Latte di donna - Provincia di Pesaro e Urbino
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Latte di donna - Provincia di Pesaro e Urbino
MARIA CHIARA MARCUCCI Latte di donna Lidia chiamò i bambini e consegnò loro il vasetto contenente il preziosissimo latte: - Su, andate a portarlo al fattore! E, mi raccomando, non correte: consegnatelo e tornate subito a casa! -. Paolo e Rita presero il vasetto dalle mani della loro mamma e s’incamminarono. I due bambini facevano quello stesso tragitto tutte le mattine da circa un mese, portando il solito vasetto nella casa del fattore, in fondo alla strada bianca e diritta, limitata dalle alte siepi di felci. Paolo e Rita non si rendevano conto di quanto quel latte fosse prezioso; sapevano solo che non era comune latte di pecora o di mucca, ma latte di donna! Sì, era il latte della loro mamma, che con grande pazienza tutte le mattine se lo tirava manualmente per riempire sempre lo stesso recipiente. Lidia non era una balia; era una giovane mamma che, dopo aver messo al mondo Paolo e Rita, aveva partorito due splendidi gemelli. Certo, erano anni difficili quelli, era passato il fronte, ma la donna si sentiva benedetta da Dio per quel parto gemellare che aveva portato felicemente a termine e per i due neonati che crescevano nell’abbondanza del suo latte. Lidia sapeva che quel latte era ricco di sostanze e, finché ce n’era, i suoi gemelli sarebbero cresciuti sani e robusti. Poi un giorno bussarono alla sua porta. Il fattore che abitava nel podere non lontano dalla strada maestra era venuto a chiedere un enorme favore. Suo figlio, di circa otto anni, si era gravemente ammalato: i dottori dicevano che aveva una brutta infezione… tutto ciò che mangiava non veniva digerito così che era come se il ragazzo non si nutrisse affatto. Ogni giorno che passava deperiva e sfioriva come i papaveri che lasciano cadere ad uno ad uno i rossi petali quando è passata la stagione… I dottori avevano detto che solo il latte di donna avrebbe forse potuto salvarlo. Perciò il fattore si era deciso a bussare alla porta di Socrate, per chiedere un po’ di quel latte che sua moglie aveva in seno e che sfamava due splendide creature. Quando Socrate ne parlò alla Lidia nacquero nella coppia dubbi e perplessità: “Se ti priverai di quel latte, ne resterà per nutrire i gemelli? Cum farai a sfamar ma chi fiulin?”. Ma la Lidia non poteva non essere solidale con quella madre. “Il mio seno produrrà latte a sufficienza, vedrai!”, era stata la sua ferma risposta. Così i due sposi, che avevano un cuore grande e un immenso amore per la vita, non rifiutarono la richiesta. E così da quel giorno la giovane mamma si toglieva il latte dal seno con una pazienza che solo una madre può avere, e riempiva con amore quel vasetto destinato ad un bambino che non aveva partorito lei, ma che ora amava con quell’amore materno che spinge le donne ad essere compassionevoli verso i più deboli e solidali con coloro che hanno vissuto la stessa esperienza di maternità. Passarono in questo modo giorni, settimane, finché il bambino che non digeriva nulla, se non il latte di donna, riuscì a riprendersi, ad integrare pian piano la sua dieta con altri alimenti fino a guarire. Il bambino così finì per non avere più bisogno di quel prezioso latte, che tornò ad essere esclusiva fonte di vita per i due gemelli. Lidia e Socrate erano felici perché il loro gesto d’amore era andato a buon fine. La storia però non termina qui. Il fattore, dopo qualche tempo, bussò nuovamente alla porta di quella casetta circondata da verdi meli: “Socrate, quanto vi devo per il latte di Vostra moglie?” Ma Socrate, amareggiato e offeso da quella domanda, rispose: “Nulla: mia moglie non è una mungana e io non vendo il suo latte”. L’uomo se ne andò senza capire che per ricompensare il generoso gesto della giovane coppia sarebbe stato sufficiente tendere la mano con stima e amicizia: la solidarietà infatti nasce dai gesti d’amore gratuiti che non possono essere comprati con il vile denaro, ma solo donati e condivisi.