La mobilità sostenibile

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La mobilità sostenibile
La mobilità sostenibile
Maurizio Tira
Dalla domanda di abitazione alla domanda di mobilità
La forte domanda di abitazioni è stata la leva dello sviluppo urbanistico abnorme e spesso di bassa
qualità nel secondo dopoguerra dello scorso secolo.
Tale crescita urbana, improntata a soddisfare un bisogno primario, ha anche marcato (spesso di
risulta, ovvero senza un progetto specifico) l’immagine dello spazio pubblico urbano.
Oggi l’idea, pervasiva ma vagamente declinata a livello locale, di “sostenibilità urbana”
riaccende la riflessione sull’influenza della gestione dello spazio pubblico nella città del XXI secolo e
sui suoi riflessi sulla qualità della vita della popolazione.
Se uno dei temi rilevanti rimane la qualità architettonica (degli edifici, degli insiemi urbani, dei
materiali, ecc.), si fa sempre più strada l’esigenza di considerare in termini più completi gli spazi e i
fattori che vedono i cittadini nel duplice ruolo di “produttori” e “consumatori” (produttori di
congestione e “consumatori” della congestione, produttori e “consumatori” dell’inquinamento,
ecc.).
Pare necessario rimettere in campo una riflessione sul pubblico interesse delle comunità
localmente insediate di fronte soprattutto alle sfide poste dalla crescente domanda di mobilità.
È evidente come tale esigenza maturi sullo sfondo delle preoccupazioni poste dallo sfruttamento
delle risorse e dai preoccupanti segnali di degrado ambientale che pongono la necessità di misure
limitanti la libertà di consumo.
In questo quadro, il tema dello spazio pubblico urbano è un emblematico terreno di confronto e di
riflessione.
In larga parte destinato ai luoghi della mobilità (ed in sempre maggiore prevalenza della mobilità
motorizzata privata), lo spazio pubblico soffre di tutti i problemi ambientali: limitatezza, scarsa
qualità, uso plurimo e conflittuale, degrado, conflitto sociale, ecc..
Riconoscendo il ruolo fondamentale di connessione che giocano i luoghi pubblici urbani, sia nella
loro consolidata conformazione storica, che nelle recenti espansioni, diventa sempre più urgente
affrontare il tema della sostenibilità della mobilità in ambito urbano, declinato nelle sue implicazioni
sulla qualità ambientale, sulla congestione, sulla sicurezza.
Sono numerosi gli orientamenti, le linee guida, le scelte politiche ed anche le buone pratiche a
livello internazionale per l’aumento delle qualità dei modi di muoversi nel territorio delle città, al
punto che non pare esagerato pensare che forse proprio la domanda di qualità potrebbero
costituire la nuova leva per la progettazione sostenibile delle città del secolo presente.
Devono però essere affrontati con coraggio i conflitti tra interesse personale e collettivo (lo spazio
pubblico è un bene collettivo; l’autovettura è una sorta di “spazio privato” che occupa
ampiamente lo “spazio pubblico”) e devono essere sciolti i nodi esistenti nel rapporto tra le diverse
competenze che agiscono sulla città ed in particolare sulla mobilità.
Quale futuro è dunque ipotizzabile per la mobilità e per la città? Il tema, ben chiaro nella
letteratura scientifica, del rapporto tra progettazione della mobilità e pianificazione urbanistica,
non rappresenta ancora un momento determinante delle politiche urbane, né dei processi
decisionali più complessivi riguardanti la costruzione della città.
La mancanza di una preparazione culturale specifica, così come la divisione delle competenze
tecniche e gestionali ed anche il quadro legislativo, mantengono distinti i due approcci.
· Come inserire i temi legati alla mobilità all’interno delle questioni “che contano”?
· Come gestire sviluppo delle nostre città?
· Come affrontare la complessità del legame tra sostenibilità del trasporto in ambito urbano e
pianificazione?
· Quali sono gli effetti sulla mobilità dei diversi modelli di “urbanizzazione”?
· Come coordinare le diverse politiche che investono la gestione urbana?
Il progetto OS.I.MO.S. si pone come segmento di questo complesso percorso, offrendo un metodo
e degli indicatori costruiti dal basso per conoscere, monitorare e decidere.
Non esaurisce la complessità, ma contribuisce a semplificarla, introducendo magari
approssimazioni, che si rivelano però certamente migliorative del panorama esistente non certo
soddisfacente.
Nuovi profili di mobilità
Dagli studi sui comportamenti rispetto alla scelta modale nello spostamento, emerge in generale
che la mobilità è guidata dal vincolo di budget economico e temporale: si sceglie il mezzo di
spostamento in funzione dell’ottimizzazione della propria funzione di utilità, appunto
economico-temporale, oltre che del comfort e di altri fattori minori.
All’interno di questo vincolo, nei paesi economicamente sviluppati pare trainante la componente
temporale, anche a causa del limitato costo del viaggio col mezzo privato, la cui incidenza è
relativamente bassa rispetto al bilancio complessivo della famiglia.
Da qui il ruolo determinante della velocità dello spostamento, che mediamente è andata sempre
crescendo nel tempo .
Le opportunità anche economiche dell’interazione e la diffusione del mezzo privato, fanno sì che
l’utente cerchi di ottimizzare le opportunità spaziali, organizzando la propria mobilità anche
aumentando le distanze di spostamento.
Si scelgono il luogo di lavoro, i servizi, i luoghi per lo svago anche a distanze elevate dall’abitazione,
con una tendenza a non spostare la propria dimora, perlomeno in contesti come quello italiano
dove la porzione di possessori dell’abitazione principale è molto elevata e il mercato degli affitti
notevolmente rigido.
Se le mutate distanze obbligano ad orari diversi e diversificati, si cerca di riorganizzare i ritmi
quotidiani ed anche i ruoli familiari, piuttosto che ottimizzare e minimizzare gli spostamenti.
Utilizzando i termini delle stime di traffico, si può affermare che v’è una maggiore rigidità delle
“origini” rispetto alla mobilità delle “destinazioni”, le quali, perso il vincolo della prossimità alla
utenza, si rilocalizzano in base anch’esse al proprio vincolo di budget e alla conseguente
ottimizzazione dell’investimento. In prima approssimazione, le aree produttive si rilocalizzano in
prossimità dei nodi delle reti fisiche e innovative e dei nuovi nodi di interscambio della grande
mobilità; le funzioni commerciali, nelle vaste aree periferiche, servite dalla viabilità principale.
È soprattutto l’uso generalizzato del mezzo privato, come evidenziato da tempo - fra gli altri - dagli
studi del Kohr (1992), che ha liberato la città dalla costrizione della prossimità.
In questo contesto di cresciute velocità e distanze, anche la consistenza e la ripartizione della
mobilità sono dunque fortemente mutate, con conseguenze rilevanti sull’ambiente umano e
qualche aspetto fenomenico contraddittorio.
· Innanzitutto la distanza dilatata dello spostamento sfavorisce la mobilità debole, pedonale e
ciclabile, a discapito della qualità urbana.
Da raffronti operati in alcune città francesi di medie dimensioni si è rilevata una diminuzione del
10% degli spostamenti a piedi nel decennio che va dai primi anni 80’ ai primi anni 90’.
Tale fenomeno, con valori variabili, è presente in tutti i paesi europei ed è ancor più generalizzato
della variazione dell’uso della bicicletta.
Esistono paesi infatti che hanno rivalutato l’uso delle due ruote leggere, aumentando anche
significativamente la ripartizione su quel modo di trasporto, ma non si hanno notizie di aumenti
della mobilità pedonale, se non in rari casi di limitate aree di centro storico.
Del resto, se il crescere degli spostamenti motorizzati sembra talvolta tradursi nella crescita dello
spazio pubblico a disposizione, essendo la strada uno degli spazi pubblici principali, in realtà tali
luoghi urbani attrezzati per la permanenza di persone si contraggono, forse anche perché non
essendoci tempo per sostare non ci sono più persone che ne usufruiscono.
Le conseguenze sull’ambiente di tale trasformazione della mobilità sono note a tutti, ma nel
bilancio economico privato non entrano, ad esempio, il costo dell’inquinamento, in quanto nelle
valutazioni contingenti di beni collettivi ciò che influenza la valutazione è il beneficio immediato
del singolo.
· Le statistiche dimostrano che nei paesi europei circa la metà degli spostamenti col veicolo
privato sono su distanze brevi (dell’ordine dei 5-6 km).
Questo paradosso evidenzia un uso certamente distorto e in molti casi diseconomico del mezzo
privato. Tuttavia ciò è legato di nuovo da un lato alla organizzazione dei momenti di vita, dall’altro
all’effetto di retroazione della struttura urbana pensata per l’uso incondizionato del veicolo privato.
In questo contesto, innanzitutto si acuisce la condizione di insicurezza dei mezzi deboli che
potrebbero sostituire l’auto sui percorsi brevi (movimento pedonale, bicicletta, motociclo); inoltre, si
acuisce la percezione dell’indubbio minor comfort di molti mezzi pubblici di spostamento (bus e
tram soprattutto).
Da ultimo non va trascurato che quelle politiche che favoriscono le infrastrutture per la mobilità
veicolare spesso trascurano le soluzione per i mezzi deboli, che sono però indispensabile condizione
per consentirne l’uso: si pensi, per tutte, alla carenza di infrastrutture per la sosta delle biciclette,
assai diffusa soprattutto in Italia e nei paesi del sud Europa.
· Si verifica un effetto di retroazione da parte delle velocità praticabili sulla portata
dell’interazione, come osserva Orfeuil (1997).
È nota la diversa influenza della distanza e del tempo di viaggio in funzione della taglia
dell’insediamento e dei fattori di concentrazione delle funzioni: in genere nelle grandi città ci si
sposta su distanze maggiori, accettando tempi di trasferimento più lunghi.
In generale, tuttavia, sembra che la accresciuta velocità, soprattutto del mezzo privato,
ingenerando una sorta di velocizzazione dei ritmi di vita, induca da un lato ad accettare meno i
lunghi spostamenti sistematici ed i tempi ad essi dedicati , dall’altro a dedicare minor tempo alle
funzioni liberamente assunte, quali quelle dei rapporti sociali.
L’organizzazione sociale nei tempi recenti è andata differenziandosi e articolandosi, rendendo
oggi impossibile fare riferimento ad uno schema familiare unico e assai difficile ricostruire una
giornata tipo, probabilmente per ognuna delle tipologie familiari:
· la piramide delle classi d’età evolve nel senso di un notevolissimo aumento delle fasce più
anziane (in Italia tale fenomeno è particolarmente macroscopico), per l’allungarsi della vita
media e per la fortissima diminuzione della natalità;
· la composizione del nucleo familiare varia nel senso di una famiglia sempre meno numerosa,
con una crescente percentuale di nuclei singoli, ripercuotendosi sulla frammentazione della
richiesta di abitazioni, oltreché sull’organizzazione della mobilità;
· la ripartizione dei ruoli familiari è sempre meno rigida, con crescente percentuale di genitori che
lavorano entrambi fuori casa;
· la mobilità del tipo e del luogo del lavoro è elevata nell’arco della vita attiva;
· anche il corso di studi, l’offerta di divertimento, lo spazio della comunicazione sono
enormemente variati (si pensi solo all’influenza della televisione sui momenti di vita dei bambini);
· il consumo è totalmente liberalizzato, per cui la scelta dei servizi alla persona e collettivi è
organizzata liberamente, cercando di minimizzare gli svantaggi: la scuola del figlio vicino al
posto di lavoro, la spesa vicino al luogo di lavoro per servirsi magari durante l’intervallo, ecc..
In conseguenza alla diversificazione sociale si sono diversificate e articolate le tipologie di
relazione. Si potrebbe dire - in un certo senso - che si sono liberalizzati i tempi all’”origine”, mentre lo
sono ancora relativamente alla “destinazione”. Ad esempio, sono flessibili (seppur con difficoltà) gli
orari di gestione familiare e meno quelli della gestione dei pubblici servizi e dei luoghi di lavoro.
Combinando le due osservazioni riportate nel seguente paragrafo si può affermare che:
· alle “origini” è avvenuta la liberalizzazione dei tempi, mentre sono più rigide le localizzazioni;
· alle “destinazioni” è avvenuta la liberalizzazione delle localizzazioni, mentre sono più rigide le
diversificazioni dei tempi.
Le esternalità negative della mobilità
Le esternalità sono di solito definite come “effetti collaterali e non intenzionali della produzione e
del consumo che influiscono, positivamente o negativamente, sui terzi (Turner, Pearce e Bateman,
2001)”. Prendendo in considerazione i soli effetti negativi, il rapporto Bruntland le definisce come
“un danno creato da un soggetto economico ad un altro, nel corso della propria attività, senza
che fra questi vi sia una transazione commerciale, né una compensazione economica del danno
(United Nations, 1987)”.
Nel sistema si produce una divergenza tra costi e benefici sociali e privati, determinata dal fatto
che il soggetto individuale ottiene benefici privati a fronte dell’uso di risorse collettive, mentre gli
altri soggetti, non coinvolti nei processi di produzione e consumo, ne subiscono solo i danni (costi
collettivi), rappresentati dalla riduzione della qualità e quantità di ambiente a loro disposizione.
Poiché gli effetti negativi ricadono su soggetti terzi, le esternalità non hanno alcuna influenza sul
sistema di costi e benefici di chi le produce e i responsabili dei costi dell’inquinamento, di
conseguenza, non sono incentivati a tenerne conto nelle loro decisioni.
Gli economisti spiegano le dinamiche viste finora con il fatto che i beni ambientali sono beni
pubblici (i cosiddetti commons), cioè beni che presentano le caratteristiche di non rivalità nel
consumo e di non escludibilità. Ciò significa che il consumo di ambiente da parte di qualcuno non
diminuisce la quantità consumabile degli altri e che un individuo non può impedire ad un altro di
consumare la risorsa (Turner, Pearce e Bateman, 2001). In termini generali si può dunque dire che gli
individui percepiscono l’ambiente come risorsa “a costo zero” (ad esempio come ricettore degli
inquinanti dell’aria). In mancanza di politica ambientale, quindi, non si potrebbe impedire ad
alcuno l’uso dell’ambiente, anche se produttore di impatti negativi sulla collettività, mentre
l’intensità d’uso delle risorse ambientali non si ridurrebbe poiché le risorse ambientali rimarrebbero
più economiche di altre. La possibilità di ridurre i costi è allora fortemente legata all’intervento dello
Stato e degli altri soggetti con compiti di governo del territorio.
Nella prospettiva di un intervento pubblico è evidente quanto l’identificazione dei costi esterni e la
loro valutazione possa assume un ruolo fondamentale nel governo e nella regolamentazione degli
usi del territorio, ma tali operazioni, nella pratica, appaiono ancora molto complesse. E’ dunque
utile affrontare tali problemi con una logica di tipo settoriale, valutando il sistema di costi e benefici
ambientali che caratterizza i diversi ambiti di uso delle risorse ambientali - nel nostro caso il settore
dei trasporti - in determinati contesti territoriali - nel nostro caso nei sistemi urbani.
Occorre ancora ricordare che i metodi di valutazione monetaria intervengono all’ultimo stadio di
un processo di calcolo che richiede la l’individuazione e la quantificazione dei fenomeni materiali
di degrado e dei danni da questi provocati al sistema. A valle di questa fase si può poi procedere
ad associare a tali elementi un valore monetario, per far emergere i costi economici che il sistema
deve considerare.
L’individuazione corretta di tali elementi è quindi una fase importante del processo di valutazione:
si tratta infatti di individuare e definire un insieme di indicatori che possano fornire un’informazione
corretta ed attendibile sulle fonti, le dimensioni e le conseguenze dei fenomeni che costituiscono
l’insieme delle pressioni ambientali generate dalle diverse attività umane sul territorio.
Un sistema di indicatori così realizzato ha non soltanto una funzione conoscitiva ma anche di
supporto alle decisioni.
In termini generali il rapporto tra mobilità e ambiente può essere sintetizzato come appare nello
schema in figura 2.1.
Si parte dal considerare gli elementi che determinano le esternalità stesse, qui definiti drivers.
Questa fase ha il solo obiettivo di evidenziare le caratteristiche di base di tali elementi, soprattutto
in funzione della successiva definizione di linee guida per la riduzione dei costi esterni, tenendo
conto che in un contesto urbano gli effetti delle esternalità appaiono amplificati dalla
concentrazione di veicoli in aree relativamente limitate e dalla maggiore esposizione di persone
ed elementi fisici presenti sul territorio:
• veicolo: gli oggetti il cui modello d’uso determina l’insorgenza delle esternalità. Sono elementi da
considerare: le caratteristiche dei veicoli sia in
termini di funzione (trasporto pubblico o privato, trasporto di persone o merci) che di qualità (età
dei veicoli, stato di manutenzione, tipologia di carburante ecc..) e performance;
• conducente: i soggetti che determinano la modalità d’uso dei veicoli. Sono elementi da
considerare: i tempi degli spostamenti (che determinano
congestione), gli stili e le capacità di guida (che influiscono sull’incidentalità e sulle altre variabili
ambientali);
• infrastrutture: il modello di mobilità urbana e le sue caratteristiche in termini di esternalità sono
fortemente condizionati dalla struttura fisica delle
infrastrutture viarie e dalla forma della città. Sono elementi da considerare: il sistema viario
(funzione e geometria delle strade e regolazione del traffico), l’offerta di trasporto pubblico (e la
sua capacità di ridurre il ricorso al mezzo privato), l’organizzazione delle attività in riferimento agli
ambienti serviti dalle infrastrutture (con riferimento alla domanda di mobilità e alle sue
caratteristiche e attenzione alle attività di trasporto di merci o legate alla produzione di servizi a
livello locale).
Figura 2.1 – Il rapporto tra mobilità e ambiente: framework per l’approcci ai costi esterni
È evidente che si tratta di elementi che devono essere presi in considerazione dal punto di vista
teorico metodologico. Altro è poterne o volerne considerare la portata quando si passi alle
implicazioni di policy, soprattutto perché parte di essi sono non solo difficilmente gestibili in assoluto
(come gli stili di guida), ma più spesso riguardano normative di livello nazionale.
Le dinamiche dei drivers possono quindi essere descritte attraverso delle funzioni – azioni chiave –
che ne descrivono le caratteristiche e le conseguenti produzioni di esternalità. Tali funzioni sono di
tipo tecnico scientifico e sono descritte da leggi fisiche, meccaniche e chimiche deterministiche o
da leggi statistiche e probabilistiche (legate per esempio al rapporto tra presenza di veicoli e
condizioni alle quali è possibile o probabile che si verifichi un incidente).
Le esternalità possono allora essere espresse anche come fenomeni chiave, cioè effetti
determinati dagli usi dei veicoli secondo le diverse modalità, per le diverse funzioni e nei diversi
contesti infrastrutturali. Le classi di esternalità sono raggruppabili in 4 categorie:
1. la prima considera tutto l’insieme degli inquinanti atmosferici, sia i gas serra che gli inquinanti
tossici per l’uomo: questo tipo di emissioni è legato soprattutto alla tipologia e alle caratteristiche
dei veicoli (in particolare con riferimento ai carburanti utilizzati e all’età del veicolo;
2. la seconda considera il problema del rumore, legato soprattutto alle caratteristiche dei veicoli,
ma anche alla disposizione delle funzioni urbane (quindi dei soggetti esposti) e ai tempi della
mobilità (la concentrazione di veicoli in determinati orari);
3. la terza riguarda gli incidenti, legati sia alle caratteristiche dei veicoli (soprattutto con riferimento
all’età), che alle attitudini del conducente e alle infrastrutture;
4. la quarta riguarda la congestione ed è considerata in qualche misura a parte rispetto alle altre,
poiché le caratteristiche del veicolo, principale elemento determinante delle esternalità negli altri
casi, in questo non ha peso: si tratta infatti soprattutto dell’influenza che i tempi e le infrastrutture,
oltre al disegno urbano, hanno sul sistema di mobilità, concorrendo quindi alla creazione di traffico
più o meno intenso. Nella letteratura trasportistica la congestione non è sempre considerata
un’esternalità ambientale in senso stretto, ma un’esternalità di tempo.
A questa matrice vanno quindi associati altri due elementi, determinanti per le indicazioni di
calcolo dei costi esterni con cui la collettività si deve confrontare:
· i recettori esposti, cioè i soggetti e gli elementi del contesto urbano che ricevono danni per
la loro esposizione alle esternalità considerate,
·
e l’effetto atteso, cioè i danni da valutare.