IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D`AMORE (dalle

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IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA D`AMORE (dalle
IL LINGUAGGIO DELLA LIRICA
D’AMORE
(dalle Origini ai nostri giorni)
DI CHIARA TONDANI
Classe V A – Liceo linguistico di Pontremoli
Revisione a cura del prof. Davide Grassi
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INTRODUZIONE
Questo lavoro tratta la lirica d’amore, analizzandone il linguaggio e quattro aspetti
principali che sono: la struttura metrica dei componimenti, la loro sintassi, le metafore e le
immagini che li caratterizzano, e infine le parole che ricorrono con maggior frequenza.
L’opera si divide in tre parti, che sono state svolte negli anni scolastici 1999/00, 2000/01,
2001/02.
La prima parte inizia da quel gruppo di poeti che operarono tra il 1220 e il 1250 circa, alla
corte di Federico II di Svevia, la cui denominazione è “Scuola Siciliana”. I maggiori
esponenti della corrente, anche se è riduttivo per tutto il movimento citarne solo alcuni, sono
Iacopo Da Lentini, Pier Della Vigna, lo stesso Federico II, Guido Delle Colonne, Stefano
Protonotaro ed altri che operarono in Sicilia.
In seguito ho analizzato il filone poetico dei “Rimatori toscani di transizione”,
rappresentati soprattutto da Guittone D’Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Paolo
Lanfranchi, e altri che operarono in Toscana.
Poi ho studiato il movimento fiorentino del “Dolce stil novo”, i cui più grandi esponenti
sono Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli, Dante Alighieri, Lapo Gianni, Cino Da Pistoia,
Dino Frescobaldi e altri meno rappresentativi.
Due capitoli a parte sono dedicati ai famosissimi Dante Alighieri e Francesco Petrarca, il
cui lavoro fu talmente vasto e innovativo da porli in percorsi di studio individuali.
La seconda parte dell’opera riguarda il lungo periodo che va dal Quattrocento
all’Ottocento, contraddistinto da vari fenomeni letterari, centrati soprattutto sul Classicismo.
Sono stati analizzati alcuni poeti del Quattrocento, successivamente gli esponenti del
Petrarchismo, come Bembo, Gaspara Stampa, Ariosto. Il Seicento è stato affrontato
soprattutto con l’analisi di alcune liriche di Marino e dei Marinisti e di alcuni classicisti, come
Guidi e Chiabrera. È stata poi trattata l’Arcadia e si è arrivati ad analizzare qualche poeta del
Neoclassicismo, come Monti e Foscolo. Il Romanticismo è stato trattato con l’analisi di alcuni
autori, che hanno affrontato – all’interno della loro opera – il tema dell’amore. Infine due
capitoli a sé sono stati dedicati a due grandi poeti dell’Ottocento: Giacomo Leopardi e Giosuè
Carducci.
Per quanto riguarda il Novecento, data la vastità del periodo e la difficoltà ad individuare
specifiche correnti letterarie concernenti la tematica amorosa, si è scelto di trattare cinque
autori, ritenendoli adeguatamente rappresentativi della lirica d’amore del Novecento e cioè
Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Guido Gozzano, Giuseppe Ungaretti ed Eugenio
Montale. Una breve Appendice è dedicata ad Umberto Saba. Questi scrittori hanno riguardato
la terza parte dell’opera, che – essendo stata svolta nel corrente anno scolastico 2001/02 – si
intende assunta come argomento proprio da presentare all’Esame di Stato.
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PARTE PRIMA (dai Siciliani a Petrarca)
LE POESIE DEI SICILIANI
1.1 COMPONIMENTI METRICI
Diversamente da quella provenzale, che era di norma poesia per musica, la poesia siciliana
è ormai semplice poesia per la lettura.
I componimenti metrici della Scuola siciliana sono fondamentalmente tre: la canzone, la
canzonetta ed il sonetto.
Le canzoni siciliane, nonostante eccezioni, cambiano le rime passando da stanza a stanza.
Ogni stanza consta di due parti, la fronte e la sirma ( dalla parola che significa la “coda” o
“strascico della Veste”), una delle quali, o anche entrambe, si suddividono in due elementi
identici o simmetrici, i piedi per la fronte, le volte per la sirma: la stanza risulta pertanto
tripartita o quadripartita. Talora tra fronte e sirma si interpone un verso, detto chiave, che è
poi ripetuto nelle volte della sirma; in tal caso si parla di sirma bipartita. L’ultima stanza della
canzone, nella quale il poeta si rivolge, spesso, alla canzone stessa è detta Congedo ed è
modellata sullo schema della Sirma.
I versi che predominano sono l’endecasillabo e il settenario.
Accanto alla canzone e a generi meno diffusi si introduce un’importante novità, dovuta
probabilmente al notaio Iacopo Da Lentini, il sonetto, nella sua prima apparizione a rime
esclusivamente alterne, formato da quattordici versi endecasillabi. Le due quartine hanno rima
generalmente alternata o incrociata ripetuta nelle due strofe (salvo rare eccezioni) e cioè:
ABAB, ABAB ovvero ABBA, ABBA. Nelle due terzine lo schema metrico è più libero,
potendo assumere diverse variant, quali CDE, CDE ; CDE EDC; CDC, DCD …
Per quanto concerne la canzonetta, essa è costituita secondo lo stesso schema della
canzone, ma con versi minori dell’endecasillabo, come settenari e ottonari.
Il repertorio siciliano, nonostante poche eccezioni di attestazione meno antica, ci è giunto
largamente e progressivamente toscaneggiato dai copisti.
Lo studio del metro e in particolare delle rime prova che il linguaggio era nettamente
siciliano, si intende di quel siciliano che, con immagine dantesca, si suol chiamare “illustre”,
adoperato cioè con intenzione non dialettale, bensì letterariamente nobilitato e regolarizzato a
ideale imitazione della lingua universale e grammaticale per eccellenza, il Latino.
I poeti siciliani, quindi, nella loro produzione utilizzavano gli apporti del Latino ( siamo
allora di fronte a “latinismi”), ma anche gli apporti della lirica cortese ( siamo allora di fronte
a “provenzalismi” o in senso più largo a “gallicismi”). In una situazione del genere - per fare
degli esempi concreti - vidiri rimava con serviri, vui con fui. I copisti toscani, ai quali si deve
in gran parte la conservazione dei testi siciliani originali, cercarono cioè di toscanizzarli,
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specialmente nelle terminazioni vocaliche collegate con la rima. Così nella canzone
“Madonna dir vi voglio” di Iacopo Da Lentini, il verso 2 come l’amor m’ha priso e il
corrispondente verso 6 che’n tante pene è miso hanno subito un intervento toscaneggiante che
ha sostituito priso all’originale prisu e miso all’originale misu.
Nei versi 29-30 della stessa canzone co si fo per long’uso / vivo’n foc’amoroso , la rima
che nell’originale c’era ( usu con amorusu ) risultava persa nella trascrizione toscana. O
meglio, si era di fronte alla cosiddetta rima imperfetta, tuttavia accettata dalla cultura
duecentesca e ancora trecentesca, e adoperata anche da autori sommi. Questa particolare rima
imperfetta si suol chiamare “rima siciliana”.
Dopo aver sintetizzato i tratti principali della metrica nella poesia siciliana, proviamo ad
analizzare alcuni dei più famosi componimenti dei siciliani.
“Meravigliosamente” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di settenari, in sette stanze;
ogni stanza è costituita da due piedi abc e una sirma ddc; c’è quindi una rima chiave ( la c )
che fa da collegamento.
Troviamo le rime siciliane ai vv. 3-6 … e mi tiene ad ogn’ora /… la simile pintura, ai vv.
33-36 …e non po’ stare incluso / …a voi, vis’amoroso; ai vv.51-54 …che voi pur v’ascondete
/ quando voi mi vedrite.
“Morte perché m’hai fatta” di Giacomino Pugliese è una canzone di sei stanze, ognuna
delle quali è così strutturata: una fronte ( vv. 1-4 ) di due piedi uguali (endecasillabi con rima
ABAB ), e una sirma ( vv. 5-10 ) di due volte pure identiche (due endecasillabi e un quinario
con rima CCb, CCb ).
A parte l’ultima stanza, che resta a sè con congedo, le altre cinque hanno un collegamento
fra di loro così strutturato: le prime quattro sono collegate a coppia (la prima con la seconda:
vv. 10-11 soglio / solea; la terza con la quarta: vv.30-31 donna / madonna); inoltre fra la
quarta e la quinta, come nota A. E. Quaglio, <<la mancanza di collegamento viene
compensata da due rime al mezzo nel primo verso della sirma" (”v.35 adornamento con
insegnamento e parlamento precedenti)>>1.
Abbondano le rime ricche ( vv.5-8 pietanza / tristanza; vv.21-23 iranza / speranza; vv.2526 avviso / miso; vv.31-33 insegnamento /parlamento; vv.32-34 conoscianza / sembianza;
vv.45-49 n’andao / lasciao; vv.47-50 tristanza / confortanza).
Vi è in parecchi casi l’uso dell’enjambement tra la fronte e la sirma, che permette un
periodare ampio e fluente, nel quale l’impianto sintattico non è vincolato dai confini metrici (
vv.24-25; 34-35; 44-45 ).
“Amando con fin core” di Pier Della Vigna è una canzone di cinque stanze in endecasillabi
e settenari. Endecasillabi e settenari in proporzione inversa tra piedi identici (AaB), e volte
simmetriche (ccD, eeD).
Le stanze sono tutte, come dicevano i provenzali, “capfinidas” , cioè una o più parole (
Morte amara, ecc.) collegano l’ultimo verso di ciascuna al primo della successiva. Tra altre
raffinatezze formali la rima equivoca fera ai vv.34-35, la prima volta significa “feroce”, la
seconda “colpisca”.
“ E faria ciò ch’eo dico,
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da A.E.Quaglio “Le origini e la Scuola siciliana”, LIL, vol. I, p. 269.
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se non ch’a lo nemico
che m’ha tolta madonna plageria,
cioè la Morte fera,
che non guarda cui fera:
per lei podire aucire eo moriria. ”
“Dolce coninzamento” di Iacopo Da Lentini è una canzonetta di quattro stanze in settenari:
ogni stanza è costituita da una fronte (vv.1-4) di due piedi uguali (ab, ab) e da una sirma (
vv.5.10 ) anch’essa regolarmente suddivisa ( xxy, zzy ). Le stanze ad eccezione della prima,
sono collegate dalla ripresa ( vv.20-21 basciari / bascianco, vv.30-31 vivente / vivente ), cioè
la citazionedell’ultima parola di una stanza nel primo verso di quella successiva.
1.2 TIPO DI SINTASSI
Generalmente le canzoni dei Siciliani sono caratterizzate dall’espressione ritmata, scandita,
lineare, senza complessità sintattica, e tendono ad esprimere il sentimento del poeta in
un’affermazione chiara, immediata e calata nitidamente negli schemi comuni, piuttosto che a
seguirne l’intimo discorso nel suo fluido ondeggiare nell’animo.
Alla corte siciliana si formò un linguaggio poetico italiano, una tradizione di lingua e di
stile che fu poi continuata dai poeti della nostra letteratura.
I Siciliani assunsero a strumento di espressione il volgare che si parlava nel Regno e
trassero un linguaggio poetico stilizzato e affinato, da un lato tenendo come modello il Latino
( che era ancora la lingua in cui si esprimevano usualmente i dotti ), dall’altro il Provenzale,
che fu imitato più decisamente perché era il modello letterario e aveva dato un nome e
un’espressione ai concetti a cui si attenevano quei poeti. Essi, dunque, stabilirono un esempio
di stile e di linguaggio poetico italiano selezionato e armonioso.
Analizziamo dal punto di vista sintattico “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro,
una canzone di endecasillabi e settenari in stanze tripartite “unissonans” ( cioè con rime
costanti per l’intero componimento ).
A differenza degli altri testi, assimilati dai copisti alla forma toscana, questa canzone
conserva la sua veste linguistica originale, quella del siciliano illustre. E’ il documento più
esteso e più importante che ci resti della forma originaria della poesia siciliana.
Tipiche del Protonotaro sono la continuità sintattica fra stanza e stanza ( dalla seconda alla
terza ) e il buon verseggiare di tipo manieristico.
Notiamo la rima identica ai vv.45-46 lanza / lanza , la prima volta sostantivo , la seconda
verbo.
Notiamo anche l’assimilazione vocalica del siciliano dal Latino.
LATINO CLASSICO a a
SICILIANO
a
e
e
e i i
i
o
o
o u u
u
Il siciliano ha, quindi, un sistema di cinque sole vocali toniche, e non distingue tra “e”
aperta e “e” chiusa.
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I provenzalismi sono frequenti: v.3 alligranza, v.5 levimenti, v.6 dimuranza, v.22 m’è pir
simblanza, v.23 dulzuri, v.24 miraturi, v.27 nutricatu, v.31 chi l’ublia siguiri, v.34 intidanza,
v.35 istanti, v.36 tutisuri, v.46 chi mi fer’e mi lanza, v. 46 doluri, v.59 suffituri, v.60 unuri,
v.63 beninanza, v.66 amaduri, ecc.
1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
L’aspetto saliente della poesia dei Siciliani è il suo convenzionalismo: temi e modi di
espressione, situazioni psicologiche rappresentate, vocaboli, persino, ed immagini, ricalcano
consapevolmente i modelli francesi e soprattutto provenzali. Questi poeti non vollero
innovare, ma emulare i provenzali, ripetendo i loro temi e la loro esperienza artistica.
La loro arte è strettamente legata agli ideali di vita e di costume di una società aristocratica
cortese, con le sue rigide convenzioni. Ciò che conta, nella vita e nell’arte, non è ostentare la
propria originalità, ma mostrarsi degni di appartenere alla corte, alla sua società elegante e
raffinata.
Il tema dominante e unico della poesia siciliana è l’ ”Amor cortese”, con il suo galateo ben
definito. La donna è rappresentata con caratteri tipici e astratti: bella ( ha “bionda testa”,
“chiaro viso” secondo una moda ben definita ), spesso lontana e inaccessibile, dotata di
saggezza e “intendimento”, cioè leggiadria, finezza di educazione e di costume; è paragonata
a una rosa odorosa, a una luminosa stella. L’amante, suo servo, ha con lei un rapporto di
dedizione cavalleresca, di vassallaggio, tiene chiuso gelosamente in sé il suo amore come un
sentimento prezioso che affina il suo animo, come sublime e incomparabile gioia.
Da questo tema derivano svolgimenti anch’essi obbligati: lamenti per la morte della donna,
canzoni di lontananza e struggente nostalgia d’amore, lamenti per la partenza della donna
amata, invocazioni a lei, perché sia alfine pietosa, contrasti dialogati in cui amante chiede
amore e madonna rifiuta, salvo poi a giungere, alla fine, ad un accordo.
Un repertorio, come si vede, limitato e fisso, con variazioni così impercettibili che non
bastano a darci il senso pieno dell’individualità del singolo poeta: è, quello dei Siciliani, come
un coro, un elegante gioco cortigiano, che mai ci presenta il dramma di un’anima o le voci
profonde della realtà ben complessa di quegli anni di lotte e trasformazioni radicali, cioè la
passione politica e i grandi problemi morali e religiosi.
Analizziamo ora una canzone che si può considerare esemplare: “Gioiosamente canto” di
Guido delle Colonne: Essa sintetizza i temi tipici della tradizione cortese; esprime il
sentimento amoroso con un repertorio di immagini e riferimenti di raffinato intellettualismo.
E’ formata da cinque stanze, ogni stanza ha una fronte di due piedi uguali di settenari e una
sirma di quattro endecasillabi.
I vv.3-4 sono esemplari: … per la vostr’amanza, madonna, gran gioi sento. Qui, il poeta,
esprime la gioia che prova nel sentire tanto amore e tanta passione per la donna amata.
v. 6 …or aggio riposanza
v.11 und’eo m’allegro di grande ardimento
vv.14-15-16 la vostra fresca cera, / lucente più che spera / e la bocca aulitosa…
v.49 la vostra gran bieltate
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v.57 così mi tene Amore - corgaudente
v.60 così v’adoro come servo e ‘nchino
1.4 PAROLE ADOPERATE
Analizziamo ora diversi componimenti per stilare una lista di parole che ricorrono spesso.
Effettuare tale analisi ci serve per comprendere esaurientemente il senso di tutta la ricerca.
Ci aiuta anche a comprendere il modo di comporre poesia da parte di poeti dai quali si fa
risalire l’origine della nostra letteratura.
Ecco l’elenco degli autori e delle opere analizzate, tratte dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 1°
Iacopo da Lentini:
• Madonna dir vo voglio
• Meravigliosamente
• Guiderdone aspetto avere
• Amor non vale ch’io clami
• La ‘namoranza disiosa
• Ben m’è venuto prima condoglianza
• Donna, eo languisco e non so qual speranza
• Troppo son dimorato
• Non so se ‘n gioia mi sia
• Uno disio d’amore sovente
• Amando lungiamente
• Madonna mia, a voi mando
• S’io doglio non è meraviglia
• Amore, paura m’incalcia
• Poi no mi val merzè né ben servire
• Dolce coninzamento
• Dal core mio mi vene
• Feruto sono isvariatamente
• Cotale gioco mai non fue veduto
• Amor è uno desio che ven da core
• Lo giglio quand’è colto tost’è passo
• Sì come il sol che manda la sua spera
• Or come pote sì gran donna entrare
• Molti amadori la lor malatia
• Donna, vostri sembianti mi mostraro
• Ogn’omo ch’ama de’ amar so
• A l’aire claro ò vista ploggia dare
• Io m’aggio posto in core a Dio servire
• Lo viso mi fa andare alegramente
• Eo viso e son diviso da lo viso
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Sì alta amanza à pres’ a lo me’ core
Per sofrenza si vince gran vitoria
Certo me par che far dee bon Signore
Sì como ‘l parpaglion c’è tal natura
Chi non avesse mai vedutro foco
Diamante, né smiraldo, né zafino
Madonna à ‘n sé vertute con valore
Angelica figura e comprobata
Quand’om à un bon amico leiale
Ruggieri d’Amici
• Sovente Amore m’ha riccuto manti
Tommaso di Sasso
• L’amoroso vedere
• D’amoroso paese
Guido delle Colonne
• La mia gran pena e lo gravoso affanno
• Amor che lungiamente m’hai menato
• Ancor che l’aigua per lo foco lassi
Giovanni di Brienne
• Donne audite como
Oddo delle Colonne
• Distratto core e amoroso
Rinaldo d’Aquino
• Venuto m’è in talento
• Poi li piace ch’avanzi suo valore
• Per fino amore vao sì letamente
• Amor che m’è ‘n comando
• Già mai non mi conforto
• In gioi mi tegno tutte le mie pene
• Amorosa donna fina
• In amoroso pensare
• Ormai quando flore
• Meglio val dire ciò ch’omo è ‘n talento
• Un oseletto che canta d’amore
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Paganino da Sarzana
• Contra lo meo volire
Pier della Vigna
• Amore in cui disio ed ò speranza
• Amando con fin core
• Però ch’Amore non se po’ vedire
Stefano Protonotaro
• Pir meu cori alligrari
• Assai mi placeria
Jacopo d’Aquino
• Al cor m’è nato e prende uno disio
Jacopo Mostacci
• Amor ben veio che mi fa tenire
• A pena pare ch’io saccia cantare
• Umile core fino e amoroso
• Mostrar vorria in parvenza
• Sollicitando un poco meo savire
Federico II
• De la mia disianza
• Poi ch’a voi piace, amore
• Misura, providenza e meritanza
Ruggerone da Palermo
• Ben mi degio allegrare
Cielo d’Alcamo
• Rosa fresca aulentissima
Abate di Tivoli
• Oi deo d’amore, a te faccio preghere
• Qual omo altrui riprende spessamente
• Con vostro onore facciovi uno ‘nvito
Per quanto riguarda le parole adoperate, si è fatto riferimento ad un campione di opere (non
necessariamente d’amore) dei vari autori e correnti, e sono state prese, per ogni corrente o
autore, le dieci parole più usate.
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Ecco la classifica delle dieci parole che ricorrono più frequentemente nei poeti della Scuola
siciliana. Accanto ad ognuna di esse vi è l’occorrenza, cioè la percentuale di volte in cui essa
ricorre, calcolata sul numero totale delle parole che compongono le opere.
%
SCUOLA SICILIANA
1 Amor(e), amoroso/a
2 Cor(e)
3 gioi(a), gioioso, gioire …
4 Donna/e
5 Bellezza, bel, bella
6 Morte, morir(e) …
7 Madonna, Agi(o)
8 Viso, Servo, Servire …
9 Fin, Fino/a
10 Pena/e
X 1000
1,44
0,69
0,59
0,58
0,29
0,26
0,25
0,22
0,20
0,17
14,4
6,9
5,9
5,8
2,9
2,6
2,5
2,2
2,0
1,7
Grafico esplicativo:
14,4
6,9
2,6
2,5
2,2
2,0
1,7
Fin, Fino/a
Pena/e
Donna/e
gioi(a),
gioioso …
Cor(e)
Amor(e),
amoroso/a
2,9
Viso,
Servo…
5,8
Madonna,
Agi(o)
5,9
Morte,
morir(e) …
20
15
10
5
0
Bellezza,
bel, bella
X 1000
FREQUENZE SICILIANI
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LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI
TRANSIZIONE
2.1 COMPONIMENTI METRICI
Per quanto riguarda i metri adoperati dai poeti toscani, essi sono gli stessi della Scuola
siciliana, cioè la canzone, la canzonetta ed il sonetto, con l’aggiunta di un metro nuovo, non
adoperato dai Siciliani: la ballata. È un componimento metrico che è formato da una ripresa,
in genere da due o quattro versi, e da varie strofe dette stanze. Esse sono, a loro volta,
formate da una fronte (che si divide in due piedi tra loro uguali) e da una sirma (divisa in due
mutazioni, o composta da una parte indivisa detta volta); la regola costante è quella che il 1°
verso della volta rima con il 1° verso del 2° piede, mentre l’ultimo verso della volta rima con
l’ultimo verso della ripresa
Per quanto riguarda questa corrente nata in Toscana, a causa del tramonto definitivo della
potenza sveva in Italia, analizzeremo alcuni componimenti del suo esponente maggiore,
Guittone D’Arezzo, e di altri poeti come Chiaro Davanzati, Bonagiunta Orbicciani, Monte
Andrea, Panuccio Dal Bagno, Dante Da Maiano, Paolo Lanfranchi.
Analizziamo ora, dal punto di vista metrico, “Ahi lasso, or è stagion” di Guittone
D’Arezzo. E’ una canzone di sei stanze più un congedo in endecasillabi e settenari.
Ogni stanza è costituita da una fronte ( vv.1-8 ) che ha due piedi simmetrici ( ABBA,
CDDC ) e da una sirma che include due settenari con il seguente schema ( EFGg, FfE ).
Il congedo ( vv.91-97 ) è uguale alla sirma. Ora notiamo la perizia retorica con la quale
questo componimento è costituito:
1) Tutte le sei stanze (ad eccezione del congedo che di regola fa parte a sé ) sono collegate
dalla ripresa, è perfettamente realizzata cioè la tecnica - frequente nella lirica provenzale delle coblas capfinidas ( vv.15-16 altezza / Altezza, vv.30-31 Leone / Leone; ecc. );
2) La tecnica della rima presenta una notevole varietà. Abbiamo infatti: rime ricche (
vv.2-3 Ragione / guarigione; vv.32-33; vv.41-42; vv.46-49 ); rime univoche ( in cui cioè
viene ripetuta la stessa parola ), vv.25-28 tanto / tanto; vv.40-44 morte / morte; vv.61-64
danno / danno; rime equivoche (in cui la parola è ripetuta in senso diverso), vv.51-53 forza /
forza; rime siciliane, vv.80-83 ora / mura, ( dove o chiusa rima con u : si ricordi che nel
siciliano o chiusa diviene appunto u ); parole rima identiche che - nota A. E. Quaglio - << in
seguito al ritorno di rime uguali, elevano i termini chiave dell’ oratoria guittoniana: così
accade con la ripetizione di tanto ai versi 1-25-28, ma soprattutto ai versi 2-24; 19-39, 40-44
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da A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani” in LIL, 1
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Analizziamo “Tuttor ch’eo dirò” di Guittone D’Arezzo. E’ un sonetto in endecasillabi con
rime ABBA nelle quartine e CDC, DCD nelle terzine.
Notiamo l’affinità fra la prima rima delle quartine in osa e la seconda delle terzine in oso:
vv.1-4 cosa / gioiosa; vv. 5-7 posa / amorosa; vv.10-12-14 gioiosa / disioso / riposo.
Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. E’ un sonetto in endecasillabi, le
cui rime seguono lo schema del precedente sonetto, e cioè ABBA nelle quartine e CDC, DCD
nelle terzine.
Analizziamo “Molto si fa brasmare” di Bonagiunta Orbicciani, un rimatore vicinissimo ai
Siciliani, particolarmente al Notaio. Egli è molto incline alla canzonetta e alla ballata, non
sprovvisto di iniziative metriche; è il miglior ponte tra i Siciliani e gli Stilnovisti fiorentini (
Cavalcanti e Dante ). Questo componimento è una ballata mezzana ( cioè con ripresa di tre
versi ), in tutti i settenari: due piedi ab, volta abx, ripresa mmx. E’ una ballata in nove stanze,
la fronte divisa in due piedi ( con rima abab ) e la sirma composta da una sola volta abx.
Analizziamo “Poi contra voglia” di Panuccio Dal Bagno. E’ una canzone di sei stanze,
ognuna delle quali ha una fronte con due piedi uguali ( AbC ) e una sirma con due volte
uguali, ma con un verso aggiunto ( DeF, DeF, F ); e il congedo differisce così dalla sirma
come dalla stanza intera: sono innovazioni significative.
Analizziamo “Ahi dolze e gaia” di Chiaro Davanzati. E’ una canzone di cinque stanze.
Ognuna di esse ha una fronte con due piedi analoghi (AbbA, BaaB ) e una sirma CDdEeF,
dunque con la prima e l’ultima rima irrelate ( ma nelle prime due stanze, la prima, e allora il
verso è settenario, si identifica con b: tutto ciò è tipico della non imitata tecnica di Chiaro ).
La rima irrelata è formata da due parole che non hanno connessione sintattica;
proponiamo qualche esempio in questa canzone: vv.9-4 sequenza / maggiore; vv.23-28 paura
/ cortesia; vv.37-42 savere / sia; vv.51-56 donata / dolorosa; vv.65-70 maggiori / via.
Analizziamo “Donna di voi si rancura” di Monte Andrea. E’ una canzone di sette stanze
più congedo, che si segnala per essere, al modo più frequente nella poesia provenzale, in
strofe unissonans, cioè con rime costanti attraverso l’intero componimento. La fronte ha due
piedi analoghi, aab, ccB ( le lettere minuscole designano ottonari), e sirma a rime baciate ( le
lettere minuscole designano un ottonario la prima volta, altrimenti settenari ) ddeefF.
La prima rima è siciliana ( -ora con -ura ); tutte le stanze presentano anafora; delle sirme,
tolte quelle periferiche, cioè la prima e l’ultima ( congedo ), la rima in -one segnala il tema
metaforico ( talora letterariamente abusato, talora non banale ): leone, paone, dragone, ecc.
2.2 TIPO DI SINTASSI
Facendo riferimento a Guittone D’Arezzo, esponiamo alcune notizie sulla sintassi dei
componimenti dei Toscani. Guittone sembra trasferire alla sua regione e alla sua classe e parte
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( l’agiata borghesia guelfa ), ingigantendola, l’ambizione retorica degli aristocratici e
ghibellini siciliani.
Nella cornice della società poetica, egli appare in relazione con i principali rimatori suoi
contemporanei, il siciliano Mazzeo Di Ricco, forse Bonagiunta, certo Monte Andrea, il
Guinizzelli e altri ancora.
Le sue ballate sacre fanno inoltre sospettare che abbia avuto una parte di rilievo
nell’elaborazione della lauda, fatto non per nulla umbro ( e all’Umbria appartiene
dialettalmente la Toscana orientale ). Dante nel “De vulgari eloquentia “, classifica Guittone
nei versificatori che non persero, né lessicalmente, né sintatticamente, l’abitudine di
“plebescere”. Qui parla il Dante stilnovista, praticante un linguaggio scelto e melodico.
Solo la critica moderna, per esempio con Giuseppe De Robertis, ha reso il debito omaggio
all’importanza storica e alle qualità espressive, sia pure intermittenti, di Guittone 3.
Se anche non fu poeta grande e le nobili intenzioni oratorie prevalsero, in lui sul poetico
abbandono, grande è la sua importanza nella letteratura del Duecento. Fu un iniziatore, un
precursore, un letterato sapiente che diede vita a nuove forme e a nuovi schemi, a un’esigenza
di poesia più complessa e atta ad accogliere la multiforme vita della coscienza, anche se il suo
linguaggio, mescolato di espressioni dialettali e di suggestioni colte, latine, siciliane,
provenzali, rimase spesso apro e disarmonico. Spiace anche al gusto moderno l’abuso di certi
procedimenti stilistici, quali la “replicacio” ( usatissima già da Provenzali e Siciliani ), cioè la
ripetizione di parole che sembrano un compiacimento di enigmista più che di scrittore ( ad
esempio amore significa a morte, dice in una canzone per indicare i tristi effetti mortali cui
può portare la passione amorosa ). Qui Guittone è legato al gusto del tempo, che intendeva la
poesia soprattutto come artificio stilistico, secondo la pratica di quei Provenzali che erano
giunti a una sorta di linguaggio ermetico ( il “trobar clus” cioè il poetare difficile ) e che
Guittone voleva emulare.
2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
I poeti toscani non vivevano in una corte, ma ciascuno nella propria città, nei liberi comuni
della Toscana, la cui vita in questa epoca è straordinariamente viva e intensa, complicata da
lotte, spesso sanguinose fra le fazioni, all’interno del singolo comune e tra città e città.
C’è inoltre, in questa epoca, lo slancio costruttivo della borghesia comunale, che acquista
sempre più un deciso predominio nella vita dello stato. Essa è attratta dallo splendore del
costume cavalleresco, proprio di quell’antica classe egemonica, la nobiltà, che essa intende
sostituire. E’ l’individualismo di chi si afferma nella società e nella vita non in nome di
ereditari privilegi di casta, ma per le proprie capacità e qualità personali; è il realismo di chi
non cerca, come la nobiltà, di fermare il tempo e la gerarchia sociale esistente, chiudendosi in
un aristocratico sogno di vita bella, ma di chi, mercante o imprenditore, con la realtà deve fare
continuamente i conti e valutarla concretamente per trasformarla.
Questa situazione si riflette nella poesia toscana. Essa continua il tema dell’amor cortese,
però sviluppa sempre più decisamente l’affermazione che cortesia e nobiltà non sono eredità
3
La citazione è tratta da “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli
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di sangue o di stirpe, ma conquista individuale; inoltre continua, conseguentemente, quel
processo di spiritualizzazione dell’amore, e diremmo, di moralizzazione, per cui esso diviene
spinta alla conquista della virtù, non tanto cavalleresca, quanto decisamente morale. Questo
motivo, attraverso Guittone, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Bonagiunta Orbicciani,
prepara la nuova tematica poetica, amorosa spirituale, degli Stilnovisti.
La poesia toscana, infine, accoglie nuovi temi, morali e politici, riflettendo gli ideali, le
lotte, le accese passioni della vita comunale.
Analizziamo “La splendiente luce” di Chiaro Davanzati. Alcuni elementi di questo sonetto
hanno fatto parlare di un guinizzellismo di Davanzati, cioè di affinità con lo Stilnovo. Si tratta
in particolare dei seguenti:
l’immagine della luce ( vv.1 “La splendiente luce, quando appare …” ) che, nella
similitudine, corrisponde alla donna, di cui sono ribaditi lo splendore ( v.4 ) e la luminosità (
lumera, v.11 );
gli effetti, estesi a tutti gli uomini e non solo al poeta, del semplice “guardare”, qui
limitati però ad effetti psicologici ( v.5 fece alegrare; v.7 lo fa in gioia ritornare ):
La scelta del concetto e del termine alegrare ( di scarsa frequentazione stilnovistica ), la
metafora imperadrice di ogni costumanza ( v.10 ), e il motivo dei pittori che prendono la
donna a modello per la sua bellezza ( confinata insomma all’aspetto esteriore ) dimostrano
almeno un forte influsso - anche su questo componimento - della letteratura prestilnovistica.
Ma quello che è fondamentale è il fatto che le immagini e i motivi precedentemente
menzionati ( alcuni dei quali pure attinti dall’area stilnovistica ) mancano delle implicazioni
culturali, morali e filosofiche, proprie della rappresentazione dell’amore - come vedremo degli Stilnovisti.
Elenchiamo ora le metafore e le immagini usate in questo sonetto:
v.1 la splendiente luce: la donna è luce.
vv.4-8-13 ‘l suo splendore, il suo valore, di sì bella cera: gli attributi fisici della donna.
v.7 lo fa in gioia ritornare: la donna è salvifica.
v.9 E l’altre donne fan di lei bandiera; v.12 e li pintor la miran per usanza: la donna è
modello sia delle altre donne sia degli uomini, in particolare i pittori che la ammirano per
ritrarre la sua bellezza.
2.4 PAROLE ADOPERATE
Prendiamo in considerazione componimenti di Guittone d’Arezzo, il più importante poeta
dei rimatori toscani di transizione. Precisamente analizzeremo dalle Rime le canzoni da I a L
ed i sonetti da I a CCXLVI
Anche in questo caso procederemo a stilare un elenco delle parole più usate e a costruire
un grafico esplicativo.
Questa è la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.
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%
RIMATORI TOSCANI
1 Amor(e), amoroso/a
2 Cor(e)
3 Gioia, gioi, gioire …
4 Donna/e
5 Morte, morir(e) …
6 Virtute
7 Valor(e)
8 Bellezza, Bel, Bella/e
9 Sol(e)
10 Vita
X 1000
0,71
0,39
0,38
0,32
0,31
0,20
0,18
0,17
0,15
0,13
7,1
3,9
3,8
3,2
3,1
2,0
1,8
1,7
1,5
1,3
Grafico esplicativo:
7,1
3,9
Morte,
morir(e) …
Donna/e
Gioia, gioi,
gioire …
Cor(e)
Amor(e),
amoroso/a
2
1,8
1,7
1,5
1,3
Vita
3,1
Sol(e)
3,2
Bellezza,
bel, bella
3,8
Valor(e)
10
8
6
4
2
0
Virtute
X 1000
FREQUENZE GUITTONE D'AREZZO
È evidente che le parole sono, più o meno, le stesse dei poeti siciliani; anzi, le prime
quattro parole: amore – cuore – gioia – donna sono poste nella stessa posizione delle due
classifiche. Il che dimostra la stretta analogia tra rimatori siciliani e poeti toscani di
transizione.
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LE POESIE DEL DOLCE STIL NOVO
3.1 COMPONIMENTI METRICI
I componimenti metrici adoperati dai poeti del Dolce stil nuovo sono, in sostanza, in
medesimi dei rimatori toscani, e cioè: canzone, sonetto – con le sue varianti – e ballata.
Prendiamo in esame tre componimenti di Guido Guinizzelli, quattro di Guido Cavalcanti e
due di Cino da Pistoia.
“Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli è una canzone di sei stanze di
dieci versi ciascuna secondo lo schema: ABAB ( fronte ), cDcEdE ( sirma ).
La fronte è composta di due piedi uguali e presenta tutti endecasillabi; la sirma alterna
endecasillabi e settenari. Da rilevare la presenza della tecnica delle coblas capfinidas ( tranne
che tra V e VI stanza ) e la frequenza di rime che si ripetono in stanze successive ( ad esempio
-ore in I, II, IV; -ura in I, II, III; ecc. ), di rime identiche ( ad esempio sole / sole ai versi 5-7;
cielo / cielo ai versi 41-43; poi ancora ai versi 3-38, 4-18-25, 5-7-42 ). Si noti la rima siciliana
ai versi 18-20 natura / ‘nnamora.
“Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo” del Guinizzelli è un sonetto secondo lo schema
ABAB, ABAB, CDE, CDE. Notiamo le rime siciliane ai versi 2-4 ancide / merzede, e ai versi
6-8 divide / vede.
“Dolente lasso, già non m’asecuro” sempre del Guinizzelli, è un sonetto secondo lo stesso
schema del precedente. Come ci fa notare il Contini <<la rima muro / moro è tipicamente
guittoniana>>.4
“Io non pensava che lo cor giammai” di Guido Cavalcanti è una canzone secondo lo
schema ABBC, BAAC nella fronte; DeD, FeF nella sirma. Notiamo la differenza di schema
di rima nei piedi.
“Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira” del Cavalcanti è un sonetto secondo lo schema
ABBA, ABBA, CDE, EDC.
Sempre il Contini ci fa notare che la <<comunanza di due rime, una nelle quartine (-are ) e
una nelle terzine ( -ute ), e anzi di ben quattro parole in rima, una per ciascuna quartina o
terzina ( are, pare, vertute, salute ), rende evidente l’allusione a Guinizzelli ( “Io voglio del
ver la mia donna laudare ), anzi la “concorrenza” nella loda: l’analogia naturale, sufficiente
per la donna del primo Guido” non lo è più per la donna cavalcantiana, per intendere la
4
La citazione di G.Contini è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 554
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quale “ormai è affermata l’inopia di ogni ordinario procedimento conoscitivo, che sia di qua
dalla rivelazione ( “salute” )>> .5
“Voi che per li occhi mi passaste ‘l core” sempre di Cavalcanti è un sonetto secondo lo
schema ABAB, ABAB, CDE, CDE.
“Perch’i’no spero di tornar giammai” sempre del Cavalcanti è una ballata mezzana
secondo lo schema ABAB nella fronte e Bccddx nella sirma. La ripresa ( vv.1-6 ) è uguale
alla sirma, cioè composta da un endecasillabo, due settenari a rima baciata e il verso
“concatenatio” ( Wyyzzx ). Notiamo la rima siciliana voi / colui ai versi 34-35.
Le stanze terminano tutte con la stessa rima in -ore ( v.6 onore; v.16 dolore; V.26 core;
v.36 Amore; v.46 valore ).
“Tutto mi salva il dolce salutare” di Cino da Pistoia è un sonetto secondo lo schema
ABAB, ABBA, CDC, DCD.
“La dolce vista e’l bel sguardo soave” dello stesso autore della precedente, è una canzone
di settenari e endecasillabi; ogni stanza è composta di una fronte ABAB e di una sirma
BccdD. Il congedo ( vv.46-50 ) è uguale alla sirma.
Vi sono riprese e ripetizioni ( anche tra stanze capfinidas, vv.18-19 e vv.36-37 ).
Le rime presentano tre coppie di rime baciate BBccdD, alcune rime sono ricorrenti ( -ore I,
II stanze ), molte producono fra loro assonanza o consonanza ( nella prima stanza: -ore, -orte;
nella seconda: -asso, -ardo; nella quarta e nella sesta: -anto, -ento; nella seconda e nella
quarta: -ute, -uto; ecc. ), vi sono frequenti rime o assonanze interne o significative ripetizioni
foniche ( vi è ad esempio una fitta rispondenza tra amore e morte quasi sempre vicini e spesso
associati a termini come dolore, conforto, core, forte, porto, ecc.: si vedano i versi 6-24 come
riscontro pratico di queste note metriche ).
3.2 TIPO DI SINTASSI
Con il “dolce stil novo” la lirica amorosa di ispirazione cortese tocca la sua fase
culminante in Italia. I poeti esponenti di questo nuovo nucleo poetico sono i fiorentini Guido
Cavalcanti, Dante Alighieri, Guido Guinizzelli, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi e il pistoiese
Gino De’ Sigibuldi. Essi si staccano nettamente dalla poetica dei rimatori toscani e dalla
precedente tradizione siciliana e provenzale.
Ciò che li distingue sul piano formale è il rifiuto degli astrusi artifici stilistici tipici di
Guittone e la scelta di un ideale estetico al quale ispirarsi per rendere il poetare più “dolce”,
raffinato, musicale, morbido, sfumato, capace di dare voce più adeguata di quanto non
avessero saputo fare i poeti precedenti, all’interiorità del sentimento.
La dolcezza dello stile, insomma, è un fatto formale che non pregiudica la varietà dei temi
e degli stati d’animo: come dice Marti <<non solo “la sublimazione, l’idealizzazione, la lode
5
La citazione di G.Contini è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p.560
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angelicata possono essere espresse con la tecnica della dolcezza, ma anche la malinconia, il
dolore, il senso della morte, l’angoscia e la “paura” d’amore”>>6
La particolare sintassi di questa corrente può quindi comprendere le diverse maniere
individuali e i diversi temi prediletti da ciascun componente del gruppo ( la malinconia di
Cino, l’angoscia e lo sbigottimento di Guido Cavalcanti, ad esempio ).
Per meglio renderci conto in che cosa consiste questo stile “dolce”, analizziamo il testo più
celebre di Guinizzelli, già preso in esame nel precedente paragrafo, la canzone “Al cor gentil
rempaira sempre amore”. Essa si può considerare il vero e proprio “manifesto” della nuova
tendenza poetica. Seguiremo il seguente schema di analisi, che può essere utilizzato in tutti gli
altri testi. Abbiamo vari livelli di analisi: livello fonico: se vi sono suoni aspri.
livello metrico: come sono collegate le varie stanze; se ci sono rime ripetute nelle varie
stanze.
livello lessicale: se ci sono parole-chiave; quale posizione occupano all’interno del verso;
se sono presenti latinismi e/o provenzalismi.
livello retorico: se ci sono metafore, similitudini, analogie, allitterazioni, assonanze.
livello sintattico: se la sintassi usata è semplice o complessa; se c’è una corrispondenza tra
il tessuto sintattico e le argomentazioni adottate di carattere dottrinale e filosofico.
livello ritmico: se vi sono enjambements.
Nella canzone del Guinizzelli, per quanto concerne il livello fonico, possiamo affermare
che sono praticamente assenti suoni aspri e , in particolare, scontri di consonanti. Per quanto
riguarda il livello metrico non si trovano rime rare o difficili, cioè con combinazioni di suoni
rari e poco comuni, quindi molto difficili da trovare; poco presenti sono anche rime che
mostrino particolari artifici: vi sono solo due rime univoche, vv.5-7 sole / sole, vv.41-43 cielo
/ cielo, ed una rima siciliana ai versi 18-20 natura / ‘nnamora. Compare solo episodicamente
la tecnica delle “coblas capfinidas”: vv.10-11 foco / foco; vv.20-21 ‘nnamora / Amor; vv.4041 splendore / splende.
A livello lessicale non vi sono termini particolarmente rari e ricercati, ma il lessico è in
genere piano e comune. Sono pochi i francesismi e i provenzalismi: rempaira, clar (che può
essere anche un latinismo ), aigua, coraggio, semblo, semblanti, sembianza, amanza.
Per ciò che concerne il livello sintattico, osserviamo un andamento fluido e piano, senza
dure inversioni ( con qualche eccezione: la posposizione del soggetto natura al verso 4, del
ferro in la minera al verso 30, ai versi 45-50 ).
A livello ritmico notiamo l’assenza di spezzature violente; pause forti all’interno di un
verso ( punti fermi, punti e virgole ); sono rari gli enjambements dalla forte inarcatura ( vv.2627 foco / caldo, vv.48-49 splende / del suo gentil ).
A livello retorico non vi è presenza di numerose figure retoriche; qui sono rare e la più
frequente è il paragone.
6
La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 116
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3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
I temi e le metafore presenti negli stilnovisti fanno parte della tradizione di tutta la lirica
d'amore, a cui comunque vengono dati significato e valore diversi, perché utilizzati in modo
nuovo per diverse finalità e perché inseriti in un diverso contesto.
E’ il caso della metafora della donna-angelo, frequente anche nei poeti cortesi: nei testi
degli stilnovisti l’immagine si carica di nuovi e più profondi significati ( la donna è per
l’uomo un tramite verso l’Assoluto, è figura del sovrannaturale ).
Ma l’elenco degli elementi tradizionali presenti negli stilnovisti non si esaurisce al caso,
sicuramente il più clamoroso, della donna-angelo, anzi è lungo: l’iconografia tradizionale
dell’amore, rappresentato ad esempio come arciere soriano o infante cieco; il manifestarsi
dell’amore attraverso la vista della donna; l’amore come servizio; la subordinazione
dell’amante all’amata; tutta una serie di metafore ( amore che arde, il poeta che vive nel fuoco
e ne è consumato, la stella polare che guida l’amante …) e di temi ( il gabbo, la donnaschermo, l’amore non corrisposto … ), alcuni bisticci ( amore / amaro, Salute / saluto,
entrambi di origine provenzale ) e via dicendo.
Descriviamo ora i tratti principali nei quali si nota il grande rinnovamento del Dolce stil
novo nei confronti della lirica d’amore precedente. Per quanto riguarda la donna, essa sembra
quasi smaterializzarsi, non possedere più attributi fisici e non essere più “fonte di eccitanti
fantasie” nel poeta-amante. Non è più chiamata a colloquiare con il poeta; al colloquio con la
donna si sostituisce il colloquio con terze persone sulle qualità e virtù della donna.
La lode della virtù della donna non riguarda più virtù mondane, ma virtù spirituali. Quella
della donna diventa così un’immagine interiorizzata, una sintesi di ideali all’interno
dell’anima del poeta amante. Da qui scaturisce il concetto della donna-angelo, che non è solo
una decorazione superficiale dei componimenti ( la donna è bella come un angelo ), ma
diviene nodo concettuale profondo per cui la donna opera beneficamente come un angelo, non
solo sul poeta, ma su tutti coloro che la accostano.
Anche il concetto di amore muta profondamente. Come sostiene il Marti <<l’amore
diviene “tensione verso un principio assoluto e trascendente, nella quale la bellezza
femminile opera da stimolo verso l’attuarsi della pienezza della vita interiore in tutta la sua
complessa articolazione”>>.7 Quindi, in Dante “un processo di conoscenza porta verso
l’ineffabile rivelazione trascendente dell’Assoluto”. In Cavalcanti “ gli accende l’ansia
dell’Assoluto sentito come inattingibile approdo”. In Cino Da Pistoia “gli permette di cogliere
il senso dell’assoluto nei modi e nei moti della mente e del cuore per la ricerca della verità
nell’interno dell’uomo”.
I componimenti, quindi, esprimono l’estatica contemplazione e lode delle virtù della
donna: li potremmo definire “componimenti di lode” che, sia pure con qualche differenza,
sono comuni a tutti i principali componenti del gruppo e, si può dire, costituiscono una
modalità tipica della poesia stilnovistica.
7
La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 119
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Una modalità complementare alla precedente è quella in cui la medesima concezione della
donna e la medesima nozione di amore, suscitano nel poeta un sentimento di angoscia, la
percezione della propria inadeguatezza e inferiorità. E’, quest’ultima, una caratteristica del
Cavalcanti, poeta dello sbigottimento, della lacerazione interiore, del senso della morte.
Per quanto riguarda, invece, la nozione tradizionale di nobiltà, notiamo che l’ideale
stilnovistico non è più la nobiltà di sangue secondo l’ottica cortese, ma “nobiltà come
ingentilimento”, come esito di un processo interiore di raffinamento, che coincide
strettamente con la costante dedizione ad Amore.
La critica ha avuto giudizi discordanti sulla questione del rapporto che hanno gli stilnovisti
con un gruppo di poeti tardo provenzali ( Guiraut Riquier, Guilhelm De Montanhagol,
Sordello e Lanfranco Cigala ) e qualche toscano ( Monte Andrea, Chiaro Davanzati, ad
esempio ).
L’opinione del Sapegno è su una sostanziale continuità, oltre che di temi e stilemi, anche di
valori e ideali: la concezione dell’amore sarebbe radicata in quella cortese; le innovazioni del
gruppo risiederebbero nella tecnica più affinata, in un gusto più elevato e in un
“approfondimento e raffinamento dell’indagine psicologica”. 8
Vi sono, invece, assertori del carattere profondamente innovativo dello stilnovismo, sia dal
punto di vista più prettamente formale dei componimenti, sia da quello culturale.
Consideriamo la concezione della donna in Guinizzelli e in particolare il concetto di
donna-angelo secondo l’interpretazione del Marti: il Guinizzelli pone l’immagine della donna
in un’ordinata visione dell’universo facendo riferimento all’analogia dell’operare degli angeli,
con tesi del tutto lontane dalla poetica cortese, nella quale, invece, l’immagine angelica resta
estetica e decorativa. 9
Con questa intuizione poetica, Guinizzelli risolse l’urgente problema del rapporto fra
sentimento amoroso e legge morale, tra poetica ed etica. La donna angelo stilnovistica incide
nel vivo della poetica tradizionale.
Con Guinizzelli si inaugura una nuova giovinezza poetica permeata di una più fresca
spiritualità.
3.4 PAROLE ADOPERATE
Prendiamo in esame, per quanto riguarda le parole adoperate dagli stilnovisti, i seguenti
autori con le relative opere:
Guido Guinizzelli:
• Tegno de foll’impres’a lo ver dire
• Madonna il fino amor ched eo vi porto
• Donna, l’amor mi sforza
• Al cor gentil rempaira sempre amore
8
9
Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973, p. 21
La citazione di Marti è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, pp. 118-120
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Lo fin pregi avanzato
Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo
Vedut’ho la lucente stella diana
Dolente, lasso, già non m’asecuro
Ch’eo cor avesse, mi potea laudare
Io voglio del ver la mia donna laudare
Lamentomi di mia disaventura
Gentil donzella, di pregio nomata
Madonna mia, quel di’ ch’Amor consente
Sì sono angostioso e pien di doglia
Pur a pensar mi par gran meraviglia
Fra l’altre pene maggio credo sia
Chi vedesse a Lucia un var capuzzo
Volvol te levi, vecchia rabbiosa
Omo ch’è saggio non corre leggero
O caro padre meo, de vostra laude
Guido Cavalcanti:
• Fresca rosa novella
• Biltà di donna e di saccente core
• Avete ‘n voi li fior’ e la verdura
• Chi è questa che ven ch’ogn’om la mira
• Li miei foll’occhi, che prima guardaro
• Deh, spiriti miei, quando mi vedete
• L’anima mia vilment’è sbigottita
• Tu m’hai sì piena di dolor la mente
• Io non pensava che lo cor giammai
• Novella doglia m’è nel cor venuta
• Poi che di doglia cor conven ch’i porti
• Perché non fuoro a me gli occhi dispenti
• Voi che per li occhi mi passaste ‘l core
• Se m’ha del tutto obliato Merzede
• Se Merzè fosse amica a’ miei disiri
• A me stesso di me pietate vene
• S’io prego questa donna che Pietate
• Non sian le triste penne sbigottite
• Io prego voi che di dolor parlate
• O tu che porti nelli occhi sovente
• O donna mia, non vedestù colui
• Veder poteste, quando v’inscontrai
• Io vidi li occhi dove Amor si mise
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Un amoroso sguardo spiritale
Posso degli occhi miei novelle dire
Veggio negli occhi de la donna mia
Donna me prega, per ch’eo voglio dire
Per li occhi fere un spirito sottile
Una giovane donna di Tolosa
Era in penser d’Amor quand’i trovai
Gli occhi di quella gentil foresotta
Come m’invita lo meo cor d’amare
Io temo che la mia disaventura
La forte e nova mia disaventura
Perch’i’ no spero di tornar giammai
Certe mie rime a te mandar vogliendo
Vedeste, a mio parere, onne valore
S’io fosse quelli che d’Amor fu degno
Se vedi Amore, assai ti priego, Dante
Dante, un sospiro messagger del core
I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte
Certo non è de lo ‘ntelletto accolto
Gianni, quel Guido saluta
Ciascuna fresca e dolce fontanella
Se non ti caggia la tua santalena
Cavelli avea biondetti e ricciutelli
Da più a uno fece un sollegismo
Una figura della donna mia
La bella donna dove Amor si mostra
Di vil matera mi conven parlare
Guata, Manetto, quella scrignutuzza
Novelle ti so dire, odi, Nerone
Lapo Gianni:
• Eo sono Amor che per mia libertate
• Amore, io non son degno ricordare
• Gentil donna cortese e di bonare
• Angelica figura novamente
• Dolc’è ‘l penser che mi notrica ‘l core
• Donna, se ‘l prego de la mente mia
• Se tu martoriata mia soffrenza
• Amore i’ prego la tua nobeltate
• Angioletta in sembianza
• Novella grazia a la novella gioia
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Questa rosa novella
Ballata, poi che ti compose Amore
O Morte, della vita privatrice
Amor, nova ed antica vanitate
Nel vostro viso angelico amoroso
Sì come i Magi a guida de la stella
Amor, eo chero mia donna in domino
Gianni Alfani:
• Guato una donna dov’io la scontrai
• Donne, la donna mia ha d’un disdegno
• Quanto più mi disdegni più mi piaci
• Ballattetta dolente
• De la mia donna vo’ cantar con voi
• Se quella donna ched i’ tegno a mente
• Guido, quel Gianni ch’a te fu l’atrieri
Dino Frescobaldi:
• Un sol penser che mi ven ne la mente
• Poscia che dir conviemmi ciò ch’io sento
• Voi che piangete nello stato amaro
• Per gir verso verso la spera la finice
• Morte avversara, poich’io son contento
• Donna, dagli occhi tuoi par che si mova
• Amor, se tu se’ vago di costei
• Tanta è l’angoscia che nel cor mi trovo
• Un’alta stella di nova bellezza
• Quest’è la giovanetta ch’Amor guida
• Poscia ch’io veggio l’anima partita
• Al vostro dir, che d’amor mi favella
• Giovane, che così leggiadramente
• Questa altissima stella, che si vede
• Per tanto pianger quanto li occhi fanno
• No spero di trovar giammai pietate
• In quella parte ove luce la stella
• La foga di quell’arco, che s’aperse
• Deh, giovanetta, de’ begli occhi tuoi
• Quant’e’ nel meo lamentar sento doglia
• L’alma mea trist’è seguitando ‘l core
Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.
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DOLCE STIL NOVO
1 Amor(e), amoroso/a
2 Cor(e)
3 Morte, morir(e) …
4 Donna/e
5 Occhi
6 Bellezza, bel, bella
7 Spirto, spirito
8 Gentile
9 Valor(e)
10 Virtu(te)
X 1000
1,18
0,90
0,64
0,60
0,40
0,38
0,34
0,31
0,29
0,27
11,8
9,0
6,4
6,0
4,0
3,8
3,4
3,1
2,9
2,7
Grafico esplicativo:
11,8
4,0
3,8
3,4
3,1
2,9
2,7
Gentile
Valor(e)
Virtute
Morte,
morir(e) …
Cor(e)
Amor(e),
amoroso/a
6,0
Spirto,
spirito
6,4
Bellezza,
bel, bella
9,0
Occhi
20
15
10
5
0
Donna/e
X 1000
FREQUENZE STILNOVISTI
Rispetto alla precedente lirica d’amore si notano – a livello lessicale – alcune differenze,
pur in una situazione di forte analogia, data dal fatto che i termini amore – core – donna
occupano comunque i primi posti nella classifica. Le novità sono tuttavia evidenti:
1) Scompare, tra i primi dieci, il termine gioi(a), che era tipico della poesia siculo –
toscana di stretta derivazione provenzale (frequenza 1,2 x 1000)
2) acquistano peso i termini occhi (4x1000), spir(i)to (3,4 x 1000) e gentile (3,1 x 1000),
che costituiscono elementi basilari della nuova poetica stilnovista, nella quale
assistiamo ad una spiritualizzazione dell’Amore, ad una scarsa descrizione fisica della
donna (ridotta generalmente ai soli occhi) e infine alla netta corrispondenza tra Amore
e cuor gentile.
24
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LA POESIA DI DANTE (Le Rime)
4.1 COMPONIMENTI METRICI
Le Rime di Dante Alighieri comprendono 80 componimenti, di cui 54 autentici e 26 dubbi.
I 54 testi autentici contengono, dal punto di vista metrico, 33 sonetti, 13 canzoni, 5 ballate,
una sestina, una sestina doppia ed un sonetto doppio. Sonetti, ballate e canzoni erano già
presenti nelle liriche dei precedenti rimatori. La sestina è, invece, una novità. Essa si compone
di sei strofe, ciascuna formata da sei endecasillabi e costruita sulle parole – rima della strofa
precedente, secondo questa regola: ogni stanza assume alternativamente l’ultima rima e la
prima della stanza precedente, poi la penultima e la seconda, poi la terzultima e la terza. Lo
schema risulta il seguente: ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.
Il congedo, di tre versi, si forma sulle prime parole – rima delle prime tre stanze; le tre parole
– rima che mancano sono recuperate all’interno dei versi procedendo a ritroso; in pratica lo
schema del congedo è il seguente: A(B)F(D)C(E). Analoga la struttura metrica della sestina
doppia. La prima stanza ha il seguente schema: ABAACAADDAEE; l’ordine delle parole –
rima nelle altre stanze è stabilito sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così
via, sino all’esaurimento delle combinazioni (ad es. la seconda stanza è EAEEBEECCEDD),
Il congedo ha il seguente schema: AEDDCD. Quanto al sonetto doppio esso ha il seguente
schema metrico: AaBBbA, AaBBbA, CDdC, DCcD (Abbiamo l’introduzione di un settenario
dopo il 1° e 3° verso delle quartine e dopo il 2° verso delle terzine).
Prendiamo ora in esame alcuni componimenti tratti dalle Rime per analizzarne la metrica.
Analizziamo “Tre donne”: è una canzone di sei stanze; ogni stanza ha per piedi due
quartine identiche, AbbC, mentre nella sirma, collegata alla fronte ( CddEeFEfGG ), il
Carducci riconosceva un altro “quartetto” e due “terzetti”, tuttavia di non omogenea struttura.
Il primo congedo ha la consueta identità di struttura con la sirma, e perciò la sua prima rima è
irrelata. Molto diverso il secondo congedo ( EDeFFGG ), dove irrelata è invece la seconda
rima. La notevole divergenza nello schema e la mancanza in vari codici fanno pensare che,
secondo un’abitudine già ovvia nei trovatori, quest’altro sia un’aggiunta ( forse non di molto
posteriore ).
“Per una ghirlandetta” è una ballata per musica, composta da una ripresa di tre settenari (
schema abc ) seguita da tre strofe, ciascuna di quattro novenari e tre settenari ( schema:
DEDEebc ).
“Deh, Violetta, che in ombra d’Amore” è una ballata “grande”, per la ripresa di quattro
versi ( ABBA ) endecasillabi. Segue poi una sola strofa ( Cde, Dce - mutazioni - e EFFA volta ) di endecasillabi e settenari.
“Un dì si venne a me Malinconia” è un sonetto di metro ABBA, ABBA, CDC, DCD.
“Così nel mio parlar voglio esser aspro” è una canzone di cinque stanze, ciascuna delle
quali ha tredici versi su cinque rime. Lo schema è il seguente: AbbC, AbbC, CCDdEE. Ne
risulta che dal quinto verso in avanti si hanno solo rime baciate, cosa che contribuisce al ritmo
martellante, incalzante del componimento. La rima è notevole anche per la presenza di nessi
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consonantici aspri: -tr ( petra, impetra, arretra, faretra; squatra, atra, latra, latra ); -rz (
scorza, forza, ferza, terza, scherza, sferza ); -spr ; -rm; -zz; -rs; -lz; -rr; -nd; -nc; ecc.
Vi sono rime rare e difficili ( fatte con parole scarsamente attestate, almeno in rima: è più
facile , infatti, far rimare parole con terminazioni frequenti - cuore, amore, dolore - che parole
con terminazioni rare nel lessico italiano; così è per ferza, terza, scherza, sferza ai versi 6768-71-72, o per squatra , atra, latra, latra ai versi 54-55-58-59 ).
Vi è una rima equivoca ( latra / latra ai versi 58-59: il primo è un sostantivo, “ladra”, il
secondo voce verbale da “latrare” ).
Vi è la rima derivativa ( ferza, sferza ai versi 67-72, dove la voce verbale “sferza” è
composta dal sostantivo “ferza”; ma forse lo è anche petra / impetra ai versi 2-3, se - come
rileva il Contini - <<“impetra” non vuol dire “chiedere e ottenere”, ma “includere in se’
quasi in pietra” )>>10.
“Amor, tu vedi ben che questa donna” è una sestina doppia ( ABA, ACA; ADD, AEE ) con
congedo AEDDCD. Ha sostanzialmente la struttura di una stanza di canzone di tutti
endecasillabi, con distinzione di fronte e sirma e rispondenza di rime ( le due parole-rima che
compaiono due volte sono in rima baciata ). L’ordine delle parole-rima nelle stanze
successive si stabilisce sostituendo l’ultima alla prima, la prima alla seconda e così via, sino al
compimento, nelle cinque stanze, delle possibili combinazioni ( la seconda stanza è dunque
EAE, EBE; ECC, EDD; ecc. ). Il congedo segue ordinatamente la disposizione delle prime
parole-rima di ciascuna stanza, con raddoppiamento di quella centrale.
4.2 TIPO DI SINTASSI
Le “Rime”, e cioè quelle poesie di Dante che non sono state raccolte dal poeta nella “Vita
nuova” o nel “Convivio”, ci consentono di seguire il vasto e complesso cammino percorso da
Dante per arrivare all’ideale stilistico raffinato e aristocratico della “Vita nuova”, allo stile
“comico”, cioè vario, articolato, complesso, finalizzato ad esprimere realisticamente tutta la
vita dell’universo e dell’animo umano nei suoi molteplici aspetti, ora nobili, ora volgari, ora
umili, ora alti, ora infimi, ora sublimi.
In qualche caso sono visibili le tracce di un tirocinio stilistico siculo-guittoniano; altre
volte si tratta di poesie leggere ( ballatelle o sonetti ) madrigalesche ed epigrammatiche, per
donne i cui nomi, reali o convenzionali ( Fioretta, Violetta, Lisetta), sono stati variamente
avvicinati o allontanati dalle famose descrizioni femminili della “Vita nuova”.
Possiamo distinguere, in questa sorta di canzoniere dantesco, oltre alle rime giovanili
dominate dall’ideale espressivo stilnovistico, e a quelle di corrispondenza, la tenzone con
Forese Donati, e le rime “petrose”, caratterizzate, la prima, dal gusto della violenta
deformazione caricaturale, le seconde, dal gusto di un poetare in rima aspra e difficile,
sull’esempio dei più astrusi poeti provenzali. Vi sono infine le rime dottrinali, nutrite sì di
10
La citazione di G. Contini è tratta dalla premessa alla canzone nell’edizione delle Rime da lui curata, in
“Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970.
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pensiero e svolte secondo un solido schema dimostrativo, ma più spesso avvivate dall’ardore
del sentimento e dell’idealità morale.
Concludendo, le “Rime” sono una serie di tentativi, un procedere irrequieto del poeta in
una continua e travagliata ricerca espressiva.
4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Come per l’analisi della sintassi, così nell’analisi delle metafore e degli stilemi più
ricorrenti, è necessaria una suddivisione dell’esperienza poetica dantesca. La distinzione più
comprensibile che si può fare è la seguente: le rime della lode, le rime petrose, quelle
dottrinali, quelle allegoriche e, infine, quelle comiche.
Ovviamente, quelle che riguardano più da vicino la nostra ricerca sono le rime della lode,
perché è in esse che compare la tematica dell’amore. Queste ultime, a differenza delle
seconde sopracitate, fanno parte dell’esperienza stilnovistica di Dante.
Liberandosi dal Cavalcanti, Dante scopre una maniera più personale a cui più tardi
attribuirà un grande valore di svolta. Sono le “nove rime”, lo “stilo delle loda”, che
costituiranno poi il nucleo vitale della “Vita nuova”.
All’amore doloroso, Dante sostituisce la lode disinteressata di Beatrice, la gentilissima
della “Vita nuova”. Notiamo, quindi, il subentrare di un amore disinteressato, finalizzato ad
appagare se stesso, rimpiazzando la logica dell’amore come reciprocità di servizio. Nelle sue
radici cavalcantiane e guinizzelliane, è questo il culmine dell’esperienza stilnovistica.
Dante aveva dedicato componimenti anche ad altre donne ( Fioretta, Violetta, ecc. più tardi
reinterpretate come donne schermo, la cui funzione sarebbe stata quella di copertura del
segreto d’amore per Beatrice ), ed aveva cantato Beatrice anche in modi più convenzionali,
ma ad un certo punto dovette farsi chiara in lui la potenzialità simbolica dell’amore per
Beatrice, che diviene allora il supremo, l’unico. Beatrice diventa la “beatrice”, colei che
beatifica, cioè un miracolo, una creatura angelica non solo metaforicamente, ma proprio
venuta di cielo in terra a miracol mostrare, dal cielo rimpianta e al cielo destinata a fare
ritorno, dove il pensiero di Dante la contemplerà nell’ultimo sonetto della “Vita nuova”.
Per quanto riguarda, invece, le rime petrose ( da Petra, senhal della donna cantata ), esse
sono caratterizzate dallo stile aspro, nelle quali Dante abbandona l’immaginario stilnovistico e
si riallaccia all’esperienza del “trobar clus” ( poetare difficile ) di Arnaut Daniel.
Caratteristica generale delle petrose è una sorta di immobilità, di fisicità tematica per cui, al
limite, in esse non compare ( né potrebbe ) lo svolgersi dinamico di una situazione. I
“personaggi rituali” di questi componimenti sono tre: il poeta, la donna e Amore.
Un’ultima caratteristica che segnaliamo per ciò che riguarda queste poesie, è il realismo
innanzitutto linguistico, assai più che descrittivo-situazionale.
Il Contini scrive: <<le rime incluse nella Vita Nuova, qualunque ne fosse l’ordine
primitivo ( che sarebbe ben imprudente identificare con la consecuzione attuata nel libro ), si
tengono strette allo stilnovismo guinizzelliano - cavalcantiano, combinando la fenomenologia
amorosa, per così dire, ottimistica del fondatore - la donna come apparizione miracolosa,
sembianza angelica dispensatrice di salute ( qui Dante innesta l’identità salute - salvezza ) e
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tramite alla conoscenza celeste - con quella, che altrettanto approssimativamente si può dire
pessimistica, del Cavalcanti - l’essere amato come trascendente rispetto all’amante e
irraggiungibile, la qualità dolorosa e ‘paurosa’ della passione ->>.11
La critica ha anche discusso la sacralità della figura di Beatrice: per alcuni l’amore per
Beatrice e Beatrice stessa sono un mezzo per arrivare a Dio,12 e la Vita Nuova traccia un
percorso verso Dio, nel quale Beatrice è la figura di Cristo; per altri Beatrice è il fine ultimo
dell’amore di Dante, non è il tramite con Dio, ma è paragonata a Cristo, perché è colei che
dona beatitudine, e quest’ultima è appagamento che non desidera altro.13 Estremamente
sublimato e spiritualizzato, l’amore per Beatrice non si risolve però in misticismo.
4.4 PAROLE ADOPERATE
Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate prendiamo in esame le Rime, e
precisamente le 54 rime di sicura attribuzione.
Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente ed il relativo grafico.
%
DANTE, LE RIME
1 Amor(e), amoroso/a
2 Donna/e
3 Bellezza, bel, bella
4 Cor(e)
5 Occhi
6 Morte, morir(e) …
7 Mente
8 Gentile, Dolce(zza)
9 Sol(e), Pietra
10 Luce
X 1000
0,88
0,74
0,58
0,45
0,38
0,34
0,27
0,22
0,19
0,18
8,8
7,4
5,8
4,5
3,8
3,4
2,7
2,2
1,9
1,8
8,8
7,4
5,8
2,7
2,2
1,9
1,8
Luce
Occhi
Cor(e)
Bellezza,
bel, bella
Donna/e
Amor(e),
amoroso/a
3,4
Sol(e),
Pietra
3,8
Gentile,
Dolce(zza)
4,5
Mente
10
8
6
4
2
0
Morte …
Tempo
X 1000
FREQUENZE DANTE
Si nota che le parole adoperate da Dante, pur con qualche variazione, risultano molto simili
a quelle usate dagli stilnovisti, di cui Dante fece parte, e dei quali sono mantenuti significativi
termini, quali occhi (3,8 x 1000) e gentile (2,2 x 1000)
11
G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970, p. 302.
La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p. 152.
13
La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato, p.152.
12
28
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LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (Canzoniere)
5.1 COMPONIMENTI METRICI
Il Canzoniere di Petrarca si compone di 366 poesie, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9
sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Abbiamo già parlato delle canzoni, dei sonetti, delle ballate e
delle sestine. La novità in Petrarca è costituita dal madrigale. I madrigali sono componimenti
brevi, costituiti da due o tre strofe di tre endecasillabi ciascuna, seguite da una o due coppie di
endecasillabi, generalmente a rima bociata. I quattro madrigali di Petrarca hanno questi
schemi metrici: ABA BCB CC; ABA CBC DEDE; ABC ABC DD; ABB ACC CDD.
Prendiamo adesso in esame alcuni componimenti tratti dal Canzoniere.
“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” ( I ) è un sonetto di schema metrico ABBA,
ABBA, CDE, CDE. La bipartizione tra quartine e terzine, tra invocazione speranzosa di pietà
e ripiegamento sulla severa condanna di sè, è segnata anche dalle rime: nelle quartine si hanno
tutte rime con sillaba aperta, -ono, -ore, cioè con rime vocaliche; nelle terzine, invece, con
sillaba chiusa, -utto, -ente con scontro di consonanti.
Al verso 4 si noti la cesura; gli enjambements sono rari, poiché ognuno di questi versi può
rimanere a sé, improntato sul medesimo equilibrio.
“Benedetto sia ‘l giorno e ‘l mese e ‘l anno” ( LXI ) è un sonetto di schema metrico
ABBA, ABBA, CDC, DCD. Anche in questo sonetto sono rari gli enjambements; si noti la
coordinazione per polisindeto, rappresentata dall’anafora in e nei versi 1-2-3-7-11.
“Padre del ciel, dopo i perduti giorni” ( LXII ) è un sonetto di schema metrico ABBA,
ABBA, CDE, CDE. Vi sono solo tre enjambements ai versi 5-9-10.
“Chiare, fresche e dolci acque” ( CXXVI ) è una canzone di schema metrico
abCabCcdeeDfF. Ogni stanza è formata dalla fronte, a sua volta divisa in due piedi, e dalla
sirma, divisa in due volte.
5.2 TIPO DI SINTASSI
Il Canzoniere, insieme ai Trionfi, è l’unica opera di Petrarca scritta in volgare. Alla base di
quest’opera vi è un’esperienza reale e vissuta dal poeta: l’amore per Laura.
Non è una vera e propria esperienza vissuta – allorché ci troveremmo di fronte a un leggere
moderno, romantico ( prodotto cioè da una stagione culturale che ha esaltato la poesia come
trascrizione spontanea di sentimenti ) – ma è una trasfigurazione letteraria, come una
costruzione ideale, esemplare, che segue determinati codici.
29
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La poetica del Canzoniere è limpida, equilibrata, armoniosamente perfetta, dotata di una
miracolosa fluidità musicale, nonostante non si possa definire così l’intricato universo
petrarchiano.
Per Petrarca la poesia non è esplorazione accanita dell’anima, non sfogo immediato del
sentimento. I conflitti interiori non si gettano sulla pagina con la violenza scomposta con cui
nascono nell’intimo, ma passano attraverso un filtro che li decanta e li purifica: la letteratura
svolge questo ruolo.
L’esigenza di chiarezza e decantazione, corre parallela alla cura della perfezione formale,
al minuziosissimo e assiduo lavoro di lima che il poeta applica ai suoi versi, affinché non vi
resti nulla di grezzo, di approssimativo o di scomposto. Potremmo dire che la poesia di
Petrarca è retta da un “classicismo formale” che si manifesta come selezione ed idealizzazione
del reale. Lo stile di Petrarca è stato definito “monolinguismo” ( al contrario del
“plurilinguismo” dantesco ). Nessuna parola spicca mai, come intensa macchia di colore, nel
tessuto del discorso: Petrarca tende a creare un’armonia di insieme in cui nessun particolare
predomini. Come il poeta stesso afferma, il suo assiduo, infaticabile lavoro di lima sui testi,
tende a far soavi e chiare le rime aspre e fosche. Nel termine aspre notiamo l’allusione al
tono dantesco delle rime petrose.
5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE
La materia quasi esclusiva del Canzoniere è l’amore del poeta per una donna, chiamata
Laura, incontrata il Venerdì Santo in una chiesa di Avignone.
La figura di Laura è, comunque, evanescente, vicina e insieme lontana, irraggiungibile;
quasi un fantasma del cuore, viva nel sentimento e nell’immaginazione del suo poeta, ma mai
definita da una sorta di concretezza. Vero protagonista dell’opera è dunque Petrarca, la sua
anima tormentata.
La “Laura trasfigurata nella poesia” diviene per il poeta l’anelito di felicità, una felicità
terrena non effimera e caduca, la tensione verso una vita più bella.
Per comprendere gli altri temi della poesia petrarchiana, analizziamo il sonetto “Voi
ch’ascoltate in rime sparse il suono”, una ricapitolazione e rivalutazione a posteriori della
propria esperienza umana e letteraria.
1.
Divaricazione temporale. Il sonetto propone, innanzitutto, una forte divaricazione
temporale tra passato e presente, scandita lungo il testo dall’alternanza di verbi al presente (
v.1 ascoltate; v.4 sono; v.5 piango e ragiono; v.8 spero trovar ) e verbi al passato ( v.2
nudriva; v.4 era; v.10 fui ), ma sottolineata ed enfatizzata dall’antitesi del verso 4 ( quand’era
in parte altr’uom da quel ch’i’ sono ), e soprattutto dall’or sì del verso 9. In una struttura
metrico-ritmica, infatti, piuttosto regolare e persino monotona, il verso in questione spicca
perché è l’unico ad essere accentato sulla quinta posizione ( mentre dominano accenti in
quarta e sesta posizione negli altri versi più “regolari” ): questo fatto, e le ragioni sintattiche
connesse, impongono, oltre ad una variazione di ritmo rispetto ai versi precedenti, una doppia
pausa nella lettura che assolve, appunto, la funzione di dare enfasi al sintagma “or sì”.
30
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2.
Divaricazione dell’io. Questa divaricazione temporale determina, a sua volta, una
divaricazione dell’io del poeta. Egli, in altri termini, sembra scindersi in un “io” che scrive e
vive il presente e un “io” che è vissuto nel passato, caratterizzati da un diverso atteggiamento,
ma soprattutto da una diversa consapevolezza. Al passato l’io del poeta era smarrito nel suo
primo giovenile errore, nudriva ‘l core di sospiri, era in parte altr’uom da quel che è al
presente, favola fu gran tempo, senza accorgersi o vergognarsi delle dicerie
e del popol
tutto. Al presente si sostituisce, in primo luogo, la consapevolezza (conoscer chiaramente)
dell’errore, del vaneggiar, ma, in secondo luogo, anche il piangere, il ragionare (scrivere di
questa passata condizione e riflettere sul presente ), la speranza di trovar pietà e perdono,
l’intensa vergogna e il pentimento.
3.
L’io protagonista dissimulato. La centralità dell’analisi del proprio io, della
propria vicenda psicologica è, però, dapprima dissimulata in una sorta di gioco illusionistico.
Il sonetto si apre con un Voi, che al lettore deve apparire un soggetto sospeso, in attesa di un
predicato che non compare; in realtà si tratta di un vocativo; e il soggetto logico e
grammaticale del periodo, che prende da solo le due quartine, compare soltanto al verso 8.
Anzi, propriamente, non compare: è l’”io” sottinteso al verbo spero. Questa latitanza del
soggetto sino all’ottavo verso è in parte compensata dalla presenza, in frasi dipendenti, di tre
“io” ( vv.2-4-5 ) e di un “mio” al verso 3: il tutto produce appunto un “gioco illusionistico”,
che turba il lettore ( come già rilevavano i commentatori antichi ), un gioco di insistenza, e al
tempo stesso dissimulazione del protagonista logico e tematico delle quartine, del sonetto, e
poi dell’intero Canzoniere. Nelle terzine, viceversa, l’io del poeta è subito messo in evidenza (
Ma ben veggio ): presenza, questa, addirittura enfatizzata ai versi 11-12 mediante
allitterazione ( di ME Medesmo Meco MI vergogno ) e ripresa ( et del MIO vaneggiar ). A
questo proposito, si noterà, però, che <<proprio l’insistenza sull’io mediante l’allitterazione
simula un balbettamento>>14 (Contini ) che rinvia allo stato di incertezza, vergogna in cui si
trova il poeta.
4.
La vergogna e il persistere nell’errore. La divaricazione dell’io, protagonista del
sonetto, tra passato e presente è solo parziale. Fondamentale è, a questo proposito, la
limitazione del verso 4 ( quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono). Al presente il poeta
prova vergogna e pentimento, ha raggiunto la chiara conoscenza razionale dell’errore e della
più generale vanità delle cose e dei piaceri mondani, anche in questo caso sottolineata da
“echi semantici e fonico-sillabici” ( Naferi ): “VArio … VAne … VAN … proVA … troVAR
… VANeggiar …” in una sorta di citazione dissimulata di un luogo biblico: “vanitas
vanitatum et omnia vanitas”. Ma questo fatto non comporta che il poeta se ne sia liberato: egli
è ancora, almeno in parte, invischiato nell’errore, ancora adesso oscilla fra le vane speranze e
il van dolore, piange, non solo per il pentimento, e ragiona. Persino il vaneggiar del verso 12
non è esclusivamente riferito al passato.
A proposito delle interpretazioni di sull’identità di Laura, proponiamo l’analisi svolta da
Ugo Bosco.
<<Alcuni pretendono di scoprire ogni particolare su Laura donna; altri si illudono di aver
raggiunta la certezza della sua non-esistenza storica, posizione dalla quale il Petrarca sarà
14
G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970, p. 580.
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retrocesso al ruolo di puro cesellatore di parole e modulatore di ritmi, di puro “letterato”;
altri ancora, in posizione intermedia, ammettendo la realtà storica della donna e dell’amore,
evidenziano la simbolicità della loro rappresentazione: Laura, come Beatrice; donna
“spirans” e insieme simbolo.
Quest’ultima interpretazione è quella del De Sanctis, che vede Laura come “donna-dea”.
Un altro critico, il Croce; rimanendo fedele alla precedente posizione, asserisce “Il suo Dio o
la sua dea, il suo ethos, la sua politica appassionante si chiamò Laura … Nel profondo, nelle
radici del suo essere, non si trova che quella speranza e disperazione d’amore … Ed è amore
vero e proprio, nel quale egli richiede il ricambio e il possesso, e non l’ottiene e spera
sempre…”.
Il Croce vede l’amore del poeta, “centro, fulcro” della sua spiritualità.
Comunque bisogna partire dal fatto che nella vita dell’uomo, l’amore per Laura non fu
che un episodio che il poeta lirico vuole rappresentarci come centrale e determinante: un
episodio trasformato in “mito”.
Non si deve tentare di definire l’esistenza o no di Laura, ma l’essenza della più vasta
speranza e disperazione, che al poeta piacque cantare sotto la specie della sua speranza e
disperazione d’amore>>15.
5.4 PAROLE ADOPERATE
Come già detto, per la redazione dell’elenco delle parole maggiormente ricorrenti
analizzeremo il Canzoniere.
Ecco la classifica delle parole che ricorrono più frequentemente.
PETRARCA, IL CANZONIERE
1 Amor(e), amoroso/a
2 Bellezza, bel, bella
3 Dolce(zza)
4 Cor(e)
5 Occhi
6 Sol(e)
7 Morte, morir(e) …
8 Ciel(o)
9 Tempo
10 Vita
%
0,61
0,58
0,54
0,47
0,46
0,41
0,38
0,34
0,26
0,25
X 1000
6,1
5,8
5,4
4,7
4,6
4,1
3,8
3,4
2,6
2,5
Grafico esplicativo:
15
U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977, pp. 19 – 22
32
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6,1
Occhi
Cor(e)
Bellezza,
bel, bella
Amor(e),
amoroso/a
4,1
3,8
3,4
2,6
2,5
Vita
4,6
Tempo
4,7
Ciel(o)
5,4
Morte,
morir(e) …
5,8
Dolce(zza)
10
8
6
4
2
0
Sol(e)
X 1000
FREQUENZE PETRARCA
È evidente anche in Petrarca un linguaggio che si rifà, nelle sue linee essenziali, a quello
degli stilnovisti e di Dante. In effetti tra le dieci parole maggiormente usate dal poeta
troviamo i consueti termini comuni a tutte le correnti, come amore e cuore. Accanto ad essi vi
sono parole usate dagli esponenti del Dolce stil nuovo, come occhi (4,6 x 1000) o parole usate
da Dante, come dolcezza (5,4 x 1000) e sole (4,1 x 1000).
CONCLUSIONI
Le conclusioni che possiamo trarre dall’analisi dei cinque grafici e delle occorrenze nei
relativi autori (Siciliani, Guittone, Stilnovisti, Dante, Petrarca) sono abbastanza interessanti. È
più che evidente la ricorrenza molto frequente di alcune parole, che diventano tematiche e
rappresentative della lirica.
Innanzitutto ci balza subito agli occhi che la parola che ricorre in tutte le correnti ed autori
in percentuale sempre rilevante è amore. Nei Siciliani, soprattutto, essa ha la percentuale più
alta. Nei Toscani, nel Dolce stil novo, in Dante e in Petrarca tende invece a diminuire.
Un altro termine che ha una presenza ed una percentuale costante è cor, che si mantiene
più o meno stabile in tutte le correnti, ma aumenta nel Dolce stil novo, anche se non in modo
considerevole (9,0 x 1000 contro il 4 – 8 x 1000 delle altre correnti).
Anche la parola bellezza compare, in percentuale tra l’1,7 x 1000 e il 5,8 x 1000, in tutte le
correnti ed autori.
La parola gioia, tipica dei Siciliani e dei Toscani, scompare – almeno tra le prime dieci –
dagli stilnovisti in poi (1,2 x 1000 negli stilnovisti, 0,3 x 1000 in Dante e 0,2 x 1000 in
Petrarca). Con gli stilnovisti fanno il loro ingresso – tra le prime dieci – parole come gentile,
occhi, dolcezza (al 12° posto con il 2,0 x 1000) che aumentano notevolmente la loro presenza.
Tali termini restano in Dante ed in Petrarca, i quali recepiscono sostanzialmente, in campo
lessicale, le innovazioni portate dai rimatori del Dolce stil nuovo.
I cambiamenti linguistici più rilevanti si notano, in effetti, dal Dolce stil nuovo in poi,
poiché a partire dallo Stilnovo assistiamo all’omogeneità dei termini, all’uso completo delle
parole che, in modo esemplare, esprimono l’idea di amore e di tutto ciò che vi ruota attorno.
Per quanto riguarda la struttura dei componimenti, si può asserire che sin dall’inizio essi si
articolano in sonetti, ballate, canzoni e canzonette. Le produzioni poetiche di Dante e Petrarca
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dedicano tutta una loro opera alla raccolta di componimenti che per la maggior parte sono
sonetti: le Rime, per quanto riguarda Dante, e il Canzoniere, per Petrarca.
La sintassi, nella lirica d’amore, evolve gradualmente, seguendo un processo di
affinamento, semplificazione, ingentilimento e purificazione. Anche se l’evoluzione è
graduale, si nota comunque come nel Dolce stil novo ci sia il più netto distacco dalla
tradizione precedente. Da qui in poi, Dante e Petrarca, saranno i più grandi rappresentanti di
questo rinnovamento, anche se per Petrarca sarebbe necessario un discorso a parte, in quanto
non si suol definirlo uno stilnovista, bensì il precursore dell’Umanesimo.
Il motivo predominante della lirica d’amore, come facilmente si comprende, è l’amore. Da
esso si diramano sottogruppi di immagini e metafore che, nonostante siano sempre le stesse in
ogni movimento poetico, mutano aspetto e si caratterizzano in modo diverso. Queste metafore
sono principalmente due: la figura della donna e il sentimento del poeta. Per entrambe
bisognerebbe fare un discorso individuale in ogni corrente, ma i momenti di maggiore
importanza sono stati nel Dolce stil novo, nella produzione di Dante e in quella di Petrarca.
Nei primi due sono affini: la donna assume l’angel sembianza, diventa il tramite tra poeta e
Dio, e assume il significato salvifico.
Analizzando, invece, il sentimento del poeta nella produzione di Petrarca, si assiste al
radicale mutamento nei confronti della lirica precedente. Egli vive l’amore solo dentro di sé,
si fa unico interprete, unico interlocutore e unico destinatario dell’amore.
Concludendo, si può affermare, da questo lavoro d’indagine, quanto sia importante l’uso o
l’omissione di determinate parole, affinché la comprensione di un poeta o di una corrente
siano più facili. È importante , inoltre, sottolineare la genialità di alcuni uomini, la loro
sensibilità. Uomini che hanno costruito le fondamenta della nostra lingua, della nostra cultura,
ma soprattutto, che ci aiutano a ragionare e a modellare il pensiero.
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PARTE SECONDA
(Dall’Umanesimo alla fine del Romanticismo)
LA LIRICA D’AMORE DEL 1400
6.1 COMPONIMENTI METRICI
I metri usati nella lirica d’amore del Quattrocento riprendono i classici metri di Petrarca, e
cioè sonetto, canzone, sestina, ballata, madrigale. In aggiunta abbiamo altre tipologie
metriche, di varia origine, che fanno il loro ingresso nella poesia d’amore. Le principali sono
le seguenti:
1) La terza rima, o capitolo in terzine: formata da terzine di endecasillabi, chiusi da un
verso isolato, rimato con il penultimo verso: ZYZ – Y; prende ispirazione dai Trionfi
del Petrarca.
2) L’ottava rima: composta da una strofa di otto endecasillabi, i primi sei a rima alternata,
gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC. Viene usata da Lorenzo
il Magnifico.
3) Lo strambotto: è un breve componimento in endecasillabi; gli schemi più diffusi sono
ABABAB, ABABCC, AABBCC (sei versi), oppure ABABABAB, ABABCCDD,
AABBCCDD (otto versi). Viene usato dal Poliziano.
4) La villotta e la villanella: componimenti in metro variabile, modellati sulle ballate
5) La frottola barzelletta: non è un metro ben definito, presenta schemi vari, con versi
lunghi e brevi, può essere modellata sulla ballata.
6) I canti carnascialeschi: simili alle ballate, ma composti da ottonari. Sono usati da
Lorenzo il Magnifico.
In questo paragrafo analizzeremo i componimenti metrici di alcune liriche di Lorenzo il
Magnifico, e di Angelo Poliziano.
Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico analizziamo Il cor mio lasso in mezzo
all’angoscioso petto e Tante vaghe bellezze ha in sé raccolto.
Sono due sonetti, il primo di schema ABBA ABBA CDE CDE, il secondo ABBA ABBA
CDE EDC. In entrambi sono numerosi gli enjambements, quindi il ritmo è abbastanza rapido
e scorrevole.
Per ciò che concerne Angelo Poliziano analizziamo I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino
e Ben venga maggio.
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Il primo componimento è una ballata, o “canzone a ballo”, di endecasillabi, con rime
ABABBX per la strofa, XX per la ripresa. L’ultima parola del componimento, giardino,
coincide con l’ultima della ripresa.
Vi sono pochi enjambements ( vv.1-3-6-7-13-14-17-30 ); da notare alcuni versi spezzati (
vv.1-4-5-9-11-16-17-21-23-25-28-30 ).Oltre che da questi elementi, il ritmo è determinato
anche dalla serie anaforica quando … quando … quando ai versi 24 e 25.
Il secondo componimento è, anch’esso, una ballata ( destinata ad essere cantata con
accompagnamento musicale ) di tutti settenari, con otto strofe di schema ababbx ( x sempre in
maggio ), ripresa xx formata da un quinario e da un settenario.
Sono presenti alcuni enjambements ( vv.1-3-7-9-11-13-15-17-19-21-23-25-27-33-36-3739-47-49 ), ma in misura minore rispetto ai versi spezzati. Possiamo affermare che il ritmo di
entrambe le poesie è piuttosto lento.
6.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Per comprendere che tipo di linguaggio usano i due poeti prenderemo spunto dall’ Epistola
proemiale che fa capo a tutta una raccolta di testi poetici toscani che Lorenzo il Magnifico
inviò a Federico di Aragona nel 1477. L’Epistola proemiale e probabilmente la stessa scelta
dei testi della raccolta, si devono al Poliziano, che parla però in nome di Lorenzo.
Questo testo è di grande importanza nell’ambito di quel processo di rivalutazione del
volgare che caratterizza tutto il Quattrocento. Lorenzo Il Magnifico e Poliziano, assieme a
tanti altri poeti loro contemporanei, operarono concretamente quella controtendenza che
mirava a riconoscere dignità al volgare, a restituirgli campi d’uso non subalterni, a sostituirlo
al Latino come lingua di cultura. Si possono apprezzare, grazie a loro, opere di qualità in
volgare, sia in ambito poetico che prosastico. La ripresa del volgare, soprattutto, ma non solo,
in ambito letterario, è guidata lungo le linee che avevano ispirato l’elaborazione linguistica e
stilistica del Petrarca, anche se non con gli stessi risultati: il volgare degli umanisti cerca
ispirazione nei classici latini, sia pur indirettamente, e cerca di competere con il Latino
umanistico in dignità, eleganza e raffinatezza. Ecco perché vi è una forte frequenza di
latinismi in ambito lessicale.
Ritornando all’Epistola, Poliziano pone in rilievo i sommi Dante e Petrarca, ma anche tutti
gli altri poeti che fanno parte dell’intera tradizione poetica.
Possiamo asserire, quindi, che il linguaggio adoperato dagli umanisti, come Lorenzo il
Magnifico e Poliziano, è assolutamente aderente a quello volgare della produzione del
Petrarca.
6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE
Prendiamo in esame I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino. In questa lirica, che è fra le più
belle e celebri del Poliziano e dell’intero Quattrocento, un giardino lussureggiante in
primavera è metafora della giovinezza; il far ghirlande, il coglier la rosa mentre è più fiorita,
significano goder la giovinezza; la sfioritura ( prima che sua bellezza sia fuggita v.27 ) evoca
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il declino della giovinezza. Il messaggio che chiude il componimento ( sicché, fanciulle,
mentre è più fiorita,/ coglian la bella rosa del giardino ) è poi un equivalente del celebre
“carpe diem” oraziano. L’invito a godere la vita nella sua stagione migliore ha origine, in una
lunga tradizione, dalla constatazione della labilità della vita e della giovinezza stessa. Emilio
Bigi, sintetizzando i temi più tipici della lirica giovanile del Poliziano, ha parlato di <<amore
… bellezza e … giovinezza, cantati nella loro affascinante vitalità umana e insieme con sottile
sentimento della loro caducità>>16
L’invito edonistico a godere dei piaceri, espresso tramite la metafora del “cogliere la rosa”,
torna più volte nella letteratura quattrocentesca, e si concretizza nel godere i piaceri
dell’amore: ecco la vena sensuale, libera da ogni senso di peccato, che in qualche modo
contrasta con il petrarchismo (ispirato al platonismo, tipicamente rinascimentale, che
affermava la spiritualizzazione dell’amore). Da tutto ciò ricaviamo che la posizione di
Poliziano è del tutto laica: se le cose belle sono effimere, bisogna goderle prima che esse si
dileguino.
Riassumendo quelli che sono i temi prediletti alla lirica d’amore quattrocentesca,
possiamo evidenziare la rappresentazione di un mondo di serena ed equilibrata gioia vitale e
la fiducia ottimistica nella vita, nella natura e nell’uomo.
Per quanto riguarda Lorenzo il Magnifico vi è una disparata gamma di interpretazioni
critiche. Ciò è dato dall’ eterogeneità della sua produzione, dalla presenza di temi spesso
contraddittori. Alcuni critici hanno parlato di “dilettantismo”, altri di “intellettualismo”, c’è
chi ha messo in discussione la sincerità d’ispirazione, chi ha individuato un impegno nella
realtà, chi contrariamente ha messo in evidenza il desiderio di evasione, chi ha tentato di
coniugare i due aspetti.
Sicuramente vi è una forte componente di eclettismo, probabilmente causata dai suoi
impegni politici, che non gli hanno permesso di aspirare ad una fama esclusivamente dovuta
alle sue opere letterarie. Premesso questo, non si possono negare le sincere motivazioni
all’esercizio e alla sperimentazione letteraria.17
Per quanto riguarda Poliziano, la critica tende a porre in rilievo la questione che riguarda
l’idea che egli aveva di funzione dell’arte, cioè cosa fossero per lui poesia e filologia. Eugenio
Garin, ad esempio, parla di <<culto della parola come manifestazione della civiltà umana>>:
un culto della parola che si esplica in un interesse profondo, rigoroso ed analitico per tutti i
documenti e le testimonianze del passato investigati e compresi con un acuto senso della loro
storicità.
Per ciò che concerne il suo stile, ne richiamiamo i concetti chiave tratti dall’epistola al
Cortese: rifiuto della rigida imitazione di un unico modello, per quanto possa considerarsi
“ottimo” ( nel caso specifico Cicerone ) , affermazione della necessità di imitare tutti gli
autori che presentino qualche pregio, in un processo di assimilazione e interiorizzazione della
parola degli antichi che costituisce il fondamento dell’originalità stilistica individuale. Questa
concezione dell’imitazione giustifica l’applicazione della formula “docta varietas” per
definire gusto, ideale estetico e pratica dello stile polizianei. La concreta analisi delle pagine
16
La citazione di E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana, UTET,
Torino 1986, p.384
17
La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato.
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poetiche di Poliziano, in volgare e in Latino, dimostra l’incidenza di tale gusto: echi diversi,
diverse reminiscenze, calchi e citazioni anche dissonanti per provenienza e qualità, ora attinti
ai citati modelli letterari classici, ora viceversa a componimenti di andamento popolare, si
intrecciano in complessi e originalissimi impasti. Siamo vicini a quel gusto e a quella pratica
linguistica e stilistica, ispirati all’ibridismo tipicamente quattrocentesco18.
Comunque, anche se non linearmente, la tendenza degli ultimi decenni del Quattrocento è
di fare del petrarchismo un momento sempre più centrale dell’elaborazione lirica, sul piano
tematico e su quello formale.
6.4 PAROLE ADOPERATE
Per ricercare le prime dieci parole adoperate dai lirici del Quattrocento abbiamo
considerato i seguenti autori con relative opere:
Lorenzo dei Medici
• Canzoniere
• Poemetti in terzine
• Rime in forma di ballata: Laude 1 – 9; Ballate 1 – 29; Canti carnascialeschi 1 – 11
• Poemetti in ottava rima: Ambra; Nencia; Selva 1; Selva 1, 142; Selva 2; Selva 2, 31
Angelo Poliziano:
• Rime
Jacopo Sannazaro:
• Arcadia
• Sonetti
• Canzoni
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:
POETI DEL QUATTROCENTO
1 Amor(e), amoroso/a
2 Cor(e)
3 Bellezza, bel, bella
4 Dolce(zza)
5 Sol(e)
6 Occhi
7 Tempo
8 Ciel(o)
9 Vita
10 Morte
%
0,50
0,39
0,38
0,29
0,29
0,27
0,20
0,19
0,17
0,16
X 1000
5,0
3,9
3,8
2,9
2,9
2,7
2,0
1,9
1,7
1,6
Si nota chiaramente che le parole sono le stesse che usa Petrarca, con qualche leggero
cambiamento che riguarda la posizione nella classifica. Anche le percentuali di frequenza
18
La citazione è tratta da “Il sistema letterario”, Guglielmino/Grosser, Principato.
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risultano abbastanza simili, oscillando tra l’1,5 e il 6 x 1000. Questo dimostra la forte
dipendenza dei poeti del Quattrocento dal modello petrarchesco
Grafico esplicativo:
FREQUENZE POETI DEL QUATTROCENTO
5,0
2,7
2,0
1,9
1,7
1,6
Ciel(o)
Vita
Morte
Bellezza,
bel, bella
Cor(e)
Amor(e),
amoroso/a
2,9
Tempo
2,9
Occhi
3,8
Sol(e)
3,9
Dolce(zza)
10
8
6
4
2
0
39
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IL PETRARCHISMO
La poesia del Cinquecento è caratterizzata dal Petrarchismo, esperienza poetica che
consiste nell’imitazione di Petrarca, considerato il modello assoluto della lirica d’amore. È in
questo momento che il linguaggio del petrarchismo diventa il codice letterario principe, base
di ogni esperienza letteraria. Analizzeremo, in questo capitolo, varie esperienze poetiche:
quella di Pietro Bembo, quella di Ludovico Ariosto, quella di Gaspara Stampa, quella di
Mons. Della Casa, quella di Vittoria Colonna, per concludere con Torquato Tasso, il quale –
pur nella sua originalità poetica – dal punto di vista della materia amorosa può essere
considerato un petrarchista.
7.1 COMPONIMENTI METRICI
Dal punto di vista metrico i Petrarchisti seguono, ovviamente, la lezione del Petrarca, che –
come già era accaduto nel Quattrocento – rimane il modello fondamentale. Tuttavia è
possibile individuare alcuni mutamenti di rilievo.
Innanzitutto la ballata; essa subisce cambiamenti, con l’introduzione dei versi ottonari ed
in seguito tenderà a sparire.
Il madrigale cambia completamente struttura: diventa un componimento eterometrico, con
l’alternanza di endecasillabi e settenari, disposti liberamente, con schemi a piacere; i versi
restano meno di 14.
La sestina perde praticamente ogni rilievo e non ha più alcuna importanza.
La canzone resta quella codificata da Petrarca, ma inizia a subire qualche variazione. Ad
esempio Annibal Caro in Manca il fior non divide più piedi e volte.
Accanto ai metri tradizionali si fanno, tuttavia, strada nuove forme compositive. Le
principali sono le seguenti:
1) L’ode oraziana: ispirata al poeta latino Orazio; è formata da brevi strofe di 4 – 6 versi
endecasillabi e settenari; gli schemi più usati sono: ABBA, aBbA, aBbACc, aBabB,
AbBA, AbbA, Abba. Il primo ad introdurla è Pietro Bembo, con Io vissi pargoletta. In
seguito l’ode diventerà la concorrente più forte della canzone.
2) L’ode pindarica: è l’altra concorrente della canzone, ispirata al poeta Pindaro. È
formata da tre parti: strofe-antistrofe-epodo, strutturati secondo la metrica petrarchesca.
In Alamanni abbiamo lo schema seguente: abCabCcdddDfF (prime due strofe),
ghIghIikllkmM (terza strofa)
Prendendo in considerazione la produzione lirica dei vari poeti da noi analizzati, possiamo
affermare che la maggior parte dei componimenti usati sono, comunque, sonetti. Per fare
qualche esempio citiamo: Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura ( schema metrico: ABBA
per le quartine; CDE e DEC per le terzine ) e Solingo augello, se piangendo vai ( schema
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metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Pietro Bembo; Dal vivo fonte
del mio pianto eterno ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDE per le terzine ) e Occhi
miei, oscurato è il nostro sole ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDD per le terzine )
di Vittoria Colonna; Voi, ch’ascoltate in queste meste rime ( schema metrico: ABBA per le
quartine; CDE per le terzine ) e Rimandatemi il cor, empio tiranno ( schema metrico: ABBA
per le quartine; CDC e DCD per le terzine ) di Gaspara Stampa; Chiuso era il sol da un
tenebroso velo (schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e EDC per le terzine) e O
sicuro, secreto e fidel porto ( schema metrico: ABBA per le quartine; CDC e DCD per le
terzine ) di Ludovico Ariosto; D’un alto monte onde si scorge il mare ( schema metrico:
ABAB per le quartine; CDE per le terzine ) e Scrissi con stile amaro, aspro e dolente (
schema metrico: ABBA per le quartine; CDE e CED per le terzine ) di Isabella De Mora.
Abbiamo anche componimenti diversi dal sonetto, ma in minor numero. Citiamo, ad
esempio, Voi mi poneste in foco di Bembo, canzonetta di settenari e endecasillabi, secondo lo
schema aBABbbB, senza congedo; Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico
Ariosto, madrigale con rime secondo lo schema ABCaBcDD.
7.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Come possiamo intuire dal titolo del capitolo, il “Petrarchismo”, la produzione di questi
poeti rimanda a quella di Francesco Petrarca ( 1304 Arezzo - 1374 Arquà ). Analizzando ogni
singolo componimento lirico di Bembo, di Ariosto, della Stampa, Della Colonna, si notano
forti influssi del Canzoniere petrarchesco, che a volte si traducono in veri e propri casi di
imitazione ( come Voi, ch’ascoltate in queste meste rime e Mesta e pentita de’ miei gravi
errori di Gaspara Stampa ).
Il linguaggio e la sintassi della maggior parte dei componimenti sono fluidi, lineari, senza
forti spezzature.
Sarà utile aprire una parentesi sulla riflessione sulla lingua e sulla letteratura di Pietro
Bembo, per capire meglio alcuni aspetti del linguaggio lirico che stiamo analizzando.
In direzione critica e di poetica, egli determina e sancisce l’affermazione della teoria
dell’ottimo modello ( e precisamente di un duplice modello prosastico e poetico: Cicerone e
Virgilio per il Latino, Boccaccio e Petrarca per il Toscano ). Nell’ambito della discussione
linguistica, egli propugna con successo la tesi del fiorentino letterario, espresso dai due grandi
trecentisti in particolare. In direzione più strettamente poetica, poi, Bembo propone
un’esperienza poetica vissuta tutta all’insegna di una sempre più profonda e consapevole
appropriazione del mondo ideale e immaginario, della forma espressiva e dello stile del
modello petrarchesco.
Abbiamo, nel Cinquecento, un ritorno alla lettura diretta e approfondita del Petrarca e,
contemporaneamente, il rifiuto consapevole e polemico dell’eclettismo-ibridismo
quattrocentesco.
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7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Il Petrarchismo cinquecentesco è permeato di neoplatonismo; si propone come
un’esemplare vicenda d’anime che, attraverso l’esperienza d’amore, mirano ad elevarsi e a
cogliere il senso della bellezza e della bontà divina; è, inoltre, una vicenda di ingentilimento e
di perfezionamento spirituale.
Questa corrente lirica fonde insieme due diverse letture del piano tematico: quella
platonizzante e quella cristiana. La prima è la consueta vicenda d’amore che si nutre di
sospiri, di ricordi, di immagini mentali, di languide contemplazioni, di idoleggiamenti della
persona amata e degli oggetti e dei luoghi delle sue epifanie; la seconda è la vicenda di un
amore terreno nutrito di ansie, sospiri, ardori, errori, che, col trascorrere del tempo, viene
giudicato come traviamento e lascia il posto a un progressivo riaccostamento penitente a Dio.
Queste due letture sono legate in un rapporto dialettico, e i poeti materializzano nei loro
versi questa fusione.
Il madrigale Fingon costor che parlan de la Morte di Ludovico Ariosto, ci propone
l’analisi della tematica della morte come conseguenza della bellezza della donna amata: il
poeta non sa condividere la dominante visione terribile della morte, perché per lui essa
diviene la somma di tutta la felicità possibile.
La canzonetta Voi mi poneste in foco, testimonianza della prima fase della ricerca lirica di
Pietro Bembo, verte su <<un di quei bisticci e problemi amorosi che la lirica cortigiana
aveva messo di moda: l’amante continuamente rischia di morire o perché arso dall’amore o
perché dissolto dalle lagrime; ma l’un male è corretto dall’altro e opposto, sicché la doppia
morte si risolve in prolungamento di vita>>.19
Secondo Luperini <<il petrarchismo divenne una convenzione letteraria che incoraggiò
per secoli un modo retorico di comporre, di leggere e di vivere la poesia. La lingua della
poesia si “specializza” e si istituzionalizza, cristallizzandosi in formule fisse e stereotipate. Il
petrarchismo contribuì in modo decisivo a creare una lingua letteraria unica sul piano
nazionale e a tenere in vita quei valori di decoro e di misura che, sorti con l’Umanesimo,
poterono prolungarsi sino al nostro secolo.>>20
7.4 PAROLE ADOPERATE
Per elencare le dieci parole più usate dai petrarchisti, abbiamo preso in esame i seguenti
autori con i relativi testi:
•
•
•
19
Ludovico Ariosto: Rime
Pietro Bembo: Rime
Mons. Giovanni Della Casa: Rime
La citazione è tratta da “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960.
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•
•
•
Gaspara Stampa: Canzoniere
Vittoria Colonna: Rime
Torquato Tasso: Rime
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:
%
PETRARCHISTI
1 Amor(e), amoroso/a
2 Bellezza, bel, bella
3 Ciel(o)
4 Sol(e)
5 Cor(e)
6 Dolce(zza)
7 Alma
8 Occhi
9 Luce
10 Mondo
X 1000
0,47
0,44
0,43
0,41
0,32
0,30
0,19
0,17
0,16
0,15
4,7
4,4
4,3
4,1
3,2
3,0
1,9
1,7
1,6
1,5
Grafico delle frequenze:
4,7
4,4
4,3
4,1
1,9
1,7
1,6
1,5
Occhi
Luce
Mondo
3
Alma
Sol(e)
Ciel(o)
Bellezza,
bel, bella
Amor(e),
amoroso/a
3,2
Dolce(zza)
10
8
6
4
2
0
Cor(e)
X 1000
FREQUENZE PETRARCHISTI
Si può notare che le parole usate sono sostanzialmente quelle di Petrarca con qualche
leggero scostamento e con qualche eccezione: morte non è tra le prime dieci parole usate dai
petrarchisti, ma si colloca all’ 11° posto con l’1,4 x 1000; alma e mondo non sono tra le prime
dieci parole usate da Petrarca, ma hanno in Petrarca una frequenza, rispettivamente, dell’ 1,5
x 1000 e dell’1,8 x 1000, che sono assai vicine ai valori dei petrarchisti.
Anche in questo caso, dunque, come in quello dei poeti del Quattrocento, appare netta ed
evidente la dipendenza degli autori esaminati dal modello petrarchesco.
20
La citazione è tratta da”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani
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IL MARINISMO
In Italia, nel ‘600, Marino è il caposcuola di una nuova tendenza poetica, definita in
seguito lirica barocca, dal nome adoperato dagli Illuministi, in senso dispregiativo, per
caratterizzare tutto il secolo precedente ad essi.
Assieme a Marino, analizzeremo anche altri esponenti di questa corrente, come ad esempio
Claudio Achillini, Tommaso Stigliani, Ciro Di Pers, Giacomo Lubrano e Federico Meninni.
8.1 COMPONIMENTI METRICI
La produzione lirica dei marinisti verte soprattutto sul sonetto, ma comprende anche le
altre forme metriche tipiche della tradizione poetica italiana, come canzoni, odi, madrigali,
che abbiamo visto precedentemente.
Per quanto riguarda Marino, possiamo citare Onde dorate (sonetto secondo lo schema
ABBA ABBA per le quartine, e CDC DDC per le terzine); Amorosa animazione (sonetto
secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDE CDE per le terzine); Al sonno (sonetto
secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le terzine); Invita la sua
ninfa all’ombra (sonetto secondo lo schema ABBA ABBA per le quartine, CDC DCD per le
terzine).
Per quanto riguarda gli altri marinisti possiamo ricordare La mina, sonetto secondo lo
schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Claudio Achillini; Cedri fantastici variamente figurati
negli orti reggitani, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Giacomo
Lubrano; Orologio da rote, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di Ciro Di
Pers; Condizione della vita umana, sonetto secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, DCD di
Federico Meninni.
Per quanto concerne i componimenti diversi dal sonetto, citiamo due madrigali di Marino
(Or lieve ape foss’io e Vidi anch’io tutta ignuda) e il madrigale di settenari ed endecasillabi
(schema: aaBbCcDD) Scherzo di immagini di Tommaso Stigliani.
8.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
I tratti principali del linguaggio barocco sono: il sensualismo, il gusto per il dato fisico e
concreto del reale, l’immissione nel tessuto poetico del brutto, del grottesco e del macabro; le
tecniche della catalogazione e della variazione, quasi dell’inventariamento delle possibili
situazioni tematiche e dei possibili oggetti poetabili; il gusto dello straniamento di situazioni
comuni o della ricerca di situazioni insolite, paradossali; il gusto per i giochi prospettici e per
le metamorfosi (illusionismo) e il concettismo.
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Dato fondamentale, poi, è anche il riuso della tradizione, e cioè la “rifunzionalizzazione dei
materiali poetici tradizionali”. I marinisti prendono spunto soprattutto dal Petrarca e creano un
repertorio originale, che coniuga la pura classicità con la libertà e il gusto del poeta. Il Getto
scrive: <<i capelli d’oro, insieme ad altri elementi tipici, quali le labbra di rubino, i denti di
perla, eccetera, verranno introdotti non più per formare il solito figurino della bellezza
superlativa e astratta, ma per creare, attraverso l’eccesso metaforico insistente su quella
materia preziosa, una ricca decorazione, per dar luogo a un processo di trasfigurazione
mediante il quale la donna ( … ) tende ad assumere quasi una realtà minerale, d’aurea e
gemmea e perlacea essenza, a prendere insomma l’aspetto di un lussuoso e raffinato
gioiello>>.21
8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Per quanto riguarda le tradizionali immagini della lirica d’amore, quali la rappresentazione
della donna e della natura e il tema d’amore, i lirici barocchi convertono l’astrattezza, la
spiritualità, l’atemporalità delle raffigurazioni in concretezza, fisicità, determinazione e, nel
caso delle bellezze muliebri, in sensualità e lascivia.
Accanto al tema della bellezza naturale o muliebre, volta dall’astratto al concreto, si
insinuano temi e motivi impensabili nella precedente tradizione: il brutto, il grottesco, il
deforme, l’eccentrico, il bizzarro, e persino il lugubre e il macabro. Tutto ciò è un
ampiamento delle cose poetabili, che deve essere ricordato tra le più importanti e anticipatrici
delle innovazioni barocche.
Attraverso la tecnica della catalogazione e della variazione abbiamo l’immissione di nuovi
temi. Così, ad esempio, alle donne bionde della tradizione si aggiungono le castane, le brune e
le rosse, con molti nuovi attributi; così si introducono donne che leggono ( magari con gli
occhiali ), che danzano, che corrono, che nuotano, e via dicendo. Quindi gli stessi schemi
della classicità si applicano alla “bellissima natatrice”, alla “bellissima mendica”, alla
“bellissima filatrice”, alla ”bella sartora”, alla “bella ballarina”, alla “bella donna frustata”, o
ancora, mutando materia, a una grandissima varietà di oggetti, fiori, frutti, ortaggi, piante e
animali ( perle, coralli, oro, argento, topazi, rubini, rose, gigli, girasoli, melograni, pomo,
pere, cipolle, viti, cedri, usignoli, pavoni, lucciole, zanzare, farfalle … ).
Le poesie barocche sono il terreno per un realismo fisico ed esteriore, alieno da ogni
approfondimento affettivo e psicologico: raramente le figure si animano di una vita interiore,
gli eventi acquistano echi sentimentali e i paesaggi si fanno specchio dei moti dell’animo.
Già nel Seicento vi erano state forti polemiche nei confronti della <<poetica della
meraviglia>>, delle soluzioni bizzarre, ai limiti dell’assurdo, che caratterizzavano i
componimenti del Marino e dei suoi seguaci.
Nel Settecento questo giudizio negativo si consolidò, soprattutto quando, sotto la spinta
dell’esperienza francese, anche i letterati italiani più avvertiti, iniziarono a proporre un nuovo
modello di creatività letteraria, razionalmente ispirato ad un nuovo ideale di <<buon gusto>>,
lontano da ogni estremismo.
21
La citazione è tratta da “Il sistema letterario” Guglielmino/ Grosser, Principato.
45
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Francesco De Sanctis, critico dell’Ottocento risorgimentale, accentua ancora
maggiormente il giudizio negativo sulla lirica marinista, ritendendola espressione di un’età di
servilismo, e contrapponendola (sul piano morale e politico) all’esperienza di Galilei, Sarpi,
Campanella (fautori del <<reale come metodo e come contenuto>>).
Solo nel 1910 la critica italiana mostrò un nuovo interesse per il Seicento.
Benedetto Croce propose, come primo volume della collana “Scrittori d’Italia” pubblicata
da Laterza, la sua antologia dei “Lirici marinisti”. Pur non scagionando il Barocco dalle
accuse tradizionali, egli offrì per la prima volta una serie di testi che fino a quel momento
erano stati piuttosto giudicati che letti.
Giovanni Getto, l’unico critico al quale va il merito di avere sottoposto la lettura del
Barocco italiano ad una più profonda interpretazione della Civiltà barocca, colse nella
metafora il segno di qualche ricerca, che rappresenta la tensione di una civiltà al
rinnovamento dei suoi riferimento ormai da secoli consolidati. 22
8.4 PAROLE ADOPERATE
Per quanto concerne l’analisi delle parole più adoperate possiamo procedere, anche in
questo caso, in modo analogo ai precedenti. Di Marino abbiamo analizzato La Galeria,
mentre per quanto riguarda i lirici marinisti sono stati presi in considerazione alcuni poeti
riportati nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4° con le relative opere. Essi sono: T. Stigliani, M.
Macedonio, S. Caetano, G.B. Manso, F. Balducci, F. Della Valle, S. Enrico, G.B. Basile, B.
Cusano, G. Palma, G.A. Rovetti, B. Tortoletti, M. Barberino, P.G. Orsino, G. D’Aquino, M.
Romagnosi, G. Grosso, A. Galeani, G.B. Pucci, A.M. Narducci, T. Sbarra, F. Massini, C.
Abbelli, L. Tingoli, F. Marcheselli, P. Abriani, F. Bracciolini, A. Barbazzo, A. Fortini, A.
Augustini, M. Arlotto, F. Leonida, G. Saracini, P.P. Bissari, C. Trivulzio, G. F. Cormani, E.
Stampa, A. Mancini, D’Incerto, M. Lunghi, A. De Rossi, G. Fontanella, G. Salomoni, B.
Morando, Brignole Sale, P. Michiele, P. Zazzaroni, L. Quirini, A. Basso, V. Zito, A.
Muscettola, Ciro Di Pers, G. Battista, G. Artale, G. Lubrano, G. Canale, F. Mennini, L.
Casaburi, T. Gaudiosi, B. Dotti, A. Perrucci.
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate:
MARINISTI
1 Bellezza, bel, bella
2 Amor(e), amoroso/a
3 Sol(e)
4 Ciel(o)
5 Cor(e)
6 Morte
7 Occhi
8 Seno
9 Vita
10 Dolce(zza)
%
0,58
0,47
0,34
0,33
0,31
0,25
0,18
0,16
0,14
0,13
X 1000
5,8
4,7
3,4
3,3
3,1
2,5
1,8
1,6
1,4
1,3
22
Da “Il giudizio sul Barocco” tratto da BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla
Storia al testo” PARAVIA, Vol. C p.
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Grafico delle frequenze:
5,8
2,5
1,8
1,6
1,4
1,3
Dolce(zza)
Ciel(o)
Sol(e)
Amor(e),
amoroso/a
Bellezza,
bel, bella
3,1
Vita
3,3
Seno
3,4
Occhi
4,7
Morte
10
8
6
4
2
0
Cor(e)
X 1000
FREQUENZE MARINISTI
Rispetto ai poeti fin qui analizzati notiamo qualche novità interessante.
Le prime dieci parole sono, in sostanza, le stesse degli altri lirici, e sono derivate dal
lessico petrarchesco. Tuttavia, tra queste, si nota il termine seno (1,6 x 1000) che era
pressochè assente nei poeti fin qui esaminati (0,4 x 1000 nei petrarchisti, al di sotto dello 0,1 x
1000 in tutti gli altri). Il termine seno richiama alla sensualità, tipica del Barocco, e
rappresenta un’innovazione rispetto alla tradizione. Andando oltre i primi dieci vocaboli,
troviamo altri termini innovativi, scarsamente adoperati dai rimatori precedenti, come capelli,
crine, amante (1,0 x 1000); bacio, baciare (0,97 x 1000); sangue (0,96 x 1000). Ciò denota la
tendenza innovativa del linguaggio dei marinisti, anche se – riferendoci alle parole più
adoperate – il lessico permane nel suo insieme tradizionale e conservativo e continua a
seguire la lezione del maestro Petrarca.
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IL CLASSICISMO BAROCCO
Sempre nel Cinquecento assistiamo alla nascita di una corrente molto diversa dal
Marinismo, intenzionalmente antibarocca, in cui spiccano Gabriello Chiabrera (1552-1638),
celebre per le sue odi pindariche e le canzonette anacreontiche, Alessandro Guidi, autore di
varie opere di stampo classicista, tra cui Endimione, e Fulvio Testi (1593-1646), celebre per le
odi che scrisse riprendendo i modelli di Orazio e Pindaro.
9.1 COMPONIMENTI METRICI
I poeti del Classicismo barocco sono grandi innovatori per quanto riguarda la metrica; anzi
li potremmo definire dei veri campioni dello sperimentalismo metrico. Chiabrera e Testi
adoperano un modello di canzone, nella quale non vi è più separazione tra i piedi della fronte
e le volte della sirma. Alessandro Guidi, addirittura, varia lo schema della canzone di strofa in
strofa, sia per quanto riguarda la lunghezza, sia per quanto riguarda la struttura.
Questi poeti sono poi creatori di nuove forme metriche. Tra le forme da loro introdotte,
che si affiancano ovviamente a quelle della tradizione, ricordiamo le seguenti:
1) la canzonetta anacreontica: ispirata al poeta Anacreonte, rimodellata da Chiabrera; è
composta da versi in prevalenza corti (quadrisillabi, senari, quinari), tra cui alcuni sono
sdruccioli; le strofe generalmente non hanno più di sei versi; vari sono gli schemi
metrici, tra cui a8a4b8c8c4b8 ; è detta anche canzonetta melica
2) la strofa alcaica: ad imitazione del poeta Alceo, introdotta da Chiabrera; è composta da
quattro versi: i primi due ottenuti legando un quinario piano con un quinario
sdrucciolo, il terzo verso è un novenario anapestico (accenti sulle sillabe 2°,5°,8°), il
quarto verso è un decasillabo trocaico (accenti sulle sillabe 1°,3°,5°,7°,9°)
3) la strofa asclepiadea: di imitazione oraziana, introdotta da Chiabrera; per rendere il
ferecrazio Chiabrera usò il settenario piano, il gliconio lo rese con il settenario
sdrucciolo, l’asclepiadeo fu reso in vari modi: endecasillabi sdruccioli o doppi quinari
sdruccioli
Per quanto riguarda Chiabrera, la sua produzione poetica si esprime in canzonette e metri
per musica, “leggerissime cose”, tutte fondate sull’eleganza dei ritmi e l’esile fluidità dei
metri23.
Le raccolte a cui tale produzione è riferita sono le seguenti: ”Canzonette” (Genova 1591),
“La maniera de’ versi toscani” (ivi 1599), “Scherzi e canzonette morali” (ivi 1599),
“Vendemmie di Parnaso” (in “Rime”, Venezia 1605, parte I).
Nelle “Canzonette” la varietà dei temi e dei metri si muove, tuttavia, ancor decisamente
dentro il solco della tradizione toscana. A giudizio di Asor Rosa <<Egli agisce soprattutto
23
La citazione è tratta da “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori
Laterza.
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sulla struttura del componimento, per tentare di trarne, attraverso l'accostamento audace dei
versi di misura molto diversa fra loro e l’uso fortemente ritmico della rima, effetti di
musicalità dolce ed allegra nello stesso tempo>>24.
Lo schema metrico che ricorre più frequentemente in questa raccolta e che, forse,
rappresenta il risultato più originale del Chiabrera, è la canzonetta formata di ottonari e
quaternari, secondo lo schema AaBbCcB: ai primi due versi, legati da una rima baciata,
corrispondono gli altri quattro versi stretti in forte unità fra loro (il primo rima col quarto, il
secondo col terzo), spezzati proprio sul finire del quaternario rapido e sorridente (il quinto
verso della strofa), che alleggerisce la voluta sentenziosità dell’immagine tematica.
A tale genere di componimenti appartengono le due canzonette Belle guance e Belle rose
porporine. Nella “Maniere de’ versi toscani” l’esperimento si spinge, invece, fino in fondo, e
l’imitazione dei classici diviene preponderante. Chiabrera, infatti, tende a riprendere
direttamente metri o modi stofici propri della poesia greco-latina (soprattutto versi giambici e
trocaici). Il suo tentativo consiste, in sostanza, nel rileggere i versi italiani secondo le
possibilità della metrica antica e nel realizzare su questa base nuove e inusitate combinazioni.
Nella canzonetta Dolci miei sospiri, lo schema metrico è aabccb, e i versi sono trocaici
dimetri ammezzati.
Nella canzonetta La violetta lo schema metrico è aaBccB (dove B sono i versi giambici, e
gli altri sono trocaici).
Per quanto riguarda Fulvio Testi, dopo aver esordito nel 1617 con un volume di liriche di
evidente influsso marinistico, divenne deciso campione dell’antimarinismo, accostandosi al
Chiabrera. Anch’egli, nelle “Odi”, si rifà al modello pindarico attraverso l’esempio di Orazio.
Prendiamo, ad esempio, l’ode A Cintia: la strofe esastica, che qui vediamo, deriva dalla
precedente per l’abbreviazione del terzo verso (settenario) e l’aggiunta di un distico rimato
(ABbACC). Tale struttura è una delle più usate dal Testi per le odi di carattere erotico.
9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI
Analizzando il lessico di Belle rose porporine, del Chiabrera, osserviamo l’uso ricorrente
del diminutivo e del vezzeggiativo per rendere il senso dell’atmosfera rarefatta e irrealistica
(v.25 auretta; v.26 erbetta; v.28 praticello; v.31 zeffiretto).
Nella canzonetta Belle guance, l’immaginazione naturalistica e paesistica è mostrata
attraverso espressioni iperboliche come nei primi tre versi : bella guancia che disdori/ gli almi
amori,/ che sul viso ha l’alma Aurora.
Per Testi, riferendoci sempre all’ode A Cintia, possiamo affermare che nel suo classicismo
si insinuano elementi manieristici, soprattutto per il richiamo alla mitologia. Nonostante ciò
rimane un grande esempio di classicità, sia per la fattura stilistica, sia per la grande sapienza e
misura retorica.
24
La citazione è tratta da “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori
Laterza.
49
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9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
In Belle rose porporine, del Chiabrera, possiamo trovare termini e definizioni stereotipate,
di veri e propri “topoi” stilistici, tipici della lirica d’amore: V.1 belle rose porporine; v.7 rose
preziose; v.12 bel sorriso; vv.37-38 fior vermigli / gigli, v.10 bel guardo.
Così come in Dolci miei sospiri compaiono: vv.1-2 sospiri / martiri; vv.11-12 amor
crudele / mio dolore; v.15 desio; v.20 lunga fede; v.23 gran beltate; v.37 fiamma ardente.
In A Cintia del Testi, il motivo dominante è quello oraziano di godere e far godere delle
proprie bellezze fin quando l’età giovanile lo permette. Questo è un luogo comune della
poesia erotica classica, ma allo stesso tempo è anche estremamente frequente presso i poeti
quattrocenteschi e in quelli barocchi contemporanei a Testi ( vedi Marino in Ninfa avara).
Alberto Asor Rosa così si esprime a proposito di Chiabrera: <<La varietà delle esperienze
stilistiche, l’abilità tecnica, una certa disinvoltura innata da gran signore delle lettere, fanno
di Gabriello Chiabrera un piccolo maestro, uno dei due maestri della poesia del Seicento
accanto a Giambattista Marino. (…) Chiabrera era più moderato, più limitato, meno audace,
meno creativo. Ma pure aveva alcune doti, che Marino non possedeva, e per le quali fu
apprezzato più o a preferenza di quello: il senso del limite e della convenienza, un maggiore
attaccamento alla tradizione, un senso sicuro della grazia, un’eleganza metrica, se non più
robusta, almeno più scaltra e raffinata. (…) … la sua poesia lirica - un arabesco elegante ai
limiti estremi della rarefazione - sembra incontrarsi perfettamnete con i caratteri del gusto
sempre più alieno dal misurarsi con la rappresentazione della realtà e persino con
l’espressione della passione. Tuttavia Chiabrera, almeno per quanto riguarda la sua
produzione lirica, restava ancora profondamente legato alla tematica edonistica del
rinascimento italiano: fornisce, cioè, tutti gli strumenti alla vera e propria restaurazione
controriformistico-classicista della seconda metà del secolo, ma non si identifica con
essa>>25.
9.4 PAROLE ADOPERATE
Per quanto concerne le parole adoperate, abbiamo scelto di analizzare un’ intera opera,
L’Endimione di Alessandro Guidi.
Ecco la tabella con le frequenze delle dieci parole più usate ed il relativo grafico:
25
Da “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco” Carlo Muscetta,
Alberto Asor Rosa
50
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%
CLASSICISTI
1 Amor(e), amoroso/a
2 Bellezza, bel, bella
3 Cor(e)
4 Morte
5 Alma
6 Sol(e)
7 Luce, Mente, Selva
8 Lume, Seno
9 Occhi, Dolcezza, Ciel(o)
10 Virtute, Pietà, Dea, Destino
X 1000
1,45
0,77
0,39
0,29
0,23
0,22
0,20
0,19
0,17
0,16
14,5
7,7
3,9
2,9
2,3
2,2
2,0
1,9
1,7
1,6
Grafico delle frequenze:
14,5
7,7
2,9
2,3
2,2
2
1,9
1,7
1,6
Alma
Sol(e)
Luce,
Mente,
Selva
Lume,
Seno
Occhi,
Dolcezza,
Ciel(o)
Virtute,
Pietà, Dea,
Destino
Bellezza,
bel, bella
Amor(e),
amoroso/a
3,9
Morte
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
Cor(e)
X 1000
OCCORRENZE ALESSANDRO GUIDI
Si nota che il linguaggio continua a seguire la lezione di Petrarca, e infatti molti sono i
termini comuni tra Guidi e il Maestro; ad esempio: Amor(e), Bello, Bellezza, Cor(e), Sol(e),
Morte … Tuttavia alcuni termini introdotti dal Barocco sono presenti anche nel classicista
Guidi; tra questi spicca il vocabolo seno (1,9 x 1000). Sostanzialmente dal punto di vista
delle parole adoperate le novità, rispetto a quanto detto fin qui, non sono molte.
51
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L’ARCADIA
L’Accademia d’Arcadia nacque il 5 ottbre 1690 a Roma, in occasione dell’incontro di
quattordici letterati uniti dalla comune appartenenza al circolo letterario della regina Cristina
di Svezia, morta l’anno prima. Fu fondata dal letterato, filosofo e giurista Gian Vincenzo
Gravina, e dall’abate maceratese Giovan Mario Crescimbeni. L’Arcadia ebbe come centro
Roma, ma si diffuse poi in tutta Italia, dando vita a numerose sezioni o “colonie”.
Il nome dell’accademia fu quello della mitica regione della Grecia antica, abitata dai poetipastori; “pastori” si dissero i soci, che adottarono pseudonimi della poesia pastorale,
perpetuando così la finzione bucolica, il sogno di un ritorno alla natura, di un’evasione dalla
realtà. L’Arcadia raccolse tutti i più significativi poeti del tempo, che erano accomunati
dall’adesione ad un programma minimo: la restaurazione del “buon gusto”, la messa al bando
del “disordine” secentista, dagli eccessi personali del “cattivo gusto” barocco.
10.1 COMPONIMENTI METRICI
I metri adoperati dai poeti dell’Arcadia riprendono la lezione del Chiabrera e ne adottano
forme e componimenti. Abbiamo, dunque, canzonette, odi asclepiadee, odi alcaiche … i
componimenti più adoperati sono i seguenti:
1) il sonetto con le sue varianti, ad esempio il sonetto audato, rinterzato …
2) le odi pindariche, divise – come abbiamo già visto – in strofa, antistrofe,epodo
3) le odi oraziane, che imitano la struttura dell’ode di Orazio, in genere con gli schemi
ABBA o aBbA
4) le odi anacreontiche, costituite da strofe con, al massimo, sei versi, in genere senari,
settenari, ottonari. Tra queste la più interessante e fortunata è la quartina proposta da
Ludovico Savioli – Fontana, con schema a 7b7c7b7 (con a7, c7 sdruccioli)
5) l’endecasillabo sciolto che avrà grandissima fortuna in seguito e che può dirsi
un’anticipazione arcadica (vedi Rolli e Savioli)
Per quanto riguarda Paolo Rolli possiamo affermare che fu colui che, anche prima del
Metastasio, portò la poesia arcadica ad un livello di dignità ed impegno e frantumò gli schemi
del petrarchismo pastorale e del pindarismo.
Nella sua produzione poetica iniziale abbiamo odi, canzonette e sonetti. Ciò che lo rese
celebre furono le “Elegie” in terzine dantesche (dodici dal 1711 al 1715) che, tranne le ultime
quattro di argomento vario, cantano l’amore del poeta per una nobile che egli chiama
“veziosa” Egeria, e rivelano, come egli stesso dirà in un “Preambulo” in versi, la volontà
<<d’ir sulle prime/ tracce dé classici vati famosi,/ quasi emulandone lo stile e il metro>>. Il
rispetto dei modelli latini porta Rolli a prendere, come esempio di scrittura, Tibullo.
Ricordiamo, tra i componimenti più significativi, l’elegia in terzine dantesche “O amica
degli amanti, primavera”.
L’opera più significativa della stagione centrale rolliana sono gli “Endecasillabi”
(quattordici in tutto, successivamente portati a venti). Insieme ad essi, le “Rime”, in cui Rolli
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si richiamava intenzionalmente a Catullo. Per gli “Endecasillabi” e le “Rime” ricordiamo:
“Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” (Endecasillabi, VI) il cui metro consiste in endecasillabi
faleci e catulliani (cioè composti di due quinari di cui uno, in genere il primo, sdrucciolo),
organizzati in terzine nelle quali il primo verso e il terzo (quinari sdruccioli più piani) rimano,
il secondo è libero e composto da un quinario piano più uno sdrucciolo;
“Gentile, morbida, leggiadra mano” (Endecasillabi, XVII) composto di endecasillabi
catulliani senza rima, formati da un quinario sdrucciolo più uno piano;
“Solitario bosco ombroso”, canzonetta composta di quartine di ottonari a rima alternata,
dei quali il primo e il terzo piani, il secondo e il quarto tronchi.
Per quanto riguarda il conte Ludovico Savioli Fontana, possiamo riassumere la sua
produzione poetica negli “Amori” (la prima parte scritta nel 1758, composta di dodici
canzonette; la seconda nel 1765 composta da ventiquattro canzonette, che vengono a sostituire
le prime dodici). Tra i due termini degli “Amori” si pone “Amore e psiche”, poi rielaborata, e
la tragedia “Achille” in endecasillabi sciolti.
Per quanto concerne gli “Amori” ricordiamo: “Il mattino”, terzo componimento della
raccolta, il cui metro è composto di quartine di settenari, dei quali il primo e il terzo sdruccioli
e senza rima, il secondo e il quarto piani e rimati. Questo schema metrico dà l’impressione
che la quartina sia divisa in due versi lunghi a rima baciata, ognuno dei quali occupato da un
periodetto generalmente compiuto;
“La notte” (XV) con metro identico a quello del componimento precedente.
10.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Analizziamo la canzonetta “La libertà” di Pietro Metastasio: alla sapientissima
disposizione delle argomentazioni di tema affettivo, si accompagna una non minore abilità di
costruzione stilistica.
Prenderemo spunto, per l’analisi, da una minuziosissima relazione di Giorgio Cavallini (in
“Sigma”, 27, pp.58-73)
Se nelle strofette iniziali (vv.1-8) le rime, i troncamenti, le allitterazioni, le ripetizioni
concorrono a creare la musica della canzonetta, in quelle successive (vv.9-16) il bisogno di
rievocare il passato si esprime mediante la tecnica della negazione.
La sapienza stilistica è riconfermata nei versi seguenti dalla presenza delle assonanze
(vv.33-34), di ripetizioni (vv.35-36, 41-42, 57-59), dalla tecnica della “variatio” (vv.38-39),
dai chiasmi (vv.43-44, 45-48) e dalle anafore (vv.43-44, 62-63).
In “La notte” di Savioli, troviamo, nella seconda parte soprattutto, notazioni chiaramente
classiche: vv.37-38-39-40 Forse a begli occhi insidia/ tese un sapor fallace,/ e sulle piume
immemore/ a suo dispetto or giace.
In generale, il linguaggio della lirica arcadica è semplice, armonioso, razionale.
Abbiamo uno spiccato ritorno al classicismo, al petrarchismo, con la conseguente
abolizione del concettismo e dell’illusionismo barocco.
53
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10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Prendendo in considerazione “O amica degli amanti” di Paolo Rolli, la raffigurazione della
bellezza della donna lievemente offuscata, resa con la delicata metafora delle impallide rose
(v.43), e l’acceno al ritorno della beltà primiera (v.50), hanno una classica castità di disegno e
di sentimento.
In “Gioite, o Grazie, scherzate, Amori” sempre di Rolli, la donna è osservata nel gesto di
inanellarsi e imbiancarsi di cipria la lunga chioma (v.14) e adornarsi di gioielli. Questo è il
centro di attenzione di una serie di metafore esplicite come: v.15 qual neve in albero; v.20
com’astri; v.27 il seno argenteo delle conchiglie. E di aggettivi delicati e superlativi, o di
intenso significato anche nel grado normale: v.9 dolcissimo e soave; v.13 terso; v.16 vaghi;
v.17 ricchi e tremule; v.18 sottilissimi; v.20 purissimi; v.24 morbida e gentile; v.26 pure; v.28
pomposa; v.35 ricco; v.36 superbi e lieti. E di insistenze semantiche sui toni chiari e
luminose: v.2 pallido; v.5 lucidi; v.11 avorio; v.12 candido; v.14 bianca; v.15 neve; v.26
latteo; v.27 argenteo; V.35 imbiancano.
I poeti d’Arcadia contrapposero alle stravaganze e alle bizzarrie immaginose e verbali dei
poeti barocchi, un ideale di poesia semplice, fondata su una ragionata naturalezza di
sentimenti e di espressione, ritrovata attraverso l’adesione ai modelli classici e a quello
petrarchesco. Il Petrarca fu, dapprima, il poeta più imitato, ma in seguito gli Arcadi si volsero
soprattutto alle situazioni e ai modi dell’antica poesia idillica. Il paesaggio tipico della poesia
arcadica, ripetuto fino alla monotonia, è quello così bene sintetizzato dal Momigliano: <<un
mondo musicale, idillico e svenevole, dove una campagna irreale … e una coppia umana
tutta sospiri e moine e languori e gorgheggi, come il tenore e il soprano di un duetto di
melodramma, riempiono tutta la scena della vita>>.
Il limite più appariscente della poesia arcadica è proprio qui, nella sua ricerca di un
rinnovamento non spirituale, ma soltanto formale e letterario. Alla retorica della “meraviglia”,
del “grandioso”, gli Arcadi contrapposero la retorica del tenue, del delicato, di un manierismo
lezioso e sdolcinato. Tuttavia, pur entro questi limiti, l’Arcadia, nei confronti del Barocco,
rappresentò l’esigenza di una poesia che esprimesse sentimenti più intimi, che fosse di nuovo
incentrata sull’uomo.
L’Arcadia intese contemperare la nostra tradizione poetica con le nuove tendenze
razionalistiche europee, col suo ideale di una poesia che fosse un sogno, come si disse, fatto in
presenza della ragione, ma pur sempre un sogno, col suo col suo fascino di gentilezza e di
grazia26.
26
Il paragrafo è tratto da “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia.
54
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10.4 PAROLE ADOPERATE
Per stilare l’elenco delle dieci parole più adoperate nell’Arcadia, abbiamo scelto 140
liriche di Pietro Metastasio, prendendole dal CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 4°.
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:
%
ARCADIA
1 Amor(e), amoroso/a
2 Cor(e)
3 Sol(e)
4 Bellezza, bel, bella
5 Ciel(o)
6 Seno
7 Dolce(zza)
8 Man(o)/i
9 Pietà, pietate, pietoso
10 Volto, Dio
X 1000
0,48
0,36
0,31
0,30
0,24
0,22
0,15
0,14
0,13
0,12
4,8
3,6
3,1
3,0
2,4
2,2
1,5
1,4
1,3
1,2
Grafico frequenze:
4,8
3,1
3,0
1,4
1,3
1,2
Pietà,
pietate,
pietoso
Volto, Dio
1,5
Man(o)/i
2,2
Dolce(zza)
Bellezza,
bel, bella
Sol(e)
2,4
Seno
3,6
Cor(e)
Amor(e),
amoroso/a
10,0
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0
Ciel(o)
X 1000
FREQUENZE PIETRO METASTASIO
I termini restano, anche qui, sostanzialmente analoghi a quelli di Petrarca, del quale sono
mantenute le parole più significative: Amor(e), Cor(e), Sol(e), Ciel(o), Bellezza.
Analogamente al Barocco ed ai classicisti resta tra le prime dieci la parola Seno (2,2 x 1000).
Il lessico è pertanto fedele alla lezione del Petrarca.
55
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IL NEOCLASSICISMO
La poetica e il gusto neoclassico furono alla base di molti scrittori della seconda metà del
Settecento. Alcuni dei più significativi furono Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte e Ugo
Foscolo, i quali rispecchiarono il loro tempo nella molteplice varietà, sia per quanto riguarda
le tendenze letterarie, sia per quanto riguarda gli aspetti politici e ideologici.
11.1 COMPONIMENTI METRICI
I componimenti metrici del Neoclassicismo recepiscono le forme già analizzate nelle
epoche precedenti, soprattutto quelle arcadiche. L’uso dei metri, comunque, varia da autore
ad autore. Possiamo considerare, a titolo di esempio, Monti e Foscolo.
Caratteristica saliente del Monti fu il suo continuo mutare atteggiamenti e opinioni nei
riguardi della storia coeva. Ciò si trasfigurò nella sua produzione, in cui ritroviamo la
molteplicità delle poetiche e delle tendenze che confluirono in lui. Nei diciannove anni della
sua dimora a Roma (1778-1797), il Monti, ricevuto subito in Arcadia, poetò e verseggiò
appunto in modi arcadici, scrivendo canzonette sulle orme di Metastasio, sonetti descrittivi
alla Minzoni, “visioni” a modo del Varano27. Accolse spunti neoclassici componendo l’ode
“Prosopopea di Pericle” (1779) e l’altra ode famosa “Al signor Montgolfier” (1784); scrisse
anche “La bellezza dell’universo”, in terzine, i sonetti “Sulla morte di Giuda”, il poemetto “Il
pellegrino apostolico” e, poi, la “Bassvilliana”, accogliendo in queste opere le lezioni più
varie, da Dante, a Milton, dal Marino al Frugoni; dal tedesco Klopstock al Varano.
Invece, per quanto riguarda Foscolo, la sua produzione lirica contiene odi e sonetti. Le due
odi sono: “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”.
Quest’ultima è composta da sedici strofe di sei versi ciascuna, formata da cinque settenari,
alternatamente piani e sdruccioli, a cui segue un endecasillabo, che rima col settenario
precedente. Lo schema metrico è abacdD.
I sonetti sono dodici, possiamo citare: “Alla sera” (con schema metrico: ABAB per le
quartine, CDC e DCD nelle terzine); “In morte del fratello Giovanni” (con schema metrico:
ABAB per le quartine, CDC e DCD nelle terzine); “Alla musa” (con schema metrico: ABBA,
ABAB nelle quartine, CDE nelle terzine); “Che stai? già il secol l’orma ultima lascia” (con
schema metrico: ABBA nelle quartine, CDC nelle terzine).
27
La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio,
PALUMBO.
56
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11.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
“Al signor Montgolfier” di Vincenzo Monti, documento esemplare di poesia celebrativa e
d’occasione settecentesca, è caratterizzata da un linguaggio aulico, altamente intonato. Tutto
ciò ha una funzione analoga a quella delle figure metriche: rendere “poetici”, e quindi
praticabili letterariamente, argomenti od oggetti che, di per sé, secondo il gusto classico,
sarebbero prosastici ed impoetici, come fatti di cronaca, dottrine scientifiche, strumenti,
composti chimici. Monti segue, in tal modo, la poesia illuministica di Parini.
“Alla sera”, di Foscolo, è un sonetto caratterizzato dalla partizione sintattica: le due
quartine, nucleo descrittivo e quasi statico, le terzine, nucleo dinamico. Ogni singola parola è
legata alle altre per formare schemi sintattici particolari. Ne proponiamo un esempio: il “nulla
eterno” del verso 10 è il nucleo centrale da cui si sprigiona tutto il movimento lirico. “Nulla
eterno” contrapposto a “reo tempo” (v.11); “pace” (v.13) contrapposto a “spirto guerrier”
(v.14).
Il linguaggio dei sonetti e delle odi del Foscolo è una celebrazione alla classicità, che, per
lui, rappresenta una bellezza scomparsa che, comunque, può trasfigurarsi nella poesia.
11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Le metafore e le immagini adoperate dai poeti neoclassici sono sovente desunte dal
patrimonio mitologico classico, che costituisce, per questi autori, un fondamentale bagaglio di
topoi e di strumenti da adattare ad ogni possibile occasione. Il discorso vale per Vincenzo
Monti, come per Ugo Foscolo.
In “Al signor Montgolfier”, composta per la prima ascensione in pallone, i motivi sono
ripresi dall’Illuminismo, e sono: l’esaltazione della scienza e la fiducia nelle forze dell’uomo
e del progresso.
In “Al principe Sigismondo Chigi”, componimento in endecasillabi sciolti che trae spunto
da un amore infelice del poeta per Carlotta Stewart, si scorgono motivi “romantici” all’interno
di una scenografia classicista. I motivi romantici (la solitudine, la chiusura nell’intimità
dell’io, la comunione con la natura) sono orecchiamenti puramente esteriori. Infatti, possono
trasformarsi agevolmente in una scenografia classicisticamente mitologica e decorativa
(l’ampio squarcio sul sorgere del sole, personificato come un dio della mitologia antica).
Il senso romantico della natura trapassa poi in un vagheggiamento della bella natura
idillica, che è un tema tradizionale del classicismo italiano sin dal Petrarca.
Nell’ode “All’amica risanata”, Foscolo si colloca a metà strada tra l’Arcadia e il
Neoclassicismo. Gli elementi arcadici che possiamo notare sono, ad esempio, l’omaggio
galante alla bella donna, con le scene dell’arpa e della danza, intrise di sottile ed elegante
erotismo. Gli elementi neoclassici, invece, riguardano lo sforzo costante di nobilitare ogni
aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato, attraverso il
travestimento grecizzante (i monili sono opera di “scalpelli achei”, le scarpette da ballo sono
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“candidi coturni”, le feste “cori notturni”, gli unguenti “ambrosia recente”, la stanza da letto
“arcani lari”).
In questa ode ritroviamo anche alcuni temi cari al Foscolo: l’efficacia rasserenatrice della
bellezza (vv.9-12), la sua funzione eternatrice, la stessa funzione della poesia, quella sacrale
del poeta (che si fa garante dell’eternità dei valori più alti).
Per quanto concerne Ugo Foscolo, sono stati molteplici i tentativi interpretativi di tutta la
sua produzione, a partire dall’amico Melchiorre Cesarotti, per poi continuare fino ai giorni
nostri.
Mario Fubini (1928), per quanto riguarda la stagione idealistica di inizio Novecento, vede
il centro dell’ispirazione foscoliana non nella “passione irruente”, ma nella “lirica riflessione”,
che si attua nella progressiva liberazione dalle passioni e nella conquista di una
“contemplazione serenatrice”. Fubini coglie il distacco dalle passioni come momento
essenziale dell’opera di Foscolo.
Giuseppe De Robertis (1944), invece, compie una critica basata sull’attenta analisi
stilistica dell’opera foscoliana. L’esperienza di Foscolo si trasfigura, si annulla nella parola.
Nel campo della critica marxista, Marco Cerutti (1969, 1983, 1990) fonde interessi storicosociologici con strumenti di lettura strutturale dei testi. Particolarmente valida, nella lettura di
Cerutti, è l’interpretazione del neoclassicismo foscoliano come reazione alla delusione storica
patita dall’ideologia giacobina.
In modo molto innovativo, Vincenzo Di Benedetto (1990), studia le modalità di riuso dei
modelli letterari da parte di Foscolo, sfatando l’idea che il suo classicismo sia tutto orientato
verso la Grecia: almeno sino ai “Sepolcri” sono i poeti latini a sostanziare la sua opera, per cui
il suo classicismo non appare distinguibile da quello della cultura letteraria del secondo
Settecento.
11.4 PAROLE ADOPERATE
Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori,
inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°:
Vincenzo Monti:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Prosopopea di Pericle
La bellezza dell’Universo
A Sigismondo Chigi
Pensieri d’Amore
Al sig. di Montgolfier
Amor peregrino
La Fecondità
Sulla morte di Giuda
Alla Marchesa Malaspina
Bassvilliana
58
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•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Musogonia
Prometeo
Le piante che in Giudea
Il fanatismo
La superstizione
Il pericolo
Per il Congresso di Udine
Dopo la battaglia di Marengo
Mascheroniana
Nell’anniversario della morte di Luigi XVI
Il Bardo
Le api panacridi
Per un dipinto dell’Agricola
Sopra se stesso
Le nozze di Cadmio ed Ermione
Sulla Mitologia
Per l’onomastico della sua donna
Ippolito Pindemonte:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Al cavaliere C. Vennelli
A G. Persons
Alla Luna
Alla salute
La melanconia
La giovinezza
Mattino
Mezzogiorno
Sera
Notte
Il lamento di Aristeo
Ugo Foscolo:
•
•
Le Odi
I Sonetti
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:
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%
NEOCLASSICISMO
1 Cor(e)
2 Bellezza, bel, bella
3 Ciel(o)
4 Morte
5 Amor(e), amoroso/a
6 Sol(e)
7 Dolce(zza), Terra
8 Occhi, Pietà
9 Pianto
10 Petto, Fronte, Vita, Dio
X 1000
0,28
0,27
0,25
0,22
0,20
0,19
0,16
0,13
0,12
0,11
2,8
2,7
2,5
2,2
2,0
1,9
1,6
1,3
1,2
1,1
2,2
2,0
1,9
1,6
1,3
1,2
1,1
Sol(e)
Dolce(zza),
Terra
Occhi,
Pietà
Pianto
Petto,
Fronte,
Vita, Dio
Bellezza,
bel, bella
2,5
Amor(e),
amoroso/a
2,7
Morte
2,8
Cor(e)
10
8
6
4
2
0
Ciel(o)
X 1000
FREQUENZE NEOCLASSICISMO
Le parole sono quasi tutte quelle adoperate dal Petrarca, che rimane il modello di
riferimento princiaple anche per i Neoclassici. È interessante notare che i termini del lessico
amoroso, come core, bellezza, amore, occhi, dolcezza, restano nelle prime posizioni, anche se
la produzione dei poeti neoclassici non può considerarsi monotematica come quella del
Petrarca, che parlava prevalentemente degli <<amorosi affanni>>, dato che contiene anche
argomenti ben diversi dall’Amore, come la politica, i temi civili d’occasione, i motivi
strettamente mitologici.
Tuttavia, nonostante ciò, il lessico resta prevalentemente petrarchesco con una
preponderanza dei termini amorosi, dei quali non diminuisce la presenza, ma solamente la
percentuale relativa sul totale dei termini.
60
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IL ROMANTICISMO
Con Romanticismo intendiamo, nel nostro studio, il periodo che va dagli inizi
dell’Ottocento alla seconda metà dello stesso secolo. Esso viene diviso – tradizionalmente –
in due fasi. Poeti come Alessandro Manzoni e Giovanni Berchet si possono collocare in quel
periodo storico chiamato “Risorgimento” o “Primo romanticismo” (all’incirca 1816 – 1850);
Giovanni Prati ed Aleardo Aleardi, invece, nel “Secondo Romanticismo” o “Tardo
Romanticismo” (all’incirca 1850 – 1870), nel quale le istanze ideali del Romanticismo e del
Risorgimento si esauriscono progressivamente, fino a diventare stanche e convenzionalmente
enfatiche.
12.1 COMPONIMENTI METRICI
I metri del Romanticismo segnano una prima differenziazione dalla lirica d’amore
tradizionale. Il sonetto continua ad essere adoperato, ma non è più il metro predominante. La
canzone cade progressivamente in disuso, poiché il suo posto viene assunto dall’ode, che
riprende lo schema della canzonetta settecentesca già adoperata dal Parini; principali schemi:
a7b7a7b7 + c7d7c7d7 (a sdrucciola e d tronca), oppure a7b7a7b7c7d7b7d7b7c7 (b sdrucciolo, c
tronco), oppure a7b7c7b7d7E (a,c,d sdruccioli). I romantici si servirono proprio di queste odi,
che chiamarono inni. Altro metro adoperato è poi l’endecasillabo sciolto, già usato da Parini,
Monti, Foscolo. La grande novità è, però, costituita dalla ballata romantica o romanza. Essa
consiste in un componimento formato da versi lunghi molto ritmici, come il decasillabo ed il
doppio senario (dodecasillabo) o l’ottonario. Le strofe sono, in genere, di 6,7,8 versi talora
divisi da rime tronche. Gli anticipatori furono Manzoni (Marzo 1821, La Passione) e Berchet
(Il Rimorso, Sorgi Italia)
12.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Il linguaggio e la sintassi dei poeti romantici, pur rimanendo in larga parte nel solco della
Tradizione, assumono aspetti particolari. Ad esempio predominano le espressioni enfatiche, il
tono passionale, i caratteri forti. Le costruzioni restano, comunque, piuttosto elaborate. Nel
Coro di Ermengarda di Manzoni, troviamo un profondo rinnovamento della lirica italiana,
che si allontana ora dalle costruzioni mitologiche e dalle nostalgie per l’antico
(Neoclassicismo). A differenza della tradizione precedente, che tendeva ad analizzare l’io del
poeta, la poesia manzoniana è invece epica e drammatica: ha un taglio eminentemente
narrativo, si fonda sulla costruzione di personaggi, sull’analisi di moti interiori non soggettivi,
ma di individualità oggettive, e mette in scena conflitti drammatici.
Per quanto riguarda Giovanni Berchet, in “Matilde”, lo stile è tipicamente romantico,
passionale e diretto, quasi violento in alcuni punti. Gli aggettivi usati sono forti: v.1 riarsa,
v.2 stravolti, v.6 atterrita, v.16 aspro, v.23 oppresso, v.28 perfidi, v.36 trepide, v.35 serrate.
61
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12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Per quello che riguarda le metafore e le immagini adoperate dai poeti del Romanticismo,
l’aspetto più importante è il progressivo abbandono della Mitologia classica, che viene
sostituita da altre immagini, come quelle della Storia Sacra o di quella contemporanea. Anche
le consuete immagini della donna tradizionale (bionda, viso chiaro, oggetto di lodi e di
omaggi), ancora in uso nel Neoclassicismo, sono abbandonate per lasciare il posto a
descrizioni più realistiche e vive della figura femminile. Ad esempio, nel Coro di
Ermengarda, le metafore tipiche della lirica amorosa precedente non sono molte. Infatti
l’amore di Ermengarda sarà causa della sua morte, quindi comprendiamo che le immagini
sono molto più violente e reali.
Ermengarda è pura ed elevata, è estranea ad una realtà retta dalla legge della forza e
dell’interesse, e si scontra inevitabilmente con la brutalità del mondo. Ermengarda esprime il
ripudio della realtà esclusivamente nel campo privato dei rapporti amorosi. Anch’ella
riproduce la figura romantica: raffigura la tipica donna angelo, che, nella sua eterea purezza,
non è fatta per reggere l’urto delle passioni terrene, e soprattutto della passione amorosa. Il
suo è un amore coniugale, quindi lecito e castissimo, eppure la potenza dell’amore (un “amor
tremendo”) è ugualmente “empia” per lei, nel senso che ha pietà della sua fragilità, e con i
suoi “terrestri ardori” la sconvolge e la devasta (si notino le forti metafore insistentemente
ripetute: ardori, arsi, infocata, vampa assidua, incende, riarde). Nella memoria di
Ermengarda, chiusa nel monastero, le immagini del marito sono sempre collegate a immagini
di violenza e di sangue: la caccia, il cinghiale trafitto dalla freccia del chiomato sir, che riga la
polvere con il suo sangue, mentre la sposa torce il volto pallida d’amabile terror, a l’orrida
maglia di ferro che Carlo depone al ritorno dal campo di battaglia. Ermengarda è fatta per i
placidi gaudi di un altro amore, quello celeste. Per questo rifugge dal contatto col mondo e si
protende verso la sua vera patria che è il cielo.
La morte diviene per lei l’unica soluzione al suo conflitto irriducibile con la realtà. Nella
morte, oltre alla pace, trova anche quella ideale verginità interiore, che l’urto con la passione
terrena aveva contaminato.
12.4 PAROLE ADOPERATE
Per fare l’elenco delle parole adoperate, abbiamo scelto alcune opere dei seguenti autori,
inseriti nel CD LIZ 3.0 Zanichelli Vol. 5°:
Giovanni Berchet:
•
•
Profughi di Parga
Clarina
62
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•
•
•
•
•
•
•
•
Il romito Cenisio
Il rimorso
Matilde
Il trovatore
Giulia
La fantasia
All’armi, all’armi
Saluto a Milano
Niccolò Tommaseo:
•
Poesie
Giovanni Prati:
•
Edmenegarda
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:
%
ROMANTICISMO
1 Cor(e)
2 Amor(e), amoroso/a
3 Dolor(e)
4 Ciel(o), Pensier(o)
5 Bellezza, bel, bella - Dio
6 Morte
7 Donna/e, Vita, Terra
8 Fiore
9 Pianto
10 Occhi, Madre
X 1000
0,41
0,39
0,25
0,24
0,23
0,21
0,19
0,18
0,15
0,14
4,1
3,9
2,5
2,4
2,3
2,1
1,9
1,8
1,5
1,4
4,1
2,5
2,4
2,3
2,1
1,9
1,8
1,5
1,4
Ciel(o),
Pensier(o)
Bellezza,
bel, bella Dio
Morte
Donna/e,
Vita, Terra
Fiore
Pianto
Occhi,
Madre
3,9
Amor(e),
amoroso/a
Cor(e)
10
8
6
4
2
0
Dolor(e)
X 1000
FREQUENZE ROMANTICISMO
63
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È possibile estendere – a livello di lessico adoperato – le considerazioni già fatte a
proposito del Neoclassicismo. In sostanza, la poesia romantica non è più monotematica, come
quella della Tradizione e quindi l’Amore non ha più una preponderanza assoluta. Infatti la
poesia romantica si concentra su opere di stampo religioso (“Inni sacri”); di stampo tragico; di
stampo patriottico e civile. Questo si nota dall’abbassamento delle percentuali relative ai
termini amorosi calcolate sul totale della produzione degli autori. Tuttavia, nonostante ciò, le
parole adoperate non si discostano molto dal linguaggio di Petrarca, che continua ad essere un
solido punto di riferimento per tutti i poeti italiani che vogliono parlare d’Amore.
Termini come amore, donna, morte, core, occhi sono ben presenti nelle poesie dei
romantici e si riallacciano, ancora una volta, al maestro Petrarca.
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L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA
Giacomo Leopardi, da molti considerato un esponente del Romanticismo soggettivo
italiano, fu in realtà un poeta classicista, ancorato, da un punto di vista formale, linguistico e
stilistico, alla Tradizione. Egli stesso si autodefinì <<scudiero dei classici>> e polemizzò con
i Romantici. Quello che lo fa essere moderno è la forza del suo pensiero e il contenuto delle
sue riflessioni esistenziali, le quali – per certi aspetti – anticipano tematiche addirittura
novecentesche. Eppure quest’uomo geniale visse appartato, in un <<borgo selavaggio>>
lontano dalla Civiltà e dall’evoluzione e trovò nel canto lirico il mezzo più idoneo ad
esprimere le sue sofferenze interiori ed il suo stato d’animo. Così dice Petronio: <<Mentre il
romanzo si stava affermando come il genere più idoneo a cantare l’epopea mentale e sociale
del mondo borghese, la lirica celebrava i diritti dell’individuo, la sua vita interiore, le sue
ribellioni contro un ordinamento che non gli permetteva di espandersi completamente.>>28
13.1 COMPONIMENTI METRICI
La produzione lirica di Giacomo Leopardi è molto ampia: del 1816 le “Rimenbranze” e
l’”Appressamento alla morte”. Del 1817 le “Elegie”, una delle quali entrò con il titolo “Il
primo amore” nella raccolta definitiva dei “Canti”.
Nel ’19 scrisse due canzoni: ”Per una donna inferma di malattia lunga e mortale” e “Nella
morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano di un chirurgo”.
Del ’18 “All’Italia” alla quale seguirono, fino al ’23, un’altra decina di “Canzoni”. Il
genere le ricollega, almeno dal punto di vista tecnico-formale, alla tradizione lirica italiana:
sono Canzoni di schema petrarchesco, spesso di ampio respiro, su temi attinti ora dalla cultura
classica (“Bruto minore”, “Ultimo canto di Saffo”), ora da fatti moderni rivissuti con spiriti
classici (“A un vincitore nel gioco del pallone”), ora dalla tradizione letteraria (“All’Italia”),
ora da “occasioni”, sia pubbliche (“Ad Angelo Mai, quand’ebbe trovato i libri di Cicerone
della Repubblica”) sia private. In questi testi le strofe sono di uguale lunghezza, anche se di
strofa in strofa rime e versi (solo settenari ed endecasillabi) non corrispondono perfettamente.
Negli stessi anni compose, intrecciandola con le Canzoni, una serie di sei liriche “L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “Alla luna”, “Il sogno”, “Lo spavento notturno”, “La
vita solitaria” - pubblicate nel 1826 con il titolo di “Idilli”.
Con gli idilli cadono le costruzioni macchinose della Canzone, con le sue strofe tutte
uguali e le sue rime ripetute, e subentrano gli endecasillabi sciolti, trattati con la tecnica
dell’enjambement, che permette di rompere la misura uguale, in un intrecciarsi di misure e di
ritmi ogni volta diversi.
Nel 1825 ebbe inizio in Leopardi un risorgimento sentimentale, che diede luogo ad una
seconda grande stagione della poesia leopardiana, nella quale egli compose una serie di
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liriche, che battezzò, come tutte le altre, col termine generico di “Canti”, ma che i critici di
stampo tradizionale e crociano hanno chiamato i “grandi idilli”, a indicare il loro riallacciarsi,
per l’ispirazione e la poetica, al tono degli “idilli” giovanili: “A Silvia”, “Le ricordanze”, “Il
sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il passero solitario”, “Canto notturno di
un pastore errante dell’Asia”.
In queste poesie Leopardi adotta lo schema della Canzone libera, detta anche leopardiana.
In essa le strofe sono di diversa lunghezza, si mescolano versi rimati con versi sciolti, la rima
è conservata solo per alcuni versi.
L’ultima delle liriche di Leopardi è “La ginestra”, nata dall’incontro tra la stoica
accettazione del nostro destino e il senso di fraternità che è nelle parole di Plotino.
Per quanto riguarda le liriche d’amore dedicate a Fanny Targioni Tozzetti, ricordiamo: “Il
pensiero dominante”, “Amore e morte”, “Aspasia” e “A se stesso”, “Consalvo”. Anche questi
ultimi componimenti seguono l’impostazione della Canzone libera.
13.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Il linguaggio di Leopardi è scelto ed aulico, con uso di termini arcaici e dotti (es. veroni
per balconi, ostello per casa, famiglia per servitù …). La sintassi è complessa, con periodi
ricchi di subordinate e costruzioni latineggianti e in certi casi difficili da risolversi in
parafrasi. Analizziamo – a titolo di esempio – “L’infinito”, uno degli idilli in endecasillabi
sciolti. La poesia si articola in due momenti, corrispondenti a due distinte sensazioni di
partenza.
Nel primo momento (vv.1-8) l’avvio è dato da una sensazione visiva, o, per dir meglio,
dall’impossibilità della visione. L’impedimento della vista, che esclude il “reale”, fa
subentrare il “fantastico”.
Quindi, nel secondo momento (vv.8-15), l’immaginazione prende l’avvio da una
sensazione uditiva. Da ciò possiamo desumere una lunga serie di simmetrie (a livello fonico,
letterario, filosofico, formale e strutturale), ma quella che qui ci interessa studiare è la
simmetria sintattica e lessicale. I due periodi in cui sono rese rispettivamente le esperienze
dell’infinito spaziale e temporale sono costruiti su due serie analoghe in forma di
polisindeto29: interminati spazi (…) e sovrumani silenzi, e profondissima quiete, (…) l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente, e il suon di lei. La simmetria si rompe sul piano lessicale:
nel membro in cui si è resa l’esperienza dell’infinito spaziale si ha la prevalenza di parole
molto lunghe: interminati (v.4), sovrumani (v.5), profondissima (v.6); nel membro dedicato
all’infinito temporale vi sono invece parole più brevi, al massimo trisillabe (eterno, stagioni,
presente): gli arditi polisillabi danno il senso di un’esperienza vertiginosa, che “spaura”,
mentre le parole più brevi e consuete corrispondono al distendersi dell’esperienza verso la
pace del naufragio dell’io.
28
La citazione è tratta da “L’attività letteraria in Italia” di Giuseppe Petronio, PALUMBO
Polisindeto (dal greco polys = molto, e syndéo = lego insieme): coordinazione tra più membri sintattici o
proposizioni mediante ripetute congiunzioni. Esempio: E mi sovvien l’eterno / e le morte stagioni, e la presente /
e viva e il suon di lei. (Leopardi, “L’infinito”, vv11-13). E’ l’opposto di asindeto 8coordinazione dei membri
della proposizione o del periodo senza l’uso di congiunzioni).
66
29
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Nel componimento vi è un continuum metrico-sintattico: nessun verso tranne il primo e
l’ultimo, è isolabile sintatticamente: il discorso sintattico continua sempre nel verso seguente;
di conseguenza, su 15 versi vi sono ben dieci enjambements. La continuità è ribadita, sul
piano sintattico, dall’alta presenza di particelle congiuntive, che allacciano i singoli periodi:
ma sedendo, ove per poco, e come il vento, e mi sovvien, così tra questa, e il naufragar. La
congiunzione e è poi frequentissima anche all’interno dei periodi. L’impressione complessiva
che si ricava da queste strutture è di un processo unitario, continuo, che però si articola in
momenti ben individuati al loro interno. La poesia è perciò un esempio di perfetta
compenetrazione di significante e significato: a una continuità narrativo-psicologica
corrisponde la continuità della struttura stilistica.
13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Metafore ed immagini della poesia leopardiana sono tratte in genere o dalla Storia, che si
ricollega ai temi civili; o dalla Natura, che fa da cornice ai grandi temi esistenziali. Nelle
prime canzoni (scritte dal 1818 al 1823) è presente il patriottismo che, se pur generico, ha una
sua intimità, in quanto il lamento sulla decadenza della patria è tutt’uno con il lamento sulla
propria giovinezza inoperosa. Questo disagio si alimenta del rimpianto per le grandi età
passate, del tormento di stare a Recanati.
Negli stessi anni delle Canzoni, Leopardi scrive gli “Idilli”, quelle sei liriche pubblicate nel
1826, in cui sono presenti le stesse ideologie che sorreggono le Canzoni. Ne “L’Infinito” lo
stormire delle fronde al vento, nel silenzio della campagna interminata, richiama alla mente
<<le morte stagioni>>; ne “La sera del dì di festa” il morire del giorno festivo ridesta <<il
suono di qué popoli antichi”, gli avi famosi, e “il grande impero / di quella Roma, e l’armi, e
il fragorio / che n’andò per la terra e l’oceàno>>, con un moto sentimentale che Leopardi
poteva aver appreso da Ortis meditante sulle Alpi la grandezza passata d’Italia, ma che era
comunque legato a tutta la sua concezione della storia.
Notiamo una differenza di atteggiamento, da parte di Leopardi, nei confronti delle
ideologie, nelle Canzoni e negli Idilli. Nelle prime, il poeta è proteso verso l’esterno, verso gli
altri, avendo lo scopo quasi di educare; nei secondi è raccolto in se stesso, nella propria
interiorità, a captare, nella comunione con la Natura e con le creature innocenti, il palpito del
suo cuore ancora vivo.
Negli Idilli, infatti, cadono i temi tratti dalla storia o da vicende esterne, e subentrano temi
interiori, derivanti da avvenimenti quotidiani: trovarsi su un colle e avere l’orizzonte limitato
da una siepe; ritornare un anno dopo sul medesimo colle; ascoltare nella sera festiva un
artigiano che rientra a casa di notte; un sogno; i piaceri della vita solitaria in campagna.
Per quanto riguarda ciò che i critici hanno definito i “grandi idilli”, possiamo dire che alla
loro base è sempre ossessiva una coscienza amara del nulla che, nel “Canto notturno di un
pastore errante dell’Asia”, si espande nella rappresentazione angosciosa dell’uomo che corre
verso il nulla e vi precipita e annega.
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Queste verità dolorose sono dette con pudore e pacatezza, proprio come ne “Il sabato nel
villaggio”, in cui si trova la serenità di un’ora in cui l’uomo guarda alla gioia altrui con la
tristezza grave e quasi religiosa di chi sa che tanta festa è illusione.
Da parte dei contemporanei, Leopardi riscosse ben poco successo: i classicisti
analizzavano l’opera formalmente censurando l’uso dei vocaboli e dei costrutti; i romantici,
che non vi trovavano gli ideali patriottici, morali e religiosi a cui si ispiravano nella loro
battaglia culturale e politica, non lo apprezzarono.
Vincenzo Gioberti fu il primo a sottolineare un conflitto tra “cuore” e “intelletto”, su cui
insisteranno tanti interpreti sino a pieno Novecento.
Una prima interpretazione critica è di Francesco De Sanctis (1883), che vede il contrasto
tra il pensiero pessimistico e gli impulsi generosi del cuore, tesi vero l’ideale.
La critica idealistica si concentra soprattutto sul rapporto tra pensiero e poesia. Benedetto
Croce (1923), che relega nel “non poetico” tutto ciò che riguarda il pensiero individua la
poesia solo nei momenti in cui Leopardi è “congiunto col mondo”, in cui sogna, spera, ama,
gioisce. Il resto della sua opera, secondo il critico, è solo effetto di un ingorgo sentimentale,
della “vita strozzata del poeta”, che gli impedisce sia l’azione, sia il pensiero, sia la poesia
autentica.
Karl Vossler (1923), esponente della critica fra le due guerre (che verte sul carattere
intimamente religioso della poesia e della visione leopardiane), vede la base della poesia
leopardiana in un “occulto fondo religioso”, in cui concordano cuore e intelletto. Questo
fondo religioso è una tensione verso l’infinito, ma inteso come il nulla, che, in quanto tale,
diventa per Leopardi come una divinità. Il nuovo clima culturale del secondo dopoguerra
italiano, segna una svolta netta. E 1947, Water Binni e Cesare Luporini, sostengono: il primo,
il carattere anti-idillico della poesia leopardiana; il secondo, sul piano filosofico delinea
l’immagine di un Leopardi “progressivo”, di un orientamento democratico e repubblicano,
che patisce la “delusione storica” della rivoluzione.
Umberto Bosco (1957) si concentra sul motivo non idillico del titanismo.
Giovanni Getto (1966) ripropone un’interpretazione di Leopardi in chiave religiosa,
insistendo sulla presenza di un “linguaggio dell’assoluto”.
Franco Brioschi (1980) studia Leopardi in rapporto alle grandi coordinate culturali del suo
tempo, sensismo e Illuminismo, il tramonto del classicismo, la nuova problematicità
romantica.
Dal punto di vista stilistico, abbiamo molte indagini negli ultimi decenni. Tra le più
persuasive si possono citare: Cesare Galimberti (1959), che ha studiato il “linguaggio del
vero”; Emilio Bigi (1950 e 1954) che coglie nei “grandi idilli” un atteggiamento di “lucida
compassione”, lontana dai fervori e dagli slanci passionali dei primi idilli.
Per quanto riguarda la critica psicanalitica citiamo Giovanni Amoretti (1979), il cui studio
appare persuasivo nella misura in cui non utilizza il testo come semplice “sintomo” per una
diagnosi della psicologia dell’autore, ma si avvale degli strumenti psicanalitici per far
emergere un tessuto simbolico, collegandolo con le strutture espressive.
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13.4 PAROLE ADOPERATE
Esaminiamo tutto il blocco dei “Canti” di Leopardi, per individuare, in essi, le parole che
ricorrono con maggiore frequenza.
Ecco l’elenco delle dieci parole più usate e il relativo grafico:
%
LEOPARDI
1 Morte
2 Cor(e)
3 Amor(e), amoroso/a - Vita
4 Ciel(o)
5 Terra
6 Giorno/i
7 Natura
8 Bellezza, bel, bella - Tempo
9 Petto, Mondo, Età
10 Dolce(zza)
X 1000
0,53
0,35
0,32
0,26
0,25
0,24
0,23
0,22
0,17
0,15
5,3
3,5
3,2
2,6
2,5
2,4
2,3
2,2
1,7
1,5
5,3
2,4
2,3
2,2
1,7
Petto,
Mondo,
Età
1,5
Dolce(zza)
2,5
Bellezza,
bel, bella Tempo
Amor(e),
amoroso/a
- Vita
Cor(e)
Morte
2,6
Natura
3,2
Giorno/i
3,5
Terra
10
8
6
4
2
0
Ciel(o)
X 1000
FREQUENZE LEOPARDI
Notiamo che anche il linguaggio di Leopardi non si discosta molto, nell’uso delle parole,
da quello di Petrarca, che è sempre il modello di riferimento.
Vale la pena, tuttavia, di segnalare qualche importante particolarità. Per la prima volta – a
partire dai Siciliani – la parola amore (o in alternativa bellezza o core) non occupa il 1° posto
che è detenuto dal termine morte (5,3 x 1000). Significativa appare la presenza della parola
natura (2,3 x 1000), che rappresenta la grande inerlocutrice del poeta e in un certo senso
prende il posto della donna (solo lo 0,6 x 1000 di frequenza).
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L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA
La produzione lirica del secondo Ottocento, in Italia, fu alquanto mediocre; inferiore, si
potrebbe osare dire, alla prosa narrativa e al teatro. Fortunatamente, Carducci non fece parte
di questo quadro assai statico e infelice; la sua figura e la storia della sua opera sono quanto
mai importanti a comprendere ancor meglio l’evoluzione culturale ed artistica di quel periodo.
14.1 COMPONIMENTI METRICI
“Juvenilia”, “Levia gravia” e “Giambi ed Epodi”, sono le prime tre raccolte poetiche di
Giosuè Carducci. Le poesie contenute nelle prime due raccolte furono scritte tra il 1850 e il
1871, e non sono altro che esercizi di apprendistato poetico; si possono quasi definire “lirica
di scuola”30; “Giambi ed Epodi” comprende liriche composte tra il 1867 e il 1879.
Tutte queste raccolte sono caratterizzate da un classicismo intransigente: le prime due
ripropongono metri degli autori della grande tradizione italiana, da Dante a Petrarca sino a
Monti e Foscolo; la terza si riferisce alle forme metriche utilizzate dai poeti antichi
(Archiloco, Orazio).
Nel 1877, Carducci raccolse nelle “Rime nuove” un gruppo di poesie scritte tra il 1861 sino
a quella data. Sono poesie in parte nate nello stesso arco di tempo di “Giambi ed Epodi” e
delle “Odi barbare”, ma il poeta amava costruire raccolte organiche di liriche sulla base
dell’argomento e delle forme metrico-linguistiche.
Le “Rime nuove” si rifanno alle forme tradizionali della lirica italiana, usate nel Medioevo,
e caratterizzate dall’istituto della rima, ignoto alla poesia classica (con un omaggio “Alla
rima” si apre appunto la raccolta).
Nel 1877 fu pubblicato un primo libro di “Odi barbare”, in cui Carducci abbandonava i
metri tradizionali italiani, cercando di riprodurre quelli classici. Ad esso seguì un secondo
libro nel 1882 e un terzo nel 1889. L’esperimento metrico provocò scalpore, ma, a poco a
poco, la novità fu accettata, e la metrica “barbara” entrò nel gusto corrente del pubblico.
La metrica antica, greca e latina era accentuativa, cioè si basava sulla quantità delle sillabe,
lunghe e brevi; era l’alternanza tra brevi e lunghe che creava il ritmo. La Lingua italiana,
invece, non fa distinzione fra sillabe lunghe e sillabe brevi, perciò diventa importante la
distinzione tra sillabe toniche (accentate) e sillabe atone (non accentate). Tentativi di
imitazione dei metri antichi erano stati fatti dagli umanisti fiorentini (Alberti, Dati) ed anche
in epoche successive. Essi si basavano sull’attribuzione arbitraria di quantità alle sillabe
italiane, per cui i versi composti suonavano strani e deformati (es. un distico di Alberti: quèsta
per èstremà, miseràbile pìstola màndo / à te chè sprezzì, mìseramènte noì). Questi esempi
non ebbero successo e non furono seguiti. Si cercò allora di sostituire i versi antichi con versi
italiani, mettendo arsi e tesi al posto di lunghe e brevi. L’esametro venne reso con
30
La citazione è tratta da “l’attività letteraria in Italia - Storia della letteratura” di Giuseppe Petronio.
PALUMBO
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l’endecasillabo sciolto, il senario giambico venne reso con l’endecasillabo sdrucciolo …
Chiabrera iniziò ad imitare parecchi sistemi strofici antichi (strofe saffica, strofe asclepiadea,
strofe alcaica) usando versi italiani; a lui guardarono tutti coloro che volevano imitare i metri
classici, come Rolli, Fantoni, Monti. Quando Carducci uscì nel 1877 con le “Odi barbare”
non presentava niente di nuovo rispetto a quanto era già stato fatto dal Settecento in poi. La
grande innovazione di Carducci fu il tentativo di imitazione dell’esametro e del distico
elegiaco, cercando di riprodurre, con composizione di versi italiani e con l’alternanza arsi –
tesi, il ritmo antico accentuativo. Per l’esametro adoperò diverse soluzioni, tra cui un
settenario piano + un novenario piano, un senario sdrucciolo + un novenario piano, un
ottonario piano + un settenario piano. Per il pentametro usò due settenari piani accoppiati,
oppure un quinario piano + un settenario piano. I versi furono definiti <<barbari>>, perché ad
un latino sarebbero apparsi approssimativi e poco corretti, quindi scritti da un barbaro.
14.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Il linguaggio di Carducci presenta alcune interessanti particolarità. Da un lato esso è un
linguaggio classicheggiante e petrarchesco, che si richiama fortemente alla tradizione
letteraria ed accademica. Accanto a questo tipo di linguaggio, che presenta ovviamente una
sintassi aulica, fatta di iperbati, subordinate, costrutti latineggiante, coesiste un altro tipo di
linguaggio più aderente al quotidiano, nel quale vengono inseriti termini tecnici, tipici della
nuova età della II Rivoluzione industriale e dell’evoluzionismo positivista.
Per comprendere meglio ciò, possiamo analizzare alcuni componimenti significativi dal
punto di vista linguistico.
Prendiamo in esame “Fantasia”, componimento che fa parte delle “Odi barbare”:
quest’ode, modellata dall’esotismo tipico di Carducci, è pervasa da un gusto fortemente
classicheggiante. Infatti il linguaggio è aulico, prezioso, fitto di latinismi (v.1 aura; v.5
occiduo; v.6 cerulee; v.7 augelli; v.9 ardui; v.10 occaso; v.14 nauti) e perfettamente
funzionale alla nostalgia esotizzante. Carducci, nelle sue liriche, si esprime in modo solenne; i
contenuti sono ricchi di riferimenti storici e culturali; la lingua è quella propria della poesia,
senza concessioni a quella del parlato.
Prendiamo, ora, in esame “Alla stazione in una mattina d’autunno”, componimento
appartenente alle “Odi barbare”. Nonostante il poeta solitamente prediliga un linguaggio
aulico e sublime, in questa poesia troviamo un lessico grave, cupo, e in alcuni punti,
fortemente aspro. Tutto ciò, ovviamente, ha una corrispondenza nel contenuto, in quanto il
poeta accompagna alla stazione la donna amata (Lina Cristofori Piva, nella poesia Lidia), che
si allontana da lui. Quasi tutto il componimento verte quindi sulla descrizione del paesaggio
urbano, contrassegnato tra l’altro da pioggia, fango e oscurità; conseguentemente le parole
adoperate hanno caratteri foschi: v.2 accidiosi; v.4 fango; v.6 plumbeo; vv.8,52 fantasma;
v.10 foschi; v.11 ignoti dolori; v.12 tormenti; v.18 incappucciati di nero; vv.19,58 ombre;
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v.21 lugubre; vv.23,60 tedio; vv.29,33 mostro; v.30 metallica anima; v.31 fiammei occhi;
v.31 buio; v.36 tenebra; vv.49,58 caligine.
Solo dal verso 37 al verso 48 e nella quarta strofa, dove abbiamo il riferimento a Lidia, il
linguaggio cambia, diviene più dolce e malinconico: v.15 begli anni; v.16 istanti gioiti; v.37
viso dolce; v.37 pallor roseo; v.38 occhi di pace; v.38 candida; v.39 floridi; v.40 pura; v.40
soave; v.44 luminoso; v.46 aureola; v.47 belli; vv.43,47 sole; v.48 gentile. In questi versi
luminosi, come anche in quelli più cupi e lugubri, si nota senza esitazione il gusto classico che
caratterizza la poetica carducciana; ma nei versi dedicati a Lidia, ancor di più, si ritrova la
tradizione classica della lirica d’amore italiana. È inoltre evidente l’uso di termini mediati dal
linguaggio tecnico, che richiamano la cultura progressiva del Positivismo; ad esempio: fanali
(v. 1), vaporiera (v.6), lanterna (v. 19), mazze di ferro (v. 20), sportelli (v. 25). Tutto ciò
porta ad una sletterarizzazione e ad una smitizzazione del lessico poetico, come ha ben notato
il Ceserani. È tuttavia parimenti vero che coesistono anche termini classici al posto di oggetti
moderni, come, ad esempio, tessera (v. 13) per biglietto, caligine (vv. 49,58) per nebbia,
mostro (vv. 29, 32) per treno; il che mantiene alto il tono del componimento e lo colloca in
un’aura di classicismo letterario.
14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Le metafore e le immagini della poesia di Carducci sono di diverse tipologie. Possiamo
individure le principali:
1) Immagini classiche. Carducci è senz’altro un classicista e nelle sue poesie compaiono
inevitabilmente riferimenti alla mitologia e al Mondo antico, greco e latino.
2) Immagini storiche. In molte sue liriche il poeta descrive memorie storiche. Il periodo
preferito è il Medioevo dei Comuni, considerato un’epoca positiva, poiché segna
l’inizio del processo di formazione degli Stati nazionali. Altre immagini sono tratte
dalla Storia del Risorgimento e della Rivoluzione francese.
3) Immagini paesaggistiche. Il paesaggio in Carducci assume una valenza fondamentale;
soprattutto nelle “Rime nuove” compaiono ricordi autobiografici e sono molte le
descrizioni della Natura. Si tratta di un paesaggio che è stato definito <<solare>>, per
la presenza di colori come il rosso, il giallo, il verde. Accanto ad essi vi è però la
presenza di toni cupi, rappresentati dal buio, dall’ombra, dal nero, che fanno da
contrasto ai precedenti motivi cromatici.
Analizziamo “Idillio maremmano”, componimento contenuto nelle “Rime nuove” formato
da terzine di endecasillabi. Esso è un tipico esempio della tematica autobiografica della poesia
carducciana, in modo particolare per il ricordo della giovinezza. Il discorso poetico è giocato
su un motivo leopardiano: l’immagine di una donna amata in gioventù che riaffiora alla mente
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attraverso la memoria (si ricordino Silvia e Nerina per Leopardi). Si possono trovare dei
riferimenti ben chiari ai testi di Leopardi:
v.7, Ove sei?: “Le ricordanze”, Ove sei, che più non odo / la tua voce sonar… (vv.144145);
v.8, Non passasti: “Le ricordanze”, Passasti, (v.149);
v.8-9, Natio borgo: “Le ricordanze”, Natio borgo selvaggio (v.30);
v.50, E verdi quindi i colli e quindi il mare: “A Silvia”, E quinci il mar da lungi, e quindi il
monte (vv.25);
vv.17-21, le rime in -ivi, uscivi … aprivi: “A Silvia”, fuggitivi … salivi (vv.4-6).
Ma il motivo è espresso con un tono totalmente diverso da quello di Leopardi, si potrebbe
pensare ad un voluto rovesciamento. Prima di tutto si noti la fisicità e sensualità delle
immagini, ben diversa dal “vago” e “indefinito” di Leopardi: il raggio d’aprile “roseo”,
l’occhio “azzurro”, il “biondeggiante or” delle spighe, la chioma “flava”, l’estate che
“fiammeggia”, i “verdi” rami, il melograno che scintilla “rosso”, i colli “verdi”.
Anche il simbolo femminile ha un significato antitetico a quello leopardiano: in Leopardi è
la fanciulla morta giovane che, senza giungere a vedere il “fior degli anni suoi” e senza poter
godere delle gioie dell’amore (la cui sorte testimonia il destino delle creature vittime della
crudeltà della natura), nega ogni felicità; in Carducci è, invece, un’immagine di femminilità
matronale, florida e opulenta (il fianco “baldanzoso”, il seno “restio” ai “freni del vel”, su cui
l’occhio del poeta indugia con scoperto compiacimento), che allude ad un’esistenza sana e
forte, ricca di gioie anche fisiche (“troppa gioia d’amplessi al marital desio”), a cui si
collegano i valori della famiglia (i “forti figli” che pendevano dalla sua “poppa”, ed ora
balzano arditi in groppa ai cavalli): la vita semplice della campagna e la famiglia sono i valori
che qui Carducci intende celebrare.. 31
La storia della critica carducciana inizia con un volume di Enrico Thovez, “Il pastore, il
gregge e la zampogna” (1909); il giudizio che ne emerge è limitativo: rispetto all’apice
letterario a cui era arrivato Leopardi, Carducci segna un passo indietro verso forme letterarie
ormai superate.
Benedetto Croce (1910), invece, rivalutò molto la poetica carducciana: anche se ammette
certi momenti di “non-poesia” (per il prevalere di motivi praticistici, polemici e pedagogici),
il critico indica la più alta realizzazione della poesia del Carducci in quella storica, nutrita di
passione etica e civile, che diviene poesia epica. Croce individua nella poesia carducciana
“l’ultima e classica grande poesia italiana”.
Da un punto di vista più moderno, Domenico Petrini (1927) vede nello svolgimento della
lirica carducciana una dissoluzione del mondo romantico e una ricerca di pure forme musicali
e coloristiche.
Mario Praz (1940), dall’alto della sua inarrivabile conoscenza delle letterature romantiche
europee, vede nel “classicismo” carducciano un’espressione di “nostalgia” tutta romantica per
l’antico, sentito come paradiso di bellezza definitivamente perduto nel presente squallido
dominato dalla società industriale.
31
L’analisi del testo è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo- Dalla Scapigliatura al Verismo” di G.
Baldi, S. Giusso, M, Razetti, G. Zaccaria, PARAVIA
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Natalino Sapegno (1949) dà un giudizio severo di Carducci, vedendo il momento poetico
più felice nei “Giambi ed Epodi”, nell’impeto polemico della passione politica e sociale, e nel
movimento nostalgico verso un’infanzia selvaggia e ribelle. Alla decadenza ideologica
corrispose anche quella poetica: assumendo posizioni conservatrici, si ripiegò sull’eleganza
formale.
Luigi Russo (1955 e 1957), insiste su un Carducci “funebre”, cantore nostalgico di eroici
mondi perduti.
Nel trentennio successivo, sino ai giorni nostri, Carducci non ha più suscitato vivi interessi
critici; è questo un segno di come Carducci non sia più sentito un poeta attuale, forse si vede
in lui l’ultimo rappresentante della classicità.
14.4 PAROLE ADOPERATE
Per individuare le parole maggiormente adoperate dal Carducci abbiamo analizzato le
raccolte “Rime nuove”, “Odi barbare”, “Rime e ritmi”. Ecco la tabella ed il grafico delle
frequenze:
%
CARDUCCI
1 Sol(e)
2 Bellezza, bel, bella
3 Amor(e), amoroso/a
4 Ciel(o)
5 Cor(e)
6 Morte
7 Bianca/o
8 Fiore
9 Occhi, Canto, Verde/i
10 Mar(e), Ombra/e
X 1000
0,48
0,36
0,33
0,28
0,27
0,26
0,23
0,21
0,18
0,17
4,8
3,6
3,3
2,8
2,7
2,6
2,3
2,1
1,8
1,7
4,8
2,7
2,6
2,3
2,1
1,8
1,7
Bianca/o
Fiore
Occhi,
Canto,
Verde/i
Mar(e),
Ombra/e
Amor(e),
amoroso/a
2,8
Morte
3,3
Cor(e)
3,6
Bellezza,
bel, bella
Sol(e)
10
8
6
4
2
0
Ciel(o)
X 1000
FREQUENZE CARDUCCI
Rispetto agli altri poeti analizzati fin qui troviamo alcune interessanti novità.
Sicuramente anche per Carducci vale il discorso della corrispondenza con il lessico
petrarchesco. In effetti la base del suo linguaggio è ancora quella mutuata dal Petrarca. Parole
come core, amore, bellezza, morte, cielo compaiono in larga misura nei due poeti. Tuttavia
74
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sono ravvisabili alcuni fattori di interesse. Primo fra tutti la presenza di termini che indicano
la solarità, cioè parole riferite a colori accesi e luminosi. Troviamo, infatti, sole (4,8 x 1000),
bianco (2,3 x 1000), verde (1,8 x 1000) tra le prime dieci parole, e rosso (1,0 x 1000) al 14°
posto. Accanto a queste parole vi sono poi termini che evocano la cupezza e la tristezza, come
morte (2,6 x 1000), ombra (1,7 x 1000), tra le prime dieci parole, e nero (1,6 x 1000) all’11°
posto.
È comunque azzardato affermare che il lessico carducciano sia innovativo. Esso continua a
seguire la Tradizione e si colloca nel Classicismo, che contraddistingue gran parte della lirica
italiana e le sue basi linguistiche e lessicali.
A conclusione dell’analisi della lirica d’Amore del periodo che va dal Quattrocento
all’Ottocento, che ha costituito la base della seconda parte del mio lavoro, ritengo utile
fornire, per tutti i principali termini adoperati dai vari poeti, il coefficiente di correlazione r
rispetto a Petrarca. Esso è un valore statistico, che indica quanto un insieme di valori sia
dipendente – e cioè correlato – con un altro insieme, ed è calcolato con la formula
matematica: r = S(xy) / S(x)
. S(y) , dove S(xy)
rappresenta la così detta covarianza tra i due
insiemi di dati, e S(x) . S(y) rappresentano le deviazioni standard dei due insiemi.
Il coefficiente di correlazione così calcolato assume un valore tra – 1 e + 1; nel caso di
valore 0 significa che non esiste correlazione, mentre un valore vicino a + 1 significa che la
correlazione è molto alta.
Eseguendo i calcoli rispetto a Petrarca i coefficienti di correlazione risultano i seguenti, che
raccogliamo in un grafico:
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
Carducci
Leopardi
Romantici
Neoclassici
Arcadia
Antimarinisti
Marinisti
Petrarchisti
Poeti del
Quattrocento
L’aspetto che più ci colpisce è la forte correlazione delle varie correnti poetiche con la
poesia di Petrarca. Nonostante il periodo interessato sia di oltre cinquecento anni, il
coefficiente di correlazione resta abbastanza stabile e non scende mai sotto il livello dello
0,70. Dobbiamo, inoltre, tenere presente il fatto che da Petrarca ai secoli successivi la
tematica della lirica – precedentemente incentrata quasi esclusivamente sull’Amore – si
allarga ad altri argomenti, come la politica, l’analisi introspettiva, la Natura, la Storia, le
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tematiche civili … Questo fattore fa abbassare le percentuali di frequenza dei termini del
lessico amoroso, dato che il calcolo – come si è più volte specificato – è stato fatto sul
complesso della produzione poetica degli autori. Conseguentemente, anche il coefficiente di
correlazione tende ad abbassarsi progressivamente, man mano che viene meno il monopolio
monotematico dell’Amore.
Per rendere la nostra analisi più completa, possiamo riprendere anche le correnti poetiche
che precedono Petrarca, e calcolare il coefficiente di correlazione di queste rispetto a Petrarca,
che avrà ovviamente coefficiente uguale ad 1,0. Il grafico che emerge è il seguente:
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
Carducci
Leopardi
Romantici
Neoclassici
Arcadia
Antimarinisti
Marinisti
Petrarchisti
Poeti del
Quattrocento
PETRARCA
Dante
Stilnovisti
Toscani
Siciliani
È molto interessante notare che il cambiamento più radicale nel linguaggio della lirica
d’Amore avviene con il Dolce Stil Nuovo (r = 0,74 rispetto a Petrarca). Il linguaggio
stilnovista è sostanzialmente recepito da Dante e da Petrarca, che provvede ad integrarlo,
facendone il linguaggio ufficiale della lirica d’Amore italiana fino a tutto l’Ottocento.
Bisognerà attendere l’epoca successiva, e cioè il Novecento, per assistere al declino del
Magistero petrarchesco ed alla nascita di un nuovo linguaggio della lirica d’Amore.
76
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PARTE TERZA (Il Novecento)
Con il Novecento si inaugura una nuovissima stagione letteraria. Per ciò che concerne la
lirica, possiamo dire che tenta sempre più di allontanarsi dai condizionamenti della metrica e
della rima.
Dapprima le forme metriche vengono formalmente mantenute, ma il poeta tende a
scardinarle dall’interno, come nel caso di Pascoli, apportando anche alcune innovazioni.
Da questo punto di vista Pascoli può definirsi un grande innovatore, in quanto utilizza versi
classici, ma scarsamente presenti ed inconsueti nella poesia italiana, quali il quinario, il
ternario, il novenario.
L’adozione del verso libero, che caratterizzerà tutto il Novecento, rappresenta la rottura più
significativa con tutta la tradizione lirica precedente. Con il verso libero, introdotto da
D’Annunzio, il poeta dà voce ad un suo ritmo interiore; la lirica di questo periodo, quindi, va
incontro alle esigenze di libertà e di individualismo che erano sorte.
In questo senso D’Annunzio può essere definito un <<innovatore ed un precursore>>
Nel periodo tra le due guerre giungono ad una piena maturazione queste tendenze liriche:
Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), con le due prime raccolte poetiche Il porto sepolto (1916)
e Allegria di naufragi, porta alle estreme conseguenze l’innovazione del verso libero,
sperimentandone le più ampie possibilità, fino a ridurlo all’unicità della singola parola.
Distrugge la metrica tradizionale e si concentra sull’aspetto interiore, arrivando alle soglie di
una poesia metafisica. Introduce il procedimento sempre più rarefatto ed essenziale
dell’analogia, che si propone di cogliere l’essenza delle cose attraverso folgorazioni o
illuminazioni improvvise.
L’esperienza ungarettiana si può definire d’avanguardia, diversamente da quelle di
Montale e Saba, che tentano soluzioni di compromesso, tra le avanguardie e la tradizione.
Per quanto concerne Gozzano, invece, abbiamo sostanzialmente alcuni aspetti innovativi,
anche dal punto di vista linguistico, ma molti aspetti restano legati alla Tradizione.
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GIOVANNI PASCOLI
15.1 FORME METRICHE
I componimenti poetici di Pascoli fanno parte di alcune raccolte redatte da lui stesso.
Sarebbe fuorviante tentare di riprodurre un’evoluzione interna della sua poesia tenendo in
considerazione l’ordine cronologico di queste raccolte, in quanto il loro ordine di uscita non
coincide con quello della composizione dei singoli testi. Tra il 1891 e il 1911, quando il poeta
redige queste raccolte, lavora contemporaneamente a vari generi poetici, con tematiche e stili
compositivi anche molto lontani fra loro. Quindi, possiamo asserire che la distribuzione nelle
varie raccolte non obbedisce all’ordine cronologico di composizione, quanto a ragioni
formali, stilistiche e metriche.
La poesia di Pascoli è sostanzialmente sincronica: sono ovviamente riconoscibili
arricchimenti e approfondimenti di temi, mutamenti di soluzioni stilistiche nel corso del
tempo, ma svolte veramente radicali, che possono legittimamente far parlare di fasi diverse e
distinte, non possono essere individuate. 32
Le raccolte sono: Myricae (1892), Primi poemetti (1897), Odi e inni (1896), Poemi del
risorgimento (1910-12), Poemi conviviali (1904), Nuovi poemetti (1909), Canti di
Castelvechio (1903), oltre a Poesie varie che raccolgono liriche giovanili o disperse.
Nella prima raccolta, Myricae, sono presenti prevalentemente componimenti molto brevi,
che all’apparenza si presentano come piccole descrizioni di vita campestre con uno stile molto
vicino al gusto impressionistico. Compaiono qui quelle soluzioni formali che costituiscono la
profonda originalità della poesia pascoliana: l’insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico
dei suoni, l’uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. Pascoli sperimenta
anche una varietà di combinazioni metriche inedite, utilizzando in genere versi brevi, in
particolare il novenario, un verso poco frequente nella tradizione italiana.
Diversi sono i Poemetti, divisi nelle due raccolte Primi poemetti e Nuovi poemetti: sono
componimenti più lunghi di quelli di Myricae, che spesso sembrano veri e propri racconti in
versi. Anche la struttura metrica cambia: ai versi brevi subentrano, di regola, le terzine
dantesche, raggruppate in sezioni più o meno ampie.
I Canti di Castelvecchio sono definiti dal poeta stesso, nella prefazione, “myricae”, quindi
si propongono intenzionalmente di continuare la linea della prima raccolta. I componimenti
ritornano ad essere più brevi.
I Poemi conviviali assumono un carattere estetizzante e quindi il linguaggio e il metro
aderiscono alla tradizione classicista. A questa raccolta possiamo accostare i Carmina latini :
trenta poemetti e settantuno componimenti più brevi scritti da Pascoli per il concorso di
poesia latina di Amsterdam, per i quali, dal 1892, egli ottenne molte volte la medaglia d’oro.
32
Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” vol. F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G.
Zaccaria. PARAVIA
78
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Per Pascoli il Latino non è una lingua morta e un puro esercizio erudito di riproduzione dei
moduli espressivi fissati dagli esercizi antichi, ma è una lingua intimamente rivissuta, che
rivela profonde affinità col linguaggio delle poesie italiane, soprattutto nel suo ritmo spezzato,
che appare lontano dall’armonia del latino classico.
Nelle forme metriche, come nei ritmi e nella lingua che vedremo in seguito, Pascoli attua
uno scardinamento: metri come la terzina dantesca, versi ormai obsoleti come il novenario e
il decasillabo, vengono adoperati da lui in modo del tutto personale, con slittamenti di accenti
e innovazioni di ritmi che li rendono irriconoscibili. Per quanto riguarda le rime sono presenti
rime ipermetre (per es. far rimare invito con gomitoli, non calcolando quindi l’ultima sillaba
che resta fuori del conto); rime spezzate (dove la parola-rima è spezzata alla fine del verso e
una sua parte è rigettata in quello seguente: ciondo/ loni fatto rimare con biondo; rime
rigettate da un verso all’altro: piana/ mente gemendo.
15.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Come abbiamo già detto, le soluzioni formali di Pascoli sono fortemente innovative.
La sintassi è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui
classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principali, coordinate e
subordinate (tale era ancora la sintassi carducciana, e continuava ad essere quella del
D’Annunzio più aulico): nei suoi testi poetici la coordinazione prevale sulla subordinazione,
di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza
rapporti gerarchici fra di loro, spesso collegate non da congiunzioni ma per asindeto. Di
frequente, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la
forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi e aggettivi). La frantumazione
pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, il prevalere della
sensazione immediata, dell’intuizione, dei rapporti analogici, allusivi, suggestivi, che indicano
una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. E’ una sintassi che traduce
perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione “fanciullesca”, alogica, che mira a
rendere il mistero, l’alone indefinito che circonda le cose, a scendere intuitivamente nel
profondo della loro essenza, e quindi svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali, grande
e piccolo, importante e meno importante, centrale e periferico. 33
La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambements,
che spezzano sintagmi strettamente uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo.
Per comprendere meglio tutto ciò, analizziamo Digitale purpurea, componimento raccolto
nei Nuovi poemetti (metro: terzine dantesche a rime incatenate - ABA, BCB, ecc.). Sin da una
prima lettura si può notare la frantumazione dell’asse sintagmatico del racconto, che non
segue un ordine cronologico di successione degli eventi, ma è continuamente interrotto da
anacronie34: comincia al presente, fa rivivere il passato come un flash-back, torna al presente
del colloquio fra le due amiche, per risalire infine al passato con la rievocazione
33
Da “Dal testo alla storia dalla storia al testo” Vol.F, Il Decadentismo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G.
Zaccaria, PARAVIA
34
“anacronia” (dal greco anà, indietro, di nuovo, e chrònos, tempo). Nel racconto, la rottura della successione
cronologica dei fatti, per cui vengono raccontati dopo fatti avvenuti prima di altri, o viceversa.
79
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dell’esperienza trasgressiva del fiore velenoso. Anche la struttura sintattica è fortemente
frantumata, discontinua. Le frasi sono brevi e interrompono continuamente il discorso in unità
a sé stanti. I puntini di sospensione contribuiscono ulteriormente a questa frantumazione (v.10
così dolci al cuore …; v.15 con quel fiore, fior di …; v.9 da tastiere appena tocche… ; v.15
(perché mai) piangete?… ), così come la lunga parentesi di quasi tre versi, che in chiusura
allontana con una forte sospensione la confessione suprema, si muore!. I versi sono
continuamente interrotti al loro interno da forti pause; a ciò si uniscono i numerosissimi
enjambements.
Per quanto riguarda il linguaggio, fu ancora più innovativo: accanto all’uso della lingua
attinta dai classici, vi è l’uso di dialettismi e di parole tratte dal gergo (riferentisi alla realtà
campestre), di onomatopee, di una terminologia botanica ed ornitologica (ad indicare le
infinite varietà di alberi, fiori, uccelli che popolano i suoi versi). Il lessico adoperato da
Pascoli è formato da numerosi codici linguistici, e si contrappone quindi a tutta la tradizione
monolinguistica della precedente tradizione poetica italiana.
15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE
Pascoli fa molto uso del linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora, e cioè
la sostituzione del termine proprio con uno figurato, che ha col primo un rapporto di
somiglianza. Ma l’analogia pascoliana, come quella dei simbolisti, accosta in modo
sorprendente due realtà fra loro remote, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi
e identificando immediatamente gli estremi, costringendo così ad un volo vertiginoso
dell’immaginazione. Un procedimento affine all’analogia è la sinestesia, che fonde insieme
diversi ordini di sensazioni (per esempio si possono trovare sensazioni visive e cromatiche,
fuse con una sensazione fonica).
Analizziamo Il gelsomino notturno, componimento con metro di quartine di novenari a
rime alternate (abab). Per quanto riguarda il repertorio di immagini, possiamo esaminare
quelle legate alla morte, quelle legate al “nido” e quelle legate all’amore. La tragedia
familiare del poeta, che ha distrutto il suo “nido”, lo ha bloccato alla condizione psicologica
infantile, impedendogli di uscirne. I morti continuano a rivivere nel suo personale nido di
bambino, che Pascoli sembra voler proteggere da qualsiasi ingerenza esterna quale l’amore.
Ecco allora l’alternanza tra le immagini mortuarie e quelle del fiore che invita all’amore
(vv.1-2 E s’aprono i fiori notturni, / nell’ora che penso a’ miei cari; vv.9-10 Dai calici aperti
si esala / l’odore di fragole rosse / … Nasce l’erba sopra le fosse). Uscire, legarsi alla donna,
riprodursi, sarebbe un tradimento ad un legame sacro ed inviolabile con il “nido”. Quel nido
rappresentato dalle seguenti espressioni: v.7 sotto l’ali dormono i nidi; v.14 le api chiuse nelle
loro celle; vv.15-16 la Chiccetta per l’aia azzurra va col suo pigolìo di stelle.
15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE
Benedetto Croce, che dedicò al Pascoli un saggio nel 1907, diede un giudizio negativo. Infatti,
secondo il filosofo, l’opera pascoliana era priva di unità, la poesia si presentava solo in brevi
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frammenti ed era di ispirazione sostanzialmente idillica, quindi ristretta e limitata. Oltre al
giudizio estetico - formale, Croce diede anche un giudizio morale, condannando quella che
riteneva la "malattia" romantico – decadente; quindi la morbosità, il vago misticismo, il
vagheggiamento del mistero e della morte del Pascoli furono categoricamente ripudiati.
Ricerche più recenti, nel secondo dopoguerra, hanno sottolineato il valore anticipatore della
poesia di Pascoli. Pier Paolo Pasolini (1955), ad esempio, afferma che <<la lingua poetica di
questo secolo è tutta uscita dalla sua, pur contraddittoria e involuta, elaborazione>>.
Il grande filologo e critico Gianfranco Contini (1955) analizza da un punto di vista linguistico
le opere di Pascoli, sostenendo che accanto alle forme normali (grammaticalmente
strutturate), compare un linguaggio “pregrammaticale” (onomatopee) e un linguaggio
“postgrammaticale” (le lingue speciali e dialettali), e conclude che, se il linguaggio normale
implica l’avere chiara e precisa l’idea del mondo, un linguaggio eccezionale come quello di
Pascoli implica un rapporto io - mondo molto critico.
Per quanto riguarda la metrica, Emilio Bigi (1962) ha messo in luce come versi e strofe di
impianto tradizionale siano solo un primo piano, superficiale, al di sotto del quale se ne
colloca uno più segreto, attraverso il quale si esprime la voce del “fanciullino”, che spezza le
strutture in echi musicali, pause, enjambements.
Per ciò che concerne la lettura psicanalitica, Giorgio Barberi Squarotti (1956) individua il
nucleo fondamentale di tale poesia nell’immagine del “nido”, chiuso al mondo esterno, geloso
e protettivo, che sottintende il ripudio di qualsiasi rapporto sociale e una riduzione ai puri
legami del sangue, oscuri e viscerali.
15.5 PAROLE ADOPERATE
Riguardo alle parole adoperate nelle sue poesie, il Pascoli rappresenta una grandissima
novità rispetto alla tradizione. Con lui viene meno il predominio del lessico petrarchesco, che
aveva dominato pressochè incontrastato il linguaggio della lirica italiana dal Trecento
all’Ottocento. Per renderci conto della grande innovazione pascoliana, possiamo – come già
fatto per tutti gli altri autori e/o periodi – individuare le dieci parole maggiormente adoperate.
Per questo scopo abbiamo analizzato le raccolte “Myricae”, “Canti di Castelvecchio”.
Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze:
PASCOLI
1 Ciel(o)
2 Morte
3 Cor(e)
4 Ombra/e
5 Nero
6 Bianca/o
7 Notte
8 Occhi, Giorno/i
9 Madre
10 Mano/i, Voce
%
0,35
0,28
0,27
0,26
0,25
0,22
0,19
0,184
0,177
0,174
X 1000
3,5
2,8
2,7
2,6
2,5
2,2
1,9
1,8
1,8
1,7
81
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2,7
2,6
2,5
2,2
1,9
1,84
1,77
1,74
Nero
Bianca/o
Notte
Occhi,
Giorno/i
Madre
Mano/i,
Voce
Ciel(o)
2,8
Ombra/e
3,5
Cor(e)
10
8
6
4
2
0
Morte
X 1000
FREQUENZE PASCOLI
È chiaramente evidente un forte scostamento dalla Tradizione classicista e petrarchista.
Alcune delle parole chiave di Petrarca, come amore, bellezza, dolcezza, donna, sole non
compaiono in Pascoli nei primi dieci termini fondamentali, ed anzi hanno basse frequenze
nelle sue Opere. Ad esempio amore ha una frequenza dello 0,5 x 1000; bellezza dell’1,5 x
1000; dolcezza dell’1,7 x 1000; donna dello 0,2 x 1000 e sole dell’1,6 x 1000.
Significativo il fatto che le prime parole che compaiono nella lista delle preferenze siano
cielo (3,5 x 1000) e morte (2,8 x 1000), quasi a sottolineare la personalità fortemente turbata
del poeta, che pone al centro del suo <<Io>> la morte ed il cielo, che è un simbolo della vita
ultraterrena e del contatto con l’aldilà. Certamente per Pascoli – a differenza del Carducci – i
morti costituivano un’inquietante presenza, con la quale la persona viva doveva comunque
relazionarsi e fare i conti; basti vedere le numerose poesie pascoliane, che parlano della
morte, o hanno richiami ai defunti; per fare solo qualche esempio: Il Gelsomino notturno (v. 2
nell’ora che penso ai miei cari); L’assiuolo (v. 21 e c’era quel pianto di morte); Novembre
(v. 11-12 … È l’estate, / fredda, dei morti).
Possiamo ora calcolare l’indice di correlazione r tra Pascoli e Petrarca; esso ci fornisce il
seguente dato: r = 0,56: un risultato che, pur confermando ancora una certa analogia con il
lessico petrarchesco, segna indubbiamente una rottura rispetto al passato, dal momento che,
secondo i nostri calcoli, da Petrarca in poi il valore di r rispetto a Petrarca non era mai sceso
sotto lo 0,70.
82
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GABRIELE D’ANNUNZIO
16.1 FORME METRICHE
La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio è formata da una serie di numerosi scritti, sia
lirici, sia narrativi, sia teatrali, sia ancora autobiografici e della memoria. Ma ciò che più ci
interessa, in questo lavoro, è la sua produzione lirica: Primo vere, 1879; Canto novo.
Intermezzo di rime, 1884; L’Isotteo, 1886; Elegie romane, 1887; Poema paradisiaco, 1891;
Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi (I Maia, 1903); II Elettra, 1903; III Alcyone,
1904; IV Le canzoni delle gesta d’oltremare, 1912). Nelle prime raccolte D’Annunzio adotta
diverse soluzioni metriche, rifacendosi alla tradizione ed anche ai metri barbari di Carducci.
Le Laudi facevano capo ad un progetto che prevedeva sette libri, ognuno intitolato con il
nome di una stella della costellazione delle Pleiadi. Il primo libro, Maia, non è una raccolta di
liriche, bensì un lungo poema unitario di oltre ottomila versi, in cui D’Annunzio adopera
subito una novità formale, cioè il verso libero, distaccandosi completamente dagli schemi
tradizionali. Nel secondo libro, Elettra, buona parte del volume è costituito da liriche sulle
Città del silenzio (le città italiane, ora lasciate ai margini del progresso e della vita moderna).
Il terzo libro, Alcyone, quello che analizzeremo più approfonditamente, è apparentemente
molto lontano dai due precedenti. Al discorso politico e celebrativo, si sostituisce il tema del
panismo, ossia la fusione uomo - natura, natura - uomo. Le ottantotto liriche seguono un
disegno organico, ma diverso è l’ordine cronologico di composizione. Analizziamo le forme
metriche di alcune di esse. La pioggia nel pineto, è una poesia strutturata in quattro strofe di
trentadue versi liberi (quinari, senari, settenari, ottonari, novenari …) con un irregolare
ricorrere di rime ed assonanze. Spesso, per effetto del libero gioco delle rime e delle
assonanze, la misura massima del novenario tende a frangersi nelle misure minori di un
senario e un ternario, o anche di tre ternari. Talvolta, invece, “la lettura continua, anche senza
praticare sinalefe al confine, di due versi di seguito, restituisce (…) l’endecasillabo”. Ne
consegue <<la possibilità continua di doppie letture ritmico - metriche, suggerite
rispettivamente dalla partizione esteriore in versi e dalla possibilità di scomposizione e
ricomposizione degli stessi secondo misure meno esteriormente suggerite” (P.V.
Mengaldo)>>35. Ma osserviamo la struttura delle rime (spesso ricche), e delle assonanze (ora
fitte ora rade all’interno delle varie strofe). <<Va osservato che ogni finale di verso trova una
o più corrispondenza di rima (o assonanza) entro il gruppo; quando ciò sembra non
accadere, in realtà si ha una rima interna (vv.4-7 lontane / umane; vv.41-43 canto / pianto e
viceversa ai vv. 69-71 dita / vita), in tutti i casi determinando un ternario interno o alla
rima>> (G. Contini)36. In questa poesia è stato scorto il parallelismo con il concerto di una
sinfonia. “La partitura musicale della poesia è costruita con strumenti sofisticatissimi. (…) Si
35
36
“Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982
“Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Rocoroni. I edizione Oscar Mondadori del 1982
83
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succedono versi brevi, senari, settenari, ottonari, novenari, ma persino versi trisillabi,
composti da una sola parola (lontane, divini, silvani, leggeri, ..). Questa estrema
frammentazione dei versi ha una valore iconico, cioè tende a riprodurre la pluralità
innumerevole di presenze e di voci che si affollano nella pineta sotto le fitte gocce di pioggia.
(… ) Il ritmo del discorso permette però di ricostruire speso un’altra trama metrica sotterranea
e dissimulata sotto la prima. (…). Altro strumento per eccellenza del virtuosismo musicale di
D’Annunzio è la rima, che ricorre anch’essa molto liberamente, senza alcuno schema fisso.
Particolarmente musicali risultano le coppie di versi a rima baciata (vv.21-22 silvani / mani;
vv.25-26 leggeri / pensieri; vv.28-29 novella / bella, vv.35-36 verdura / dura; vv.45-46
cinerino / pino; vv.61-62 ginestre / terrestre; vv 91-92 lontana / rana). (…) Alla qualità
musicale del discorso poetico dà un contributo fondamentale anche la modulazione fonica.
Basti osservare la variazione tra i toni chiari della a e i toni cupi delle o toniche in questi
versi: vv.37-38-39 e varia nell’aria / secondo le fronde / più rade men rade, che pare quasi
avere un’intenzione mimetica della varietà dei suoni delle gocce sulle foglie>> 37.
16.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI
Come abbiamo già detto, il nucleo fondamentale del libro Alcyone rappresenta la fusione
panica con la natura, che si esprime attraverso un atteggiamento di evasione e
contemplazione. Il libro è il diario di un’ideale e vagheggiata vacanza estiva, dai colli
fiesolani alle coste tirreniche tra Marina di Pisa e la Versilia. L’io del poeta si identifica con
le varie forme della natura, animali, vegetali, minerali. C’è una ricerca sottile della musicalità,
che tenta di dissolvere la parola in sostanza fonica e melodica, con l’impiego di un linguaggio
analogico, che si fonda su un continuo gioco di immagini tra loro rispondentisi. Solo la parola
magica del poeta - superuomo, creatura d’eccezione, quasi un vate, può capire ed esprimere
l’armonia intrinseca e segreta della natura, e così rivelare l’essenza vera delle cose..
D’Annunzio trasfigura musicalmente le parole, generando poesie che fondono in modo
irripetibile realtà e sogno. Prendiamo per esempio Bocca d’Arno, una poesia formata da
cinque strofe di undici versi ciascuna (endecasillabi con qualche settenario e quinario). Bocca
d’Arno è la foce dell’Arno sul lido di Pisa; il poeta, con un pretesto meramente verbale,
trasforma la la foce dell’Arno nella bocca della donna amata, le onde del fiume teorie di
angeli danzanti, le reti pensili dei pescatori calici di immensi fiori favolosi; ed egli si perde
insieme alla donna amata, in un’adorante contemplazione creatrice di prodigi.
Il linguaggio di D’Annunzio è ricercato, classicheggiante, raffinato, aderente in toto ad una
tradizione tipicamente italiana, ma innovativo per quanto riguarda il modo con cui descrive il
paesaggio naturale e le figure femminili, il primo assumendo le sembianze di un mondo
trasognato e splendente, le seconde incarnando figure divine. In effetti D’Annunzio è famoso
per l’uso di una vasta gamma di vocaboli, ed anche per avere introdotto alcuni neologismi nel
linguaggio della lirica italiana. Prendiamo, ad esempio, la lirica L’onda, tratta da Alcyone; si
37
“Dal testo alla storia dalla storia al testo, Il decadentismo” Vol. F di G. Baldi, S. Giusso, M. razetti, G.
Zaccaria. PARAVIA
84
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tratta di una <<strofe lunga>> di cento versi, nella quale il poeta adopera moltissime parole,
alcune delle quali strettamente tecniche, riferite al linguaggio marino o a quello militare:
cala (v. 1), lorica (v.5), catafratto (v.6), dismaglia (v.11), ridonda (v.25), scavezza (v.39),
cuora (v.45), ulva (v.46), crisopazi (v.58), berilli (v.60), melode (v.94), fura (v. 97).
16.3 METAFORE E IMAGINI USATE
Esaminiamo Stabat nuda Aestas, una poesia costituita da tre stanze di otto endecasillabi
ciascuna. Il poeta ha “visto” l’estate. L’ha vista sotto le sembianze di una creatura divina dal
piè stretto (v.1), dalla schiena falcata (v.11) e dai capei fulvi (v.11), correre leggera sugli aghi
arsi dei pini, in mezzo al riverbero della luce, mentre intorno, a causa del gran caldo, tutte le
cose assumono un’immobile fissità. Il poeta l’ha intravista, la riconosce, la raggiunge e
quando la chiama riecheggiando il canto di un’allodola, la vede voltarsi e poi scomparire tra
le erbe palustri e quindi incespicare nella paglia marina e cadere sulla spiaggia, tra la sabbia e
l’acqua, nuda di un’immensa nudità, mentre il vento creava mille giochi di spume, facendo
schiumare tra i suoi capelli l’onda del mare.
Per tutta la lirica, la mitica figura, più che descritta, è evocata. Anzi, nel momento in cui tale
evocazione assume le sembianze di una personificazione, immediatamente scompare in un
dilagare di fenomeni della natura, di cieli, di ulivi, di oleandri, di aghi di pino, di canti di
allodole, di odori aspri, di silenzi improvvisi, di gemiti di resine, di calure incandescenti, di
luci intense, di onde spumeggianti.
Il poeta, che di questa apparizione è testimone e artefice, si sente rapire dalla visione e la
contempla avidamente, in uno dei suoi momenti più alti di comunione mistico - sensuale con
la natura e in una ascensione totale di sensi, che ha il suo apice nella magnifica visione finale
della nudità della donna – Estate, con cui egli già vagheggia di unirsi in una sorta di amplesso
cosmico38.
16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE
Fino al secondo dopoguerra gli studi sull’opera dannunziana erano stati dominati dalla critica
idealistica, di cui il maggior rappresentante era Benedetto Croce, che scrisse un saggio su
d’Annunzio nel 1904. La critica idealistica pone l’accento sul D’Annunzio <<dilettante di
sensazioni>> (B. Croce), sul poeta intensamente visivo, il paesista (Alfredo Gargiulo), sul
poeta che sa trasfigurare la parola in musica (Attilio Momigliano), sul poeta che disincarna la
sensualità, portandola fuori dai sensi (Francesco Flora).
Dal secondo dopoguerra in poi la critica ha privilegiato altri campi di studio.
Giacomo Devoto, Alfredo Schiaffini, Pier Vincenzo Mengaldo hanno studiato la lingua;
Giorgio Barberi Squarotti, Marziano Guglielminetti, Gian Luigi Beccaria hanno analizzato lo
stile, mettendo in luci i meccanismi più segreti della scrittura dannunziana; Aldo Rossi e
Stefano Agosti, per la critica strutturalista, hanno esaminato le strutture profonde dei testi di
38
Gabriele D’Annunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni. I edizione Oscar Mondadori gennaio 1982
85
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D’Annunzio; Emerico Giachery e Giovanni Getto hanno portato alla luce le trame dei simboli
sottese alle sue opere.
Più recentemente, Carlo Salinari, Roberto Tessari, Alberto Asor Rosa, Arcangelo Leone De
Castris, Romano Luperini, Giorgio Barberi Squarotti e Angelo Jacomuzzi hanno analizzato
D’Annunzio in relazione alle ideologie del periodo storico in cui ha vissuto, quindi il suo
atteggiamento nei confronti della realtà industriale; il suo rapporto contraddittorio con
l’editoria, fatto da un lato di ripudio in nome di un aristocratico ideale di bellezza, dall’altro di
attenta considerazione del successo commerciale.
16.5 PAROLE ADOPERATE
Per individuare la frequenza delle parole usate da D’Annunzio abbiamo analizzato la
raccolta “Alcyone”, che contiene alcune delle poesie più note e più significative dell’autore.
Ecco la tabella ed il grafico delle frequenze:
%
D'ANNUNZIO
1 Acqua
2 Mar(e) - Ombra/e
3 Occhi
4 Terra
5 Bianca/o
6 Fiore
7 Bellezza, bel, bella
8 Nero
9 Ciel(o)
10 Luce/i
X 1000
0,3
0,29
0,27
0,26
0,22
0,21
0,2
0,19
0,18
0,17
3,0
2,9
2,7
2,6
2,2
2,1
2,0
1,9
1,8
1,7
2,2
2,1
2,0
1,9
1,8
1,7
Ciel(o)
Luce/i
Occhi
Mar(e) Ombra/e
Acqua
2,6
Nero
2,7
Bellezza,
bel, bella
2,9
Fiore
3,0
Bianca/o
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
Terra
X 1000
FREQUENZE D'ANNUNZIO
Si nota che il processo di scostamento dal lessico della Tradizione – già visto per Pascoli –
subisce un’ulteriore accelerazione. Delle prime dieci parole usate da Petrarca solo tre
compaiono tra le prime dieci parole adoperate da D’Annunzio, e precisamente occhi (2,7 x
1000), bello/a, bellezza (2,0 x 1000) e ciel(o) (1,8 x 1000).
86
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Non troviamo, invece, parole molto importanti per Petrarca, quali amore (0,9 x 1000),
cor/core (1,6 x 1000), tempo (0,3 x 1000), sol/sole (1,6 x 1000).
È assai significativo il fatto che le prime dieci parole usate da D’Annunzio richiamino
immagini vitalistiche e terrene, evocanti la gioia sensuale e l’amore per la vita; nell’ordine
abbiamo, infatti, acqua (3,0 x 1000), mare (2,9 x 1000), occhi (2,7 x 1000), terra (2,6 x
1000), bianco/a (2,2 x 1000), fiore (2,1 x 1000) …
Il distacco dal lessico petrarchista è evidente dal calcolo dell’indice di correlazione r tra
D’Annunzio e Petrarca. Esso è pari a r = 0,42 cioè il valore più basso fin qui trovato, il che
dimostra come, ormai, si sia entrati, a pieno titolo, nel lessico della poesia contemporanea. Pur
non essendo stato abbandonato, l’Amore non è più esperienza dominante e centrale nella
lirica e non assume più valenza monotematica. Parimenti il linguaggio, nonostante permanga
ancora colto ed elevato, diviene sempre di più linguaggio delle specifiche tematiche del poeta
ed è sempre meno linguaggio propriamente amoroso.
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GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)
Le raccolte poetiche che consacrano la sua fama poetica sono: La via del rifugio (1907) e
Colloqui (1911). Queste due raccolte rappresentano una poesia di “rifugio” dalle passioni,
dall’alienazione mondana e dalla storia, quasi il ritorno ad un passato tetro. L’accettazione di
un’esistenza priva di eventi molto importanti e di ambizioni intellettuali o sentimentali è
accompagnata dall’ironia, con cui il “dannunzianesimo rientrato” (Sanginetti) di Gozzano si
scopre e proclama, oltre al desiderio di felicità e amore, la presenza della malattia, della
malinconia, della nostalgia e del contatto illusorio con l’universo femminile.
I Colloqui presentano una struttura omogenea e compatta; il titolo è lo stesso dei
componimenti con cui si apre e si chiude la raccolta.
La signorina Felicita ovvero la felicità e L’amica di nonna speranza, i due poemetti più
famosi di Gozzano, parlano dell’attrazione per una provinciale “quasi brutta, priva di
lusinga”, e la fuga al passato risorgimentale (“rinasco, rinasco del mille ottocento
cinquanta!”), con la conseguente consapevolezza dell’impossibilità di sfuggire alla negatività
del presente. Totò Merumeni, invece, è un componimento in cui si osserva il senso di
estraneità posto in una situazione atemporale, in cui la degradazione dell’eroe rappresenta la
figura del poeta.
La signorina Felicita ovvero la felicità è un componimento di sestine di endecasillabi
(schema metrico: ABBAAB). Dal punto di vista formale si osserva che gli endecasillabi
seguono un andamento narrativo, quindi tendono alla discorsività di un racconto, anche grazie
al legame di continuità determinato dagli enjambements. La cadenza prosastica giunge sino
all’inserimento del discorso diretto, anche se esso vuole soltanto sottolineare la
caratterizzazione in senso borghese dei personaggi, con lo scopo ironico di evidenziare i
contrasti nei confronti del poeta. La funzione di questi inserti è anche quella di determinare
una rottura con il continuum del verso tradizionale, rompendone la facile musicalità e ogni
tipo di affettazione.
I termini adoperati dal poeta sono quelli del linguaggio comune; preferibilmente sono
vocaboli concreti (v.8 tosti il caffè; v.10 cuci i lini).
In tutta la poesia coesistono in contrasto realtà e ambiti opposti, così come il linguaggio,
che si alterna tra semplice e quotidiano, ed elevato e arcaicizzante (che appare però un po’
irrigidito e manierato). Tutto ciò rientra nell’ambito della poesia dello choc, che consiste
nell’accostamento e nella fusione di elementi striduli e contrastanti. Di qui ha origine il
carattere ironico e straniante della poesia gozzaniana, che giunge sino all’artificio della
finzione e allo sdoppiamento del soggetto, alterando profondamente i rapporti con la realtà.
Totò Merumeni è un componimento di quartine di doppi settenari (schema metrico: ABAB
CDCD, ecc.). La derivazione del nome del protagonista dell’Heauntontimoroùmenos di
Terenzio, attraverso la meditazione baudelaireiana, conferma la caratteristica culturale
dell’operazione qui svolta da Gozzano, che vuole evidenziare una peculiare concezione
dell’arte; che vuole fornire una specie di “ritratto dell’artista”. Il componimento è quasi una
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parodia antidannunziana, i cui vi è la contraffazione ironica e parodica, nei confronti del
superuomo dannunziano. Il protagonista, Totò Merumeni, è presentato come uno scrittore
della ricca cultura, ma è posto in un ambiente irrigidito e ai confini del reale. L’amore
proposto è quello per una <<cuoca diciottenne>>, quasi per voler sottolineare, prima di tutto
lo stacco dagli amori per le donne fatali di D’Annunizio, ma anche per mettere in luce
l’esperienza naturale e immediata che rifiuta ogni complicazione sentimentale e mentale.
Per quanto riguarda le parole adoperate Guido Gozzano è, più o meno, sulla stessa linea
del Pascoli, al quale si rifà in molte sue poesie. Abbiamo, a questo proposito, analizzato le
raccolte I colloqui, La via del rifugio e alcune Poesie sparse, presenti nella LIZ 3.0. L’indice
di correlazione rispetto a Petrarca è pari a r = 0,58, un valore simile a quello del Pascoli. Ecco
la tebella delle frequenze ed il relativo grafico:
%
GOZZANO
1 Bellezza, bel, bella
2 Sogno
3 Tempo, Vita
4 Mano/i
5 Cor(e)
6 Amor(e), Giorno/i
7 Anima/e, Dolcezza
8 Ciel(o)
9 Morte
10 Bacio, baciare
X 1000
0,48
0,29
0,22
0,19
0,18
0,17
0,165
0,16
0,13
0,12
4,8
2,9
2,2
1,9
1,8
1,7
1,7
1,6
1,3
1,2
4,8
1,9
1,8
1,7
1,65
1,6
1,3
1,2
Amor(e),
Giorno/i
Anima/e,
Dolcezza
Ciel(o)
Morte
Bacio,
baciare
Sogno
Bellezza,
bel, bella
2,2
Cor(e)
2,9
Mano/i
10
8
6
4
2
0
Tempo,
Vita
X 1000
FREQUENZE GOZZANO
89
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GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)
La produzione poetica ungarettiana comincia dall’esperienza bellica che il poeta compì sul
Carso durante il primo conflitto mondiale; infatti a Udine pubblicò, nel 1916, Il porto sepolto.
Del 1919 è la raccolta Allegria di naufragi: le due raccolte confluiranno poi, con qualche
aggiunta, nel volume L’allegria (1931). Quindi possiamo definire L’allegria la raccolta dei
versi che costituiscono la prima fase poetica di Ungaretti, che va dal 1915 al 1919.
La seconda fase, riferentesi al periodo compreso tra il 1919 e il 1933, fa capo alla raccolta
intitolata Sentimento del tempo.
Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale influiscono fortemente sul formarsi di una
nuova e più dolorosa consapevolezza, tra l’altro preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la
morte del fratello Costantino, nel 1937, e la perdita del figlio Antonietto, due anni dopo. Ecco
che con la raccolta Il dolore (1947), alla quale seguiranno La terra promessa (1950 e 1954),
Un grido e paesaggi (1952) e Il taccuino del vecchio (1961), si ha la terza fase poetica
ungarettiana, che va dal 1933 al 1969.
Tutte le poesie di Ungaretti hanno una forte componente autobiografica e ci sono proposte
come una sorta di recherche sotto forma di versi (il riferimento al capolavoro di Marcel
Proust non è casuale, in quanto Ungaretti fu il primo autore a parlare delle opere di Proust in
Italia, nel 1919). Egli stesso, infatti, affermò: <<Io credo che non vi possa essere né sincerità
né verità in un’opera d’arte se in primo luogo tale opera d’arte non sia una confessione>> 39.
La prima fase poetica del poeta è caratterizzata dall’estremizzazione del procedimento
analogico (essendo stato influenzato dal Simbolismo); dall’abolizione della metrica
tradizionale; dall’esaltazione della parola, che assume il valore di un’improvvisa e fulminante
“illuminazione”. La parola viene cantata nella sua autonomia e purezza, inserita in versi brevi
o magari isolata, fino al punto di farla coincidere con un verso, quasi per porla nel vuoto e nel
silenzio, al di là di ogni contingenza con la realtà. Questa prima ricerca di Ungaretti si può
definire “poetica dell’attimo”, in quanto a causa della guerra (tema fondamentale della prima
fase) costringe a vivere in una condizione precaria, in cui da un momento all’altro può
sopraggiungere la morte.
Nella seconda fase poetica, quella de Sentimento del tempo, alla “poetica dell’attimo” si
sostituisce una diversa percezione del tempo, che ora viene concepito come continuità e
durata, che coincide con una visione problematica e complessa dell’esistenza. Dal punto di
vista tecnico, la novità essenziale sta nella rivisitazione delle strutture metriche e sintattiche
tradizionali (reintroduzione dell’endecasillabo e di un linguaggio più elaborato). Questa scelta
deriva dalla rilettura di Petrarca e Leopardi.
La terza ed ultima fase è rappresentata dai versi contenuti nella raccolta Il dolore, raccolta
che dà voce al tormento personale (per la morte del fratello e poi del figlio) e collettivo (a
causa della guerra). I testi non sono accompagnati da nessuna nota, il poeta si limita ad
39
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”; Vol. G Il primo Novecento e il periodo tra le
due guerre, di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA
90
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osservare. A proposito di questo Ungaretti disse: <<So che cosa significhi la morte, lo sapevo
anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento
in me, da quel momento la morte. Il dolore è il libro che più amo, il libro che ho scritto negli
anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe di essere impudico. Quel dolore
non finirà più di straziarmi>>40.
Per comprendere meglio la rivoluzione poetica di Ungaretti, analizziamo Il porto sepolto,
componimento appartenente alla prima fase. Il porto sepolto è un componimento in versi
liberi. Ci colpisce la brevità di questo testo e le parole chiave che contiene: V.3 disperde, V. 6
nulla, V. 7 inesauribile segreto. “Il porto sepolto” rappresenta l’essenza della poesia, il suo
mistero nascosto.
Oppure possiamo vedere Mattino, sempre appartenente alla prima fase. Componimento
composto da soli due versi “M’illumino / d’immenso”, rappresenta il momento in cui è
avvenuto il contatto con l’infinito e ci comunica una sensazione di beatitudine, di pienezza di
vita.
Questo componimento si può considerare l’estremizzazione della sperimentazione poetica
di Ungaretti, nella sua ansia di portare al limite qualsiasi semplificazione, con lo scopo di
raggiungere l’assoluto distaccandosi totalmente dalla realtà.
Per il computo delle parole in Ungaretti abbiamo utilizzato il Vocabolario delle
concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca41. In particolare abbiamo
considerato le raccolte Allegria, Sentimento del tempo, Il Dolore, La Terra promessa, Un
grido e Paesaggi, Il Taccuino del Vecchio e altri testi a cui fa riferimento il Dizionario.
La tabella delle frequenze ed il grafico sono i seguenti:
UNGARETTI
1 Notte
2 Occhi
3 Cuore, core
4 Ombra
5 Amore, Luce/i
6 Cielo
7 Terra
8 Mare
9 Tempo
10 Sogno
%
0,402
0,332
0,318
0,278
0,238
0,233
0,223
0,198
0,193
0,188
X 1000
4,02
3,32
3,18
2,78
2,38
2,33
2,23
1,98
1,93
1,88
40
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il periodo tra le
due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA.
41
G. SAVOCA, Vocabolario della Poesia italiana del Novecento – Le concordanze, Zanichelli, Bologna, 1995
91
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FREQUENZE UNGARETTI
10
X 1000
8
6
4,02
4
2
3,32 3,18 2,78
2,38 2,33 2,23 1,98 1,93 1,88
0
Sogno
Tempo
Mare
Terra
Cielo
Amore,
Luce/i
Ombra
Cuore,
core
Occhi
Notte
Alcune parole sono ancora quelle della Tradizione, ma in ordine differente rispetto alla
norma; Amore, per esempio, ricorre al 5° posto con una frequenza del 2,3 x 1000 ed è
superato da Notte e da Ombra. Il termine Bello/a, bellezza non compare tra i primi dieci ed ha
una frequenza dell’1,7 x 1000.
Il processo di scostamento dal lessico petrarchesco – iniziato con Pascoli – procede
ulteriormente. L’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un insieme di 22 lemmi, è
pari a 0,27 il che conferma la nostra tesi.
92
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EUGENIO MONTALE (1896 - 1981)
Rifiutate le soluzioni d’avanguardia, Montale resta fedele ai valori della civiltà letteraria,
allontanandosi dalla disgregazione del suo presente. Non rifiuta l’impiego del verso libero,
ma concede molto spazio e attenzione al metro tradizionale, con la reintroduzione
dell’endecasillabo sciolto. Anche le strofe spesso tendono a disporsi secondo corrispondenze
regolari (per esempio, è frequente l’uso delle quartine). Montale utilizza spesso la rima
(insieme con le rime al mezzo e le assonanze). Il linguaggio aderisce alla scelta
plurilinguistica del poeta, che adotta termini comuni, non disprezzando però l’uso di termini
più elevati.
Le raccolte poetiche che lo resero più famoso, sono: Ossi di seppia, in cui è espressa
l’aridità dell’universo montaliano attraverso una concezione essenziale e scabra di tutto
(paesaggio, momenti esistenziali); Le occasioni, in cui si allude all’accadere di eventi a cui è
attribuita particolare importanza, in quanto potrebbero cambiare il corso uniforme e monotono
dell’esistenza; La bufera e altro, che si riferisce allo sconvolgimento della guerra, che apporta
un accento ancora più tragico e pessimistico nei confronti della storia; Satura, il cui titolo
allude alla <<Satira>> della Letteratura latina (etimologicamente lanx satura = piatto misto di
primizie), in cui sono presenti sempre gli stessi temi delle precedenti raccolte (come il “male
di vivere”), con in più una dura critica al mondo politico coevo.
Dalla prima all’ultima raccolta, Montale è andato complicandosi sempre più, creando alla
fine della sua esperienza poetica, linguaggi, periodi, sintassi e nessi indecifrabili.
Se per Ungaretti si parlava di <<analogia>>, per Montale si può parlare di <<correlativo
oggettivo>>, un’operazione di matrice simbolista in cui la condizione del soggetto è
<<correlata>>, rimanda ad un oggetto. Se per Ungaretti si parlava di <<poesia della parola>>,
ecco che per Montale si parla di <<poesia delle cose>>.
Sono presenti in molte poesie di Montale alcune figure femminili (Annetta, Arletta, Clizia,
Mosca, quest’ultimo nome si riferisce alla moglie Drusilla Tanzi); esse sono figure spesso
enigmatiche e rappresentano la sua esile speranza di approdare una qualche sicurezza.
La casa dei doganieri, un componimento composto da quattro strofe (rispettivamente di
cinque, sei, cinque e sei versi) di versi talora endecasillabi (ma più spesso superano tale
misura, risultando composti dall’unione di due versi più brevi) appartenente alla raccolta Ossi
di seppia. Come hanno interpretato Giorgio Barberi Squarotti e Stefano Jacomuzzi, l’angoscia
della memoria che a poco a poco cede, col trascorrere del tempo, le sue immagini, e si
annebbia, si perde, è qui vista nel contrasto doloroso fra il poeta che ancora coltiva in sé il
ricordo della persona amata, dei luoghi degli incontri di un tempo, e la dimenticanza che,
invece, ha oramai cancellato in lei ogni traccia del passato. Solo il poeta è legato all’ambiente,
al luogo - la casa dei doganieri - dove furono trascorse le ore felici ( il tuo riso): ora che le
cose sono cambiate, il paesaggio è squallido, triste, le vecchie mura sono sferzate dal vento,
non c’è più sicurezza (la bussola va impazzita all’avventura), fiducia nel futuro (il calcolo dei
dadi più non torna), la persona amata è lontana, è inutile tentare di richiamarla alla memoria
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del passato lieto, il tempo è trascorso, nuove esperienze (altro tempo) hanno distrutto in lei
ogni ricordo. Eppure forse quel legame d’amore poteva essere la salvezza per entrambi dalla
rovina, dal male del mondo: ancora lo avverte il poeta, mentre con arida disperazione constata
la dimenticanza della donna e la propria incertezza di fronte agli eventi. 42
Per la nostra ricerca abbiamo analizzato le raccolte Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera
e altro, Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altre poesie, servendoci
del Vocabolario delle concordanze della poesia del Novecento di Giuseppe Savoca 43.
Linguisticamente, come si è detto, Montale adotta una soluzione di <<compromesso>>, in
quanto non rompe definitivamente con la Tradizione e non accetta del tutto il nuovo
linguaggio della lirica. Le parole da lui usate sono comunque molto lontane da quelle
“canoniche” della Letteratura tradizionale. In Montale si possono notare, infatti, bassissime
frequenze in tutti i lemmi, sia elevati che popolari. È un fatto decisamente degno di nota che
due tra le tipiche parole del lessico amoroso: amore, bello/a non compaiano tra le prime dieci;
inoltre anche le altre presenti hanno frequenze bassissime, talora inferiori all1 x 1000; ad
esempio, cuore ha una frequenza dello 0,97 x 1000, mare dello 0,88 x 1000, occhi dell’1,07 x
1000; amore e bello/a addirittura sono fermi allo 0,4 x 1000!
Ecco la tabella delle frequenze ed il relativo grafico
%
MONTALE
1 Vita
2 Tempo
3 Occhi
4 Ombra
5 Luce/i
6 Cielo
7 Cuore, core
8 Acqua
9 Mare
10 Terra
X 1000
0,24
0,22
0,11
0,11
0,10
0,10
0,10
0,09
0,09
0,07
2,40
2,21
1,07
1,06
1,05
1,03
0,97
0,94
0,88
0,72
FREQUENZE MONTALE
10,0
X 1000
8,0
6,0
4,0
2,40 2,21
2,0
1,07 1,06 1,05 1,03 0,97 0,94 0,88 0,72
0,0
Terra
Mare
Acqua
Cuore,
core
Cielo
Luce/i
Ombra
Occhi
Tempo
Vita
È interessante notare l’indice di correlazione r con Petrarca, calcolato su un totale di 22
termini; esso è pari a 0,097 e cioè il valore più basso fin qui trovato! Siamo ormai
42
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G., Il primo Novecento e il periodo tra
le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA
43
G. SAVOCA, Op. cit.
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definitivamente fuori dalla Tradizione arcaizzante e siamo, a tutti gli effetti, entrati nel grande
Mondo del Novecento.
Un esame comparato dei vari grafici ci mostra che la mutazione del linguaggio della lirica
d’amore, iniziata dopo Carducci, ha proseguito con gli altri poeti ed ha riguardato, da una
parte, la progressiva diminuzione dell’indice di correlazione del lessico usato con quello di
Petrarca, da sempre modello insostituibile della lirica d’amore italiana; dall’altra parte
l’incremento del numero delle parole usate in poesia, l’ampiamento del registro linguistico,
del lessico poetico e il conseguente abbassamento delle percentuali di frequenza dei termini.
Riguardo il primo aspetto possiamo prendere l’indice di correlazione r del lessico di Pascoli,
D’Annunzio, Gozzano, Ungaretti, Montale, rispetto a quello di Petrarca e costruire un grafico
che parte da Petrarca per arrivare a Montale. Si può notare un progressivo decremento del
coefficiente di correlazione, che arriva a valori minimi con Montale. Il grafico risulta essere il
seguente:
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE r RISPETTO A PETRARCA
1,0
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0,0
Montale
Ungaretti
D'Annunzio
Gozzano
Pascoli
Carducci
Leopardi
Romantici
Neoclassici
Arcadia
Antimarinisti
Marinisti
Petrarchisti
Poeti del 1400
PETRARCA
Sull’abbassamento della frequenza dei termini, pur non essendoci una tendenza
particolarmente lineare, possiamo, in linea di massima, notare un progressivo calo della
frequenza massima attribuita ai termini.
Ad esempio, nei Siciliani il termine più frequente (amore) ha una frequenza del 14,4 x
1000, mentre in D’Annunzio la frequenza più alta che concerne il termine acqua è pari al 3,0
x 1000. Possiamo, anche in questo caso, costruire un grafico sulle frequenze massime, almeno
per gli autori e le correnti più importanti:
95
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16
14
12
10
8
6
4
2
0
14,4
11,8
7,1
8,8
6,1 5,8 4,8
4,1 4,8 3,5 4,8 3,0 4,0 2,4
Montale
Ungaretti
D'Annunzio
Gozzano
Pascoli
Carducci
Romanticismo
Arcadia
Marinisti
Petrarca
Dante
Stilnovisti
Toscani
Siciliani
Massimo valore riscontrato in un
termine (x 1000)
FREQUENZE MASSIME DEI TERMINI USATI
È possibile notare il progressivo – anche se non sempre lineare – abbassamento della
frequenza massima misurata, il che fa desumere che il numero di parole usate e la loro gamma
si è notevolmente ampliato.
Ciò ha portato ovviamente ad un tipo di linguaggio che si è progressivamente sganciato dai
modelli della Tradizione e si è progressivamente arricchito di nuovi termini, ivi compresi
quelli del lessico quotidiano.
La Poesia, nata con un proprio codice e caratterizzata, anche in senso linguistico, da un
proprio linguaggio, si è sempre più omologata alla Prosa, dalla quale non si distingue neanche
linguisticamente, poiché della Prosa ha assunto espressioni, termini e immagini, che ne fanno
un genere non più a se stante e non più settoriale e specifico.
Anche questa – nel bene o nel male – è una caratteristica del Novecento!
96
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APPENDICE
UMBERTO SABA (La linea antinovecentesca)
Nel panorama del Novecento Umberto Saba (1883 – 1957) occupa un posto tutto
particolare. La sua lirica, infatti, non segue le caratteristiche della poesia novecentesca, fin qui
esaminata, e si sviluppa secondo una linea, che sembra richiamarsi ai Classici, da Petrarca a
Leopardi; per questo i critici l’hanno chiamata antinovecentesca.
L’antinovecentismo di Saba riguarda sia le tematiche, sia il linguaggio, che si rifanno a
quelli tradizionali.
L’opera organica che raccoglie tutte le poesie di Saba è il Canzoniere (prima edizione del
1921; seconda edizione, molto accresciuta, nel 1945; edizione definitiva che accoglie l’intera
produzione poetica di Montale è quella postuma del 1961). La critica rivolse una misera
accoglienza a quest’opera; per questo motivo Saba si fece interprete di se stesso, scrivendo
Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), ricca di interessanti osservazioni umane e
poetiche.
La crisi della parola, che coinvolge la poesia novecentesca, è estranea a Saba, in quanto il
linguaggio che utilizza nelle sue poesie è familiare, casalingo. Insieme a questo registro
linguistico, il poeta riporta anche quello della tradizione letteraria, ma non con lo scopo di
elevare a toni alti ed aulici la sua poesia.
Per Saba la parola è “parola che nomina”, non che evoca: la struttura sintattica è infatti ben
definita e articolata.
La metrica e l’uso delle rime aderiscono alla tradizione, per questo sono abbastanza lineari
e semplici, al contrario di alcuni costrutti “avanguardistici” di difficile comprensione. Pur
pulsando nel cuore del Novecento, la sua poesia è stata definita come espressione di una linea
antinovecentista, in quanto rifiuta le più vistose e spericolate innovazioni della ricerca poetica
del proprio tempo.
Nel suo modo di fare poesia Saba, dopo aver indugiato sulle cose, le eleva a simbolo più
generale di una condizione dell’uomo e della vita. Come ha scritto Mengaldo, Saba coglie
<<il senso del dispiegarsi dell’esperienza individuale come ripetizione di un’esperienza già
vissuta, individualmente nel proprio passato, archetipicamente nella vicenda dell’uomo di
sempre>>44.
In Amai Saba ha affermato: <<Amo la verità che giace in fondo>>. Il suo <<realismo>>
poetico non si ferma mai alle apparenze superficiali, ma cerca i sensi profondi delle cose. E’
una ricerca che non si arresta di fronte al <<negativo>> dell’esperienza, anche a costo di
metterne a nudo gli aspetti più scomodi e sgradevoli.
44
- 3 : le citazioni sono tratte da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G, Il primo Novecento e il
periodo tra le due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA
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Per quanto riguarda il Canzoniere, leggiamo qualche parola di Saba: <<Il Canzoniere è il
libro di poesia più facile e più difficile di quanti sono usciti nella prima metà di questo secolo
(…)>>45. Saba riconosce una certa interdipendenza fra le singole parti della sua opera; una
continuità che non può essere spezzata senza danno dell’insieme; che tutto insomma nel
Canzoniere, il bene e il male, si tiene, e che spesse volte quel bene è condizionato - magari
illuminato - da quel male (…). Il Canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a
dire il “romanzo”, e ad aggiungere, se si vuole, “psicologico”) di una vita, povera
(relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze
interne.
A mia moglie, componimento il cui verso prevalente è il settenario, cui si aggiungono
alcuni endecasillabi e due quinari, fa parte della sezione Casa e campagna, che comprende sei
poesie scritte nel 1909 - 1910.
L’immagine femminile riprodotta in questo componimento è del tutto rivoluzionaria
nell’ambito della tradizione della lirica italiana, dove la donna, persino in Montale, è vista
come un elemento salvifico, che ha subito un processo di idealizzazione e cristallizzazione.. Il
poeta paragona la moglie alle femmine di numerosi animali. Mario Lavagetto ha così
collegato la struttura del componimento al suo significato: <<La struttura, semplicissima, può
far pensare (dietro suggerimento di Saba) ad una litania fondata su strofe di alterna lunghezza
che determinano la successiva, quasi araldica, iscrizione di una femmina animale. ‘Alterna
lunghezza’: perché Saba si preoccupa di evitare scrupolosamente ogni possibile simmetria che
è ( dirà molto più tardi Sravinskij) la forma morta e scolastica del parallelismo; ‘femmine
animali’: tutte (…) proprio perché il parallelismo sintattico della struttura finisce per agire, su
un altro piano, con un tassativo effetto semantico - simbolico. La pollastra, la giovenca, la
cagna, la coniglia, la rondine, la formica e la pecchia, tutte / le femmine di tutti / i sereni
animali / che avvicinano a Dio, si sgranano davanti a noi, come se fossero accompagnate dal
passaggio lento, liturgico e calcolato, dei grani di un rosario, realizzando la mutevole identità
di Lina, proiettandola e fissandola in un paradigma fortemente marcato, intorno a cui si
avvolge - con raggio ineguale - il secondo termine di similitudini ripetute. Proprio il
moltiplicarsi delle similitudini fa di Lina, in questa poesia, una figura insieme mitologica e
indefinita: la coinvolge (con un’ alternanza di versi imparisillabi rimati irregolarmente) in una
serie di immagini affini e divergenti, circoscritte, accumulate in sequenza>> 46.
Di Saba abbiamo analizzato, sempre con il Dizionario del Savoca47, il Canzoniere. Dal
punto di vista del linguaggio Saba appare più tradizionale degli altri poeti del Novecento,
poiché non elimina del tutto le parole del lessico amoroso, tenendo fede a quella che è stata
definita <<la linea antinovecentesca>>. Per questo ricompaiono ai primi posti, anche se con
frequenze decisamente basse, le parole cuore (4 x 1000), bello/a (3,7 x 1000), occhi (2,6 x
1000) e amore (2,4 x 1000).
Ecco la tebella delle frequenze ed il grafico:
46
La citazione è tratta da “Dal testo alla storia dalla storia al testo”, Vol. G; Il primo Novecento e il periodo tra le
due guerre. Di G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. PARAVIA
47
G. SAVOCA, Op. cit.
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%
SABA
1 Cuore, core
2 Bello/a, bellezza
3 Vita
4 Occhi
5 Amore
6 Dolce(zza)
7 Mare
8 Sogno
9 Cielo
10 Notte
X 1000
0,3987
0,3707
0,3073
0,2616
0,2438
0,2209
0,1981
0,1651
0,1422
0,132
4,0
3,7
3,1
2,6
2,4
2,2
2,0
1,7
1,4
1,3
2,4
2,2
2,0
1,7
1,4
1,3
Cielo
Notte
Vita
Bello/a,
bellezza
Cuore,
core
2,6
Sogno
3,1
Mare
3,7
Dolce(zza)
4,0
Amore
10,0
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0
Occhi
X 1000
FREQUENZE SABA
Se calcoliamo l’indice di correlazione r rispetto a Petrarca, scopriamo che esso è uguale a
0,72 un valore che si riscontra nei poeti della Tradizione, che precedono addirittura Carducci!
Tutto ciò conferma quanto detto, e cioè la singolarità dell’esperienza del poeta triestino,
che si colloca in una sua personale ed atipica linea nel variegato e multiforme panorama della
lirica italiana contemporanea.
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BIBLIOGRAFIA
1. A.E.Quaglio “Le origini e la Scuola siciliana”
A. E. Quaglio “I poeti siculo – toscani”
2. “Antologia della letteratura italiana” M.Pazzaglia, Zanichelli
3. “Il sistema letterario” Guglielmino/Grosser, Principato
4. Sapegno “Disegno storico della letteratura italiana” Firenze 1973
5. G. Contini “Varianti e altra linguistica”, Einaudi, Torino 1970.
6. G.Contini “Letteratura italiana delle origini”, Firenze 1970
7. U. Bosco, “Francesco Petrarca”, Laterza; Roma – Bari 1977
8. E. Bigi è tratta dalla voce Poliziano del Dizionario critico della letteratura italiana,
UTET, Torino 1986, p.384
9. “Prose e rime”, a c. di C. Dionisotti, UTET, Torino 1960.
10. ”La scrittura e l’interpretazione” di R. Luperini, P. Cataldi e L. Marchiani
11. BALDI, GIUSSO, RAZZETTI, ZACCARIA “Dal testo alla Storia dalla Storia al testo”
PARAVIA
12. “Il seicento. La nuova scienza e la crisi del barocco” di Alberto Asor Rosa, Editori
Laterza.
13. “La letteratura italiana storia e testi. Il Seicento. La nuova scienza e la crisi del Barocco”
Carlo Muscetta, Alberto Asor Rosa
14. “Antologia della letteratura italiana” Volume secondo, Mario Pazzaglia.
15. “L’attività letteraria in Italia. Storia della letteratura italiana” Giuseppe Petronio,
PALUMBO.
16. “Gabriele D’Anunzio, Alcyone” a cura di Federico Roncoroni, I edizione Oscar
Mondadori gennaio 1982
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INDICE
INTRODUZIONE............................................................................................................................................2
PARTE PRIMA (DAI SICILIANI A PETRARCA) .....................................................................................3
LE POESIE DEI SICILIANI..........................................................................................................................3
1.1 COMPONIMENTI METRICI .....................................................................................................................3
1.2 TIPO DI SINTASSI .....................................................................................................................................5
1.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ..........................................................................................................6
1.4 PAROLE ADOPERATE .............................................................................................................................7
LE POESIE DEI RIMATORI TOSCANI DI TRANSIZIONE .................................................................11
2.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 11
2.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 12
2.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................13
2.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................14
LE POESIE DEL DOLCE STIL NOVO .....................................................................................................16
3.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 16
3.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 17
3.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................19
3.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................20
LA POESIA DI DANTE (LE RIME) ........................................................................................................... 25
4.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 25
4.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 26
4.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................27
4.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................28
LA POESIA DI FRANCESCO PETRARCA (CANZONIERE) ...............................................................29
5.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 29
5.2 TIPO DI SINTASSI ................................................................................................................................... 29
5.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE .....................................................................................................30
5.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................32
CONCLUSIONI ..............................................................................................................................................33
PARTE SECONDA ....................................................................................................................................... 35
LA LIRICA D’AMORE DEL 1400 ..............................................................................................................35
6.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 35
6.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI ................................................................................................36
6.3 METAFORE ED IMMAGINI USATE .....................................................................................................36
6.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................38
IL PETRARCHISMO ................................................................................................................................... 40
7.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 40
7.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI ................................................................................................41
7.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................42
7.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................42
IL MARINISMO............................................................................................................................................44
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8.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 44
8.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI ................................................................................................44
8.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................45
8.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................46
IL CLASSICISMO BAROCCO ................................................................................................................... 48
9.1 COMPONIMENTI METRICI ................................................................................................................... 48
9.2 TIPO DI LINGUAGIO E DI SINTASSI ................................................................................................... 49
9.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ........................................................................................................50
9.4 PAROLE ADOPERATE ...........................................................................................................................50
L’ARCADIA................................................................................................................................................... 52
10.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................52
10.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 53
10.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................54
10.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................55
IL NEOCLASSICISMO................................................................................................................................56
11.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................56
11.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 57
11.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................57
11.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................58
IL ROMANTICISMO ................................................................................................................................... 61
12.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................61
12.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 61
12.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................62
12.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................62
L’ESPERIENZA CLASSICISTA LEOPARDIANA ..................................................................................65
13.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................65
13.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 66
13.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................67
13.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................69
L’ESPERIENZA CLASSICISTA CARDUCCIANA .................................................................................70
14.1 COMPONIMENTI METRICI .................................................................................................................70
14.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 71
14.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................72
14.4 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................74
PARTE TERZA (IL NOVECENTO)........................................................................................................... 77
GIOVANNI PASCOLI ..................................................................................................................................78
15.1 FORME METRICHE .............................................................................................................................. 78
15.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 79
15.3 METAFORE E IMMAGINI USATE ......................................................................................................80
15.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE ........................................................................................................... 80
15.5 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................81
GABRIELE D’ANNUNZIO..........................................................................................................................83
16.1 FORME METRICHE .............................................................................................................................. 83
16.2 TIPO DI LINGUAGGIO E DI SINTASSI .............................................................................................. 84
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16.3 METAFORE E IMAGINI USATE..........................................................................................................85
16.4 INTERPRETAZIONI CRITICHE ........................................................................................................... 85
16.5 PAROLE ADOPERATE .........................................................................................................................86
GUIDO GOZZANO (1883 - 1916)................................................................................................................88
GIUSEPPE UNGARETTI (1888 - 1970)......................................................................................................90
EUGENIO MONTALE (1896 - 1981) ..........................................................................................................93
APPENDICE ..................................................................................................................................................97
UMBERTO SABA (LA LINEA ANTINOVECENTESCA)....................................................................... 97
BIBLIOGRAFIA..........................................................................................................................................100
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Questa ricerca é stata svolta dall’alunna Chiara Tondani ed é il risultato degli studi sul
Linguaggio della lirica d’amore italiana, da lei compiuti nel corso del Triennio 1999/00,
2000/01, 2001/02 sotto la mia guida.
Pontremoli, 25/5/2002
L’alunna
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Visto: l’insegnante
(Prof. Davide Grassi)
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STAMPATO IN PONTREMOLI
PRESSO IL LICEO LINGUISTICO – MAGGIO 2002
PRO MANUSCRIPTO
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