MARCHI, SERVIZI E L`OGGETTO DELLO - side
Transcript
MARCHI, SERVIZI E L`OGGETTO DELLO - side
MARCHI, SERVIZI E L’OGGETTO DELLO SCAMBIO Andrea Mangani Department of Economics Via Serafini 3 56126 Pisa [email protected] Abstract Obiettivo di questo lavoro è discutere l’importanza dei marchi d’impresa registrati (trademark) nel settore dei servizi. La principale conclusione del lavoro è che data la particolare natura dei servizi, i marchi svolgono un’importante funzione di differenziazione, a tal punto che l’oggetto dello scambio può essere direttamente il marchio, e non il servizio. L’analisi proposta si ispira ad alcuni contributi recenti nei quali vengono discusse le vecchie e nuove funzioni economiche dei marchi. JEL classification: K13, L8, L9, O14, O34. 1. Introduzione Obiettivo di questo lavoro è discutere l’importanza dei marchi d’impresa registrati (trademark) nel settore dei servizi. In generale, i marchi svolgono un’importante funzione di differenziazione dei prodotti. I servizi hanno caratteristiche particolari (intangibilità, frequente contatto diretto tra venditore e acquirente), e le funzioni dei diritti di proprietà intellettuale possono essere parzialmente differenti rispetto al mercato dei beni. L’analisi proposta si ispira ad alcuni recenti contributi (Ramello, 2006, Ramello, Silva, 2006) nei quali vengono discusse le vecchie e nuove funzioni economiche dei marchi. In particolare, l’obiettivo è riprendere e discutere la tesi per cui i consumatori sono attratti dai marchi così come dai prodotti ad essi associati, e il prezzo pagato dal consumatore è influenzato da entrambi gli elementi (nella più semplice delle ipotesi). In questo lavoro, questo tema viene discusso e rielaborato in relazione al settore dei servizi. L’interesse per i servizi nasce dalla loro rilevanza economica nelle economie moderne. Nei paesi ad alto reddito i servizi determinano circa il 70% del valore aggiunto e hanno una quota simile sul totale degli occupati. Nei paesi a medio e basso reddito la quota dei servizi sul PIL e sull’occupazione è inferiore, ma comunque vicina al 50% e in ascesa continua (per una discussione sul peso effettivo dei servizi si veda Jansson, 2006, mentre sulla definizione di 1 servizio cfr. Rullani, 2006). La maggior parte dei servizi nelle varie economie è di tipo tradizionale (istruzione, sanità, servizi generali della pubblica amministrazione, distribuzione, ecc.), ma la crescita è visibile ed enfatizzata nel caso di servizi “nuovi”, come le telecomunicazioni, l’industria dell’informazione, e i servizi alle imprese che utilizzano intensamente le nuove tecnologie “materiali”. Il lavoro è organizzato nel modo seguente. La prossima sezione inquadra le tradizionali funzioni dei marchi d’impresa nel settore dei servizi, mentre la terza sezione descrive le possibili cause della crescita delle registrazioni di marchi nelle categorie di servizi contenute nelle classificazioni ufficiali. La quarta sezione introduce il tema della separazione tra marchi e prodotti, e la quinta sezione suggerisce l’utilizzo delle categorie search, experience e credence goods per analizzare il ruolo svolto dai marchi nel settore dei servizi. La sesta sezione tratta brevemente un altro elemento che può influenzare il ruolo dei marchio: la probabilità di imitazione e la sua manifestazione nel caso di prodotti materiali e immateriali. La settima sezione riprende il concetto di umbundling tra marchi e prodotti e ne discute il significato alla luce delle differenze tra beni e servizi. Come verrà argomentato, nel caso dei servizi più che di umbundling fra marchi e prodotti si assiste a una sorta di “schiacciamento” tra le due entità che sono oggetto dell’acquisto dei consumatori. L’ultima sezione riassume i contenuti del paper, richiama i recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali in tema di marchi che possono interessare il settore dei servizi, e traccia le possibili linee per la ricerca futura. 2. I marchi nei servizi: considerazioni generali Quanto importanti sono i marchi nei servizi? Prima di mostrare qualche dato empirico, è forse opportuno indicare le funzioni svolte, in generale, dai marchi. Un marchio è un nome, una parola, un simbolo, un disegno, o una loro combinazione utilizzati da un venditore per identificare un bene o servizio e distinguerlo da quelli di altri venditori. La protezione legale del marchio consiste principalmente nell’impedirne l’uso non autorizzato o improprio da parte di un’impresa che non ne è proprietaria. La funzione economica del marchio è quella di facilitare le scelte dei consumatori, poiché esso indica la qualità intrinseca o altre caratteristiche distintive del prodotto ad esso associate: se queste caratteristiche sono costanti, i “costi di ricerca” dei consumatori sono inferiori quando i marchi sono presenti in un 2 mercato. Le imprese hanno quindi un incentivo a mantenere costante la qualità dei prodotti, per non “diluire” nel tempo il valore dei loro marchi (Economides, 1998). Se lo stesso marchio fosse associato a unità di prodotto con diverse caratteristiche, i consumatori si sentirebbero “traditi” e cambierebbero venditore1 . Quindi l’analisi economica mette in evidenza la “garanzia” fornita dai marchi in relazione alle caratteristiche dei prodotti. Tuttavia, fino alla fine del diciannovesimo secolo le piccole dimensioni delle imprese nei vari mercati hanno permesso un contatto diretto tra venditori e acquirenti durante le transazioni: la garanzia relativa all’origine dei beni e alla qualità degli stessi era fornita contestualmente allo scambio, e le “marche”, pur esistenti, non richiedevano una protezione legale. Le economie odierne, a causa dei maggiori volumi di produzione, sono caratterizzate dalla separazione tra produttore e consumatore attraverso catene distributive. La reputazione del venditore e quindi la qualità del bene offerto non possono più essere verificate attraverso un rapporto “intimo” tra venditore e acquirente, anche se rimane la necessità di differenziare i propri prodotti da quelli dei concorrenti. Con la separazione tra produttore e consumatore, il nome e la reputazione ad esso associata sono quindi diventati diritti di proprietà intangibili che richiedono tutela legale (Wilkins, 1992). Questa analisi è appropriata, dal punto di vista storico, per lo scambio di beni, ma non si può dire altrettanto per i servizi. Infatti la fornitura di servizi nel diciannovesimo secolo e in gran parte del ventesimo, ha continuato a essere sostanzialmente basata sull’intermediazione umana. Molti servizi richiedono ancora un contatto diretto tra venditore e compratore, e la garanzia della qualità del servizio è fornita direttamente e personalmente dal suo produttore. Per questo motivo, le marche di servizi non hanno richiesto un sistematico ricorso alla tutela legale. Pertanto, è ragionevole supporre che le imprese di servizi abbiano un minore incentivo (rispetto ai produttori e ai venditori di beni) a proteggere legalmente i propri segni distintivi. In effetti, nei paesi avanzati i servizi rappresentano soltanto il 30-35% delle classi citate nelle registrazioni di marchi nazionali e internazionali (Mangani, 2006). 1 Alcuni autori propendono per una interpretazione allargata delle funzioni del marchio. Ad esempio, Maskus (2000) sostiene che la protezione dei marchi induce le imprese ad incrementare la qualità dei prodotti offerti. Le imprese che offrono prodotti di alta qualità hanno infatti un maggiore incentivo a registrare i marchi dei propri prodotti, perché sono i prodotti di alta qualità a rischiare di essere imitati, e il marchio registrato rappresenta un possibile deterrente all’imitazione. 3 3. La crescita delle registrazioni di service marks: cause Dall’osservazione dei dati emerge però che la quota dei servizi nelle registrazioni dei marchi è in rapida ascesa. Ad esempio, come mostrato nella figura seguente, la quota dei servizi nei marchi registrati in Italia dal 1990 al 2000 è passata dal 15% al 30% (Mangani, 2005). Fig. 1. Registrazioni in classi di servizi (%) - Italia 35% 30% 25% 20% 15% 10% 5% 0% 2001 2000 1999 1998 1997 1996 1995 1994 1993 1992 1991 1990 1989 Fonte: Office for Harmonization of Internal Market (OHIM), official statistics. Una spiegazione potrebbe essere che rispetto a 20 anni fa tutte le imprese hanno una maggiore propensione a utilizzare gli strumenti di protezione della proprietà intellettuale: brevetti, diritti d’autore, e marchi. Poiché la maggior parte del valore aggiunto è data dai servizi, e dato che tale quota è in crescita in tutti i paesi, è prevedibile che l’importanza dei servizi nelle registrazioni continui a crescere. Sono possibili però ulteriori spiegazioni, presentate qui di seguito. Aumento degli scambi internazionali di servizi. La natura immateriale di molti servizi ne limita lo scambio a livello nazionale e internazionale. Nonostante la quota dominante sul reddito, i servizi sono responsabili soltanto di un quarto del valore del commercio mondiale (secondo dati WTO). Ma esistono motivi per aspettarsi una crescita dell’importanza del commercio internazionale di servizi. Gli sviluppi della tecnologia, specialmente nell’elaborazione delle informazioni e nelle telecomunicazioni, e la crescente importanza di Internet, hanno aumentato la commerciabilità (in termini di capacità di trasporto e di stoccaggio) dei servizi, e sono stati creati nuovi servizi. Tra l’altro, la velocità delle 4 connessioni a Internet permette un’ampia e rapida diffusione di termini, immagini e suoni. Data la diffusione globale del contenuto delle pagine web e l’alta probabilità di uso improprio e non autorizzato di questi segni distintivi, le imprese sono sempre più preoccupate dalla protezione legale di tali assets quando questi sono utilizzati come marchi. 2 Riduzione dell’intermediazione umana. E’ stato sopra sottolineato come lo scarso uso, in termini relativi, dei marchi nei servizi sia dovuto al frequente contatto tra fornitori e clienti; in questo modo, la qualità e l’origine del servizio sono garantite personalmente dal venditore, e non da segni distintivi. Ma negli ultimi 40 anni la prossimità di venditori e acquirenti è diminuita, e in alcuni casi è completamente scomparsa. Si consideri, ad esempio, la fornitura di servizi bancari. Oggi, i titolari di conto corrente possiedono una carta (bancomat) che permette di ritirare contante senza l’intervento di un dipendente della banca. In generale, la diffusione di nuovi metodi di pagamento riduce il bisogno di intermediari nella fornitura di servizi finanziari (si pensi al pagamento via Internet con carte di credito), ma ha anche effetti sul grado di intermediazione umana in molti altri servizi. L’E-commerce, ad esempio, è caratterizzato dall’assenza di contatto diretto tra acquirente e venditore, come nell’acquisto di biglietti aerei, nella prenotazione di stanze d’albergo, e così via. In questo contesto, è la marca, piuttosto che una persona, a indicare la qualità e la provenienza del servizio. In alcuni casi le parti hanno ancora l’opzione di un contatto diretto (posso rititare contanti presso un distributore automatico ma anche rivolgermi a un dipendente della banca, posso acquistare un viaggio via Internet ma anche farmi assistere dalla compagnia di viaggi sotto casa, ecc.), ma è la marca che fornisce all’acquirente le prime indicazioni sulla reputazione di qualità e sulla provenienza del servizio che è oggetto della transazione. Anche per questo motivo, le imprese di servizi dedicano un’attenzione maggiore alla gestione dei propri brand names, e ricorrono più frequentemente alla loro protezione legale. 2 L’importanza dei marchi e la diffusione di Internet a livello mondiale (uniti a un dato livello di razionalità limitata degli esseri umani) possono produrre esiti imprevedibili e arrivare a modificare la sfera di attività delle imprese. In seguito al successo del sito web YouTube, creato nel 2005, e all’impennata dei tentativi di collegamento mediante l’uso di motori di ricerca e di parole chiave come “youtube” ma anche “utube”, la società Universal Tube and Rolform Equipment di Pittsburgh, titolare del sito www.utube.com, ha deciso di puntare sull’elevata probabilità che gli utenti aprissero per sbaglio la sua pagina, e ha iniziato a vendere spazi pubblicitari e a offrire servizi di vario tipo. Questo dopo aver ingenuamente fatto causa a YouTube accusandolo di causare, anche se involontariamente, il collasso del proprio sito a causa del numero eccessivo di collegamenti. 5 Processi di liberalizzazione dei servizi. In tutti i paesi una larga quota di servizi è stata tradizionalmente fornita dalle amministrazioni centrali e locali (e lo è ancora). In questo caso, la struttura di mercato dei servizi interessati è spesso monopolistica. Un monopolista ha scarsi incentivi a gestire e proteggere i suoi segni distintivi. I clienti del monopolista non hanno dubbi sulla provenienza del servizio, e la buona o cattiva reputazione del monopolista non influenza la domanda. Oggi, la presenza degli Stati nell’economia si è ridotta. I processi di liberalizzazione realizzati nella maggior parte delle economie avanzate hanno permesso a più imprese di competere per l’offerta dello stesso servizio. Le liberalizzazioni hanno segnato l’evoluzione di molti servizi, come le telecomunicazioni, i media, l’istruzione, i servizi postali, i trasporti. Le liberalizzazioni sono spesso accompagnate dalla privatizzazione delle compagnie che operavano in regime di monopolio legale. Affinché questi processi non confondano i consumatori, è necessaria una chiara identificazione del fornitore del servizio, attraverso la creazione di nuove marche o segni distintivi che richiedono una protezione legale. Liberalizzazioni e privatizzazioni tendono quindi a far aumentare il numero di marchi depositati nelle classi di servizi, almeno nelle economie avanzate. Strategie di differenziazione del prodotto. La produzione di beni di consumo omogenei (standardizzati, di massa) ha caratterizzato il diciannovesimo secolo e parte del ventesimo. Oggi, la differenziazione del prodotto è un elemento fondamentale per il successo e a volte per la stessa sopravvivenza di grandi e piccole imprese richiede un’intensa attività di protezione di nomi e loghi, attraverso la registrazione di marchi. Infatti il marchio è il primo strumento che i consumatori hanno per “percepire” il grado di differenziazione tra i numerosi beni e servizi offerti. I servizi pre e post vendita costituiscono ulteriori strumenti per differenziare i prodotti, in particolare per aumentare il grado di qualità percepita dai consumatori. Le imprese che offrono beni materiali tendono quindi a depositare i propri marchi anche nella classi dei servizi. BMW e Mercedes sono due esempi estremi. Queste due “marche” sono state depositate come marchi comunitari, nel 1996, in tutte le classi di beni e servizi della Classificazione di Nizza. Nonostante questa intensa attività di protezione del marchio possa rappresentare una strategia difensiva (per evitare l’uso improprio di marchi famosi da parte di terzi, che potrebbe condurre a fenomeni di trademark dilution, cioè alla riduzione del valore promozionale del marchio), le compagnie proprietarie di BMW e Mercedes offrono in effetti molteplici servizi pre e post vendita. In altre parole, anche le 6 imprese che hanno il proprio core business nell’industria sembrano contribuire all’aumento dei marchi di servizi. 4. Marchi, differenziazione del prodotto, scambio di marchi Lo stretto rapporto tra marche, marchi e differenziazione del prodotto è stato enfatizzato da vari autori. Secondo Ramello (2006), i marchi “differenziano” i beni secondo due modalità. Da una parte, informano i consumatori dell'esistenza di un particolare prodotto associato a un marchio. Dall'altra, fanno in modo che un particolare prodotto sia percepito come diverso o differenziato rispetto agli altri prodotti offerti sul mercato. In fondo, fu lo stesso Chamberlin (1933, capitolo IV) ad affermare che: "A general class of product is differentiated if any significant basis exists for distinguishing the goods (or services) of one seller from those of another. (…) Differentiation may be based upon certain characteristics of the product itself, such as exclusive patented features; trademarks; trade names; peculiarities of the package or container, if any; or singularity in quality, design, color, or style.” Le imprese sono ben coscienti del rapporto marca-differenziazione, e una quantità ingente di risorse è destinata a rafforzare sia l'associazione tra un determinato prodotto e la sua marca, sia la fedeltà dei consumatori all'associazione marca-prodotto oppure marca-prodotti quando più prodotti sono offerti con la stessa marca (umbrella branding). Di per sé, questo può influenzare la struttura del mercato e il potere di mercato delle imprese. Ma esiste anche un’altra possibile conseguenza. Alcuni autori hanno osservato come si possa verificare una sorta di separazione (umbundling) tra marchi e prodotti. In altri termini, alcuni marchi si sono gradualmente distaccati dai prodotti e hanno acquisito una propria identità, che è possibile sfruttare in diversi contesti. Innanzitutto, quando un marchio acquista una forza autonoma è possibile utilizzarlo nei più svariati mercati, attraverso la c.d. pratica del brand stretching, per cui lo stesso marchio vierne associato a prodotti completamente diversi (occhiali Porsche, profumi Dolce & Gabbana, ecc.). Inoltre, la forza e l'autonomia di un marchio possono essere sfruttate non solo per la commercializzazione di prodotti, ma anche per attività di sponsoring, promozioni di attività culturali, manifestazioni musicali, ecc. Se il marchio diventa un’entità indipendente, per trattarlo come una "merce" il passo è breve. In questo modo il marchio può 7 essere scambiato sul mercato, poiché esso entra direttamente nella funzione di utilità dei consumatori (per soddisfare bisogni più che altro psicologici e sociali), che lo acquistano sul mercato nella stessa maniera delle altre merci. Non è più il prodotto che si appoggia a un marchio per farsi riconoscere dai consumatori, piuttosto è il marchio che cerca nel prodotto una dimensione materiale per potere essere scambiato sul mercato. Il prezzo finale pagato dal consumatore incorpora direttamente il valore attribuito ai consumatori a un determinato marchio, e spesso ne costituisce la parte pù importante. Questo "divorzio" dei marchi dai prodotti, segnalato sia dagli economisti sia dai giuristi (Lemley, 1999, Beebe, 2004), è stato presentato come una possibile evoluzione dei mercati in generale, ma nel caso dei servizi tale evoluzione sembra ancora più probabile. Un esempio interessante della combinazione prodotto-servizio-marca che viene offerta ai consumatori è quello di Harley-Davidson. In questo caso si è cercato di realizzare prodotti e servizi distintivi in modo da creare valore per i consumatori e giustificare un premio di prezzo. Naturalmente l’obiettivo di fondo è di isolarsi il più possibile dalle altre marche in relazione alla concorrenza di prezzo, di qualità e di varietà ed accrescere il potere di mercato. Nel caso della Harley, ciò che la differenzia in maniera sostanziale da altre marche dello stesso settore è l’”esperienza” dell’acquisto e l’offerta di molteplici servizi post-vendita. Il risultato di una forte fedeltà alla marca e della creazione di un’immagine “mistica” della società che ne è proprietaria non nasce naturalmente dal nulla. Sono necessari una grande attenzione alle caratteristiche del prodotto, ai servizi pre e post vendita, e alla gestione dei rapporti venditore-cliente. 5. I servizi come experience o credence goods L’analisi dell’importanza dei marchi nei servizi può essere elaborata ricorrendo alla distinzione tra search ed experience goods (beni ricerca e beni esperienza), proposta da Nelson (1970, 1974). Se i consumatori possono osservare le caratteristiche di un prodotto (come ad esempio la qualità) prima dell’acquisto, si parla di beni ricerca. Se è necessario acquistare e consumare un prodotto per verificarne le caratteristiche, si parla invece di beni esperienza. La distinzione tra search ed experience goods serve a Nelson (1974) per affermare che l’informazione pubblicitaria di tipo “indiretto”, che cioè non ha l’obiettivo 8 esplicito di descrivere l’esistenza e le caratteristiche dei prodotti, è particolarmente importante per i beni esperienza. La pubblicità può infatti ricordare ai consumatori una loro precedente esperienza di consumo, e tale ricordo assume particolare valore per i produttori di beni di alta qualità. In virtù di acquisti ripetuti, anche i “nuovi” consumatori possono comunque associare la pubblicità di un prodotto alla sua qualità, e quindi la pubblicità può rappresentare un “segnale” di qualità. Il ragionamento è semplice: le imprese che offrono prodotti di alta qualità confidano in acquisti ripetuti, e hanno quindi maggiori probabilità di recuperare gli investimenti pubblicitari. Anche nel caso dei search goods la pubblicità può fornire informazione indiretta. Ad esempio, il solo fatto che un bene ricerca sia pubblicizzato può indicare che il venditore è efficiente (perché può permettersi di fare pubblicità) e che quindi il bene potrà avere un prezzo basso in futuro. Quindi il consumatore può essere incentivato ad acquistare il bene pubblicizzato (in generale, un bene ricerca dà comunque un maggiore incentivo ad offrire informazioni pubblicitarie di tipo diretto). L’argomentazione di Nelson può essere utilizzata per esplorare il ruolo svolto dalla marca. Molti servizi sono experience goods, perché “nascono” durante la fornitura da parte di un’impresa, e il consumatore non può quindi osservarne le caratteristiche prima dell’acquisto, se non indirettamente. Allora i servizi dovrebbero associarsi frequentemente a segni distintivi, perché questi riassumono in un nome o in un disegno un insieme di caratteristiche sulle quali il consumatore ha una informazione limitata (per acquisti effettuati in passato oppure perché sono stati utilizzati altri canali informativi, come la pubblicità, il passaparola, ecc.). Inoltre, quando la fornitura non prevede un rapporto diretto tra venditore ed acquirente, il marchio tende ad acquisire ulteriore importanza come segnale di qualità e provenienza di un servizio. Alcuni servizi hanno addirittura la caratteristica di credence goods: la loro qualità non è verificabile neppure dopo l’acquisto 3 . Si pensi alla prestazione chirurgica di un medico: dopo aver subito un’operazione, un paziente potrà controllare difficilmente la qualità del servizio 3 Naturalmente è impossibile classificare tutti i beni e servizi come experience, search o credence goods. La maggior parte dei beni e servizi hanno caratteristiche accertabili prima dell’acquisto, altre che possono essere verificate soltanto dopo, e altre ancora che resteranno per sempre non verificabili. Inoltre, non entriamo nel dibattito riguardante la possibilità reale di distinguere sempre tra beni e servizi. Alcuni autori (ad esempio, Levitt, 1972) sostengono che esiste un continuum di prodotti tra beni e servizi. In questo modo, ogni distinzione tra beni e servizi è una distinzione artificiale, e l’unica affermazione possibile è che 9 ricevuto. In teoria, il paziente potrebbe rivolgersi ad un altro medico chiedendogli di verificare come è stata eseguita l’operazione; ma il controllo è quasi impossibile. Oppure si consideri la prestazione di un meccanico: dopo che il motore di un’auto è stato riparato, chi andrà mai a verificare se tutti i pezzi sono stati riassemblati con cura? Una situazione simile si osserva nei servizi legali e finanziari, anche se in questi casi il controllo della prestazione è teoricamente possibile (con costi però elevati). Allora, nel caso dei beni fiducia l’importanza dei marchi sarà maggiore: solo il marchio può fornire qualche indicazione sulla qualità e provenienza del servizio, insieme ad alcune osservazioni empiriche indirette (relative cioè ad altri consumatori) e/o al confronto con altri servizi forniti dalla stessa organizzazione. Questo vale soprattutto quando l’acquisto di un servizio non è frequente. A questo proposito è utile esemplificare la distinzione tra i diversi tipi di beni e servizi seguendo uno dei più recenti tentativi di classificazione. La tabella seguente è tratta da Siegel, Vitaliano (2007). Tavola 1 CLASSIFICAZIONE DEI BENI RICERCA, ESPERIENZA E FIDUCIA BENI RICERCA Abbigliamento Mobili Calzature Arredamento BENI ESPERIENZA NON DUREVOLI Salute/bellezza Sigarette Prodotti alimentari Detergenti Giornali/riviste Materiale da ufficio BENI ESPERIENZA DUREVOLI Abitazioni Automobili Utensili Hardware Medicinali Occhiali Software Libri Articolo sportivi Hobbies Utilities SERVIZI ESPERIENZA Pubblicità Trasporti Istruzione Turismo Formazione Servizi bancari Noleggio auto Spettacolo Servizi postali Agenzie Immobiliari Sport Agenzie di lavoro SERVIZI FIDUCIA Servizi finanziari Assicurazioni Servizi medici Riparazione auto Fonte: Siegel, Vitaliano (2007). Come si vede dalla tabella sono stati esclusi i beni e servizi intermedi, responsabili di un’ampia fetta del valore aggiunto nei paesi avanzati. I beni esperienza non durevoli esistono delle industrie in cui i “componenti di servizio” sono maggiori o minori rispetto ad altre industrie (ammesso e non concesso che si raggiunga una definizione universalmente accettata di “industria”). 10 implicano acquisti frequenti. I mercati dei beni ricerca e dei beni esperienza non durevoli mostrano normalmente una debole fedeltà alla marca e un’intensa competizione. In altri termini, la possibilità di ripetere gli acquisti senza sostenere una spesa eccessiva rende i beni esperienza non durevoli simili ai beni ricerca. I beni esperienza durevoli, come ad esempio le automobili, non possono essere acquistati troppo frequentemente, e richiedono un periodo di tempo piuttosto lungo affinché i consumatori riescano a conoscere completamente le loro caratteristiche (come l’affidabilità nel caso delle auto). I servizi esperienza e fiducia comportano entrambi un alto grado di asimmetria informativa tra venditori e acquirenti. I prodotti tendono ad essere differenziati, quindi le informazioni fornite dalle compagnie di servizi mediante la pubblicità o altre forme di promozione dei prodotti non sono molto utili nel confrontare marche concorrenti; anche nei periodo successivi all’acquisto, i consumatori non riescono a valutare pienamente il valore di questi servizi. La tabella (e quelle preparate da altri autori che si sono occupati dello stesso tema) non distingue i servizi a seconda della frequenza dell’acquisto. Questo perché la corrispondenza bene durevole/acquisto non frequente e bene non durevole/acquisto frequente non è applicabile ai servizi, che sono tutti non durevoli, vengono cioè consumati completamente al momento dell’acquisto o comunque della loro fornitura. Ma la distinzione esiste, ed è riportata nella seguente tabella. Tavola 2. CLASSIFICAZIONE DEI SERVIZI IN BASE ALLA FREQUENZA DELL’ACQUISTO ALTA FREQUENZA MEDIA FREQUENZA BASSA FREQUENZA Ristorazione Istruzione Divertimento/spettacolo Trasporti Telecomunicazioni Servizi medici Igiene e bellezza Alloggi temporanei Ricerca/sviluppo software Attività sportive e culturali Servizi finanziari Servizi assicurativi Servizi personali (es. sicurezza) Servizi giuridici Formazione Turismo Costruzione Riparazione Installazione Servizi immobiliari Pubblicità Questo tentativo di classificazione, che naturalmente non richiede di essere universalmente accettato, è basato principalmente sul comportamento consumatore finale. In alcuni casi, le imprese, nella veste di acquirenti, ricorrono più frequentemente alla fornitura di un 11 particolare servizio (si pensi alla pubblcità oppure ai servizi giuridici). E’ comunque abbastanza evidente come non vi sia perfetta corrispondenza tra servizi esperienza e acquisti frequenti e tra servizi fiducia e acquisti non frequenti. Ad esempio, un consumatore ricorre periodicamente a servizi medici, ma molto raramente a servizi di natura giuridica (a parte il caso di incalliti rapinatori a mano armata che rischiano di ricorrere frequentemente a entrambi i servizi, peraltro involontariamente), ma entrambi sono servizi-fiducia. In ogni caso, per i servizi fiducia si assume normalmente che, data l’impossibilità per il consumatore o utente di valutare correttamente la quantità e la qualità del servizio ricevuto, questi desideri ricevere un livello di “assicurazione” sulla qualità del servizio in misura maggiore rispetto a quanto è richiesto nel caso di beni e servizi esperienza e naturalmente rispetto ai beni ricerca. Per alcuni servizi la caratteristica di credence service è dovuta alla separazione temporale tra la fornitura del servizio e il “risultato” della fornitura. Si pensi ad esempio alle assicurazioni sulla vita oppure ai fondi pensione. Ciò rendo molto complicato giudicare la qualità del servizio ricevuto e confrontare servizi in concorrenza. La questione è quindi la seguente: se nel caso dei beni e servizi fiducia i consumatori sanno che non possono ricevere informazioni (di alcun tipo) che potranno essere verificate in seguito all’acquisto, qual’è l’incentivo delle imprese che forniscono simili servizi a investire in spese pubblicitarie? Oltretutto, nel caso di servizi fiducia e acquisti poco frequenti, l’incentivo a ricorrere a spese pubblicitarie è ancora minore. Tuttavia, in questo caso il marchio sembra sostituire le spese pubblicitarie, un po’ come avviene nel caso dei beni ricerca. In altri termini, il marchio assume importanza in quanto strumento che, di per sé, tende a differenziare i prodotti offerti. Il marchio cioè non informa i consumatori sulle caratteristiche del servizio, che non potranno in ogni caso essere verificate dopo l’acquisto, quanto piuttosto produce un insieme di elementi simbolici che, mirando a soddisfare pirincipalmente bisogni psicologici, inducono un consumatore a rivolgersi a un determinato fornitore. In un certo senso, il marchio svolge una funzione simile a ciò che Nelson chiama pubblicità indiretta: il marchio non descrive ai consumatori le caratteristiche del prodotto, e, nel caso dei servizi fiducia, non mette l’accento sulle differenze qualitative dei servizi, perché queste non potranno essere apprezzate direttamente dai consumatori4 . Paradossalmente, la 4 Non trattiamo qui la possibilità che, nel caso dei beni o servizi fiducia, i venditori abbiano l’incentivo di ingannare i consumatori. 12 pubblicità e la promozione del marchio sono fonte di informazione indiretta nei due casi estremi, ma per motivi diversi: nel caso dei beni ricerca, perché il consumatore non ha bisogno di informazioni oggettive sui prodotti, dal momento che può ottenerle da solo, e nel caso dei servizi fiducia, perché le eventuali informazioni dirette non sarebbero in alcun modo verificabili. I marchi dei servizi esperienza e dei servizi fiducia svolgono quindi una funzione fondamentale in termini di differenziazione del prodotto. Se consumatori e clienti non riescono a osservare la qualità di un servizio, non potranno effettuare confronti con quelli forniti da organizzazioni o persone diverse. Quindi l’unico modo di cogliere il grado di differenziazione dei servizi è quello di affidarsi ai marchi, e a quegli strumenti (come la pubblicità) che enfatizzano le differenze tra marchi diversi. Ciò può avere delle conseguenze riguardanti lo stesso oggetto di scambio. Quando le caratteristiche dei prodotti non sono direttamente osservabili dai consumatori e quando le transazioni non sono frequenti, è cioè probabile che vengano scambiati marchi, o meglio marche, e non servizi. 6. Imitazione e marchi nei servizi Un altro elemento che può influenzare il ruolo svolto dai marchi nel settore dei servizi è la probabilità di imitazione. A questo proposito emerge una chiara distinzione tra protezione del marchio e gli altri diritti di proprietà intellettuale. Un brevetto ad esempio protegge la proprietà e l’utilizzo di un prodotto o di un processo innovativo. Il nome del prodotto o del processo non è rilevante. Nel caso del marchio, invece, quello che viene protetto è proprio il nome di un prodotto o di un processo, indipendentemente dal fatto che questi siano innovativi oppure no. Allo stesso modo si può distinguere tra violazione della proprietà intellettuale e imitazione. Quest’ultima, infatti, non può essere (e in effetti non è) sanzionabile di per sé. I processi di imitazione avvengono in tutte le economie e sono alla base dello sviluppo economico e sociale di una collettività. Naturalmente, una volta che una determinata “creazione” viene protetta da un diritto di proprietà intellettuale, allora l’imitazione può essere parzialmente o completamente vietata. Ad esempio, nell’industria farmaceutica, una volta brevettato un nuovo principio attivo A, questo non può essere riprodotto e commercializzato da terzi, anche se questi lo chiamano B. Se invece un venditore di spremute d’arancia chiama il suo prodotto Orange Fresh, e registra 13 questo nome di prodotto come marchio, allora chiunque può mettersi a vendere spremute d’arancia, l’importante è che non si chiamino Orange Fresh. Il problema è che la maggior parte dei servizi innovativi, che magari tendono a soddisfare una domanda “nuova” e in espansione, non possono essere protetti con il sistema brevettuale. Innanzitutto, si può presentare una domanda di brevetto soltanto per le soluzioni innovative di tipo tecnico, con l'obbligo di inserire l'innovazione in una delle categorie delle classificazioni ufficiali, che però non includono i servizi. Quindi soltanto le imprese di servizi che dispongono di una “base tecnologica” adeguata possono usare i brevetti per proteggere le loro innovazioni. Vi sono cioè imprese che presentano domande di brevetto poiché la fornitura di un servizio richiede la rielaborazione di strumenti materiali tecnologicamente avanzati; in effetti, numerose imprese attive nei trasporti, nelle telecomunicazioni, e nell’informatica depositano brevetti; alcune di queste imprese, le più grandi, operano anche nel mercato dei beni intermedi. Altre imprese di servizi semplicemente usano le nuove tecnologie; altre ancora forniscono servizi con un basso contenuto tecnologico. In questi ultimi due casi l’uso dei brevetti è piuttosto raro (Blind et al., 2003). Un altro motivo per cui appare problematico brevettare nuovi servizi è che molti sono immateriali (Miles et al., 2000). L'immaterialità complica la descrizione dell'innovazione, necessaria a ottenere la protezione brevettuale; senza un’accurata descrizione dell’innovazione, se ne limiterebbe la diffusione alla scadenza del brevetto. Di fatto, le imprese di servizi tentano spesso di rendere tangibili le innovazioni con un carattere intrinsecamente immateriale, arricchendo il servizio di componenti materiali. Proprio perché le caratteristiche di molti servizi rendono inappropriati o inutilizzabili i brevetti, le imprese sono indotte a utilizzare forme alternative per proteggere le innovazioni o il risultato dell’applicazione di processi creativi a determinati prodotti. In queste circostanze l’investimento nella creazione di una forte fedeltà di marca, e quindi nelle attività di branding, appare fondamentale. Se un servizio non può essere protetto da un brevetto, una parziale protezione può essere assicurata dal marchio. Ciò tenuto conto anche della facilità di imitazione del prodotto collegato al marchio, cioè il bene o servizio. In effetti, si assume normalmente che i servizi siano più facilmente imitabili dei beni, perché le innovazioni sono rapidamente individuate, comprese e copiate dai concorrenti dell’innovatore. Gli esempi vanno dalle innovazioni di carattere culturale (nuove forme musicali, 14 nuovi generi letterari), a quelle che riguardano la particolare forma di oggetti materiali collegati a un servizio (come può avvenire per il menù di un ristorante), fino al contenuto di servizi tecnicocommerciali (ad esempio la predisposizione di nuovi indici che permettono alle imprese di misurare il livello della propria performance). Un’elevata probabilità di imitazione nei servizi è presentata come un dato di fatto sia dalle imprese sia dagli esperti di marketing-management. In alcun survey sulle imprese di servizi emerge che l’imitazione è considerata un importante deterrente a sviluppare innovazioni. Inoltre, le imprese ritengono molto complicato rivendicare il diritto esclusivo a sfruttare una nuova idea, rispetto a quello che avviene nel mercato dei beni. Questo riduce l’incentivo a usare strumenti legali per tutelare le innovazioni, e di conseguenza la probabilità di imitazione aumenta. L’alta probabilità di imitazione e l’incapacità della protezione brevettuale di ridurla spiegherebbero il maggior interesse dei fornitori di servizi a puntare sulla costruzione di una forte identità di marca. L’idea di fondo di questo approccio è che i concorrenti possono facilmente comprendere e riprodurre i contenuti di un nuovo servizio. A differenza delle complicate operazioni di un nuovo componente tecnologico hardware, le nuove forme di servizio implicano di solito una semplice ricombinazione di elementi già esistenti o una riorganizzazione di una sequenza di azioni che, però, prese separatamente, sono già conosciute. Oppure si aggiunge un nuovo ma semplice passaggio a una determinata procedura.5 In conclusione, i prodotti-servizi possono essere, in generale, facilmente imitati. Inoltre, nel caso di servizi innovativi, questi non possono ricorrere alla protezione brevettuale. Soltanto attraverso un’adeguata protezione della marca, della sua identità e delle suggestioni che i consumatori vi associano è possibile sviluppare un servizio sufficientemente differenziato dai concorrenti, in modo da ridurre riduca il grado di concorrenza tra le marche concorrenti. Come illustrato anche dalla prossima sezione, l’intangibilità di molti servizi rende difficlle distinguere tra il servizio fornito e la marca con la quale viene presentato, così che non è più 5 L’imitazione è più complicata e costosa nel caso di servizi che hanno un contenuto tecnologico o anche solo tecnico. Ad esempio, la fornitura di determinati servizi via Internet è un’innovazione adottata dalle imprese che hanno la possibilità di accedere alla rete e i cui clienti sono a loro volta connessi. In questo caso sono necessari investimenti specifici per fornire il nuovo servizio. Ma se da un lato, specialmente per le grandi imprese, gli investimenti in infrastrutture materiali non sono elevati, si deve comunque utilizzare un personale preparato a gestire le infrastrutture stesse. Anche se le caratteristiche di un servizio innovativo sono apprese facilmente dai concorrenti dell’innovatore (il caso dei servizi via Internet è emblematico, poiché essi sono accessibili in tutto il pianeta), la riproduzione del servizio non è immediata, perché l’apprendimento umano deve combinarsi con l’adozione di nuove tecnologie. 15 possibile stabilire se l’oggetto del processo di differenziazione, della concorrenza tra imprese, e dello scambio tra venditori e acquirenti sia il prodotto servizio oppure il marchio ad esso associato. 7. Bundling e umbundling tra servizi e marchi Nella quarta sezione si è accennato al c.d. processo di umbundling tra prodotti e marchi messo in evidenza da alcuni autori. Questa osservazione sembra particolarmente appropriata per lo scambio di beni. In questo caso, si sostiene, la domanda del consumatore è composta da due elementi: la domanda per il bene in sé e la domanda di natura psicologica per l’immagine associata alla marca. Dal bene in sé il consumatore ricava un’utilità associata alle caratteristiche funzionali e materiali del prodotto, mentre dall’immagine della marca deriva un’utilità relativa all’aura intangibile che circonda i prodotti offerti con una determinata marca. Quello che viene sottolineato è che in svariati mercati la domanda di elementi immateriali associati alla marca prevale su quella associata alle caratteristiche materiali del prodotto. In altre parole, dato un prezzo p di acquisto del bene, una parte (1-α)p è il valore attribuito al bene fisico, e una parte αp è il valore attribuito alla marca; in alcuni contesti, allora, sembrerebbe che il valore di α si approssimi a 1, riducendo o addirittura azzerando il valore che i consumatori attribuiscono alla componente materiale di ciò che è stato acquistato. Come spesso succede, gli economisti si trovano ad analizzare in ritardo fenomeni che le imprese conoscono da tempo. Nel caso della domanda di tipo psicologico soddisfatta da una determinata immagine di marca, questo ritardo è piuttosto evidente. Inoltre, presso i tribunali, le imprese titolari di marchi forti ed affermati non hanno esitato a battersi per vedere affermato il valore in sé di una particolare marca. Naturalmente l’atteggiamento delle imprese non è dettato dalla volontà di aggiornare la teoria economica della domanda, quanto piuttosto dal desiderio di proteggere le proprie marche da un uso improprio da parte di terzi, specialmente quando la creazione di una marca forte (in grado cioè di generare elevati flussi di ricavi futuri) e il mantenimento della sua forza richiedono ingenti spese in pubblicità e promozione (su questo punto si veda l’ultima sezione). Recentemente, alcuni autori (in particolare si veda Dilbary, 2007) hanno ulteriormente articolato la sruttura della domanda per prodotti di marca, che sarebbe composta non da due 16 ma da tre elementi distinti: la domanda per il bene fisico in sé, la domanda di natura informativa relativa a quelle caratteristiche del prodotto che non possono essere verificate dai consumatori (credence qualities), e la domanda di piacere psicologico legata all’immagine di marca. Nel caso ad esempio di un profumo di marca, la domanda del primo tipo riguarderebbe l’aroma del profumo, la domanda del secondo tipo potrebbe essere collegata all’informazione che il profumo viene realizzato secondo una formula segreta, e la domanda del terzo tipo potrebbe essere legata al grado di esclusività che l’immagine di marca comunica agli acquirenti del profumo. Abbracciare questa tesi non è semplice. Innanzitutto non esistono verifiche empiriche. In secondo luogo appare piuttosto complicato disegnare un modello empirico per una verifica. Infine la tesi sulla tripartizione della domanda di prodotti di marca è difficilmente formalizzabile a meno di forti assunzioni sulla struttura delle preferenze dei consumatori. E’ comunque utile prendere spunto da un’interpretazione di questo tipo per approfondire l’analisi del ruolo svolto dalla marca nel settore dei servizi. L’approccio generale, che pare essere accettato da un numero crescente di osservatori, è che, a causa dell’evoluzione delle preferenze dei consumatori, direttamente o indirettamente influenzate dalle attività promozionali delle imprese, è avvenuta una graduale separazione della marca dal prodotto (bene o servizio) al quale essa è associata. L’immagine della marca che “divorzia” dal prodotto, ed assume totale autonomia fino a diventare il reale oggetto della transazione attraverso l’utilizzo del bene fisico come piattaforma per rendere possibile lo scambio, risulta in realtà suggestiva per la facilità con la quale essa può essere “visualizzata”. Per i beni materiali, ciò può infatti manifestarsi nella c.d. pratica di brand extension, per cui una marca molto nota viene associata a prodotti materiali più disparati, che vengono esplicitamente presentati ai consumatori come desiderabili proprio perché associati dala stessa “marca ombrello”. L’osservatore percepisce tutto questo con estrema naturalezza, perché è in grado di distinguere in maniera netta la marca ombrello (Armani, Gucci, Porsche) e i singoli prodotti (vestiti, profumi, occhiali, ecc.). Nel caso dei servizi, la visualizzazione del processo di umbundling tra prodotti e marche è più complicata. Sia il servizio sia la sua marca sono, nella maggior parte dei casi, elementi immateriali, e sono anche fortemente legati l’uno all’altro, dal momento che il servizio “esiste” ed è utilizzabile per lo scambio soltanto nel momento in cui viene fornito. 17 La questione è stata affrontata direttamente dalla letteratura di marketing. E’ stato notato che poiché i servizi sono per lo più immateriali, risulta più difficile per le imprese segnalare ai consumatori non solo le loro caratteristiche ma semplicemente la loro esistenza. In altre parole, un’auto può essere fotografata e comparire in un’inserzione pubblicitaria, ma la stessa cosa non può essere fatta nel caso, ad esempio, di servizi finanziari o legali. Una situazione del genere solleva alcuni interrogativi. Da un lato, ci si chiede se la natura immateriale dei servizi riduce l’efficacia delle attività promozionali (pubblicità, branding, ecc.); in altre parole, il marketing dei servizi potrebbe essere meno efficace rispetto al marketing dei beni materiali. Dall’altro, se l’attività promozionale dei servizi è meno efficace, le imprese di servizi devono spendere in pubblicità più o meno dei produttori di beni materiali? E soprattutto, quali strategie di marketing devono utilizzare? In effetti alcune ricerche empiriche mostrano che le imprese di servizi spendono, in media, meno dei produttori di beni materiali nelle attività di marketing communication. Ma questo risultato non è conclusivo. In realtà, se nei servizi l’efficacia della pubblicità e del branding è inferiore, le imprese di servizi dovrebbero spendere di più per ottenere determinati risultati in termini di vendite, quota di mercato, ecc. (Herrington et al. 1996). La questione è complessa, poichè i servizi, data la loro immaterialità e il frequente carattere di credence goods, non possono ricorrere ai tradizionali strumenti promozionali utilizzati nel caso di beni materiali. Se è ragionevole pensare che la pubblicità di tipo informativo sia inefficace nel caso dei servizi, non è altrettanto chiaro quali siano le migliori alternative. Anche la pubblicità di tipo persuasivo spesso si appoggia alla descrizione delle caratteristiche del prodotto, che per quanto non potranno essere verificate dai consumatori dopo l’acquisto, possono comunque essere “visualizzate” nel caso dei beni materiali, ma non nei servizi. Quando anche la pubblicità di tipo indiretto e persuasivo non è in grado di aumentare il grado di differenziazione dei prodotti o semplicemente aumentare la domanda fronteggiata dalle imprese, allora la costruzione di una immagine di marca diventa fondamentale. Ma quale marca? Quando è complicato costruire un’immagine e una reputazione per la marca dei prodotti (il product name) allora emerge l’importanza della marca della compagnia (corporate name). La valutazione dei servizi da parte del consumatore è molto spesso influenzata dalle fasi iniziali del proceso di fornitura, specialmente se il servizio richiede un contatto iniziale tra il 18 venditore del servizio e l’acquirente. In queste fasi, il consumatore ha la possibilità di verificare che le “promesse” fatte dalla pubblicità e dal branding siano mantenute. Persino nel caso di servizi con una natura più materiale (come ad esempio il trasporto aereo), il consumatore valuta se le promesse della marca vengono mantenute in maniera sufficiente. Inoltre, il personale dipendente di una compagnia di servizi è percepito dal consumatore come una parte del prodotto che impersona la marca stessa. In questo contesto, assume particolare importanza la corporate brand, cioè la marca della compagnia che fornisce servizi, i quali possono a loro volta avere un distinto brand name (ad esempio, nel trasporto aereo il prodotto acquistato è una particolare tratta, come Roma-New York, ma il consumatore giudica più che altro la qualità del servizio della compagnia nel suo insieme, Alitalia anziché Delta Airlines). Soprattutto nel caso dei servizi finanziari e professionali, per i quali può essere particolarmente difficile elaborare dei giudizi di qualità a priori (e spesso anche a posteriori), è il corporate brand e la sua reputazione che sono utilzzati dai consumatori, come proxies di qualità, quando deve essere effettuata la scelta tra marche concorrenti (Dell’Olmo Riley, de Chernatoney, 2000). Quindi anche secondo questa argomentazione, nel caso dei servizi, anziché di umbundling tra prodotto e marca, si dovrebbe invece parlare di schiacciamento tra prodotto, marca e compagnia di servizi. Resta il fatto che un consumatore, di fatto, acquista contemporaneamente sia un prodotto-servizio, sia il product name, ma anche l’assicurazione di qualità che viene fornita dalla compagnia e che è espressa dal corporate brand. Non è escluso che la concentrazione degli sforzi delle attività di marketing sulla marca della compagnia anziché sui singoli prodotti, da un parte spieghi il minore investimento in pubblicità e branding delle imprese di servizi, ma dall’altro aumenti, durante le transazioni, il peso del corporate name rispetto al servizio effettivamente offerto. 8. Conclusioni, evoluzione legislativa e ricerca futura La combinazione dei fenomeni illustrati produce un’evoluzione significativa delle funzioni svolte dai marchi nel settore dei servizi. Da una parte, i marchi nei servizi sono sempre più importanti e utilizzati, a causa dell’evoluzione delle caratteristiche strutturali dei mercati e delle modifiche comportamentali delle imprese che vi operano. Dall’altra, i marchi e le 19 marche, oltre a garantire la provenienza dei prodotti, tendono a rafforzare il loro grado di differenziazione, tanto che in alcuni casi l’oggetto dello scambio sembra essere direttamente il marchio e non il prodotto ad esso collegato; quest’ultimo fenomeno presenta tratti particolari nel caso dei servizi, per la loro natura di experience o credence goods e per la frequente natura immateriale Questa conclusione può apparire estrema se raggiunta mediante un’analisi economica standard, ma essa viene spesso presentata con la massima naturalezza dagli operatore del settore. Nel 2002, Wolfgang Reitzle, leader del Premier Automotive Group, gruppo controllante i marchi Volvo, Jaguar, Land Rover e Aston Martin e facente capo a Ford, affermava che “oggi la gente compra il marchio ancor prima del prodotto”. Sempre nel 2002, un’inserzione a pagina intera celebrava la mega-fusione Daimler-Chrysler (poi naufragata) e raffigurava una centralinista che chiedeva: “Benvenuto alla Mercedes-Benz-Chrysler-Jeep-Dodge-SmartFreghtliner-Sterling-Setra, in cosa posso aiutarla?” E a fondo pagina: “I nostri nomi non hanno bisogno di troppe presentazioni. Sono conosciuti in tutto il mondo. Sono i nomi dei grandi marchi che abbiamo riunito sotto un unico tetto (…)”. In tutta la pagina, non veniva mai usata la parola “auto” oppure mostrata un’immagine di un’auto. 6 Nel settore dei servizi si assiste a una rapida crescita dell’importanza e del valore dei marchi, e non solo consultando le statistiche ufficiali degli uffici incaricati delle registrazioni. Business Week e la sua controllata Interbrand preparano ogni anno la classifica delle 100 marche “globali” di maggior valore. Per quanto discutibili siano i criteri utilizzati per la valutazione, è possibile osservare la crescita delle marche di servizi, a parte una diminuzione nel 2002 dovuta probabilmente alla crisi delle dot.com. Tra le prime 100, se ne osservano 22 nel 2001, 24 nel 2002, 22 nel 2003, 24 nel 2004 e nel 2005, 26 nel 2006, e 27 nel 2007. In parte, la crescita del valore delle marche di servizi è dovuta alla diffusione di Internet e di società ad esso collegate, come ad esempio America On Line (AOL), Yahoo e Google, nuovi 6 La consapevolezza che i consumatori cerchino di acquistare marchi e non prodotti può produrre risultati opposti a quelli desiderati dalle imprese che investono in promozione e pubblicità. Nel 2006, dopo otto anni sul mercato, la Smart, unica auto da città a due posti realizzata dalla Mercedes, non aveva ancora prodotto risultati finanziari apprezzabili, ma anzi perdite continue, anno dopo anno. Il marchio Smart si era affermato con una velocità fuori del comune, ma questo non era sufficiente a risollevare le vendite. Nelle parole di un manager della Mercedes: “Volevamo vendere un’idea e non un’auto. Ma la gente vuol comprare automobili, non idee.” In realtà il progetto iniziale è stato modificato per problemi di sicurezza, il che ha fatto lievitare i costi e anche i prezzi di offerta al pubblico (nel 2006 una Smart costava 9.321 euro; per un’auto a due posti era davvero troppo). 20 marchi che si trovano nella stessa classifica di marchi più storici come Coca Cola, Marlboro oppure Ford e che sono associati a beni materiali. Se nel caso dei beni l’accresciuta importanza della marca nelle strategie delle imprese e nelle scelte dei consumatori può produrre il c.d. umbundling tra prodotto e marca, per i servizi si assiste invece a una sorta di “schiacciamento” tra marca e prodotti, e in questo processo è la marca delle compagnie che offrono servizi a giocare un ruolo principale. 7 Dal punto di vista delle imprese titolari di marchi famosi questa evoluzione è “naturale”, poiché corrisponde all’obiettivo esplicitamente perseguito di rafforzare la fedeltà alla marca e ai prodotti collegati. Tuttavia, le istituzioni di un sistema giuridico sono tenute a chiarire perché si dovrebbe tutelare il diritto dei consumatori ad acquistare non tanto e non solo prodotti, ma anche suggestioni, immagini, emozioni che scaturiscono da un logo o da un brand name, e che sono state create attraverso costose ed eterogenee campagne promozionale. Dal punto di vista economico, la risposta è semplice: se l’utilità derivante dall’acquisto di un bene non proviene soltanto dal bene materiale in sé ma anche dalle emozioni generate dalla marca associata, ciò va semplicemente a determinare la funzione di domanda del bene in questione; data una certa offerta, si determina un prezzo di equilibrio che, date certe condizioni (assenza di pratiche di sfruttamente del potere di mercato, eccessive barriere all’entrata di natura strategica, ecc.) realizza una situazione di massima efficienza. In fondo questa posizione sembra coincidere con quella adottata dai tribunali (prevalentemente statunitensi) che si sono occupati della questione (per alcuni casi giurisprudenziali si veda Dilbary, 2007). Il riconoscimento in sede giurispridenziale dell’evoluzione delle funzioni svolte dalla marca sembra riflettersi anche sulle norme che regolano la protezione dei trademark e dei service marks. Alcuni autori (si veda, ad esempio, Bottero, Mangani, Ricolfi, 2007) hanno notato che i marchi hanno oggi una “nuova” funzione: creare un incentivo a investire nella “notorietà” di una marca. In effetti, negli ultimi 50 anni, le leggi sui marchi si sono evolute in maniera considerevole. L’evoluzione legislativa ha riguardato, in particolare, i marchi “famosi”, che 7 Talvolta vengono presentati esempi del divorzio tra marchio e prodotto che tendono, da un lato, a sopravvalutare la rilevanza economica del fenomeno, dall’altro, a sottovalutare l’importanza che hanno assunto i marchi nelle economie moderne. Ad esempio, viene spesso citato il caso dell’insegna Mercedes, che qualche anno fa veniva utilizzata (e anche scambiata) per la realizzazione di collane, orecchini, ecc. Fenomeni di questo tipo però rappresentano più che altro aspetti folcloristici di un determinato periodo storico, più che segni dell’accresciuta importanza economica delle marche. 21 dovrebbero godere di una protezione “estesa” per evitare fenomeni di free riding e di trademark dilution, cioè di riduzione del valore promozionale del marchio. Si afferma che, anche in assenza di confusione dei consumatori, non è possibile utilizzare il marchio “Mercedes” per commercializzare, ad esempio, un paio di sci, perché in questo modo la società proprietaria del marchio in questione non potrebbe sfruttare pienamente gli investimenti sostenuti per creare e mantenere la “forza” del marchio stesso, che consiste nella capacità di generare un consistente flusso di ricavi futuri. Naturalmente una maggiore protezione dei marchi, specialmente se famosi, è esplicitamente richiesta dai loro proprietari, proprio in virtù del riconoscimento che la c.d. brand loyalty, e cioè l’attaccamento dei consumatori a una serie di “suggestioni” evocate da un brand name o da un logo, sia il fattore chiave per il successo commerciale in svariati mercati. In questo modo il marchio abbandona la sua principale funzione, quella di faciltare le scelte dei consumatori mediante la riduzione dei costi di ricerca, e diventa uno strumento per tutelare gli investimenti privati in promozione e pubblicità, così come avviene nel caso dei brevetti e degli investimenti in ricerca e sviluppo. E’ presumibile che il tentativo di rafforzare la tutela legale dei marchi assuma particolare importanza nel settore dei servizi, dove si ritiene normalmente, e a ragione, che l’imitazione sia più facile e frequente. In presenza di un’elevata probabilità di imitazione del prodottoservizio, la difesa del marchio diventa cioè un fattore chiave per la protezione e il consolidamento del potere di mercato garantito dalla forza della marca. Per questo motivo appare importante esplorare in profondità il ruolo svolto alle marche e dai marchi registrati nel settore dei servizi. In generale, per una maggiore omogeneità nell’analisi del rapporto tra le funzioni svolte dalla marca e l’oggetto dello scambio, sarebbe opportuno abbandonare la rigida distinzione tra beni e servizi (posto che sia possibile effettuarla). Piuttosto, è preferibile rifarsi direttamente all’approccio delle caratteristiche tipico dell’economia industriale. Secondo questo approccio, l’utilitià dei consumatori non si applica alla quantità dei beni acquistati, ma alle caratteristiche da essi contenuti. Seguendo questa impostazione metodologica, e sulla linea di ciò che è stato presentato in questo lavoro, si potrebbero allora ridefinire beni e servizi attraverso il loro contenuto di elementi search, experience e credence. In questo modo si potrebbe studiare il ruolo svolto dalla marca, e la sua importanza nel processo di scambio, 22 secondo il contenuto di tali elementi nei prodotti offerti, indipendentemente da qualsiasi (arbitraria) distinzione tra beni e servizi. Lo sviluppo di questa metodologia viene lasciato alla ricerca futura. Riferimenti bibliografici Beebe B. (2004), The Semiotics of Trademark Law, «UCLA Law Revie w», 51, pp. 621-704. Blind K., Edler J., Schmoch U., Anderson B., Howells J., Miles I., Roberts J., Green L., Evangelista R., Hipp C. e C. Herstatt (2003), Patents in the Service Industries. Report for the European Commission within the Science and Technology Indicators framework , Karlsruhe, Fraunhofer-ISI. Bottero N., Mangani A. e M. Ricolfi (2007), The Extended Protection of "Strong" Trademarks, «Intellectual Property Law Review», 11, 1, pp. 265-290. Dell’Olmo Riley F., de Chernatoney L. (2000), The Service Brand as a Relationships Builder, «British Journal of Management», 11, pp. 137-150. Dilbary S. (2007), Famous Trademarks and the Rational Basis for Protecting “Irrational Beliefs”, Working Paper n. 19, Berkeley Center for Law and Technology. Economides N. (1998), Trademarks, New Palgrave Dictionary of Economics and the Law, Peter Newman Ed., pp. 601-603. Herrington D.J., Lollar J.G., Cotter M.J., Henley J.A.Jr. (1996), Comparing Intensity and Effectiveness of Marketing Communications: Services versus Non-Services, «Journal of Advertising Research», 36, pp. 61-73. Jansson J.O. (2006), The Economics of Services, Cheltenham, Edward Elgar. Lemley M.A. (1999), The Modern Lanham Act and the Death of Common Sense, «Yale Law Journal», 108, pp. 1687-1715. Levitt T. (1972), Production-line Approach to Service, «Harvard Business Review», 50 (September-October), pp. 41-52. Mangani A. (2005), Un'analisi empirica del marchio comunitario, «L'Industria », 3, lugliosettembre, pp. 469-493. Mangani A. (2006), An Economic Analysis of Rise of Service Marks, «Journal of Intellectual Property Rights», 11, 4, pp. 249-259. 23 Maskus K.E. (2000), Intellectual Property Rights in the Global Economy, Washington, Institute of International Economics. Miles I., Andersen B., Boden M. e J. Howells (2000), Service Production and Intellectual Property , «International Journal of Technology Management», 20, 1/2, pp. 95-115. Nelson P. (1970), Information and Consumer Behavior, «Journal of Political Economy», 78, 2, pp. 311-329. Nelson P. (1974), Advertising as Information, «Journal of Political Economy», 82, 4, pp. 729-754. Ramello G. (2006), What's in a Sign? Trademark Law and Economic Theory, «Journal of Economic Surveys», 20, 4, pp. 547-565. Ramello G. e F. Silva (2006), Appropriating Signs and Meanings: The Elusive Economics of Trademarks, «Industrial and Corporate Change», 15, 6, pp. 937-963. Rullani E. (2006), La nuova economia dell'immateriale , «Economia dei servizi», 1, 1, pp. 4160. Siegel D.S., Vitaliano D.F. (2007), An Empirical Analysis of the Strategic Use of Corporate Social Responsibility , «Journal of Economics and Management Strategy», 16, 3, pp. 773792. Wilkins M. (1992), The Neglected Intangible Asset: the Influence of Trade Mark on the Rise of the Modern Corporation, «Business History», 34,1, pp. 66-95. 24