. antico, Savj-Lopez (1906:34 N2) le giudica latinismi.
115 Cf. Rohlfs 1937:426: «Es scheint als ob das -us der Neutra und anderer Deklinationsklassen keine Wirkung auf den Tonvokal gehabt hätte, wenigstens in gewissen Gegenden». Cf. anche
Freund 1933:5.
116 A Cerreto Sannita-BN, se le forme [’me̛:o] e [’fortse] ‘forse’ (rispettivamente, Maturi
1997:80 e N12, 95: 85, 86 e N25) possono essere sospettate di metafonia sabina, si ritrovano tuttavia anche forme con timbro vocalico aperto [ib., 80, 83, 94]: [’mE̛:o].
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
141
Tra gli invariabili risulta dittongato appriesso (e priesso) ‘presso, vicino; dopo, in
seguito’ (cf. De Blasi 1986:351117; Petrucci 1993:44; 48 N88118; Formentin 1998:98;
340119). Senza tener conto delle differenze di funzioni sintattiche, nel Ferraiolo abbiamo 93 casi di appriesso contro uno solo di appresso. Nel dettaglio:
• 60 occ. in funzione di avv. preposto ad un verbo in pochi casi sottinteso (es.:
appriesso mannaro lo Secritario 92r 20; apprie[sso] intrao lo signiore conte 93r
1; appriesso veneva lo s(igniore) 99v 23; ecc.; generalmente con il verbo venire);
• 17 occ. in funzione di avv. posposto (frequentemente nella locuz. secundo trovarrite appriesso 101v 6 ecc.);
• 7 occ. in funzione di preposizione (appriesso lo Mazone 88r 8; appriesso li Battiente 100r 3; appriesso lo ditto curpo 100r 33; ecc.);
• nelle locuz. preposizionali appriesso a 4 occ. (115v 46, 116r 3, 130v 30, ecc.) e
appriesso de 5 occ. (99v 21, 100r 10, 100r 21, ecc.).
L’unico caso di appresso riguarda la locuz. preposizionale a. alla Magistà Vostra
136r 8.
Riprendiamo la rassegna da G.B. Basile, in cui appriesso conta 29 occ. contro una
sola di appresso; forma dittongata anche in Dom.Basile I.1; Perrucci Pr. 1; Violeieda, Vern. 36; Stigliola I.55; Capasso I.73; Corvo I.19; e cf. anche D’Ambra;
Andreoli; Altamura120.
Per la serie velare, tra gli invariabili risultano dittongati in De Rosa aduosso, induosso, intuorno e inturno, fuorcze, fuorse (quest’ultimo con vocale finale diversa
da -u). In HistTroya è rilevabile aduosso (De Blasi 1986:354)121, che abbiamo già
visto in De Rosa e che vedremo in Ferraiolo (adusso); in G.B. Basile abbiamo adduosso (Giorn.1, tratten.2.19; e 8 ulteriori occ.), aduosso (Giorn.1, egloga.821; e 3
ulteriori occ.); se allarghiamo lo sguardo agli altri testi letterari sei-settecenteschi
abbiamo adduosso Perrucci I.18 (cf. anche D’Ambra);‘nduosso Capasso II.App.10.
Abbiamo poi inturno, con riduzione grafica del dittongo al suo solo primo elemento (cf. N9), in Loise de Rosa (Formentin 1998:110); attuorno G.B. Basile
(Giorn.2, tratten.191), atuorno (Giorn.1, tratten.6.20; e un’ulteriore occ.), ‘ntuorno
In HistTroya dittongano entrambe le forme, Petrucci 1993:45.
Nei testi angioini appriesso e aprisso BagniR, HistTroya e Romanzo di Francia. Almeno in
BagniR, BagniN, Regimen Sanitatis 1, 1b e 2, Lett5, Caracciolo, LibroAntichiFacti, Cronaca di
Partenope, Loise de Rosa è documentata la forma non dittongata appresso, apresso (cf. Petrucci 1993:48 N88; Formentin 1998:105 e N165).
119 In Loise de Rosa, tra gli indeclinabili: appriesso, apriesso e appriecczo (ma anche appresso); aduosso, attiento (loc. state attiento, cf. Formentin 1998:341 N341), intuorno e inturno, poco
(v. infra), presto, propria, p(ro)p(r)ia e pruopia in funzione aggettivale, secundo preposizione e
congiunzione, sulo ‘soltanto’, volintiere (Formentin 1998:339-343).
120 Per l’alternanza delle forme appresso, appriesso nei BagniR, Petrucci (1993:48 N88) sospetta un’opposizione avverbiale vs. attributivo. Tuttavia le forme in HistTroya e nel Romanzo di
Francia, secondo lo stesso Petrucci, non confermano questa tendenza (sulla confusione tra aggettivo e avverbio cf. Rohlfs 1966-69/1:243).
121 In HistTroya dittonga anche duosso (De Blasi 1986:354), che ritorna in G.B. Basile.
117
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Michela Russo
(Giorn.1, tratten.2.2; e 25 ulteriori occ.); ‘ntuorno Dom.Basile I.2; Pagano I.19; attuorno Dom.Basile I.3; Perrucci II.58; Violeieda, Vern. 5; Stigliola I.13; Capasso
I.130; Corvo Pr. 23 (cf. anche Andreoli; Altamura). Nei testi dialettali rileviamo
anche abbondanti attestazioni di tuorno (che è già in HistTroya, De Blasi
1986:355); Dom.Basile I.4; Perrucci I.2; Stigliola I.120; Capasso I.34; Pagano Ded.
I.6 (cf. anche D’Ambra; Altamura).
Nel Ferraiolo, con la già vista riduzione grafica del dittongo, registriamo indusso avv. e prep. 95r 8; 100v 1; 101v 14 (e 13 ulteriori occ.); adusso ‘addosso’ 115v 57;
116r 17; 137v 9; atturno 90r 13; 95v 3; 100v 13 (e 3 ulteriori occ.); inturno 100r 46;
100r 49; 100v 5 (e 4 ulteriori occ.); per turno ‘intorno’ 116r 1.
Per la serie palatale, abbiamo dentro ⬍ de intro (cf. Merlo 1911/1934:88) Ferraiolo 79r 6; 79v 8; 118v 10; 118v 15; dintro 84r 10; 92r 15 (2 volte) (e 12 ulteriori occ.). Nel napoletano sei-settecentesco è frequente l’uso di dintro, drinto e
intro122 ‘in, dentro’, preposizione o avverbio. Merlo (1911/1934:670; cf. anche
1920:132, 168) spiega la voce abruzzese dintro come forma metafonizzata dovuta a una contaminazione di intus + intro con desinenza ablativale123. Merita
di essere rilevata l’antichissima attestazione latina di «deintro case» nel Codex
Cavensis (anno 848, Sepulcri 1907:440). Sabatini (1962/1996:388s.; 399 N36) documenta l’esistenza diffusa di (d)intro in alcuni testi campani posteriori alla
scritta amalfitana (1288) fino al sec. XV: nei BagniR intro; Regimen Sanitatis
(cod. B) intro; Cronaca di Partenope dintro; Cronaca di Notar Giacomo dintro;
Del Tuppo, Vita di Esopo intro; De Jennaro, Rime intro e dintro; Cronaca del
Ferraiolo intro e dintro124; aggiungiamo qui, alle attestazioni fornite da Sabatini, quella di dintro nel ms. Riccardiano 2752 (Schirru 1995:124). In vari testi
quattrocenteschi si ha compresenza tra dintro e dentro (così nel Ferraiolo, in
Lupo de Spechio, in Brancati: la situazione è riassunta in Barbato 1998:Glos-
122 In G.B. Basile ricorrono dintro (Giorn.1, tratten.1.17; e 59 ulteriori occ.); ‘nintro (Giorn.3,
tratten.10.8; la forma è notata anche nel vocabolario di Altamura, che dà into, d-, r- e ‘nnintro),
drinto (Giorn.1, tratten.3.28; e 299 ulteriori occ.); dinto (‘Ntroduzzione.2; e 20 ulteriori occ.).
Quanto a Cortese, dinto prep. ricorre accanto a dintro e into, Malato 1967: Glossario; inoltre dinto è nel Galiani (cf. il Glossario di Malato 1970). Numerose sono le occorrenze delle forme dintro e dinto negli altri testi dialettali (non è possibile invece allegare altri ess. di drinto): la prima
forma ricorre in Dom.Basile, III.5, Stigliola I.24; la seconda in Dom.Basile I.1, Capasso V.81, Corvo Pr. 22, Perrucci Pr. 12, 16, Violeieda, Son. 1. La forma drinto (insieme a into), rilevata in Basile, è conservata anche dal nap. ottocentesco (Capozzoli 1889:223; D’Ambra).
123 Merlo (1911/1934, 670; cf. anche Sabatini 1962/1996:399 N36) sospetta che, a causa della
normale riduzione del nesso -tr- a -t-, le forme napoletane in -nt@ siano la continuazione di -ntro.
Cf. anche Rohlfs 1966-69/3:808, 835, 845; Corti 1956:xciv; Formentin 1994b:109, a proposito delle preposizioni i(n)tro lo e dintro lo nel volgarizzamento della Regola di San Benedetto del Cass.
629, deduce che l’origine dei tipi sia ablativale: intro (il)lo, de intro (il)lo, visto che la desinenza /o/ dell’art.det. masch. sing. è usata al posto dell’usuale /u/, v. infra.
124 Per il Ferraiolo rileviamo «per dintro ad uno puzo» 84r 10, «dintro la cam(m)ara» 92r 15,
«como fo per dintro le diverse camare» 92r 15; «fo per intro ad una casa» 84r 10, «intro la ditta
cità» 84r 18, «intro la cità» 84v 2 (e 14 ulteriori occ.).
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
143
sario). Tuttavia, se si segue l’ipotesi fonetica, la desinenza -us di intus non è metafonetica, né lo è la -O ablativale; potrebbe anche trattarsi di chiusura analogica o di chiusura dovuta a protonia sintattica, ossia a condizioni prosodicamente deboli.
Inoltre, rileviamo in Ferraiolo l’agg. indeclinabile (dì) medesimo 96r 1; 132r 27;
142v 12; (ipsa) medesimo 135r 5 (normale nei testi antichi: cf. Gentile 1958:149151)125.
Nel ms. Riccardiano 2752 compare una probabile riduzione grafica del dittongo
in pui ‘poi’, a meno che non si tratti di chiusura in iato (Schirru 1995:123; sul mancato dittongamento in poi, cf. Varvaro 1986:97; AIS 262; 1694)126; puy ‘poi’ compare anche negli Statuti di Maddaloni (Matera/Schirru 1997:69)127.
In nap. antico è diffuso l’uso della forma indeclinata poco con valore attributivo (Corti 1956:clxxi; Formentin 1987:66; 1998:309s.); si veda in De Rosa poco d
‘pochi giorni’; in Ferraiolo poco agiente ‘poca gente’ 115r 9; poco dì 128v 11; ppoco dì 128v 13. Nei volgarizzamenti di Brancati ricorre un poca de acqua (Vegezio),
multo poca de vita (Storia naturale di Plinio), nonché un poca ‘un poco’ (Vegezio)
(Aprile 2001:Glossario)128.
Quanto agli indeclinabili secundo ‘secondo’ e sulo ‘solo’ ci limitiamo a documentarli in Ferraiolo e G.B. Basile: (1) secundo Ferraiolo 84v 23; 101v 6; 113v 9 (e
4 ulteriori occ.); secunno 106v 4; 128v 4; 129v 9 (e 4 ulteriori occ.); secunno G.B. Basile (Giorn.1, tratten.2.21, ecc.); (2) sulo Ferraiolo 97r 17; 99v 9 (e 2 ulteriori occ.);
G.B. Basile (Giorn.1, tratten.2.18, ecc.).
Casi di metafonia dovuti a vocale finale primaria diversa da -u si riscontrano
già in napoletano antico. Rileviamo in HistTroya fuorsi e fuorse ⬍ *forsis129 (con
rinvio di De Blasi 1986:355 a quest’ultima forma in BagniN e BagniR; ulteriori
attestazioni di fuorze nel Glossario); Loise de Rosa ha fuorcze (Formentin
1998:98); P.J. de Jennaro fuorsi (Corti 1956:lxxxvi). Successivamente, in G.B. Basile, fuorse (Giorn.1, tratten.3.17), fuorze (Giorn.1, egloga.287; e 17 ulteriori occ.);
nei nostri spogli sei-settecenteschi rileviamo fuorze Dom.Basile I.1; Perrucci I.19;
Violeieda, Buffo 1; Stigliola I.137; Capasso I.86; Corvo Pr. 9; ffuorze Pagano III.26
(cf. anche D’Ambra, con ess. letterari del Fasano, 1689, e di Antegnano, 1722; Andreoli).
125 A riga 10-11 dell’Epistola napoletana del Boccaccio troviamo l’indeclinabile ‘medesimo’
metafonizzato: a nui mediemmo ‘a noi medesimi’, a riga 31 d’auro mediemmo, a mene mediemo
(riga 47), per l’ipercaratterizzazione già rilevata.
126 Per l’estensione di pui in zona umbra e toscana cf. Reinhard 1955-1956.
127 A riga 15 dell’Epistola napoletana del Boccaccio ricorre dapuoi ‘dopo’.
128 Aggiungiamo a questi l’isolato puoco G.B. Basile (Giorn.2, tratten.10.10), contro le ben 134
occ. di poco; e puoco di Perrucci I.87. A Monte di Procida AU ⬎ /O/ dittonga metafoneticamente [pu@k@] ‘poco’, ma troviamo anche [’pok@] con Vokaldifferenzierung (cf. Russo 2002); in entrambi i casi la funzione è attributiva; nell’inchiesta (non pubblicata) Fh18-ALI Casal di Principe-CE: [’pu
7ok@] (975; 1869; 2915 p.823); cf. anche Rohlfs 1966-69/3:957.
129 Così ha proposto già Castellani 1955/1980:186s.; Savj-Lopez 1906:36 propone una base
*forsit; Lüdtke 1965:497 propone invece *forsim.
144
Michela Russo
Si radunano qui le attestazioni di priesto (che dittonga nonostante la base etimologica praesto, REW 6726): pristo e priste m. pl. con riduzione grafica del dittongo nel Romanzo di Francia (Petrucci 1993:56 e N158), priesto e priesti ‘pronto/i’ HistTroya (De Blasi 1986:351 e Glossario)130; priesto avv. Ferraiolo 108r 25,
126v 17, 132r 14; priesto G.B. Basile (agg. e avv., Petrini 1976, Glossario);
Dom.Basile I.1 (avv.); Perrucci I.9 (avv.); Violeieda, Buffo 4 (avv.); Stigliola I.30
(avv.); Capasso II.18 (avv.); Corvo Pr. 27 (avv.); Pagano III.1 (cf. anche Andreoli, avv.; Altamura, avv.; D’Ambra ha priestolillo).
Formentin (1998:97 e N123) considera in pruopia l’azione metafonizzante della semivocale [j] della sillaba seguente. Anche nell’Epistola del Boccaccio ricorre
pruoprio (riga 32 dell’ed. Sabatini 1993/1996).
Interessante in De Rosa la forma indeclinabile documentata nella loc. avv.
da simito ‘separatamente’, sopravvivenza di sìmito ‘sentiero’ ⬍ *semitu metaplastico (di genere e declinazione) da semita131 (Formentin 1989:119s.;
1998:118132; 303; 341); aggiungiamo da parte nostra da simmeto ‘da parte’ G.B. Basile (Giorn.2, tratten.10.3; e un’ulteriore occ.) (quindi anche in G.B. Basile il
senso originario di ‘sentiero’ sembra smarrito); D’Ambra, Rocco registrano
assímmeto ‘da parte’.
6. Conclusioni
Nel corso di questo lavoro sono state prese in esame le strategie di grammaticalizzazione del genere riguardanti gli ambiti semantici dell’inanimato e dell’indeterminato e alcune tra le differenti allotropie nella lessicalizzazione del genere nel
napoletano. Le alternanze osservabili partono da un genere neutro osscurato nella fase di transizione e sono inoltre soggette a risemantizzazioni. Queste oscillazioni di genere riguardano una mutazione di struttura che si traduce nella perdita
di autonomia grammaticale del neutro (Giuliani 2001-02:132s.) con rianalisi che
si sviluppano autonomamente e metaplasmi che non di rado si concentrano in specifici campi lessicali.
La categoria semantica di neutro, che il napoletano condivide con altri dialetti
centro-meridionali, riguarda i sostantivi non contabili o non numerabili, in cui il significato astratto prevale su quello concreto. In napoletano antico e moderno,
quando la metafonia può applicarsi, i sostantivi singolari non numerabili risultano
per lo più metafonizzati (es. argiento, chumbo, ecc.): la metafonia agisce sui sostantivi neutri e su quelli maschili. L’individuazione del neutro resta affidata ad altre strategie grammaticali (cf. §§1, 2); in particolare, risulta una contrapposizione
L’uso aggettivale sembra scomparso negli esiti locali moderni.
Per altri riscontri nel nap. antico (Romanzo di Francia, Petazza, ecc.) cf. Formentin
1998:Glossario.
132 Con gli ulteriori rinvii e riscontri ivi indicati alle carte mediolatine del Codex Cavensis, al
Romanzo di Francia e al Di Falco.
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131
La categoria neutrale nella diacronia del napoletano
145
in sede tonica tra il dimostrativo maschile [+metaf.] e il dimostrativo neutro [-metaf.] con opposizione di genere. La risemantizzazione del neutro induce così alla
conservazione del meccanismo metafonetico corroso sul piano fonologico come
strumento di organizzazione lessicale.
I processi di convergenza tra le classi di genere, basati sulla duplicità del morfema -a collettivo rifunzionalizzato come femminile singolare e plurale, innescano
nuove codifiche grammaticali e nuove lessicalizzazioni. L’attribuzione del genere
femminile in luogo del neutro latino si esplica in relazione al valore collettivo. Si
riconoscono nel napoletano meccanismi di conversione tra femminile singolare e
plurale e neutro latino. Le alternanze risultano ancora fluttuanti in mancanza di
un modello normativo.
Per di più una vera e propria desinenza di neutro plurale con significato collettivo emerge nella morfologia nominale del napoletano antico (cf. §4 e 5). Accanto
al tipo la ova, la cui individuazione è affidata sintatticamente all’accordo del verbo o del predicato nominale al plurale (es. sopervennero la trona HistTroya),
riscontriamo il tipo eteroclito le bracia, le cofena, proprio degli esiti moderni (ad
eccezione di Ischia), con il mantenimento del tratto di plurale collettivo e accordo
sintattico del determinante. Il primo plurale collettivo (la ova) è senz’altro arcaico rispetto al secondo tipo (le bracia), anche se nel Codex Cajetanus riscontriamo
già il tipo eteroclito le cirasa topon. (anno 1020).
Il plurale collettivo fossile si accompagna spesso ad aggettivi o a participi anche
con desinenza in -a (la bracia aperta / la denochia inuda) e ricopre in buona parte
il lessico «duale».
La desinenza di plurale invariabile -a negli aggettivi pronominali tanto, quanto
(cf. §4; per es. quanta riferito ai soldati [Ferraiolo]) è probabilmente una continuazione del neutro latino (Loporcaro 1988:64). Essa infatti risponde a una funzione morfologicamente distintiva di plurale (usata anche con singolare astratto
non contabile) e non a una «generalizzazione meccanica» (Rohlfs 1966-69/1:141).
Molteplici le attestazioni del neutro collettivo -a nelle carte latine del Codex
Cavensis (es. ipsa cercha) e nel Codex Cajetanus (quadtuor cocclaria); e numerose anche le attestazioni del morfema plurale -a aggregato a sostantivi in origine
maschili, uso largamente confermato poi in fase successiva dai testi napoletani in
volgare. L’insieme delle attestazioni latine dei lessemi neutri con spiccata sfumatura collettiva e l’attribuzione del morfema -a anche a sostantivi in origine maschili già nelle carte latine gioca a favore della continuità diacronica tra neutro
plurale latino e neutro romanzo, ma anche tra neutro plurale e femminile, sebbene il contrasto tra funzione morfologica e contenuto semantico induca non di rado
l’antico accordo a instabilità di tipo paradigmatico.
Paris 8 UMR 7023 CNRS/Saarbrücken
Michela Russo
146
Michela Russo
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