Marta, novella Alice nel Paese della televisione

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Marta, novella Alice nel Paese della televisione
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La Cronaca
di Piacenza
SPETTACOLI
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S ABATO 30
LUGLIO
2011
A GROPPARELLO
Massimo Manfredi
oggi ci porterà
“Ai confini del mondo”
Sopra, da sinistra, Paola Pedrazzini, Alice Rohrwacher e Marco Bellocchio. A lato lo stesso
regista bobbiese con alcuni partecipanti alla conferenza stampa di giovedì pomeriggio.
Sotto, un primo piano della regista della pellicola “Corpo celeste”
Marta, novella Alice
nel Paese della televisione
Alice Rohrwacher
giovedì scorso al
Bobbio Film Festival con la pellicola
“Corpo celeste”
P
er Marta arrivare a Reggio Calabria è come sbarcare sulla Luna. Rimane attonita e silenziosa
osservando con occhio innocente una
realtà grottesca dove il degrado ambientale è specchio di quello umano.
“Corpo celeste”, esordio della documentarista Alice Rohrwacher alla regia per il grande schermo, non è un
film semplice.
In poco più di un’ora di pellicola,
girata in super 16, s’intrecciano tante
tematiche. C’è il fenomeno dell’emigrazione al contrario di chi lascia un
nord Europa colpito dalla crisi per
tornare nel Bel Paese. C’è quell’italietta tanto simpatica quanto ipocrita,
descritta solo pochi giorni fa sulle pagine dell’“Independent”, fagocitata
dai modelli televisivi di “Veline” e
“Letterine” come dal bagliore di quiz
alla “Chi vuole essere miliardario”.
C’è lo sguardo critico su un certo modello di chiesa incapace di dare una risposta concreta ai bisogni delle persone e di arrivare all’essenziale: così il
prete del film è un personaggio in fuga (un manager più che un uomo di
Dio), i catechisti sono attenti più alle
formule che alla sostanza, bambini e
mamme più alla messa in piega e agli
abiti che al valore dei sacramenti.
La pellicola ha diviso il modo cattolico. Plausi dall’“Osservatore Romano”. Meno entusiasta “Avvenire”.
«La scrittura di “Corpo celeste” –
ha spiegato la regista intervenuta giovedì al Bobbio Film Festival – è nata
dall’incontro con Carlo Cresto-Dina
che ha prodotto il film. Decidemmo di
non lavorare su un progetto già esistente o su una storia chiusa, ma di
partire da un mondo, da un contesto
che secondo noi andavano indagati».
La scelta cadde su una realtà molto
lontana da lei: quella della chiesa.
«Spalancai subito gli occhi come avrei
fatto per un documentario: ero a Reggio Calabria in quel periodo quindi
iniziai da lì, desiderosa di entrare dalla
finestra più piccola e vicina alla vita di
tutti i giorni, quella delle attività della
parrocchia e del catechismo».
La Rohrwacher aveva uno sguardo
“neutrale”: non è stata battezzata e
neppure si era mai avvicinata alla
chiesa. Così rimase a bocca aperta davanti «lezioni, riunioni, manuali come
“Saranno testimoni” e “Katekismo
2000”, quiz e giochi di socializzazione
attraverso chiese così grandi e vuote
che parevano palazzetti in cui corre-
re».
La piccola protagonista del film si
muove in questo contesto quando ritorna nella periferia di Reggio Calabria, dove i palazzoni non finiti si susseguono uguali nell’orizzonte, dopo
anni di emigrazione in Svizzera. Inizia
a frequentare dottrina per essere cresimata. Lì ci sono ragazzi come lei, ci
sono catechiste che li inondano di
quiz, c’è un prete in carriera e soprattutto un Gesù buono, biondo, sorridente, dagli occhi azzurri che pare un
super-eroe finto e costruito come tanti
miti della contemporaneità. E proprio
da tutto questo emerge, nella protagonista, un forte desiderio di autenticità,
di scoprire il vero volto di Cristo.
“Corpo celeste” non è un film contro la Chiesa: Marta lo trova quel volto ed è quello dell’Uomo dei dolori
che non ha più grazia e bellezza, che è
disprezzato mentre è crocifisso tra i ladroni e schiacciato dalla sofferenza,
portando sulle spalle i peccati dell’umanità, urla “Mio Dio, mio Dio perché mi ha abbandonato?”. Lo trova
attraverso le parole di un vecchio prete dai modi ruvidi che le apre sotto il
naso nient’altro che il Vangelo. Il film
invita così al dibattito sull’educazione,
sulla necessità di dare testimonianza,
di riscoprire la Parola, di trasmettere il
messaggio cristiano senza trasformare
tutto in un vuoto show.
«Le reazioni della Chiesa sono state
incredibili – ha detto la regista – alcune estremamente positive, altre estremamente negative. L’“Osservatore
Romano” ha detto sì, “Avvenire” no.
Le sale parrocchiali, a quel punto, non
sapevano che fare. Mi hanno chiamata
e abbiamo fatto una proiezione nella
Curia di Milano per i gestori. Il lunghissimo dibattito che ne è seguito è
stato il regalo più bello che ho avuto».
Il film è stato apprezzato anche in
numerosi festival, in primis a Cannes,
con recensioni entusiaste sulla stampa
tedesca e francese. Bravissimi gli attori: la piccola Yle Vianello (Marta), Salvatore Cantalupo (don Mario) già eccellente in “Gomorra”, Pasqualina
Scuncia (la catechista Santa) e Anita
Caprioli (la madre di Marta, Rita).
Un sapiente mix di professionisti e
gente comune che strapperebbe un
sorriso a Roberto Rossellini.
Giovanna Ravazzola
Oggi, torna alle 17,30, al
Castello di Gropparello si
terrà “A cena con l’autore –
Valerio Massimo Manfredi e
il mito di Alessandro Magno”. Il terzo appuntamento,
organizzato dal castello, dall’associazione Castelli del Ducato di Parma e Piacenza e
realizzato grazie alla collaborazione della società Hydro
Pneumatic di Fiorenzuola, si
intitola “Ai confini del mondo”. L’archeologo, antichista,
conduttore televisivo e autore emiliano (in foto) riannoderà i fili della narrazione
storica, proseguendo il cammino sulle orme del grande
condottiero macedone.
All’incontro seguirà una visita guidata.Per concludere la
giornata in un tripudio di gusto, ci si siederà a tavola
per la cena con l’autore, nell’ambito della rassegna “Ricordanze di sapori”. Il menu
della Taverna medioevale,
ideato dalla chef Amelia dell’Amorosa, prevede un aperitivo a base di tartellette di
gorgonzola con perline di sedano e chardonnay spumante Mont’Arquato. Un primo
servizio di credenza con Culatello di Zibello e carbonata
all’arancia su crostino al
miele e un primo servizio di
cucina con lasagnette al pesto fresco di basilico. Il secondo sarà composto da faraona di corte alle olive, insaleggiata di broccoli e fave
e una selezione di delicatezze della cultura gastronomica greca. A chiudere una
crema di latte in piedi con
frutti di bosco, il tutto innaffiato prima da Cabernet Sauvignon Dongione e infine da
Malvasia Dolce doc. Il prezzo
della cena è di 60 euro per
gli adulti e di 46 euro per i
bambini. La prenotazione è
obbligatoria.
STASERA AI CHIOSTRI DI SAN COLOMBANO
C’è Saverio Costanzo con “La solitudine dei numeri primi”
Saverio Costanzo è un regista che costringe gli
spettatori a pensare. Offre loro crudi sguardi sulla realtà, come nel caso di “Private”, il lungometraggio sulla spinosa questione palestinese che gli
è valso un David di Donatello ed un Nastro
d’Argento, oppure li obbliga a sbirciare nel pozzo
buio dell’animo umano, con le sue incognite, i
suoi dolori, ed il male di vivere che a volte l’Odissea dell’esistenza comporta. E’ questo il caso della pellicola in programmazione stasera al Bobbio
Film Festival (chiostri di San Colombano, ore
21,15, al cinema Le Grazie in caso di maltempo),
“La solitudine dei numeri primi”, tratto dall’omonimo bestseller di Paolo Giordano. Nella storia di Alice e Mattia, i due ragazzi che gli stessi
tormenti interiori rendono così infinitamente vicini ed al contempo così infinitamente lontani,
Costanzo riesce ad infondere una poesia che sublima il dramma della solitudine in una nebbia di
sensazioni sospese al di sopra del tempo. Tra passato e futuro, i due protagonisti assumono le caratteristiche dei numeri primi, divisibili solo per
uno e per se stessi. Si cercano ma non osano tro-
varsi, quasi che il loro dolore assuma la valenza di
un teorema matematico ostile all’unione d’elementi simili. Saverio Costanzo, che oggi sarà ospite
d’onore a Bobbio assieme all’attrice Alba Rohrwacher,
non ci ha abituati a pellicole
“facili” o di cassetta. Il suo è
un percorso coraggioso, fatto
d’idee e di opinioni espresse
senza alcun timore. Costanzo non pretende di raccontare “la” verità, ma rivendica il
diritto di raccontare “la sua”
verità. Lo ha fatto con il già
citato “Private” che, per la
sua visione marcatamente filo-palestinese, ha dato adito
a diverse polemiche. Rammentiamo inoltre che la pellicola fu proposta per concorrere all’Oscar come
rappresentante per l’Italia, ma la giuria dell’Academy la rifiutò adducendo la scusa che il linguag-
gio parlato nel film non era l’italiano. Saremo
maligni, ma l’idea che sia stato piuttosto giudicato scomodo il contenuto
non ci abbandona. Noi crediamo che il pubblico non
possa che provare ammirazione per registi come Saverio, che fa parte di quella
new generation cinematografica italiana che non ha i
mezzi di Hollywood ma che
con Hollywood riesce tranquillamente a competere.
Come i protagonisti del suo
film, Costanzo è un numero
primo che ha saputo costruirsi una strada unica e
personale, senza mai sfruttare il nome del padre Maurizio. Ha voluto restare, geometricamente parlando, un punto singolare nell’universo dell’arte.
Enrico Faggioli