IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D`AMORE (dalle
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IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D`AMORE (dalle
IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D’AMORE (dalle Origini ai nostri giorni) DI CHIARA TONDANI Classe V A – Liceo linguistico di Pontremoli Revisione a cura del prof. Davide Grassi PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com INTRODUZIONE Questo lavoro tratta la lirica d’amore, analizzandone il linguaggio e quattro aspetti principali che sono: la struttura metrica dei componimenti, la loro sintassi, le metafore e le immagini che li caratterizzano, e infine le parole che ricorrono con maggior frequenza. L’opera si divide in tre parti, che sono state svolte negli anni scolastici 1999/00, 2000/01, 2001/02. La prima parte inizia da quel gruppo di poeti che operarono tra il 1220 e il 1250 circa, alla corte di Federico II di Svevia, la cui denominazione è “Scuola Siciliana”. I maggiori esponenti della corrente, anche se è riduttivo per tutto il movimento citarne solo alcuni, sono Iacopo Da Lentini, Pier Della Vigna, lo stesso Federico II, Guido Delle Colonne, Stefano Protonotaro ed altri che operarono in Sicilia. In seguito ho analizzato il filone poetico dei “Rimatori toscani di transizione”, rappresentati soprattutto da Guittone D’Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Paolo Lanfranchi, e altri che operarono in Toscana. Poi ho studiato il movimento fiorentino del “Dolce stil novo”, i cui più grandi esponenti sono Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Cino Da Pistoia, Dino Frescobaldi e altri meno rappresentativi. Due capitoli a parte sono dedicati ai famosissimi Dante Alighieri e Francesco Petrarca, il cui lavoro fu talmente vasto e innovativo da porli in percorsi di studio individuali. La seconda parte dell’opera riguarda il lungo periodo che va dal Quattrocento all’Ottocento, contraddistinto da vari fenomeni letterari, centrati soprattutto sul Classicismo. Sono stati analizzati alcuni poeti del Quattrocento, successivamente gli esponenti del Petrarchismo, come Bembo, Gaspara Stampa, Ariosto. Il Seicento è stato affrontato soprattutto con l’analisi di alcune liriche di Marino e dei Marinisti e di alcuni classicisti, come Guidi e Chiabrera. È stata poi trattata l’Arcadia e si è arrivati ad analizzare qualche poeta del Neoclassicismo, come Monti e Foscolo. Il Romanticismo è stato trattato con l’analisi di alcuni autori, che hanno affrontato – all’interno della loro opera – il tema dell’amore. Infine due capitoli a sé sono stati dedicati a due grandi poeti dell’Ottocento: Giacomo Leopardi e Giosuè Carducci. Per quanto riguarda il Novecento, data la vastità del periodo e la difficoltà ad individuare specifiche correnti letterarie concernenti la tematica amorosa, si è scelto di trattare cinque autori, ritenendoli adeguatamente rappresentativi della lirica d’amore del Novecento e cioè Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Guido Gozzano, Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale. Una breve Appendice è dedicata ad Umberto Saba. Questi scrittori hanno riguardato la terza parte dell’opera, che – essendo stata svolta nel corrente anno scolastico 2001/02 – si intende assunta come argomento proprio da presentare all’Esame di Stato. 2 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com PARTE PRIMA (dai Siciliani a Petrarca) LE POESIE DEI SICILIANI 1.1 COMPONIMENTI METRICI Diversamente da quella provenzale, che era di norma poesia per musica, la poesia siciliana è ormai semplice poesia per la lettura. I componimenti metrici della Scuola siciliana sono fondamentalmente tre: la canzone, la canzonetta ed il sonetto. Le canzoni siciliane, nonostante eccezioni, cambiano le rime passando da stanza a stanza. Ogni stanza consta di due parti, la fronte e la sirma ( dalla parola che significa la “coda” o “strascico della Veste”), una delle quali, o anche entrambe, si suddividono in due elementi identici o simmetrici, i piedi per la fronte, le volte per la sirma: la stanza risulta pertanto tripartita o quadripartita. Talora tra fronte e sirma si interpone un verso, detto chiave, che è poi ripetuto nelle volte della sirma; in tal caso si parla di sirma bipartita. L’ultima stanza della canzone, nella quale il poeta si rivolge, spesso, alla canzone stessa è detta Congedo ed è modellata sullo schema della Sirma. I versi che predominano sono l’endecasillabo e il settenario. Accanto alla canzone e a generi meno diffusi si introduce un’importante novità, dovuta probabilmente al notaio Iacopo Da Lentini, il sonetto, nella sua prima apparizione a rime esclusivamente alterne, formato da quattordici versi endecasillabi. Le due quartine hanno rima generalmente alternata o incrociata ripetuta nelle due strofe (salvo rare eccezioni) e cioè: ABAB, ABAB ovvero ABBA, ABBA. Nelle due terzine lo schema metrico è più libero, potendo assumere diverse variant, quali CDE, CDE ; CDE EDC; CDC, DCD … Per quanto concerne la canzonetta, essa è costituita secondo lo stesso schema della canzone, ma con versi minori dell’endecasillabo, come settenari e ottonari. Il repertorio siciliano, nonostante poche eccezioni di attestazione meno antica, ci è giunto largamente e progressivamente toscaneggiato dai copisti. Lo studio del metro e in particolare delle rime prova che il linguaggio era nettamente siciliano, si intende di quel siciliano che, con immagine dantesca, si suol chiamare “illustre”, adoperato cioè con intenzione non dialettale, bensì letterariamente nobilitato e regolarizzato a ideale imitazione della lingua universale e grammaticale per eccellenza, il Latino. I poeti siciliani, quindi, nella loro produzione utilizzavano gli apporti del Latino ( siamo allora di fronte a “latinismi”), ma anche gli apporti della lirica cortese ( siamo allora di fronte a “provenzalismi” o in senso più largo a “gallicismi”). In una situazione del genere - per fare degli esempi concreti - vidiri rimava con serviri, vui con fui. I copisti toscani, ai quali si deve in gran parte la conservazione dei testi siciliani originali, cercarono cioè di toscanizzarli, 3 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com specialmente nelle terminazioni vocaliche collegate con la rima. Così nella canzone “Madonna dir vi voglio” di Iacopo Da Lentini, il verso 2 come l’amor m’ha priso e il corrispondente verso 6 che’n tante pene è miso hanno subito un intervento toscaneggiante che ha sostituito priso all’originale prisu e miso all’originale misu. Nei versi 29-30 della stessa canzone co si fo per long’uso / vivo’n foc’amoroso , la rima che nell’originale c’era ( usu con amorusu ) risultava persa nella trascrizione toscana. O meglio, si era di fronte alla cosiddetta rima imperfetta, tuttavia accettata dalla cultura duecentesca e ancora trecentesca, e adoperata anche da autori sommi. Questa particolare rima imperfetta si suol chiamare “rima siciliana”. Dopo aver sintetizzato i tratti principali della metrica nella poesia siciliana, proviamo ad analizzare alcuni dei più famosi componimenti dei siciliani. “Meravigliosamente” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di settenari, in sette stanze; ogni stanza è costituita da due piedi abc e una sirma ddc; c’è quindi una rima chiave ( la c ) che fa da collegamento. Troviamo le rime siciliane ai vv. 3-6 … e mi tiene ad ogn’ora /… la simile pintura, ai vv. 33-36 …e non po’ stare incluso / …a voi, vis’amoroso; ai vv.51-54 …che voi pur v’ascondete / quando voi mi vedrite. “Morte perché m’hai fatta” di Giacomino Pugliese è una canzone di sei stanze, ognuna delle quali è così strutturata: una fronte ( vv. 1-4 ) di due piedi uguali (endecasillabi con rima ABAB ), e una sirma ( vv. 5-10 ) di due volte pure identiche (due endecasillabi e un quinario con rima CCb, CCb ). A parte l’ultima stanza, che resta a sè con congedo, le altre cinque hanno un collegamento fra di loro così strutturato: le prime quattro sono collegate a coppia (la prima con la seconda: vv. 10-11 soglio / solea; la terza con la quarta: vv.30-31 donna / madonna); inoltre fra la quarta e la quinta, come nota A. E. Quaglio, <<la mancanza di collegamento viene compensata da due rime al mezzo nel primo verso della sirma" (”v.35 adornamento con insegnamento e parlamento precedenti)>>1. Abbondano le rime ricche ( vv.5-8 pietanza / tristanza; vv.21-23 iranza / speranza; vv.2526 avviso / miso; vv.31-33 insegnamento /parlamento; vv.32-34 conoscianza / sembianza; vv.45-49 n’andao / lasciao; vv.47-50 tristanza / confortanza). Vi è in parecchi casi l’uso dell’enjambement tra la fronte e la sirma, che permette un periodare ampio e fluente, nel quale l’impianto sintattico non è vincolato dai confini metrici ( vv.24-25; 34-35; 44-45 ). “Amando con fin core” di Pier Della Vigna è una canzone di cinque stanze in endecasillabi e settenari. Endecasillabi e settenari in proporzione inversa tra piedi identici (AaB), e volte simmetriche (ccD, eeD). Le stanze sono tutte, come dicevano i provenzali, “capfinidas” , cioè una o più parole ( Morte amara, ecc.) collegano l’ultimo verso di ciascuna al primo della successiva. Tra altre raffinatezze formali la rima equivoca fera ai vv.34-35, la prima volta significa “feroce”, la seconda “colpisca”. “ E faria ciò ch’eo dico, 1 da A.E.Quaglio “Le origini e la Scuola siciliana”, LIL, vol. I, p. 269. 4 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com se non ch’a lo nemico che m’ha tolta madonna plageria, cioè la Morte fera, che non guarda cui fera: per lei podire aucire eo moriria. ” “Dolce coninzamento” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di quattro stanze in settenari: ogni stanza è costituita da una fronte (vv.1-4) di due piedi uguali (ab, ab) e da una sirma ( vv.5.10 ) anch’essa regolarmente suddivisa ( xxy, zzy ). Le stanze ad eccezione della prima, sono collegate dalla ripresa ( vv.20-21 basciari / bascianco, vv.30-31 vivente / vivente ), cioè la citazionedell’ultima parola di una stanza nel primo verso di quella successiva. 1.2 TIPO DI SINTASSI Generalmente le canzoni dei Siciliani sono caratterizzate dall’espressione ritmata, scandita, lineare, senza complessità sintattica, e tendono ad esprimere il sentimento del poeta in un’affermazione chiara, immediata e calata nitidamente negli schemi comuni, piuttosto che a seguirne l’intimo discorso nel suo fluido ondeggiare nell’animo. Alla corte siciliana si formò un linguaggio poetico italiano, una tradizione di lingua e di stile che fu poi continuata dai poeti della nostra letteratura. I Siciliani assunsero a strumento di espressione il volgare che si parlava nel Regno e trassero un linguaggio poetico stilizzato e affinato, da un lato tenendo come modello il Latino ( che era ancora la lingua in cui si esprimevano usualmente i dotti ), dall’altro il Provenzale, che fu imitato più decisamente perché era il modello letterario e aveva dato un nome e un’espressione ai concetti a cui si attenevano quei poeti. Essi, dunque, stabilirono un esempio di stile e di linguaggio poetico italiano selezionato e armonioso. Analizziamo dal punto di vista sintattico “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro, una canzone di endecasillabi e settenari in stanze tripartite “unissonans” ( cioè con rime costanti per l’intero componimento ). A differenza degli altri testi, assimilati dai copisti alla forma toscana, questa canzone conserva la sua veste linguistica originale, quella del siciliano illustre. E’ il documento più esteso e più importante che ci resti della forma originaria della poesia siciliana. Tipiche del Protonotaro sono la continuità sintattica fra stanza e stanza ( dalla seconda alla terza ) e il buon verseggiare di tipo manieristico. Notiamo la rima identica ai vv.45-46 lanza / lanza , la prima volta sostantivo , la seconda verbo. Notiamo anche l’assimilazione vocalica del siciliano dal Latino. LATINO CLASSICO a a SICILIANO a e e e i i i o o o u u u Il siciliano ha, quindi, un sistema di cinque sole vocali toniche, e non distingue tra “e” aperta e “e” chiusa. 5 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com I provenzalismi sono frequenti: v.3 alligranza, v.5 levimenti, v.6 dimuranza, v.22 m’è pir simblanza, v.23 dulzuri, v.24 miraturi, v.27 nutricatu, v.31 chi l’ublia siguiri, v.34 intidanza, v.35 istanti, v.36 tutisuri, v.46 chi mi fer’e mi lanza, v. 46 doluri, v.59 suffituri, v.60 unuri, v.63 beninanza, v.66 amaduri, ecc. 1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE L’aspetto saliente della poesia dei Siciliani è il suo convenzionalismo: temi e modi di espressione, situazioni psicologiche rappresentate, vocaboli, persino, ed immagini, ricalcano consapevolmente i modelli francesi e soprattutto provenzali. Questi poeti non vollero innovare, ma emulare i provenzali, ripetendo i loro temi e la loro esperienza artistica. La loro arte è strettamente legata agli ideali di vita e di costume di una società aristocratica cortese, con le sue rigide convenzioni. Ciò che conta, nella vita e nell’arte, non è ostentare la propria originalità, ma mostrarsi degni di appartenere alla corte, alla sua società elegante e raffinata. Il tema dominante e unico della poesia siciliana è l’ ”Amor cortese”, con il suo galateo ben definito. La donna è rappresentata con caratteri tipici e astratti: bella ( ha “bionda testa”, “chiaro viso” secondo una moda ben definita ), spesso lontana e inaccessibile, dotata di saggezza e “intendimento”, cioè leggiadria, finezza di educazione e di costume; è paragonata a una rosa odorosa, a una luminosa stella. L’amante, suo servo, ha con lei un rapporto di dedizione cavalleresca, di vassallaggio, tiene chiuso gelosamente in sé il suo amore come un sentimento prezioso che affina il suo animo, come sublime e incomparabile gioia. Da questo tema derivano svolgimenti anch’essi obbligati: lamenti per la morte della donna, canzoni di lontananza e struggente nostalgia d’amore, lamenti per la partenza della donna amata, invocazioni a lei, perché sia alfine pietosa, contrasti dialogati in cui amante chiede amore e madonna rifiuta, salvo poi a giungere, alla fine, ad un accordo. Un repertorio, come si vede, limitato e fisso, con variazioni così impercettibili che non bastano a darci il senso pieno dell’individualità del singolo poeta: è, quello dei Siciliani, come un coro, un elegante gioco cortigiano, che mai ci presenta il dramma di un’anima o le voci profonde della realtà ben complessa di quegli anni di lotte e trasformazioni radicali, cioè la passione politica e i grandi problemi morali e religiosi. Analizziamo ora una canzone che si può considerare esemplare: “Gioiosamente canto” di Guido delle Colonne: Essa sintetizza i temi tipici della tradizione cortese; esprime il sentimento amoroso con un repertorio di immagini e riferimenti di raffinato intellettualismo. E’ formata da cinque stanze, ogni stanza ha una fronte di due piedi uguali di settenari e una sirma di quattro endecasillabi. I vv.3-4 sono esemplari: … per la vostr’amanza, madonna, gran gioi sento. Qui, il poeta, esprime la gioia che prova nel sentire tanto amore e tanta passione per la donna amata. v. 6 …or aggio riposanza v.11 und’eo m’allegro di grande ardimento vv.14-15-16 la vostra fresca cera, / lucente più che spera / e la bocca aulitosa… v.49 la vostra gran bieltate 6 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com v.57 così mi tene Amore - corgaudente v.60 così v’adoro come servo e ‘nchino 1.4 PAROLE ADOPERATE Analizziamo ora diversi componimenti per stilare una lista di parole che ricorrono spesso. Effettuare tale analisi ci serve per comprendere esaurientemente il senso di tutta la ricerca. Ci aiuta anche a comprendere il modo di comporre poesia da parte di poeti dai quali si fa risalire l’origine della nostra letteratura. Ecco l’elenco degli autori e delle opere analizzate, tratte dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 1° Iacopo da Lentini: • Madonna dir vo voglio • Meravigliosamente • Guiderdone aspetto avere • Amor non vale ch’io clami • La ‘namoranza disiosa • Ben m’è venuto prima condoglianza • Donna, eo languisco e non so qual speranza • Troppo son dimorato • Non so se ‘n gioia mi sia • Uno disio d’amore sovente • Amando lungiamente • Madonna mia, a voi mando • S’io doglio non è meraviglia • Amore, paura m’incalcia • Poi no mi val merzè né ben servire • Dolce coninzamento • Dal core mio mi vene • Feruto sono isvariatamente • Cotale gioco mai non fue veduto • Amor è uno desio che ven da core • Lo giglio quand’è colto tost’è passo • Sì come il sol che manda la sua spera • Or come pote sì gran donna entrare • Molti amadori la lor malatia • Donna, vostri sembianti mi mostraro • Ogn’omo ch’ama de’ amar so • A l’aire claro ò vista ploggia dare • Io m’aggio posto in core a Dio servire • Lo viso mi fa andare alegramente • Eo viso e son diviso da lo viso 7 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • • • • • • • Sì alta amanza à pres’ a lo me’ core Per sofrenza si vince gran vitoria Certo me par che far dee bon Signore Sì como ‘l parpaglion c’è tal natura Chi non avesse mai vedutro foco Diamante, né smiraldo, né zafino Madonna à ‘n sé vertute con valore Angelica figura e comprobata Quand’om à un bon amico leiale Ruggieri d’Amici • Sovente Amore m’ha riccuto manti Tommaso di Sasso • L’amoroso vedere • D’amoroso paese Guido delle Colonne • La mia gran pena e lo gravoso affanno • Amor che lungiamente m’hai menato • Ancor che l’aigua per lo foco lassi Giovanni di Brienne • Donne audite como Oddo delle Colonne • Distratto core e amoroso Rinaldo d’Aquino • Venuto m’è in talento • Poi li piace ch’avanzi suo valore • Per fino amore vao sì letamente • Amor che m’è ‘n comando • Già mai non mi conforto • In gioi mi tegno tutte le mie pene • Amorosa donna fina • In amoroso pensare • Ormai quando flore • Meglio val dire ciò ch’omo è ‘n talento • Un oseletto che canta d’amore 8 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Paganino da Sarzana • Contra lo meo volire Pier della Vigna • Amore in cui disio ed ò speranza • Amando con fin core • Però ch’Amore non se po’ vedire Stefano Protonotaro • Pir meu cori alligrari • Assai mi placeria Jacopo d’Aquino • Al cor m’è nato e prende uno disio Jacopo Mostacci • Amor ben veio che mi fa tenire • A pena pare ch’io saccia cantare • Umile core fino e amoroso • Mostrar vorria in parvenza • Sollicitando un poco meo savire Federico II • De la mia disianza • Poi ch’a voi piace, amore • Misura, providenza e meritanza Ruggerone da Palermo • Ben mi degio allegrare Cielo d’Alcamo • Rosa fresca aulentissima Abate di Tivoli • Oi deo d’amore, a te faccio preghere • Qual omo altrui riprende spessamente • Con vostro onore facciovi uno ‘nvito Per quanto riguarda le parole adoperate, si è fatto riferimento ad un campione di opere (non necessariamente d’amore) dei vari autori e correnti, e sono state prese, per ogni corrente o autore, le dieci parole più usate. 9 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Ecco la classifica delle dieci parole che ricorrono più frequentemente nei poeti della Scuola siciliana. Accanto ad ognuna di esse vi è l’occorrenza, cioè la percentuale di volte in cui essa ricorre, calcolata sul numero totale delle parole che compongono le opere. % SCUOLA SICILIANA 1 Amor(e), amoroso/a 2 Cor(e) 3 gioi(a), gioioso, gioire … 4 Donna/e 5 Bellezza, bel, bella 6 Morte, morir(e) … 7 Madonna, Agi(o) 8 Viso, Servo, Servire … 9 Fin, Fino/a 10 Pena/e X 1000 1,44 0,69 0,59 0,58 0,29 0,26 0,25 0,22 0,20 0,17 14,4 6,9 5,9 5,8 2,9 2,6 2,5 2,2 2,0 1,7 Grafico esplicativo: 14,4 6,9 2,6 2,5 2,2 2,0 1,7 Fin, Fino/a Pena/e Donna/e gioi(a), gioioso … Cor(e) Amor(e), amoroso/a 2,9 Viso, Servo… 5,8 Madonna, Agi(o) 5,9 Morte, morir(e) … 20 15 10 5 0 Bellezza, bel, bella X 1000 FREQUENZE SICILIANI 10 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI TRANSIZIONE 2.1 COMPONIMENTI METRICI Per quanto riguarda i metri adoperati dai poeti toscani, essi sono gli stessi della Scuola siciliana, cioè la canzone, la canzonetta ed il sonetto, con l’aggiunta di un metro nuovo, non adoperato dai Siciliani: la ballata. È un componimento metrico che è formato da una ripresa, in genere da due o quattro versi, e da varie strofe dette stanze. Esse sono, a loro volta, formate da una fronte (che si divide in due piedi tra loro uguali) e da una sirma (divisa in due mutazioni, o composta da una parte indivisa detta volta); la regola costante è quella che il 1° verso della volta rima con il 1° verso del 2° piede, mentre l’ultimo verso della volta rima con l’ultimo verso della ripresa Per quanto riguarda questa corrente nata in Toscana, a causa del tramonto definitivo della potenza sveva in Italia, analizzeremo alcuni componimenti del suo esponente maggiore, Guittone D’Arezzo, e di altri poeti come Chiaro Davanzati, Bonagiunta Orbicciani, Monte Andrea, Panuccio Dal Bagno, Dante Da Maiano, Paolo Lanfranchi. Analizziamo ora, dal punto di vista metrico, “Ahi lasso, or è stagion” di Guittone D’Arezzo. E’ una canzone di sei stanze più un congedo in endecasillabi e settenari. Ogni stanza è costituita da una fronte ( vv.1-8 ) che ha due piedi simmetrici ( ABBA, CDDC ) e da una sirma che include due settenari con il seguente schema ( EFGg, FfE ). Il congedo ( vv.91-97 ) è uguale alla sirma. Ora notiamo la perizia retorica con la quale questo componimento è costituito: 1) Tutte le sei stanze (ad eccezione del congedo che di regola fa parte a sé ) sono collegate dalla ripresa, è perfettamente realizzata cioè la tecnica - frequente nella lirica provenzale delle coblas capfinidas ( vv.15-16 altezza / Altezza, vv.30-31 Leone / Leone; ecc. ); 2) La tecnica della rima presenta una notevole varietà. Abbiamo infatti: rime ricche ( vv.2-3 Ragione / guarigione; vv.32-33; vv.41-42; vv.46-49 ); rime univoche ( in cui cioè viene ripetuta la stessa parola ), vv.25-28 tanto / tanto; vv.40-44 morte / morte; vv.61-64 danno / danno; rime equivoche (in cui la parola è ripetuta in senso diverso), vv.51-53 forza / forza; rime siciliane, vv.80-83 ora / mura, ( dove o chiusa rima con u : si ricordi che nel siciliano o chiusa diviene appunto u ); parole rima identiche che - nota A. E. Quaglio - << in seguito al ritorno di rime uguali, elevano i termini chiave dell’ oratoria guittoniana: così accade con la ripetizione di tanto ai versi 1-25-28, ma soprattutto ai versi 2-24; 19-39, 40-44 >>2 2 da A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani” in LIL, 1 11 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Analizziamo “Tuttor ch’eo dirò” di Guittone D’Arezzo. E’ un sonetto in endecasillabi con rime ABBA nelle quartine e CDC, DCD nelle terzine. Notiamo l’affinità fra la prima rima delle quartine in osa e la seconda delle terzine in oso: vv.1-4 cosa / gioiosa; vv. 5-7 posa / amorosa; vv.10-12-14 gioiosa / disioso / riposo. Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. E’ un sonetto in endecasillabi, le cui rime seguono lo schema del precedente sonetto, e cioè ABBA nelle quartine e CDC, DCD nelle terzine. Analizziamo “Molto si fa brasmare” di Bonagiunta Orbicciani, un rimatore vicinissimo ai Siciliani, particolarmente al Notaio. Egli è molto incline alla canzonetta e alla ballata, non sprovvisto di iniziative metriche; è il miglior ponte tra i Siciliani e gli Stilnovisti fiorentini ( Cavalcanti e Dante ). Questo componimento è una ballata mezzana ( cioè con ripresa di tre versi ), in tutti i settenari: due piedi ab, volta abx, ripresa mmx. E’ una ballata in nove stanze, la fronte divisa in due piedi ( con rima abab ) e la sirma composta da una sola volta abx. Analizziamo “Poi contra voglia” di Panuccio Dal Bagno. E’ una canzone di sei stanze, ognuna delle quali ha una fronte con due piedi uguali ( AbC ) e una sirma con due volte uguali, ma con un verso aggiunto ( DeF, DeF, F ); e il congedo differisce così dalla sirma come dalla stanza intera: sono innovazioni significative. Analizziamo “Ahi dolze e gaia” di Chiaro Davanzati. E’ una canzone di cinque stanze. Ognuna di esse ha una fronte con due piedi analoghi (AbbA, BaaB ) e una sirma CDdEeF, dunque con la prima e l’ultima rima irrelate ( ma nelle prime due stanze, la prima, e allora il verso è settenario, si identifica con b: tutto ciò è tipico della non imitata tecnica di Chiaro ). La rima irrelata è formata da due parole che non hanno connessione sintattica; proponiamo qualche esempio in questa canzone: vv.9-4 sequenza / maggiore; vv.23-28 paura / cortesia; vv.37-42 savere / sia; vv.51-56 donata / dolorosa; vv.65-70 maggiori / via. Analizziamo “Donna di voi si rancura” di Monte Andrea. E’ una canzone di sette stanze più congedo, che si segnala per essere, al modo più frequente nella poesia provenzale, in strofe unissonans, cioè con rime costanti attraverso l’intero componimento. La fronte ha due piedi analoghi, aab, ccB ( le lettere minuscole designano ottonari), e sirma a rime baciate ( le lettere minuscole designano un ottonario la prima volta, altrimenti settenari ) ddeefF. La prima rima è siciliana ( -ora con -ura ); tutte le stanze presentano anafora; delle sirme, tolte quelle periferiche, cioè la prima e l’ultima ( congedo ), la rima in -one segnala il tema metaforico ( talora letterariamente abusato, talora non banale ): leone, paone, dragone, ecc. 2.2 TIPO DI SINTASSI Facendo riferimento a Guittone D’Arezzo, esponiamo alcune notizie sulla sintassi dei componimenti dei Toscani. Guittone sembra trasferire alla sua regione e alla sua classe e parte 12 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com ( l’agiata borghesia guelfa ), ingigantendola, l’ambizione retorica degli aristocratici e ghibellini siciliani. Nella cornice della società poetica, egli appare in relazione con i principali rimatori suoi contemporanei, il siciliano Mazzeo Di Ricco, forse Bonagiunta, certo Monte Andrea, il Guinizzelli e altri ancora. Le sue ballate sacre fanno inoltre sospettare che abbia avuto una parte di rilievo nell’elaborazione della lauda, fatto non per nulla umbro ( e all’Umbria appartiene dialettalmente la Toscana orientale ). Dante nel “De vulgari eloquentia “, classifica Guittone nei versificatori che non persero, né lessicalmente, né sintatticamente, l’abitudine di “plebescere”. Qui parla il Dante stilnovista, praticante un linguaggio scelto e melodico. Solo la critica moderna, per esempio con Giuseppe De Robertis, ha reso il debito omaggio all’importanza storica e alle qualità espressive, sia pure intermittenti, di Guittone 3. Se anche non fu poeta grande e le nobili intenzioni oratorie prevalsero, in lui sul poetico abbandono, grande è la sua importanza nella letteratura del Duecento. Fu un iniziatore, un precursore, un letterato sapiente che diede vita a nuove forme e a nuovi schemi, a un’esigenza di poesia più complessa e atta ad accogliere la multiforme vita della coscienza, anche se il suo linguaggio, mescolato di espressioni dialettali e di suggestioni colte, latine, siciliane, provenzali, rimase spesso apro e disarmonico. Spiace anche al gusto moderno l’abuso di certi procedimenti stilistici, quali la “replicacio” ( usatissima già da Provenzali e Siciliani ), cioè la ripetizione di parole che sembrano un compiacimento di enigmista più che di scrittore ( ad esempio amore significa a morte, dice in una canzone per indicare i tristi effetti mortali cui può portare la passione amorosa ). Qui Guittone è legato al gusto del tempo, che intendeva la poesia soprattutto come artificio stilistico, secondo la pratica di quei Provenzali che erano giunti a una sorta di linguaggio ermetico ( il “trobar clus” cioè il poetare difficile ) e che Guittone voleva emulare. 2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE I poeti toscani non vivevano in una corte, ma ciascuno nella propria città, nei liberi comuni della Toscana, la cui vita in questa epoca è straordinariamente viva e intensa, complicata da lotte, spesso sanguinose fra le fazioni, all’interno del singolo comune e tra città e città. C’è inoltre, in questa epoca, lo slancio costruttivo della borghesia comunale, che acquista sempre più un deciso predominio nella vita dello stato. Essa è attratta dallo splendore del costume cavalleresco, proprio di quell’antica classe egemonica, la nobiltà, che essa intende sostituire. E’ l’individualismo di chi si afferma nella società e nella vita non in nome di ereditari privilegi di casta, ma per le proprie capacità e qualità personali; è il realismo di chi non cerca, come la nobiltà, di fermare il tempo e la gerarchia sociale esistente, chiudendosi in un aristocratico sogno di vita bella, ma di chi, mercante o imprenditore, con la realtà deve fare continuamente i conti e valutarla concretamente per trasformarla. Questa situazione si riflette nella poesia toscana. Essa continua il tema dell’amor cortese, però sviluppa sempre più decisamente l’affermazione che cortesia e nobiltà non sono eredità 3 La citazione è tratta da “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli 13 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com di sangue o di stirpe, ma conquista individuale; inoltre continua, conseguentemente, quel processo di spiritualizzazione dell’amore, e diremmo, di moralizzazione, per cui esso diviene spinta alla conquista della virtù, non tanto cavalleresca, quanto decisamente morale. Questo motivo, attraverso Guittone, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Bonagiunta Orbicciani, prepara la nuova tematica poetica, amorosa spirituale, degli Stilnovisti. La poesia toscana, infine, accoglie nuovi temi, morali e politici, riflettendo gli ideali, le lotte, le accese passioni della vita comunale. Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. Alcuni elementi di questo sonetto hanno fatto parlare di un guinizzellismo di Davanzati, cioè di affinità con lo Stilnovo. Si tratta in particolare dei seguenti: l’immagine della luce ( vv.1 “La splendiente luce, quando appare …” ) che, nella similitudine, corrisponde alla donna, di cui sono ribaditi lo splendore ( v.4 ) e la luminosità ( lumera, v.11 ); gli effetti, estesi a tutti gli uomini e non solo al poeta, del semplice “guardare”, qui limitati però ad effetti psicologici ( v.5 fece alegrare; v.7 lo fa in gioia ritornare ): La scelta del concetto e del termine alegrare ( di scarsa frequentazione stilnovistica ), la metafora imperadrice di ogni costumanza ( v.10 ), e il motivo dei pittori che prendono la donna a modello per la sua bellezza ( confinata insomma all’aspetto esteriore ) dimostrano almeno un forte influsso - anche su questo componimento - della letteratura prestilnovistica. Ma quello che è fondamentale è il fatto che le immagini e i motivi precedentemente menzionati ( alcuni dei quali pure attinti dall’area stilnovistica ) mancano delle implicazioni culturali, morali e filosofiche, proprie della rappresentazione dell’amore - come vedremo degli Stilnovisti. Elenchiamo ora le metafore e le immagini usate in questo sonetto: v.1 la splendiente luce: la donna è luce. vv.4-8-13 ‘l suo splendore, il suo valore, di sì bella cera: gli attributi fisici della donna. v.7 lo fa in gioia ritornare: la donna è salvifica. v.9 E l’altre donne fan di lei bandiera; v.12 e li pintor la miran per usanza: la donna è modello sia delle altre donne sia degli uomini, in particolare i pittori che la ammirano per ritrarre la sua bellezza. 2.4 PAROLE ADOPERATE Prendiamo in considerazione componimenti di Guittone d’Arezzo, il più importante poeta dei rimatori toscani di transizione. Precisamente analizzeremo dalle Rime le canzoni da I a L ed i sonetti da I a CCXLVI Anche in questo caso procederemo a stilare un elenco delle parole più usate e a costruire un grafico esplicativo. Questa è la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente. 14 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com % RIMATORI TOSCANI 1 Amor(e), amoroso/a 2 Cor(e) 3 Gioia, gioi, gioire … 4 Donna/e 5 Morte, morir(e) … 6 Virtute 7 Valor(e) 8 Bellezza, Bel, Bella/e 9 Sol(e) 10 Vita X 1000 0,71 0,39 0,38 0,32 0,31 0,20 0,18 0,17 0,15 0,13 7,1 3,9 3,8 3,2 3,1 2,0 1,8 1,7 1,5 1,3 Grafico esplicativo: 7,1 3,9 Morte, morir(e) … Donna/e Gioia, gioi, gioire … Cor(e) Amor(e), amoroso/a 2 1,8 1,7 1,5 1,3 Vita 3,1 Sol(e) 3,2 Bellezza, bel, bella 3,8 Valor(e) 10 8 6 4 2 0 Virtute X 1000 FREQUENZE GUITTONE D'AREZZO È evidente che le parole sono, più o meno, le stesse dei poeti siciliani; anzi, le prime quattro parole: amore – cuore – gioia – donna sono poste nella stessa posizione delle due classifiche. Il che dimostra la stretta analogia tra rimatori siciliani e poeti toscani di transizione. 15 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com LE POESIE DEL DOLCE STIL NOVO 3.1 COMPONIMENTI METRICI I componimenti metrici adoperati dai poeti del Dolce stil nuovo sono, in sostanza, in medesimi dei rimatori toscani, e cioè: canzone, sonetto – con le sue varianti – e ballata. Prendiamo in esame tre componimenti di Guido Guinizzelli, quattro di Guido Cavalcanti e due di Cino da Pistoia. “Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli è una canzone di sei stanze di dieci versi ciascuna secondo lo schema: ABAB ( fronte ), cDcEdE ( sirma ). La fronte è composta di due piedi uguali e presenta tutti endecasillabi; la sirma alterna endecasillabi e settenari. Da rilevare la presenza della tecnica delle coblas capfinidas ( tranne che tra V e VI stanza ) e la frequenza di rime che si ripetono in stanze successive ( ad esempio -ore in I, II, IV; -ura in I, II, III; ecc. ), di rime identiche ( ad esempio sole / sole ai versi 5-7; cielo / cielo ai versi 41-43; poi ancora ai versi 3-38, 4-18-25, 5-7-42 ). Si noti la rima siciliana ai versi 18-20 natura / ‘nnamora. “Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo” del Guinizzelli è un sonetto secondo lo schema ABAB, ABAB, CDE, CDE. Notiamo le rime siciliane ai versi 2-4 ancide / merzede, e ai versi 6-8 divide / vede. “Dolente lasso, già non m’asecuro” sempre del Guinizzelli, è un sonetto secondo lo stesso schema del precedente. Come ci fa notare il Contini <<la rima muro / moro è tipicamente guittoniana>>.4 “Io non pensava che lo cor giammai” di Guido Cavalcanti è una canzone secondo lo schema ABBC, BAAC nella fronte; DeD, FeF nella sirma. Notiamo la differenza di schema di rima nei piedi. “Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira” del Cavalcanti è un sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC. Sempre il Contini ci fa notare che la <<comunanza di due rime, una nelle quartine (-are ) e una nelle terzine ( -ute ), e anzi di ben quattro parole in rima, una per ciascuna quartina o terzina ( are, pare, vertute, salute ), rende evidente l’allusione a Guinizzelli ( “Io voglio del ver la mia donna laudare ), anzi la “concorrenza” nella loda: l’analogia naturale, sufficiente per la donna del primo Guido” non lo è più per la donna cavalcantiana, per intendere la 4 La citazione di G.Contini è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 554 16 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com quale “ormai è affermata l’inopia di ogni ordinario procedimento conoscitivo, che sia di qua dalla rivelazione ( “salute” )>> .5 “Voi che per li occhi mi passaste ‘l core” sempre di Cavalcanti è un sonetto secondo lo schema ABAB, ABAB, CDE, CDE. “Perch’i’no spero di tornar giammai” sempre del Cavalcanti è una ballata mezzana secondo lo schema ABAB nella fronte e Bccddx nella sirma. La ripresa ( vv.1-6 ) è uguale alla sirma, cioè composta da un endecasillabo, due settenari a rima baciata e il verso “concatenatio” ( Wyyzzx ). Notiamo la rima siciliana voi / colui ai versi 34-35. Le stanze terminano tutte con la stessa rima in -ore ( v.6 onore; v.16 dolore; V.26 core; v.36 Amore; v.46 valore ). “Tutto mi salva il dolce salutare” di Cino da Pistoia è un sonetto secondo lo schema ABAB, ABBA, CDC, DCD. “La dolce vista e’l bel sguardo soave” dello stesso autore della precedente, è una canzone di settenari e endecasillabi; ogni stanza è composta di una fronte ABAB e di una sirma BccdD. Il congedo ( vv.46-50 ) è uguale alla sirma. Vi sono riprese e ripetizioni ( anche tra stanze capfinidas, vv.18-19 e vv.36-37 ). Le rime presentano tre coppie di rime baciate BBccdD, alcune rime sono ricorrenti ( -ore I, II stanze ), molte producono fra loro assonanza o consonanza ( nella prima stanza: -ore, -orte; nella seconda: -asso, -ardo; nella quarta e nella sesta: -anto, -ento; nella seconda e nella quarta: -ute, -uto; ecc. ), vi sono frequenti rime o assonanze interne o significative ripetizioni foniche ( vi è ad esempio una fitta rispondenza tra amore e morte quasi sempre vicini e spesso associati a termini come dolore, conforto, core, forte, porto, ecc.: si vedano i versi 6-24 come riscontro pratico di queste note metriche ). 3.2 TIPO DI SINTASSI Con il “dolce stil novo” la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase culminante in Italia. I poeti esponenti di questo nuovo nucleo poetico sono i fiorentini Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Guido Guinizzelli, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi e il pistoiese Gino De’ Sigibuldi. Essi si staccano nettamente dalla poetica dei rimatori toscani e dalla precedente tradizione siciliana e provenzale. Ciò che li distingue sul piano formale è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici tipici di Guittone e la scelta di un ideale estetico al quale ispirarsi per rendere il poetare più “dolce”, raffinato, musicale, morbido, sfumato, capace di dare voce più adeguata di quanto non avessero saputo fare i poeti precedenti, all’interiorità del sentimento. La dolcezza dello stile, insomma, è un fatto formale che non pregiudica la varietà dei temi e degli stati d’animo: come dice Marti <<non solo “la sublimazione, l’idealizzazione, la lode 5 La citazione di G.Contini è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p.560 17 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com angelicata possono essere espresse con la tecnica della dolcezza, ma anche la malinconia, il dolore, il senso della morte, l’angoscia e la “paura” d’amore”>>6 La particolare sintassi di questa corrente può quindi comprendere le diverse maniere individuali e i diversi temi prediletti da ciascun componente del gruppo ( la malinconia di Cino, l’angoscia e lo sbigottimento di Guido Cavalcanti, ad esempio ). Per meglio renderci conto in che cosa consiste questo stile “dolce”, analizziamo il testo più celebre di Guinizzelli, già preso in esame nel precedente paragrafo, la canzone “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Essa si può considerare il vero e proprio “manifesto” della nuova tendenza poetica. Seguiremo il seguente schema di analisi, che può essere utilizzato in tutti gli altri testi. Abbiamo vari livelli di analisi: livello fonico: se vi sono suoni aspri. livello metrico: come sono collegate le varie stanze; se ci sono rime ripetute nelle varie stanze. livello lessicale: se ci sono parole-chiave; quale posizione occupano all’interno del verso; se sono presenti latinismi e/o provenzalismi. livello retorico: se ci sono metafore, similitudini, analogie, allitterazioni, assonanze. livello sintattico: se la sintassi usata è semplice o complessa; se c’è una corrispondenza tra il tessuto sintattico e le argomentazioni adottate di carattere dottrinale e filosofico. livello ritmico: se vi sono enjambements. Nella canzone del Guinizzelli, per quanto concerne il livello fonico, possiamo affermare che sono praticamente assenti suoni aspri e , in particolare, scontri di consonanti. Per quanto riguarda il livello metrico non si trovano rime rare o difficili, cioè con combinazioni di suoni rari e poco comuni, quindi molto difficili da trovare; poco presenti sono anche rime che mostrino particolari artifici: vi sono solo due rime univoche, vv.5-7 sole / sole, vv.41-43 cielo / cielo, ed una rima siciliana ai versi 18-20 natura / ‘nnamora. Compare solo episodicamente la tecnica delle “coblas capfinidas”: vv.10-11 foco / foco; vv.20-21 ‘nnamora / Amor; vv.4041 splendore / splende. A livello lessicale non vi sono termini particolarmente rari e ricercati, ma il lessico è in genere piano e comune. Sono pochi i francesismi e i provenzalismi: rempaira, clar (che può essere anche un latinismo ), aigua, coraggio, semblo, semblanti, sembianza, amanza. Per ciò che concerne il livello sintattico, osserviamo un andamento fluido e piano, senza dure inversioni ( con qualche eccezione: la posposizione del soggetto natura al verso 4, del ferro in la minera al verso 30, ai versi 45-50 ). A livello ritmico notiamo l’assenza di spezzature violente; pause forti all’interno di un verso ( punti fermi, punti e virgole ); sono rari gli enjambements dalla forte inarcatura ( vv.2627 foco / caldo, vv.48-49 splende / del suo gentil ). A livello retorico non vi è presenza di numerose figure retoriche; qui sono rare e la più frequente è il paragone. 6 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 116 18 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE I temi e le metafore presenti negli stilnovisti fanno parte della tradizione di tutta la lirica d'amore, a cui comunque vengono dati significato e valore diversi, perché utilizzati in modo nuovo per diverse finalità e perché inseriti in un diverso contesto. E’ il caso della metafora della donna-angelo, frequente anche nei poeti cortesi: nei testi degli stilnovisti l’immagine si carica di nuovi e più profondi significati ( la donna è per l’uomo un tramite verso l’Assoluto, è figura del sovrannaturale ). Ma l’elenco degli elementi tradizionali presenti negli stilnovisti non si esaurisce al caso, sicuramente il più clamoroso, della donna-angelo, anzi è lungo: l’iconografia tradizionale dell’amore, rappresentato ad esempio come arciere soriano o infante cieco; il manifestarsi dell’amore attraverso la vista della donna; l’amore come servizio; la subordinazione dell’amante all’amata; tutta una serie di metafore ( amore che arde, il poeta che vive nel fuoco e ne è consumato, la stella polare che guida l’amante …) e di temi ( il gabbo, la donnaschermo, l’amore non corrisposto … ), alcuni bisticci ( amore / amaro, Salute / saluto, entrambi di origine provenzale ) e via dicendo. Descriviamo ora i tratti principali nei quali si nota il grande rinnovamento del Dolce stil novo nei confronti della lirica d’amore precedente. Per quanto riguarda la donna, essa sembra quasi smaterializzarsi, non possedere più attributi fisici e non essere più “fonte di eccitanti fantasie” nel poeta-amante. Non è più chiamata a colloquiare con il poeta; al colloquio con la donna si sostituisce il colloquio con terze persone sulle qualità e virtù della donna. La lode della virtù della donna non riguarda più virtù mondane, ma virtù spirituali. Quella della donna diventa così un’immagine interiorizzata, una sintesi di ideali all’interno dell’anima del poeta amante. Da qui scaturisce il concetto della donna-angelo, che non è solo una decorazione superficiale dei componimenti ( la donna è bella come un angelo ), ma diviene nodo concettuale profondo per cui la donna opera beneficamente come un angelo, non solo sul poeta, ma su tutti coloro che la accostano. Anche il concetto di amore muta profondamente. Come sostiene il Marti <<l’amore diviene “tensione verso un principio assoluto e trascendente, nella quale la bellezza femminile opera da stimolo verso l’attuarsi della pienezza della vita interiore in tutta la sua complessa articolazione”>>.7 Quindi, in Dante “un processo di conoscenza porta verso l’ineffabile rivelazione trascendente dell’Assoluto”. In Cavalcanti “ gli accende l’ansia dell’Assoluto sentito come inattingibile approdo”. In Cino Da Pistoia “gli permette di cogliere il senso dell’assoluto nei modi e nei moti della mente e del cuore per la ricerca della verità nell’interno dell’uomo”. I componimenti, quindi, esprimono l’estatica contemplazione e lode delle virtù della donna: li potremmo definire “componimenti di lode” che, sia pure con qualche differenza, sono comuni a tutti i principali componenti del gruppo e, si può dire, costituiscono una modalità tipica della poesia stilnovistica. 7 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 119 19 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Una modalità complementare alla precedente è quella in cui la medesima concezione della donna e la medesima nozione di amore, suscitano nel poeta un sentimento di angoscia, la percezione della propria inadeguatezza e inferiorità. E’, quest’ultima, una caratteristica del Cavalcanti, poeta dello sbigottimento, della lacerazione interiore, del senso della morte. Per quanto riguarda, invece, la nozione tradizionale di nobiltà, notiamo che l’ideale stilnovistico non è più la nobiltà di sangue secondo l’ottica cortese, ma “nobiltà come ingentilimento”, come esito di un processo interiore di raffinamento, che coincide strettamente con la costante dedizione ad Amore. La critica ha avuto giudizi discordanti sulla questione del rapporto che hanno gli stilnovisti con un gruppo di poeti tardo provenzali ( Guiraut Riquier, Guilhelm De Montanhagol, Sordello e Lanfranco Cigala ) e qualche toscano ( Monte Andrea, Chiaro Davanzati, ad esempio ). L’opinione del Sapegno è su una sostanziale continuità, oltre che di temi e stilemi, anche di valori e ideali: la concezione dell’amore sarebbe radicata in quella cortese; le innovazioni del gruppo risiederebbero nella tecnica più affinata, in un gusto più elevato e in un “approfondimento e raffinamento dell’indagine psicologica”. 8 Vi sono, invece, assertori del carattere profondamente innovativo dello stilnovismo, sia dal punto di vista più prettamente formale dei componimenti, sia da quello culturale. Consideriamo la concezione della donna in Guinizzelli e in particolare il concetto di donna-angelo secondo l’interpretazione del Marti: il Guinizzelli pone l’immagine della donna in un’ordinata visione dell’universo facendo riferimento all’analogia dell’operare degli angeli, con tesi del tutto lontane dalla poetica cortese, nella quale, invece, l’immagine angelica resta estetica e decorativa. 9 Con questa intuizione poetica, Guinizzelli risolse l’urgente problema del rapporto fra sentimento amoroso e legge morale, tra poetica ed etica. La donna angelo stilnovistica incide nel vivo della poetica tradizionale. Con Guinizzelli si inaugura una nuova giovinezza poetica permeata di una più fresca spiritualità. 3.4 PAROLE ADOPERATE Prendiamo in esame, per quanto riguarda le parole adoperate dagli stilnovisti, i seguenti autori con le relative opere: Guido Guinizzelli: • Tegno de foll’impres’a lo ver dire • Madonna il fino amor ched eo vi porto • Donna, l’amor mi sforza • Al cor gentil rempaira sempre amore 8 9 Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973, p. 21 La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, pp. 118-120 20 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • • • • • • • • • • • • • • Lo fin pregi avanzato Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo Vedut’ho la lucente stella diana Dolente, lasso, già non m’asecuro Ch’eo cor avesse, mi potea laudare Io voglio del ver la mia donna laudare Lamentomi di mia disaventura Gentil donzella, di pregio nomata Madonna mia, quel di’ ch’Amor consente Sì sono angostioso e pien di doglia Pur a pensar mi par gran meraviglia Fra l’altre pene maggio credo sia Chi vedesse a Lucia un var capuzzo Volvol te levi, vecchia rabbiosa Omo ch’è saggio non corre leggero O caro padre meo, de vostra laude Guido Cavalcanti: • Fresca rosa novella • Biltà di donna e di saccente core • Avete ‘n voi li fior’ e la verdura • Chi è questa che ven ch’ogn’om la mira • Li miei foll’occhi, che prima guardaro • Deh, spiriti miei, quando mi vedete • L’anima mia vilment’è sbigottita • Tu m’hai sì piena di dolor la mente • Io non pensava che lo cor giammai • Novella doglia m’è nel cor venuta • Poi che di doglia cor conven ch’i porti • Perché non fuoro a me gli occhi dispenti • Voi che per li occhi mi passaste ‘l core • Se m’ha del tutto obliato Merzede • Se Merzè fosse amica a’ miei disiri • A me stesso di me pietate vene • S’io prego questa donna che Pietate • Non sian le triste penne sbigottite • Io prego voi che di dolor parlate • O tu che porti nelli occhi sovente • O donna mia, non vedestù colui • Veder poteste, quando v’inscontrai • Io vidi li occhi dove Amor si mise 21 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Un amoroso sguardo spiritale Posso degli occhi miei novelle dire Veggio negli occhi de la donna mia Donna me prega, per ch’eo voglio dire Per li occhi fere un spirito sottile Una giovane donna di Tolosa Era in penser d’Amor quand’i trovai Gli occhi di quella gentil foresotta Come m’invita lo meo cor d’amare Io temo che la mia disaventura La forte e nova mia disaventura Perch’i’ no spero di tornar giammai Certe mie rime a te mandar vogliendo Vedeste, a mio parere, onne valore S’io fosse quelli che d’Amor fu degno Se vedi Amore, assai ti priego, Dante Dante, un sospiro messagger del core I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte Certo non è de lo ‘ntelletto accolto Gianni, quel Guido saluta Ciascuna fresca e dolce fontanella Se non ti caggia la tua santalena Cavelli avea biondetti e ricciutelli Da più a uno fece un sollegismo Una figura della donna mia La bella donna dove Amor si mostra Di vil matera mi conven parlare Guata, Manetto, quella scrignutuzza Novelle ti so dire, odi, Nerone Lapo Gianni: • Eo sono Amor che per mia libertate • Amore, io non son degno ricordare • Gentil donna cortese e di bonare • Angelica figura novamente • Dolc’è ‘l penser che mi notrica ‘l core • Donna, se ‘l prego de la mente mia • Se tu martoriata mia soffrenza • Amore i’ prego la tua nobeltate • Angioletta in sembianza • Novella grazia a la novella gioia 22 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • • • • • Questa rosa novella Ballata, poi che ti compose Amore O Morte, della vita privatrice Amor, nova ed antica vanitate Nel vostro viso angelico amoroso Sì come i Magi a guida de la stella Amor, eo chero mia donna in domino Gianni Alfani: • Guato una donna dov’io la scontrai • Donne, la donna mia ha d’un disdegno • Quanto più mi disdegni più mi piaci • Ballattetta dolente • De la mia donna vo’ cantar con voi • Se quella donna ched i’ tegno a mente • Guido, quel Gianni ch’a te fu l’atrieri Dino Frescobaldi: • Un sol penser che mi ven ne la mente • Poscia che dir conviemmi ciò ch’io sento • Voi che piangete nello stato amaro • Per gir verso verso la spera la finice • Morte avversara, poich’io son contento • Donna, dagli occhi tuoi par che si mova • Amor, se tu se’ vago di costei • Tanta è l’angoscia che nel cor mi trovo • Un’alta stella di nova bellezza • Quest’è la giovanetta ch’Amor guida • Poscia ch’io veggio l’anima partita • Al vostro dir, che d’amor mi favella • Giovane, che così leggiadramente • Questa altissima stella, che si vede • Per tanto pianger quanto li occhi fanno • No spero di trovar giammai pietate • In quella parte ove luce la stella • La foga di quell’arco, che s’aperse • Deh, giovanetta, de’ begli occhi tuoi • Quant’e’ nel meo lamentar sento doglia • L’alma mea trist’è seguitando ‘l core Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente. 23 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com % DOLCE STIL NOVO 1 Amor(e), amoroso/a 2 Cor(e) 3 Morte, morir(e) … 4 Donna/e 5 Occhi 6 Bellezza, bel, bella 7 Spirto, spirito 8 Gentile 9 Valor(e) 10 Virtu(te) X 1000 1,18 0,90 0,64 0,60 0,40 0,38 0,34 0,31 0,29 0,27 11,8 9,0 6,4 6,0 4,0 3,8 3,4 3,1 2,9 2,7 Grafico esplicativo: 11,8 4,0 3,8 3,4 3,1 2,9 2,7 Gentile Valor(e) Virtute Morte, morir(e) … Cor(e) Amor(e), amoroso/a 6,0 Spirto, spirito 6,4 Bellezza, bel, bella 9,0 Occhi 20 15 10 5 0 Donna/e X 1000 FREQUENZE STILNOVISTI Rispetto alla precedente lirica d’amore si notano – a livello lessicale – alcune differenze, pur in una situazione di forte analogia, data dal fatto che i termini amore – core – donna occupano comunque i primi posti nella classifica. Le novità sono tuttavia evidenti: 1) Scompare, tra i primi dieci, il termine gioi(a), che era tipico della poesia siculo – toscana di stretta derivazione provenzale (frequenza 1,2 x 1000) 2) acquistano peso i termini occhi (4x1000), spir(i)to (3,4 x 1000) e gentile (3,1 x 1000), che costituiscono elementi basilari della nuova poetica stilnovista, nella quale assistiamo ad una spiritualizzazione dell’Amore, ad una scarsa descrizione fisica della donna (ridotta generalmente ai soli occhi) e infine alla netta corrispondenza tra Amore e cuor gentile. 24 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com LA POESIA DI DANTE (Le Rime) 4.1 COMPONIMENTI METRICI Le Rime di Dante Alighieri comprendono 80 componimenti, di cui 54 autentici e 26 dubbi. I 54 testi autentici contengono, dal punto di vista metrico, 33 sonetti, 13 canzoni, 5 ballate, una sestina, una sestina doppia ed un sonetto doppio. Sonetti, ballate e canzoni erano già presenti nelle liriche dei precedenti rimatori. La sestina è, invece, una novità. Essa si compone di sei strofe, ciascuna formata da sei endecasillabi e costruita sulle parole – rima della strofa precedente, secondo questa regola: ogni stanza assume alternativamente l’ultima rima e la prima della stanza precedente, poi la penultima e la seconda, poi la terzultima e la terza. Lo schema risulta il seguente: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA. Il congedo, di tre versi, si forma sulle prime parole – rima delle prime tre stanze; le tre parole – rima che mancano sono recuperate all’interno dei versi procedendo a ritroso; in pratica lo schema del congedo è il seguente: A(B)F(D)C(E). Analoga la struttura metrica della sestina doppia. La prima stanza ha il seguente schema: ABAACAADDAEE; l’ordine delle parole – rima nelle altre stanze è stabilito sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così via, sino all’esaurimento delle combinazioni (ad es. la seconda stanza è EAEEBEECCEDD), Il congedo ha il seguente schema: AEDDCD. Quanto al sonetto doppio esso ha il seguente schema metrico: AaBBbA, AaBBbA, CDdC, DCcD (Abbiamo l’introduzione di un settenario dopo il 1° e 3° verso delle quartine e dopo il 2° verso delle terzine). Prendiamo ora in esame alcuni componimenti tratti dalle Rime per analizzarne la metrica. Analizziamo “Tre donne”: è una canzone di sei stanze; ogni stanza ha per piedi due quartine identiche, AbbC, mentre nella sirma, collegata alla fronte ( CddEeFEfGG ), il Carducci riconosceva un altro “quartetto” e due “terzetti”, tuttavia di non omogenea struttura. Il primo congedo ha la consueta identità di struttura con la sirma, e perciò la sua prima rima è irrelata. Molto diverso il secondo congedo ( EDeFFGG ), dove irrelata è invece la seconda rima. La notevole divergenza nello schema e la mancanza in vari codici fanno pensare che, secondo un’abitudine già ovvia nei trovatori, quest’altro sia un’aggiunta ( forse non di molto posteriore ). “Per una ghirlandetta” è una ballata per musica, composta da una ripresa di tre settenari ( schema abc ) seguita da tre strofe, ciascuna di quattro novenari e tre settenari ( schema: DEDEebc ). “Deh, Violetta, che in ombra d’Amore” è una ballata “grande”, per la ripresa di quattro versi ( ABBA ) endecasillabi. Segue poi una sola strofa ( Cde, Dce - mutazioni - e EFFA volta ) di endecasillabi e settenari. “Un dì si venne a me Malinconia” è un sonetto di metro ABBA, ABBA, CDC, DCD. “Così nel mio parlar voglio esser aspro” è una canzone di cinque stanze, ciascuna delle quali ha tredici versi su cinque rime. Lo schema è il seguente: AbbC, AbbC, CCDdEE. Ne risulta che dal quinto verso in avanti si hanno solo rime baciate, cosa che contribuisce al ritmo martellante, incalzante del componimento. La rima è notevole anche per la presenza di nessi 25 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com consonantici aspri: -tr ( petra, impetra, arretra, faretra; squatra, atra, latra, latra ); -rz ( scorza, forza, ferza, terza, scherza, sferza ); -spr ; -rm; -zz; -rs; -lz; -rr; -nd; -nc; ecc. Vi sono rime rare e difficili ( fatte con parole scarsamente attestate, almeno in rima: è più facile , infatti, far rimare parole con terminazioni frequenti - cuore, amore, dolore - che parole con terminazioni rare nel lessico italiano; così è per ferza, terza, scherza, sferza ai versi 6768-71-72, o per squatra , atra, latra, latra ai versi 54-55-58-59 ). Vi è una rima equivoca ( latra / latra ai versi 58-59: il primo è un sostantivo, “ladra”, il secondo voce verbale da “latrare” ). Vi è la rima derivativa ( ferza, sferza ai versi 67-72, dove la voce verbale “sferza” è composta dal sostantivo “ferza”; ma forse lo è anche petra / impetra ai versi 2-3, se - come rileva il Contini - <<“impetra” non vuol dire “chiedere e ottenere”, ma “includere in se’ quasi in pietra” )>>10. “Amor, tu vedi ben che questa donna” è una sestina doppia ( ABA, ACA; ADD, AEE ) con congedo AEDDCD. Ha sostanzialmente la struttura di una stanza di canzone di tutti endecasillabi, con distinzione di fronte e sirma e rispondenza di rime ( le due parole-rima che compaiono due volte sono in rima baciata ). L’ordine delle parole-rima nelle stanze successive si stabilisce sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così via, sino al compimento, nelle cinque stanze, delle possibili combinazioni ( la seconda stanza è dunque EAE, EBE; ECC, EDD; ecc. ). Il congedo segue ordinatamente la disposizione delle prime parole-rima di ciascuna stanza, con raddoppiamento di quella centrale. 4.2 TIPO DI SINTASSI Le “Rime”, e cioè quelle poesie di Dante che non sono state raccolte dal poeta nella “Vita nuova” o nel “Convivio”, ci consentono di seguire il vasto e complesso cammino percorso da Dante per arrivare all’ideale stilistico raffinato e aristocratico della “Vita nuova”, allo stile “comico”, cioè vario, articolato, complesso, finalizzato ad esprimere realisticamente tutta la vita dell’universo e dell’animo umano nei suoi molteplici aspetti, ora nobili, ora volgari, ora umili, ora alti, ora infimi, ora sublimi. In qualche caso sono visibili le tracce di un tirocinio stilistico siculo-guittoniano; altre volte si tratta di poesie leggere ( ballatelle o sonetti ) madrigalesche ed epigrammatiche, per donne i cui nomi, reali o convenzionali ( Fioretta, Violetta, Lisetta), sono stati variamente avvicinati o allontanati dalle famose descrizioni femminili della “Vita nuova”. Possiamo distinguere, in questa sorta di canzoniere dantesco, oltre alle rime giovanili dominate dall’ideale espressivo stilnovistico, e a quelle di corrispondenza, la tenzone con Forese Donati, e le rime “petrose”, caratterizzate, la prima, dal gusto della violenta deformazione caricaturale, le seconde, dal gusto di un poetare in rima aspra e difficile, sull’esempio dei più astrusi poeti provenzali. Vi sono infine le rime dottrinali, nutrite sì di 10 La citazione di G. Contini è tratta dalla premessa alla canzone nell’edizione delle Rime da lui curata, in “Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970. 26 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com pensiero e svolte secondo un solido schema dimostrativo, ma più spesso avvivate dall’ardore del sentimento e dell’idealità morale. Concludendo, le “Rime” sono una serie di tentativi, un procedere irrequieto del poeta in una continua e travagliata ricerca espressiva. 4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Come per l’analisi della sintassi, così nell’analisi delle metafore e degli stilemi più ricorrenti, è necessaria una suddivisione dell’esperienza poetica dantesca. La distinzione più comprensibile che si può fare è la seguente: le rime della lode, le rime petrose, quelle dottrinali, quelle allegoriche e, infine, quelle comiche. Ovviamente, quelle che riguardano più da vicino la nostra ricerca sono le rime della lode, perché è in esse che compare la tematica dell’amore. Queste ultime, a differenza delle seconde sopracitate, fanno parte dell’esperienza stilnovistica di Dante. Liberandosi dal Cavalcanti, Dante scopre una maniera più personale a cui più tardi attribuirà un grande valore di svolta. Sono le “nove rime”, lo “stilo delle loda”, che costituiranno poi il nucleo vitale della “Vita nuova”. All’amore doloroso, Dante sostituisce la lode disinteressata di Beatrice, la gentilissima della “Vita nuova”. Notiamo, quindi, il subentrare di un amore disinteressato, finalizzato ad appagare se stesso, rimpiazzando la logica dell’amore come reciprocità di servizio. Nelle sue radici cavalcantiane e guinizzelliane, è questo il culmine dell’esperienza stilnovistica. Dante aveva dedicato componimenti anche ad altre donne ( Fioretta, Violetta, ecc. più tardi reinterpretate come donne schermo, la cui funzione sarebbe stata quella di copertura del segreto d’amore per Beatrice ), ed aveva cantato Beatrice anche in modi più convenzionali, ma ad un certo punto dovette farsi chiara in lui la potenzialità simbolica dell’amore per Beatrice, che diviene allora il supremo, l’unico. Beatrice diventa la “beatrice”, colei che beatifica, cioè un miracolo, una creatura angelica non solo metaforicamente, ma proprio venuta di cielo in terra a miracol mostrare, dal cielo rimpianta e al cielo destinata a fare ritorno, dove il pensiero di Dante la contemplerà nell’ultimo sonetto della “Vita nuova”. Per quanto riguarda, invece, le rime petrose ( da Petra, senhal della donna cantata ), esse sono caratterizzate dallo stile aspro, nelle quali Dante abbandona l’immaginario stilnovistico e si riallaccia all’esperienza del “trobar clus” ( poetare difficile ) di Arnaut Daniel. Caratteristica generale delle petrose è una sorta di immobilità, di fisicità tematica per cui, al limite, in esse non compare ( né potrebbe ) lo svolgersi dinamico di una situazione. I “personaggi rituali” di questi componimenti sono tre: il poeta, la donna e Amore. Un’ultima caratteristica che segnaliamo per ciò che riguarda queste poesie, è il realismo innanzitutto linguistico, assai più che descrittivo-situazionale. Il Contini scrive: <<le rime incluse nella Vita Nuova, qualunque ne fosse l’ordine primitivo ( che sarebbe ben imprudente identificare con la consecuzione attuata nel libro ), si tengono strette allo stilnovismo guinizzelliano - cavalcantiano, combinando la fenomenologia amorosa, per così dire, ottimistica del fondatore - la donna come apparizione miracolosa, sembianza angelica dispensatrice di salute ( qui Dante innesta l’identità salute - salvezza ) e 27 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com tramite alla conoscenza celeste - con quella, che altrettanto approssimativamente si può dire pessimistica, del Cavalcanti - l’essere amato come trascendente rispetto all’amante e irraggiungibile, la qualità dolorosa e ‘paurosa’ della passione ->>.11 La critica ha anche discusso la sacralità della figura di Beatrice: per alcuni l’amore per Beatrice e Beatrice stessa sono un mezzo per arrivare a Dio,12 e la Vita Nuova traccia un percorso verso Dio, nel quale Beatrice è la figura di Cristo; per altri Beatrice è il fine ultimo dell’amore di Dante, non è il tramite con Dio, ma è paragonata a Cristo, perché è colei che dona beatitudine, e quest’ultima è appagamento che non desidera altro.13 Estremamente sublimato e spiritualizzato, l’amore per Beatrice non si risolve però in misticismo. 4.4 PAROLE ADOPERATE Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate prendiamo in esame le Rime, e precisamente le 54 rime di sicura attribuzione. Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente ed il relativo grafico. % DANTE, LE RIME 1 Amor(e), amoroso/a 2 Donna/e 3 Bellezza, bel, bella 4 Cor(e) 5 Occhi 6 Morte, morir(e) … 7 Mente 8 Gentile, Dolce(zza) 9 Sol(e), Pietra 10 Luce X 1000 0,88 0,74 0,58 0,45 0,38 0,34 0,27 0,22 0,19 0,18 8,8 7,4 5,8 4,5 3,8 3,4 2,7 2,2 1,9 1,8 8,8 7,4 5,8 2,7 2,2 1,9 1,8 Luce Occhi Cor(e) Bellezza, bel, bella Donna/e Amor(e), amoroso/a 3,4 Sol(e), Pietra 3,8 Gentile, Dolce(zza) 4,5 Mente 10 8 6 4 2 0 Morte … Tempo X 1000 FREQUENZE DANTE Si nota che le parole adoperate da Dante, pur con qualche variazione, risultano molto simili a quelle usate dagli stilnovisti, di cui Dante fece parte, e dei quali sono mantenuti significativi termini, quali occhi (3,8 x 1000) e gentile (2,2 x 1000) 11 G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970, p. 302. La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 152. 13 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p.152. 12 28 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (Canzoniere) 5.1 COMPONIMENTI METRICI Il Canzoniere di Petrarca si compone di 366 poesie, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Abbiamo già parlato delle canzoni, dei sonetti, delle ballate e delle sestine. La novità in Petrarca è costituita dal madrigale. I madrigali sono componimenti brevi, costituiti da due o tre strofe di tre endecasillabi ciascuna, seguite da una o due coppie di endecasillabi, generalmente a rima bociata. I quattro madrigali di Petrarca hanno questi schemi metrici: ABA BCB CC; ABA CBC DEDE; ABC ABC DD; ABB ACC CDD. Prendiamo adesso in esame alcuni componimenti tratti dal Canzoniere. “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” ( I ) è un sonetto di schema metrico ABBA, ABBA, CDE, CDE. La bipartizione tra quartine e terzine, tra invocazione speranzosa di pietà e ripiegamento sulla severa condanna di sè, è segnata anche dalle rime: nelle quartine si hanno tutte rime con sillaba aperta, -ono, -ore, cioè con rime vocaliche; nelle terzine, invece, con sillaba chiusa, -utto, -ente con scontro di consonanti. Al verso 4 si noti la cesura; gli enjambements sono rari, poiché ognuno di questi versi può rimanere a sé, improntato sul medesimo equilibrio. “Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e ‘l anno” ( LXI ) è un sonetto di schema metrico ABBA, ABBA, CDC, DCD. Anche in questo sonetto sono rari gli enjambements; si noti la coordinazione per polisindeto, rappresentata dall’anafora in e nei versi 1-2-3-7-11. “Padre del ciel, dopo i perduti giorni” ( LXII ) è un sonetto di schema metrico ABBA, ABBA, CDE, CDE. Vi sono solo tre enjambements ai versi 5-9-10. “Chiare, fresche e dolci acque” ( CXXVI ) è una canzone di schema metrico abCabCcdeeDfF. Ogni stanza è formata dalla fronte, a sua volta divisa in due piedi, e dalla sirma, divisa in due volte. 5.2 TIPO DI SINTASSI Il Canzoniere, insieme ai Trionfi, è l’unica opera di Petrarca scritta in volgare. Alla base di quest’opera vi è un’esperienza reale e vissuta dal poeta: l’amore per Laura. Non è una vera e propria esperienza vissuta – allorché ci troveremmo di fronte a un leggere moderno, romantico ( prodotto cioè da una stagione culturale che ha esaltato la poesia come trascrizione spontanea di sentimenti ) – ma è una trasfigurazione letteraria, come una costruzione ideale, esemplare, che segue determinati codici. 29 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com La poetica del Canzoniere è limpida, equilibrata, armoniosamente perfetta, dotata di una miracolosa fluidità musicale, nonostante non si possa definire così l’intricato universo petrarchiano. Per Petrarca la poesia non è esplorazione accanita dell’anima, non sfogo immediato del sentimento. I conflitti interiori non si gettano sulla pagina con la violenza scomposta con cui nascono nell’intimo, ma passano attraverso un filtro che li decanta e li purifica: la letteratura svolge questo ruolo. L’esigenza di chiarezza e decantazione, corre parallela alla cura della perfezione formale, al minuziosissimo e assiduo lavoro di lima che il poeta applica ai suoi versi, affinché non vi resti nulla di grezzo, di approssimativo o di scomposto. Potremmo dire che la poesia di Petrarca è retta da un “classicismo formale” che si manifesta come selezione ed idealizzazione del reale. Lo stile di Petrarca è stato definito “monolinguismo” ( al contrario del “plurilinguismo” dantesco ). Nessuna parola spicca mai, come intensa macchia di colore, nel tessuto del discorso: Petrarca tende a creare un’armonia di insieme in cui nessun particolare predomini. Come il poeta stesso afferma, il suo assiduo, infaticabile lavoro di lima sui testi, tende a far soavi e chiare le rime aspre e fosche. Nel termine aspre notiamo l’allusione al tono dantesco delle rime petrose. 5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE La materia quasi esclusiva del Canzoniere è l’amore del poeta per una donna, chiamata Laura, incontrata il Venerdì Santo in una chiesa di Avignone. La figura di Laura è, comunque, evanescente, vicina e insieme lontana, irraggiungibile; quasi un fantasma del cuore, viva nel sentimento e nell’immaginazione del suo poeta, ma mai definita da una sorta di concretezza. Vero protagonista dell’opera è dunque Petrarca, la sua anima tormentata. La “Laura trasfigurata nella poesia” diviene per il poeta l’anelito di felicità, una felicità terrena non effimera e caduca, la tensione verso una vita più bella. Per comprendere gli altri temi della poesia petrarchiana, analizziamo il sonetto “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”, una ricapitolazione e rivalutazione a posteriori della propria esperienza umana e letteraria. 1. Divaricazione temporale. Il sonetto propone, innanzitutto, una forte divaricazione temporale tra passato e presente, scandita lungo il testo dall’alternanza di verbi al presente ( v.1 ascoltate; v.4 sono; v.5 piango e ragiono; v.8 spero trovar ) e verbi al passato ( v.2 nudriva; v.4 era; v.10 fui ), ma sottolineata ed enfatizzata dall’antitesi del verso 4 ( quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono ), e soprattutto dall’or sì del verso 9. In una struttura metrico-ritmica, infatti, piuttosto regolare e persino monotona, il verso in questione spicca perché è l’unico ad essere accentato sulla quinta posizione ( mentre dominano accenti in quarta e sesta posizione negli altri versi più “regolari” ): questo fatto, e le ragioni sintattiche connesse, impongono, oltre ad una variazione di ritmo rispetto ai versi precedenti, una doppia pausa nella lettura che assolve, appunto, la funzione di dare enfasi al sintagma “or sì”. 30 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 2. Divaricazione dell’io. Questa divaricazione temporale determina, a sua volta, una divaricazione dell’io del poeta. Egli, in altri termini, sembra scindersi in un “io” che scrive e vive il presente e un “io” che è vissuto nel passato, caratterizzati da un diverso atteggiamento, ma soprattutto da una diversa consapevolezza. Al passato l’io del poeta era smarrito nel suo primo giovenile errore, nudriva ‘l core di sospiri, era in parte altr’uom da quel che è al presente, favola fu gran tempo, senza accorgersi o vergognarsi delle dicerie e del popol tutto. Al presente si sostituisce, in primo luogo, la consapevolezza (conoscer chiaramente) dell’errore, del vaneggiar, ma, in secondo luogo, anche il piangere, il ragionare (scrivere di questa passata condizione e riflettere sul presente ), la speranza di trovar pietà e perdono, l’intensa vergogna e il pentimento. 3. L’io protagonista dissimulato. La centralità dell’analisi del proprio io, della propria vicenda psicologica è, però, dapprima dissimulata in una sorta di gioco illusionistico. Il sonetto si apre con un Voi, che al lettore deve apparire un soggetto sospeso, in attesa di un predicato che non compare; in realtà si tratta di un vocativo; e il soggetto logico e grammaticale del periodo, che prende da solo le due quartine, compare soltanto al verso 8. Anzi, propriamente, non compare: è l’”io” sottinteso al verbo spero. Questa latitanza del soggetto sino all’ottavo verso è in parte compensata dalla presenza, in frasi dipendenti, di tre “io” ( vv.2-4-5 ) e di un “mio” al verso 3: il tutto produce appunto un “gioco illusionistico”, che turba il lettore ( come già rilevavano i commentatori antichi ), un gioco di insistenza, e al tempo stesso dissimulazione del protagonista logico e tematico delle quartine, del sonetto, e poi dell’intero Canzoniere. Nelle terzine, viceversa, l’io del poeta è subito messo in evidenza ( Ma ben veggio ): presenza, questa, addirittura enfatizzata ai versi 11-12 mediante allitterazione ( di ME Medesmo Meco MI vergogno ) e ripresa ( et del MIO vaneggiar ). A questo proposito, si noterà, però, che <<proprio l’insistenza sull’io mediante l’allitterazione simula un balbettamento>>14 (Contini ) che rinvia allo stato di incertezza, vergogna in cui si trova il poeta. 4. La vergogna e il persistere nell’errore. La divaricazione dell’io, protagonista del sonetto, tra passato e presente è solo parziale. Fondamentale è, a questo proposito, la limitazione del verso 4 ( quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono). Al presente il poeta prova vergogna e pentimento, ha raggiunto la chiara conoscenza razionale dell’errore e della più generale vanità delle cose e dei piaceri mondani, anche in questo caso sottolineata da “echi semantici e fonico-sillabici” ( Naferi ): “VArio … VAne … VAN … proVA … troVAR … VANeggiar …” in una sorta di citazione dissimulata di un luogo biblico: “vanitas vanitatum et omnia vanitas”. Ma questo fatto non comporta che il poeta se ne sia liberato: egli è ancora, almeno in parte, invischiato nell’errore, ancora adesso oscilla fra le vane speranze e il van dolore, piange, non solo per il pentimento, e ragiona. Persino il vaneggiar del verso 12 non è esclusivamente riferito al passato. A proposito delle interpretazioni di sull’identità di Laura, proponiamo l’analisi svolta da Ugo Bosco. <<Alcuni pretendono di scoprire ogni particolare su Laura donna; altri si illudono di aver raggiunta la certezza della sua non-esistenza storica, posizione dalla quale il Petrarca sarà 14 G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970, p. 580. 31 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com retrocesso al ruolo di puro cesellatore di parole e modulatore di ritmi, di puro “letterato”; altri ancora, in posizione intermedia, ammettendo la realtà storica della donna e dell’amore, evidenziano la simbolicità della loro rappresentazione: Laura, come Beatrice; donna “spirans” e insieme simbolo. Quest’ultima interpretazione è quella del De Sanctis, che vede Laura come “donna-dea”. Un altro critico, il Croce; rimanendo fedele alla precedente posizione, asserisce “Il suo Dio o la sua dea, il suo ethos, la sua politica appassionante si chiamò Laura … Nel profondo, nelle radici del suo essere, non si trova che quella speranza e disperazione d’amore … Ed è amore vero e proprio, nel quale egli richiede il ricambio e il possesso, e non l’ottiene e spera sempre…”. Il Croce vede l’amore del poeta, “centro, fulcro” della sua spiritualità. Comunque bisogna partire dal fatto che nella vita dell’uomo, l’amore per Laura non fu che un episodio che il poeta lirico vuole rappresentarci come centrale e determinante: un episodio trasformato in “mito”. Non si deve tentare di definire l’esistenza o no di Laura, ma l’essenza della più vasta speranza e disperazione, che al poeta piacque cantare sotto la specie della sua speranza e disperazione d’amore>>15. 5.4 PAROLE ADOPERATE Come già detto, per la redazione dell’elenco delle parole maggiormente ricorrenti analizzeremo il Canzoniere. Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente. PETRARCA, IL CANZONIERE 1 Amor(e), amoroso/a 2 Bellezza, bel, bella 3 Dolce(zza) 4 Cor(e) 5 Occhi 6 Sol(e) 7 Morte, morir(e) … 8 Ciel(o) 9 Tempo 10 Vita % 0,61 0,58 0,54 0,47 0,46 0,41 0,38 0,34 0,26 0,25 X 1000 6,1 5,8 5,4 4,7 4,6 4,1 3,8 3,4 2,6 2,5 Grafico esplicativo: 15 U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977, pp. 19 – 22 32 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 6,1 Occhi Cor(e) Bellezza, bel, bella Amor(e), amoroso/a 4,1 3,8 3,4 2,6 2,5 Vita 4,6 Tempo 4,7 Ciel(o) 5,4 Morte, morir(e) … 5,8 Dolce(zza) 10 8 6 4 2 0 Sol(e) X 1000 FREQUENZE PETRARCA È evidente anche in Petrarca un linguaggio che si rifà, nelle sue linee essenziali, a quello degli stilnovisti e di Dante. In effetti tra le dieci parole maggiormente usate dal poeta troviamo i consueti termini comuni a tutte le correnti, come amore e cuore. Accanto ad essi vi sono parole usate dagli esponenti del Dolce stil nuovo, come occhi (4,6 x 1000) o parole usate da Dante, come dolcezza (5,4 x 1000) e sole (4,1 x 1000). CONCLUSIONI Le conclusioni che possiamo trarre dall’analisi dei cinque grafici e delle occorrenze nei relativi autori (Siciliani, Guittone, Stilnovisti, Dante, Petrarca) sono abbastanza interessanti. È più che evidente la ricorrenza molto frequente di alcune parole, che diventano tematiche e rappresentative della lirica. Innanzitutto ci balza subito agli occhi che la parola che ricorre in tutte le correnti ed autori in percentuale sempre rilevante è amore. Nei Siciliani, soprattutto, essa ha la percentuale più alta. Nei Toscani, nel Dolce stil novo, in Dante e in Petrarca tende invece a diminuire. Un altro termine che ha una presenza ed una percentuale costante è cor, che si mantiene più o meno stabile in tutte le correnti, ma aumenta nel Dolce stil novo, anche se non in modo considerevole (9,0 x 1000 contro il 4 – 8 x 1000 delle altre correnti). Anche la parola bellezza compare, in percentuale tra l’1,7 x 1000 e il 5,8 x 1000, in tutte le correnti ed autori. La parola gioia, tipica dei Siciliani e dei Toscani, scompare – almeno tra le prime dieci – dagli stilnovisti in poi (1,2 x 1000 negli stilnovisti, 0,3 x 1000 in Dante e 0,2 x 1000 in Petrarca). Con gli stilnovisti fanno il loro ingresso – tra le prime dieci – parole come gentile, occhi, dolcezza (al 12° posto con il 2,0 x 1000) che aumentano notevolmente la loro presenza. Tali termini restano in Dante ed in Petrarca, i quali recepiscono sostanzialmente, in campo lessicale, le innovazioni portate dai rimatori del Dolce stil nuovo. I cambiamenti linguistici più rilevanti si notano, in effetti, dal Dolce stil nuovo in poi, poiché a partire dallo Stilnovo assistiamo all’omogeneità dei termini, all’uso completo delle parole che, in modo esemplare, esprimono l’idea di amore e di tutto ciò che vi ruota attorno. Per quanto riguarda la struttura dei componimenti, si può asserire che sin dall’inizio essi si articolano in sonetti, ballate, canzoni e canzonette. Le produzioni poetiche di Dante e Petrarca 33 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com dedicano tutta una loro opera alla raccolta di componimenti che per la maggior parte sono sonetti: le Rime, per quanto riguarda Dante, e il Canzoniere, per Petrarca. La sintassi, nella lirica d’amore, evolve gradualmente, seguendo un processo di affinamento, semplificazione, ingentilimento e purificazione. Anche se l’evoluzione è graduale, si nota comunque come nel Dolce stil novo ci sia il più netto distacco dalla tradizione precedente. Da qui in poi, Dante e Petrarca, saranno i più grandi rappresentanti di questo rinnovamento, anche se per Petrarca sarebbe necessario un discorso a parte, in quanto non si suol definirlo uno stilnovista, bensì il precursore dell’Umanesimo. Il motivo predominante della lirica d’amore, come facilmente si comprende, è l’amore. Da esso si diramano sottogruppi di immagini e metafore che, nonostante siano sempre le stesse in ogni movimento poetico, mutano aspetto e si caratterizzano in modo diverso. Queste metafore sono principalmente due: la figura della donna e il sentimento del poeta. Per entrambe bisognerebbe fare un discorso individuale in ogni corrente, ma i momenti di maggiore importanza sono stati nel Dolce stil novo, nella produzione di Dante e in quella di Petrarca. Nei primi due sono affini: la donna assume l’angel sembianza, diventa il tramite tra poeta e Dio, e assume il significato salvifico. Analizzando, invece, il sentimento del poeta nella produzione di Petrarca, si assiste al radicale mutamento nei confronti della lirica precedente. Egli vive l’amore solo dentro di sé, si fa unico interprete, unico interlocutore e unico destinatario dell’amore. Concludendo, si può affermare, da questo lavoro d’indagine, quanto sia importante l’uso o l’omissione di determinate parole, affinché la comprensione di un poeta o di una corrente siano più facili. È importante , inoltre, sottolineare la genialità di alcuni uomini, la loro sensibilità. Uomini che hanno costruito le fondamenta della nostra lingua, della nostra cultura, ma soprattutto, che ci aiutano a ragionare e a modellare il pensiero. 34 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com PARTE SECONDA (Dall’Umanesimo alla fine del Romanticismo) LA LIRICA D’AMORE DEL 1400 6.1 COMPONIMENTI METRICI I metri usati nella lirica d’amore del Quattrocento riprendono i classici metri di Petrarca, e cioè sonetto, canzone, sestina, ballata, madrigale. In aggiunta abbiamo altre tipologie metriche, di varia origine, che fanno il loro ingresso nella poesia d’amore. Le principali sono le seguenti: 1) La terza rima, o capitolo in terzine: formata da terzine di endecasillabi, chiusi da un verso isolato, rimato con il penultimo verso: ZYZ – Y; prende ispirazione dai Trionfi del Petrarca. 2) L’ottava rima: composta da una strofa di otto endecasillabi, i primi sei a rima alternata, gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC. Viene usata da Lorenzo il Magnifico. 3) Lo strambotto: è un breve componimento in endecasillabi; gli schemi più diffusi sono ABABAB, ABABCC, AABBCC (sei versi), oppure ABABABAB, ABABCCDD, AABBCCDD (otto versi). Viene usato dal Poliziano. 4) La villotta e la villanella: componimenti in metro variabile, modellati sulle ballate 5) La frottola barzelletta: non è un metro ben definito, presenta schemi vari, con versi lunghi e brevi, può essere modellata sulla ballata. 6) I canti carnascialeschi: simili alle ballate, ma composti da ottonari. Sono usati da Lorenzo il Magnifico. In questo paragrafo analizzeremo i componimenti metrici di alcune liriche di Lorenzo il Magnifico, e di Angelo Poliziano. Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico analizziamo Il cor mio lasso in mezzo all’angoscioso petto e Tante vaghe bellezze ha in sé raccolto. Sono due sonetti, il primo di schema ABBA ABBA CDE CDE, il secondo ABBA ABBA CDE EDC. In entrambi sono numerosi gli enjambements, quindi il ritmo è abbastanza rapido e scorrevole. Per ciò che concerne Angelo Poliziano analizziamo I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino e Ben venga maggio. 35 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Il primo componimento è una ballata, o “canzone a ballo”, di endecasillabi, con rime ABABBX per la strofa, XX per la ripresa. L’ultima parola del componimento, giardino, coincide con l’ultima della ripresa. Vi sono pochi enjambements ( vv.1-3-6-7-13-14-17-30 ); da notare alcuni versi spezzati ( vv.1-4-5-9-11-16-17-21-23-25-28-30 ).Oltre che da questi elementi, il ritmo è determinato anche dalla serie anaforica quando … quando … quando ai versi 24 e 25. Il secondo componimento è, anch’esso, una ballata ( destinata ad essere cantata con accompagnamento musicale ) di tutti settenari, con otto strofe di schema ababbx ( x sempre in maggio ), ripresa xx formata da un quinario e da un settenario. Sono presenti alcuni enjambements ( vv.1-3-7-9-11-13-15-17-19-21-23-25-27-33-36-3739-47-49 ), ma in misura minore rispetto ai versi spezzati. Possiamo affermare che il ritmo di entrambe le poesie è piuttosto lento. 6.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Per comprendere che tipo di linguaggio usano i due poeti prenderemo spunto dall’ Epistola proemiale che fa capo a tutta una raccolta di testi poetici toscani che Lorenzo il Magnifico inviò a Federico di Aragona nel 1477. L’Epistola proemiale e probabilmente la stessa scelta dei testi della raccolta, si devono al Poliziano, che parla però in nome di Lorenzo. Questo testo è di grande importanza nell’ambito di quel processo di rivalutazione del volgare che caratterizza tutto il Quattrocento. Lorenzo Il Magnifico e Poliziano, assieme a tanti altri poeti loro contemporanei, operarono concretamente quella controtendenza che mirava a riconoscere dignità al volgare, a restituirgli campi d’uso non subalterni, a sostituirlo al Latino come lingua di cultura. Si possono apprezzare, grazie a loro, opere di qualità in volgare, sia in ambito poetico che prosastico. La ripresa del volgare, soprattutto, ma non solo, in ambito letterario, è guidata lungo le linee che avevano ispirato l’elaborazione linguistica e stilistica del Petrarca, anche se non con gli stessi risultati: il volgare degli umanisti cerca ispirazione nei classici latini, sia pur indirettamente, e cerca di competere con il Latino umanistico in dignità, eleganza e raffinatezza. Ecco perché vi è una forte frequenza di latinismi in ambito lessicale. Ritornando all’Epistola, Poliziano pone in rilievo i sommi Dante e Petrarca, ma anche tutti gli altri poeti che fanno parte dell’intera tradizione poetica. Possiamo asserire, quindi, che il linguaggio adoperato dagli umanisti, come Lorenzo il Magnifico e Poliziano, è assolutamente aderente a quello volgare della produzione del Petrarca. 6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE Prendiamo in esame I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino. In questa lirica, che è fra le più belle e celebri del Poliziano e dell’intero Quattrocento, un giardino lussureggiante in primavera è metafora della giovinezza; il far ghirlande, il coglier la rosa mentre è più fiorita, significano goder la giovinezza; la sfioritura ( prima che sua bellezza sia fuggita v.27 ) evoca 36 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com il declino della giovinezza. Il messaggio che chiude il componimento ( sicché, fanciulle, mentre è più fiorita,/ coglian la bella rosa del giardino ) è poi un equivalente del celebre “carpe diem” oraziano. L’invito a godere la vita nella sua stagione migliore ha origine, in una lunga tradizione, dalla constatazione della labilità della vita e della giovinezza stessa. Emilio Bigi, sintetizzando i temi più tipici della lirica giovanile del Poliziano, ha parlato di <<amore … bellezza e … giovinezza, cantati nella loro affascinante vitalità umana e insieme con sottile sentimento della loro caducità>>16 L’invito edonistico a godere dei piaceri, espresso tramite la metafora del “cogliere la rosa”, torna più volte nella letteratura quattrocentesca, e si concretizza nel godere i piaceri dell’amore: ecco la vena sensuale, libera da ogni senso di peccato, che in qualche modo contrasta con il petrarchismo (ispirato al platonismo, tipicamente rinascimentale, che affermava la spiritualizzazione dell’amore). Da tutto ciò ricaviamo che la posizione di Poliziano è del tutto laica: se le cose belle sono effimere, bisogna goderle prima che esse si dileguino. Riassumendo quelli che sono i temi prediletti alla lirica d’amore quattrocentesca, possiamo evidenziare la rappresentazione di un mondo di serena ed equilibrata gioia vitale e la fiducia ottimistica nella vita, nella natura e nell’uomo. Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico vi è una disparata gamma di interpretazioni critiche. Ciò è dato dall’ eterogeneità della sua produzione, dalla presenza di temi spesso contraddittori. Alcuni critici hanno parlato di “dilettantismo”, altri di “intellettualismo”, c’è chi ha messo in discussione la sincerità d’ispirazione, chi ha individuato un impegno nella realtà, chi contrariamente ha messo in evidenza il desiderio di evasione, chi ha tentato di coniugare i due aspetti. Sicuramente vi è una forte componente di eclettismo, probabilmente causata dai suoi impegni politici, che non gli hanno permesso di aspirare ad una fama esclusivamente dovuta alle sue opere letterarie. Premesso questo, non si possono negare le sincere motivazioni all’esercizio e alla sperimentazione letteraria.17 Per quanto riguarda Poliziano, la critica tende a porre in rilievo la questione che riguarda l’idea che egli aveva di funzione dell’arte, cioè cosa fossero per lui poesia e filologia. Eugenio Garin, ad esempio, parla di <<culto della parola come manifestazione della civiltà umana>>: un culto della parola che si esplica in un interesse profondo, rigoroso ed analitico per tutti i documenti e le testimonianze del passato investigati e compresi con un acuto senso della loro storicità. Per ciò che concerne il suo stile, ne richiamiamo i concetti chiave tratti dall’epistola al Cortese: rifiuto della rigida imitazione di un unico modello, per quanto possa considerarsi “ottimo” ( nel caso specifico Cicerone ) , affermazione della necessità di imitare tutti gli autori che presentino qualche pregio, in un processo di assimilazione e interiorizzazione della parola degli antichi che costituisce il fondamento dell’originalità stilistica individuale. Questa concezione dell’imitazione giustifica l’applicazione della formula “docta varietas” per definire gusto, ideale estetico e pratica dello stile polizianei. La concreta analisi delle pagine 16 La citazione di E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana, UTET, Torino 1986, p.384 17 La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato. 37 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com poetiche di Poliziano, in volgare e in Latino, dimostra l’incidenza di tale gusto: echi diversi, diverse reminiscenze, calchi e citazioni anche dissonanti per provenienza e qualità, ora attinti ai citati modelli letterari classici, ora viceversa a componimenti di andamento popolare, si intrecciano in complessi e originalissimi impasti. Siamo vicini a quel gusto e a quella pratica linguistica e stilistica, ispirati all’ibridismo tipicamente quattrocentesco18. Comunque, anche se non linearmente, la tendenza degli ultimi decenni del Quattrocento è di fare del petrarchismo un momento sempre più centrale dell’elaborazione lirica, sul piano tematico e su quello formale. 6.4 PAROLE ADOPERATE Per ricercare le prime dieci parole adoperate dai lirici del Quattrocento abbiamo considerato i seguenti autori con relative opere: Lorenzo dei Medici • Canzoniere • Poemetti in terzine • Rime in forma di ballata: Laude 1 – 9; Ballate 1 – 29; Canti carnascialeschi 1 – 11 • Poemetti in ottava rima: Ambra; Nencia; Selva 1; Selva 1, 142; Selva 2; Selva 2, 31 Angelo Poliziano: • Rime Jacopo Sannazaro: • Arcadia • Sonetti • Canzoni Ecco l’elenco delle dieci parole più usate: POETI DEL QUATTROCENTO 1 Amor(e), amoroso/a 2 Cor(e) 3 Bellezza, bel, bella 4 Dolce(zza) 5 Sol(e) 6 Occhi 7 Tempo 8 Ciel(o) 9 Vita 10 Morte % 0,50 0,39 0,38 0,29 0,29 0,27 0,20 0,19 0,17 0,16 X 1000 5,0 3,9 3,8 2,9 2,9 2,7 2,0 1,9 1,7 1,6 Si nota chiaramente che le parole sono le stesse che usa Petrarca, con qualche leggero cambiamento che riguarda la posizione nella classifica. Anche le percentuali di frequenza 18 La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato. 38 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com risultano abbastanza simili, oscillando tra l’1,5 e il 6 x 1000. Questo dimostra la forte dipendenza dei poeti del Quattrocento dal modello petrarchesco Grafico esplicativo: FREQUENZE POETI DEL QUATTROCENTO 5,0 2,7 2,0 1,9 1,7 1,6 Ciel(o) Vita Morte Bellezza, bel, bella Cor(e) Amor(e), amoroso/a 2,9 Tempo 2,9 Occhi 3,8 Sol(e) 3,9 Dolce(zza) 10 8 6 4 2 0 39 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com IL PETRARCHISMO La poesia del Cinquecento è caratterizzata dal Petrarchismo, esperienza poetica che consiste nell’imitazione di Petrarca, considerato il modello assoluto della lirica d’amore. È in questo momento che il linguaggio del petrarchismo diventa il codice letterario principe, base di ogni esperienza letteraria. Analizzeremo, in questo capitolo, varie esperienze poetiche: quella di Pietro Bembo, quella di Ludovico Ariosto, quella di Gaspara Stampa, quella di Mons. Della Casa, quella di Vittoria Colonna, per concludere con Torquato Tasso, il quale – pur nella sua originalità poetica – dal punto di vista della materia amorosa può essere considerato un petrarchista. 7.1 COMPONIMENTI METRICI Dal punto di vista metrico i Petrarchisti seguono, ovviamente, la lezione del Petrarca, che – come già era accaduto nel Quattrocento – rimane il modello fondamentale. Tuttavia è possibile individuare alcuni mutamenti di rilievo. Innanzitutto la ballata; essa subisce cambiamenti, con l’introduzione dei versi ottonari ed in seguito tenderà a sparire. Il madrigale cambia completamente struttura: diventa un componimento eterometrico, con l’alternanza di endecasillabi e settenari, disposti liberamente, con schemi a piacere; i versi restano meno di 14. La sestina perde praticamente ogni rilievo e non ha più alcuna importanza. La canzone resta quella codificata da Petrarca, ma inizia a subire qualche variazione. Ad esempio Annibal Caro in Manca il fior non divide più piedi e volte. Accanto ai metri tradizionali si fanno, tuttavia, strada nuove forme compositive. Le principali sono le seguenti: 1) L’ode oraziana: ispirata al poeta latino Orazio; è formata da brevi strofe di 4 – 6 versi endecasillabi e settenari; gli schemi più usati sono: ABBA, aBbA, aBbACc, aBabB, AbBA, AbbA, Abba. Il primo ad introdurla è Pietro Bembo, con Io vissi pargoletta. In seguito l’ode diventerà la concorrente più forte della canzone. 2) L’ode pindarica: è l’altra concorrente della canzone, ispirata al poeta Pindaro. È formata da tre parti: strofe-antistrofe-epodo, strutturati secondo la metrica petrarchesca. In Alamanni abbiamo lo schema seguente: abCabCcdddDfF (prime due strofe), ghIghIikllkmM (terza strofa) Prendendo in considerazione la produzione lirica dei vari poeti da noi analizzati, possiamo affermare che la maggior parte dei componimenti usati sono, comunque, sonetti. Per fare qualche esempio citiamo: Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e DEC per le terzine ) e Solingo augello, se piangendo vai ( schema 40 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Pietro Bembo; Dal vivo fonte del mio pianto eterno ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE per le terzine ) e Occhi miei, oscurato è il nostro sole ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDD per le terzine ) di Vittoria Colonna; Voi, ch’ascoltate in queste meste rime ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE per le terzine ) e Rimandatemi il cor, empio tiranno ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Gaspara Stampa; Chiuso era il sol da un tenebroso velo (schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e EDC per le terzine) e O sicuro, secreto e fidel porto ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Ludovico Ariosto; D’un alto monte onde si scorge il mare ( schema metrico: ABAB per le quartine; CDE per le terzine ) e Scrissi con stile amaro, aspro e dolente ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e CED per le terzine ) di Isabella De Mora. Abbiamo anche componimenti diversi dal sonetto, ma in minor numero. Citiamo, ad esempio, Voi mi poneste in foco di Bembo, canzonetta di settenari e endecasillabi, secondo lo schema aBABbbB, senza congedo; Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico Ariosto, madrigale con rime secondo lo schema ABCaBcDD. 7.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Come possiamo intuire dal titolo del capitolo, il “Petrarchismo”, la produzione di questi poeti rimanda a quella di Francesco Petrarca ( 1304 Arezzo - 1374 Arquà ). Analizzando ogni singolo componimento lirico di Bembo, di Ariosto, della Stampa, Della Colonna, si notano forti influssi del Canzoniere petrarchesco, che a volte si traducono in veri e propri casi di imitazione ( come Voi, ch’ascoltate in queste meste rime e Mesta e pentita de’ miei gravi errori di Gaspara Stampa ). Il linguaggio e la sintassi della maggior parte dei componimenti sono fluidi, lineari, senza forti spezzature. Sarà utile aprire una parentesi sulla riflessione sulla lingua e sulla letteratura di Pietro Bembo, per capire meglio alcuni aspetti del linguaggio lirico che stiamo analizzando. In direzione critica e di poetica, egli determina e sancisce l’affermazione della teoria dell’ottimo modello ( e precisamente di un duplice modello prosastico e poetico: Cicerone e Virgilio per il Latino, Boccaccio e Petrarca per il Toscano ). Nell’ambito della discussione linguistica, egli propugna con successo la tesi del fiorentino letterario, espresso dai due grandi trecentisti in particolare. In direzione più strettamente poetica, poi, Bembo propone un’esperienza poetica vissuta tutta all’insegna di una sempre più profonda e consapevole appropriazione del mondo ideale e immaginario, della forma espressiva e dello stile del modello petrarchesco. Abbiamo, nel Cinquecento, un ritorno alla lettura diretta e approfondita del Petrarca e, contemporaneamente, il rifiuto consapevole e polemico dell’eclettismo-ibridismo quattrocentesco. 41 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Il Petrarchismo cinquecentesco è permeato di neoplatonismo; si propone come un’esemplare vicenda d’anime che, attraverso l’esperienza d’amore, mirano ad elevarsi e a cogliere il senso della bellezza e della bontà divina; è, inoltre, una vicenda di ingentilimento e di perfezionamento spirituale. Questa corrente lirica fonde insieme due diverse letture del piano tematico: quella platonizzante e quella cristiana. La prima è la consueta vicenda d’amore che si nutre di sospiri, di ricordi, di immagini mentali, di languide contemplazioni, di idoleggiamenti della persona amata e degli oggetti e dei luoghi delle sue epifanie; la seconda è la vicenda di un amore terreno nutrito di ansie, sospiri, ardori, errori, che, col trascorrere del tempo, viene giudicato come traviamento e lascia il posto a un progressivo riaccostamento penitente a Dio. Queste due letture sono legate in un rapporto dialettico, e i poeti materializzano nei loro versi questa fusione. Il madrigale Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico Ariosto, ci propone l’analisi della tematica della morte come conseguenza della bellezza della donna amata: il poeta non sa condividere la dominante visione terribile della morte, perché per lui essa diviene la somma di tutta la felicità possibile. La canzonetta Voi mi poneste in foco, testimonianza della prima fase della ricerca lirica di Pietro Bembo, verte su <<un di quei bisticci e problemi amorosi che la lirica cortigiana aveva messo di moda: l’amante continuamente rischia di morire o perché arso dall’amore o perché dissolto dalle lagrime; ma l’un male è corretto dall’altro e opposto, sicché la doppia morte si risolve in prolungamento di vita>>.19 Secondo Luperini <<il petrarchismo divenne una convenzione letteraria che incoraggiò per secoli un modo retorico di comporre, di leggere e di vivere la poesia. La lingua della poesia si “specializza” e si istituzionalizza, cristallizzandosi in formule fisse e stereotipate. Il petrarchismo contribuì in modo decisivo a creare una lingua letteraria unica sul piano nazionale e a tenere in vita quei valori di decoro e di misura che, sorti con l’Umanesimo, poterono prolungarsi sino al nostro secolo.>>20 7.4 PAROLE ADOPERATE Per elencare le dieci parole più usate dai petrarchisti, abbiamo preso in esame i seguenti autori con i relativi testi: • • • 19 Ludovico Ariosto: Rime Pietro Bembo: Rime Mons. Giovanni Della Casa: Rime La citazione è tratta da “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960. 42 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • Gaspara Stampa: Canzoniere Vittoria Colonna: Rime Torquato Tasso: Rime Ecco l’elenco delle dieci parole più usate: % PETRARCHISTI 1 Amor(e), amoroso/a 2 Bellezza, bel, bella 3 Ciel(o) 4 Sol(e) 5 Cor(e) 6 Dolce(zza) 7 Alma 8 Occhi 9 Luce 10 Mondo X 1000 0,47 0,44 0,43 0,41 0,32 0,30 0,19 0,17 0,16 0,15 4,7 4,4 4,3 4,1 3,2 3,0 1,9 1,7 1,6 1,5 Grafico delle frequenze: 4,7 4,4 4,3 4,1 1,9 1,7 1,6 1,5 Occhi Luce Mondo 3 Alma Sol(e) Ciel(o) Bellezza, bel, bella Amor(e), amoroso/a 3,2 Dolce(zza) 10 8 6 4 2 0 Cor(e) X 1000 FREQUENZE PETRARCHISTI Si può notare che le parole usate sono sostanzialmente quelle di Petrarca con qualche leggero scostamento e con qualche eccezione: morte non è tra le prime dieci parole usate dai petrarchisti, ma si colloca all’ 11° posto con l’1,4 x 1000; alma e mondo non sono tra le prime dieci parole usate da Petrarca, ma hanno in Petrarca una frequenza, rispettivamente, dell’ 1,5 x 1000 e dell’1,8 x 1000, che sono assai vicine ai valori dei petrarchisti. Anche in questo caso, dunque, come in quello dei poeti del Quattrocento, appare netta ed evidente la dipendenza degli autori esaminati dal modello petrarchesco. 20 La citazione è tratta da”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani 43 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com IL MARINISMO In Italia, nel ‘600, Marino è il caposcuola di una nuova tendenza poetica, definita in seguito lirica barocca, dal nome adoperato dagli Illuministi, in senso dispregiativo, per caratterizzare tutto il secolo precedente ad essi. Assieme a Marino, analizzeremo anche altri esponenti di questa corrente, come ad esempio Claudio Achillini, Tommaso Stigliani, Ciro Di Pers, Giacomo Lubrano e Federico Meninni. 8.1 COMPONIMENTI METRICI La produzione lirica dei marinisti verte soprattutto sul sonetto, ma comprende anche le altre forme metriche tipiche della tradizione poetica italiana, come canzoni, odi, madrigali, che abbiamo visto precedentemente. Per quanto riguarda Marino, possiamo citare Onde dorate (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, e CDC DDC per le terzine); Amorosa animazione (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDE CDE per le terzine); Al sonno (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le terzine); Invita la sua ninfa all’ombra (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le terzine). Per quanto riguarda gli altri marinisti possiamo ricordare La mina, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Claudio Achillini; Cedri fantastici variamente figurati negli orti reggitani, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Giacomo Lubrano; Orologio da rote, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Ciro Di Pers; Condizione della vita umana, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Federico Meninni. Per quanto concerne i componimenti diversi dal sonetto, citiamo due madrigali di Marino (Or lieve ape foss’io e Vidi anch’io tutta ignuda) e il madrigale di settenari ed endecasillabi (schema: aaBbCcDD) Scherzo di immagini di Tommaso Stigliani. 8.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI I tratti principali del linguaggio barocco sono: il sensualismo, il gusto per il dato fisico e concreto del reale, l’immissione nel tessuto poetico del brutto, del grottesco e del macabro; le tecniche della catalogazione e della variazione, quasi dell’inventariamento delle possibili situazioni tematiche e dei possibili oggetti poetabili; il gusto dello straniamento di situazioni comuni o della ricerca di situazioni insolite, paradossali; il gusto per i giochi prospettici e per le metamorfosi (illusionismo) e il concettismo. 44 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Dato fondamentale, poi, è anche il riuso della tradizione, e cioè la “rifunzionalizzazione dei materiali poetici tradizionali”. I marinisti prendono spunto soprattutto dal Petrarca e creano un repertorio originale, che coniuga la pura classicità con la libertà e il gusto del poeta. Il Getto scrive: <<i capelli d’oro, insieme ad altri elementi tipici, quali le labbra di rubino, i denti di perla, eccetera, verranno introdotti non più per formare il solito figurino della bellezza superlativa e astratta, ma per creare, attraverso l’eccesso metaforico insistente su quella materia preziosa, una ricca decorazione, per dar luogo a un processo di trasfigurazione mediante il quale la donna ( … ) tende ad assumere quasi una realtà minerale, d’aurea e gemmea e perlacea essenza, a prendere insomma l’aspetto di un lussuoso e raffinato gioiello>>.21 8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Per quanto riguarda le tradizionali immagini della lirica d’amore, quali la rappresentazione della donna e della natura e il tema d’amore, i lirici barocchi convertono l’astrattezza, la spiritualità, l’atemporalità delle raffigurazioni in concretezza, fisicità, determinazione e, nel caso delle bellezze muliebri, in sensualità e lascivia. Accanto al tema della bellezza naturale o muliebre, volta dall’astratto al concreto, si insinuano temi e motivi impensabili nella precedente tradizione: il brutto, il grottesco, il deforme, l’eccentrico, il bizzarro, e persino il lugubre e il macabro. Tutto ciò è un ampiamento delle cose poetabili, che deve essere ricordato tra le più importanti e anticipatrici delle innovazioni barocche. Attraverso la tecnica della catalogazione e della variazione abbiamo l’immissione di nuovi temi. Così, ad esempio, alle donne bionde della tradizione si aggiungono le castane, le brune e le rosse, con molti nuovi attributi; così si introducono donne che leggono ( magari con gli occhiali ), che danzano, che corrono, che nuotano, e via dicendo. Quindi gli stessi schemi della classicità si applicano alla “bellissima natatrice”, alla “bellissima mendica”, alla “bellissima filatrice”, alla ”bella sartora”, alla “bella ballarina”, alla “bella donna frustata”, o ancora, mutando materia, a una grandissima varietà di oggetti, fiori, frutti, ortaggi, piante e animali ( perle, coralli, oro, argento, topazi, rubini, rose, gigli, girasoli, melograni, pomo, pere, cipolle, viti, cedri, usignoli, pavoni, lucciole, zanzare, farfalle … ). Le poesie barocche sono il terreno per un realismo fisico ed esteriore, alieno da ogni approfondimento affettivo e psicologico: raramente le figure si animano di una vita interiore, gli eventi acquistano echi sentimentali e i paesaggi si fanno specchio dei moti dell’animo. Già nel Seicento vi erano state forti polemiche nei confronti della <<poetica della meraviglia>>, delle soluzioni bizzarre, ai limiti dell’assurdo, che caratterizzavano i componimenti del Marino e dei suoi seguaci. Nel Settecento questo giudizio negativo si consolidò, soprattutto quando, sotto la spinta dell’esperienza francese, anche i letterati italiani più avvertiti, iniziarono a proporre un nuovo modello di creatività letteraria, razionalmente ispirato ad un nuovo ideale di <<buon gusto>>, lontano da ogni estremismo. 21 La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/ Grosser, Principato. 45 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Francesco De Sanctis, critico dell’Ottocento risorgimentale, accentua ancora maggiormente il giudizio negativo sulla lirica marinista, ritendendola espressione di un’età di servilismo, e contrapponendola (sul piano morale e politico) all’esperienza di Galilei, Sarpi, Campanella (fautori del <<reale come metodo e come contenuto>>). Solo nel 1910 la critica italiana mostrò un nuovo interesse per il Seicento. Benedetto Croce propose, come primo volume della collana “Scrittori d’Italia” pubblicata da Laterza, la sua antologia dei “Lirici marinisti”. Pur non scagionando il Barocco dalle accuse tradizionali, egli offrì per la prima volta una serie di testi che fino a quel momento erano stati piuttosto giudicati che letti. Giovanni Getto, l’unico critico al quale va il merito di avere sottoposto la lettura del Barocco italiano ad una più profonda interpretazione della Civiltà barocca, colse nella metafora il segno di qualche ricerca, che rappresenta la tensione di una civiltà al rinnovamento dei suoi riferimento ormai da secoli consolidati. 22 8.4 PAROLE ADOPERATE Per quanto concerne l’analisi delle parole più adoperate possiamo procedere, anche in questo caso, in modo analogo ai precedenti. Di Marino abbiamo analizzato La Galeria, mentre per quanto riguarda i lirici marinisti sono stati presi in considerazione alcuni poeti riportati nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4° con le relative opere. Essi sono: T. Stigliani, M. Macedonio, S. Caetano, G.B. Manso, F. Balducci, F. Della Valle, S. Enrico, G.B. Basile, B. Cusano, G. Palma, G.A. Rovetti, B. Tortoletti, M. Barberino, P.G. Orsino, G. D’Aquino, M. Romagnosi, G. Grosso, A. Galeani, G.B. Pucci, A.M. Narducci, T. Sbarra, F. Massini, C. Abbelli, L. Tingoli, F. Marcheselli, P. Abriani, F. Bracciolini, A. Barbazzo, A. Fortini, A. Augustini, M. Arlotto, F. Leonida, G. Saracini, P.P. Bissari, C. Trivulzio, G. F. Cormani, E. Stampa, A. Mancini, D’Incerto, M. Lunghi, A. De Rossi, G. Fontanella, G. Salomoni, B. Morando, Brignole Sale, P. Michiele, P. Zazzaroni, L. Quirini, A. Basso, V. Zito, A. Muscettola, Ciro Di Pers, G. Battista, G. Artale, G. Lubrano, G. Canale, F. Mennini, L. Casaburi, T. Gaudiosi, B. Dotti, A. Perrucci. Ecco l’elenco delle dieci parole più usate: MARINISTI 1 Bellezza, bel, bella 2 Amor(e), amoroso/a 3 Sol(e) 4 Ciel(o) 5 Cor(e) 6 Morte 7 Occhi 8 Seno 9 Vita 10 Dolce(zza) % 0,58 0,47 0,34 0,33 0,31 0,25 0,18 0,16 0,14 0,13 X 1000 5,8 4,7 3,4 3,3 3,1 2,5 1,8 1,6 1,4 1,3 22 Da “Il giudizio sul Barocco” tratto da BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla Storia al testo” PARAVIA, Vol. C p. 46 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Grafico delle frequenze: 5,8 2,5 1,8 1,6 1,4 1,3 Dolce(zza) Ciel(o) Sol(e) Amor(e), amoroso/a Bellezza, bel, bella 3,1 Vita 3,3 Seno 3,4 Occhi 4,7 Morte 10 8 6 4 2 0 Cor(e) X 1000 FREQUENZE MARINISTI Rispetto ai poeti fin qui analizzati notiamo qualche novità interessante. Le prime dieci parole sono, in sostanza, le stesse degli altri lirici, e sono derivate dal lessico petrarchesco. Tuttavia, tra queste, si nota il termine seno (1,6 x 1000) che era pressochè assente nei poeti fin qui esaminati (0,4 x 1000 nei petrarchisti, al di sotto dello 0,1 x 1000 in tutti gli altri). Il termine seno richiama alla sensualità, tipica del Barocco, e rappresenta un’innovazione rispetto alla tradizione. Andando oltre i primi dieci vocaboli, troviamo altri termini innovativi, scarsamente adoperati dai rimatori precedenti, come capelli, crine, amante (1,0 x 1000); bacio, baciare (0,97 x 1000); sangue (0,96 x 1000). Ciò denota la tendenza innovativa del linguaggio dei marinisti, anche se – riferendoci alle parole più adoperate – il lessico permane nel suo insieme tradizionale e conservativo e continua a seguire la lezione del maestro Petrarca. 47 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com IL CLASSICISMO BAROCCO Sempre nel Cinquecento assistiamo alla nascita di una corrente molto diversa dal Marinismo, intenzionalmente antibarocca, in cui spiccano Gabriello Chiabrera (1552-1638), celebre per le sue odi pindariche e le canzonette anacreontiche, Alessandro Guidi, autore di varie opere di stampo classicista, tra cui Endimione, e Fulvio Testi (1593-1646), celebre per le odi che scrisse riprendendo i modelli di Orazio e Pindaro. 9.1 COMPONIMENTI METRICI I poeti del Classicismo barocco sono grandi innovatori per quanto riguarda la metrica; anzi li potremmo definire dei veri campioni dello sperimentalismo metrico. Chiabrera e Testi adoperano un modello di canzone, nella quale non vi è più separazione tra i piedi della fronte e le volte della sirma. Alessandro Guidi, addirittura, varia lo schema della canzone di strofa in strofa, sia per quanto riguarda la lunghezza, sia per quanto riguarda la struttura. Questi poeti sono poi creatori di nuove forme metriche. Tra le forme da loro introdotte, che si affiancano ovviamente a quelle della tradizione, ricordiamo le seguenti: 1) la canzonetta anacreontica: ispirata al poeta Anacreonte, rimodellata da Chiabrera; è composta da versi in prevalenza corti (quadrisillabi, senari, quinari), tra cui alcuni sono sdruccioli; le strofe generalmente non hanno più di sei versi; vari sono gli schemi metrici, tra cui a8a4b8c8c4b8 ; è detta anche canzonetta melica 2) la strofa alcaica: ad imitazione del poeta Alceo, introdotta da Chiabrera; è composta da quattro versi: i primi due ottenuti legando un quinario piano con un quinario sdrucciolo, il terzo verso è un novenario anapestico (accenti sulle sillabe 2°,5°,8°), il quarto verso è un decasillabo trocaico (accenti sulle sillabe 1°,3°,5°,7°,9°) 3) la strofa asclepiadea: di imitazione oraziana, introdotta da Chiabrera; per rendere il ferecrazio Chiabrera usò il settenario piano, il gliconio lo rese con il settenario sdrucciolo, l’asclepiadeo fu reso in vari modi: endecasillabi sdruccioli o doppi quinari sdruccioli Per quanto riguarda Chiabrera, la sua produzione poetica si esprime in canzonette e metri per musica, “leggerissime cose”, tutte fondate sull’eleganza dei ritmi e l’esile fluidità dei metri23. Le raccolte a cui tale produzione è riferita sono le seguenti: ”Canzonette” (Genova 1591), “La maniera de’ versi toscani” (ivi 1599), “Scherzi e canzonette morali” (ivi 1599), “Vendemmie di Parnaso” (in “Rime”, Venezia 1605, parte I). Nelle “Canzonette” la varietà dei temi e dei metri si muove, tuttavia, ancor decisamente dentro il solco della tradizione toscana. A giudizio di Asor Rosa <<Egli agisce soprattutto 23 La citazione è tratta da “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori Laterza. 48 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com sulla struttura del componimento, per tentare di trarne, attraverso l'accostamento audace dei versi di misura molto diversa fra loro e l’uso fortemente ritmico della rima, effetti di musicalità dolce ed allegra nello stesso tempo>>24. Lo schema metrico che ricorre più frequentemente in questa raccolta e che, forse, rappresenta il risultato più originale del Chiabrera, è la canzonetta formata di ottonari e quaternari, secondo lo schema AaBbCcB: ai primi due versi, legati da una rima baciata, corrispondono gli altri quattro versi stretti in forte unità fra loro (il primo rima col quarto, il secondo col terzo), spezzati proprio sul finire del quaternario rapido e sorridente (il quinto verso della strofa), che alleggerisce la voluta sentenziosità dell’immagine tematica. A tale genere di componimenti appartengono le due canzonette Belle guance e Belle rose porporine. Nella “Maniere de’ versi toscani” l’esperimento si spinge, invece, fino in fondo, e l’imitazione dei classici diviene preponderante. Chiabrera, infatti, tende a riprendere direttamente metri o modi stofici propri della poesia greco-latina (soprattutto versi giambici e trocaici). Il suo tentativo consiste, in sostanza, nel rileggere i versi italiani secondo le possibilità della metrica antica e nel realizzare su questa base nuove e inusitate combinazioni. Nella canzonetta Dolci miei sospiri, lo schema metrico è aabccb, e i versi sono trocaici dimetri ammezzati. Nella canzonetta La violetta lo schema metrico è aaBccB (dove B sono i versi giambici, e gli altri sono trocaici). Per quanto riguarda Fulvio Testi, dopo aver esordito nel 1617 con un volume di liriche di evidente influsso marinistico, divenne deciso campione dell’antimarinismo, accostandosi al Chiabrera. Anch’egli, nelle “Odi”, si rifà al modello pindarico attraverso l’esempio di Orazio. Prendiamo, ad esempio, l’ode A Cintia: la strofe esastica, che qui vediamo, deriva dalla precedente per l’abbreviazione del terzo verso (settenario) e l’aggiunta di un distico rimato (ABbACC). Tale struttura è una delle più usate dal Testi per le odi di carattere erotico. 9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI Analizzando il lessico di Belle rose porporine, del Chiabrera, osserviamo l’uso ricorrente del diminutivo e del vezzeggiativo per rendere il senso dell’atmosfera rarefatta e irrealistica (v.25 auretta; v.26 erbetta; v.28 praticello; v.31 zeffiretto). Nella canzonetta Belle guance, l’immaginazione naturalistica e paesistica è mostrata attraverso espressioni iperboliche come nei primi tre versi : bella guancia che disdori/ gli almi amori,/ che sul viso ha l’alma Aurora. Per Testi, riferendoci sempre all’ode A Cintia, possiamo affermare che nel suo classicismo si insinuano elementi manieristici, soprattutto per il richiamo alla mitologia. Nonostante ciò rimane un grande esempio di classicità, sia per la fattura stilistica, sia per la grande sapienza e misura retorica. 24 La citazione è tratta da “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori Laterza. 49 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE In Belle rose porporine, del Chiabrera, possiamo trovare termini e definizioni stereotipate, di veri e propri “topoi” stilistici, tipici della lirica d’amore: V.1 belle rose porporine; v.7 rose preziose; v.12 bel sorriso; vv.37-38 fior vermigli / gigli, v.10 bel guardo. Così come in Dolci miei sospiri compaiono: vv.1-2 sospiri / martiri; vv.11-12 amor crudele / mio dolore; v.15 desio; v.20 lunga fede; v.23 gran beltate; v.37 fiamma ardente. In A Cintia del Testi, il motivo dominante è quello oraziano di godere e far godere delle proprie bellezze fin quando l’età giovanile lo permette. Questo è un luogo comune della poesia erotica classica, ma allo stesso tempo è anche estremamente frequente presso i poeti quattrocenteschi e in quelli barocchi contemporanei a Testi ( vedi Marino in Ninfa avara). Alberto Asor Rosa così si esprime a proposito di Chiabrera: <<La varietà delle esperienze stilistiche, l’abilità tecnica, una certa disinvoltura innata da gran signore delle lettere, fanno di Gabriello Chiabrera un piccolo maestro, uno dei due maestri della poesia del Seicento accanto a Giambattista Marino. (…) Chiabrera era più moderato, più limitato, meno audace, meno creativo. Ma pure aveva alcune doti, che Marino non possedeva, e per le quali fu apprezzato più o a preferenza di quello: il senso del limite e della convenienza, un maggiore attaccamento alla tradizione, un senso sicuro della grazia, un’eleganza metrica, se non più robusta, almeno più scaltra e raffinata. (…) … la sua poesia lirica - un arabesco elegante ai limiti estremi della rarefazione - sembra incontrarsi perfettamnete con i caratteri del gusto sempre più alieno dal misurarsi con la rappresentazione della realtà e persino con l’espressione della passione. Tuttavia Chiabrera, almeno per quanto riguarda la sua produzione lirica, restava ancora profondamente legato alla tematica edonistica del rinascimento italiano: fornisce, cioè, tutti gli strumenti alla vera e propria restaurazione controriformistico-classicista della seconda metà del secolo, ma non si identifica con essa>>25. 9.4 PAROLE ADOPERATE Per quanto concerne le parole adoperate, abbiamo scelto di analizzare un’ intera opera, L’Endimione di Alessandro Guidi. Ecco la tabella con le frequenze delle dieci parole più usate ed il relativo grafico: 25 Da “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco” Carlo Muscetta, Alberto Asor Rosa 50 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com % CLASSICISTI 1 Amor(e), amoroso/a 2 Bellezza, bel, bella 3 Cor(e) 4 Morte 5 Alma 6 Sol(e) 7 Luce, Mente, Selva 8 Lume, Seno 9 Occhi, Dolcezza, Ciel(o) 10 Virtute, Pietà, Dea, Destino X 1000 1,45 0,77 0,39 0,29 0,23 0,22 0,20 0,19 0,17 0,16 14,5 7,7 3,9 2,9 2,3 2,2 2,0 1,9 1,7 1,6 Grafico delle frequenze: 14,5 7,7 2,9 2,3 2,2 2 1,9 1,7 1,6 Alma Sol(e) Luce, Mente, Selva Lume, Seno Occhi, Dolcezza, Ciel(o) Virtute, Pietà, Dea, Destino Bellezza, bel, bella Amor(e), amoroso/a 3,9 Morte 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 Cor(e) X 1000 OCCORRENZE ALESSANDRO GUIDI Si nota che il linguaggio continua a seguire la lezione di Petrarca, e infatti molti sono i termini comuni tra Guidi e il Maestro; ad esempio: Amor(e), Bello, Bellezza, Cor(e), Sol(e), Morte … Tuttavia alcuni termini introdotti dal Barocco sono presenti anche nel classicista Guidi; tra questi spicca il vocabolo seno (1,9 x 1000). Sostanzialmente dal punto di vista delle parole adoperate le novità, rispetto a quanto detto fin qui, non sono molte. 51 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com L’ARCADIA L’Accademia d’Arcadia nacque il 5 ottbre 1690 a Roma, in occasione dell’incontro di quattordici letterati uniti dalla comune appartenenza al circolo letterario della regina Cristina di Svezia, morta l’anno prima. Fu fondata dal letterato, filosofo e giurista Gian Vincenzo Gravina, e dall’abate maceratese Giovan Mario Crescimbeni. L’Arcadia ebbe come centro Roma, ma si diffuse poi in tutta Italia, dando vita a numerose sezioni o “colonie”. Il nome dell’accademia fu quello della mitica regione della Grecia antica, abitata dai poetipastori; “pastori” si dissero i soci, che adottarono pseudonimi della poesia pastorale, perpetuando così la finzione bucolica, il sogno di un ritorno alla natura, di un’evasione dalla realtà. L’Arcadia raccolse tutti i più significativi poeti del tempo, che erano accomunati dall’adesione ad un programma minimo: la restaurazione del “buon gusto”, la messa al bando del “disordine” secentista, dagli eccessi personali del “cattivo gusto” barocco. 10.1 COMPONIMENTI METRICI I metri adoperati dai poeti dell’Arcadia riprendono la lezione del Chiabrera e ne adottano forme e componimenti. Abbiamo, dunque, canzonette, odi asclepiadee, odi alcaiche … i componimenti più adoperati sono i seguenti: 1) il sonetto con le sue varianti, ad esempio il sonetto audato, rinterzato … 2) le odi pindariche, divise – come abbiamo già visto – in strofa, antistrofe,epodo 3) le odi oraziane, che imitano la struttura dell’ode di Orazio, in genere con gli schemi ABBA o aBbA 4) le odi anacreontiche, costituite da strofe con, al massimo, sei versi, in genere senari, settenari, ottonari. Tra queste la più interessante e fortunata è la quartina proposta da Ludovico Savioli – Fontana, con schema a 7b7c7b7 (con a7, c7 sdruccioli) 5) l’endecasillabo sciolto che avrà grandissima fortuna in seguito e che può dirsi un’anticipazione arcadica (vedi Rolli e Savioli) Per quanto riguarda Paolo Rolli possiamo affermare che fu colui che, anche prima del Metastasio, portò la poesia arcadica ad un livello di dignità ed impegno e frantumò gli schemi del petrarchismo pastorale e del pindarismo. Nella sua produzione poetica iniziale abbiamo odi, canzonette e sonetti. Ciò che lo rese celebre furono le “Elegie” in terzine dantesche (dodici dal 1711 al 1715) che, tranne le ultime quattro di argomento vario, cantano l’amore del poeta per una nobile che egli chiama “veziosa” Egeria, e rivelano, come egli stesso dirà in un “Preambulo” in versi, la volontà <<d’ir sulle prime/ tracce dé classici vati famosi,/ quasi emulandone lo stile e il metro>>. Il rispetto dei modelli latini porta Rolli a prendere, come esempio di scrittura, Tibullo. Ricordiamo, tra i componimenti più significativi, l’elegia in terzine dantesche “O amica degli amanti, primavera”. L’opera più significativa della stagione centrale rolliana sono gli “Endecasillabi” (quattordici in tutto, successivamente portati a venti). Insieme ad essi, le “Rime”, in cui Rolli 52 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com si richiamava intenzionalmente a Catullo. Per gli “Endecasillabi” e le “Rime” ricordiamo: “Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” (Endecasillabi, VI) il cui metro consiste in endecasillabi faleci e catulliani (cioè composti di due quinari di cui uno, in genere il primo, sdrucciolo), organizzati in terzine nelle quali il primo verso e il terzo (quinari sdruccioli più piani) rimano, il secondo è libero e composto da un quinario piano più uno sdrucciolo; “Gentile, morbida, leggiadra mano” (Endecasillabi, XVII) composto di endecasillabi catulliani senza rima, formati da un quinario sdrucciolo più uno piano; “Solitario bosco ombroso”, canzonetta composta di quartine di ottonari a rima alternata, dei quali il primo e il terzo piani, il secondo e il quarto tronchi. Per quanto riguarda il conte Ludovico Savioli Fontana, possiamo riassumere la sua produzione poetica negli “Amori” (la prima parte scritta nel 1758, composta di dodici canzonette; la seconda nel 1765 composta da ventiquattro canzonette, che vengono a sostituire le prime dodici). Tra i due termini degli “Amori” si pone “Amore e psiche”, poi rielaborata, e la tragedia “Achille” in endecasillabi sciolti. Per quanto concerne gli “Amori” ricordiamo: “Il mattino”, terzo componimento della raccolta, il cui metro è composto di quartine di settenari, dei quali il primo e il terzo sdruccioli e senza rima, il secondo e il quarto piani e rimati. Questo schema metrico dà l’impressione che la quartina sia divisa in due versi lunghi a rima baciata, ognuno dei quali occupato da un periodetto generalmente compiuto; “La notte” (XV) con metro identico a quello del componimento precedente. 10.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Analizziamo la canzonetta “La libertà” di Pietro Metastasio: alla sapientissima disposizione delle argomentazioni di tema affettivo, si accompagna una non minore abilità di costruzione stilistica. Prenderemo spunto, per l’analisi, da una minuziosissima relazione di Giorgio Cavallini (in “Sigma”, 27, pp.58-73) Se nelle strofette iniziali (vv.1-8) le rime, i troncamenti, le allitterazioni, le ripetizioni concorrono a creare la musica della canzonetta, in quelle successive (vv.9-16) il bisogno di rievocare il passato si esprime mediante la tecnica della negazione. La sapienza stilistica è riconfermata nei versi seguenti dalla presenza delle assonanze (vv.33-34), di ripetizioni (vv.35-36, 41-42, 57-59), dalla tecnica della “variatio” (vv.38-39), dai chiasmi (vv.43-44, 45-48) e dalle anafore (vv.43-44, 62-63). In “La notte” di Savioli, troviamo, nella seconda parte soprattutto, notazioni chiaramente classiche: vv.37-38-39-40 Forse a begli occhi insidia/ tese un sapor fallace,/ e sulle piume immemore/ a suo dispetto or giace. In generale, il linguaggio della lirica arcadica è semplice, armonioso, razionale. Abbiamo uno spiccato ritorno al classicismo, al petrarchismo, con la conseguente abolizione del concettismo e dell’illusionismo barocco. 53 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Prendendo in considerazione “O amica degli amanti” di Paolo Rolli, la raffigurazione della bellezza della donna lievemente offuscata, resa con la delicata metafora delle impallide rose (v.43), e l’acceno al ritorno della beltà primiera (v.50), hanno una classica castità di disegno e di sentimento. In “Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” sempre di Rolli, la donna è osservata nel gesto di inanellarsi e imbiancarsi di cipria la lunga chioma (v.14) e adornarsi di gioielli. Questo è il centro di attenzione di una serie di metafore esplicite come: v.15 qual neve in albero; v.20 com’astri; v.27 il seno argenteo delle conchiglie. E di aggettivi delicati e superlativi, o di intenso significato anche nel grado normale: v.9 dolcissimo e soave; v.13 terso; v.16 vaghi; v.17 ricchi e tremule; v.18 sottilissimi; v.20 purissimi; v.24 morbida e gentile; v.26 pure; v.28 pomposa; v.35 ricco; v.36 superbi e lieti. E di insistenze semantiche sui toni chiari e luminose: v.2 pallido; v.5 lucidi; v.11 avorio; v.12 candido; v.14 bianca; v.15 neve; v.26 latteo; v.27 argenteo; V.35 imbiancano. I poeti d’Arcadia contrapposero alle stravaganze e alle bizzarrie immaginose e verbali dei poeti barocchi, un ideale di poesia semplice, fondata su una ragionata naturalezza di sentimenti e di espressione, ritrovata attraverso l’adesione ai modelli classici e a quello petrarchesco. Il Petrarca fu, dapprima, il poeta più imitato, ma in seguito gli Arcadi si volsero soprattutto alle situazioni e ai modi dell’antica poesia idillica. Il paesaggio tipico della poesia arcadica, ripetuto fino alla monotonia, è quello così bene sintetizzato dal Momigliano: <<un mondo musicale, idillico e svenevole, dove una campagna irreale … e una coppia umana tutta sospiri e moine e languori e gorgheggi, come il tenore e il soprano di un duetto di melodramma, riempiono tutta la scena della vita>>. Il limite più appariscente della poesia arcadica è proprio qui, nella sua ricerca di un rinnovamento non spirituale, ma soltanto formale e letterario. Alla retorica della “meraviglia”, del “grandioso”, gli Arcadi contrapposero la retorica del tenue, del delicato, di un manierismo lezioso e sdolcinato. Tuttavia, pur entro questi limiti, l’Arcadia, nei confronti del Barocco, rappresentò l’esigenza di una poesia che esprimesse sentimenti più intimi, che fosse di nuovo incentrata sull’uomo. L’Arcadia intese contemperare la nostra tradizione poetica con le nuove tendenze razionalistiche europee, col suo ideale di una poesia che fosse un sogno, come si disse, fatto in presenza della ragione, ma pur sempre un sogno, col suo col suo fascino di gentilezza e di grazia26. 26 Il paragrafo è tratto da “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia. 54 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 10.4 PAROLE ADOPERATE Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate nell’Arcadia, abbiamo scelto 140 liriche di Pietro Metastasio, prendendole dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4°. Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico: % ARCADIA 1 Amor(e), amoroso/a 2 Cor(e) 3 Sol(e) 4 Bellezza, bel, bella 5 Ciel(o) 6 Seno 7 Dolce(zza) 8 Man(o)/i 9 Pietà, pietate, pietoso 10 Volto, Dio X 1000 0,48 0,36 0,31 0,30 0,24 0,22 0,15 0,14 0,13 0,12 4,8 3,6 3,1 3,0 2,4 2,2 1,5 1,4 1,3 1,2 Grafico frequenze: 4,8 3,1 3,0 1,4 1,3 1,2 Pietà, pietate, pietoso Volto, Dio 1,5 Man(o)/i 2,2 Dolce(zza) Bellezza, bel, bella Sol(e) 2,4 Seno 3,6 Cor(e) Amor(e), amoroso/a 10,0 8,0 6,0 4,0 2,0 0,0 Ciel(o) X 1000 FREQUENZE PIETRO METASTASIO I termini restano, anche qui, sostanzialmente analoghi a quelli di Petrarca, del quale sono mantenute le parole più significative: Amor(e), Cor(e), Sol(e), Ciel(o), Bellezza. Analogamente al Barocco ed ai classicisti resta tra le prime dieci la parola Seno (2,2 x 1000). Il lessico è pertanto fedele alla lezione del Petrarca. 55 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com IL NEOCLASSICISMO La poetica e il gusto neoclassico furono alla base di molti scrittori della seconda metà del Settecento. Alcuni dei più significativi furono Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte e Ugo Foscolo, i quali rispecchiarono il loro tempo nella molteplice varietà, sia per quanto riguarda le tendenze letterarie, sia per quanto riguarda gli aspetti politici e ideologici. 11.1 COMPONIMENTI METRICI I componimenti metrici del Neoclassicismo recepiscono le forme già analizzate nelle epoche precedenti, soprattutto quelle arcadiche. L’uso dei metri, comunque, varia da autore ad autore. Possiamo considerare, a titolo di esempio, Monti e Foscolo. Caratteristica saliente del Monti fu il suo continuo mutare atteggiamenti e opinioni nei riguardi della storia coeva. Ciò si trasfigurò nella sua produzione, in cui ritroviamo la molteplicità delle poetiche e delle tendenze che confluirono in lui. Nei diciannove anni della sua dimora a Roma (1778-1797), il Monti, ricevuto subito in Arcadia, poetò e verseggiò appunto in modi arcadici, scrivendo canzonette sulle orme di Metastasio, sonetti descrittivi alla Minzoni, “visioni” a modo del Varano27. Accolse spunti neoclassici componendo l’ode “Prosopopea di Pericle” (1779) e l’altra ode famosa “Al signor Montgolfier” (1784); scrisse anche “La bellezza dell’universo”, in terzine, i sonetti “Sulla morte di Giuda”, il poemetto “Il pellegrino apostolico” e, poi, la “Bassvilliana”, accogliendo in queste opere le lezioni più varie, da Dante, a Milton, dal Marino al Frugoni; dal tedesco Klopstock al Varano. Invece, per quanto riguarda Foscolo, la sua produzione lirica contiene odi e sonetti. Le due odi sono: “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”. Quest’ultima è composta da sedici strofe di sei versi ciascuna, formata da cinque settenari, alternatamente piani e sdruccioli, a cui segue un endecasillabo, che rima col settenario precedente. Lo schema metrico è abacdD. I sonetti sono dodici, possiamo citare: “Alla sera” (con schema metrico: ABAB per le quartine, CDC e DCD nelle terzine); “In morte del fratello Giovanni” (con schema metrico: ABAB per le quartine, CDC e DCD nelle terzine); “Alla musa” (con schema metrico: ABBA, ABAB nelle quartine, CDE nelle terzine); “Che stai? già il secol l’orma ultima lascia” (con schema metrico: ABBA nelle quartine, CDC nelle terzine). 27 La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio, PALUMBO. 56 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 11.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI “Al signor Montgolfier” di Vincenzo Monti, documento esemplare di poesia celebrativa e d’occasione settecentesca, è caratterizzata da un linguaggio aulico, altamente intonato. Tutto ciò ha una funzione analoga a quella delle figure metriche: rendere “poetici”, e quindi praticabili letterariamente, argomenti od oggetti che, di per sé, secondo il gusto classico, sarebbero prosastici ed impoetici, come fatti di cronaca, dottrine scientifiche, strumenti, composti chimici. Monti segue, in tal modo, la poesia illuministica di Parini. “Alla sera”, di Foscolo, è un sonetto caratterizzato dalla partizione sintattica: le due quartine, nucleo descrittivo e quasi statico, le terzine, nucleo dinamico. Ogni singola parola è legata alle altre per formare schemi sintattici particolari. Ne proponiamo un esempio: il “nulla eterno” del verso 10 è il nucleo centrale da cui si sprigiona tutto il movimento lirico. “Nulla eterno” contrapposto a “reo tempo” (v.11); “pace” (v.13) contrapposto a “spirto guerrier” (v.14). Il linguaggio dei sonetti e delle odi del Foscolo è una celebrazione alla classicità, che, per lui, rappresenta una bellezza scomparsa che, comunque, può trasfigurarsi nella poesia. 11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Le metafore e le immagini adoperate dai poeti neoclassici sono sovente desunte dal patrimonio mitologico classico, che costituisce, per questi autori, un fondamentale bagaglio di topoi e di strumenti da adattare ad ogni possibile occasione. Il discorso vale per Vincenzo Monti, come per Ugo Foscolo. In “Al signor Montgolfier”, composta per la prima ascensione in pallone, i motivi sono ripresi dall’Illuminismo, e sono: l’esaltazione della scienza e la fiducia nelle forze dell’uomo e del progresso. In “Al principe Sigismondo Chigi”, componimento in endecasillabi sciolti che trae spunto da un amore infelice del poeta per Carlotta Stewart, si scorgono motivi “romantici” all’interno di una scenografia classicista. I motivi romantici (la solitudine, la chiusura nell’intimità dell’io, la comunione con la natura) sono orecchiamenti puramente esteriori. Infatti, possono trasformarsi agevolmente in una scenografia classicisticamente mitologica e decorativa (l’ampio squarcio sul sorgere del sole, personificato come un dio della mitologia antica). Il senso romantico della natura trapassa poi in un vagheggiamento della bella natura idillica, che è un tema tradizionale del classicismo italiano sin dal Petrarca. Nell’ode “All’amica risanata”, Foscolo si colloca a metà strada tra l’Arcadia e il Neoclassicismo. Gli elementi arcadici che possiamo notare sono, ad esempio, l’omaggio galante alla bella donna, con le scene dell’arpa e della danza, intrise di sottile ed elegante erotismo. Gli elementi neoclassici, invece, riguardano lo sforzo costante di nobilitare ogni aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato, attraverso il travestimento grecizzante (i monili sono opera di “scalpelli achei”, le scarpette da ballo sono 57 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com “candidi coturni”, le feste “cori notturni”, gli unguenti “ambrosia recente”, la stanza da letto “arcani lari”). In questa ode ritroviamo anche alcuni temi cari al Foscolo: l’efficacia rasserenatrice della bellezza (vv.9-12), la sua funzione eternatrice, la stessa funzione della poesia, quella sacrale del poeta (che si fa garante dell’eternità dei valori più alti). Per quanto concerne Ugo Foscolo, sono stati molteplici i tentativi interpretativi di tutta la sua produzione, a partire dall’amico Melchiorre Cesarotti, per poi continuare fino ai giorni nostri. Mario Fubini (1928), per quanto riguarda la stagione idealistica di inizio Novecento, vede il centro dell’ispirazione foscoliana non nella “passione irruente”, ma nella “lirica riflessione”, che si attua nella progressiva liberazione dalle passioni e nella conquista di una “contemplazione serenatrice”. Fubini coglie il distacco dalle passioni come momento essenziale dell’opera di Foscolo. Giuseppe De Robertis (1944), invece, compie una critica basata sull’attenta analisi stilistica dell’opera foscoliana. L’esperienza di Foscolo si trasfigura, si annulla nella parola. Nel campo della critica marxista, Marco Cerutti (1969, 1983, 1990) fonde interessi storicosociologici con strumenti di lettura strutturale dei testi. Particolarmente valida, nella lettura di Cerutti, è l’interpretazione del neoclassicismo foscoliano come reazione alla delusione storica patita dall’ideologia giacobina. In modo molto innovativo, Vincenzo Di Benedetto (1990), studia le modalità di riuso dei modelli letterari da parte di Foscolo, sfatando l’idea che il suo classicismo sia tutto orientato verso la Grecia: almeno sino ai “Sepolcri” sono i poeti latini a sostanziare la sua opera, per cui il suo classicismo non appare distinguibile da quello della cultura letteraria del secondo Settecento. 11.4 PAROLE ADOPERATE Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori, inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°: Vincenzo Monti: • • • • • • • • • • Prosopopea di Pericle La bellezza dell’Universo A Sigismondo Chigi Pensieri d’Amore Al sig. di Montgolfier Amor peregrino La Fecondità Sulla morte di Giuda Alla Marchesa Malaspina Bassvilliana 58 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • • • • • • • • • • • • • • • Musogonia Prometeo Le piante che in Giudea Il fanatismo La superstizione Il pericolo Per il Congresso di Udine Dopo la battaglia di Marengo Mascheroniana Nell’anniversario della morte di Luigi XVI Il Bardo Le api panacridi Per un dipinto dell’Agricola Sopra se stesso Le nozze di Cadmio ed Ermione Sulla Mitologia Per l’onomastico della sua donna Ippolito Pindemonte: • • • • • • • • • • • Al cavaliere C. Vennelli A G. Persons Alla Luna Alla salute La melanconia La giovinezza Mattino Mezzogiorno Sera Notte Il lamento di Aristeo Ugo Foscolo: • • Le Odi I Sonetti Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico: 59 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com % NEOCLASSICISMO 1 Cor(e) 2 Bellezza, bel, bella 3 Ciel(o) 4 Morte 5 Amor(e), amoroso/a 6 Sol(e) 7 Dolce(zza), Terra 8 Occhi, Pietà 9 Pianto 10 Petto, Fronte, Vita, Dio X 1000 0,28 0,27 0,25 0,22 0,20 0,19 0,16 0,13 0,12 0,11 2,8 2,7 2,5 2,2 2,0 1,9 1,6 1,3 1,2 1,1 2,2 2,0 1,9 1,6 1,3 1,2 1,1 Sol(e) Dolce(zza), Terra Occhi, Pietà Pianto Petto, Fronte, Vita, Dio Bellezza, bel, bella 2,5 Amor(e), amoroso/a 2,7 Morte 2,8 Cor(e) 10 8 6 4 2 0 Ciel(o) X 1000 FREQUENZE NEOCLASSICISMO Le parole sono quasi tutte quelle adoperate dal Petrarca, che rimane il modello di riferimento princiaple anche per i Neoclassici. È interessante notare che i termini del lessico amoroso, come core, bellezza, amore, occhi, dolcezza, restano nelle prime posizioni, anche se la produzione dei poeti neoclassici non può considerarsi monotematica come quella del Petrarca, che parlava prevalentemente degli <<amorosi affanni>>, dato che contiene anche argomenti ben diversi dall’Amore, come la politica, i temi civili d’occasione, i motivi strettamente mitologici. Tuttavia, nonostante ciò, il lessico resta prevalentemente petrarchesco con una preponderanza dei termini amorosi, dei quali non diminuisce la presenza, ma solamente la percentuale relativa sul totale dei termini. 60 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com IL ROMANTICISMO Con Romanticismo intendiamo, nel nostro studio, il periodo che va dagli inizi dell’Ottocento alla seconda metà dello stesso secolo. Esso viene diviso – tradizionalmente – in due fasi. Poeti come Alessandro Manzoni e Giovanni Berchet si possono collocare in quel periodo storico chiamato “Risorgimento” o “Primo romanticismo” (all’incirca 1816 – 1850); Giovanni Prati ed Aleardo Aleardi, invece, nel “Secondo Romanticismo” o “Tardo Romanticismo” (all’incirca 1850 – 1870), nel quale le istanze ideali del Romanticismo e del Risorgimento si esauriscono progressivamente, fino a diventare stanche e convenzionalmente enfatiche. 12.1 COMPONIMENTI METRICI I metri del Romanticismo segnano una prima differenziazione dalla lirica d’amore tradizionale. Il sonetto continua ad essere adoperato, ma non è più il metro predominante. La canzone cade progressivamente in disuso, poiché il suo posto viene assunto dall’ode, che riprende lo schema della canzonetta settecentesca già adoperata dal Parini; principali schemi: a7b7a7b7 + c7d7c7d7 (a sdrucciola e d tronca), oppure a7b7a7b7c7d7b7d7b7c7 (b sdrucciolo, c tronco), oppure a7b7c7b7d7E (a,c,d sdruccioli). I romantici si servirono proprio di queste odi, che chiamarono inni. Altro metro adoperato è poi l’endecasillabo sciolto, già usato da Parini, Monti, Foscolo. La grande novità è, però, costituita dalla ballata romantica o romanza. Essa consiste in un componimento formato da versi lunghi molto ritmici, come il decasillabo ed il doppio senario (dodecasillabo) o l’ottonario. Le strofe sono, in genere, di 6,7,8 versi talora divisi da rime tronche. Gli anticipatori furono Manzoni (Marzo 1821, La Passione) e Berchet (Il Rimorso, Sorgi Italia) 12.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Il linguaggio e la sintassi dei poeti romantici, pur rimanendo in larga parte nel solco della Tradizione, assumono aspetti particolari. Ad esempio predominano le espressioni enfatiche, il tono passionale, i caratteri forti. Le costruzioni restano, comunque, piuttosto elaborate. Nel Coro di Ermengarda di Manzoni, troviamo un profondo rinnovamento della lirica italiana, che si allontana ora dalle costruzioni mitologiche e dalle nostalgie per l’antico (Neoclassicismo). A differenza della tradizione precedente, che tendeva ad analizzare l’io del poeta, la poesia manzoniana è invece epica e drammatica: ha un taglio eminentemente narrativo, si fonda sulla costruzione di personaggi, sull’analisi di moti interiori non soggettivi, ma di individualità oggettive, e mette in scena conflitti drammatici. Per quanto riguarda Giovanni Berchet, in “Matilde”, lo stile è tipicamente romantico, passionale e diretto, quasi violento in alcuni punti. Gli aggettivi usati sono forti: v.1 riarsa, v.2 stravolti, v.6 atterrita, v.16 aspro, v.23 oppresso, v.28 perfidi, v.36 trepide, v.35 serrate. 61 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Per quello che riguarda le metafore e le immagini adoperate dai poeti del Romanticismo, l’aspetto più importante è il progressivo abbandono della Mitologia classica, che viene sostituita da altre immagini, come quelle della Storia Sacra o di quella contemporanea. Anche le consuete immagini della donna tradizionale (bionda, viso chiaro, oggetto di lodi e di omaggi), ancora in uso nel Neoclassicismo, sono abbandonate per lasciare il posto a descrizioni più realistiche e vive della figura femminile. Ad esempio, nel Coro di Ermengarda, le metafore tipiche della lirica amorosa precedente non sono molte. Infatti l’amore di Ermengarda sarà causa della sua morte, quindi comprendiamo che le immagini sono molto più violente e reali. Ermengarda è pura ed elevata, è estranea ad una realtà retta dalla legge della forza e dell’interesse, e si scontra inevitabilmente con la brutalità del mondo. Ermengarda esprime il ripudio della realtà esclusivamente nel campo privato dei rapporti amorosi. Anch’ella riproduce la figura romantica: raffigura la tipica donna angelo, che, nella sua eterea purezza, non è fatta per reggere l’urto delle passioni terrene, e soprattutto della passione amorosa. Il suo è un amore coniugale, quindi lecito e castissimo, eppure la potenza dell’amore (un “amor tremendo”) è ugualmente “empia” per lei, nel senso che ha pietà della sua fragilità, e con i suoi “terrestri ardori” la sconvolge e la devasta (si notino le forti metafore insistentemente ripetute: ardori, arsi, infocata, vampa assidua, incende, riarde). Nella memoria di Ermengarda, chiusa nel monastero, le immagini del marito sono sempre collegate a immagini di violenza e di sangue: la caccia, il cinghiale trafitto dalla freccia del chiomato sir, che riga la polvere con il suo sangue, mentre la sposa torce il volto pallida d’amabile terror, a l’orrida maglia di ferro che Carlo depone al ritorno dal campo di battaglia. Ermengarda è fatta per i placidi gaudi di un altro amore, quello celeste. Per questo rifugge dal contatto col mondo e si protende verso la sua vera patria che è il cielo. La morte diviene per lei l’unica soluzione al suo conflitto irriducibile con la realtà. Nella morte, oltre alla pace, trova anche quella ideale verginità interiore, che l’urto con la passione terrena aveva contaminato. 12.4 PAROLE ADOPERATE Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori, inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°: Giovanni Berchet: • • Profughi di Parga Clarina 62 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com • • • • • • • • Il romito Cenisio Il rimorso Matilde Il trovatore Giulia La fantasia All’armi, all’armi Saluto a Milano Niccolò Tommaseo: • Poesie Giovanni Prati: • Edmenegarda Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico: % ROMANTICISMO 1 Cor(e) 2 Amor(e), amoroso/a 3 Dolor(e) 4 Ciel(o), Pensier(o) 5 Bellezza, bel, bella - Dio 6 Morte 7 Donna/e, Vita, Terra 8 Fiore 9 Pianto 10 Occhi, Madre X 1000 0,41 0,39 0,25 0,24 0,23 0,21 0,19 0,18 0,15 0,14 4,1 3,9 2,5 2,4 2,3 2,1 1,9 1,8 1,5 1,4 4,1 2,5 2,4 2,3 2,1 1,9 1,8 1,5 1,4 Ciel(o), Pensier(o) Bellezza, bel, bella Dio Morte Donna/e, Vita, Terra Fiore Pianto Occhi, Madre 3,9 Amor(e), amoroso/a Cor(e) 10 8 6 4 2 0 Dolor(e) X 1000 FREQUENZE ROMANTICISMO 63 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com È possibile estendere – a livello di lessico adoperato – le considerazioni già fatte a proposito del Neoclassicismo. In sostanza, la poesia romantica non è più monotematica, come quella della Tradizione e quindi l’Amore non ha più una preponderanza assoluta. Infatti la poesia romantica si concentra su opere di stampo religioso (“Inni sacri”); di stampo tragico; di stampo patriottico e civile. Questo si nota dall’abbassamento delle percentuali relative ai termini amorosi calcolate sul totale della produzione degli autori. Tuttavia, nonostante ciò, le parole adoperate non si discostano molto dal linguaggio di Petrarca, che continua ad essere un solido punto di riferimento per tutti i poeti italiani che vogliono parlare d’Amore. Termini come amore, donna, morte, core, occhi sono ben presenti nelle poesie dei romantici e si riallacciano, ancora una volta, al maestro Petrarca. 64 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA Giacomo Leopardi, da molti considerato un esponente del Romanticismo soggettivo italiano, fu in realtà un poeta classicista, ancorato, da un punto di vista formale, linguistico e stilistico, alla Tradizione. Egli stesso si autodefinì <<scudiero dei classici>> e polemizzò con i Romantici. Quello che lo fa essere moderno è la forza del suo pensiero e il contenuto delle sue riflessioni esistenziali, le quali – per certi aspetti – anticipano tematiche addirittura novecentesche. Eppure quest’uomo geniale visse appartato, in un <<borgo selavaggio>> lontano dalla Civiltà e dall’evoluzione e trovò nel canto lirico il mezzo più idoneo ad esprimere le sue sofferenze interiori ed il suo stato d’animo. Così dice Petronio: <<Mentre il romanzo si stava affermando come il genere più idoneo a cantare l’epopea mentale e sociale del mondo borghese, la lirica celebrava i diritti dell’individuo, la sua vita interiore, le sue ribellioni contro un ordinamento che non gli permetteva di espandersi completamente.>>28 13.1 COMPONIMENTI METRICI La produzione lirica di Giacomo Leopardi è molto ampia: del 1816 le “Rimenbranze” e l’”Appressamento alla morte”. Del 1817 le “Elegie”, una delle quali entrò con il titolo “Il primo amore” nella raccolta definitiva dei “Canti”. Nel ’19 scrisse due canzoni: ”Per una donna inferma di malattia lunga e mortale” e “Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano di un chirurgo”. Del ’18 “All’Italia” alla quale seguirono, fino al ’23, un’altra decina di “Canzoni”. Il genere le ricollega, almeno dal punto di vista tecnico-formale, alla tradizione lirica italiana: sono Canzoni di schema petrarchesco, spesso di ampio respiro, su temi attinti ora dalla cultura classica (“Bruto minore”, “Ultimo canto di Saffo”), ora da fatti moderni rivissuti con spiriti classici (“A un vincitore nel gioco del pallone”), ora dalla tradizione letteraria (“All’Italia”), ora da “occasioni”, sia pubbliche (“Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica”) sia private. In questi testi le strofe sono di uguale lunghezza, anche se di strofa in strofa rime e versi (solo settenari ed endecasillabi) non corrispondono perfettamente. Negli stessi anni compose, intrecciandola con le Canzoni, una serie di sei liriche “L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “Alla luna”, “Il sogno”, “Lo spavento notturno”, “La vita solitaria” - pubblicate nel 1826 con il titolo di “Idilli”. Con gli idilli cadono le costruzioni macchinose della Canzone, con le sue strofe tutte uguali e le sue rime ripetute, e subentrano gli endecasillabi sciolti, trattati con la tecnica dell’enjambement, che permette di rompere la misura uguale, in un intrecciarsi di misure e di ritmi ogni volta diversi. Nel 1825 ebbe inizio in Leopardi un risorgimento sentimentale, che diede luogo ad una seconda grande stagione della poesia leopardiana, nella quale egli compose una serie di 65 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com liriche, che battezzò, come tutte le altre, col termine generico di “Canti”, ma che i critici di stampo tradizionale e crociano hanno chiamato i “grandi idilli”, a indicare il loro riallacciarsi, per l’ispirazione e la poetica, al tono degli “idilli” giovanili: “A Silvia”, “Le ricordanze”, “Il sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il passero solitario”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. In queste poesie Leopardi adotta lo schema della Canzone libera, detta anche leopardiana. In essa le strofe sono di diversa lunghezza, si mescolano versi rimati con versi sciolti, la rima è conservata solo per alcuni versi. L’ultima delle liriche di Leopardi è “La ginestra”, nata dall’incontro tra la stoica accettazione del nostro destino e il senso di fraternità che è nelle parole di Plotino. Per quanto riguarda le liriche d’amore dedicate a Fanny Targioni Tozzetti, ricordiamo: “Il pensiero dominante”, “Amore e morte”, “Aspasia” e “A se stesso”, “Consalvo”. Anche questi ultimi componimenti seguono l’impostazione della Canzone libera. 13.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Il linguaggio di Leopardi è scelto ed aulico, con uso di termini arcaici e dotti (es. veroni per balconi, ostello per casa, famiglia per servitù …). La sintassi è complessa, con periodi ricchi di subordinate e costruzioni latineggianti e in certi casi difficili da risolversi in parafrasi. Analizziamo – a titolo di esempio – “L’infinito”, uno degli idilli in endecasillabi sciolti. La poesia si articola in due momenti, corrispondenti a due distinte sensazioni di partenza. Nel primo momento (vv.1-8) l’avvio è dato da una sensazione visiva, o, per dir meglio, dall’impossibilità della visione. L’impedimento della vista, che esclude il “reale”, fa subentrare il “fantastico”. Quindi, nel secondo momento (vv.8-15), l’immaginazione prende l’avvio da una sensazione uditiva. Da ciò possiamo desumere una lunga serie di simmetrie (a livello fonico, letterario, filosofico, formale e strutturale), ma quella che qui ci interessa studiare è la simmetria sintattica e lessicale. I due periodi in cui sono rese rispettivamente le esperienze dell’infinito spaziale e temporale sono costruiti su due serie analoghe in forma di polisindeto29: interminati spazi (…) e sovrumani silenzi, e profondissima quiete, (…) l’eterno, e le morte stagioni, e la presente, e il suon di lei. La simmetria si rompe sul piano lessicale: nel membro in cui si è resa l’esperienza dell’infinito spaziale si ha la prevalenza di parole molto lunghe: interminati (v.4), sovrumani (v.5), profondissima (v.6); nel membro dedicato all’infinito temporale vi sono invece parole più brevi, al massimo trisillabe (eterno, stagioni, presente): gli arditi polisillabi danno il senso di un’esperienza vertiginosa, che “spaura”, mentre le parole più brevi e consuete corrispondono al distendersi dell’esperienza verso la pace del naufragio dell’io. 28 La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia” di Giuseppe Petronio, PALUMBO Polisindeto (dal greco polys = molto, e syndéo = lego insieme): coordinazione tra più membri sintattici o proposizioni mediante ripetute congiunzioni. Esempio: E mi sovvien l’eterno / e le morte stagioni, e la presente / e viva e il suon di lei. (Leopardi, “L’infinito”, vv11-13). E’ l’opposto di asindeto 8coordinazione dei membri della proposizione o del periodo senza l’uso di congiunzioni). 66 29 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Nel componimento vi è un continuum metrico-sintattico: nessun verso tranne il primo e l’ultimo, è isolabile sintatticamente: il discorso sintattico continua sempre nel verso seguente; di conseguenza, su 15 versi vi sono ben dieci enjambements. La continuità è ribadita, sul piano sintattico, dall’alta presenza di particelle congiuntive, che allacciano i singoli periodi: ma sedendo, ove per poco, e come il vento, e mi sovvien, così tra questa, e il naufragar. La congiunzione e è poi frequentissima anche all’interno dei periodi. L’impressione complessiva che si ricava da queste strutture è di un processo unitario, continuo, che però si articola in momenti ben individuati al loro interno. La poesia è perciò un esempio di perfetta compenetrazione di significante e significato: a una continuità narrativo-psicologica corrisponde la continuità della struttura stilistica. 13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Metafore ed immagini della poesia leopardiana sono tratte in genere o dalla Storia, che si ricollega ai temi civili; o dalla Natura, che fa da cornice ai grandi temi esistenziali. Nelle prime canzoni (scritte dal 1818 al 1823) è presente il patriottismo che, se pur generico, ha una sua intimità, in quanto il lamento sulla decadenza della patria è tutt’uno con il lamento sulla propria giovinezza inoperosa. Questo disagio si alimenta del rimpianto per le grandi età passate, del tormento di stare a Recanati. Negli stessi anni delle Canzoni, Leopardi scrive gli “Idilli”, quelle sei liriche pubblicate nel 1826, in cui sono presenti le stesse ideologie che sorreggono le Canzoni. Ne “L’Infinito” lo stormire delle fronde al vento, nel silenzio della campagna interminata, richiama alla mente <<le morte stagioni>>; ne “La sera del dì di festa” il morire del giorno festivo ridesta <<il suono di qué popoli antichi”, gli avi famosi, e “il grande impero / di quella Roma, e l’armi, e il fragorio / che n’andò per la terra e l’oceàno>>, con un moto sentimentale che Leopardi poteva aver appreso da Ortis meditante sulle Alpi la grandezza passata d’Italia, ma che era comunque legato a tutta la sua concezione della storia. Notiamo una differenza di atteggiamento, da parte di Leopardi, nei confronti delle ideologie, nelle Canzoni e negli Idilli. Nelle prime, il poeta è proteso verso l’esterno, verso gli altri, avendo lo scopo quasi di educare; nei secondi è raccolto in se stesso, nella propria interiorità, a captare, nella comunione con la Natura e con le creature innocenti, il palpito del suo cuore ancora vivo. Negli Idilli, infatti, cadono i temi tratti dalla storia o da vicende esterne, e subentrano temi interiori, derivanti da avvenimenti quotidiani: trovarsi su un colle e avere l’orizzonte limitato da una siepe; ritornare un anno dopo sul medesimo colle; ascoltare nella sera festiva un artigiano che rientra a casa di notte; un sogno; i piaceri della vita solitaria in campagna. Per quanto riguarda ciò che i critici hanno definito i “grandi idilli”, possiamo dire che alla loro base è sempre ossessiva una coscienza amara del nulla che, nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, si espande nella rappresentazione angosciosa dell’uomo che corre verso il nulla e vi precipita e annega. 67 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Queste verità dolorose sono dette con pudore e pacatezza, proprio come ne “Il sabato nel villaggio”, in cui si trova la serenità di un’ora in cui l’uomo guarda alla gioia altrui con la tristezza grave e quasi religiosa di chi sa che tanta festa è illusione. Da parte dei contemporanei, Leopardi riscosse ben poco successo: i classicisti analizzavano l’opera formalmente censurando l’uso dei vocaboli e dei costrutti; i romantici, che non vi trovavano gli ideali patriottici, morali e religiosi a cui si ispiravano nella loro battaglia culturale e politica, non lo apprezzarono. Vincenzo Gioberti fu il primo a sottolineare un conflitto tra “cuore” e “intelletto”, su cui insisteranno tanti interpreti sino a pieno Novecento. Una prima interpretazione critica è di Francesco De Sanctis (1883), che vede il contrasto tra il pensiero pessimistico e gli impulsi generosi del cuore, tesi vero l’ideale. La critica idealistica si concentra soprattutto sul rapporto tra pensiero e poesia. Benedetto Croce (1923), che relega nel “non poetico” tutto ciò che riguarda il pensiero individua la poesia solo nei momenti in cui Leopardi è “congiunto col mondo”, in cui sogna, spera, ama, gioisce. Il resto della sua opera, secondo il critico, è solo effetto di un ingorgo sentimentale, della “vita strozzata del poeta”, che gli impedisce sia l’azione, sia il pensiero, sia la poesia autentica. Karl Vossler (1923), esponente della critica fra le due guerre (che verte sul carattere intimamente religioso della poesia e della visione leopardiane), vede la base della poesia leopardiana in un “occulto fondo religioso”, in cui concordano cuore e intelletto. Questo fondo religioso è una tensione verso l’infinito, ma inteso come il nulla, che, in quanto tale, diventa per Leopardi come una divinità. Il nuovo clima culturale del secondo dopoguerra italiano, segna una svolta netta. E 1947, Water Binni e Cesare Luporini, sostengono: il primo, il carattere anti-idillico della poesia leopardiana; il secondo, sul piano filosofico delinea l’immagine di un Leopardi “progressivo”, di un orientamento democratico e repubblicano, che patisce la “delusione storica” della rivoluzione. Umberto Bosco (1957) si concentra sul motivo non idillico del titanismo. Giovanni Getto (1966) ripropone un’interpretazione di Leopardi in chiave religiosa, insistendo sulla presenza di un “linguaggio dell’assoluto”. Franco Brioschi (1980) studia Leopardi in rapporto alle grandi coordinate culturali del suo tempo, sensismo e Illuminismo, il tramonto del classicismo, la nuova problematicità romantica. Dal punto di vista stilistico, abbiamo molte indagini negli ultimi decenni. Tra le più persuasive si possono citare: Cesare Galimberti (1959), che ha studiato il “linguaggio del vero”; Emilio Bigi (1950 e 1954) che coglie nei “grandi idilli” un atteggiamento di “lucida compassione”, lontana dai fervori e dagli slanci passionali dei primi idilli. Per quanto riguarda la critica psicanalitica citiamo Giovanni Amoretti (1979), il cui studio appare persuasivo nella misura in cui non utilizza il testo come semplice “sintomo” per una diagnosi della psicologia dell’autore, ma si avvale degli strumenti psicanalitici per far emergere un tessuto simbolico, collegandolo con le strutture espressive. 68 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 13.4 PAROLE ADOPERATE Esaminiamo tutto il blocco dei “Canti” di Leopardi, per individuare, in essi, le parole che ricorrono con maggiore frequenza. Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico: % LEOPARDI 1 Morte 2 Cor(e) 3 Amor(e), amoroso/a - Vita 4 Ciel(o) 5 Terra 6 Giorno/i 7 Natura 8 Bellezza, bel, bella - Tempo 9 Petto, Mondo, Età 10 Dolce(zza) X 1000 0,53 0,35 0,32 0,26 0,25 0,24 0,23 0,22 0,17 0,15 5,3 3,5 3,2 2,6 2,5 2,4 2,3 2,2 1,7 1,5 5,3 2,4 2,3 2,2 1,7 Petto, Mondo, Età 1,5 Dolce(zza) 2,5 Bellezza, bel, bella Tempo Amor(e), amoroso/a - Vita Cor(e) Morte 2,6 Natura 3,2 Giorno/i 3,5 Terra 10 8 6 4 2 0 Ciel(o) X 1000 FREQUENZE LEOPARDI Notiamo che anche il linguaggio di Leopardi non si discosta molto, nell’uso delle parole, da quello di Petrarca, che è sempre il modello di riferimento. Vale la pena, tuttavia, di segnalare qualche importante particolarità. Per la prima volta – a partire dai Siciliani – la parola amore (o in alternativa bellezza o core) non occupa il 1° posto che è detenuto dal termine morte (5,3 x 1000). Significativa appare la presenza della parola natura (2,3 x 1000), che rappresenta la grande inerlocutrice del poeta e in un certo senso prende il posto della donna (solo lo 0,6 x 1000 di frequenza). 69 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA La produzione lirica del secondo Ottocento, in Italia, fu alquanto mediocre; inferiore, si potrebbe osare dire, alla prosa narrativa e al teatro. Fortunatamente, Carducci non fece parte di questo quadro assai statico e infelice; la sua figura e la storia della sua opera sono quanto mai importanti a comprendere ancor meglio l’evoluzione culturale ed artistica di quel periodo. 14.1 COMPONIMENTI METRICI “Juvenilia”, “Levia gravia” e “Giambi ed Epodi”, sono le prime tre raccolte poetiche di Giosuè Carducci. Le poesie contenute nelle prime due raccolte furono scritte tra il 1850 e il 1871, e non sono altro che esercizi di apprendistato poetico; si possono quasi definire “lirica di scuola”30; “Giambi ed Epodi” comprende liriche composte tra il 1867 e il 1879. Tutte queste raccolte sono caratterizzate da un classicismo intransigente: le prime due ripropongono metri degli autori della grande tradizione italiana, da Dante a Petrarca sino a Monti e Foscolo; la terza si riferisce alle forme metriche utilizzate dai poeti antichi (Archiloco, Orazio). Nel 1877, Carducci raccolse nelle “Rime nuove” un gruppo di poesie scritte tra il 1861 sino a quella data. Sono poesie in parte nate nello stesso arco di tempo di “Giambi ed Epodi” e delle “Odi barbare”, ma il poeta amava costruire raccolte organiche di liriche sulla base dell’argomento e delle forme metrico-linguistiche. Le “Rime nuove” si rifanno alle forme tradizionali della lirica italiana, usate nel Medioevo, e caratterizzate dall’istituto della rima, ignoto alla poesia classica (con un omaggio “Alla rima” si apre appunto la raccolta). Nel 1877 fu pubblicato un primo libro di “Odi barbare”, in cui Carducci abbandonava i metri tradizionali italiani, cercando di riprodurre quelli classici. Ad esso seguì un secondo libro nel 1882 e un terzo nel 1889. L’esperimento metrico provocò scalpore, ma, a poco a poco, la novità fu accettata, e la metrica “barbara” entrò nel gusto corrente del pubblico. La metrica antica, greca e latina era accentuativa, cioè si basava sulla quantità delle sillabe, lunghe e brevi; era l’alternanza tra brevi e lunghe che creava il ritmo. La Lingua italiana, invece, non fa distinzione fra sillabe lunghe e sillabe brevi, perciò diventa importante la distinzione tra sillabe toniche (accentate) e sillabe atone (non accentate). Tentativi di imitazione dei metri antichi erano stati fatti dagli umanisti fiorentini (Alberti, Dati) ed anche in epoche successive. Essi si basavano sull’attribuzione arbitraria di quantità alle sillabe italiane, per cui i versi composti suonavano strani e deformati (es. un distico di Alberti: quèsta per èstremà, miseràbile pìstola màndo / à te chè sprezzì, mìseramènte noì). Questi esempi non ebbero successo e non furono seguiti. Si cercò allora di sostituire i versi antichi con versi italiani, mettendo arsi e tesi al posto di lunghe e brevi. L’esametro venne reso con 30 La citazione è tratta da “l’attività letteraria in Italia - Storia della letteratura” di Giuseppe Petronio. PALUMBO 70 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com l’endecasillabo sciolto, il senario giambico venne reso con l’endecasillabo sdrucciolo … Chiabrera iniziò ad imitare parecchi sistemi strofici antichi (strofe saffica, strofe asclepiadea, strofe alcaica) usando versi italiani; a lui guardarono tutti coloro che volevano imitare i metri classici, come Rolli, Fantoni, Monti. Quando Carducci uscì nel 1877 con le “Odi barbare” non presentava niente di nuovo rispetto a quanto era già stato fatto dal Settecento in poi. La grande innovazione di Carducci fu il tentativo di imitazione dell’esametro e del distico elegiaco, cercando di riprodurre, con composizione di versi italiani e con l’alternanza arsi – tesi, il ritmo antico accentuativo. Per l’esametro adoperò diverse soluzioni, tra cui un settenario piano + un novenario piano, un senario sdrucciolo + un novenario piano, un ottonario piano + un settenario piano. Per il pentametro usò due settenari piani accoppiati, oppure un quinario piano + un settenario piano. I versi furono definiti <<barbari>>, perché ad un latino sarebbero apparsi approssimativi e poco corretti, quindi scritti da un barbaro. 14.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Il linguaggio di Carducci presenta alcune interessanti particolarità. Da un lato esso è un linguaggio classicheggiante e petrarchesco, che si richiama fortemente alla tradizione letteraria ed accademica. Accanto a questo tipo di linguaggio, che presenta ovviamente una sintassi aulica, fatta di iperbati, subordinate, costrutti latineggiante, coesiste un altro tipo di linguaggio più aderente al quotidiano, nel quale vengono inseriti termini tecnici, tipici della nuova età della II Rivoluzione industriale e dell’evoluzionismo positivista. Per comprendere meglio ciò, possiamo analizzare alcuni componimenti significativi dal punto di vista linguistico. Prendiamo in esame “Fantasia”, componimento che fa parte delle “Odi barbare”: quest’ode, modellata dall’esotismo tipico di Carducci, è pervasa da un gusto fortemente classicheggiante. Infatti il linguaggio è aulico, prezioso, fitto di latinismi (v.1 aura; v.5 occiduo; v.6 cerulee; v.7 augelli; v.9 ardui; v.10 occaso; v.14 nauti) e perfettamente funzionale alla nostalgia esotizzante. Carducci, nelle sue liriche, si esprime in modo solenne; i contenuti sono ricchi di riferimenti storici e culturali; la lingua è quella propria della poesia, senza concessioni a quella del parlato. Prendiamo, ora, in esame “Alla stazione in una mattina d’autunno”, componimento appartenente alle “Odi barbare”. Nonostante il poeta solitamente prediliga un linguaggio aulico e sublime, in questa poesia troviamo un lessico grave, cupo, e in alcuni punti, fortemente aspro. Tutto ciò, ovviamente, ha una corrispondenza nel contenuto, in quanto il poeta accompagna alla stazione la donna amata (Lina Cristofori Piva, nella poesia Lidia), che si allontana da lui. Quasi tutto il componimento verte quindi sulla descrizione del paesaggio urbano, contrassegnato tra l’altro da pioggia, fango e oscurità; conseguentemente le parole adoperate hanno caratteri foschi: v.2 accidiosi; v.4 fango; v.6 plumbeo; vv.8,52 fantasma; v.10 foschi; v.11 ignoti dolori; v.12 tormenti; v.18 incappucciati di nero; vv.19,58 ombre; 71 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com v.21 lugubre; vv.23,60 tedio; vv.29,33 mostro; v.30 metallica anima; v.31 fiammei occhi; v.31 buio; v.36 tenebra; vv.49,58 caligine. Solo dal verso 37 al verso 48 e nella quarta strofa, dove abbiamo il riferimento a Lidia, il linguaggio cambia, diviene più dolce e malinconico: v.15 begli anni; v.16 istanti gioiti; v.37 viso dolce; v.37 pallor roseo; v.38 occhi di pace; v.38 candida; v.39 floridi; v.40 pura; v.40 soave; v.44 luminoso; v.46 aureola; v.47 belli; vv.43,47 sole; v.48 gentile. In questi versi luminosi, come anche in quelli più cupi e lugubri, si nota senza esitazione il gusto classico che caratterizza la poetica carducciana; ma nei versi dedicati a Lidia, ancor di più, si ritrova la tradizione classica della lirica d’amore italiana. È inoltre evidente l’uso di termini mediati dal linguaggio tecnico, che richiamano la cultura progressiva del Positivismo; ad esempio: fanali (v. 1), vaporiera (v.6), lanterna (v. 19), mazze di ferro (v. 20), sportelli (v. 25). Tutto ciò porta ad una sletterarizzazione e ad una smitizzazione del lessico poetico, come ha ben notato il Ceserani. È tuttavia parimenti vero che coesistono anche termini classici al posto di oggetti moderni, come, ad esempio, tessera (v. 13) per biglietto, caligine (vv. 49,58) per nebbia, mostro (vv. 29, 32) per treno; il che mantiene alto il tono del componimento e lo colloca in un’aura di classicismo letterario. 14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Le metafore e le immagini della poesia di Carducci sono di diverse tipologie. Possiamo individure le principali: 1) Immagini classiche. Carducci è senz’altro un classicista e nelle sue poesie compaiono inevitabilmente riferimenti alla mitologia e al Mondo antico, greco e latino. 2) Immagini storiche. In molte sue liriche il poeta descrive memorie storiche. Il periodo preferito è il Medioevo dei Comuni, considerato un’epoca positiva, poiché segna l’inizio del processo di formazione degli Stati nazionali. Altre immagini sono tratte dalla Storia del Risorgimento e della Rivoluzione francese. 3) Immagini paesaggistiche. Il paesaggio in Carducci assume una valenza fondamentale; soprattutto nelle “Rime nuove” compaiono ricordi autobiografici e sono molte le descrizioni della Natura. Si tratta di un paesaggio che è stato definito <<solare>>, per la presenza di colori come il rosso, il giallo, il verde. Accanto ad essi vi è però la presenza di toni cupi, rappresentati dal buio, dall’ombra, dal nero, che fanno da contrasto ai precedenti motivi cromatici. Analizziamo “Idillio maremmano”, componimento contenuto nelle “Rime nuove” formato da terzine di endecasillabi. Esso è un tipico esempio della tematica autobiografica della poesia carducciana, in modo particolare per il ricordo della giovinezza. Il discorso poetico è giocato su un motivo leopardiano: l’immagine di una donna amata in gioventù che riaffiora alla mente 72 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com attraverso la memoria (si ricordino Silvia e Nerina per Leopardi). Si possono trovare dei riferimenti ben chiari ai testi di Leopardi: v.7, Ove sei?: “Le ricordanze”, Ove sei, che più non odo / la tua voce sonar… (vv.144145); v.8, Non passasti: “Le ricordanze”, Passasti, (v.149); v.8-9, Natio borgo: “Le ricordanze”, Natio borgo selvaggio (v.30); v.50, E verdi quindi i colli e quindi il mare: “A Silvia”, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte (vv.25); vv.17-21, le rime in -ivi, uscivi … aprivi: “A Silvia”, fuggitivi … salivi (vv.4-6). Ma il motivo è espresso con un tono totalmente diverso da quello di Leopardi, si potrebbe pensare ad un voluto rovesciamento. Prima di tutto si noti la fisicità e sensualità delle immagini, ben diversa dal “vago” e “indefinito” di Leopardi: il raggio d’aprile “roseo”, l’occhio “azzurro”, il “biondeggiante or” delle spighe, la chioma “flava”, l’estate che “fiammeggia”, i “verdi” rami, il melograno che scintilla “rosso”, i colli “verdi”. Anche il simbolo femminile ha un significato antitetico a quello leopardiano: in Leopardi è la fanciulla morta giovane che, senza giungere a vedere il “fior degli anni suoi” e senza poter godere delle gioie dell’amore (la cui sorte testimonia il destino delle creature vittime della crudeltà della natura), nega ogni felicità; in Carducci è, invece, un’immagine di femminilità matronale, florida e opulenta (il fianco “baldanzoso”, il seno “restio” ai “freni del vel”, su cui l’occhio del poeta indugia con scoperto compiacimento), che allude ad un’esistenza sana e forte, ricca di gioie anche fisiche (“troppa gioia d’amplessi al marital desio”), a cui si collegano i valori della famiglia (i “forti figli” che pendevano dalla sua “poppa”, ed ora balzano arditi in groppa ai cavalli): la vita semplice della campagna e la famiglia sono i valori che qui Carducci intende celebrare.. 31 La storia della critica carducciana inizia con un volume di Enrico Thovez, “Il pastore, il gregge e la zampogna” (1909); il giudizio che ne emerge è limitativo: rispetto all’apice letterario a cui era arrivato Leopardi, Carducci segna un passo indietro verso forme letterarie ormai superate. Benedetto Croce (1910), invece, rivalutò molto la poetica carducciana: anche se ammette certi momenti di “non-poesia” (per il prevalere di motivi praticistici, polemici e pedagogici), il critico indica la più alta realizzazione della poesia del Carducci in quella storica, nutrita di passione etica e civile, che diviene poesia epica. Croce individua nella poesia carducciana “l’ultima e classica grande poesia italiana”. Da un punto di vista più moderno, Domenico Petrini (1927) vede nello svolgimento della lirica carducciana una dissoluzione del mondo romantico e una ricerca di pure forme musicali e coloristiche. Mario Praz (1940), dall’alto della sua inarrivabile conoscenza delle letterature romantiche europee, vede nel “classicismo” carducciano un’espressione di “nostalgia” tutta romantica per l’antico, sentito come paradiso di bellezza definitivamente perduto nel presente squallido dominato dalla società industriale. 31 L’analisi del testo è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo- Dalla Scapigliatura al Verismo” di G. Baldi, S. Giusso, M, Razetti, G. Zaccaria, PARAVIA 73 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Natalino Sapegno (1949) dà un giudizio severo di Carducci, vedendo il momento poetico più felice nei “Giambi ed Epodi”, nell’impeto polemico della passione politica e sociale, e nel movimento nostalgico verso un’infanzia selvaggia e ribelle. Alla decadenza ideologica corrispose anche quella poetica: assumendo posizioni conservatrici, si ripiegò sull’eleganza formale. Luigi Russo (1955 e 1957), insiste su un Carducci “funebre”, cantore nostalgico di eroici mondi perduti. Nel trentennio successivo, sino ai giorni nostri, Carducci non ha più suscitato vivi interessi critici; è questo un segno di come Carducci non sia più sentito un poeta attuale, forse si vede in lui l’ultimo rappresentante della classicità. 14.4 PAROLE ADOPERATE Per individuare le parole maggiormente adoperate dal Carducci abbiamo analizzato le raccolte “Rime nuove”, “Odi barbare”, “Rime e ritmi”. Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze: % CARDUCCI 1 Sol(e) 2 Bellezza, bel, bella 3 Amor(e), amoroso/a 4 Ciel(o) 5 Cor(e) 6 Morte 7 Bianca/o 8 Fiore 9 Occhi, Canto, Verde/i 10 Mar(e), Ombra/e X 1000 0,48 0,36 0,33 0,28 0,27 0,26 0,23 0,21 0,18 0,17 4,8 3,6 3,3 2,8 2,7 2,6 2,3 2,1 1,8 1,7 4,8 2,7 2,6 2,3 2,1 1,8 1,7 Bianca/o Fiore Occhi, Canto, Verde/i Mar(e), Ombra/e Amor(e), amoroso/a 2,8 Morte 3,3 Cor(e) 3,6 Bellezza, bel, bella Sol(e) 10 8 6 4 2 0 Ciel(o) X 1000 FREQUENZE CARDUCCI Rispetto agli altri poeti analizzati fin qui troviamo alcune interessanti novità. Sicuramente anche per Carducci vale il discorso della corrispondenza con il lessico petrarchesco. In effetti la base del suo linguaggio è ancora quella mutuata dal Petrarca. Parole come core, amore, bellezza, morte, cielo compaiono in larga misura nei due poeti. Tuttavia 74 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com sono ravvisabili alcuni fattori di interesse. Primo fra tutti la presenza di termini che indicano la solarità, cioè parole riferite a colori accesi e luminosi. Troviamo, infatti, sole (4,8 x 1000), bianco (2,3 x 1000), verde (1,8 x 1000) tra le prime dieci parole, e rosso (1,0 x 1000) al 14° posto. Accanto a queste parole vi sono poi termini che evocano la cupezza e la tristezza, come morte (2,6 x 1000), ombra (1,7 x 1000), tra le prime dieci parole, e nero (1,6 x 1000) all’11° posto. È comunque azzardato affermare che il lessico carducciano sia innovativo. Esso continua a seguire la Tradizione e si colloca nel Classicismo, che contraddistingue gran parte della lirica italiana e le sue basi linguistiche e lessicali. A conclusione dell’analisi della lirica d’Amore del periodo che va dal Quattrocento all’Ottocento, che ha costituito la base della seconda parte del mio lavoro, ritengo utile fornire, per tutti i principali termini adoperati dai vari poeti, il coefficiente di correlazione r rispetto a Petrarca. Esso è un valore statistico, che indica quanto un insieme di valori sia dipendente – e cioè correlato – con un altro insieme, ed è calcolato con la formula matematica: r = S(xy) / S(x) . S(y) , dove S(xy) rappresenta la così detta covarianza tra i due insiemi di dati, e S(x) . S(y) rappresentano le deviazioni standard dei due insiemi. Il coefficiente di correlazione così calcolato assume un valore tra – 1 e + 1; nel caso di valore 0 significa che non esiste correlazione, mentre un valore vicino a + 1 significa che la correlazione è molto alta. Eseguendo i calcoli rispetto a Petrarca i coefficienti di correlazione risultano i seguenti, che raccogliamo in un grafico: COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA 1 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 Carducci Leopardi Romantici Neoclassici Arcadia Antimarinisti Marinisti Petrarchisti Poeti del Quattrocento L’aspetto che più ci colpisce è la forte correlazione delle varie correnti poetiche con la poesia di Petrarca. Nonostante il periodo interessato sia di oltre cinquecento anni, il coefficiente di correlazione resta abbastanza stabile e non scende mai sotto il livello dello 0,70. Dobbiamo, inoltre, tenere presente il fatto che da Petrarca ai secoli successivi la tematica della lirica – precedentemente incentrata quasi esclusivamente sull’Amore – si allarga ad altri argomenti, come la politica, l’analisi introspettiva, la Natura, la Storia, le 75 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com tematiche civili … Questo fattore fa abbassare le percentuali di frequenza dei termini del lessico amoroso, dato che il calcolo – come si è più volte specificato – è stato fatto sul complesso della produzione poetica degli autori. Conseguentemente, anche il coefficiente di correlazione tende ad abbassarsi progressivamente, man mano che viene meno il monopolio monotematico dell’Amore. Per rendere la nostra analisi più completa, possiamo riprendere anche le correnti poetiche che precedono Petrarca, e calcolare il coefficiente di correlazione di queste rispetto a Petrarca, che avrà ovviamente coefficiente uguale ad 1,0. Il grafico che emerge è il seguente: COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA 1 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 Carducci Leopardi Romantici Neoclassici Arcadia Antimarinisti Marinisti Petrarchisti Poeti del Quattrocento PETRARCA Dante Stilnovisti Toscani Siciliani È molto interessante notare che il cambiamento più radicale nel linguaggio della lirica d’Amore avviene con il Dolce Stil Nuovo (r = 0,74 rispetto a Petrarca). Il linguaggio stilnovista è sostanzialmente recepito da Dante e da Petrarca, che provvede ad integrarlo, facendone il linguaggio ufficiale della lirica d’Amore italiana fino a tutto l’Ottocento. Bisognerà attendere l’epoca successiva, e cioè il Novecento, per assistere al declino del Magistero petrarchesco ed alla nascita di un nuovo linguaggio della lirica d’Amore. 76 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com PARTE TERZA (Il Novecento) Con il Novecento si inaugura una nuovissima stagione letteraria. Per ciò che concerne la lirica, possiamo dire che tenta sempre più di allontanarsi dai condizionamenti della metrica e della rima. Dapprima le forme metriche vengono formalmente mantenute, ma il poeta tende a scardinarle dall’interno, come nel caso di Pascoli, apportando anche alcune innovazioni. Da questo punto di vista Pascoli può definirsi un grande innovatore, in quanto utilizza versi classici, ma scarsamente presenti ed inconsueti nella poesia italiana, quali il quinario, il ternario, il novenario. L’adozione del verso libero, che caratterizzerà tutto il Novecento, rappresenta la rottura più significativa con tutta la tradizione lirica precedente. Con il verso libero, introdotto da D’Annunzio, il poeta dà voce ad un suo ritmo interiore; la lirica di questo periodo, quindi, va incontro alle esigenze di libertà e di individualismo che erano sorte. In questo senso D’Annunzio può essere definito un <<innovatore ed un precursore>> Nel periodo tra le due guerre giungono ad una piena maturazione queste tendenze liriche: Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), con le due prime raccolte poetiche Il porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi, porta alle estreme conseguenze l’innovazione del verso libero, sperimentandone le più ampie possibilità, fino a ridurlo all’unicità della singola parola. Distrugge la metrica tradizionale e si concentra sull’aspetto interiore, arrivando alle soglie di una poesia metafisica. Introduce il procedimento sempre più rarefatto ed essenziale dell’analogia, che si propone di cogliere l’essenza delle cose attraverso folgorazioni o illuminazioni improvvise. L’esperienza ungarettiana si può definire d’avanguardia, diversamente da quelle di Montale e Saba, che tentano soluzioni di compromesso, tra le avanguardie e la tradizione. Per quanto concerne Gozzano, invece, abbiamo sostanzialmente alcuni aspetti innovativi, anche dal punto di vista linguistico, ma molti aspetti restano legati alla Tradizione. 77 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com GIOVANNI PASCOLI 15.1 FORME METRICHE I componimenti poetici di Pascoli fanno parte di alcune raccolte redatte da lui stesso. Sarebbe fuorviante tentare di riprodurre un’evoluzione interna della sua poesia tenendo in considerazione l’ordine cronologico di queste raccolte, in quanto il loro ordine di uscita non coincide con quello della composizione dei singoli testi. Tra il 1891 e il 1911, quando il poeta redige queste raccolte, lavora contemporaneamente a vari generi poetici, con tematiche e stili compositivi anche molto lontani fra loro. Quindi, possiamo asserire che la distribuzione nelle varie raccolte non obbedisce all’ordine cronologico di composizione, quanto a ragioni formali, stilistiche e metriche. La poesia di Pascoli è sostanzialmente sincronica: sono ovviamente riconoscibili arricchimenti e approfondimenti di temi, mutamenti di soluzioni stilistiche nel corso del tempo, ma svolte veramente radicali, che possono legittimamente far parlare di fasi diverse e distinte, non possono essere individuate. 32 Le raccolte sono: Myricae (1892), Primi poemetti (1897), Odi e inni (1896), Poemi del risorgimento (1910-12), Poemi conviviali (1904), Nuovi poemetti (1909), Canti di Castelvechio (1903), oltre a Poesie varie che raccolgono liriche giovanili o disperse. Nella prima raccolta, Myricae, sono presenti prevalentemente componimenti molto brevi, che all’apparenza si presentano come piccole descrizioni di vita campestre con uno stile molto vicino al gusto impressionistico. Compaiono qui quelle soluzioni formali che costituiscono la profonda originalità della poesia pascoliana: l’insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico dei suoni, l’uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. Pascoli sperimenta anche una varietà di combinazioni metriche inedite, utilizzando in genere versi brevi, in particolare il novenario, un verso poco frequente nella tradizione italiana. Diversi sono i Poemetti, divisi nelle due raccolte Primi poemetti e Nuovi poemetti: sono componimenti più lunghi di quelli di Myricae, che spesso sembrano veri e propri racconti in versi. Anche la struttura metrica cambia: ai versi brevi subentrano, di regola, le terzine dantesche, raggruppate in sezioni più o meno ampie. I Canti di Castelvecchio sono definiti dal poeta stesso, nella prefazione, “myricae”, quindi si propongono intenzionalmente di continuare la linea della prima raccolta. I componimenti ritornano ad essere più brevi. I Poemi conviviali assumono un carattere estetizzante e quindi il linguaggio e il metro aderiscono alla tradizione classicista. A questa raccolta possiamo accostare i Carmina latini : trenta poemetti e settantuno componimenti più brevi scritti da Pascoli per il concorso di poesia latina di Amsterdam, per i quali, dal 1892, egli ottenne molte volte la medaglia d’oro. 32 Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” vol. F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria. PARAVIA 78 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Per Pascoli il Latino non è una lingua morta e un puro esercizio erudito di riproduzione dei moduli espressivi fissati dagli esercizi antichi, ma è una lingua intimamente rivissuta, che rivela profonde affinità col linguaggio delle poesie italiane, soprattutto nel suo ritmo spezzato, che appare lontano dall’armonia del latino classico. Nelle forme metriche, come nei ritmi e nella lingua che vedremo in seguito, Pascoli attua uno scardinamento: metri come la terzina dantesca, versi ormai obsoleti come il novenario e il decasillabo, vengono adoperati da lui in modo del tutto personale, con slittamenti di accenti e innovazioni di ritmi che li rendono irriconoscibili. Per quanto riguarda le rime sono presenti rime ipermetre (per es. far rimare invito con gomitoli, non calcolando quindi l’ultima sillaba che resta fuori del conto); rime spezzate (dove la parola-rima è spezzata alla fine del verso e una sua parte è rigettata in quello seguente: ciondo/ loni fatto rimare con biondo; rime rigettate da un verso all’altro: piana/ mente gemendo. 15.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Come abbiamo già detto, le soluzioni formali di Pascoli sono fortemente innovative. La sintassi è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principali, coordinate e subordinate (tale era ancora la sintassi carducciana, e continuava ad essere quella del D’Annunzio più aulico): nei suoi testi poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione, di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici fra di loro, spesso collegate non da congiunzioni ma per asindeto. Di frequente, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi e aggettivi). La frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. E’ una sintassi che traduce perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione “fanciullesca”, alogica, che mira a rendere il mistero, l’alone indefinito che circonda le cose, a scendere intuitivamente nel profondo della loro essenza, e quindi svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali, grande e piccolo, importante e meno importante, centrale e periferico. 33 La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambements, che spezzano sintagmi strettamente uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo. Per comprendere meglio tutto ciò, analizziamo Digitale purpurea, componimento raccolto nei Nuovi poemetti (metro: terzine dantesche a rime incatenate - ABA, BCB, ecc.). Sin da una prima lettura si può notare la frantumazione dell’asse sintagmatico del racconto, che non segue un ordine cronologico di successione degli eventi, ma è continuamente interrotto da anacronie34: comincia al presente, fa rivivere il passato come un flash-back, torna al presente del colloquio fra le due amiche, per risalire infine al passato con la rievocazione 33 Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” Vol.F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria, PARAVIA 34 “anacronia” (dal greco anà, indietro, di nuovo, e chrònos, tempo). Nel racconto, la rottura della successione cronologica dei fatti, per cui vengono raccontati dopo fatti avvenuti prima di altri, o viceversa. 79 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com dell’esperienza trasgressiva del fiore velenoso. Anche la struttura sintattica è fortemente frantumata, discontinua. Le frasi sono brevi e interrompono continuamente il discorso in unità a sé stanti. I puntini di sospensione contribuiscono ulteriormente a questa frantumazione (v.10 così dolci al cuore …; v.15 con quel fiore, fior di …; v.9 da tastiere appena tocche… ; v.15 (perché mai) piangete?… ), così come la lunga parentesi di quasi tre versi, che in chiusura allontana con una forte sospensione la confessione suprema, si muore!. I versi sono continuamente interrotti al loro interno da forti pause; a ciò si uniscono i numerosissimi enjambements. Per quanto riguarda il linguaggio, fu ancora più innovativo: accanto all’uso della lingua attinta dai classici, vi è l’uso di dialettismi e di parole tratte dal gergo (riferentisi alla realtà campestre), di onomatopee, di una terminologia botanica ed ornitologica (ad indicare le infinite varietà di alberi, fiori, uccelli che popolano i suoi versi). Il lessico adoperato da Pascoli è formato da numerosi codici linguistici, e si contrappone quindi a tutta la tradizione monolinguistica della precedente tradizione poetica italiana. 15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE Pascoli fa molto uso del linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora, e cioè la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha col primo un rapporto di somiglianza. Ma l’analogia pascoliana, come quella dei simbolisti, accosta in modo sorprendente due realtà fra loro remote, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso dell’immaginazione. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia, che fonde insieme diversi ordini di sensazioni (per esempio si possono trovare sensazioni visive e cromatiche, fuse con una sensazione fonica). Analizziamo Il gelsomino notturno, componimento con metro di quartine di novenari a rime alternate (abab). Per quanto riguarda il repertorio di immagini, possiamo esaminare quelle legate alla morte, quelle legate al “nido” e quelle legate all’amore. La tragedia familiare del poeta, che ha distrutto il suo “nido”, lo ha bloccato alla condizione psicologica infantile, impedendogli di uscirne. I morti continuano a rivivere nel suo personale nido di bambino, che Pascoli sembra voler proteggere da qualsiasi ingerenza esterna quale l’amore. Ecco allora l’alternanza tra le immagini mortuarie e quelle del fiore che invita all’amore (vv.1-2 E s’aprono i fiori notturni, / nell’ora che penso a’ miei cari; vv.9-10 Dai calici aperti si esala / l’odore di fragole rosse / … Nasce l’erba sopra le fosse). Uscire, legarsi alla donna, riprodursi, sarebbe un tradimento ad un legame sacro ed inviolabile con il “nido”. Quel nido rappresentato dalle seguenti espressioni: v.7 sotto l’ali dormono i nidi; v.14 le api chiuse nelle loro celle; vv.15-16 la Chiccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle. 15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE Benedetto Croce, che dedicò al Pascoli un saggio nel 1907, diede un giudizio negativo. Infatti, secondo il filosofo, l’opera pascoliana era priva di unità, la poesia si presentava solo in brevi 80 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com frammenti ed era di ispirazione sostanzialmente idillica, quindi ristretta e limitata. Oltre al giudizio estetico - formale, Croce diede anche un giudizio morale, condannando quella che riteneva la "malattia" romantico – decadente; quindi la morbosità, il vago misticismo, il vagheggiamento del mistero e della morte del Pascoli furono categoricamente ripudiati. Ricerche più recenti, nel secondo dopoguerra, hanno sottolineato il valore anticipatore della poesia di Pascoli. Pier Paolo Pasolini (1955), ad esempio, afferma che <<la lingua poetica di questo secolo è tutta uscita dalla sua, pur contraddittoria e involuta, elaborazione>>. Il grande filologo e critico Gianfranco Contini (1955) analizza da un punto di vista linguistico le opere di Pascoli, sostenendo che accanto alle forme normali (grammaticalmente strutturate), compare un linguaggio “pregrammaticale” (onomatopee) e un linguaggio “postgrammaticale” (le lingue speciali e dialettali), e conclude che, se il linguaggio normale implica l’avere chiara e precisa l’idea del mondo, un linguaggio eccezionale come quello di Pascoli implica un rapporto io - mondo molto critico. Per quanto riguarda la metrica, Emilio Bigi (1962) ha messo in luce come versi e strofe di impianto tradizionale siano solo un primo piano, superficiale, al di sotto del quale se ne colloca uno più segreto, attraverso il quale si esprime la voce del “fanciullino”, che spezza le strutture in echi musicali, pause, enjambements. Per ciò che concerne la lettura psicanalitica, Giorgio Barberi Squarotti (1956) individua il nucleo fondamentale di tale poesia nell’immagine del “nido”, chiuso al mondo esterno, geloso e protettivo, che sottintende il ripudio di qualsiasi rapporto sociale e una riduzione ai puri legami del sangue, oscuri e viscerali. 15.5 PAROLE ADOPERATE Riguardo alle parole adoperate nelle sue poesie, il Pascoli rappresenta una grandissima novità rispetto alla tradizione. Con lui viene meno il predominio del lessico petrarchesco, che aveva dominato pressochè incontrastato il linguaggio della lirica italiana dal Trecento all’Ottocento. Per renderci conto della grande innovazione pascoliana, possiamo – come già fatto per tutti gli altri autori e/o periodi – individuare le dieci parole maggiormente adoperate. Per questo scopo abbiamo analizzato le raccolte “Myricae”, “Canti di Castelvecchio”. Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze: PASCOLI 1 Ciel(o) 2 Morte 3 Cor(e) 4 Ombra/e 5 Nero 6 Bianca/o 7 Notte 8 Occhi, Giorno/i 9 Madre 10 Mano/i, Voce % 0,35 0,28 0,27 0,26 0,25 0,22 0,19 0,184 0,177 0,174 X 1000 3,5 2,8 2,7 2,6 2,5 2,2 1,9 1,8 1,8 1,7 81 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 2,7 2,6 2,5 2,2 1,9 1,84 1,77 1,74 Nero Bianca/o Notte Occhi, Giorno/i Madre Mano/i, Voce Ciel(o) 2,8 Ombra/e 3,5 Cor(e) 10 8 6 4 2 0 Morte X 1000 FREQUENZE PASCOLI È chiaramente evidente un forte scostamento dalla Tradizione classicista e petrarchista. Alcune delle parole chiave di Petrarca, come amore, bellezza, dolcezza, donna, sole non compaiono in Pascoli nei primi dieci termini fondamentali, ed anzi hanno basse frequenze nelle sue Opere. Ad esempio amore ha una frequenza dello 0,5 x 1000; bellezza dell’1,5 x 1000; dolcezza dell’1,7 x 1000; donna dello 0,2 x 1000 e sole dell’1,6 x 1000. Significativo il fatto che le prime parole che compaiono nella lista delle preferenze siano cielo (3,5 x 1000) e morte (2,8 x 1000), quasi a sottolineare la personalità fortemente turbata del poeta, che pone al centro del suo <<Io>> la morte ed il cielo, che è un simbolo della vita ultraterrena e del contatto con l’aldilà. Certamente per Pascoli – a differenza del Carducci – i morti costituivano un’inquietante presenza, con la quale la persona viva doveva comunque relazionarsi e fare i conti; basti vedere le numerose poesie pascoliane, che parlano della morte, o hanno richiami ai defunti; per fare solo qualche esempio: Il Gelsomino notturno (v. 2 nell’ora che penso ai miei cari); L’assiuolo (v. 21 e c’era quel pianto di morte); Novembre (v. 11-12 … È l’estate, / fredda, dei morti). Possiamo ora calcolare l’indice di correlazione r tra Pascoli e Petrarca; esso ci fornisce il seguente dato: r = 0,56: un risultato che, pur confermando ancora una certa analogia con il lessico petrarchesco, segna indubbiamente una rottura rispetto al passato, dal momento che, secondo i nostri calcoli, da Petrarca in poi il valore di r rispetto a Petrarca non era mai sceso sotto lo 0,70. 82 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com GABRIELE D’ANNUNZIO 16.1 FORME METRICHE La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio è formata da una serie di numerosi scritti, sia lirici, sia narrativi, sia teatrali, sia ancora autobiografici e della memoria. Ma ciò che più ci interessa, in questo lavoro, è la sua produzione lirica: Primo vere, 1879; Canto novo. Intermezzo di rime, 1884; L’Isotteo, 1886; Elegie romane, 1887; Poema paradisiaco, 1891; Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi (I Maia, 1903); II Elettra, 1903; III Alcyone, 1904; IV Le canzoni delle gesta d’oltremare, 1912). Nelle prime raccolte D’Annunzio adotta diverse soluzioni metriche, rifacendosi alla tradizione ed anche ai metri barbari di Carducci. Le Laudi facevano capo ad un progetto che prevedeva sette libri, ognuno intitolato con il nome di una stella della costellazione delle Pleiadi. Il primo libro, Maia, non è una raccolta di liriche, bensì un lungo poema unitario di oltre ottomila versi, in cui D’Annunzio adopera subito una novità formale, cioè il verso libero, distaccandosi completamente dagli schemi tradizionali. Nel secondo libro, Elettra, buona parte del volume è costituito da liriche sulle Città del silenzio (le città italiane, ora lasciate ai margini del progresso e della vita moderna). Il terzo libro, Alcyone, quello che analizzeremo più approfonditamente, è apparentemente molto lontano dai due precedenti. Al discorso politico e celebrativo, si sostituisce il tema del panismo, ossia la fusione uomo - natura, natura - uomo. Le ottantotto liriche seguono un disegno organico, ma diverso è l’ordine cronologico di composizione. Analizziamo le forme metriche di alcune di esse. La pioggia nel pineto, è una poesia strutturata in quattro strofe di trentadue versi liberi (quinari, senari, settenari, ottonari, novenari …) con un irregolare ricorrere di rime ed assonanze. Spesso, per effetto del libero gioco delle rime e delle assonanze, la misura massima del novenario tende a frangersi nelle misure minori di un senario e un ternario, o anche di tre ternari. Talvolta, invece, “la lettura continua, anche senza praticare sinalefe al confine, di due versi di seguito, restituisce (…) l’endecasillabo”. Ne consegue <<la possibilità continua di doppie letture ritmico - metriche, suggerite rispettivamente dalla partizione esteriore in versi e dalla possibilità di scomposizione e ricomposizione degli stessi secondo misure meno esteriormente suggerite” (P.V. Mengaldo)>>35. Ma osserviamo la struttura delle rime (spesso ricche), e delle assonanze (ora fitte ora rade all’interno delle varie strofe). <<Va osservato che ogni finale di verso trova una o più corrispondenza di rima (o assonanza) entro il gruppo; quando ciò sembra non accadere, in realtà si ha una rima interna (vv.4-7 lontane / umane; vv.41-43 canto / pianto e viceversa ai vv. 69-71 dita / vita), in tutti i casi determinando un ternario interno o alla rima>> (G. Contini)36. In questa poesia è stato scorto il parallelismo con il concerto di una sinfonia. “La partitura musicale della poesia è costruita con strumenti sofisticatissimi. (…) Si 35 36 “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982 “Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Rocoroni. I edizione Oscar Mondadori del 1982 83 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com succedono versi brevi, senari, settenari, ottonari, novenari, ma persino versi trisillabi, composti da una sola parola (lontane, divini, silvani, leggeri, ..). Questa estrema frammentazione dei versi ha una valore iconico, cioè tende a riprodurre la pluralità innumerevole di presenze e di voci che si affollano nella pineta sotto le fitte gocce di pioggia. (… ) Il ritmo del discorso permette però di ricostruire speso un’altra trama metrica sotterranea e dissimulata sotto la prima. (…). Altro strumento per eccellenza del virtuosismo musicale di D’Annunzio è la rima, che ricorre anch’essa molto liberamente, senza alcuno schema fisso. Particolarmente musicali risultano le coppie di versi a rima baciata (vv.21-22 silvani / mani; vv.25-26 leggeri / pensieri; vv.28-29 novella / bella, vv.35-36 verdura / dura; vv.45-46 cinerino / pino; vv.61-62 ginestre / terrestre; vv 91-92 lontana / rana). (…) Alla qualità musicale del discorso poetico dà un contributo fondamentale anche la modulazione fonica. Basti osservare la variazione tra i toni chiari della a e i toni cupi delle o toniche in questi versi: vv.37-38-39 e varia nell’aria / secondo le fronde / più rade men rade, che pare quasi avere un’intenzione mimetica della varietà dei suoni delle gocce sulle foglie>> 37. 16.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI Come abbiamo già detto, il nucleo fondamentale del libro Alcyone rappresenta la fusione panica con la natura, che si esprime attraverso un atteggiamento di evasione e contemplazione. Il libro è il diario di un’ideale e vagheggiata vacanza estiva, dai colli fiesolani alle coste tirreniche tra Marina di Pisa e la Versilia. L’io del poeta si identifica con le varie forme della natura, animali, vegetali, minerali. C’è una ricerca sottile della musicalità, che tenta di dissolvere la parola in sostanza fonica e melodica, con l’impiego di un linguaggio analogico, che si fonda su un continuo gioco di immagini tra loro rispondentisi. Solo la parola magica del poeta - superuomo, creatura d’eccezione, quasi un vate, può capire ed esprimere l’armonia intrinseca e segreta della natura, e così rivelare l’essenza vera delle cose.. D’Annunzio trasfigura musicalmente le parole, generando poesie che fondono in modo irripetibile realtà e sogno. Prendiamo per esempio Bocca d’Arno, una poesia formata da cinque strofe di undici versi ciascuna (endecasillabi con qualche settenario e quinario). Bocca d’Arno è la foce dell’Arno sul lido di Pisa; il poeta, con un pretesto meramente verbale, trasforma la la foce dell’Arno nella bocca della donna amata, le onde del fiume teorie di angeli danzanti, le reti pensili dei pescatori calici di immensi fiori favolosi; ed egli si perde insieme alla donna amata, in un’adorante contemplazione creatrice di prodigi. Il linguaggio di D’Annunzio è ricercato, classicheggiante, raffinato, aderente in toto ad una tradizione tipicamente italiana, ma innovativo per quanto riguarda il modo con cui descrive il paesaggio naturale e le figure femminili, il primo assumendo le sembianze di un mondo trasognato e splendente, le seconde incarnando figure divine. In effetti D’Annunzio è famoso per l’uso di una vasta gamma di vocaboli, ed anche per avere introdotto alcuni neologismi nel linguaggio della lirica italiana. Prendiamo, ad esempio, la lirica L’onda, tratta da Alcyone; si 37 “Dal testo alla storia dalla storia al testo, Il decadentismo” Vol. F di G. Baldi, S. Giusso, M. razetti, G. Zaccaria. PARAVIA 84 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com tratta di una <<strofe lunga>> di cento versi, nella quale il poeta adopera moltissime parole, alcune delle quali strettamente tecniche, riferite al linguaggio marino o a quello militare: cala (v. 1), lorica (v.5), catafratto (v.6), dismaglia (v.11), ridonda (v.25), scavezza (v.39), cuora (v.45), ulva (v.46), crisopazi (v.58), berilli (v.60), melode (v.94), fura (v. 97). 16.3 METAFORE E IMAGINI USATE Esaminiamo Stabat nuda Aestas, una poesia costituita da tre stanze di otto endecasillabi ciascuna. Il poeta ha “visto” l’estate. L’ha vista sotto le sembianze di una creatura divina dal piè stretto (v.1), dalla schiena falcata (v.11) e dai capei fulvi (v.11), correre leggera sugli aghi arsi dei pini, in mezzo al riverbero della luce, mentre intorno, a causa del gran caldo, tutte le cose assumono un’immobile fissità. Il poeta l’ha intravista, la riconosce, la raggiunge e quando la chiama riecheggiando il canto di un’allodola, la vede voltarsi e poi scomparire tra le erbe palustri e quindi incespicare nella paglia marina e cadere sulla spiaggia, tra la sabbia e l’acqua, nuda di un’immensa nudità, mentre il vento creava mille giochi di spume, facendo schiumare tra i suoi capelli l’onda del mare. Per tutta la lirica, la mitica figura, più che descritta, è evocata. Anzi, nel momento in cui tale evocazione assume le sembianze di una personificazione, immediatamente scompare in un dilagare di fenomeni della natura, di cieli, di ulivi, di oleandri, di aghi di pino, di canti di allodole, di odori aspri, di silenzi improvvisi, di gemiti di resine, di calure incandescenti, di luci intense, di onde spumeggianti. Il poeta, che di questa apparizione è testimone e artefice, si sente rapire dalla visione e la contempla avidamente, in uno dei suoi momenti più alti di comunione mistico - sensuale con la natura e in una ascensione totale di sensi, che ha il suo apice nella magnifica visione finale della nudità della donna – Estate, con cui egli già vagheggia di unirsi in una sorta di amplesso cosmico38. 16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE Fino al secondo dopoguerra gli studi sull’opera dannunziana erano stati dominati dalla critica idealistica, di cui il maggior rappresentante era Benedetto Croce, che scrisse un saggio su d’Annunzio nel 1904. La critica idealistica pone l’accento sul D’Annunzio <<dilettante di sensazioni>> (B. Croce), sul poeta intensamente visivo, il paesista (Alfredo Gargiulo), sul poeta che sa trasfigurare la parola in musica (Attilio Momigliano), sul poeta che disincarna la sensualità, portandola fuori dai sensi (Francesco Flora). Dal secondo dopoguerra in poi la critica ha privilegiato altri campi di studio. Giacomo Devoto, Alfredo Schiaffini, Pier Vincenzo Mengaldo hanno studiato la lingua; Giorgio Barberi Squarotti, Marziano Guglielminetti, Gian Luigi Beccaria hanno analizzato lo stile, mettendo in luci i meccanismi più segreti della scrittura dannunziana; Aldo Rossi e Stefano Agosti, per la critica strutturalista, hanno esaminato le strutture profonde dei testi di 38 Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni. I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982 85 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com D’Annunzio; Emerico Giachery e Giovanni Getto hanno portato alla luce le trame dei simboli sottese alle sue opere. Più recentemente, Carlo Salinari, Roberto Tessari, Alberto Asor Rosa, Arcangelo Leone De Castris, Romano Luperini, Giorgio Barberi Squarotti e Angelo Jacomuzzi hanno analizzato D’Annunzio in relazione alle ideologie del periodo storico in cui ha vissuto, quindi il suo atteggiamento nei confronti della realtà industriale; il suo rapporto contraddittorio con l’editoria, fatto da un lato di ripudio in nome di un aristocratico ideale di bellezza, dall’altro di attenta considerazione del successo commerciale. 16.5 PAROLE ADOPERATE Per individuare la frequenza delle parole usate da D’Annunzio abbiamo analizzato la raccolta “Alcyone”, che contiene alcune delle poesie più note e più significative dell’autore. Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze: % D'ANNUNZIO 1 Acqua 2 Mar(e) - Ombra/e 3 Occhi 4 Terra 5 Bianca/o 6 Fiore 7 Bellezza, bel, bella 8 Nero 9 Ciel(o) 10 Luce/i X 1000 0,3 0,29 0,27 0,26 0,22 0,21 0,2 0,19 0,18 0,17 3,0 2,9 2,7 2,6 2,2 2,1 2,0 1,9 1,8 1,7 2,2 2,1 2,0 1,9 1,8 1,7 Ciel(o) Luce/i Occhi Mar(e) Ombra/e Acqua 2,6 Nero 2,7 Bellezza, bel, bella 2,9 Fiore 3,0 Bianca/o 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 Terra X 1000 FREQUENZE D'ANNUNZIO Si nota che il processo di scostamento dal lessico della Tradizione – già visto per Pascoli – subisce un’ulteriore accelerazione. Delle prime dieci parole usate da Petrarca solo tre compaiono tra le prime dieci parole adoperate da D’Annunzio, e precisamente occhi (2,7 x 1000), bello/a, bellezza (2,0 x 1000) e ciel(o) (1,8 x 1000). 86 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Non troviamo, invece, parole molto importanti per Petrarca, quali amore (0,9 x 1000), cor/core (1,6 x 1000), tempo (0,3 x 1000), sol/sole (1,6 x 1000). È assai significativo il fatto che le prime dieci parole usate da D’Annunzio richiamino immagini vitalistiche e terrene, evocanti la gioia sensuale e l’amore per la vita; nell’ordine abbiamo, infatti, acqua (3,0 x 1000), mare (2,9 x 1000), occhi (2,7 x 1000), terra (2,6 x 1000), bianco/a (2,2 x 1000), fiore (2,1 x 1000) … Il distacco dal lessico petrarchista è evidente dal calcolo dell’indice di correlazione r tra D’Annunzio e Petrarca. Esso è pari a r = 0,42 cioè il valore più basso fin qui trovato, il che dimostra come, ormai, si sia entrati, a pieno titolo, nel lessico della poesia contemporanea. Pur non essendo stato abbandonato, l’Amore non è più esperienza dominante e centrale nella lirica e non assume più valenza monotematica. Parimenti il linguaggio, nonostante permanga ancora colto ed elevato, diviene sempre di più linguaggio delle specifiche tematiche del poeta ed è sempre meno linguaggio propriamente amoroso. 87 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com GUIDO GOZZANO (1883 - 1916) Le raccolte poetiche che consacrano la sua fama poetica sono: La via del rifugio (1907) e Colloqui (1911). Queste due raccolte rappresentano una poesia di “rifugio” dalle passioni, dall’alienazione mondana e dalla storia, quasi il ritorno ad un passato tetro. L’accettazione di un’esistenza priva di eventi molto importanti e di ambizioni intellettuali o sentimentali è accompagnata dall’ironia, con cui il “dannunzianesimo rientrato” (Sanginetti) di Gozzano si scopre e proclama, oltre al desiderio di felicità e amore, la presenza della malattia, della malinconia, della nostalgia e del contatto illusorio con l’universo femminile. I Colloqui presentano una struttura omogenea e compatta; il titolo è lo stesso dei componimenti con cui si apre e si chiude la raccolta. La signorina Felicita ovvero la felicità e L’amica di nonna speranza, i due poemetti più famosi di Gozzano, parlano dell’attrazione per una provinciale “quasi brutta, priva di lusinga”, e la fuga al passato risorgimentale (“rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!”), con la conseguente consapevolezza dell’impossibilità di sfuggire alla negatività del presente. Totò Merumeni, invece, è un componimento in cui si osserva il senso di estraneità posto in una situazione atemporale, in cui la degradazione dell’eroe rappresenta la figura del poeta. La signorina Felicita ovvero la felicità è un componimento di sestine di endecasillabi (schema metrico: ABBAAB). Dal punto di vista formale si osserva che gli endecasillabi seguono un andamento narrativo, quindi tendono alla discorsività di un racconto, anche grazie al legame di continuità determinato dagli enjambements. La cadenza prosastica giunge sino all’inserimento del discorso diretto, anche se esso vuole soltanto sottolineare la caratterizzazione in senso borghese dei personaggi, con lo scopo ironico di evidenziare i contrasti nei confronti del poeta. La funzione di questi inserti è anche quella di determinare una rottura con il continuum del verso tradizionale, rompendone la facile musicalità e ogni tipo di affettazione. I termini adoperati dal poeta sono quelli del linguaggio comune; preferibilmente sono vocaboli concreti (v.8 tosti il caffè; v.10 cuci i lini). In tutta la poesia coesistono in contrasto realtà e ambiti opposti, così come il linguaggio, che si alterna tra semplice e quotidiano, ed elevato e arcaicizzante (che appare però un po’ irrigidito e manierato). Tutto ciò rientra nell’ambito della poesia dello choc, che consiste nell’accostamento e nella fusione di elementi striduli e contrastanti. Di qui ha origine il carattere ironico e straniante della poesia gozzaniana, che giunge sino all’artificio della finzione e allo sdoppiamento del soggetto, alterando profondamente i rapporti con la realtà. Totò Merumeni è un componimento di quartine di doppi settenari (schema metrico: ABAB CDCD, ecc.). La derivazione del nome del protagonista dell’Heauntontimoroùmenos di Terenzio, attraverso la meditazione baudelaireiana, conferma la caratteristica culturale dell’operazione qui svolta da Gozzano, che vuole evidenziare una peculiare concezione dell’arte; che vuole fornire una specie di “ritratto dell’artista”. Il componimento è quasi una 88 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com parodia antidannunziana, i cui vi è la contraffazione ironica e parodica, nei confronti del superuomo dannunziano. Il protagonista, Totò Merumeni, è presentato come uno scrittore della ricca cultura, ma è posto in un ambiente irrigidito e ai confini del reale. L’amore proposto è quello per una <<cuoca diciottenne>>, quasi per voler sottolineare, prima di tutto lo stacco dagli amori per le donne fatali di D’Annunizio, ma anche per mettere in luce l’esperienza naturale e immediata che rifiuta ogni complicazione sentimentale e mentale. Per quanto riguarda le parole adoperate Guido Gozzano è, più o meno, sulla stessa linea del Pascoli, al quale si rifà in molte sue poesie. Abbiamo, a questo proposito, analizzato le raccolte I colloqui, La via del rifugio e alcune Poesie sparse, presenti nella LIZ 3.0. L’indice di correlazione rispetto a Petrarca è pari a r = 0,58, un valore simile a quello del Pascoli. Ecco la tebella delle frequenze ed il relativo grafico: % GOZZANO 1 Bellezza, bel, bella 2 Sogno 3 Tempo, Vita 4 Mano/i 5 Cor(e) 6 Amor(e), Giorno/i 7 Anima/e, Dolcezza 8 Ciel(o) 9 Morte 10 Bacio, baciare X 1000 0,48 0,29 0,22 0,19 0,18 0,17 0,165 0,16 0,13 0,12 4,8 2,9 2,2 1,9 1,8 1,7 1,7 1,6 1,3 1,2 4,8 1,9 1,8 1,7 1,65 1,6 1,3 1,2 Amor(e), Giorno/i Anima/e, Dolcezza Ciel(o) Morte Bacio, baciare Sogno Bellezza, bel, bella 2,2 Cor(e) 2,9 Mano/i 10 8 6 4 2 0 Tempo, Vita X 1000 FREQUENZE GOZZANO 89 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970) La produzione poetica ungarettiana comincia dall’esperienza bellica che il poeta compì sul Carso durante il primo conflitto mondiale; infatti a Udine pubblicò, nel 1916, Il porto sepolto. Del 1919 è la raccolta Allegria di naufragi: le due raccolte confluiranno poi, con qualche aggiunta, nel volume L’allegria (1931). Quindi possiamo definire L’allegria la raccolta dei versi che costituiscono la prima fase poetica di Ungaretti, che va dal 1915 al 1919. La seconda fase, riferentesi al periodo compreso tra il 1919 e il 1933, fa capo alla raccolta intitolata Sentimento del tempo. Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale influiscono fortemente sul formarsi di una nuova e più dolorosa consapevolezza, tra l’altro preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la morte del fratello Costantino, nel 1937, e la perdita del figlio Antonietto, due anni dopo. Ecco che con la raccolta Il dolore (1947), alla quale seguiranno La terra promessa (1950 e 1954), Un grido e paesaggi (1952) e Il taccuino del vecchio (1961), si ha la terza fase poetica ungarettiana, che va dal 1933 al 1969. Tutte le poesie di Ungaretti hanno una forte componente autobiografica e ci sono proposte come una sorta di recherche sotto forma di versi (il riferimento al capolavoro di Marcel Proust non è casuale, in quanto Ungaretti fu il primo autore a parlare delle opere di Proust in Italia, nel 1919). Egli stesso, infatti, affermò: <<Io credo che non vi possa essere né sincerità né verità in un’opera d’arte se in primo luogo tale opera d’arte non sia una confessione>> 39. La prima fase poetica del poeta è caratterizzata dall’estremizzazione del procedimento analogico (essendo stato influenzato dal Simbolismo); dall’abolizione della metrica tradizionale; dall’esaltazione della parola, che assume il valore di un’improvvisa e fulminante “illuminazione”. La parola viene cantata nella sua autonomia e purezza, inserita in versi brevi o magari isolata, fino al punto di farla coincidere con un verso, quasi per porla nel vuoto e nel silenzio, al di là di ogni contingenza con la realtà. Questa prima ricerca di Ungaretti si può definire “poetica dell’attimo”, in quanto a causa della guerra (tema fondamentale della prima fase) costringe a vivere in una condizione precaria, in cui da un momento all’altro può sopraggiungere la morte. Nella seconda fase poetica, quella de Sentimento del tempo, alla “poetica dell’attimo” si sostituisce una diversa percezione del tempo, che ora viene concepito come continuità e durata, che coincide con una visione problematica e complessa dell’esistenza. Dal punto di vista tecnico, la novità essenziale sta nella rivisitazione delle strutture metriche e sintattiche tradizionali (reintroduzione dell’endecasillabo e di un linguaggio più elaborato). Questa scelta deriva dalla rilettura di Petrarca e Leopardi. La terza ed ultima fase è rappresentata dai versi contenuti nella raccolta Il dolore, raccolta che dà voce al tormento personale (per la morte del fratello e poi del figlio) e collettivo (a causa della guerra). I testi non sono accompagnati da nessuna nota, il poeta si limita ad 39 La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”; Vol. G Il primo Novecento e il periodo tra le due guerre, di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA 90 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com osservare. A proposito di questo Ungaretti disse: <<So che cosa significhi la morte, lo sapevo anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me, da quel momento la morte. Il dolore è il libro che più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe di essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi>>40. Per comprendere meglio la rivoluzione poetica di Ungaretti, analizziamo Il porto sepolto, componimento appartenente alla prima fase. Il porto sepolto è un componimento in versi liberi. Ci colpisce la brevità di questo testo e le parole chiave che contiene: V.3 disperde, V. 6 nulla, V. 7 inesauribile segreto. “Il porto sepolto” rappresenta l’essenza della poesia, il suo mistero nascosto. Oppure possiamo vedere Mattino, sempre appartenente alla prima fase. Componimento composto da soli due versi “M’illumino / d’immenso”, rappresenta il momento in cui è avvenuto il contatto con l’infinito e ci comunica una sensazione di beatitudine, di pienezza di vita. Questo componimento si può considerare l’estremizzazione della sperimentazione poetica di Ungaretti, nella sua ansia di portare al limite qualsiasi semplificazione, con lo scopo di raggiungere l’assoluto distaccandosi totalmente dalla realtà. Per il computo delle parole in Ungaretti abbiamo utilizzato il Vocabolario delle concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca41. In particolare abbiamo considerato le raccolte Allegria, Sentimento del tempo, Il Dolore, La Terra promessa, Un grido e Paesaggi, Il Taccuino del Vecchio e altri testi a cui fa riferimento il Dizionario. La tabella delle frequenze ed il grafico sono i seguenti: UNGARETTI 1 Notte 2 Occhi 3 Cuore, core 4 Ombra 5 Amore, Luce/i 6 Cielo 7 Terra 8 Mare 9 Tempo 10 Sogno % 0,402 0,332 0,318 0,278 0,238 0,233 0,223 0,198 0,193 0,188 X 1000 4,02 3,32 3,18 2,78 2,38 2,33 2,23 1,98 1,93 1,88 40 La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA. 41 G. SAVOCA, Vocabolario della Poesia italiana del Novecento – Le concordanze, Zanichelli, Bologna, 1995 91 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com FREQUENZE UNGARETTI 10 X 1000 8 6 4,02 4 2 3,32 3,18 2,78 2,38 2,33 2,23 1,98 1,93 1,88 0 Sogno Tempo Mare Terra Cielo Amore, Luce/i Ombra Cuore, core Occhi Notte Alcune parole sono ancora quelle della Tradizione, ma in ordine differente rispetto alla norma; Amore, per esempio, ricorre al 5° posto con una frequenza del 2,3 x 1000 ed è superato da Notte e da Ombra. Il termine Bello/a, bellezza non compare tra i primi dieci ed ha una frequenza dell’1,7 x 1000. Il processo di scostamento dal lessico petrarchesco – iniziato con Pascoli – procede ulteriormente. L’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un insieme di 22 lemmi, è pari a 0,27 il che conferma la nostra tesi. 92 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com EUGENIO MONTALE (1896 - 1981) Rifiutate le soluzioni d’avanguardia, Montale resta fedele ai valori della civiltà letteraria, allontanandosi dalla disgregazione del suo presente. Non rifiuta l’impiego del verso libero, ma concede molto spazio e attenzione al metro tradizionale, con la reintroduzione dell’endecasillabo sciolto. Anche le strofe spesso tendono a disporsi secondo corrispondenze regolari (per esempio, è frequente l’uso delle quartine). Montale utilizza spesso la rima (insieme con le rime al mezzo e le assonanze). Il linguaggio aderisce alla scelta plurilinguistica del poeta, che adotta termini comuni, non disprezzando però l’uso di termini più elevati. Le raccolte poetiche che lo resero più famoso, sono: Ossi di seppia, in cui è espressa l’aridità dell’universo montaliano attraverso una concezione essenziale e scabra di tutto (paesaggio, momenti esistenziali); Le occasioni, in cui si allude all’accadere di eventi a cui è attribuita particolare importanza, in quanto potrebbero cambiare il corso uniforme e monotono dell’esistenza; La bufera e altro, che si riferisce allo sconvolgimento della guerra, che apporta un accento ancora più tragico e pessimistico nei confronti della storia; Satura, il cui titolo allude alla <<Satira>> della Letteratura latina (etimologicamente lanx satura = piatto misto di primizie), in cui sono presenti sempre gli stessi temi delle precedenti raccolte (come il “male di vivere”), con in più una dura critica al mondo politico coevo. Dalla prima all’ultima raccolta, Montale è andato complicandosi sempre più, creando alla fine della sua esperienza poetica, linguaggi, periodi, sintassi e nessi indecifrabili. Se per Ungaretti si parlava di <<analogia>>, per Montale si può parlare di <<correlativo oggettivo>>, un’operazione di matrice simbolista in cui la condizione del soggetto è <<correlata>>, rimanda ad un oggetto. Se per Ungaretti si parlava di <<poesia della parola>>, ecco che per Montale si parla di <<poesia delle cose>>. Sono presenti in molte poesie di Montale alcune figure femminili (Annetta, Arletta, Clizia, Mosca, quest’ultimo nome si riferisce alla moglie Drusilla Tanzi); esse sono figure spesso enigmatiche e rappresentano la sua esile speranza di approdare una qualche sicurezza. La casa dei doganieri, un componimento composto da quattro strofe (rispettivamente di cinque, sei, cinque e sei versi) di versi talora endecasillabi (ma più spesso superano tale misura, risultando composti dall’unione di due versi più brevi) appartenente alla raccolta Ossi di seppia. Come hanno interpretato Giorgio Barberi Squarotti e Stefano Jacomuzzi, l’angoscia della memoria che a poco a poco cede, col trascorrere del tempo, le sue immagini, e si annebbia, si perde, è qui vista nel contrasto doloroso fra il poeta che ancora coltiva in sé il ricordo della persona amata, dei luoghi degli incontri di un tempo, e la dimenticanza che, invece, ha oramai cancellato in lei ogni traccia del passato. Solo il poeta è legato all’ambiente, al luogo - la casa dei doganieri - dove furono trascorse le ore felici ( il tuo riso): ora che le cose sono cambiate, il paesaggio è squallido, triste, le vecchie mura sono sferzate dal vento, non c’è più sicurezza (la bussola va impazzita all’avventura), fiducia nel futuro (il calcolo dei dadi più non torna), la persona amata è lontana, è inutile tentare di richiamarla alla memoria 93 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com del passato lieto, il tempo è trascorso, nuove esperienze (altro tempo) hanno distrutto in lei ogni ricordo. Eppure forse quel legame d’amore poteva essere la salvezza per entrambi dalla rovina, dal male del mondo: ancora lo avverte il poeta, mentre con arida disperazione constata la dimenticanza della donna e la propria incertezza di fronte agli eventi. 42 Per la nostra ricerca abbiamo analizzato le raccolte Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro, Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altre poesie, servendoci del Vocabolario delle concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca 43. Linguisticamente, come si è detto, Montale adotta una soluzione di <<compromesso>>, in quanto non rompe definitivamente con la Tradizione e non accetta del tutto il nuovo linguaggio della lirica. Le parole da lui usate sono comunque molto lontane da quelle “canoniche” della Letteratura tradizionale. In Montale si possono notare, infatti, bassissime frequenze in tutti i lemmi, sia elevati che popolari. È un fatto decisamente degno di nota che due tra le tipiche parole del lessico amoroso: amore, bello/a non compaiano tra le prime dieci; inoltre anche le altre presenti hanno frequenze bassissime, talora inferiori all1 x 1000; ad esempio, cuore ha una frequenza dello 0,97 x 1000, mare dello 0,88 x 1000, occhi dell’1,07 x 1000; amore e bello/a addirittura sono fermi allo 0,4 x 1000! Ecco la tabella delle frequenze ed il relativo grafico % MONTALE 1 Vita 2 Tempo 3 Occhi 4 Ombra 5 Luce/i 6 Cielo 7 Cuore, core 8 Acqua 9 Mare 10 Terra X 1000 0,24 0,22 0,11 0,11 0,10 0,10 0,10 0,09 0,09 0,07 2,40 2,21 1,07 1,06 1,05 1,03 0,97 0,94 0,88 0,72 FREQUENZE MONTALE 10,0 X 1000 8,0 6,0 4,0 2,40 2,21 2,0 1,07 1,06 1,05 1,03 0,97 0,94 0,88 0,72 0,0 Terra Mare Acqua Cuore, core Cielo Luce/i Ombra Occhi Tempo Vita È interessante notare l’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un totale di 22 termini; esso è pari a 0,097 e cioè il valore più basso fin qui trovato! Siamo ormai 42 La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G., Il primo Novecento e il periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA 43 G. SAVOCA, Op. cit. 94 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com definitivamente fuori dalla Tradizione arcaizzante e siamo, a tutti gli effetti, entrati nel grande Mondo del Novecento. Un esame comparato dei vari grafici ci mostra che la mutazione del linguaggio della lirica d’amore, iniziata dopo Carducci, ha proseguito con gli altri poeti ed ha riguardato, da una parte, la progressiva diminuzione dell’indice di correlazione del lessico usato con quello di Petrarca, da sempre modello insostituibile della lirica d’amore italiana; dall’altra parte l’incremento del numero delle parole usate in poesia, l’ampiamento del registro linguistico, del lessico poetico e il conseguente abbassamento delle percentuali di frequenza dei termini. Riguardo il primo aspetto possiamo prendere l’indice di correlazione r del lessico di Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Ungaretti, Montale, rispetto a quello di Petrarca e costruire un grafico che parte da Petrarca per arrivare a Montale. Si può notare un progressivo decremento del coefficiente di correlazione, che arriva a valori minimi con Montale. Il grafico risulta essere il seguente: COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA 1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0,0 Montale Ungaretti D'Annunzio Gozzano Pascoli Carducci Leopardi Romantici Neoclassici Arcadia Antimarinisti Marinisti Petrarchisti Poeti del 1400 PETRARCA Sull’abbassamento della frequenza dei termini, pur non essendoci una tendenza particolarmente lineare, possiamo, in linea di massima, notare un progressivo calo della frequenza massima attribuita ai termini. Ad esempio, nei Siciliani il termine più frequente (amore) ha una frequenza del 14,4 x 1000, mentre in D’Annunzio la frequenza più alta che concerne il termine acqua è pari al 3,0 x 1000. Possiamo, anche in questo caso, costruire un grafico sulle frequenze massime, almeno per gli autori e le correnti più importanti: 95 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 16 14 12 10 8 6 4 2 0 14,4 11,8 7,1 8,8 6,1 5,8 4,8 4,1 4,8 3,5 4,8 3,0 4,0 2,4 Montale Ungaretti D'Annunzio Gozzano Pascoli Carducci Romanticismo Arcadia Marinisti Petrarca Dante Stilnovisti Toscani Siciliani Massimo valore riscontrato in un termine (x 1000) FREQUENZE MASSIME DEI TERMINI USATI È possibile notare il progressivo – anche se non sempre lineare – abbassamento della frequenza massima misurata, il che fa desumere che il numero di parole usate e la loro gamma si è notevolmente ampliato. Ciò ha portato ovviamente ad un tipo di linguaggio che si è progressivamente sganciato dai modelli della Tradizione e si è progressivamente arricchito di nuovi termini, ivi compresi quelli del lessico quotidiano. La Poesia, nata con un proprio codice e caratterizzata, anche in senso linguistico, da un proprio linguaggio, si è sempre più omologata alla Prosa, dalla quale non si distingue neanche linguisticamente, poiché della Prosa ha assunto espressioni, termini e immagini, che ne fanno un genere non più a se stante e non più settoriale e specifico. Anche questa – nel bene o nel male – è una caratteristica del Novecento! 96 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com APPENDICE UMBERTO SABA (La linea antinovecentesca) Nel panorama del Novecento Umberto Saba (1883 – 1957) occupa un posto tutto particolare. La sua lirica, infatti, non segue le caratteristiche della poesia novecentesca, fin qui esaminata, e si sviluppa secondo una linea, che sembra richiamarsi ai Classici, da Petrarca a Leopardi; per questo i critici l’hanno chiamata antinovecentesca. L’antinovecentismo di Saba riguarda sia le tematiche, sia il linguaggio, che si rifanno a quelli tradizionali. L’opera organica che raccoglie tutte le poesie di Saba è il Canzoniere (prima edizione del 1921; seconda edizione, molto accresciuta, nel 1945; edizione definitiva che accoglie l’intera produzione poetica di Montale è quella postuma del 1961). La critica rivolse una misera accoglienza a quest’opera; per questo motivo Saba si fece interprete di se stesso, scrivendo Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), ricca di interessanti osservazioni umane e poetiche. La crisi della parola, che coinvolge la poesia novecentesca, è estranea a Saba, in quanto il linguaggio che utilizza nelle sue poesie è familiare, casalingo. Insieme a questo registro linguistico, il poeta riporta anche quello della tradizione letteraria, ma non con lo scopo di elevare a toni alti ed aulici la sua poesia. Per Saba la parola è “parola che nomina”, non che evoca: la struttura sintattica è infatti ben definita e articolata. La metrica e l’uso delle rime aderiscono alla tradizione, per questo sono abbastanza lineari e semplici, al contrario di alcuni costrutti “avanguardistici” di difficile comprensione. Pur pulsando nel cuore del Novecento, la sua poesia è stata definita come espressione di una linea antinovecentista, in quanto rifiuta le più vistose e spericolate innovazioni della ricerca poetica del proprio tempo. Nel suo modo di fare poesia Saba, dopo aver indugiato sulle cose, le eleva a simbolo più generale di una condizione dell’uomo e della vita. Come ha scritto Mengaldo, Saba coglie <<il senso del dispiegarsi dell’esperienza individuale come ripetizione di un’esperienza già vissuta, individualmente nel proprio passato, archetipicamente nella vicenda dell’uomo di sempre>>44. In Amai Saba ha affermato: <<Amo la verità che giace in fondo>>. Il suo <<realismo>> poetico non si ferma mai alle apparenze superficiali, ma cerca i sensi profondi delle cose. E’ una ricerca che non si arresta di fronte al <<negativo>> dell’esperienza, anche a costo di metterne a nudo gli aspetti più scomodi e sgradevoli. 44 - 3 : le citazioni sono tratte da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA 97 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Per quanto riguarda il Canzoniere, leggiamo qualche parola di Saba: <<Il Canzoniere è il libro di poesia più facile e più difficile di quanti sono usciti nella prima metà di questo secolo (…)>>45. Saba riconosce una certa interdipendenza fra le singole parti della sua opera; una continuità che non può essere spezzata senza danno dell’insieme; che tutto insomma nel Canzoniere, il bene e il male, si tiene, e che spesse volte quel bene è condizionato - magari illuminato - da quel male (…). Il Canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a dire il “romanzo”, e ad aggiungere, se si vuole, “psicologico”) di una vita, povera (relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze interne. A mia moglie, componimento il cui verso prevalente è il settenario, cui si aggiungono alcuni endecasillabi e due quinari, fa parte della sezione Casa e campagna, che comprende sei poesie scritte nel 1909 - 1910. L’immagine femminile riprodotta in questo componimento è del tutto rivoluzionaria nell’ambito della tradizione della lirica italiana, dove la donna, persino in Montale, è vista come un elemento salvifico, che ha subito un processo di idealizzazione e cristallizzazione.. Il poeta paragona la moglie alle femmine di numerosi animali. Mario Lavagetto ha così collegato la struttura del componimento al suo significato: <<La struttura, semplicissima, può far pensare (dietro suggerimento di Saba) ad una litania fondata su strofe di alterna lunghezza che determinano la successiva, quasi araldica, iscrizione di una femmina animale. ‘Alterna lunghezza’: perché Saba si preoccupa di evitare scrupolosamente ogni possibile simmetria che è ( dirà molto più tardi Sravinskij) la forma morta e scolastica del parallelismo; ‘femmine animali’: tutte (…) proprio perché il parallelismo sintattico della struttura finisce per agire, su un altro piano, con un tassativo effetto semantico - simbolico. La pollastra, la giovenca, la cagna, la coniglia, la rondine, la formica e la pecchia, tutte / le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio, si sgranano davanti a noi, come se fossero accompagnate dal passaggio lento, liturgico e calcolato, dei grani di un rosario, realizzando la mutevole identità di Lina, proiettandola e fissandola in un paradigma fortemente marcato, intorno a cui si avvolge - con raggio ineguale - il secondo termine di similitudini ripetute. Proprio il moltiplicarsi delle similitudini fa di Lina, in questa poesia, una figura insieme mitologica e indefinita: la coinvolge (con un’ alternanza di versi imparisillabi rimati irregolarmente) in una serie di immagini affini e divergenti, circoscritte, accumulate in sequenza>> 46. Di Saba abbiamo analizzato, sempre con il Dizionario del Savoca47, il Canzoniere. Dal punto di vista del linguaggio Saba appare più tradizionale degli altri poeti del Novecento, poiché non elimina del tutto le parole del lessico amoroso, tenendo fede a quella che è stata definita <<la linea antinovecentesca>>. Per questo ricompaiono ai primi posti, anche se con frequenze decisamente basse, le parole cuore (4 x 1000), bello/a (3,7 x 1000), occhi (2,6 x 1000) e amore (2,4 x 1000). Ecco la tebella delle frequenze ed il grafico: 46 La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G; Il primo Novecento e il periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA 47 G. SAVOCA, Op. cit. 98 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com % SABA 1 Cuore, core 2 Bello/a, bellezza 3 Vita 4 Occhi 5 Amore 6 Dolce(zza) 7 Mare 8 Sogno 9 Cielo 10 Notte X 1000 0,3987 0,3707 0,3073 0,2616 0,2438 0,2209 0,1981 0,1651 0,1422 0,132 4,0 3,7 3,1 2,6 2,4 2,2 2,0 1,7 1,4 1,3 2,4 2,2 2,0 1,7 1,4 1,3 Cielo Notte Vita Bello/a, bellezza Cuore, core 2,6 Sogno 3,1 Mare 3,7 Dolce(zza) 4,0 Amore 10,0 8,0 6,0 4,0 2,0 0,0 Occhi X 1000 FREQUENZE SABA Se calcoliamo l’indice di correlazione r rispetto a Petrarca, scopriamo che esso è uguale a 0,72 un valore che si riscontra nei poeti della Tradizione, che precedono addirittura Carducci! Tutto ciò conferma quanto detto, e cioè la singolarità dell’esperienza del poeta triestino, che si colloca in una sua personale ed atipica linea nel variegato e multiforme panorama della lirica italiana contemporanea. 99 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com BIBLIOGRAFIA 1. A.E.Quaglio “Le origini e la Scuola siciliana” A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani” 2. “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli 3. “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato 4. Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973 5. G. Contini “Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970. 6. G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970 7. U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977 8. E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana, UTET, Torino 1986, p.384 9. “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960. 10. ”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani 11. BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla Storia al testo” PARAVIA 12. “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori Laterza. 13. “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco” Carlo Muscetta, Alberto Asor Rosa 14. “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia. 15. “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio, PALUMBO. 16. “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982 100 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com INDICE INTRODUZIONE............................................................................................................................................2 PARTE PRIMA (DAI SICILIANI A PETRARCA) .....................................................................................3 LE POESIE DEI SICILIANI..........................................................................................................................3 1.1 COMPONIMENTI METRICI .....................................................................................................................3 1.2 TIPO DI SINTASSI .....................................................................................................................................5 1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ..........................................................................................................6 1.4 PAROLE ADOPERATE .............................................................................................................................7 LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI TRANSIZIONE .................................................................11 2.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 11 2.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 12 2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................13 2.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................14 LE POESIE DEL DOLCE STIL NOVO .....................................................................................................16 3.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 16 3.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 17 3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................19 3.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................20 LA POESIA DI DANTE (LE RIME) ........................................................................................................... 25 4.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 25 4.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 26 4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................27 4.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................28 LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (CANZONIERE) ...............................................................29 5.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 29 5.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 29 5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE .....................................................................................................30 5.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................32 CONCLUSIONI ..............................................................................................................................................33 PARTE SECONDA ....................................................................................................................................... 35 LA LIRICA D’AMORE DEL 1400 ..............................................................................................................35 6.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 35 6.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI ................................................................................................36 6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE .....................................................................................................36 6.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................38 IL PETRARCHISMO ................................................................................................................................... 40 7.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 40 7.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI ................................................................................................41 7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................42 7.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................42 IL MARINISMO............................................................................................................................................44 101 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 8.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 44 8.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI ................................................................................................44 8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................45 8.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................46 IL CLASSICISMO BAROCCO ................................................................................................................... 48 9.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 48 9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI ................................................................................................... 49 9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................50 9.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................50 L’ARCADIA................................................................................................................................................... 52 10.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................52 10.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 53 10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................54 10.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................55 IL NEOCLASSICISMO................................................................................................................................56 11.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................56 11.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 57 11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................57 11.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................58 IL ROMANTICISMO ................................................................................................................................... 61 12.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................61 12.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 61 12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................62 12.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................62 L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA ..................................................................................65 13.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................65 13.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 66 13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................67 13.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................69 L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA .................................................................................70 14.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................70 14.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 71 14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................72 14.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................74 PARTE TERZA (IL NOVECENTO)........................................................................................................... 77 GIOVANNI PASCOLI ..................................................................................................................................78 15.1 FORME METRICHE .............................................................................................................................. 78 15.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 79 15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................80 15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE ........................................................................................................... 80 15.5 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................81 GABRIELE D’ANNUNZIO..........................................................................................................................83 16.1 FORME METRICHE .............................................................................................................................. 83 16.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 84 102 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com 16.3 METAFORE E IMAGINI USATE..........................................................................................................85 16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE ........................................................................................................... 85 16.5 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................86 GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)................................................................................................................88 GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)......................................................................................................90 EUGENIO MONTALE (1896 - 1981) ..........................................................................................................93 APPENDICE ..................................................................................................................................................97 UMBERTO SABA (LA LINEA ANTINOVECENTESCA)....................................................................... 97 BIBLIOGRAFIA..........................................................................................................................................100 103 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com Questa ricerca é stata svolta dall’alunna Chiara Tondani ed é il risultato degli studi sul Linguaggio della lirica d’amore italiana, da lei compiuti nel corso del Triennio 1999/00, 2000/01, 2001/02 sotto la mia guida. Pontremoli, 25/5/2002 L’alunna ____________________ Visto: l’insegnante (Prof. Davide Grassi) _____________________________ STAMPATO IN PONTREMOLI PRESSO IL LICEO LINGUISTICO – MAGGIO 2002 PRO MANUSCRIPTO 104 PDF created with FinePrint pdfFactory Pro trial version http://www.fineprint.com