LA RESURREZIONE DI LAZZARO Icona di Teofane il Greco (1546
Transcript
LA RESURREZIONE DI LAZZARO Icona di Teofane il Greco (1546
LA RESURREZIONE DI LAZZARO Icona di Teofane il Greco (1546) – Monastero Stavronikita, Monte Athos - Grecia La resurrezione di Lazzaro, riferita solo dall'Evangelo di San Giovanni (11,1-45), è letta nell'eucarestia della V Domenica di Quaresima. L'episodio che preannuncia il Cristo che risorgerà, è simbolo, inoltre, della Creazione nuova che sta per sorgere dal sepolcro glorioso del Cristo: tutto si avvererà allorché dal sepolcro si eleverà il Cristo, e con lui e per lui tutti i viventi saranno portati a risorgere. Come nell'evangelo il racconto di questo prodigio arriva alla sua pratica conclusione senza cercare minimamente di soddisfare inutili curiosità su dettagli accidentali così anche nell'icona tutto rimane immortalato nella solennità, come di solito accade nei vangeli. La scena è attentamente riprodotta, ben equilibrata, aderente all'essenziale; ciò che caratterizza questa icona è la densità della composizione e la forza del movimento. Tutto avviene in primo piano: il gruppo dei discepoli stretti l'uno accanto all'altro con Cristo e il gruppo dei farisei; ai piedi del Signore, Maria e Marta toccano il limite anteriore della scena così come l'uomo che a destra che solleva la pietra. Vicinissimo al primo piano si trova Lazzaro ancora nella tomba. I personaggi, longilinei, hanno spiccato carattere individuale: è accentuato lo stupore dei giudei che avanzano lasciandosi alle spalle la muraglia fortificata mentre l'inquinamento dell'aria che fuoriesce dal sepolcro appena aperto può individuarsi da taluni loro gesti di disgusto; gli apostoli che seguono Gesù, al contrario, sono atteggiati nel compiacimento per il prodigio operato dal Maestro; Marta e Maria, nonostante il viso ancora dolente, si prostrano in adorazione; gli operai (uno o due a seconda del tipo di icona) svolgono impassibili l'incombenza loro assegnata di rimuovere la pietra tombale e sciogliere le bende del resuscitato. La pena di Gesù per l'amico defunto è improntata a forza sovrumana: il braccio è teso nel gesto di comando e di benedizione1, mentre la mano sinistra regge un rotolo pergamenaceo2. Il colore della veste di Gesù è rosso sangue (cremisi) che secondo la tradizione è il colore delle vesti del Messia che annienta i suoi nemici (cfr. Is 63,1-3); così come il mantello che mettono sulle spalle di Gesù durante la passione (cfr. Mt 27,28), perché significa la vita che il Salvatore porta agli uomini con l'effusione del suo sangue (Una parte delle vesti dei martiri è ugualmente rossa, simbolo del sacrifìcio della loro vita). 1 - Il gesto della mano benedicente racchiude al tempo stesso l'insegnamento della verità eterna del Dio in tre persone e indica la misericordia divina incarnatasi nel verbo. Così insegna a rappresentare la mano di Cristo il Manuale di pittura del Monte Athos: «Allorché raffigurate la mano benedicente, non unite insieme le dita, ma piegate il pollice verso il quarto dito, di modo che il dito indice resti diritto e il terzo, il medio un pò curvato a formare il nome di Gesù (IC ). Infatti il 2° dito indica una I (iota) e il terzo forma una C (sigma). Il pollice verrà incrociato con il quarto dito, e il quinto sarà a sua volta un pò curvo a formare il nome di Cristo (X C); infatti l'incrocio del pollice e del 4° dito forma l aX ( chi), e il mignolo una C (sigma). Così, perla divina Provvidenza del Creatore, le dita della mano dell'uomo, di varia lunghezza, sono disposte in modo da poter rappresentare il nome del Cristo». 2 - L'Ermeneutica della pittura così prescrive: «Cristo, in piedi di fronte (a Lazzaro), con una mano lo benedice e con l'altra tiene un rotolo sul quale è scritto: "Lazzaro, vieni fuori"» (p. 133). 1/2 Lazzaro, ancora compresso dalle bende torna alla vita; il capo emergente dalla fasciatura esprime nella fissità dello sguardo un misto di angoscia per la morte subita e di riconoscenza per l'Amico liberatore. L'icona manifesta la venerazione tributata a Lazzaro, dalla tradizione orientale, nel presentarlo unico, tra i personaggi dell'icona, insieme con Gesù con il capo nimbato. La nota dominante di questa scena è il movimento delle rocce: il monte con due cime, dietro le quali si trova una fortezza appena visibile, contrasta persino con la quiete della rappresentazione. Le masse di pietra si innalzano con leggerezza per volgere le loro cime in una curva in forma di «S»verso lo spettatore. Si ha così l'impressione che giungano in primo piano, come i personaggi. Le forme strane delle rocce e gli altri elementi accennati nella descrizione generale dell'icona (cfr. ad es. tutti i personaggi in primo piano, mancanza di profondità, mancanza di proporzioni, ecc.) ci dicono che tutto è dovuto alla prospettiva inversa. Il principio della prospettiva inversa è semplice: le linee di questa prospettiva non si incontrano in un punto di fuga situato dietro il quadro (come per la prospettiva lineare), ma situato davanti davanti ad esso. In realtà non si può parlare di un sistema con un solo punto di fuga situato nello spettatore, perché nelle icone vi è raramente un solo punto di convergenza e sovente ogni oggetto rappresentato ha una sua propria prospettiva. Analogamente non vi si trova la scala delle altezze che, nella prospettiva lineare, ha la funzione di rappresentare l'estensione dello spazio. Sovente gli oggetti non sono posti in ordine di distanza e dì dimensioni, ma sono posti secondo un principio di composizione e secondo il significato di tali oggetti nella scena rappresentata. Pertanto non vi è profondità all'interno della rappresentazione: lo spazio è ridotto, si estende verso lo spettatore. In tal modo le linee di forza sono invertite: vengono avanti dall'interno dell'immagine verso lo spettatore. In tal senso l'icona è il contrario di una pittura del Rinascimento: non è una finestra attraverso la quale lo spirito umano deve penetrare nel mondo rappresentato, ma è un luogo di presenza. Nell'icona il mondo rappresentato irradia verso colui che si apre a riceverlo: nella prospettiva inversa è attivo lo spazio, non colui che guarda. 4 Aprile 2011 Abbazia Santa Maria di Pulsano 2/2