Rivista Ufficiale NBA

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Rivista Ufficiale NBA
STEREO
PLAYING NOW IN NEW ORLEANS
#08 MARCO BELINELLI
NUOVA CITTÀ, NUOVO NUMERO DI MAGLIA, NUOVO SOPRANNOME. LA STESSA, VECCHA
NUOVA SQUADRA DETERMINAZIONE. MARCO BELINELLI CE LA VUOLE FARE. E CI STA RIUSCENDO.
TESTO DI MAURO BEVACQUA FOTO DI DAVID POTES/NIKE
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BENVENUTO
MR
B
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PLAYING NOW IN NEW ORLEANS
#08 MARCO BELINELLI
Il tempo corre. Il tempo vola. Ancora nel 2005, eravamo l’unico Paese di un certo blasone cestistico
a non avere rappresentanti nella NBA. Nel 2008 ne contiamo tre, non uno. Nel 2010, proprio prima
della fine, scendono in campo tutti assieme e mettono 83 punti in un’unica sera: 41 uno (41!), 22
l’altro, 20 il terzo. Nella NBA. La Lega dei marziani, no? I marziani siamo (anche) noi, finalmente!
Prendete Marco Belinelli, per esempio. Uno dei tre, certo. Il tempo corre. Il tempo vola.
Nel 2007 non aveva mai messo piede negli Stati Uniti. La notte del Draft è quella del suo primo
timbro U.S. sul passaporto. Nel 2010, oggi, ha già chiamato casa San Francisco prima, Toronto poi,
e ora New Orleans. Quando dice “in città amano il football”, non parla più dei Persiceto Knights
amati alla follia da suo fratello Enrico, ma dei Saints campioni del mondo in carica.
Quando dice “quartiere”, oggi intende il French Quarter, mica Lame, Savena o Borgo Panigale.
Il tempo corre, vola, e le cose cambiano, ma certe in fondo rimangono più o meno sempre uguali.
Anche Marco Belinelli, ad esempio.
La sua voglia di farcela.
La sua umiltà e, al tempo stesso, il suo orgoglio di essere comunque “Belinelli”.
Uno dei più forti giocatori italiani. “E quella sera lì [lo scorso 9 dicembre, ndr] è stata una gran
serata, per il basket italiano: Andrea [Bargnani] che ne mette 41, io che ne faccio 22 contro Detroit
e vinciamo, Danilo [Gallinari ] a quota 20. Per me è normale – una volta analizzate le statistiche e i
numeri di squadra nostri – andare a cercare per primi i tabellini di Andrea e Danilo, gli altri azzurri”.
Già, gli azzurri. Il colore della sua estate, trascorsa a giocare con la Nazionale. Panchinaro quasi
inutilizzato nella NBA, stella, top-scorer e leader con la maglia dell’Italia. E allora? La voglia di dire,
“ma chi me lo fa fare, mollo tutto e torno”? La nostalgia per tornare a essere il Belinelli che decide
le partite? Glielo chiediamo. “Di mollare mai. Mai. Mollare per me è una parola brutta. Mollare vuol
dire fallire. No, non fa per me. Certo, dico la verità, la voglia di riaccarezzare quelle sensazioni ogni
tanto viene, ma mi serve per lavorare ancora di più e migliorare, per diventare un giocatore
importante qui nella NBA, perché credo di poterlo fare. Per me questo è un anno importante,
sento fiducia attorno a me, per cui vivo questa opportunità come una grande occasione per
diventare un giocatore sempre più forte e magari anche per mettere a tacere quelli
che in passato parlavano male di me”.
Com’è che si dice? La scarpa. Il sassolino. Via il primo. Si sta già meglio.
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IL PASSATO – Lo abbiamo detto in apertura, Belinelli l’Americano ha chiamato casa San Francisco, Toronto e New Orleans. Fortunato, no? “Sì, sono tre città davvero belle”.
Preferenze? “Metto San Francisco davanti alle altre, perché
è una città davvero spettacolare e anche perché è stata la
prima. Toronto in sé è bella ma il freddo e le tasse molto alte
sono due problemi. Qui a New Orleans mi trovo benissimo, la
città è molto caratteristica, con ottimi ristoranti e con un
luogo davvero particolare come il French Quarter. S.F. prima,
N.O. seconda, terza Toronto, via!”. Il turista è servito, l’appassionato di pallacanestro vuole sapere di più. Il ricordo più
bello e quello più brutto dei due anni ai Warriors, ad esempio.
“Il più bello il mio primo canestro NBA. Non lo scorderò mai.
Contro i Jazz, prima partita stagionale, entro in campo nel
terzo quarto e segno subito da tre. Il possesso dopo metto
un’altra bomba. Poi ricordo con piacere quei 3-4 mesi in cui
ho avuto la possibilità di giocare, al mio secondo anno a Golden State. Complici gli infortuni avevo più minuti a disposizione e mi sono fatto trovare pronto, dimostrando che potevo
stare in campo nella NBA [a dicembre 2008, per Belinelli, 30
minuti di media sul parquet, oltre 14 punti di produzione,
ndr]. Di negativo forse le aspettative che io mi ero creato e
che altri avevano creato attorno a me, le etichette, poi impossibili da rispettare. È stata dura: ero un giocatore importante in Italia e in Europa, mentre qui dovevo ricominciare
tutto daccapo. Non è stato facile, ma mi è servito, mi ha reso
più maturo”. Stesso giochino per l’esperienza canadese. “Mi
porto dietro la mia prima vittoria contro i Lakers, gara in cui
giocai bene [15 punti con 3/3 da tre punti in meno di 24 minuti, ndr], mentre di negativo ricordo il periodo dopo l’All-
“È STATA DURA: ERO UN
GIOCATORE IMPORTANTE IN
ITALIA E IN EUROPA, MENTRE
QUI DOVEVO RICOMINCIARE
TUTTO DA CAPO. NON È STATO
FACILE, MA MI È SERVITO,
MI HA RESO PIÙ MATURO”
ONLINE
www.marcobelinelli.it
twitter.com/marcobelinelli.it
facebook: Marco Belinelli (the real)
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Star break, pieno di punti interrogativi a cui non ho mai trovato risposta. Fino a lì ero stato un giocatore comunque importante nella rotazione, poi non ci fu quasi più spazio per
me. Eravamo una buona squadra, ma l’annata finì male e
mancammo anche i playoff, un traguardo che io non ho mai
raggiunto e che metto in cima ai miei obiettivi”. Da raggiungere lontano dal Canada, magari in Lousiana. Rivincita? “Beh,
sì, un po’ di rivincita c’è, perché a Toronto verso fine anno
non avevano più fiducia in me. Puntavano su altri giocatori,
per cui io ho preferito prendere la decisione di essere scambiato per andare in una squadra dove credessero realmente
nelle mie capacità, accettando di lasciarmi i in campo magari anche dopo qualche piccolo errore, perché comunque
serve a crescere. Quando ero in Nazionale, già sapevo che Toronto ormai era il passato, ma la notizia della cessione a New
Orleans mi rese subito felice”. Belinelli cambia città e cambia
anche numero. Dal 18 di Golden State (la sua chiamata al
Draft), allo zero di Toronto (“ricomincio da zero”) fino all’8
attuale. “Perché l’8 era il mio numero in Italia, quello con cui
avevo fatto bene ed ero stato capace di coronare il mio sogno,
ovvero raggiungere la NBA. Volevo ripartire da lì”.
IL PRESENTE – Dal numero 8 e da New Orleans, squadra rinnovata, dalla dirigenza al roster. Chiediamo a Belinelli di farci
conoscere meglio i suoi Hornets. A partire dall’uomo che l’ha
voluto, il GM Dell Demps. “Una persona super, molto disponibile con tutti i giocatori. In estate, dopo la trade, ci sentivamo praticamente ogni giorno, perché voleva trasmettermi
l’entusiasmo che c’era attorno al mio arrivo. Lui è stato un
giocatore, e questo aiuta sempre, perché chi ha giocato capisce meglio quello che si prova. Mi è stato molto vicino”. Neo
arrivato ed ex giocatore anche coach Monty Williams. “Dal
primo giorno ci ha fatto capire una cosa: noi siamo una squadra difensiva. Nella NBA si vince in difesa, non in attacco,
questo si sa. A tutti ha chiesto di essere prima difensori che
attaccanti. Quando in squadra hai CP [Chris Paul] e D-West,
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i punti arrivano ma questa prima parte di
splendidamente in mostra nella miglior par-
stagione ha confermato che quando vin-
tenza di sempre della franchigia: 8-0 per ini-
anche noi vogliamo recitare la nostra parte,
portare gente al palazzo e farli divertire”. E
ciamo solitamente lo facciamo con la difesa”.
ziare, vinte 11 delle prime 12. “In preseason
qui arriva qualche nuvola a oscurare un po’ il
Tra le prime 5 per punti concessi agli avver-
avevamo fatto male, solo una vittoria su 8
paesaggio fin qui idilliaco. Gente al palazzo
sari (missione compiuta), tra le ultime 5 per
gare, ma ci siamo fatti trovare pronti al via:
ne viene poca (anche sotto le 11.000 pre-
punti segnati e numero di tiri tentati (spec-
è stato importante per me – essere in quin-
senze) e la gente, più che divertirsi, ora ha
chio di un gioco spesso lento, compassato).
tetto, far bene, vincere – ma anche per l’in-
paura. Di cosa? Che si ripeta il 1979, anno che
“Non saremo bellissimi da vedere, magari,
tera città, che ancora nel suo recente passato
ha visto i Jazz lasciare New Orleans per Salt
ma io mi trovo benissimo in questo stile di
vede i fantasmi di Katrina e della sofferenza
Lake City. George Shinn, storico proprietario,
gioco. Conta di più la difesa di squadra, la vo-
subìta. Per New Orleans è stato importantis-
ha mollato, senza nessuno pronto a sosti-
glia di aiutarsi, la disponibilità all’extra pass,
simo tornare sul tetto del mondo lo scorso
tuirlo al timone della squadra. I nuovi reg-
all’assist per il compagno…”. Tutto messo
anno con i Saints, campioni della NFL, e
genti? David Stern e quelli della NBA, per la
“CP3 MI RIPETE SEMPRE:
‘OGNI VOLTA CHE TU TIRI, IO SONO
CONVINTO CHE LA PALLA
VADA DENTRO’. DETTO DA UNO
COME LUI TI CARICA, OVVIO”
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“A novembre, per due giovedì di fila,
quelli del Trio Medusa mi hanno chiamato
al telefono durante ‘Chiamate Roma
Triuno Triuno’ (erano le 3 di notte, qui!).
Con loro, gli ascoltatori e i miei tifosi che ringrazio - è venuto fuori il mio nuovo
soprannome: tra i vari Belli Balboa,
BellyNelly detto Furtado e Ciao Belli,
alla fine ha vinto Mr. B.
Mi sono divertito tantissimo!”
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IL SOPRANNOME
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IL
TEMPO
LIBERO
“Sto guardando tutta la serie di ‘Romanzo Criminale’, ma seguo e ho seguito tante altre serie
come ‘One Three Hill’ e ‘Lost’. Mi piacciono molto. Poi la mia vera passione è per i film dell’orrore,
da quelli anche vecchi come ‘It’ fino a qualcosa di più recente, tipo ‘Saw – L’Enigmista’.
Tempo, tra trasferte, voli e alberghi, ne abbiamo, e a me piace guardare la TV”
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#08 MARCO BELINELLI
“L’INTERA CITTÀ VEDE
ANCORA I FANTASMI DI KATRINA
E DELLA SOFFERENZA SUBITA.
PER NEW ORLEANS È STATO
IMPORTANTE IL SUCCESSO
DEI SAINTS NELLA NFL,
E ANCHE NOI VOGLIAMO RECITARE
LA NOSTRA PARTE”
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prima volta proprietari diretti di una loro fran-
der, che parla tantissimo e dà moltissima fiducia.
e David Andersen: “Personalmente mi cambia
chigia. Non un buon segno, la mancanza di ac-
Giocare con lui, però, non è necessariamente fa-
poco: ero tranquillo prima, lo sono ancora oggi. Il
quirenti. Stern cerca in città il successore, ma non
cile: devi sempre farti trovare pronto, devi capire
posto in quintetto, i minuti in campo sono un’op-
dovesse trovarsi… “Noi non possiamo controllare
ogni sua chiamata, devi essere nei posti giusti al
portunità che non voglio farmi sfuggire ma l’unico
questi aspetti. Ci hanno subito rassicurati sul
momento giusto. È uno che vuole vincere, ed è bra-
modo che conosco per farlo è lavorare duro. Al-
fatto che quest’anno sarà tutto regolare, e gio-
vissimo a trasmettere questa voglia a ogni suo
l’allenamento: arrivo prima e mi fermo dopo, sem-
cheremo sicuramente qui fino a fine stagione. Poi
compagno. Averlo come playmaker, ovviamente,
pre”. Il momento più bello della propria carriera,
le cose possono cambiare, questo sicuramente…”.
è fantastico, per la sua capacità di trovare sempre
uno se lo costruisce anche così: “Sì, anche guar-
l’uomo smarcato e di darti fiducia. A me ripete
dando indietro e ricordandomi di chi non ha cre-
Il REGNO DI CP3 – Finché non cambiano però è New
sempre: ‘Ogni volta che tu tiri, io sono convinto
duto in me, per dimostrare che qualcuno si è
Orleans. E New Orleans significa una cosa sola:
che la palla vada dentro’. Sentirlo dire da uno come
sbagliato. Le mie motivazioni, la mia forza arriva
Chris Paul. “Il miglior playmaker della NBA, a mio
lui ti carica, ovvio. Ma altrettanto ovviamente non
da qui”. Quella della squadra, invece, “da un
avviso”, dice sicuro l’ex Fortitudo. Quindi hanno
basta: un conto è dirlo, un conto è farlo”. Paul
gruppo unito e tosto, con obiettivi chiari”. Glieli
ragione quelli che in giro dicono “Ah, beh, bella
punto fermo in regia, David West ed Emeka Okafor
chiediamo: “Puntiamo ai playoff, e magari a qual-
forza, oggi gioca di fianco a Chris Paul”… “Eh, no,
sotto canestro, il roster per il resto già nuovo degli
cosa di più. Davanti a noi oggi vedo ancora Spurs
non è così semplice! CP è un giocatore e una per-
Hornets è ulteriormente cambiato in corsa. Via
e Lakers, ma a Ovest le squadre forti sono davvero
sona fantastica, uno che in campo è un vero lea-
Peja Stojakovic e Jarryd Bayless, ecco Jarrett Jack
tante. Ci siamo anche noi!”.
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