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GIOVANNI POLARA
CONCLUSIONI
Questo Convegno su Tempo e spazio nella poesia di Properzio è il sedicesimo nella serie degli incontri biennali voluti dall’Accademia del Subasio e dal Centro di Studi sulla Poesia latina in distici elegiaci a partire
dal 1976, e apre nel nome del poeta di Assisi il secondo trentennio di
vita di quello che si è ormai affermato come il principale appuntamento
per gli studiosi dell’elegia latina.
Il Presidente dell’Accademia, Giorgio Bonamente, inaugurando il
Convegno nella prestigiosa Sala della Conciliazione messa a nostra disposizione dal Comune di Assisi, ci ha ricordato i nomi di coloro che lo
seppero far nascere, quelli che non sono più con noi, da Della Corte a
Vivona a Catanzaro, e quelli che continuano a lavorare perché tutto
funzioni sempre per il meglio, da Scivoletto a Fedeli, a Santini, e garantiscono la puntuale pubblicazione dei volumi degli Atti, come quello del
2006 sui Personaggi, già distribuito ai partecipanti di quest’anno, curato
da Carlo Santini e Francesco Santucci. E Bonamente accanto agli Atti
ha giustamente collocato le traduzioni di Properzio in lingue moderne
finanziate dall’Accademia, in cinese, in russo, in portoghese, in maltese
e in prospettiva anche in hindi, nella direzione di un ampliamento verso le lingue e letterature moderne, che accompagni in diacronia, con
un percorso capace di attraversare le culture letterarie di tutto il mondo, le indagini sincroniche, orizzontali, che sono proprie degli incontri
biennali, nei quali sempre presenti e preziose sono, accanto a quelle dei
filologi, le competenze degli storici e degli archeologi. Anche stavolta il
Convegno può vantare presenze di relatori di vari paesi d’Europa e di
fuori Europa, a conferma di come l’interesse per Properzio, anche in
quest’epoca, travalichi gli ambiti geografici del continente antico, e lo
sforzo dell’Accademia e degli altri finanziatori ha consentito a borsisti
provenienti da varie università, non solo italiane, di partecipare senza
spese alle tre giornate dei lavori. In conclusione del suo breve intervento di apertura, Bonamente ha giustamente ringraziato, facendosi porta-
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voce del pensiero di tutti i presenti, il prof. Roberto Cristofoli, il cui
impegno organizzativo, come abbiamo avuto modo di sperimentare ampiamente, ha fatto sì che gli aspetti pratici del Convegno fossero pienamente all’altezza di quelli scientifici.
A quello del Presidente dell’Accademia hanno fatto seguito gli interventi di saluto delle autorità. Come non è frequente nelle occasioni
congressuali, ma è una gradevole consuetudine di questi sull’elegia, si è
trattato di discorsi tutt’altro che formali o banali, perché il Sindaco di
Assisi ci ha intrattenuti sull’interesse che la tematica del convegno presenta anche dal suo punto di vista di ingegnere e di amministratore di
un Ente locale, spiegandoci in che modo l’influenza di spazio e tempo
sulla percezione della poesia condizionino anche il suo rapporto con gli
spazi della città – nel caso specifico quella di Assisi – attraverso l’impegno per il restauro, il recupero e la valorizzazione dei monumenti, e in
particolare quelli di età romana qui tanto rilevanti. Il Vescovo, che pur
essendo qui solo da due anni ha già potuto apprezzare il prezioso ruolo
culturale dell’Accademia e l’importanza delle sue iniziative, capaci di
una continuità nel tempo che ne dimostra la serietà, si è invece soffermato sulla tematica cristiana dell’amore e su quel classico della poesia
d’amore che è il Cantico dei cantici, che la tradizione medievale ha strettamente collegato ad un altro grande poeta elegiaco latino, Ovidio.
I lavori di questo Convegno del 2008 hanno dimostrato molti punti
di contatto e di continuità con il precedente del 2006, sui personaggi
dell’elegia properziana: anche stavolta i relatori si sono dovuti misurare
con il problema della ‘storicità’ – allora dei personaggi, ora di spazi e
tempi – cioè del rapporto fra il reale (per quanto da noi rilevabile) e la
sua rappresentazione letteraria, con la funzione poetica e metapoetica
di descrizioni – ancora, rispettivamente, di personaggi e di spazi e tempi –; hanno affrontato i tempi e gli spazi del mito e dell’al di là, così
come due anni fa si era discusso dei personaggi mitologici e inferi, o il
tema del tradimento, analizzato adesso dal punto di vista di tempi e
luoghi e non più dei protagonisti della vicenda. Non si è trattato mai,
però, di ripetizioni, e le prosecuzioni, gli arricchimenti che ci sono stati
proposti hanno avuto sia il vantaggio di potersi confrontare con indagini già per alcuni aspetti compiute, sia il merito di avere per oggetto
tematiche ‘forti’, centrali per l’analisi di molte forme di poesia, soprattutto – ma non solo – d’amore, in ogni epoca e in ogni letteratura, e
hanno quindi potuto fornire dei modelli di lavoro applicabili ad altri
autori e ad altri generi.
Come altre volte alle tradizionali relazioni si sono accompagnati due
momenti che sono tipici dei nostri Convegni, la visita a monumenti
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romani di Assisi e la presentazione di una nuova traduzione di Properzio in una lingua in cui il testo dell’elegiaco non era ancora mai stato
recato. Del primo compito si è fatta carico, anche quest’anno, l’ispettrice M. Laura Manca della Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Umbria, che ci ha consentito la visita alla “Casa di Properzio”, resa più
efficace da una dotta lezione sull’edificio e la sua storia, dalla sua scoperta nell’Ottocento alla ‘riscoperta’ nel Novecento: la studiosa ci ha
puntualmente illustrato metodi e tecniche di costruzione e caratteristiche e conseguenze dei restauri più antichi e di quelli più recenti, ci ha
fornito preziose spiegazioni sulle eleganti raffigurazioni di argomento
omerico e ci ha fatto ammirare gli interessantissimi graffiti in lingua
greca. Il professor Horatio Caesar Roger Vella, dell’Università di Malta,
ci ha invece riferito della sua traduzione in lingua maltese di alcune
elegie properziane, e ci ha dato con un’espressiva lettura del suo testo
la possibilità di gustare la particolarissima sonorità di quell’idioma, l’unico di origine semitica che sia parlato all’interno dell’Unione Europea,
con una percentuale di italianismi lessicali assai inferiore a quanto si
potrebbe immaginare: nel passo scelto per la lettura, i termini derivati
dall’italiano si aggiravano intorno al 5%, e non c’è ragione per ipotizzare una loro maggiore frequenza nell’intero lavoro. Alla lettura si è accompagnata l’esposizione di alcune questioni teoriche relative a problemi incontrati nel corso della traduzione, ad esempio quello – sempre di
soluzione tutt’altro che agevole – della resa degli antroponimi, che nel
passaggio da una lingua all’altra rischiano di essere miseramente storpiati o ricalcati in forme poco adatte alla fonetica della lingua verso cui
si traduce.
Ma veniamo al tema del convegno e alle relazioni in cui esso è stato
affrontato. Per merito degli studiosi che si sono cimentati con l’argomento, sono emerse tre tipologie, o meglio addirittura categorie, di
domande: il tempo e/o lo spazio nell’elegia, con la verifica della presenza nel testo poetico di tempi e spazi esterni, ‘storici’, e la loro corrispondenza a quanto su di essi ci è noto dalle altre fonti; il tempo e/o lo
spazio dell’elegia, la sua specificità, il suo particolare carattere poetico,
quasi una sorta – si potrebbe dire – del biblico tempus loquendi et tempus
tacendi; infine i tempi e/o gli spazi dell’elegia, intesi nel senso della
presenza all’interno del testo di temi e circostanze spaziali e temporali,
di un loro esserci, un da sein che ne rimarcasse contemporaneamente
l’opportunità e i significati ai fini del prodotto poetico. Si tratta, non
c’è dubbio, di una ripartizione di comodo, grossolana e approssimativa,
ma ha il vantaggio di consentire una distribuzione degli argomenti che
non ricalchi semplicemente l’ordine cronologico delle cinque sessioni in
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cui si è articolato il Convegno, e di agevolare un confronto, un dialogo
fra le varie relazioni.
Al primo raggruppamento possono essere assegnate non solo alcune
delle relazioni di tema più specificamente filologico o letterario, che
rischiano di essere più esposte di altre all’influsso del giudizio sul genere elegiaco; questo ci ha fornito un’importante conferma di alcune convinzioni che hanno circolato anche in precedenti Convegni: spazi e tempi sono sempre quelli dell’autore, o perché sono tutti suoi, interiori,
non passibili di verifica, o perché comunque sono da lui mediati e rivissuti. Si è così potuta rideterminare meglio la categoria esegetica di “elegia erotica soggettiva” alla luce di due elementi importanti dell’oggettività/soggettività – due coordinate come spazio e tempo – sia per quanto
riguarda i luoghi e i tempi della Roma di Augusto sia per l’insieme
dell’ambientazione di un’esistenza come quella del poeta elegiaco, che
punta sempre a proporsi come meritevole di conoscenza, se non vogliamo dire proprio come ‘esemplare’.
Con le relazioni del secondo gruppo si sono potute verificare le due
principali dimensioni del poeta e della poesia, il suo essere nello spazio
e il suo divenire nel tempo, e quindi il conoscere e il fare, il modificare
nel tempo ciò che è in uno spazio, e perciò anche il fare poesia. Le
letture proposte hanno inquadrato il praesens dell’autore (quello che la
Chirassi Colombo ha chiamato l’hic et nunc, per metterne subito in risalto le implicazioni insieme spaziali e temporali) in cui si consuma la
vicenda dell’io elegiaco, sia quella della sua esistenza sia quella più propriamente poetica, ma per converso hanno anche definito le modalità
di costruzione dell’‘altrove’ spaziale e temporale, nel passato, con il mito
e con il ricordo; nel futuro, con le speranze e i timori; nello stesso
presente con le dimensioni oniriche del sogno e del delirio. Si è così
delineato un ampio ventaglio di possibilità, dai luoghi e momenti ‘veri’,
ma meno reali di tante fantasie, perché ad essi il poeta non può partecipare, come è per la Baia immaginata ma non vissuta, alle immagini
fantastiche che si presentano come più vere di qualunque realtà, come è
per la Cinzia morta che torna con tutta la sua drammatica carica di
umanità nella visione (sogno o allucinazione che sia) di Properzio.
Le relazioni del terzo gruppo hanno avuto per oggetto problematiche diverse, indagate da differenti punti di vista e con diverse metodologie di ricerca, per verificare in che modo particolari momenti chiave
della vicenda elegiaca in generale, o del mondo di Properzio in particolare, trovino il loro posto all’interno dello spazio e del tempo che sono
propri del racconto: curiosità e domande su aspetti tutti in qualche
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modo notevoli hanno trovato risposte che fanno luce anche su punti
apparentemente secondari del racconto, che da questa originale presentazione ricevono nuova centralità e possono divenire simbolo del complessivo percorso del poeta alla ricerca del proprio ruolo a Roma, nei
circoli della poesia augustea, nel rapporto con la donna amata.
Della presenza di elementi spaziali e temporali nelle elegie, tenendo
conto sia di quanto è possibile rilevare all’esterno del genere letterario
sia delle scelte imposte dalle sue leggi, si sono occupate in particolare
le relazioni di Mario Torelli, di Ileana Chirassi Colombo, di Giancarlo
Mazzoli. Per parlarci degli Spazi nella Roma augustea Torelli si è posto il
problema di che cosa della Roma di Augusto avesse per Properzio un
significato così rilevante da meritarsi un posto nella sua poesia, e in che
maniera lo scrittore vivesse e descrivesse quei luoghi; preliminare a quest’analisi è stata la definizione del rapporto fra letteratura e immagini,
che per il mondo romano comporta un confronto obbligato con il caso
di Pompei e la poesia di Ovidio: come la città campana sembrerebbe
essere un luogo spiccatamente ovidiano, ma ad un più attento esame la
presenza di quel poeta è assai minore di quanto ci si aspetterebbe, così,
come si vedrà, la Roma di Augusto non occupa un posto particolarmente ampio nell’opera di Properzio. Dopo aver illustrato i caratteri delle
arti figurative nella capitale nei molti anni del princeps, fra Secondo e
Terzo stile, fra l’ellenismo espressione di un lusso esasperato e quello
più raffinato, senza grandi ostentazioni di ricchezza, esemplarmente rappresentato dallo Studio di Augusto, e aver chiarito i messaggi politici
che sottostanno a questi due tipi di architettura e di ornato, Torelli è
passato ad esaminare le poesie del quarto libro in cui maggiormente
compaiono i luoghi della città: la 4, 2 di Vertumno, la 4, 4 di Tarpea,
la 4, 6 dell’Apollo Palatino, la 4, 9 dell’Ara Maxima di Ercole, la 4, 10
di Giove Feretrio; e l’esame ha ben dimostrato come quei luoghi non
risultino marcati in maniera predominante dal segno di Ottaviano, perché semmai prevalgono i riferimenti all’età preaugustea, all’Italia antica,
addirittura agli Etruschi, ed è evidente che Properzio tende a ridurre al
minimo – almeno nel quarto libro – gli ‘spazi augustei’. Il confronto fra
due messaggi ideologici in codici diversi, quello della letteratura e quello delle arti, che Torelli ci ha così proposto nella sua dotta lezione, ci
ha consentito di valutarne la diversità pur all’interno di un medesimo
contesto storico, la maggiore o minore rispondenza agli orientamenti
del poter politico, e di illuminare da più punti di vista i problemi di
una società in rapido e profondo cambiamento.
Su Tempo e spazio del mito ci ha intrattenuti la Chirassi Colombo,
aggiungendo a quelli degli storici, degli archeologi, dei filologi, dei cri-
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tici letterari il punto di vista dell’antropologo. Dopo un’ampia premessa
sul mito e il suo pubblico, e sulle modalità di espressione del mito, la
studiosa ha rilevato come Properzio appaia soprattutto nella veste di
‘consumatore’ di miti – quelli greci – e non di produttore o di rielaboratore, coerentemente con le tradizioni della mitopoiesi romana, più indirizzata alla trasformazione in mito della storia nazionale. Così il mito
classico fornisce al poeta immagini da rappresentare con la caratteristica
di essere sempre e comunque inattuali, prive di “spinta propulsiva”, per
la loro irrimediabile appartenenza ad un tempo irriducibile al presente;
di questo assunto ci ha portato numerosi esempi tratti da quei personaggi del mito che già erano stati al centro di più di una relazione nel
2006, con la preziosa integrazione di un approfondimento dei loro
aspetti psicologici. La conclusione ha spaziato sul mito del ‘paesaggio
romano’, ma ovviamente in chiave molto diversa da quelle utilizzate da
Torelli e Mazzoli, perché la relatrice ha scelto di leggerlo alla luce di
una concezione millenaristica, da azzeramento dei tempi, la cui presenza è stata da sempre segnalata nella poesia augustea, durante e dopo le
convulsioni delle guerre civili: il ritorno dei Saturnia regna e dell’etica
antica costituiscono anche per Properzio un’aspirazione ad un mondo
giusto che merita di essere coltivata, sia pure nella consapevolezza di
quanto di utopistico essa poteva contenere.
Con Mazzoli sono stati chiamati in causa gli Spazi e paesaggi d’Italia e
di Grecia, partendo proprio da quest’ultima che tanto spazio ha fin dal
nome stesso di Cinzia e da tutti i suoi valori simbolici, a partire dalla
ricchezza di significati pubblici e privati che ha l’Apollo contenuto nel
nome della donna amata da Properzio. Si tratta di una Grecia simbolica, così come culturalmente evocatori sono sempre i suoi paesaggi, presentati in quadri statici ma con una serie di prospettive a più piani
che invitano a letture sempre più interne, verso i molteplici sensi di
ogni scrittura. Ci sono panorami selvaggi, corrispondenti e pertinenti
alle vicende del personaggio che è in primo piano sulla scena, il Milanione di 1, 1, 9-18 o le eroine a cui è assimilata Cinzia, novella Eea,
in 1, 3; ci sono anche spazi mitici, che servono a dimostrare la doctrina
dell’autore o – al contrario che in 1, 3 – per contrapporre al comportamento virtuoso delle donne del mito un più discutibile presente. Dai
paesaggi del mito si procede verso quelli della letteratura, bucolici e
georgici, con descrizioni di loca amoena e rappresentazioni dell’età dell’oro, ma anche con il gusto per immagini ricche di impressionismo
cromatico o anche di venature ironiche capaci di restituire a questo
mondo, rinnovate e perciò di nuovo gradevolmente fruibili, raffigurazioni altrimenti consunte e troppo di maniera. C’è infine il mito di Atene,
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che giunge alla raffinata intuizione della necessità di andare in Grecia
per liberarsi della ‘greca’ Cinzia, tanto greca che quando tornerà post
mortem nel quarto libro recherà di nuovo con sé la grecità omerica del
sogno di Achille.
Accanto ai luoghi greci, e in controluce rispetto ad essi, vanno visti
quelli dell’Italia, dalle acque dell’Umbria e di Roma alle località di villeggiatura nelle quali si reca Cinzia per il suo turismo, d’evasione o
religioso. Il passaggio dalla Grecia a Roma è stato significativamente
illustrato da Mazzoli con un acuto confronto fra terzo e quarto libro: a
3, 1 Properzio chiede di entrare nel bosco (greco) di Callimaco e Filita,
a 4, 1 ha portato Callimaco a Roma, e lo ha fatto divenire romano,
esattamente come romane sono già diventate le antiche città e le tradizioni degli Etruschi, e Vertumno sta nel Foro, e lo stesso etrusco Properzio si aggira da romano in quel luogo così ricco di significati ideali e
politici. Il relatore ci ha in questo modo fornito, insieme con l’analisi
della rappresentazione degli spazi, una finissima interpretazione del ruolo di Roma nel mondo mediterraneo antico, e non solo sul piano letterario e più complessivamente culturale, di cui abbiamo tutti ammirato
la sottile eleganza e la capacità di approfondire i vari luoghi chiamati in
causa a sostegno delle originali e convincenti argomentazioni.
Per gli spazi e i tempi dell’elegia, le sue coordinate poetiche, abbiamo ascoltato in primo luogo la relazione introduttiva tenuta dal nostro
massimo esperto del tema, Paolo Fedeli, e successivamente quelle di
Alain Deremetz, di Arturo Álvarez Hernández, di Carlo Santini. Parlandoci dello Spazio dell’amore Fedeli ha esordito ricordando come nel suo
essere presente, essere assoluta certezza, l’amore superi ogni limite di
spazio e tempo; quindi, passando più specificamente al tema dello spazio, ha preso in esame i luoghi dell’innamoramento, che sono luoghi
urbani per eccellenza, come il teatro e le vie della città (e questo ha
stimolato un implicito dialogo con il presidente della sessione, Gian Biagio Conte, quando Fedeli ha sottolineato come l’elegia si contrapponga
all’ecloga, e Properzio sia poeta cittadino, come era stato Gallo), e urbane sono anche le case in cui vive l’amore: non quella di Properzio, che
funge da ambientazione solo a 4, 8, dopo la morte di Cinzia, ma quella
della donna, nella Suburra.
Dopo quelli dell’innamoramento, i luoghi del sospetto e del tradimento, che possono essere dappertutto, quando si è fuori Roma. Lasciare la città è già di per sé un tradimento, perché vuol dire chiamarsi
fuori della poesia di Properzio; un po’ meno pericolosa è forse la campagna, ma anche lì non si può mai essere del tutto sicuri, mentre i
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luoghi remoti significano rottura certa, e anche per questo il poeta non
vuole andare in Asia con Tullo, e Cinzia, che in un primo momento
sarebbe pronta a partire con un altro per l’Illiria, sulla falsariga di Licoride, decide infine di rimanere. Il più ostile all’amore è però il mare,
che simboleggia quanto possa esserci di più pericoloso, e solo una ‘fantasia’ del mare, come a 2, 26, può ospitare in sé e far vivere quel
sentimento. Anche la guerra è motivo di sospetto e di rottura, ma non
è tale, invece, la morte, che non conclude l’esperienza amorosa, ma può
ricostruire, dopo, un più vero spazio dell’amore, come aveva già notato
Norden a proposito di Platone e dei tragici. Infine lo spazio del remedium, quando la donna abbandona l’amante: ma ogni tentativo di dimenticare si rivela un’illusione, e non è nemmeno possibile sperare in
un ritorno ‘odissiaco’ di Cinzia, perché lei comunque non sarebbe più la
stessa, e risulterebbe definitivamente estranea allo spazio della poesia di
Properzio.
Come sempre Fedeli ha unito alla perfetta conoscenza dell’autore
un’esemplare chiarezza di esposizione e la capacità di analizzare i testi
con straordinaria finezza sul piano linguistico e su quello dello stile: si
pensi, solo ad esempio, a quello che è stato capace di farci trovare in 1,
11, 1-20, o in 2, 26, 29-34, Cinzia a Baia e il viaggio per mare, e come
nel primo caso ci abbia messi in condizione di capire davvero tutte le
risonanze di quel mediis e nel secondo tutte le implicazioni presenti nelle immagini della nave.
Fin dal titolo, Il tempo dell’amore, la relazione di Deremetz faceva
pendent con quella di Fedeli; dopo aver premesso che non si sarebbe
occupato del ‘tempo drammatico’ della vicenda letteraria, presente che
comporta un futuro di profezie e aspettative e un passato mitologico,
ma avrebbe piuttosto tenuto conto della tripartizione in narrazione, récit
e storia, il relatore ha affrontato il tema dei rapporti fra tempo interno
all’opera letteraria e tempo esterno, e dei ‘marcatori’ di realtà esterna
che si incontrano nel testo: i personaggi storici, a cominciare dall’autore
stesso e dalla sua realtà biografica, e gli avvenimenti datati, come la lex
marita e le altre vicende su cui, negli anni passati, più volte si sono
soffermati relatori come Bonamente e Cristofoli. C’è poi il ‘tempo storico’ esplicitato: quando Properzio a 1, 1 parla di un anno di furor, quale
è il periodo cronologico a cui fa riferimento? Quello che intercorre fra
l’innamoramento e la scrittura del testo? O piuttosto, col salto dall’esperienza erotica a quella letteraria, quello richiesto dalla composizione del
libro? E a 2, 20 i sette mesi passano fra la pubblicazione del primo
libro e la stesura della nuova elegia? Si ha comunque evidente l’impressione che si tratti più di datazioni dell’opera letteraria, della rivisitazio-
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ne erudita dell’esperienza sentimentale, che di veri e propri tempi della
passione.
Fra i tempi vanno tenute presenti anche le circostanze, i contesti, a
cui fa riferimento il sottotitolo della relazione, La lunga notte elegiaca; il
riferimento immediato è alla lunga notte della commedia, e fra le altre
verrebbe da pensare alla più famosa e lunga di tutte, quella soprannaturale dell’Amphitruo. Deremetz ha esaminato varie tipologie di notti, quelle segnate dal topico paraclausithyron, quelle trascorse in lamenti d’amore, quelle in cui si scrive d’amore secondo il modello catulliano di Hesterno Licini die otiosi ..., con la notte insonne in attesa di poter fare di
nuovo poesia, in un furor che ricorda quello di 2, 22 e conferma la
sostanziale identità fra l’amore e le parole d’amore: la relazione ci ha
fatto vedere quale sia la molteplicità dei tempi e delle categorie di tempo che si rispecchiano nei versi di Properzio, e ha confermato l’opinione di chi enfatizza la specificità letteraria del testo rispetto alla narrazione di un’esperienza autobiografica, e quindi il significato di caratteristiche e regole tutte proprie della scrittura poetica.
Nella stessa direzione, a conferma di una convinzione molto diffusa
fra i relatori, si è mossa la lezione di Álvarez Hernández, Lo spazio della
consacrazione poetica, al centro della quale era collocato lo ‘spazio Eliconio’, con la crescita della consapevolezza poetica da parte dell’autore fra
secondo e terzo libro, in un percorso che fa sempre più propri Callimaco, Ennio, Lucrezio e Virgilio. Dopo la dichiarazione programmatica
negativa di 2, 1, che esclude sia Calliope sia Apollo dal ruolo di ispiratori del canto, già a 2, 10 viene invocato l’Elicona a garante di una
poesia nuova e più alta, di carattere evidentemente eroico. Questa innovazione presuppone un riferimento ascreo, evidentemente derivato da
Esiodo, ma mediato dal Virgilio della sesta ecloga e dalla figura di Gallo che si aggira intorno al monte, ma mentre in Virgilio la via dell’Elicona è un’ascesa dal Permesso, intorno alle cui rive va errando Gallo,
fino alla vetta dove risuonano gli aitia dei flauti esiodei, in Properzio –
quasi in contrapposizione con l’immagine virgiliana – lo spazio eliconio
è quello della raffinatezza formale, e il fine del poeta non è quello di
cambiare genere, abbandonando l’elegia, ma quello di comporre testi
elegiaci ancora più perfetti: non a caso a 3, 1, un testo che ha attirato
anche l’interesse di Giancarlo Mazzoli per gli aspetti del paesaggio, è
agli elegiaci Callimaco e Filita che si chiede di poter entrare nel bosco
dei poeti.
Si conferma peraltro il carattere religioso della poesia, perché anche
per Properzio il poeta è sacerdote, come era per Virgilio e per Orazio;
l’elegia però merita una collocazione alla pari con l’epica (e con la di-
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dascalica) e con qualunque tipo di lirica per la perfezione formale che
può conseguire, e lo conferma il sogno nello spazio eliconio di 3, 3, un
testo preso in esame anche dalla Dimundo e particolarmente complesso
per i tanti riferimenti simbolici di cui è ricco, a partire dall’ovvio, esplicito confronto con Ennio e ai temi romani che vi si affollano. La grotta
delle Muse è abitata dalle colombe di Venere, che non bevono dal vorticoso fons, ma dal quieto laghetto che rappresenta l’elegia, ed è Calliope a venire incontro al poeta, non viceversa, giunge alla fonte, ne prende l’acqua fra le mani e gliela porge perché la beva; Properzio non
deve bere direttamente dalla sorgente, perché non ne è capace, ma non
deve nemmeno contentarsi di fare come le colombe: la Musa gli concede una posizione intermedia che non è l’epica, ma un’elegia nuova, nel
nome di Filita e della perfezione formale, con la consacrazione poetica
di una nuova elegia civile, che supera la misura dell’elegia erotica. Con
questo esempio di analisi metapoetica Álvarez Hernández ci ha messi
sui sentieri dei percorsi per iniziati prediletti da poeti di tanta finezza.
A Santini è toccato Il tempo della memoria, che è stato affrontato
ricordando come figlie di Mnemosine siano le Muse, capaci di alternare nel ricordo verità e menzogna, sintesi della memoria per Platone e
per Aristotele, ricordo inconsapevole e richiamo volontario. Nei primi
tre libri il ricordo è personale, del poeta, e nel quarto diviene collettivo, di tutti i Romani, finché a 4, 11 non è Properzio a ricordare, ma
Cornelia, e nel tempo del funerale, con una rivoluzionaria applicazione
della topica propria della laudatio. Freud, che cita Properzio, segnala
che Roma è forse il maggior esempio del ricordo, passato e presente, e
4, 1 apre degnamente questo libro col ricordo della parva urbs da parte
del poeta, e della vita privata di quest’ultimo da parte di Horos che si
fa carico di riportare alla luce fatti che l’autore non ha la forza di
rivivere, come la morte del padre, e trasforma il ricordo in poesia,
introducendo Properzio a Roma con Apollo che surroga il padre defunto. Accanto al rimosso di Properzio, esemplificato già in 1, 22, ci sono
gli strappi nel ricordo, come la perdita delle tavolette a 3, 23, che
segna la fine della relazione con Cinzia, o i ricordi di gioventù, come
l’amore prima di Cinzia a 3, 15.
La memoria del sonno e del sogno, a 1, 3 e 2, 29b, introduce
ricordi alternativi alla realtà, collocati in una dimensione inquietante dal
paragone con la baccante; nel naufragio di 2, 26 Cinzia nuota in affanno, e la sua salvezza è solo nella memoria comune del mito: il delfino
segna che il tempo della memoria di Properzio è scaduto, non può più
ricordare Cinzia, e 4, 7 è la condanna per aver dimenticato, con l’imposizione di bruciare i versi, perché la memoria spetta a chi è ricordato,
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non a chi ricorda. In questo senso la vita di Properzio è sub duro sidere,
dal punto di vista della memoria, anche se non manca almeno una
memoria felice, in 2, 13b, con la previsione di un suo post mortem alternativo a quella che sarà la situazione di 4, 7, un futuro di ricordo fatto
di epigrafi tombali (ma così è anche per Cinzia) e soprattutto di quella
particolarissima forma di memoria che è data dal lascito letterario; anche a 3, 7 la speranza di essere ricordato dopo la morte è al centro
dell’elegia, e non può essere un caso che l’ultima linea della poesia properziana sia il più elaborato canto di morte, quello di Cornelia.
E veniamo infine alle lezioni su argomenti specifici della vicenda
elegiaca visti alla luce degli spazi e dei tempi ad essi attribuiti: sono
stati interventi numerosi e per diversi aspetti significativi e capaci di
proporre alla nostra attenzione prospettive di ricerca che possono agevolmente estendersi anche al di fuori dell’ambito elegiaco. Le relazioni
che si possono assegnare a quest’ultimo gruppo sono quelle di Raffaele
Perrelli, di Graziana Brescia, di Paola Pinotti, di Roberto Gazich, di Rosalba Dimundo, di Vittorio Ferraro e di Hans Christian Günther.
Per illustrarci Lo spazio del convito Perrelli ha in primo luogo inquadrato il problema in una disputa di critica letteraria già aperta, che
dimostra bene l’interesse e la complessità del problema: da un lato Cairns, che fa del banchetto un topos privilegiato, se non esclusivo, del genere elegiaco, dall’altro i non pochi studiosi che escludono in maniera
più o meno recisa l’appartenenza delle scene conviviali alle caratteristiche essenziali e qualificanti dell’elegia. Il confronto fra i banchetti elegiaci e quelli presenti in opere appartenenti a diversi generi, quello
‘giambico’ degli Epodi oraziani (11, 79), quello comico dei Captivi, quello didascalico di Lucrezio, chiarisce in maniera più che persuasiva come
la scena sia in sé e per sé estranea alle vicende essenziali perché si dia
una relazione elegiaca; ma l’ulteriore approfondimento che Perrelli è
stato capace di operare ha anche dimostrato come esso possa anche
essere metonimia del discorso sui bivoi, questo sì tema molto elegiaco, e
come possa rientrare fra i luoghi del confronto fra generi letterari (2,
34), per la contrapposizione con i componimenti seriosi e impegnati. Di
qui giustamente Perrelli fa discendere la possibilità di leggere le singole
scene di banchetto (2, 16; 3, 10; 2, 33; 4, 8) ciascuna con le sue specifiche caratteristiche e funzioni, e non appiattite all’interno di una tipizzazione standardizzata che potrebbe privarle dei loro peculiari significati. La relazione è stata particolarmente apprezzabile per la ricchezza di
bibliografia richiamata nella discussione sulle diverse interpretazioni e
per la capacità di evocare a confronto testi differenti ma non estranei
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fra loro, e per la convincente puntualità delle conclusioni sia sul problema generale della scena di banchetto in Properzio sia sui dettagli relativi alle descrizioni di ciascuna scena.
Il tempo del sospetto e del tradimento ha suggerito alla Brescia un’analisi
che ha spaziato dagli aspetti grammaticali (contrapposizione fra pronomi, tempi verbali) agli approfondimenti psicologici sul poeta e sui suoi
personaggi: a 2, 9 si è rilevato come la presenza di più attori sulla
scena turbi la linearità della serie temporale, perché il presente di uno
corrisponde al passato di un altro, e il presente di questo al futuro del
primo; per 1, 12 come il passato sia una risorsa per il poeta al fine di
affrontare il presente, a condizione che non intervenga la dimenticanza;
a 1, 11 come il ricordo sia una possibilità per far rivivere l’amore nel
presente, quando esso è capace di rivestirsi del colore della laetitia. Il
tema della dimenticanza è stato approfondito anche in relazione a Catullo e Virgilio (l’immemor Teseo e il passaggio del Lete), e la possibile
connessione fra dimenticanza e morte ha fatto ricordare come Baia non
sia lontana dall’Averno: anche a Cinzia capiterà di essere vittima della
dimenticanza dell’amante. La relazione è stata arricchita da un interessante parallelo fra Properzio e Montale: l’interesse dimostrato da vari
relatori, e in primo luogo dalla Pinotti, per confronti fra letterature
antiche e letterature moderne ha confermato quanto sia possibile ricavare da indagini che si dedichino all’approfondimento della persistenza di
temi importanti, se si riesce a seguirne il percorso dal mondo antico a
quello moderno e non ci si limita a segnalare coincidenze che possono
essere anche semplicemente casuali.
Parlando degli Spazi del lamento amoroso la Pinotti ha precisato la sua
intenzione di soffermarsi sugli spazi reali, fisici, di ambiente e di scenografia, nei quali è inserito il lamento, e non di quelli simbolici; per
fornire un campione particolarmente significativo ha scelto di presentare due elegie del primo libro e due del quarto, con lamenti di uomo e
lamenti di donna, e con il passaggio dal ‘soggettivo’ dell’autore all’‘oggettivo’ del personaggio: una scelta anche più efficace per l’ambientazione meno usuale di quella urbana. Nel primo libro, l’elegia 17 si contrappone alla 18 perché mentre nella prima clima e fenomeni atmosferici sembrano coalizzarsi contro chi si lamenta, e ad essi corrispondono
l’orario, la descrizione della vegetazione, le costellazioni, nella seconda
Properzio può rivolgersi agli alberi e agli uccelli in assenza di qualunque tempesta, anzi con una grande disponibilità da parte dell’ambiente
ad accogliere le sue parole: può così compiere gesti di grande fortuna
in tutte le letterature, da Callimaco ai poeti moderni, come la scrittura
sulle cortecce degli alberi che ha forse raggiunto il suo massimo risulta-
CONCLUSIONI
267
to con l’ariostesca follia di Orlando. Nel quarto l’Aretusa di 4, 3 vive
nella contrapposizione fra due diversi spazi, un esterno costituito dai
luoghi in cui combatte il marito e un interno con la casa in cui lei lo
attende, che si alternano con minuti dettagli e curiose intersezioni, come
quando la donna studia la geografia dei luoghi in cui si trova il suo
uomo, o quella porta Capena che costituisce al tempo stesso il confine
fra i due spazi e il luogo sacro ove collocare l’ex voto dopo il felice esito
della spedizione; la 4, 4 di Tarpea non contiene solo l’eziologia (sui cui
aspetti non augustei si era soffermato Torelli) ma anche il lamento della
protagonista, in cui un ruolo importante ha la descrizione di ciò che
ella vede, per cui lo scenario diviene parte integrante del testo. Nel
complesso, si è verificata in tutti i casi la tendenza ad affollare molti
particolari per accrescere la capacità mimetica della descrizione, per
darle credibilità e per evitare ogni possibile horror vacui. Molti i confronti con autori moderni che la relazione ha consentito alla Pinotti,
soprattutto con Petrarca, Tasso e Foscolo, tre poeti a lei molto cari: un
percorso che merita di essere seguito per evitare che si apra un’insanabile frattura fra le letterature antiche e quelle moderne sempre più attente al contemporaneo.
L’esame di 3, 24 è stato per Gazich il punto di partenza per la sua
relazione sul Tempo della separazione e degli addii. L’addio è il momento in
cui convergono, nel presente, un passato che si conclude e un diverso
futuro che ha inizio, e la consapevolezza del poeta gode di particolare
lucidità fra ricordi e previsioni che si arricchiscono di echi culturali derivanti da vari generi letterari. Tra i segnali della rottura il più forte è
forse la presenza dell’avverbio nunc, con valore avversativo, a segnare
una discontinuità nella serie temporale per cui si avverte una specificità
del presente in quanto la situazione non è più uguale a quella di prima; ma nei vv. 1-8 dell’elegia è significativo anche l’uso dei tempi, con
la netta contrapposizione fra il presente e un perfetto ‘commentativo’,
distaccato, nella totale assenza dell’imperfetto, quasi a ricordare che oggetto del carme è la poesia passata, non un vissuto: le laudes pronunziate per Cinzia erano false (e falsa è la prima parola dell’elegia), così
come ingannevole è la fiducia che Cinzia ripone nella sua bellezza. Al
centro del componimento non è la donna, ma Properzio con la sua
poesia, in un percorso dagli occhi all’amore ai versi che si conclude con
una verifica di erroneità, coincidente con il tempo dell’addio caratterizzato da un pudet che denuncia la vergogna di se stesso e della poesia
(vv. 9-16). Qui dominano gli imperfetti, ad indicare una situazione bloccata, che però si scioglie fortunosamente e all’improvviso (vv. 17-20) con
due nunc e un demum per rilevare la scelta di una nuova vita da tempo
268
GIOVANNI POLARA
attesa: 3, 24 è il compimento del percorso delineato dal viaggio ad
Atene di 3, 21, le ferite si sono purificate non con il ferro e il fuoco,
ma con l’acqua del mare, del naufragio, e con una liberazione per la
presa di distanza dalla poesia amorosa e dai suoi rappresentanti; Gallo
non è guarito in tempo e si lava con acqua infernale, che non cura,
mentre Properzio è ormai sano.
Fra le molte cose importanti che abbiamo ascoltato in questa relazione, al tempo stesso dotta e brillante, mi permetto di segnalarne
soprattutto due: una è l’applicazione di un metodo di analisi che utilizza i blocchi di testo in cui più si concentrano le metafore come
luogo di sovrapposizione fra le caratteristiche della cultura di contesto
che le produce e personali letture sedimentate da parte dell’autore,
dei veri e propri cluster indicativi di luoghi meritevoli di analisi che
ricostruiscano i percorsi che hanno condotto alla creazione di questi
addensamenti; l’altra il raffinato doppio percorso culturale da Properzio a Ezra Pound e, a ritroso, da Properzio a Omero attraverso Meleagro. Il primo di questi due viaggi è stato compiuto lungo metodologie
di critica letteraria ancora non teorizzate ai tempi di Pound, ma in
qualche modo già applicate; il secondo, alla ricerca di un ipotesto
omerico per il percorso della conversione dall’amore alla saggezza,
opposto a quello elegiaco dalla saggezza all’amore, ha individuato spie
sottili ma significative nel confronto fra Od. 16, 63-64 e Meleag. AP 12,
156, 6 e fra Od. 16, 61 – sempre nel medesimo contesto – e Prop. 3,
24, 12, vera fatebor.
Di sonno, sogni e visioni si è occupata la Dimundo per parlarci
appunto di Tempo e spazio del sonno, del sogno e delle visioni in Properzio,
dal ruolo di rasserenante terapeuta contro i dolori d’amore, oltre che
di benefattore di tutti gli stanchi esseri animati, assegnato al primo
alle conturbanti prospettive di ritorno alla vita di una persona difficile
come Cinzia, che creava problemi al poeta da viva, e da defunta gli
porta al tempo stesso sensi di colpa e illusioni impossibili a conferma
di vecchie profezie su un amore ‘eterno’. Nelle elegie c’è Cinzia che
dorme, richiamando alla memoria esempi mitologici di eroine dormienti, ma in situazioni di luogo e di tempo assolutamente estranee
alla normalità di una casa, e ci sono tanti dettagli sui suoi sonni e sui
suoi risvegli, tutti bruschi; c’è anche Properzio che dorme, se è lui
l’amante di 2, 29b, un classico exclusus amator descritto in una situazione ben determinata dalla parola chiave del componimento, turpis. Altre volte invece il poeta non riesce a prendere sonno, sempre per
amore, suo o altrui, felice o portatore di sofferenze, e le stesse pene
prova Tarpea, che mescola alle emozioni d’amore quelle che vengono
CONCLUSIONI
269
da altri rimorsi. Dal tema del sonno la relatrice è passata a quello del
sogno con 2, 26, uno dei preannunci simbolici della fine dell’amore, e
con 3, 3, già esaminata in chiave metapoetica da Álvarez Hernández,
e infine a quello del sogno-visione di 4, 7, con il passato che ritorna:
tutta una serie di circostanze e di occasioni che meritavano di essere
oggetto di una relazione, e che la Dimundo ha saputo presentarci con
garbo ed efficacia.
Come nello scorso Convegno sui personaggi, così anche in questo
non poteva mancare una relazione sul mondo infero, e dello Spazio dell’aldilà ci ha detto Ferraro: dopo aver rilevato che la bibliografia sul
rapporto fra Properzio e realtà oltremondana è piuttosto scarsa, e che
essenzialmente Properzio non sembra essere stato animato da una gran
fede in un mondo che ospiti gli uomini dopo la vita terrena, il relatore
ha discusso il luogo di 3, 5 in cui il poeta dichiara che è sua intenzione
occuparsi del problema solo quando avrà raggiunto un’età avanzata e
intende rinviare ad altro momento un esame che per ora non si sente
di fare, e ha analizzato i possibili rapporti fra questa sua posizione e le
dottrine epicuree; eppure in più di un luogo Properzio parla dell’aldilà,
evidentemente in chiave tutta letteraria, in contesti fortemente emotivi
che producono cedimenti ai sentimenti più intensi. Si tratta di un aldilà
incompleto, non sistematico, ma non contraddittorio con la visione più
usuale, spesso metonimico, per indicare il transito dalla vita alla morte,
e grande spazio a questo mondo dell’ignoto è dedicato in due testi fra
i più noti e importanti dell’opera di Properzio, le parole di Cinzia nel
famoso componimento del quarto libro e quelle di Cornelia nella regina
elegiarum che conclude il libro stesso: in questi casi la scelta di far parlare due defunte è motivata dall’intenzione di introdurre testimoni attendibili per aver visto di persona ciò di cui parlano, secondo il dettame callimacheo dell’ajmavrturon oujdeVn ajeivdw. In qualche caso, inoltre, il
testo insicuro rende ardua la piena comprensione del senso: Ferraro ce
ne ha dato un esempio proponendo a 4, 11, 8 una brillante congettura
che nasce dal confronto con Aen. 6, 674, sicuro testo di riferimento per
varie descrizioni properziane.
E per ultime le signore, contro ogni galateo: Günther ha tenuto la
sua relazione sugli Spazi della matrona romana, affrontando il complesso e
appassionante problema del matrimonio nella poesia elegiaca, a cui
molti illustri studiosi hanno dedicato importanti pagine. Il primo problema che si è posto è stato quello della possibilità di utilizzare come
fonti i testi degli elegiaci, se cioè essi siano frutto di fantasia individuale
o rispecchino dati storici, e con molta saggezza ha concluso che non si
può forse credere a tutto ciò che essi dicono, ma non si deve certo
270
GIOVANNI POLARA
rifiutare pregiudizialmente un’informazione perché ci viene da un poeta
elegiaco: la poesia augustea non è un puro e semplice gioco letterario,
ma il prodotto di un contesto sociale in violenta mutazione, a cui i
poeti partecipano con passione unendo attualità ed erudizione, a volte
anche in forma ironica, e compito del critico è quello di superare
l’aspetto colto recuperando anche la vita reale che circola nei componimenti. In Properzio, in particolare, ci troviamo di fronte ad un’autobiografia ideale che può essere anche più significativa di quella reale, con
la storia di un amore infelice, che è insoddisfatto perché vuole troppo –
cosa che non è del reale –, ed è illegale e fuori delle norme: la contrapposizione fra matrimonio e amore elegiaco emerge assai chiara a 2,
7, e ricalca alcune caratteristiche dell’amore appassionato che si ritrova
già nei lirici greci, in particolare Meleagro, o in figure di donne abbandonate, anche se a Roma, come è ovvio, non possono non avere un
notevole peso le diverse normative giuridiche che regolano i rapporti
fra uomini e donne.
In Cinzia confluiscono tutte le donne amate dal poeta, etere e matrone, espressione di diversi livelli sociali e di diverse personalità individuali: questo mette a rischio la coerenza del personaggio, ma rappresenta al meglio il percorso di Properzio verso la sua donna ideale, in
un amore fondamentalmente egocentrico e per nulla altruista, nonostante il servitium, perché non rispetta la realtà delle singole figure femminili, ma cerca in esse soltanto ciò che corrisponde ai suoi sogni; e
non è neppure che Properzio sia contrario istituzionalmente al matrimonio: è quello di interesse, finalizzato alla riproduzione e alla trasmissione del patrimonio che viene respinto, ma quello fra amanti è un
vero foedus amoris. Per questo aspetto il quarto libro costituisce un caso
a sé, come è per le odi di Orazio, e non a caso in entrambe le raccolte
i componimenti iniziali del quarto libro si presentano con un’evidente
funzione programmatica; Properzio finalmente dimostra una vera capacità di interpretare i sentimenti femminili, con figure come Aretusa e
Cornelia che non sono, neppure la seconda, fredde immagini di perfezione ma veri caratteri di donne, con qualche piccolo egoismo, o almeno di reale femminilità.
Che il Comitato scientifico abbia voluto proprio ora un Convegno su
spazi e tempi è segno di una sua acuta attenzione all’attualità e ai grandi fenomeni propri della nostra epoca: da un lato la cosiddetta globalizzazione sembra procedere in direzione della creazione di uno spazio
indifferenziato capace di abbracciare l’intero pianeta, dall’altro l’aspirazione a conoscere e vivere tutto ciò che accade quasi in diretta, ‘in
CONCLUSIONI
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tempo reale’ – concetto discutibile espresso con una terminologia anche
peggiore, che ha il solo merito di farci sentire con immediatezza la
precipitosa anticlimax dai Realien ai reality – dimostra la tendenza ad un
tempo anch’esso unificato, indifferenziato, globale come lo spazio che
annulla le differenze insieme con le distanze. Invece la letteratura, antica o moderna non importa, e in questo caso meno che mai, è capace di
moltiplicare, non di azzerare gli spazi come in un gioco di specchi e di
creare più tempi paralleli, tempi di persone e tempi di cose, che coabitano nel medesimo istante al tempo stesso coesistendo ed essendo remotissimi l’uno dall’altro; ancora più ricca è poi la letteratura che parla
di sé, e riflette sui tempi e gli spazi dell’azione o delle azioni moltiplicandoli ulteriormente, e quando, come è inevitabile soprattutto per le
letterature antiche, agli spazi e ai tempi dell’autore, dei lettori, dei protagonisti si aggiungono e si sovrappongono gli spazi dell’esegeta, o addirittura della catena degli esegeti, mirabilmente connessi con quella
serie storica che è la nostra vicenda passata e perciò presente, la diffrazione si moltiplica in maniera esponenziale, dando vita ad un arcobaleno che si arricchisce di toni sempre più sfumati ma sempre diversi,
ognuno dei quali merita di rappresentare da solo una delle possibili
verità.
Finché saremo capaci di produrre testi che non siano semplicemente
strumentali, che non obbediscano alla spietata e stupida legge di un’immediata e banale utilità ‘economica’, ma trovino in se stessi il loro fine
e la loro libertà, e finché ci saranno persone capaci di leggerli, sarà
evitato l’esiziale rischio del pensiero unico, e si potrà dire insieme con
Euripide suV th`d~ e krivneiò, H
j ravklei, keivnh~ d j ejgwv, e rivendicare il diritto
ad una libertà del pensiero che significhi accettare l’esistenza del diverso, cercare tutte le possibili forme di convivenza, lasciare ad ognuno il
suo spazio, dovunque egli sia, e consentire che ognuno possa vivere nel
tempo che ritiene suo. Non è la libertà della famosa massima illuministica che dice, più o meno, “Non condivido affatto le tue idee, ma sono
pronto a dare la vita perché tu possa sostenerle”, perché anche questa è
una frase violenta, con quell’immagine di morte compresa nel ‘dare la
vita’ e con la prevaricazione che può essere proria dell’eroismo: già Tacito ci ha insegnato che può esserci ambitio anche nella difesa della libertà; è piuttosto l’aspirazione a conoscere e il tentativo di capire le
ragioni degli altri, il sogno di Baruch Spinoza che per la sua vicenda
personale più di altri poteva e può impersonare questo bisogno, è l’obbligo che incombe in primo luogo a chi più ha e più sa. Di qui la
nostra proposta di molteplici spazi e tempi, spazi e tempi della vita, dei
sogni, della letteratura, perché si scelgano e si facciano propri quelli
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GIOVANNI POLARA
che si preferiscono, non come strumento di evasione dalla realtà – una
sorta di second life – e di fuga dalle responsabilità, ma per rendere più
ricco e articolato l’esistente, per collaborare nel tempo alla creazione
con la più preziosa delle possibilità che ci sono concesse, quella di accrescere l’offerta dell’inutile che costituisce l’unico ragionevole motivo
della vita.