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Rassegna Stampa 21/12/2005 : Notizie di oggi Arena, L' ● ● Denaro, Il ● ● ● FT.com ● ● Guardian, The Independent, The ● ● ● Milano Finanza (MF) Repubblica, La ● ● ● ● ● Secolo XIX, Il Sole 24 Ore, Il ● ● A gennaio ripartono le pensioni Oggi la Camera vota la Finanziaria che con il maxi emendamento ha raggiunto quota 27,6 miliardi Berlusconi: Pensioni, vogliamo portare le minime da 516 a 800 euro Confronto esuberi, no a deroga previdenziale La tredicesima non basta per le spese Norway's pension ruling opens new market Workers face more pensions closures Rentokil scraps final salary pensions and unions fear other firms will follow Michael Harrison's Outlook: Ratting on a pension promise could become the norm, even for the biggest companies Unions attack 'vermin' at Rentokil L'etica nella finanza e la trasparenza nei mercati Risparmiatori in fuga da piazza Affari metà degli italiani non risparmia più - luisa grion rentokil manda in pensione i piani previdenziali hugo dixon via alla manovra da 27,5 miliardi costruzioni turistiche sulle spiagge - roberto petrini Anche le pensioni dei dipendenti sparite nel "buco" del Carlo Felice Mezza Italia non risparmia più Stampa, La ● ● Times Online ● ● Do you want your Euroallarme per la previdenza Senza riforma si rischia il crac Italiani sfiduciati e poveri Uno su due non risparmia Q&A: Final salary pensions Union fury as Rentokil directors escape pension hit PRESSToday ? La soluzione per le tue rassegne stampa on-line: www.presstoday.com Rassegna stampa A gennaio ripartono le pensioni Arena, L' 21/12/2005 Martedì 20 Dicembre 2005 Scadenza molto attesa, soprattutto da chi era rimasto escluso dalle due tornate precedenti perché aveva meno di 57 anni A gennaio ripartono le pensioni Si apre a inizio mese la prima finestra 2006. Domande entro il 31 dicembre A gennaio ripartono le pensioni di anzianità. La prima finestra del 2006 è particolarmente attesa da coloro che sono rimasti al palo nelle due tornate precedenti, perché avevano meno di 57 anni. Si tratta in particolare di quanti hanno già maturato il diritto a luglio e ottobre 2005 con la sola anzianità contributiva o con le qualifiche di operaio e precoce. Dal 1° gennaio arriva anche per loro il sospirato via libera, sempreché ne vogliano approfittare. Nel settore privato il famoso bonus ha fortemente rallentato la corsa verso il pensionamento anticipato. C’è da presumere, quindi, che anche nel 2006 l’esercito dei pensionati di anzianità farà nuove reclute soprattutto tra i lavoratori autonomi e i dipendenti pubblici. nREQUISITI E FINESTRE - Il giro di vite impresso dalla riforma Maroni ai trattamenti anticipati non tocca coloro che fino al 31 dicembre 2007 maturano il diritto con le vecchie regole. In questi due anni non ci saranno, quindi, modifiche agli attuali limiti di età (57 anni per i dipendenti, 58 per gli autonomi) nè al calendario delle uscite che nel corso dell’anno resteranno quattro: gennaio, aprile, luglio e ottobre. Nè le finestre cambieranno per coloro che, raggiungendo i requisiti di età e di contribuzione entro il 2007, decidono di andare in pensione negli anni successivi. Ma torniamo all’uscita di gennaio per vedere a quali condizioni si può salutare il nuovo anno da pensionati. LAVORATORI DIPENDENTI - Ormai non ci sono più differenze tra dipendenti pubblici e privati. Entrambe le categorie guadagnano a gennaio l’uscita con la pensione di anzianità se entro il 30 settembre 2005 possono far valere 35 anni di versamenti e 57 anni di età. La carta di identità non conta, nel senso che possono lasciare il lavoro qualsiasi età, se alla stessa data (30 settembre 2005) hanno maturato almeno 38 anni di contribuzione. È il caso di ricordare che le finestre di gennaio e aprile 2006 sono le ultime uscite agevolate per operai e precoci che possono far valere i requisiti richiesti (56 anni di età e 35 di contributi) rispettivamente entro il 30 settembre e il 31 dicembre 2005. Mentre chi raggiunge la fatidica soglia dei 35 anni di versamenti dal 2006 in poi non potrà più contare su una riduzione dell’età minima per l’uscita anticipata, nel senso che per mettersi in pensione devono avere come i dipendenti comuni almeno 57 anni di età. LAVORATORI AUTONOMI - Le differenze rispetto ai lavoratori dipendenti riguardano essenzialmente tre aspetti: a) l’età minima che è più alta di un anno (58 anzichè 57 anni) per chi matura il diritto con 35 anni di contributi; b) le finestre ritardate di 6 mesi rispetto a quelle dei dipendenti; c) l’uscita con la sola anzianità contributiva, possibile solo se si hanno 40 anni di versamenti. Artigiani, commercianti e coltivatori diretti si trovano perciò in una posizione meno vantaggiosa. Ma in compenso possono ottenere la pensione di anzianità senza smettere di lavorare mentre i dipendenti sono obbligati a lasciare il posto di lavoro. DOMANDE ENTRO DICEMBRE - Per far scattare il diritto a pensione dal 1° gennaio, i lavoratori iscritti all’Inps (dipendenti, autonomi, ecc.) devono presentare domanda all’ente di previdenza entro il 31 dicembre. E sempre entro la stessa data i dipendenti privati dovranno dare le dimissioni, condizione essenziale perché la richiesta possa fare il suo corso. La scadenza di fine mese, è bene ricordarlo, rappresenta soltanto una data di partenza dalla quale si può ottenere la pensione di anzianità. Chi pensa di rinviare il pensionamento, magari perché sta valutando i pro e i contro del famoso bonus, non pregiudica in alcun modo i suoi diritti. Può quindi chiedere la pensione in uno qualsiasi dei mesi successivi, senza essere obbligato a rispettare i requisiti di età e di contribuzione richiesti per le finestre successive. Rassegna stampa Oggi la Camera vota la Finanziaria che con il maxi emendamento ha raggiunto quota 27,6 miliardi Arena, L' 21/12/2005 Martedì 20 Dicembre 2005 Oggi la Camera vota la Finanziaria che con il maxi emendamento ha raggiunto quota 27,6 miliardi Manovra, traguardo in vista Duello Mediaset-Sky sugli incentivi per favorire il digitale terrestre Roma. La Finanziaria entra in dirittura d’arrivo tra le polemiche sul digitale terrestre. Ad accendere lo scontro tra Mediaset e Sky il presunto conflitto di interesse relativo agli incentivi all’acquisto delle apparecchiature distribuite dalla Solaris.com, insieme ad altre 47 società italiane, nella cui proprietà spicca anche il fratello del premier, Paolo Berlusconi. «Finanziare l’acquisto dei decoder lede gravemente la competitività del mercato a vantaggio esclusivo di alcuni operatori» è l’accusa che è stata rilanciata ieri dal responsabile comunicazione di Sky Italia, Tullio Camiglieri. Immediata la replica del direttore della divisione affari legali di Mediaset, Gina Nieri. «È doveroso che il governo si ponga il problema che la tv di tutti sia trattata in forma diversa rispetto alle altre piattaforme che, guarda caso, sono tutte a pagamento». Nieri ha anche sottolineato che la Solaris.com rappresenta meno del 2% della commercializzazione totale. Oggi intanto l’Aula della Camera voterà il testo che ha recepito il maxi-emendamento del governo dopo l’esame degli ordini del giorno compiuto nella seduta di ieri. Per ottenere l’approvazione definitiva del provvedimento resta da compiere l’ultimo passaggio in Senato dove il voto è atteso tra giovedì e venerdì. E dove il governo potrebbe richiedere ancora una volta la fiducia. Il testo, composto di un unico articolo suddiviso in 600 commi, ha raggiunto quota 27,6 miliardi di euro tra correzione del deficit, pacchetto-famiglia e sviluppo e spese incomprimibili. A far lievitare l’entità il gettito atteso dalla programmazione fiscale (2 miliardi di euro), la nuova imposta del 12,5 sulle plusvalenze immobiliari (500 milioni di euro) e il risparmio per lo slittamento al 2008 della riforma del Tfr (circa 400 milioni di euro). Un’iniezione di risorse, sollecitata dall’Unione Europea, che consentirà di ridurre il deficit-pil al 3,8% nel 2006. La linea imposta dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti tiene malgrado il disappunto di alcuni colleghi. Rocco Buttiglione (Beni Culturali) è tornato a denunciare la riduzione del fondo unico per lo Spettacolo. «Dobbiamo fare al più presto un piano per capire come gestire questa fase di difficoltà» ha avvertito dopo l’ultimo taglio di 20 milioni di euro. Resta invece in sospeso il condono previdenziale per i lavoratori agricoli. Dopo il pressing del ministro delle Politiche Agricole, Gianni Alemanno, potrebbe essere recepito nel decreto «milleproroghe» di fine anno. Tra le novità che hanno fatto più discutere si segnala il concordato triennale 2005-2007 con adeguamento per il 2003-2004, la norma che autorizza la realizzazione di alberghi di lusso sulle spiagge e la sanatoria per chi ha provocato un danno erariale con illeciti contabili che è stata contestata dalla Corte dei Conti. Rassegna stampa Berlusconi: Pensioni, vogliamo portare le minime da 516 a 800 euro Denaro, Il 21/12/2005 Italia Berlusconi: Pensioni, vogliamo portare le minime da 516 a 800 euro "E' intenzione del Governo impegnarsi a portare queste pensioni a 800 euro". Lo afferma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, annunciando a Porta a Porta l'intenzione di aumentare le pensioni minime che il Governo già eleva a 516 euro al mese. 20-12-2005 Rassegna stampa Confronto esuberi, no a deroga previdenziale Denaro, Il 21/12/2005 Italia gruppo fiat Confronto esuberi, no a deroga previdenziale Da oggi si cercherà una soluzione sui dipendenti in esubero alla Fiat, ma sarà esclusa la possibilità di un provvedimento di mobilità lunga che preveda una deroga alla riforma della previdenza con un pensionamento anticipato dopo il 2008 per quei lavoratori che hanno meno di sessant'anni. Nell'incontro di ieri tra il ministro del Welfare, Roberto Maroni, e una delegazione dell'azienda guidata dall'amministratore del gruppo, Sergio Marchionne, si decide di aprire un confronto in sede tecnica a partire da oggi per trovare una soluzione sui lavoratori in esubero. Ma il ministro, se dà in linea di massima disponibilità a un provvedimento sulla mobilità lunga, annuncia che tramonta la prospettiva di una deroga alla riforma delle pensioni per i lavoratori in esubero. 20-12-2005 Rassegna stampa La tredicesima non basta per le spese Denaro, Il 21/12/2005 Commercio & Logistica natale La tredicesima non basta per le spese di Luigi D'Alessandro Gli acquisti di questo Natale hanno risentito del tono generale non brillante che sta interessando la nostra economia. Le retribuzioni da lavoro dipendente e i trattamenti pensionistici hanno teoricamente migliorato in questi ultimi anni il proprio potere d'acquisto. Sono cresciuti più dell'inflazione, ma le famiglie risultano gravate da un livello troppo elevato delle spese "incomprimibili" (affitti, mutui immobiliari, credito al consumo, utenze domestiche, spese per servizi di trasporto e carburanti, per citare i più significativi). Si tratta di vincoli che ne abbassano drasticamente la capacità di spesa per beni durevoli e non durevoli, che rappresentano la struttura portante nella crescita dei consumi e, quindi, della domanda interna. *** AIl mese di dicembre, tradizionalmente, offre agli oltre 18 milioni di famiglie, che vive di reddito da lavoro dipendente e di pensione (pari a più del 76 per cento dei quasi 23,7 milioni totali) la possibilità di un reddito aggiuntivo rappresentato dalla "tredicesima", che determina una sorta di picco stagionale nella spesa e quindi nei consumi. E questo proprio perché ragionevolmente una parte degli acquisti vengono rinviati alla fine dell'anno e realizzati attraverso questo maggior reddito disponibile. Per il prossimo Natale le famiglie disporranno, grazie alla "tredicesima", di quasi 46 miliardi di euro (il 3,1 per cento in più del 2004), dei quali quasi 41 miliardi dovrebbero essere destinati al consumo finale. Solo una piccola parte di questo ammontare, tuttavia, e cioè circa 10,5 miliardi di euro, viene destinata agli acquisti presso la rete della distribuzione commerciale, con una flessione di circa l'1,1 per cento rispetto al 2004, quando la "fetta" destinata ai negozi risultò più elevata di oltre 115 milioni di euro. Nell'insieme, l'"effetto Natale" in termini di maggiori acquisti complessivi nei negozi, raggiungerà a feste concluse un livello pari a poco meno di 13,8 miliardi di euro, poiché si deve considerare la più consistente propensione al consumo anche delle famiglie con redditi da lavoro autonomo e attività professionali. In pratica, ai circa 10,5 miliardi di euro che si prevede verranno spesi da dirigenti, impiegati, operai e pensionati, si devono aggiungere altri 3,3 miliardi circa di autonomi e professionisti. Ma sarà pur sempre un "effetto Natale" meno ricco del 2004 (-1,5 per cento), con una flessione di quasi 210 milioni di euro. La stima delle spese natalizie presso negozi, grandi superfici distributive e centri commerciali, è basata sull'indagine Istat delle vendite del commercio al dettaglio in sede fissa, e indica appunto in quasi 13,8 miliardi di euro i maggiori consumi di beni, alimentari e non, che le famiglie effettueranno in tutto il periodo festivo, rispetto alla media degli altri mesi dell'anno. Rapportando questo ammontare al numero di famiglie, ogni famiglia italiana (ovviamente si tratta di dati medi, con tutte le cautele che ciò comporta) spenderà nel mese di dicembre 2005 meno di 1.860 euro per l'acquisto di soli beni presso la rete distributiva, con una maggiore disponibilità di oltre 580 euro rispetto alla sua spesa media in qualunque altro mese dell'anno. Non bisogna dimenticare le incognite legate al rinnovo di molti contratti, alle situazioni di crisi di alcune aziende e di disagio economico per alcune fasce di cittadini (pensionati, disoccupati, immigrati). Probabilmente, quindi, sulle intenzioni di spesa peseranno in modo determinante le politiche di prezzo delle imprese commerciali, che dovranno in qualche modo stimolare e rivitalizzare una domanda in torpore. Da non trascurare, infine, che una quota crescente delle tredicesime potrebbe essere destinata al pagamento degli onerosi tassi bancari, sui prestiti per credito al consumo superiori ad 1 anno e sui prestiti a medio/lungo termine per l'acquisto di abitazioni. Gli andamenti generali riscontrati negli anni più recenti nel mese di dicembre a livello nazionale se pure risultano sostanzialmente diffusi sul territorio presentano alcune differenze imputabili sia ai diversi livelli di reddito delle singole ripartizioni ed al loro andamento, sia alle diverse tradizioni locali che svolgono un ruolo non secondario nelle abitudini di acquisto delle famiglie in questo particolare momento. A livello generale dei poco meno del 13,8 miliardi di spesa aggiuntiva stimati per il mese di dicembre 2005 circa 7,2 (pari al 51 per cento) sono imputabili alle regioni del nord, circa 3,0 (il 22 per cento ) alle regioni centrali e 3,6 (il 27 per cento) al sud e alle isole. Per quanto concerne il Natale 2005 la tendenza delle famiglie a ridurre la spesa destinata a consumi di beni anche nel corso delle festività di fine anno (dai 1.895 euro a famiglia di dicembre 2004 ai 1.855 stimati per quest'anno) sembra coinvolgere tutto il territorio nazionale, anche se con differenze tra le ripartizioni. In particolare il calo più sensibile dovrebbe interessare le regioni meridionali dove la spesa media delle famiglie del mese di dicembre dovrebbe passare dai 1.720 euro del 2004 ai 1.662 stimati per l'anno in corso, meno sensibile dovrebbe risultare la riduzione nelle regioni del centro dove la spesa media mensile delle famiglie nell'ultimo mese dell'anno dovrebbe passare dai 1.882 euro del 2004 ai 1.866 del 2005. Le differenze che già emergono a livello di spesa totale per i beni risultano ancora più evidenti se si considerano i diversi aggregati di beni alimentari e non alimentari. Sulla base di questa articolazione emergono, infatti, in misura più sensibile i diversi comportamenti di consumo da parte delle famiglie sul territorio. Relativamente agli alimentari dei poco meno dei 5,5 miliardi di euro stimati come spesa nel mese di dicembre del 2005 circa 2,5 (pari al 46 per cento) sono da ricondursi alle famiglie residenti nel nord, poco più di 1,1 (il 21 per cento) a quelle del centro e 1,8 (circa il 34 per cento) a quelle residenti nel sud e nelle isole. A livello delle singole famiglie l'attesa riduzione della spesa media sostenuta nel mese di dicembre (dai 775 euro del 2004 ai 765 stimati per il mese in corso) risulta non omogeneamente diffusa sul territorio. L'unica ripartizione nella quale si stima nel dicembre del 2005 un contenuto aumento della spesa per famiglia destinata ai beni alimentari nel mese di dicembre è quella del centro (dai 762 euro a famiglia di dicembre 2004 ai 772 stimati per il 2005), situazione che può in parte essere ricondotta al tentativo di recuperare i valori di consumo registrati in anni precedenti. Per quanto concerne i maggiori acquisti effettuati nel mese di dicembre per i prodotti alimentari si riscontra una tendenza, comune a tutto il quinquennio 2000-2005, delle famiglie residenti nelle regioni del nord-est ad incrementare in misura meno rilevante la spesa rispetto ai comportamenti tenuti negli altri mesi. La spesa per nucleo familiare passa da circa 506 euro a 667 segnalando un "effetto Natale" di circa 161 euro a famiglia. L'incremento più sensibile per questa voce di spesa si riscontra nelle regioni del nord-ovest, nelle quali peraltro questa tendenza si è amplificata negli ultimi anni, dove la spesa nel mese di dicembre passa dai 550 euro a famiglia a circa 810. Ancora più sensibili appaio le differenze territoriali nei comportamenti di acquisto delle famiglie nel mese di dicembre per il complesso dei beni non alimentari. Dei circa 8,3 miliardi di euro di spesa nel mese di dicembre circa 4,6 (pari al 56 per cento del totale) dovrebbero essere imputabili alle famiglie del nord, 1,8 (22 per cento) a quelle del centro ed 1,8 (22 per cento) a quelle del meridione. Per questo segmento dei consumi la tendenza ad una riduzione degli acquisti di ogni singola famiglia nel mese di dicembre 2005 (da 1.120 euro dell'analogo mese dello scorso anno ai 1.090 stimati per il 2005) pur risultando sostanzialmente diffusa sul territorio presenta dimensioni sostanzialmente articolate con una tenuta più evidente nel nord-ovest ed una riduzione più sensibile nel meridione (dai 923 euro a famiglia spesi a dicembre 2004 agli 881 stimati per il 2005. Questa evoluzione si inserisce in un quadro che vede già strutturalmente più debole "l'effetto Natale" sui consumi non alimentari del mezzogiorno area nella quale il valore della spesa per questi beni risulta normalmente più contenuto. A livello generale l'area i cui gli acquisti imputabili al Natale risultano più consistenti è quella relativa alle regioni del nord-est nelle quali la spesa media sostenuta da ogni famiglia passa da 843 euro a 1.273, anche se la ripartizione in cui "l'effetto Natale" gioca un ruolo più rilevante per gli acquisti dei beni non alimentari è quella del centro, in cui la spesa sostenuta mediamente da ogni nucleo familiare per questo gruppo di beni aumenta di oltre il 57 per cento rispetto ai valori registrati normalmente nel corso dell'anno passando da 695 euro a 1.094. 20-12-2005 Rassegna stampa Norway's pension ruling opens new market FT.com 21/12/2005 Norway's pension ruling opens new marketBy Päivi Munter in StockholmPublished: December 20 2005 19:55 | Last updated: December 20 2005 19:55 Norwegian companies will from next year be obliged to contribute to the pensions of all employees after the country's parliament on Tuesday passed a bill on mandatory payments to the king for signing. The new rules, which will from July 1 require companies to pay a minimum of 2 per cent of employees' salaries into privately managed funds, will make Norway one of the first European countries to legislate on employers' mandatory contributions. It will also create a new market for asset management companies, banks and insurance companies, with estimated annual contributions of NKr3bn-NKr4bn ($442m-$590m, 252m336m, €373m-€497m). Employer payments have long been in use in Finland, where employers are legally bound to contribute about 17 per cent of employees' salaries into state-affiliated pension funds. In Norway the money will be managed by private sector asset managers, insurance companies and banks, creating a rush to the new market. "This will definitely mean more business for us," said Anne-Kristine Balzersen of Storebrand, the Norwegian insurer. Jörund Vandvik at Nordea, the Nordic region's biggest bank, said competition would be stiff. "Many of the new entrants will obviously try to price themselves [attractively] to compete in this market," he said. Norway is one of Europe's wealthiest countries, but the ageing of its population will put pressure on its relatively generous state pension system in the future, a prospect the centreleft government is trying to pre-empt. Public sector workers and about half the employees of private businesses are already covered by voluntary schemes provided by their employers. But 500,000-600,000 employees, or about 25 per cent of the Norwegian workforce, have until now relied on the state pension and private savings. Rassegna stampa Workers face more pensions closures FT.com 21/12/2005 Workers face more pensions closuresBy Robert Budden, Personal Finance EditorPublished: December 20 2005 20:52 | Last updated: December 20 2005 20:52 Many more employees who are currently members of final salary pension schemes are likely to see their future entitlements curtailed as other companies follow the example of Rentokil, according to actuaries and lawyers. On Monday the business services group announced that it planned to close its final salary pension to future accrual for existing employees, the first FTSE 100 company to do so. Adrian Waddingham, chairman of the Association of Consulting Actuaries, said he was aware of several other FTSE 100 companies seriously considering shutting their final salary pensions to existing employees. Robin Ellison, pensions lawyer and chairman of the National Association of Pension Funds, said an NAPF survey to be released in the next few weeks will show "there are a substantial number of companies looking at similar action [to Rentokil]". The moves to contain spiralling deficits in final salary pensions have been driven in part by rising life expectancy and lower long-term interest rates. But actuaries said tougher funding requirements and the Pension Protection Fund levy have been the final nails in the coffin for many schemes. However, attempts by companies to close down final salary pensions for existing members could be met with opposition from employees, scheme trustees and trade unions. Derek Simpson, general secretary of Amicus, said: "Only an anti-union company [such as] Rentokil would be able to get away with taking a long pensions holiday, only ending last year, and then move immediately to close its pension scheme to existing members." According to NAPF figures, 7 per cent of final salary schemes were closed to existing members last year, up from 4 per cent the year before. Rassegna stampa Rentokil scraps final salary pensions and unions fear other firms will follow Guardian, The 21/12/2005 Rentokil scraps final salary pensions and unions fear other firms will follow · First FTSE 100 scheme to be closed to current staff · Anger over its four-year contributions holiday Phillip Inman and Rupert Jones Wednesday December 21, 2005 The Guardian Some of Britain's biggest companies moved to stem speculation yesterday that they plan to follow business services group Rentokil Initial and close their final salary pension schemes to current employees. The companies said they were committed to their final salary schemes and would continue to inject money to cover funding deficits rather than close them altogether. Advertising group WPP, online directory, Yell.com, gas exploration firm BG Group and caterer Compass, said figures showing their pension funds suffered a shortfall equal to the deficit at Rentokil would not persuade them to close their schemes. Article continues Their defence followed angry responses from unions and employees to Rentokil's decision, which is the first by a FTSE 100 company and will have the effect of freezing benefits and preventing further accruals on pensions for 3,000 staff. The TUC said it was incensed that such a significant move could be announced without consultation. It said there would be concerns that other employers would follow Rentokil's lead "if it appeared to get away with it". General secretary Brendan Barber said: "Employees in other companies should seek reassurances that their employers do not have similar plans." Mr Barber pointed out that Rentokil enjoyed a pension holiday, where the company did not make any contributions, from 1999 to 2004 at a time when the company was producing 20% profit growth and paying large dividends to shareholders. In 2004 the company contributed £6.8m to plug a deficit of £187m. The deficit rose to £263m by December 2004 and then £286.5m by July 2005. The general secretary of the Amicus union, Derek Simpson, said: "Only an anti-union company like Rentokil would be able to get away with taking a long pensions holiday, only ending last year, and then move immediately to close its pension scheme to existing members ... This is an important lesson to every worker - make sure the company you are employed by recognises trade unions." A report in the summer by the Pensions Institute at Cass Business School predicted several large companies would take the dramatic step of closing their schemes to current employees. It said the cumulative effect of tough pensions regulation, a slump in investment returns and increasing life expectancy would push employers to cap their liabilities and restrict future benefits. Its survey of employers revealed disenchantment with government pensions policy and a determination to avoid further responsibilities that were proving a drag on profits. The report said employers who responded to the study planned to get out of final-salary provisions at the earliest opportunity "to eliminate a business risk over which they feel they have no control and the nature of which has changed fundamentally under new legislation". WPP, Compass, BG and Yell.com appeared on a list showing the FTSE 100 companies with the worst ratio of assets to liabilities on their occupational pension schemes. Actuarial firm Lane Clark & Peacock, which compiled the list, said yesterday the four were among the most vulnerable to further rises in life expectancy or a slowdown in investment returns. It said the Rentokil scheme's assets of £570m represented only 68% of its £833m of liabilities (see table). However, the other four companies had even lower funding ratios. Catering group Compass's scheme assets were 67% of its liabilities, and it was a similar story at BG. For WPP the figure was 66%, but the lowest funding ratio reported in 2004 was Yell's 65%. The owner of Yellow Pages had assets in its scheme of £122m but £189m of liabilities. Jeremy Dell, a partner at Lane Clark & Peacock said other companies would follow Rentokil's example. "There are plenty of companies that are currently going through, or strongly considering going through, this process of closing their defined benefit [final salary] scheme to future accrual," he added, though he declined to name names. Compass - which has been hit by the so-called Jamie Oliver effect and other problems - has put £100m into its pension black hole in the past year. The company, which has seen its deficit increase to £530m from £426m last year, said: "Compass operates a final salary pension scheme in the UK. It is severely restricted to new entrants but there are no current plans to change it. We will continue to monitor best practice in this area." BG Group, unusually, still offers new employees a pension linked to final salary. It has about 1,000 employees in the UK. A spokesman for the company said of its scheme: "Yes, it is final salary, it is open to newcomers, and there are no plans to change that." WPP finance director Paul Richardson said: "This is not an option we are considering." WPP has closed its scheme to new members and in some cases limited its liabilities by capping the level of pension benefits available to retiring staff. Yell.com said it is committed to keeping its scheme open to existing staff after an injection of £17m into the scheme in the last year and £65m next year. Calculators Pension contributions Cash clinics Saving for retirement Retirement housing State benefits Special reports Pensions misselling Pensions in crisis The Sandler Review Related sections Pensions Useful links The Department of Work and Pensions The government's impartial Pension Guide Pensions Ombudsman Association of British Insurers Association of Pension Lawyers The Institute for Fiscal Studies National Association for Pension Funds Pensions Advisory Service Rassegna stampa Michael Harrison's Outlook: Ratting on a pension promise could become the norm, even for the biggest companies Independent, The 21/12/2005 Michael Harrison's Outlook: Ratting on a pension promise could become the norm, even for the biggest companies Regulator enters Stansted dogfight; Cable guys still waiting for the OFT Published: 21 December 2005 The trades unions have depicted Rentokil as a rat leaving the sinking ship of defined-benefit pension provision. In truth, the company looks more like the Pied Piper, for where Rentokil proposes to go, others will be sorely tempted to follow. There are a number of other FTSE 100 companies with unaffordable pension promises, the most obvious of which are British Airways and BAE Systems. No amount of tinkering with contribution levels and size of benefits can easily deal with the changing demographics and economics which now make final salary schemes such an albatross around the necks of many employers. Low interest rates and increased longevity have both made the defined pension promise more expensive to honour, a trend only partially mitigated by the rise in equity markets. Moreover, a big pension deficit has become a regulatory brake on corporate freedom for some companies which can be released only if it is paid down quickly. Against this background, it would be remarkable if more large companies other than Rentokil weren't think of biting the bullet too and closing their schemes, not just to new members but existing ones. The National Association of Pension Funds reckons there are scores of companies weighing up just such a move and, in a survey last month, it discovered that a quarter of respondents were thinking of shutting final salary schemes to new members or halting accruals to existing members. Admittedly, this is a grey area in law and the unions are already threatening to reach for the lawyers to prevent the dam bursting altogether. In some schemes, the trustees might be able to exact a punitively high price for allowing a company to rat on its pension pledge. In other companies, the promise of a final salary pension may be deemed to be a contractual right which an employer is not free to renege on. But the trend is clear. In a few short years the defined benefit pension has become the exception rather than the norm and in a few more years it could begin to resemble gold dust. Those who have one should cherish it while it lasts. For everyone else, the money purchase pension and the prospect of penury in old age looms ever larger. Regulator enters Stansted dogfight Michael O'Leary, the chief executive of Ryanair, has stopped talking to Mike Clasper, his opposite number at BAA, other than to despatch the odd expletive-strewn insult in his direction. The reason for his fury is the "obscene" sums Mr Clasper wants to spend building a second runway at Stansted, which is Ryanair's main base. Even though BAA has slimmed down its cost estimate from an initial £4bn to less than £2bn, at least for the first phase, Mr O'Leary still reckons this amounts to goldplating of Taj Mahal proportions and is damned if he is going to foot the bill for such profligacy. Stansted's second biggest user, the other low-cost carrier easyJet, thinks much the same but has couched its objections in more diplomatic language. The airports regulator, the Civil Aviation Authority, had wanted the two sides to enter "constructive engagement" to agree on the level of landing charges necessary to finance the new runway. With any hope of this now out of the window it has fallen on the CAA to act as honest broker and set out how it thinks the new runway could be funded. Even though Stansted's landing charges are not due to be re-set until 2008, the regulatory wheels grind mighty slow and yesterday the CAA produced its first thoughts on the subject. The regulator has rightly ruled out allowing BAA to finance the runway by levying higher charges on airlines using its other south-east airports. This was BAA's preferred option until it got a foretaste of the fight it would have on its hands with the likes of British Airways and Virgin Atlantic, who are already paying through the nose at Heathrow for Terminal 5. Instead, Stansted should continue to be self-financing, raising the necessary funds for a new runway on a stand-alone basis. For this to happen, charges will have to rise substantially, potentially putting the economic model of the low-cost airlines which dominate Stansted at risk. The Government says it wants the runway built by 2011-12. BAA's latest estimate for the first phase of the project, which would lift capacity to 50 million passengers a year, is 2013. The CAA suggests that BAA might be able to fine tune the exact timing of when to open the runway by ratcheting up its prices and seeing what happens to airline demand. But the fact is the CAA has begun from the wrong premise for the simply reason that Stansted is the wrong place to build another runway. This is hardly the regulator's fault. Its job is to encourage investment in new facilities in order to satisfy anticipated demand, not to decide where new runways should be built - that is a political decision made by the government of the day. Everyone knows that were it left to the market to decide, then Heathrow would get a third runway before a second one is built at Stansted. Heathrow is already bursting to capacity and, unlike the low-cost carriers at Stansted who seem intent on fighting BAA all the way, its occupants would be only too willing to finance a new capacity. Moreover, the environmental obstacles to building a third runway at Heathrow may not be as insuperable as they first appeared when Tony Blair came down in favour of the politically expedient option of Stansted in the countdown to the last election. As it is, Heathrow will be left with the second best option of introducing mixed-mode use of its two runways at Heathrow - a plan which threatens just as big an environmental revolt as a third runway while a potential white elephant gets built in the Essex countryside. There is still time for an outbreak of common sense. Cable guys still waiting for the OFT The eyes of the media world may be on NTL's planned takeover of Virgin Mobile. But the deal which is a necessary precursor to that marriage - NTL's own merger with the rival cable operator Telewest - has yet to gain regulatory approval. The baton was passed back from Brussels to the UK's Office of Fair Trading more than two months ago, since when there has been radio silence. The 40-day deadline within which the OFT tries to reach a decision came and went last week, prompting all sorts of market rumours. Has the decision to restructure the deal as a takeover of NTL by Telewest, rather than the other way around, thrown a spanner in the works? Has the BSkyB/EasyNet merger given the OFT fresh food for thought? Or has a politician for some Machiavellian reason stuck his oar in as Stephen Byers bizarrely did by interrupting the merger of NTL and CWC? None of these explanations looks terribly plausible, which leaves only good old-fashioned bureaucratic sloth on the part of the OFT. The organisation makes an unlikely Santa but the least it could do is clear the deal and allow the competition lawyers to knock off early for Christmas. m.harrison@ independent.co.uk Rassegna stampa Unions attack 'vermin' at Rentokil Independent, The 21/12/2005 Unions attack 'vermin' at Rentokil Fears grow that other big firms will follow lead of rat-catcher and scrap final salary pensions By James Daley and Barrie Clement, Labour Editor Published: 21 December 2005 Directors of the rat-catching company Rentokil Initial were described as "vermin" yesterday after announcing plans to scrap the final-salary pension scheme for existing employees. The attack, made by Derek Simpson, the general secretary of the union Amicus, came as experts warned Rentokil was likely to be the first of many companies to renege on existing pension commitments over the coming months. Ros Altmann, a government pensions adviser, said while a wave of scheme closures may be unpopular, companies could simply no longer afford to continue honouring their final-salary pension promises. "You have to ask yourself 'Is it better to keep pretending they can afford this kind of pension provision or is it better to face the fact they can't?'," she said. "[Rentokil] will be the first of many. I'm amazed the likes of British Airways and BAE haven't done it so far - they will never be able to honour their pension benefits in full." The National Association of Pension Funds agreed, saying it was aware several other larger companies had been considering a similar move to Rentokil's. A spokesman for British Airways, which has one of the largest pension-scheme deficits in the UK relative to market value, said it was consulting employees over how to address the its enormous pension black hole. Although the management is believed to be keen to close the scheme entirely, it is wary of setting itself up for another clash with the unions. BAE Systems, another FTSE 100 company with an enormous deficit, said closing down its finalsalary scheme completely was not on the agenda. It said it would announce details of plans for the scheme in the new year. The TUC, Amicus and the GMB union hit out at Rentokil yesterday, complaining it was outrageous the company had released the news to the media before consulting employees. Although Rentokil, like many other British companies, closed down its final-salary scheme to new members four years ago, its move to close it to existing members is almost unprecedented among large organisations - and a first for a FTSE 100 company. Andrew Macfarlane, Rentokil's finance director, stressed on Monday the move would affect just 3,000 of Rentokil's 48,000 employees, and would not affect the pensions of those who have left the company or pensions of the 8,000 members who have retired. Unions said they were investigating whether such a move was a breach of the terms of their staff's employment. Amicus's Mr Simpson registered his anger over Rentokil's decision in language rarely used by senior union leaders. "Only an anti-union company like Rentokil would be able to get away with taking a long pensions holiday, only ending last year and then move immediately to close its pensions scheme to existing members," he said. "They have behaved like the vermin they are paid to extinguish. This is an important lesson to every worker - make sure the company you are employed by recognises unions." But Dr Altmann said: "If the unions fight and get some kind of a deal, it will only be staving off the inevitable." The TUC's general secretary, Brendan Barber, warned: "Employees in other companies should seek reassurances that their employers do not have similar plans. " The GMB, thought to have the most members at Rentokil, said it was considering legal action and seeking an immediate meeting with management. Rassegna stampa L'etica nella finanza e la trasparenza nei mercati Milano Finanza (MF) 21/12/2005 MF L'etica nella finanza e la trasparenza nei mercati Le regole sulla corporate governance sono fondamentali per la difesa delle minoranze. L'esempio americano. Ultimamente, ed è notizia di poche settimane fa, la Sec (l'autorità di controllo statunitense) ha deciso di aprire un'inchiesta per verificare quale sia il ruolo degli hedge fund nelle procedure di bancarotta delle società. Si è cercato, in particolare, di capire se i gestori dei fondi non abbiano puntato a sovrastimare il possesso di azioni e bond aziendali per partecipare ai comitati che gestiscono la ristrutturazione del debito delle aziende in difficoltà. In tal modo, secondo i funzionari dell'autorità, si assisterebbe a un accesso privilegiato a quelle informazioni ´cruciali', come per esempio l'esistenza di offerte di acquisto. È invece attuale nel nostro paese il problema della vigilanza sui mercati finanziari nonché di una buona regolamentazione della governance. L'attuazione della direttiva Ue sulla trasparenza informativa ha dato il via, proprio in questi giorni, a obblighi informativi più stringenti a carico degli emittenti e una maggiore attenzione soprattutto alle notizie ´price sensitive' delle società quotate. Con i regolamenti attuativi della Consob alla nuova disciplina sugli abusi di mercato, sono diventati più rigidi gli obblighi di informazione a carico degli emittenti che tuttavia, per decidere come comportarsi nel concreto su quali notizie comunicare oppure no, potranno continuare a fare affidamento a criteri ´oggettivi'. Tutte le informazioni price sensitive che dovranno essere diffuse ´senza indugio' saranno quelle che maturano al verificarsi di un complesso di circostanze o di un evento, sebbene non ancora formalizzati. Per le finalità di repressione dei market abuse si continuerà a far riferimento alle ´informazioni privilegiate' ma, sugli obblighi informativi, verrà mantenuto il riferimento ai fatti, o meglio agli ´eventi'. La Consob, quindi, ha recepito direttamente le norme comunitarie sui prospetti. Infatti dal prossimo gennaio 2006 il passaporto europeo che consente la libera circolazione continentale dei documenti informativi sulle operazioni di sollecitazione all'investimento entrerà in vigore anche in Italia con le modifiche al regolamento emittenti dell'Authority con le quali sono state anche varate le disposizioni attuative del cosiddette ´market abuse'. Novità sono previste anche per le ´operazioni sospette' (anche quelle eseguite sui circuiti di scambi organizzati), le quali dovranno essere comunicate all'autorità di vigilanza e per la normativa dell'insider dealing, la cui disciplina di trasparenza sulle contrattazioni effettuate dai manager, finora oggetto di regolamenti di borsa, passa in mano alla Consob e coinvolge anche gli azionisti con partecipazioni superiori al 10%. Tutti gli scambi del valore superiore a 5 mila euro dovranno essere comunicati e ciò varrà anche per gli azionisti forti. Riemerge, perciò, in tutta la sua interezza, il tema della corporate governance, definibile, genericamente, come il sistema delle regole che sovrintendono ai meccanismi degli assetti interni tra soggetti e dei controlli che consentono alle imprese di gestire le risorse economiche. I processi di governance, se bene applicati, sono il vero valore aggiunto aziendale: essi, infatti, nell'attuale visione globale dei mercati, funzionano da parametro su cui si misurano la reputazione e la credibilità di un'impresa. Scopo delle regole di corporate governance è quello di conciliare un sistema di tutela degli azionisti di minoranza, con una qualche forma di concentrazione della proprietà. Un altro aspetto di pari importanza è rappresentato dalla definizione di un modello efficiente di governo delle imprese fondato sulla autoregolamentazione da parte delle imprese stesse. Le norme di corporate governance sembrano idonee ad assicurare un equilibrio tra stabilità delle imprese e contendibilità del loro controllo, a rendere le società quotate più attraenti per i mercati internazionali dei capitali, e ad avvicinare la disciplina italiana a quella dei sistemi più sviluppati. Attualmente, è generalmente riconosciuta l'insufficienza del vigente sistema di regole in materia di corporate governance e la conseguente necessità di intervenire per prevenire le troppe crisi d'impresa e per adeguare il sistema societario al nuovo scenario risultante dalla globalizzazione dei mercati finanziari. Ma il punto fondamentale è se un comportamento imprenditoriale orientato al rispetto dei principi etici risulti essere un ulteriore vincolo alla gestione oppure un'opportunità per l'impresa e per la sua volontà di intraprendere. Prende sempre più corpo l'opinione che un comportamento etico sia la migliore strategia economica nel medio-lungo termine, nel senso che esso consente la massimizzazione delle opportunità di crescita e di redditività, in un contesto caratterizzato da un elevato consenso sociale. Di conseguenza è fondamentale, per la finanza etica, definire con precisione cosa si intenda per impresa responsabile: quali siano cioè i percorsi di azione, le ´business practices' secondo le quali un'impresa deve dirigere la propria attività per essere considerata responsabile. Questo campo di esame è quello proprio della ´Corporate social responsibility' (Csr), ambito di studi economici che esamina l'attività d'impresa sotto i molteplici aspetti che ne definiscono la responsabilità sociale e ambientale. Se il concetto di etica degli affari attiene, come viene da più parti riconosciuto, sia a un insieme di principi e di valori che regolano l'attività aziendale, sia agli effetti di tali scelte sulla collettività, l'ambito della business ethics diventa variegato e complesso, richiedendo alle autorità di governo e alle istituzioni preposte un adeguato supporto normativo e una conseguente operatività istituzionale. MF - Federdirigenticredito Numero 251, pag. 35 del 21/12/2005 Autore: Andrea Miglionico Rassegna stampa Risparmiatori in fuga da piazza Affari Milano Finanza (MF) 21/12/2005 MF Risparmiatori in fuga da piazza Affari Il rapporto bnl-einaudi, il 42% non investe da 5 anni. Per entrare in borsa e comprare titoli, i risparmiatori italiani vogliono che l'investimento renda bene. Decisamente bene. Insomma, quando decidono di comprare azioni, vogliono un rendimento tra il 7,5% e il 10%. Altrimenti preferiscono investire altrove, bond, mattone o tenere fermi i soldi sul conto corrente. Così negli ultimi 60 mesi quasi uno su due non ha movimentato il proprio dossier titoli. A fare il punto della situazione è il rapporto Bnl-Einaudi sugli impieghi finanziari degli italiani nel 2005, presentato ieri dal presidente della banca capitolina, Luigi Abete, dal pro-rettore della Bocconi, Andrea Beltratti e da Mario Valletta dell'Università del Piemonte orientale. La fotografia scattata dallo studio ritrae fiducia e aspettative dell'investitore italiano medio riguardo alle varie forme di risparmio. La ricerca parla chiaro. È vero che negli ultimi cinque anni coloro che hanno investito in azioni sono solo il 24,2%, contro il 28,1% del 2004 e il 31,9% del 2003, ma chi l'ha fatto ha le idee molto chiare. Il 21,2% vuole un ritorno sul capitale pari almeno al 10%, mentre il 53,3% si aspetta un rendimento compreso tra il 5 e il 10%. Insomma, sì alle azioni ma solo se garantiscono un ritorno atteso medio del 7,45%. Lo stesso rendimento si impenna al 9% tra i risparmiatori con elevata propensione al rischio, al 7,98% tra le persone con redditi più elevati e scende al 6,42% tra quelli con licenza elementare. Ma non tutte le aspettative sono state attese. Il 55,2% degli intervistati ha dichiarato di essere poco o per niente soddisfatto dell'investimento. Sarà per questo che la percentuale di coloro che impiegano i loro risparmi in titoli azionari è scesa in cinque anni dal 20,16 al 7,30%. Mentre nel 1999 la borsa era la prima scelta d'investimento degli italiani, nel 2005 le azioni hanno ceduto il passo a impieghi immobiliari, titoli di stato, conti correnti e obbligazioni. Insomma, in cima ai sogni degli italiani resta sempre il mattone. L'84,6% degli investitori ritiene che gli immobili siano l'investimento più sicuro, e il 68,2% che siano il miglior investimento possibile. Non solo, chi acquista una casa difficilmente se ne pente. Il 93% dei proprietari, secondo i dati forniti dallo studio, è molto o abbastanza soddisfatto di aver investito nell'acquisto di un'abitazione. E, a sorpresa, anche le obbligazioni tornano a esercitare un certo fascino agli occhi dell'investitore. Dopo l'effetto negativo dei crack Parmalat, Cirio e Argentina, che avevano messo a dura prova la fiducia del risparmiatore, si legge nel rapporto, ´diminuisce dal 31,8% al 25% il peso di chi considera questi strumenti molto rischiosi'. Eppure nonostante queste premesse, quattro italiani su dieci non toccano il proprio dossier titoli da almeno due anni. Il 42% degli intervistati, si legge nel rapporto, ´afferma di non aver fatto operazioni di acquisto di prodotti finanziari negli ultimi 60 mesi'. La spiegazione è semplice. Gli italiani si sentono più poveri, e il loro giudizio sul reddito che percepiscono, in netto peggioramento nel 2005 rispetto ai precedenti anni, ne è una riprova. In particolare, è scesa dal 92 all'89% la percentuale degli intervistati che esprimono un giudizio di sufficienza o più che sufficienza del reddito percepito. Allo stesso tempo, nel 2005 sono aumentati dall'8,3% al 10,6% coloro che ritengono di avere un reddito insufficiente o del tutto insufficiente. Le famiglie sono diventate ´cicale per necessità, e non per scelta'. Il 51,4% non è riuscito neppure a risparmiare, nonostante la politica di riduzione delle tasse attuata nel corso del 2004. Secondo l'81% degli intervistati il taglio delle tasse è stato infatti ´di importo troppo limitato e non è stato indice di un cambiamento duraturo della politica fiscale'. Alle preoccupazioni legate alla situazione attuale si aggiungono, secondo il rapporto, le incertezze legate al futuro. ´Cinque italiani su dieci sono incerti sul livello della pensione pubblica'. Solo il 25% degli intervistati ha una polizza sulla vita, il 16% aderisce a un fondo pensione di categoria e il 6,5% a un fondo pensione aperto. (riproduzione riservata) MF - Denaro & Politica Numero 251, pag. 8 del 21/12/2005 Autore: Raffaella Moccia Rassegna stampa metà degli italiani non risparmia più - luisa grion Repubblica, La 21/12/2005 Pagina 34 - Economia Metà degli italiani non risparmia più Rapporto Bnl: le famiglie si sentono impoverite, il futuro preoccupa Il 51% non riesce a mettere nulla da parte: è il massimo storico Sale la forbice tra chi riesce a economizzare e chi no LUISA GRION ROMA - Vorrebbero, ma non possono. Gli italiani non risparmiano più, e se alla fine del mese riescono strappare al bilancio familiare qualche euro lo mettono da parte per paura del peggio. Scelgono la via più sicura: si sentono poco tutelati e molto preoccupati per il futuro. Il 51 per cento delle famiglie - spiega infatti il rapporto Bnl/Centro Einaudi - non mette da parte nulla. Il tetto - che è al massimo storico (l´anno scorso era al 48, nel 2002 al 38) - è stato raggiunto «per necessità, non per scelta». Anzi, agli italiani piacerebbe chiudere il mese con qualche avanzo: il 29 per cento considera la cosa addirittura «indispensabile». Ma i fatti parlano chiaro: se la percentuale di risparmio sul reddito disponibile sale (10 per cento contro il 7 del 2004), quella dei risparmiatori scende. La forbice fra chi ce la fa e chi no diventa sempre più ampia. Il paese è diviso in due e la riforma fiscale varata dal governo lo scorso anno non è bastata ad accorciato le distanze: per 81 per cento degli italiani la nuova Irpef non ha avuto alcuna incidenza. Che la sensazione sia quella di un lento scivolare all´indietro lo si vede anche che dei dati sull´indebitamento e sulle prospettive di reddito. Il 15 per cento delle famiglie ricorre al credito bancario per far fronte a consumi quotidiani, fra questi oltre il 56 per cento non riesce a mettere da parte nulla ; il 30 va regolarmente in rosso sul conto corrente; il 13 fa i conti anche con un mutuo. Per quanto riguarda la disponibilità di reddito futura cresce la fascia dei «preoccupati»: il 10,6 per cento del campione interpellato dal rapporto è assolutamente convinto di avere entrate ampiamente insufficienti alle necessità. Il giudizio sul reddito corrente, spiega il rapporto, «indica un netto peggioramento che ci riporta a i valori medi del periodo 1993-1996, uno dei più difficili per l´Italia». Comunque sia, manca anche la spinta al rinnovamento: le abitudini di chi risparmia sembrano stabili nel tempo. In stragrande maggioranza si resta ancorati alla banca di famiglia e ad una composizione del portafoglio che premia la stabilità e allontana il rischio. L´obiettivo ultimo è, quasi sempre, quello di mettere da parte qualcosa per i tempi duri: il 42 per cento degli italiani motiva il risparmio con la necessità di poter far fronte agli imprevisti, il 27 pensa alla casa e solo il 9 alla futura pensione integrativa. Per i consumatori il ritratto uscito dal rapporto Bnl/Centro Einaudi è una indubbia conferma della crisi in atto. «Più risparmio, meno risparmiatori - commenta Adiconsum - aumenta il divario fra le sempre più numerose famiglie in difficoltà e il sempre più ristretto cerchio degli abbienti». Ma «il rapporto conferma anche la totale sfiducia nei confronti di un sistema bancario esoso ed inefficiente, che accolla alla collettività i costi di servizi bancari più cari del mondo». Dunque, è urgente una maggiore trasparenza. Fatto sul quale è d´accordo anche il presidente della Bnl Luigi Abete. Ma a questo proposito - ha affermato - «la legge, da sola, non basta. La trasparenza deve essere insita nel sistema, non ordinata dalla magistratura». Rassegna stampa rentokil manda in pensione i piani previdenziali - hugo dixon Repubblica, La 21/12/2005 Pagina 37 - Economia BREAKINGVIEWS Rentokil manda in pensione i piani previdenziali HUGO DIXON Rentokil chiuderà i piani previdenziali a prestazione definita per gli attuali dipendenti. Le aziende hanno scoperto quanto sia costoso promettere ai pensionati un vitalizio ricco e protetto dall´inflazione. Non solo si va allungando la vita media, ma diminuiscono sempre più i rendimenti degli investimenti. I mercati azionari, che avrebbero dovuto facilitare il mantenimento di queste promesse, oggi sono ai livelli di sette anni fa. La quasi totalità delle grandi aziende private inglesi ha chiuso i piani a prestazione definita ai nuovi dipendenti, tendenza avallata dalla neocostituita Commissione pensioni, di emanazione governativa, e se possibile accelerata dalla nuova autorità di controllo, che ha imposto tempi più rapidi nel ripianare i deficit previdenziali. Ma finora nessuna società dell´indice Ftse 100 aveva osato congelare le prestazioni per i dipendenti. Sembrava di tradirne la fiducia, se non di violare addirittura la legge sull´occupazione. Rentokil è stata un pioniere. naturale: i suoi dipendenti sono malpagati e per giunta neppure sindacalisti, quindi non hanno facili alternative occupazionali che possano garantire pensioni più generose. L´esempio di Rentokil sarà probabilmente seguito da altre imprese, anche se non mancheranno i contenziosi legali. Grazie a questi piani a prestazione definita, i dipendenti hanno potuto avanzare enormi pretese sul cash-flow delle società. Andrà ad esempio nelle casse previdenziali, e non nelle tasche degli azionisti, la maggior parte dei proventi della vendita della divisione congressi di Rentokil. Con il tramonto dei piani pensione gli investitori dovrebbero fare salti di gioia. Edward Hadas (Traduzioni a cura di MTC) Rassegna stampa via alla manovra da 27,5 miliardi costruzioni turistiche sulle spiagge - roberto petrini Repubblica, La 21/12/2005 Pagina 35 - Economia Protesta Legambiente: la norma "Las Vegas" porterà ad una svendita dei litorali italiani Via alla manovra da 27,5 miliardi costruzioni turistiche sulle spiagge La Camera vara la Finanziaria: nuovi risparmi per 4 miliardi Respinte le richieste del Welfare di spendere i risparmi ottenuti dal rinvio della riforma del Tfr. Non ci sarà il condono agricolo Passa un unico articolo con 600 commi. Ora tocca al Senato, dove l´approvazione definitiva è prevista per giovedì ROBERTO PETRINI ROMA - Il cemento è pronto ad invadere le spiagge. E´ stata infatti confermata dal testo della Finanziaria 2006, ieri approvata alla Camera e da oggi al Senato per il via libera definitivo, la possibilità di costruire infrastrutture sul demanio pubblico, ovvero sulle spiagge. La norma sugli «insediamenti turistici di qualità», da alcuni definita norma «Las Vegas», salvo impensabili retromarcia, per ora non potrà essere modificata. Per promuovere il turismo di qualità, si dice nell´articolato, si possono presentare alla Regione interessata «proposte relative alla realizzazione di insediamenti turistici di qualità di interesse nazionale, anche tramite concessione di beni demaniali marittimi», cioè sulle spiagge. Gli insediamenti, si dice espressamente, «devono assicurare un ampliamento della base occupazionale mediante l´assunzione di un numero di addetti non inferiore a 250 unità». Si stabilisce, poi, che «la misura del canone è determinata dall´atto di concessione»: il 20 per cento alla Regione interessata e il 20 per cento ai Comuni coinvolti. Alla base «dell´insediamento turistico di qualità» c´è la stipula di un accordo di programma che «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato», che permette «la realizzazione e l´esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività». L´accordo di programma, si precisa, «ha l´effetto di determinare le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e di sostituire le concessioni edilizie». Sul piede di guerra i movimenti ambientalisti. «E´ davvero grave aver mantenuto nella Finanziaria la norma che permette di fatto la svendita delle spiagge. Autorizzare la realizzazione di insediamenti turistici tramite la concessione di beni demaniali marittimi, significa nella realtà svendere il patrimonio di tutti per il beneficio di pochi ma soprattutto permettere di continuare a costruire qualsiasi opera infrastrutturale sulle nostre coste», ha dichiarato Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente. «Una legge finanziaria pessima, contro l´ambiente, gli enti locali e i cittadini, che taglia pesantemente i fondi ai servizi sociali ed alle Ferrovie», ha aggiunto il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. Tornando alla Finanziaria, si tratta di un unico articolo con dentro più di 600 commi, che vale oltre 27,5 miliardi, grazie agli interventi inseriti dal governo a Montecitorio. Insomma, quasi 4 miliardi in più rispetto alla manovra licenziata in prima lettura dal Senato. La Finanziaria 2006 dell´esecutivo Berlusconi, così come delineata nel maxiemendamento e che ieri la Camera ha approvato (ora il testo torna al Senato, dove l´approvazione definitiva avverrà probabilmente giovedì), lascia tuttavia a bocca asciutta gruppi parlamentari e più di qualche ministro. Sul terreno restano i desiderata del titolare del Welfare, Roberto Maroni, che si è visto sottrarre i fondi del Tfr, quelli di Rocco Buttiglione (Beni culturali), che ha avuto 4 milioni per la Domus Aurea e 20 in meno per il Fus e quelli del ministro delle Politiche agricole, Alemanno, che ha dovuto cedere sul «costoso» condono previdenziale agricolo. Rassegna stampa Anche le pensioni dei dipendenti sparite nel "buco" del Carlo Felice Secolo XIX, Il 21/12/2005 Anche le pensioni dei dipendenti sparite nel "buco" del Carlo Felice Genova Un buco di nove milioni di euro è stato scoperto nelle casse dell'ex Ente lirico. Rappresenta l'ammontare dei contributi dei lavoratori del Teatro Carlo Felice ai fondi pensione. Sul caso la procura ha aperto un'inchiesta e a gennaio se ne discuterà anche in consiglio comunale. Tutti gli amministratori, i sovrintendenti e i sindaci, che si sono succeduti alla guida dell'ente lirico e della fondazione Carlo Felice dal 1971 ai giorni nostri, potrebbero essere chiamati a rispondere delle somme mancanti. I contributi versati dai lavoratori, che dovevano costituire il fondo pensioni integrativo, sarebbero stati utilizzati per altri scopi, anche per organizzare spettacoli e finanziare l'attività musicale del teatro. Caviglia a pagina 25 21/12/2005 Rassegna stampa Mezza Italia non risparmia più Sole 24 Ore, Il 21/12/2005 Il Sole-24 Ore sezione: FINANZA E MERCATI data: 2005-12-21 - pag: 33 autore: CELESTINA DOMINELLI INVESTIMENTI • Per il rapporto Einaudi Bnl oltre la metà delle famiglie non riesce a mettere da parte nulla Mezza Italia non risparmia più Meno sfiducia tra i giovani Cresce il ricorso al credito al consumo, impiego prevalente l'acquisto della casa ROMA • Un tempo si diceva italiani santi, poeti e navigatori. Oggi, però, il Bel Paese si scopre terra di non risparmiatori, investe sempre meno e si percepisce più povero svelando un netto peggioramento del proprio giudizio sul reddito corrente e futuro. Anche se i giovani si mostrano più ottimisti. Aumentano così le famiglie che diventano « cicale per necessità » e non per scelta: il 51,4% nel 2005, il valore più alto dal 2001. È questo lo spaccato contenuto nel XXXIII Rapporto Bnl— Einaudi che ha messo a fuoco differenze e analogie tra risparmiatori giovani e attempati. Non risparmiatori si diventa. Gli italiani accantonano sempre meno reddito e la percentuale risparmiata è pari al 10%, un valore identico a due anni fa ma inferiore al 12% che « rappresenta la media del periodo 1994 2002 » . Una tendenza che non sembra esser stata affatto contrastata dalla politica di riduzione delle tasse attuata nel 2004. L' 81% degli italiani sostiene di non aver modificato il proprio comportamento perché, argomenta lo studio, « l'intervento è stato di importo troppo limitato e non è stato indice di un cambiamento duraturo della politica fiscale » . In discesa anche il numero di quanti non investono i propri risparmi. La percentuale di chi non ha effettuato operazioni di acquisto negli ultimi 60 mesi, spiega infatti il rapporto, è salita nel 2005 al 42% rispetto al 26% di un anno prima. Casa dolce casa. Tra i motivi che spingono a risparmiare spicca « l'acquisto » o « la ristrutturazione della casa » selezionati dal 27% tra coloro che hanno accantonato parte del loro reddito nel 2005. « L'integrazione della pensione » si colloca a livelli relativamente bassi ( 9%) e ancora più giù si posizionano « le spese per l'istruzione » ( 7%) e « l'eredità » che si ferma al 6%. La motivazione principale che guida le scelte di risparmio resta, però, « gli eventi imprevisti » indicati dal 42% degli intervistati. Anche sul fronte degli investimenti, il mattone continua a riscuotere grande fiducia ed è scelto dal 12% dei risparmiatori contro il 10,8% dello scorso anno. E il 93% dei proprietari di abitazioni si dichiara molto o abbastanza soddisfatto di aver investito in immobili. Sempre più poveri. Peggiora la valutazione degli italiani sul reddito corrente e futuro. Scende infatti all' 89% ( era al 92% nel 2004) il numero di coloro che giudicano « sufficiente » o « più che sufficiente » il proprio reddito attuale. Aumentano poi al 10,6% gli italiani che, al contrario, lo considerano « insufficiente » o « del tutto insufficiente » . E guardando al futuro, la prospettiva non cambia. Solo l' 8% ( contro l' 11% del 2004) pensa di poter disporre di un reddito « più che sufficiente » al momento della pensione. Sale anche il ricorso al credito al consumo. Il 15% del campione si è affidato al credito bancario per finanziare le spese per i consumi. Chi vi ricorre non riesce a risparmiare ( il 56,5%) e spesso, nel 30,4% dei casi, ha un conto in rosso. A gravare sulle casse familiari interviene poi anche il mutuo stipulato dal 22,7% degli intervistati. Un sogno chiamato " pensione". Tre italiani su tre considerano molto incerto l'ammontare della loro pensione, cui si comincia a pensare con l'avanzare dell'età. Ancora scarsa si rivela la diffusione dei fondi. Gli italiani preferiscono puntare sulle polizze vita ( 25%) e solo il 16% ha aderito a un fondo pensione di categoria o a un fondo aperto ( 6,5%). Il feeling tra risparmiatori e titoli azionari è poi ancora basso. Per l' 82% rappresentano l'investimento più rischioso. Meglio optare per depositi bancari ( 43,5%) e Bot ( 43,8%). Gli intervistati considerano incerto l'ammontare della pensione Rassegna stampa Euroallarme per la previdenza Senza riforma si rischia il crac Stampa, La 21/12/2005 IL CONTINENTE INVECCHIA: UN RIMEDIO PRIMA DEL 2012 Euroallarme per la previdenza «Senza riforma si rischia il crac» Nei prossimi decenni «la popolazione dellEurozona passerà da 4 persone in età di lavoro per ogni anziano a un rapporto due a uno: ciò produrrà una caduta dellofferta di lavoro, un rallentamento dellaumento del tenore di vita, un incremento della tassazione e della spesa per linvecchiamento», si legge rapporto trimestrale sullEurozona della Commissione europea. I governi devono sfruttare «la finestra di opportunità aperta fino al 2012, quando lofferta di lavoro non è molto condizionata dallinvecchiamento»: aumentano sia la popolazione in età di lavoro che il numero delle persone occupate. È in questo periodo che «vanno fatte le riforme strutturali». Dal 2012 al 2016 la popolazione in età di lavoro comincia il suo declino. La popolazione «lavoratrice» si ridurrà di 37 milioni tra il 2010 e il 2050 e le persone sopra i 65 anni aumenteranno di 40 milioni. In Germnaia, Italia, Grecia e Portogallo loccupazione diminuirà più della media dellEurozona (-5%). Bisogna provvedere «allungando la vita lavorativa e predisponendo riforme del mercato del lavoro». Secondo Bruxelles tra il 2004 e il 2050 il tasso di crescita potenziale in Italia e in Germania sarà dell'1,3% contro una media dell'1,5%. Rassegna stampa Italiani sfiduciati e poveri Uno su due non risparmia Stampa, La 21/12/2005 RAPPORTO IRRILEVANTE LA RIDUZIONE DELL’IRPEF, IMMUTATI I COMPORTAMENTI Italiani sfiduciati e poveri «Uno su due non risparmia» ROMA Gli italiani si sentono più poveri, e il loro giudizio sul reddito che percepiscono ha segnato un «netto peggioramento» quest'anno. Le famiglie diventano così «cicale per necessità» e quelle che non riescono nemmeno a risparmiare conquistano la maggioranza assoluta: salgono al 51%, il record storico. A ravvivare i consumi o a rimpinguare il salvadanaio non è servita nemmeno la riduzione dell' Irpef: l'81% dei contribuenti non ha modificato il proprio comportamento perchè il calo «è stato di importo troppo limitato e non è stato indice di un cambiamento duraturo della politica fiscale». A fotografare le difficoltà degli italiani e il loro rapporto con il risparmio è il rapporto 2005 BnlCentro Einaudi, basato su un'indagine Doxa realizzata fra un migliaio di risparmiatori. «Il dato del 2005 - si legge nella parte del rapporto relativa al giudizio degli italiani sul reddito corrente - indica un netto peggioramento, che riporta la valutazione sul reddito corrente al valore medio del periodo 1993-1996, uno dei periodi più difficili per l'Italia». In particolare, è scesa dal 92 all'89% la percentuale degli intervistati che esprimono un giudizio di «sufficienza o più che sufficienza» del reddito percepito. Nello stesso tempo, nel 2005 sono aumentati dall'8,3 al 10,6% coloro che ritengono di avere un reddito «insufficiente» o «del tutto insufficiente». Quanto al futuro, la percentuale di chi ritiene di poter disporre al momento del pensionamento di un reddito «più che sufficiente» scende all'8% dall'11% dello scorso anno. Serpeggia dunque fra le famiglie una sensazione di «forte preoccupazione per il futuro», nonostante la crescita, definita «sensibile» dagli economisti autori del rapporto, del loro patrimonio, grazie all'andamento dei prezzi immobiliari, delle azioni europee e dei prezzi dei bond. Di pari passo, gli italiani si indebitano di più e risparmiano di meno. Nel 2004 (ultimo anno disponibile) è proseguita la tendenza delle famiglie ad accumulare indebitamento lordo, giunto al 28% del Pil. Uno scenario che vede gli italiani comportarsi sempre più come cicale, ma «per necessità, e non per scelta», si legge nel documento di quasi 150 pagine. Il 51,4% degli italiani spiega infatti il rapporto, giunto quest'anno alla sua XXIII edizione - non ha risparmiato nel 2005. Una percentuale elevata, che continua ad aumentare: era al 48% nel 2004 (quando era stato superato il precedente massimo storico del 50% del 2001), al 45% nel 2003, al 38% nel 2002. E non è riuscita a fermare questa tendenza la politica di riduzione delle tasse attuata nel corso del 2004: che per il 4% degli intervistati ha avuto un impatto positivo sul consumo, e per il 15% sul risparmio. Secondo gli economisti che hanno curato il rapporto, ci sono le pensioni in cima alle preoccupazioni del risparmiatore italiano. «Cinque italiani (e otto giovani italiani) su dieci sono incerti sul livello della pensione pubblica, ma solo la metà di questi cerca di reagire a questa situazione d'incertezza». A fronte dell'incertezza per la pensione pubblica, infatti, i fondi pensione sono ancora poco diffusi: il 25% degli intervistati ha una polizza sulla vita (era il 28% lo scorso Rassegna stampa Times Online 21/12/2005 Q&A: Final salary pensions Times Online December 20, 2005 Q&A: Final salary pensions Rentokil Initial is the first FTSE 100 company to close its final salary pension to existing members. What does this mean for defined benefit schemes? By Andrew Ellson Why has Rentokil closed its final salary scheme? Rentokil has pension liabilities of £965 million but pension assets of just £640 million. Andrew Macfarlane, the company's chief financial officer, said that new standards from the Pensions Regulator encouraging businesses to finance their pension deficits within ten years played a part in the decision. Having to find between £370 million and £380 million by 2012, the company decided the scheme was just too expensive to justify continuing. What will the decision mean for Rentokil's workers? Rentokil will still provide pensions for its employees, but from the summer of 2006, all contributions will go towards a money purchase rather than a final salary scheme. Accrued benefits under the final salary scheme will be honoured. The decision will not affect workers employed in the last four years because the final salary scheme was closed to new members in 2001. Rentokil has 48,000 staff but only 3,000 were in the final salary scheme. For a basic guide to the different types of pensions click here. Does this decision mark the beginning of the end for final salary schemes? Even before this decision, final salary schemes – particularly in the private sector – were becoming an endangered species. A recent survey by actuarial firm Barnett Waddingham found that only 30 per cent of schemes remained open to new members. But this decision seems to mark that start of a new phase where companies start closing the schemes to existing members as well. Earlier this month, Lord Turner, the author of the Pension Commission’s report on the future of pensions, said: "I think it is highly likely we will see, if not the total death, the very significant further reduction of private sector, defined benefit, final salary schemes." Are other companies likely to follow Rentokil’s approach? Punter Southall, the pensions consultancy firm, estimates that the ten FTSE 100 companies with the largest pensions deficits have a combined shortfall totalling more than £25 billion. British Telecom alone is estimated to have a pension deficit of £4.5 billion. With the Pensions Regulator wanting companies to fund these deficits before 2015, it is seemingly inevitable that more businesses will close their final salary schemes to existing members. Also, shareholders are becoming increasingly concerned about pension liabilities. Only today, shares in ICI fell 1.5 per cent after Citigroup forecast the chemical group’s pension and post-retirement liabilities would reach close to £1.5 billion by the end of 2005, up from £1.2 billion in 2004. The broker said it would hit cashflow by up to £35 million a year for the next nine years. Where can I get more information? To find out how safe your pension is click here. For more articles on pensions click here. Rassegna stampa Times Online 21/12/2005 Union fury as Rentokil directors escape pension hit The Times December 21, 2005 Union fury as Rentokil directors escape pension hit By Patrick Hosking DIRECTORS of Rentokil Initial were described as “vermin” by unions yesterday as it emerged they will be personally immune from their landmark decision to water down staff’s final-salary pension scheme rights. Doug Flynn, chief executive, will continue to receive £176,000 a year into his private pension scheme, which is unaffected by the planned change, on top of his £800,000 base pay. Ted Brown, an executive director, has, by long service, already qualified for a full pension of two-thirds of his final salary and so is also unaffected. Other recently hired directors, such as Andrew Macfarlane, finance director, receive 22 per cent of base pay into money-purchase plans and so will not be hit either. Rentokil drew union anger after announcing a landmark plan on Monday to be the first FTSE 100 company to scrap its final-salary pension scheme for existing employees. About 3,000 workers — including hospital cleaners, security guards and pest control officers — will be unable to accrue future final-salary pension benefits. The company confirmed to The Times that no executive director will personally be hit by the reform, designed to help to plug its £325 million pension deficit. However, “a few” executives a rung below board level will be hit, it said. Derek Simpson, general secretary of Amicus, said: “Only an anti-union company like Rentokil would be able to get away with taking a long pensions holiday, only ending last year, and then move immediately to close its pension scheme to existing members. They have behaved like the vermin they are paid to extinguish.” The TUC and the GMB also joined a chorus of protest and made plain that they could challenge the Rentokil decision and any similar moves by other companies, in the courts if necessary. Paul Kenny, the GMB’s acting general secretary, said: “This takes the biscuit. It’s the poor bloody infantry, isn’t it? This news proves the managerial classes are totally out of control and have no limits and no shame.” Actuaries and other pension experts said Rentokil’s move was sure to be copied by other blue chip groups afflicted by big pension deficits. Keith Faulkner, of Pension Adviser Review, said: “It’s almost inevitably the next step.” Many smaller employers have already gone the Rentokil route, as have some big ones, such as Ernst & Young. Blue chips have, till now, fought shy of such a step. Mr Macfarlane said: “Our proposals to close the defined-benefit scheme were reached only after full discussions with the fund trustees. These include the agreement to inject £200 million immediately into the fund and the introduction of defined-contribution arrangements to replace the defined-benefit scheme. We will now begin a comprehensive consultative process with the staff who are affected.”