N.22 data editoriale 2 giugno 2016
Transcript
N.22 data editoriale 2 giugno 2016
Nuova serie - Anno XXXX - N. 22 - 2 giugno 2016 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale “Osare pensare, osare parlare, osare agire, osare attaccare e osare fare la rivoluzione” (Mao, Direttiva alla III Sessione plenaria del IX CC della Lega della Gioventù comunista , aprile 1966) il c api A TUTTA tali sm FORZA PER o PROPAGANDARE isti ASTIENITI L’ASTENSIONISMO tuzio parti ni e CONTRO ti PER IL SOCIALISMO NON VOTARE I PARTITI BORGHESI AL SERVIZIO DEL CAPITALISMO Delegittimiamo le istituzioni rappresentative borghesi ern ov CREIAMO LE ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE FAUTRICI DEL SOCIALISMO i Grave falsificazione sul rapporto fra Mao e le guardie rosse PAG. 9 PER LE ELEZIONI COMUNALI DEL 5 GIUGNO ig Pubblicata una composizione “artistica” provocatoria di una Guardia rossa sepolta sotto una valanga di spille di Mao Perché i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo uo “Il Manifesto” in ritardo “celebra” la Rivoluzione culturale proletaria cinese interpretandola in senso trotzkista e anarchico PAGG. 7 e 11 is Ripubblicando anche tre vecchi articoli del 2005 di ex fasulli “maoisti” Documento elettorale dell’Organizzazione di Caltagirone banchini elettorali a milano e varese PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it NON UN GIORNO VADA PERSO, NON UN VOLANTINO VENGA RISPARMIATO Addestrare le forze del governo fantoccio libico e’ come partecipare alla guerra all’IS Soldati italiani sono già operativi sul territorio contro l’IS Gli Usa appoggiano il ruolo dell’Italia in Libia Roma Indetto da Flc-Cgil, Cisl-scuola, Uil-scuola, Snals Sciopero generale dei lavoratori della scuola, universita’ e ricerca e precari contro la “Buona scuola” “Giannini dimettiti”. Slogan contro Renzi, la meritocrazia e la gerarchizzazione. Chiesto lo sciopero generale PAG. 5 PAG. 2 60 mila pensionate e pensionati invadono piazza del Popolo per rivendicare diritti e dignità Cgil e UIL Pronti allo sciopero generale PAG. 5 Sui tre referendum e sulla proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti promossi dalla Cgil Arrestato David (FI ex PD) consigliere comunale di Messina Comunicato dell’Organizzazione locale del PMLI La mafia messinese compra i voti PAG. 3 Cosa ne pensate di quest’Europa? PAG. 2 No alla soppressione della Cardiologia al Rizzoli di Ischia Giù le mani dalla sanità pubblica PAG. 12 Per corruzione elettorale Ai domiciliari Capurro (FI), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa PAG. 4 E’ morto Giuseppe Lepore Cofondatore della Cellula “Marx” della Val Vibrata PAG. 11 2 il bolscevico / imperialismo italiano N. 22 - 2 giugno 2016 Addestrare le forze del governo fantoccio libico e’ come partecipare alla guerra all’IS Soldati italiani sono già operativi sul territorio contro l’IS Gli Usa appoggiano il ruolo dell’Italia in Libia Nessun intervento straniero in Libia, ma solo addestramento militare della costituenda guardia presidenziale, primo nucleo del nuovo esercito libico, e fine dell’embargo sulla fornitura di armi al governo di Tripoli: queste le richieste presentate dal premier libico Fayez al-Serraj al vertice della coalizione anti-Daesh del 16 maggio a Vienna, che le ha sostanzialmente accolte. Il vertice, a cui hanno partecipato i rappresentanti di 20 Paesi, oltre a Onu, Ue ed Unione africana, era stato convocato dal segretario di Stato americano John Kerry e dal ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, in prosecuzione della precedente conferenza di Roma del dicembre scorso sulla lotta allo Stato islamico, e in particolare per fare il punto sulla situazione politico-militare in Libia e sul ritardato riconoscimento del governo di accordo nazionale (Gna) di al-Serraj, creato a tavolino e insediato dall’Onu il 30 marzo a Tripoli, ma non ancora riconosciuto dal parlamento di Tobruk a causa del sabotaggio, se non dell’aperta ostilità, del generale filoegiziano Khalifa Haftar, sostenuto anche da Francia, Gran Bretagna ed Emirati Arabi. Lo scopo del summit era dunque quello di confermare l’appoggio al governo Serraj e rafforzare la sua “legittimazione” internazionale, per poter procedere con i piani di intervento militare al suolo contro lo Stato islamico, nonostante lo stallo sul riconoscimento del governo di Tripoli da parte di tutte le fazioni libiche e stante il fatto che tale intervento, per essere “legale”, dovrebbe essere “richiesto” dagli stessi libici. Per aggirare l’ostacolo rappresentato da Haftar, che si rifiuta di riconoscere il Gna e con la sua offensiva per cacciare l’IS da Sirte punta anzi, con l’appoggio degli alleati egiziani, arabi e anglo-francesi, a impossessarsi della Cirenaica ricca di pozzi di petrolio, Serraj è costretto per il momento a chiedere non un intervento militare diretto, che sarebbe considerato un’invasione da Haftar e dalle altre fazioni che ancora non lo riconoscono, ma un intervento mascherato appunto da “addestramento” del suo costruendo esercito personale da parte delle potenze straniere che lo hanno insediato e lo sostengono. E queste ultime stanno al suo gioco e lo coprono, accettando la farsa dell’intervento “indiretto”, attraverso l’invio di militari “addestratori” e rifornendo di armi i pretoriani che lo sostengono nella guerra all’IS: “Appoggeremo il Consiglio di presidenza e cercheremo di revocare l’embargo e fornire gli strumenti per contrattaccare Daesh”, ha detto Kerry alla conferenza stampa congiunta con Gentiloni. “È imperativo – ha aggiunto il ministro degli Esteri Usa – che la comunità internazionale sostenga il governo Serraj, che è l’unico legittimo della Libia e ora deve iniziare a lavorare”. Gentiloni ha dichiarato a sua volta che “cercheremo di rafforzare l’accordo politico, per combattere contro l’Isis, incluso il generale Haftar, ma serve un riconoscimento pieno”, sottolineando che “Il messaggio del nostro incontro è un messaggio politico perché stiamo sostenendo le recenti decisioni del governo di accordo nazionale. Prima di tutto: la costituzione di una guardia presidenziale che sosterremo e di un comando congiunto per combattere l’Isis”. “La Comunità internazionale – ha poi concluso il titolare della Farnesina - darà Addestramento di militari libici in Italia nel 2014 il suo sostegno al Consiglio presidenziale che chiede di togliere l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi e le munizioni affinché il governo possa combattere l’Isis e gli altri gruppi terroristi”. Si sta adottando dunque per la Libia la stessa strategia usata dal governo italiano per l’intervento contro l’IS in Iraq, dove le truppe italiane mascherano la loro partecipazione attiva alla guerra allo Stato islamico dietro il paravento dell’addestramento delle forze di sicurezza e militari irachene e dei reparti curdi, mentre in realtà ci si sta preparando per lo scontro diretto con le milizie del Califfato intorno alla sua capitale irachena, Mosul. E tuttavia, secondo fonti libiche confermate da fonti governative italiane, una quaran- tina di soldati dell’Esercito e della Marina affiancano da settimane i servizi segreti in Cirenaica e a Misurata, nella base aerea di Benina vicino a Bengasi, una base e uno dei comandi principali del generale Haftar. Dunque sono schierate operativamente, al fianco delle forze speciali francesi, americane e britanniche, nella battaglia che costui sta conducendo per riconquistare Bengasi e strapparla all’IS. Né il fantoccio Serraj, né il nuovo duce Renzi hanno interesse in questo momento ad un intervento militare conclamato dell’Italia sul suolo libico: il primo perché è ancora troppo debole e non riconosciuto da tutti, e non vuole smascherarsi come lacché di potenze straniere; il secondo perché sta monitorando le operazioni e le manovre delle altre forze militari imperialiste presenti in Libia e l’azione delle diverse milizie libiche e dei loro manovratori stranieri mentre si riserva di farlo più ufficialmente dopo la campagna elettorale e grazie a un’adeguata copertura diplomatica internazionale. Perciò, dopo aver sondato il terreno dopo il G5 di Hannover, ventilando di essere pronti all’invio di un contingente di 900 uomini (subito smentito alle prime reazioni negative), il governo italiano e il ministero della Difesa non avevano invece smentito la notizia dell’invio di un contingente di 250 uomini, appoggiato da blindati leggeri, con il compito di proteggere la sede dell’Onu a Tripoli e addestrare i primi reparti del nuovo esercito libico. Col vertice di Vienna e l’accoglimento delle richieste di Serraj, questo scenario è stato sostanzialmente confermato dallo stesso Gentiloni, con l’unica differenza che le truppe italiane saranno formalmente inviate per addestrare i militari libici e proteggere l’ambasciata italiana, mentre la sede e le istituzioni dell’Onu saranno controllate dalla forza multinazionale di cui l’Italia farà parte. Ma sta di fatto che addestrare le forze del governo fantoccio libico è a tutti gli effetti come partecipare alla guerra all’IS, con tutte le nefaste conseguenze per il rischio attentati terroristici che ne deriverebbe per il nostro Paese. A maggior ragione perché di questa coalizione militare l’Italia ne avrebbe addirittura la guida, pur se questo ruolo non è stato ancora ufficializzato. Tant’è vero che anche di recente esso è stato riaccreditato autorevolmente nientemeno che dal capo degli stati maggiori riuniti della Difesa americana, Joseph Dunford, il quale ha riconfermato in un’intervista al Washington Post del 20 maggio che “in Libia ci sarà una missione a lungo termine”, che il governo Serraj farà richiesta in tal senso e che tale missione potrebbe essere ancora guidata dall’Italia. Il governo italiano, ha spiegato Dunford precisando di averne parlato a Bruxelles col suo omologo italiano, il generale Claudio Graziano, ha solo posto delle “condizioni”, come l’identificazione di quali forze dovrebbe addestrare in Libia e la copertura internazionale dell’Onu: “Se tali condizioni saranno accolte – ha concluso Dunford – gli italiani hanno indicato di essere ancora disponibili”. Cosa ne pensate di quest’Europa? Buongiorno, questa Europa così com’è ad oggi non va bene, si tratta di un’Europa dominata dagli speculatori, da chi è contro i lavoratori. Voi cosa ne pensate di questa Europa? Non sarebbe meglio uscirne per ritornare ai vecchi Stati nazionali e lottare per il socialismo? Alessandro - Firenze Siamo assolutamente d’accordo con te. L’Unione europea non è un’unione di popoli bensì un’unione di monopoli capitalistici e di grandi centri finanziari. È una superpotenza imperialista nata, strutturata e organizzata per competere, a livello finanziario, economico e militare, con le altre superpotenze mondiali, Usa, Cina, Russia, Giappone, per il predominio mondiale. Essa non è nata per perseguire il benessere dei lavoratori europei, ma anzi per sfruttarli e opprimerli ancor più intensamente e per servire meglio gli interessi dei rispettivi monopoli che dettano la linea ai vari governi nazionali, in particolare per espandersi verso la conquista di nuovi mercati e fon- ti energetiche e di materie prime. La Ue è un inferno per il proletariato e le masse popolari dei Paesi aderenti, obbligati dalle sue ferree leggi monetarie, basate sull’euro e sulla Banca centrale, ed economiche, basate sui parametri di Maastricht e del Fiscal compact, a perseguire in casa propria politiche ferocemente liberiste e antipopolari di “lacrime e sangue”; come lo strangolamento della Grecia, favorito dalla capitolazione di Tsipras, e anche la dura penalizzazione del nostro Paese stanno tristemente a dimostrare. Basti pensare anche solo al famigerato Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP), questo nuovo mostro del capitalismo mondiale che si sta trattando in gran segreto con gli Usa passando sopra la testa dei popoli europei, per comprendere che la Ue non risponde agli interessi delle masse dei rispettivi Paesi ma solo a quelli dei grandi monopoli e delle grandi multinazionali private, che voglio fare tabula rasa delle regole e dei vincoli che intralciano il libero mercato capitalista e il conseguimento dei massimi profitti, infischiandosene della salute e dei diritti delle po- polazioni. Anche le sue istituzioni riflettono la sua natura imperialistica, antidemocratica e antipopolare. Il parlamento europeo, la sola istituzione eletta a suffragio universale, è solo un inutile e dispendiosissimo orpello, che non conta nulla nel determinare le decisioni politiche più importanti e vincolanti, che vengono prese invece da ben altri organismi elitari nominati e controllati dall’alto, quali il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, la Bce e la Commissione europea. Organismi al cui interno, oltretutto, comandano solo i rappresentanti degli Stati più forti dell’Unione, attualmente quelli dell’Europa centro-settentrionale, con in testa la Germania, più la Francia. Mentre l’Italia del nuovo duce Renzi, per quanto cerchi di fare la voce grossa in Europa invocando la “flessibilità” economica, non può uscire dai rigidi binari della politica dettata da Berlino, Francoforte e Bruxelles. La Ue imperialista è anche una superpotenza militare, che in alleanza e allo stesso tempo in competizione con gli Usa, pratica sempre di più una politica espansionista, aggressiva, neocoloniali- sta e interventista, sia sul versante orientale, in Ukraina e nel Baltico, contro la Russia imperialista del nuovo zar Putin, sia sul versante meridionale: verso il Mediterraneo dove le sue flotte militari scorrazzano ormai dappertutto, e verso il Nord Africa e il Medio Oriente, come dimostra la sua partecipazione armata a tutti i conflitti in corso in quelle regioni, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria alla Libia. La Ue si è dimostrata essere anche una superpotenza razzista, xenofoba e fascista, incapace di difendere e garantire i diritti umani, la solidarietà e l’accoglienza. Ed è sempre più orientata ad applicare politiche di respingimento, anche con la costruzione di muri e di reticolati di retaggio nazista alle sue frontiere interne, contro i migranti e le masse di disperati. Anche da essa stessa creati con la sua politica di ingerenza imperialista e di sfruttamento in Africa e in Medio Oriente. Per tutti questi e anche per mille altri motivi la Ue è pertanto irriformabile, e le due sole scelte possibili sono di accettarla così com’è oppure combatterla per distruggerla. Non esistono vie di mezzo, come predicano certe forze della “sinistra” borghese e false comuniste, che cercano di illudere i lavoratori e le masse che sia possibile “democratizzarla” e “cambiarla” in senso popolare, tesi che mirano solo a coprire a sinistra le istituzioni europee e che hanno già dimostrato tutto il loro miserevole fallimento, come la Lista Tsipras per un’“altra Europa” naufragata insieme al vergognoso voltafaccia di Syriza. Ci sono poi altre forze come la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle che chiedono l’uscita dell’Italia dall’Euro, ma si mantengono ambigue sull’uscita dalla Ue, talora avanzando ipotesi di “rinegoziazione” delle condizioni per la permanenza nell’Unione. Ma la sola uscita dall’euro non risolverebbe il problema, perché sicuramente verrebbe fatta pagare a caro prezzo al nostro Paese, come dimostra il criminale ricatto terroristico esercitato contro il popolo greco per costringerlo a restare nell’Unione e accettare gli ulteriori e più feroci sacrifici che gli sono stati imposti. Perciò non basta uscire dall’euro, ma occorre uscire anche e soprattutto dalla Ue, se si vuole ve- ramente liberarsi da ogni vincolo e recuperare la sovranità nazionale: e non solo a livello economico, finanziario e monetario, ma anche politico e militare, se non si vuole restare coinvolti in nuove guerre imperialiste, come quella che potrebbe innescarsi alle frontiere orientali dell’Europa. La recuperata indipendenza e sovranità nazionale creerebbe inoltre un terreno più favorevole nel nostro Paese per la ripresa della lotta di classe anticapitalista per far avanzare le istanze dei lavoratori e delle masse e, in prospettiva, per la conquista del potere politico da parte del proletariato e l’instaurazione del socialismo. Solo il socialismo può portare all’Europa dei popoli. Ma per aprirgli la strada bisogna prima distruggere la Ue. Nel frattempo lottiamo per opporci strenuamente alle sue politiche liberiste e antipopolari e a sue nuove avventure militari contro altri Paesi e altri popoli. In primo luogo lottiamo contro l’imperialismo italiano rappresentato dal governo del nuovo duce Renzi che va abbattuto. L’unico modo, tra l’altro, per tirare fuori l’Italia dalla guerra imperialista contro lo Stato islamico. sindacato / il bolscevico 3 N. 22 - 2 giugno 2016 Sui tre referendum e sulla proposta di legge di iniziativa popolare sulla Carta dei diritti promossi dalla Cgil “La scelta referendaria, a carattere eccezionale e straordinario, è coerente ed è unicamente finalizzata al sostegno della Proposta di Legge di iniziativa popolare che la CGIL avanza con la Carta dei diritti, che è e rimane il cuore e la finalità dell’iniziativa decisa dalla CGIL”. Potremmo partire da queste affermazioni, contenute nel documento conclusivo del Comitato Direttivo della Cgil approvato il 21 marzo a Roma, per fare delle considerazioni sulla raccolta delle firme iniziata sabato 9 aprile e che durerà fino a venerdì 8 luglio per quanto riguarda i quesiti referendari di modifica del Jobs Act e fino a sabato 8 ottobre per ciò che concerne la “Carta dei diritti universali del lavoro”. Le dichiarazioni dei vertici sindacali sono chiare: lo sforzo della Cgil è tutto proteso a far approvare una legge che recepisca la “Carta”, mentre i referendum sono subordinati a questo. Un’impostazione inaccettabile, anzitutto perché la Carta dei diritti del lavoro è dannosa e controproducente per i lavoratori. Cercheremo comunque in questo articolo di fare delle riflessioni che ci aiutino a capire e a distinguere tra le varie questioni che vengono poste sul tappeto. Sì ai tre quesiti referendari Adesso i quesiti ce li ritroviamo davanti e dobbiamo scegliere, non possiamo girarci dall’altra parte. Quindi possiamo firmare quando nelle piazze troviamo i punti di raccolta organizzati dalla Cgil, pur non condividendone le motivazioni e le argomentazioni. Questo non è in contraddizione con i nostri giudizi precedenti perché anche il PMLI è per l’abolizione dei voucher, per la reintroduzione dell’articolo 18 per i neoassunti, per estendere la responsabilità delle ditte appaltatrici anche su appalti e subappalti, che sono oggetto dei tre referendum proposti dalla Cgil. Nel caso i referendum si tenessero davvero il PMLI sarebbe schierato senza esitazione per il Sì, impegnandosi direttamente per abrogare i tre punti specifici del Jobs Act anche se avrebbe preferito un quesito referendario che ne chiedeva la totale cancellazione. Non possiamo certo stare con chi lo difende; da quella parte ci sta chi ha fortemente voluto il Jobs Act, il nuovo duce Renzi e la maggioranza del suo partito, il PD, assieme a chi lo avrebbe voluto ancor più punitivo verso i lavoratori: i vari Brunetta, Berlusconi, Alfano e simili. No alla proposta di legge di iniziativa popolare Diverso è il discorso riguardo alla proposta di legge di iniziativa popolare che recepisce il testo della Carta dei diritti del lavoro: in questo caso non possiamo assolutamente firmare e ribadiamo il nostro giudizio critico. La Carta, ben lungi dall’essere un nuovo Statuto dei Lavoratori che estende le tutele come viene presentata, si adegua e prende atto della precarizzazione del rapporto di lavoro e delle nuove relazioni industriali di tipo mussoliniano. Non combatte apertamente il precariato ma cerca solo di contenerlo e di renderlo meno indigesto ai lavoratori. Ma c’è molto di più. La richiesta a gran voce di attuare l’articolo 39 della Costituzione è un palese tentativo dei sindacati di vedersi assegnato un ruolo istituzionale, diventare parte integrante dello Stato, compensando in questo modo la perdita di autorevolezza avuta in questi ultimi tempi. Per 70 anni questo articolo costituzionale non è mai stato attuato proprio per l’opposizione dei sindacati e in primis della Cgil, perché ne avrebbe minato l’autonomia e avrebbe fatto da freno allo sviluppo della lotta di classe. Con l’istituzionalizzazione e burocratizzazione dei sindacati la Cgil tradisce lo scopo per cui i sindacati sono nati, ovvero rappresentare gli interessi dei lavoratori, allontanandosi definitivamente dalla lotta di classe per avvicinarsi al modello corporativo simile a quello fascista, a braccetto ormai con banchieri e industriali. A questo si aggiunge, nel progetto della Carta dei diritti universali del lavoro, la vera e propria truffa della partecipazione e cogestione nelle aziende, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Che comporta la subordinazione dei propri interessi di classe a quelli della borghesia, un vero e proprio fumo negli occhi per i lavoratori e una resa davanti ai padroni. Chi vuole approfondire la questione può an- dare a leggersi il Documento della Commissione di massa del CC del PMLI pubblicato sul numero 9/2016 del Bolscevico e i successivi articoli di critica alla Carta dei diritti universali del lavoro della Cgil. Tirando le somme ribadiamo che le modalità con cui siamo arrivati alla raccolta di firme non sono condivise dal PMLI, tanto più l’interpretazione data ai referendum, di sostegno alla proposta di legge, non ci trova d’accordo; tuttavia questo non impedisce, giunti a questo punto, ai marxisti-leninisti di firmare. Di fronte all’effettivo svolgimento dei referendum il PMLI non avrebbe dubbi: pur partendo dalle proprie posizioni metterebbe in secondo piano le tante questioni che ci dividono e farebbe fronte unito con la Cgil e con tutti coloro che vogliono abrogare, seppur parzialmente, il Jobs Act. Nessuna firma invece a sostegno della proposta di legge d’iniziativa popolare anche se questa sembra di difficile attuazione stando l’attuale composizione del parlamento, che sarà ancora più nero dopo eventuali controriforme elettorali e costituzionali. In ogni caso non possiamo appoggiare la Carta dei diritti universali del lavoro perché essa non riflette gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, è invece una proposta neocorporativa e cogestionaria funzionale al capitalismo e che trasforma i sindacati in istituzioni dello Stato borghese. Riguardo ai referendum ribadiamo che la posizione dei marxisti-leninisti è legata al tipo di quesito, in base a questo decidono per il Si, il No o l’astensione, facendo la scelta che più si avvicina agli interessi dei lavoratori e delle masse popolari. Rimaniamo però convinti che i diritti sociali, collettivi e individuali si conquistano con la lotta di classe che non può essere sostituita da quella referendaria. Quando su un determinato tema si attiva una forte mobilitazione, da cui scaturiscono grandi manifestazioni di massa, forme di lotta decise, estese e durature, allora anche il referendum, di conseguenza, può rivelarsi uno strumento valido e vincente in grado di ottenere dei risultati. Altrimenti diventa un surrogato della lotta di classe e della mobilitazione popolare, che alimenta illusioni ma è destinato fatalmente all’insuccesso. Facciamo qualche esempio. Prendiamo la lotta che si sviluppò nei primi anni duemila contro il governo Berlusconi quando voleva eliminare l’articolo 18 per i neoassunti (come ha fatto Renzi con il Jobs Act). Una lunga serie di scioperi, manifestazioni, iniziative a tutti i livelli, da parte dei lavoratori con il coinvolgimento degli studenti e dei pensionati pervasero tutta Italia, e culminarono nella più grande manifestazione di piazza mai vista nel nostro Paese, quella del 23 marzo 2002 con 3 milioni di persone a Roma organizzata dalla Cgil. In seguito vi fu anche un referendum per estendere l’articolo 18 alle piccole aziende che non raggiunse il quorum (nonostante 11 milioni di sì) ma le poderose dimostrazioni spinsero lo stesso il neoduce Berlusconi a più miti consigli: non se la sentì di continuare a sfidare i lavoratori, l’opposizione sociale, la stessa Cgil e l’articolo 18 non fu toccato. Nel caso del Jobs Act invece la Cgil ha perso tempo prezioso, illudendosi che l’inconcludente minoranza del PD frenasse i piani di Renzi o che il parlamento nero apportasse delle modifiche al Jobs Act. Era già stato emanato l’apposito Decreto Legge quando fu deciso l’inizio della mobilitazione, e in pratica era già stato approvato dalle Camere quando ci furono le prime iniziative nazionali. Nonostante la disponibilità dei lavoratori a lottare la Cgil, affiancata dalla Uil, non proseguì nella lotta come aveva promesso e quello che doveva essere l’inizio, fu la fine prematura della mobilitazione. Evidentemente non c’era la volontà di radicalizzare la lotta, la Camusso e i vertici sindacali hanno preferito evitare lo scontro frontale con il governo che a quel punto, vista l’intransigenza e l’arroganza di Renzi, era inevitabile se si voleva veramente fermare il Jobs Act, l’eliminazione dell’articolo 18 e il sostanziale depotenziamento dello Statuto dei lavoratori. Di fronte a questo atteggiamento il PMLI ha giustamente dato indicazione ai lavoratori di votare no alla consultazione promossa dalla Cgil che chiedeva il mandato a promuovere i referendum. Non potevamo essere d’accordo con chi preferiva abbandonare la strada della lotta di piazza per abbracciare quella referendaria, oltretutto chiedendo abrogazioni parziali e non totali del Jobs Act. Lo testimonia il fascista doc Accame in un’intervista di 8 anni fa L’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione è da sempre un obiettivo dei fascisti Ora fa parte della Carta dei diritti universali del lavoro promossa dalla Cgil La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende era “il sogno della Repubblica sociale” di Mussolini Giano Accame è stato un intellettuale fascista, morto nel 2009. Per ricordarlo, il 21 aprile di quest’anno il sito Barbadillo ha riproposto una sua intervista senza data ma dai riferimenti è riconducibile a otto anni fa. Sia la rivista politico-culturale che il personaggio in questione sono espressione dell’ideologia fascista. In particolare di quella parte che si autodefinisce “destra sociale” e rivendica apertamente le radici fasciste, il nazionalismo mussoliniano, un’“economia sociale” che, a suo dire, si preoccupi del “popolo” e delle masse lavoratrici, collusa con bombaroli e golpisti ma che spesso non ha disdegnato di strizzare l’occhio a socialisti e anarchici. Accame si definiva “eretico” rispetto al MSI ma ha diretto il suo giornale, il “Secolo d’Italia”, per diversi anni. Perché mai siamo andati a scovare i discorsi di un fascista deceduto sette anni fa e riportati da un oscuro sito web? Essenzialmente per il tema che tratta, ossia la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Un tema oggi richiamato spesso da molte parti politiche, trasversalmente, sia a destra che a “sinistra” e in special modo dai sindacati. In particolare la Cgil nella sua recente Carta dei diritti universali del lavoro ha rivendicato l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, che recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.” Accame nella sua intervista affermava che la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende è sempre stato un obiettivo del fascismo. In special modo di quello definito “rivoluzionario”, ovvero ammantato di fraseologia simil socialista, che a parole diceva di essere innovativo, laico e progres- sista ma che nel concreto si rivelò per quello che era: strumento della borghesia impaurita dall’avanzare della classe operaia e del socialismo, ammanigliato con le gerarchie cattoliche, che riservò dittatura e sfruttamento ai lavoratori, guerre e morte alle masse popolari italiane e ai popoli oppressi dal colonialismo italico. Il corporativismo prima e la cosiddetta “socializzazione” che fu tentata nella “repubblica di Salò” di Mussolini dopo il 1943 (fu emanato in proposito un apposito decreto) sono lì a dimostrare e supportare le tesi di Accame. Certo lui non dice che i lavoratori non vi abboccarono e capirono benissimo, specie nel periodo della cosiddetta “repubblica sociale italiana”, che era solo uno strumento per soggiogare la classe operaia ai piani del regime e in seguito tenerla obbediente per soddisfare i bisogni dell’industria militare nazista. È indubbio però che il tentativo mussoliniano di contrabban- dare il fascismo come una terza via tra socialismo e capitalismo poggiava proprio sul corporativismo e la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Accame ci ricorda che il Movimento Sociale Italiano (MSI) e la Cisnal, partito e sindacato eredi diretti del fascismo, nel dopoguerra hanno sempre presentato progetti e proposte per attuare la partecipazione dei lavoratori nelle aziende ma negli anni ’50 e ’60 erano entrambi emarginati e non avevano voce in capitolo sulla scena politica italiana. Poi bisogna considerare che i lavoratori in maggioranza seguivano la Cgil e il PCI che, seppur a guida opportunista e revisionista, in un periodo di aspre lotte sociali, non avrebbero accettato di legare le mani e i piedi del movimento operaio italiano. Difatti Accame ci ricorda come “Alla base della socializzazione c’è un’idea sociale e nazionale collaborativa, che non si poteva realizzare in un clima acceso di lotta di classe”. Oggi la situazione è ben diversa rilevava Accame otto anni fa: “ormai la lotta di classe non è più un obiettivo delle grandi forze politiche”, tutti i partiti sono appiattiti su di un unico modello di società. E poi, si compiaceva, la partecipazione “coincide con l’art.46 tuttora inattuato della Costituzione, con una Quinta direttiva europea e con la dottrina sociale della Chiesa”. Nonostante sia stata accantonata per tanti anni ne intravedeva sviluppi futuri e si augurava che i sindacati se ne facessero promotori. Lui indicava nella Cisl, allora guidata da Bonanni, la forza trainante in grado di rimettere al centro questa teoria che fu il sogno della “repubblica sociale” di Mussolini come ribadisce più volte lo stesso Accame. Non poteva sapere che la Cgil la riesumasse pochi anni dopo mettendola al centro della Carta dei diritti universali del lavoro. Chiedere l’attuazione dell’arti- colo 46 sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende contenuto nella Costituzione significa abbandonare l’idea stessa per cui è nato il sindacato, ossia difendere e rappresentare gli interessi e le rivendicazioni dei lavoratori di fronte al capitale e sposare il corporativismo, il collaborazionismo di classe e servire gli interessi della borghesia. Il fascismo, neppure nella sua versione “repubblicana” di Salò, non si è mai sognato di eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione, e vedeva nel corporativismo, nella “socializzazione” e nella partecipazione nient’altro che mezzi utili a ridurre la conflittualità e rendere i lavoratori, in nome dell’interesse nazionale, totalmente succubi della propria borghesia. Oltretutto senza riuscire nemmeno a racimolare niente perché, come afferma lo stesso fascista Accame, “la partecipazione agli utili, diviso per migliaia di lavoratori si tratta di spiccioli”. 4 il bolscevico / corruzione N. 22 - 2 giugno 2016 Indagati e impresentabili alle Comunali 2016 Altro che “liste pulite” e “candidati incensurati a prova di casellario giudiziario”: a spulciare le liste che le varie cosche parlamentari di “sinistra”, di centro e di destra, hanno presentato per le amministrative del 5 giugno si scopre che invece sono piene di impresentabili, condannati e indagati per fatti gravi e infamanti legati a tangentopoli e mafiopoli, neofascisti, parenti e amici degli amici spesso anche in palese conflitto di interessi con la carica elettiva a cui aspirano. Tra i casi più clamorosi c’è quello di Napoli dove, in corsa con il PD, ci sono tutti i “galoppini” ripresi nei famigerati video di Fanpage.it, mentre distribuiscono euro fuori dai seggi delle primarie del 6 marzo: Antonio Borriello, Gennaro Cierro e Giorgio Ariosto. Ariosto nel 2011 era in una lista di Totò Cuffaro. Oggi è al fianco di Valeria Valente, la vincitrice delle primarie convalidate nonostante i ricorsi dello sconfitto Antonio Bassolino. A sostegno della Valente corrono anche i verdiniani di Ala fra le cui liste figurano Vincenzo e Vitale Calone, rispettivamente nipote e figlio di Vincenzo Calone senior condannato in via definiti- va per traffico di sostanze stupefacenti e una fedina penale piena di accuse, arresti e denunce che vanno dall’associazione mafiosa, omicidio, droga, armi, ricettazione, frode, assegni a vuoto. Con Gianni Lettieri, capo della coalizione di centrodestra, si ricandida Marco Nonno, che ha lasciato Fdi e si schiera nella civica “Prima Napoli”. Nonno è stato condannato in primo grado a 8 anni e 6 mesi per la devastazione del quartiere di Pianura durante gli scontri anti-discarica del gennaio 2008, ma è rimasto consigliere comunale (e vicepresidente del consiglio) perché la legge Severino non riguarda quelle tipologie di reato. Cinque anni fa Nonno fu il consigliere più votato: 3.604 preferenze. Anche a Milano non manca chi ha avuto a che fare con le aule di tribunale. Marco Osnato (in lista con Fratelli d’Italia per Stefano Parisi sindaco) è stato condannato in primo grado (ora è in attesa dell’appello) a 6 mesi di carcere, con pena sospesa, per “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”. Per atti compiuti come direttore area gestionale dell’Aler, l’azienda che gestisce le case popolari. Osnato è più volte citato (ma mai indagato) anche nelle carte delle inchieste antimafia di Milano. Il nome di Alberto Bellotti (lista civica Stefano Parisi) compare invece nelle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Fabio Rizzi, braccio destro del governatore Maroni, e della zarina dell’odontoiatria Paola Canegrati, detta “Lady dentiera”. Bellotti non è indagato, ma è uno dei personaggi che Canegrati incontra per sondare “eventuali prospettive di collaborazione”. Nella civica di Parisi c’è anche Bryan Ferrentino, volto milanese di Azione Nazionale, il gruppo che ha come promotori neofascisti come Benedetto Tusa, ex membro del gruppo “La Fenice”, l’organizzazione che rappresentava a Milano Ordine Nuovo, il gruppo in cui matu- rò la strage di piazza Fontana. Dall’estrema destra arriva anche Stefano Pavesi, candidato con la Lega: è militante di Alpha, costola di Lealtà e azione, il movimento neofascista che anche questo 25 Aprile ha organizzato una manifestazione per i caduti della “repubblica di Salò”. A Bologna invece il candidato sindaco di Insieme Bologna, Manes Bernardini - ex numero uno della Lega in città – è a processo per peculato nell’ambito della maxi inchiesta sui rimborsi dei gruppi in Regione Emilia-Romagna. Con i Cinque Stelle è candidato consigliere Dalio Pattacini, il giornalista che finì coinvolto nella vicenda delle “interviste a pagamento” (alcuni consiglieri regionali pagavano le ospitate nelle emittenti private): Pattacini inoltre nel 2009 si candidò con l’Italia dei Valori, dunque secondo le regole M5S non avrebbe potuto essere in lista. Il PD ricandida sindaco uscente Virginio Merola, indagato per omissione d’atti d’ufficio per il mancato sgombero di una occupazione abitativa: in altre inchieste simili che lo avevano già coinvolto, va detto, era arrivata l’archiviazione. A Rimini invece il ricandidato sindaco PD uscente, Andrea Gnassi, è indagato per associazione a delinquere e truffa nell’inchiesta Aeradria. A Torino corre con i Moderati di Giacomo Portas (alleato del sindaco PD Piero Fassino) Massimiliano Miano, che ha patteggiato una pena per corruzione elettorale. A Roma col centrodestra è candidato a presidente del Municipio XIII, Enrico Cavallari, ex assessore della giunta Alemanno, indagato per la delibera sulla costruzione di uno shopping center in centro. Indagato nella stessa inchiesta anche Fabrizio Ghera che invece è in lista con Fratelli d’Italia. In lotta per una poltrona ci sono anche le nipoti del duce, Alessandra e Rachele Mussolini, la prima corre in Forza Italia a sostegno di Alfio Marchini, l’altra nella “Lista con Giorgia” per la Meloni; e poi Giuseppe Cossiga, figlio dell’ex capo dello Stato e di Gladio, capolista della “Federazione popolare per la Libertà”. A Cosenza, i verdiniani sono al fianco del PD che candida Medina Tursi Prato, figlia dell’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato, condannato a 6 anni per concorso esterno con la ’ndrangheta e voto di scambio. A Platì, nella Locride, dopo il ritiro della candidata renziana, Anna Rita Leonardi, il PD ha presentato due liste per conquistare il governo del comune che vanta tre scioglimenti per mafia in 12 anni. La prima si chiama Liberi di ricominciare, è guidata da Rosario Sergi, esponente del Pri e già candidato sindaco, sconfitto, nel 2009; la seconda è Platì Res Publica ed è capeggiata da Ilaria Mittiga, figlia di Francesco Mittiga: ex militante del Fuan, un passato recente da sindaco (eletto due volte con il supporto di liste civiche), arrestato nel 2003 per mafia, nel 2014 si era candidato per la terza volta ma non raggiunse il quorum. Una carriera e un’eredità politica a dir poco torbida che ora passa in eredità diretta alla figlia. Per corruzione elettorale Arrestato David (FI ex PD) consigliere comunale di Messina Ai domiciliari Capurro (FI), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa La compravendita di voti sarebbe avvenuta a Messina, durante le elezioni tra il 2012 e il 2013, indistintamente per le politiche, le regionali e le comunali, gestita dalle cosche mafiose peloritane in sinergia con i politicanti borghesi del territorio. In cambio venivano promessi agli elettori posti di lavoro, prestazioni sanitarie e addirittura generi alimentari. Non che sia una novità il condizionamento criminale delle elezioni borghesi, il problema è conosciuto sin dal periodo post unitario, certo è che questa volta la Procura di Messina con l’inchiesta “Matassa” è riuscita a portare alla luce l’intrico d’interessi illeciti tra politicanti borghesi e mafia, fornendo nomi, cognomi e appartenenza partitica dei responsabili. Sono stati in 35 a finire agli arresti: 26 in carcere e 9 ai domiciliari. Il provvedimento di custodia cautelare, che ha suscitato grande scalpore è quello nei confronti di Paolo David, ex capogruppo del PD, eletto in consiglio comunale con 1.500 voti prima di passare a Forza Italia armi e bagagli, per seguire il suo padrino, Francantonio Genovese, ex-segretario siciliano del PD, arrestato nel 2015 per associazione a delinquere e truffa. David, per la verità era già conosciuto e chiacchierato per lo scandalo gettonopoli, in quanto detiene il record italiano della partecipazione più veloce ad una riunione di commissione comunale: poco meno di venti secondi, per intascare l’intero gettone di presenza. Attualmente David fa parte del gruppo Grande Sud, formazione politica fondata qualche anno fa da Gianfranco Micciché, da qualche mese coordinatore regionale di FI. Nell’intero capitolo dedicato ai rapporti con la politica, il consigliere comunale David è ac- La mafia messinese compra i voti cusato di corruzione elettorale: avrebbe raccolto un elevato numero di voti per sé grazie all’aiuto della criminalità organizzata, ma anche per esponenti della politica regionale e nazionale, come il deputato regionale di Forza Italia Franco Rinaldi, ex PD, cognato di Francantonio Genovese, e per quest’ultimo alle elezioni regionali dell’ottobre 2012, (quelle che portarono all’elezione di Rosario Crocetta, sostenuto dal PD, anche da quello messinese) per le politiche del febbraio 2013 e per le amministrative del giugno 2013 a Messina. Probabilmente la Procura dovrà approfondire le posizioni di Francantonio Genovese e di suo cognato Franco Rinaldi, allo scopo di chiarire se fossero al corrente che il loro braccio destro, Paolo David, gli procacciava voti grazie ai suoi contatti con esponenti di primo piano delle cosche mafiose messinesi. Che al tempo della compravendita si trattava di dirigenti del PD non va dimenticato, per comprendere su cosa si sia basato il sostegno persino ai massimi dirigenti nazionali e regionali del partito di quelli che allora erano i “signori delle preferenze” del partito di Renzi, capaci di raccogliere migliaia di voti ad ogni elezione. Non solo, oltre che nelle elezioni citate ci sarebbe stata una compravendita di preferenze anche per le primarie PD per scegliere il candidato sindaco nel 2013. Per capire di che pasta sono fatti gli attuali dirigenti del PD è doveroso un inciso: l’arresto dell’ex-PD, oggi FI, David dovrebbe fargli perdere la poltrona comunale. Avrebbe dovuto subentrargli il primo dei non eletti PD alle amministrative del 2013, cioè Giovanni Cocivera, medico ginecologo, arrestato qualche giorno fa con l’accusa di aver praticato aborti clandestini a pa- gamento. Non solo il PD, ma anche FI di Berlusconi vi è dentro fino al collo. A parte David che è transitato nel partito del neoduce, anche l’ex consigliere comunale, Giuseppe Capurro, del PdL, eletto dal 27 novembre 2005 al 7 aprile 2008 e candidato per il rinnovo del consiglio comunale del 2012, anche se non rieletto, è ai domiciliari accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver contribuito alla realizzazione degli scopi e al rafforzamento dell’associazione mafiosa del rione Camaro, guidata da Carmelo Ventura. Il sindaco Accorinti cade dalle nuvole. “Queste accuse – dichiara – sono gravissime e minano ulteriormente la democrazia, le istituzioni e la fiducia, confermando che purtroppo la città resta un ‘verminaio’”. Il problema più importante è però che il verminaio ha la testa nelle istituzioni borghesi che lui stesso dirige e sostiene. La strada proposta da Accorinti, come dimostra l’indagine è miseramente fallita, così come è evidente che la sua giunta non ha spostato di un millimetro gli equilibri a Messi- na e non ha migliorato in nulla le condizioni delle masse popolari. Il fatto è che la corruzione, così come le mafie che la alimentano, è dentro il suo Comune, è gestita da coloro che risultano eletti. La corruzione è un cancro che nasce dal capitalismo, perché è connaturato e funzionale ad esso, e come tale non risparmia angolo del Paese o settore della società borghese. E Accorinti lo sa benissimo. Per estirparlo occorre estirpare il capitalismo che è la radice della corruzione e della mafia, per far posto al socialismo basato sulla dittatura del proletariato, l’unico potere politico capace di mettere veramente al bando e sconfiggere per sempre le mafie e la corruzione. Intanto gli elettori di sinistra messinesi devono riflettere a fondo su quanto è avvenuto, abbandonare il PD al suo destino di partito al servizio della mafia, abbandonare a sé anche queste istituzioni corrotte e adottare la linea elettorale del PMLI, basata sulle Assemblee popolari e i Comitati popolari, per Messina governata dal popolo e al servizio del popolo. Appello Mediatrade Confalonieri e Piersilvio Berlusconi condannati a 1 anno e 2 mesi Il 17 marzo i giudici della seconda corte d’Appello di Milano hanno ribaltato la sentenza di assoluzione in primo grado del luglio 2014 e hanno condannato Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri a 1 anno e 2 mesi nell’ambito del procedimento scaturito dall’inchiesta sulla compravendita dei diritti tv nel 2003. Secondo la Corte presieduta da Marco Maiga, giudici a latere Laura Cairati e Alberto Puccinelli (che assolse Berlusconi senior per il caso Ruby), gli attuali vicepresidente e il presidente Mediaset sono “colpevoli” di frode fiscale aggravata dalla transnazionalità “limitatamente” ma limitatamente all’anno di imposta 2007. Il processo è scaturito da uno stralcio del processo Mediaset in cui Silvio Berlusconi nel maggio 2013 è stato condannato a 4 anni di reclusione, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e 3 anni dagli uffici direttivi, con conseguente destituzione dalla carica di parlamentare e sconto di pena di 10 mesi e mezzo in affidamento in prova ai servizi sociali. Il Pubblico ministero, Fabio De Pasquale, applicato al procedimento come procuratore generale, aveva chiesto per Berlusconi junior tre anni e due mesi di carcere, per Confalonieri tre anni e quattro mesi e per gli altri sei imputati pene fino ai cinque anni. La condanna si riferisce al solo anno 2007 in quanto per il 2006 è già scattata la tagliola della prescrizione mentre per quanto riguarda il 2008, grazie alle leggi ad personam di Berlusconi, i due boss del Biscione sono stati assolti perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Non solo. Secondo i calcoli anche il reato contestato per l’anno 2007 si prescriverà entro fine anno e perciò sia a Confalonieri che a Berlusconi junior sono state riconosciute le attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e la non menzione. Secondo l’accusa quello della compravendita dei diritti tv “gonfiati” è un vero e proprio “sistema di frode che dura da vent’anni... un andazzo a cui Pier Silvio Berlusconi non riusciva a sottrarsi e che Fedele Confalonieri ha tollerato per anni”. La frode era stata stimata in circa 8 milioni di euro in relazione al bilancio consolidato di Mediaset per gli anni 2006, 2007 e 2008. Secondo il procuratore, la compravendita dei diritti tv è stata gestita con “volontaria cecità” da parte di Pier Silvio Berlusconi. Per il magistrato, la consapevolezza troverebbe dimostrazione nel fatto che è “il figlio di Silvio Berlusconi (già condannato in via definitiva per frode fiscale a quattro anni, di cui tre coperti da indulto per fatti analoghi)... è ai vertici della società” e perciò “come può non essersi accorto?” del mercimonio messo in atto dalla sua azienda. Assolti invece il produttore statunitense Frank Agrama, gli ex manager del gruppo Gabrielle Ballabio, Daniele Lorenzano e Giovanni Stabilini, e le due cittadine di Hong Kong, Paddy Chan Mei-You e Catherine Hsu MayChun. Agrama, con l’assoluzione in secondo grado, potrebbe rientrare in possesso dei 140 milioni sequestrati ai tempi dell’indagine su un conto corrente in Svizzera. lotta sindacale / il bolscevico 5 N. 22 - 2 giugno 2016 Indetto da Flc-Cgil, Cisl-scuola, Uil-scuola, Snals Sciopero generale dei lavoratori della scuola, universita’ e ricerca e precari contro la “Buona scuola” “Giannini dimettiti”. Slogan contro Renzi, la meritocrazia e la gerarchizzazione. Chiesto lo sciopero generale Migliaia di lavoratrici e lavoratori nelle piazze di moltissime città venerdì 20 maggio giornata di sciopero generale proclamato da FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, UIL RUA e SNALS Confsal per la scuola, l’università, la ricerca e l’AFAM (alta formazione artistica e musicale) per protestare contro il mancato rinnovo del contratto, punto principale e molto sentito, ma anche contro la devastante legge 107, la contestatissima “Buona scuola” di Renzi e Giannini, che ha cancellato quel poco che era rimasto della scuola pubblica e dei diritti dei lavoratori. Nelle motivazioni dei maggiori sindacati confederali di categoria “il rinnovo del contratto, scaduto da più di sette anni; per una riforma ‘calata dall’alto’, che ha portato storture nelle scuole; per il problema irrisolto del precariato; per l’odiata valutazione; per far tornare visibile il personale Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari), sottoposto al blocco delle immissioni in ruolo, al divieto di sostituire assenze, a carichi di lavoro sempre più pesanti”. Una piattaforma limitata e una mobilitazione tardiva, a fine anno scolastico e scarsamente pubblicizzata, che ha, purtroppo, visto un’adesione non fra le più alte (il 9%, secondo il Dipartimento della Funzione Pubblica, il 20% come sostengono i sindacati, il 50% come rivendicano i sindacati toscani), anche se molto motivata e agguerrita. Grave la mancata mobilitazione degli studenti, quasi del tutto assenti dai cortei. Si è preferito, come sempre, da parte della Cgil in particolare, aspettare e mediare per mantenere l’unità sindacale delle sigle piuttosto che l’unità di lotta con i lavoratori. Contratto subito, aumenti stipendiali europei e la cancel- lazione del bonus meritocratico per gli insegnanti, l’abrogazione e non la riforma della contestatissima 107 e la valutazione degli insegnanti, la stabilizzazione dei precari, l’immissione in ruolo degli ata, maggiori investimenti per la scuola pubblica, sono stati gli slogan che hanno animato le manifestazioni e le scritte di cartelli e striscioni ironici e critici che hanno tappezzato i cortei e le piazze in lotta. Non sono mancate bordate al governo Renzi e alla ministra Giannini, della quale molti cortei e dal palco di Cagliari sono state chieste le dimissioni. Molti i precari e il personale ata colpito doppiamente dalla 107 e dalla Legge di stabilità che prevede tagli organici e alle sostituzioni del personale assente. Nei comizi delle manifestazioni delle principali città i rappresentanti delle sigle sindacali si sono sbracciati per criticare le anomalie della legge, le ingiustizie e le problematiche aperte ma non un cenno di autocritica per una mobilitazione che arriva dopo la sua attuazione, dopo tante proteste, scioperi e contestazioni inascoltate da parte di docenti, ata, studenti e genitori su una legge che irregimenta la scuola, il personale e gli studenti. Una delle motivazioni principali dello sciopero è il mancato rinnovo del contratto, fermo dal punto di vista economico al 2009; questo blocco penalizza fortemente i lavoratori che hanno visto le loro retribuzioni perdere su base annua circa 1.440 euro, per un totale di 11.500 euro in sette anni. Da Milano a Palermo, passando per Torino, Firenze, Roma, Napoli, moltissime le mobilitazioni e i cortei dei lavoratori per far sentire la loro voce. La manifestazione regiona- Firenze, 20 maggio 2016. Sciopero e manifestazione degli insegnanti e personale ATA Firenze, 20 maggio 2016. Sciopero e manifestazione degli insegnanti e personale ATA (foto Il Bolscevico) le più importante si è svolta a Roma: partita da Porta San Paolo (Piramide) si è conclusa al Ministero dell’Istruzione in Viale Trastevere. Dal palco Maddalena Gissi (Cisl): “Il Governo non può fare le orecchie da mercante. Ha il dovere di aprire nei prossimi giorni il confronto con i sindacati”, giusto ma come se il suo sindacato non avesse colpa alcuna. Presso il Miur presidio dei lavora- tori dell’università, della ricerca e dell’AFAM fin dalla mattina. A Torino in occasione dello sciopero è stata organizzata una manifestazione regionale in Piazza Bodoni. A Milano altra manifestazione regionale contro la ‘Buona Scuola’ in piazza alla Scala davanti a Palazzo Marino. Anche a Trieste manifestazione regionale con ritrovo in Piazza della Borsa. A Firenze docenti, ata e precari sono partito da piazza Demioff e in corteo hanno raggiunto piazza Strozzi, attraversando parte della città. Qui il comizio di Domenico Pantaleo, segretario nazionale Cgil-Scuola, che in una piccola piazza dismessa per una manifestazione regionale, ha arringato i presenti con frasi fatte “Non solo la scuola non migliora ma rischia di peggiorare”. E ha preferito pubblicizzare il referendum sulla 107 e la Carta dei diritti universali piuttosto che i prossimi appuntamenti di lotta. Presenti alcuni compagni del PMLI e lavoratori della scuola, che hanno animato il corteo riportando parole d’ordine del Partito, anche scritte sui corpetti, ben accolte e molto fotografate dai presenti. A Napoli il corteo regionale si è snodato da piazza Dante a piazza Matteotti dove ha chiuso con un comizio Pino Turi, leader della Uil scuola. A Bari, la manifestazione regionale è partita dal concentramento in piazza San Ferdinando. Ai lavoratori della scuola si sono uniti quelli delle università, degli enti pubblici di ricerca, delle accademie e dei conservatori. A Trento presidio sotto il Consiglio provinciale in Piazza Dante dalle ore 10 alle 13. Per il Molise presidio unitario presso l’Ufficio Scolastico Regionale Molise, in Via Garibaldi a Campobasso. Presidio a Terni sotto la Prefettura. Per l’Abruzzo attivo regionale con Conferenza Stampa Pescara.A Palermo un corteo da piazza Verdi fino alla Prefettura, a Catania assemblea cittadina al Teatro Stabile, sit in davanti le Prefetture ad Agrigento, Enna, Messina, Caltanissetta, Siracusa, Ragusa e Trapani. Manifestazioni a Cagliari e a Olbia: nel capoluogo sardo i sindacati hanno organizzato un presidio con bandiere e striscioni davanti alla sede dell’Ufficio scolastico regionale nella centrale via Roma. Proprio dalle città sarde sono arrivate le critiche pesanti. “Chiediamo le dimissioni del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e se non ci saranno risposte siamo pronti a proclamare lo sciopero generale”, ha detto il segretario nazionale di Flc Cgil, Luigi Rossi. Il ministro Giannini ha risposto, infastidita: “Abbiamo assunto centomila insegnanti, stiamo facendo il concorso per altri 63 mila, stiamo provvedendo anche alla questione del personale Ata, abbiamo messo 4 miliardi di risorse fresche, più i soldi per l’edilizia”. Ma forse crede che ci siamo dimenticati dei tagli già fatti al personale e alle risorse, mettendo praticamente in mano ai privati le scuole e le università pubbliche. Intanto l’Unione Sindacale di Base ha proclamato per il prossimo 25 maggio lo sciopero nazionale di 24 ore dei lavoratori addetti alle pulizie e al decoro nelle scuole. Roma 60 mila pensionate e pensionati invadono piazza del Popolo per rivendicare diritti e dignità Il 19 maggio scorso con lo slogan “A testa alta: tutti insieme per rivendicare diritti e dignità dei pensionati”, in ben 60 mila hanno invaso Piazza del Popolo a Roma, per la manifestazione nazionale indetta da Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil. Senza badare a sacrifici e acciacchi decine di migliaia di pensionate e pensionati sono partiti da ogni parte della penisola, in alcuni casi anche nella notte, decisi a lottare per il rispetto di diritti oggi negati. “Saremo anche vecchi ma non siamo ancora morti, ha commentato Clara, di Oristano, che poi con fierezza aggiunge: “e continueremo a lottare anche per i nipoti”. Con questa bella prova di forza sindacale le pantere grigie son tornate a rivendicare al governo Renzi e al parlamento la tutela del potere di acquisto delle pensioni e il recupero del danno prodotto dal blocco della rivalutazione; la difesa delle pensioni di reversibilità; la separazione tra previdenza e assistenza; la parificazione fiscale tra pensionati e dipendenti, e non ultimo l’estensione degli 80 Cgil e UIL Pronti allo sciopero generale euro alle pensioni più basse. Ma i pensionati chiedono anche la modifica delle legge Fornero per facilitare la flessibilità in uscita e permettere l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro; maggiori risorse per l’invecchiamento della popolazione e una legge quadro per la non autosufficienza. Si chiede poi al governo la ripresa immediata del tavolo di confronto avviato 18 mesi fa e poi bruscamente interrotto con il ministro Poletti per “trovare insieme le soluzioni alle situazioni di difficoltà di milioni di pensionati italiani che, oramai da anni, sono il bersaglio di una politica che specula sulla loro pelle solo per fare cassa”. A riprova che i pensionati sono la fetta di popolazione più tartassata dagli ultimi governi vi è una ricerca dello Spi Cgil da cui risulta che, fra tasse e blocco della rivalutazione degli assegni, i pensionati italiani versano allo Stato 70 miliardi di euro l’anno: circa 60 Roma, 19 maggio 2016. La manifestazione dei pensionati in piazza del Popolo miliardi al fisco, di cui 50 di Irpef e 10 fra addizionali regionali e comunali. E poi ci sono i 10 miliardi recuperati dalle pensioni superiori a tre volte il minimo (1.500 euro lordi), per l’effetto trascinamen- to del blocco della rivalutazione 2012-2013. Il risultato è che i pensionati versano al fisco 3 miliardi in più rispetto ai lavoratori attivi, che beneficiano di maggiori detrazio- ni fiscali e degli 80 euro. Un pensionato con un assegno da 1.000 euro al mese paga 1.207 euro in più all’anno rispetto ad un lavoratore; 1.260 euro in più per chi prende 1.200 euro, e 1.092 euro in più per chi ne prende 1.600. “Sono problemi – osserva Ivana Galli della Flai Cgil, anch’essa in piazza – sui quali vanno individuate risposte concrete che possano rimediare ai danni causati dalla riforma Fornero. Di certo non possono essere i pensionati e i lavoratori più deboli a pagare ulteriormente per scelte sbagliate della politica”. Sul palco dei comizi i segretari generali di categoria, per Spi, Ivan Pedretti, per Fnp Gigi Bonfanti, per Uilp Romano Bellissima. Oltre ai segreterari generale di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. E proprio da questa piazza, Cgil e Uil hanno annunciato che senza risposte univoche da parte del governo, che incontreranno il prossimo 24 maggio, si sta già valutando uno sciopero generale. Molto più cauta e pompiera la Cisl, che per bocca della sua segretaria generale ha detto che “prima di scioperare bisogna parlare dei contenuti” (sic!). Speriamo che i primi due non sbrachino per l’ennesima volta e che la montagna non partorisca il classico topolino. È da tempo che sono mature e improcrastinabili le ragioni per indire almeno uno sciopero generale nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma. Una mobilitazione di massa di tutto il mondo del lavoro che già giungerebbe con abissale ritardo rispetto al devastante attacco ai diritti dei lavoratori condotto dal governo del nuovo Mussolini Renzi, e dai precedenti governi. E per capirlo, basta guardare Oltralpe, dove da settimane la classe operaia e le masse lavoratrici francesi si stanno battendo come leoni contro il governo Hollande che vuole imporre una sorta di Jobs Act in salsa francese. elezioni comunali del 5 giugno / il bolscevico 7 N. 22 - 2 giugno 2016 Alle elezioni comunali del 5 giugno a Caltagirone Astieniti, non votare i partiti borghesi al servizio del capitalismo. Lotta per il socialismo Documento dell’Organizzazione di Caltagirone del PMLI Anche Caltagirone si prepara alle elezioni comunali del prossimo 5 giugno, in un momento tutt’altro che sereno per le masse popolari vittime della crisi economica e finanziaria del capitalismo e deluse dai grandi fallimenti degli ex sindaci Pignataro e Bonanno. La città, infatti, è attualmente governata dal commissario Mario La Rocca, approdato nel Palazzo dell’Aquila dopo che il sindaco Bonanno di “centro-destra” aveva dichiarato il dissesto economico ed era stato sfiduciato insieme alla sua giunta. Mentre Bonanno, però, è scomparso dalla scena politica della città, il dirigente scolastico dell’istituto “Alessio Narbone”, Franco Pignataro (PD), scende di nuovo in campo puntando sull’“esperienza” dei suoi dieci anni sulla poltrona di sindaco (dal 2002 al 2012). L’altra parola su cui i suoi slogan puntano (come quelli di tutti, del resto) è “respon- sabilità”, infatti ammette di avere avuto delle consistenti responsabilità nell’indebitamento della città, ma allo stesso tempo condanna la scelta di dichiarare il dissesto e porta come esempio la Catania di Bianco che ha evitato di giungere a tali conseguenze estreme. La ricetta di Pignataro, dunque (come quella del sindaco Bianco) è di chiedere aiuti a Roma per uscire fuori dalla difficile situazione economica. Principale competitor dell’ex sindaco è certamente Gino Ioppolo, il quale ambisce, riunendo sotto il suo nome quasi tutta la destra cittadina (PDR, Forza Italia, Sicilia futura), ad aggiungere alla sua collezione di cariche, tra cui quella di vicepresidente della provincia nella giunta Musumeci e di deputato regionale, la carica di neopodestà della sua città. La grande furberia di questa campagna elettorale sta nell’aver piazzato nell’ipotetica giunta Ioppo- Caltagirone (Catania), 5 marzo 2016. La protesta dei dipendenti comunali lo Sabrina Mancuso (candidatasi alle precedenti elezioni), dirigente scolastico del Liceo “Secusio”. In conclusione, la guerra tra la destra di Ioppolo e il “centro-sinistra” di Pignataro si svolge all’interno delle scuole dei due presidi (Mancuso e Pignataro), a colpi di Fanfaronate e falsità di De Magistris. Ma quale rivoluzione a Napoli! Il sindaco arancione uscente si rimangia le dure espressioni contro Renzi pronunciate in un comizio Redazione di Napoli Come avrebbero fatto senza dubbio Eduardo De Filippo e Totò con un pernacchio o un “Ma mi faccia il piacere”, così si dovrebbe rispondere alla continua smania di protagonismo del neopodestà uscente di Napoli, Luigi De Magistris, che a quasi ogni uscita elettorale parla di “rivoluzione”. La politica sull’ambiente è un “miracolo” fatto dalla giunta arancione, il piano di Bagnoli “lo abbiamo fatto noi e non Renzi”, i fondi europei a Napoli Est, secondo l’ex pm, “stanno andando bene” (eh?), la cultura e il turismo sono un’occasione per cre- are lavoro perché “i giovani dei quartieri popolari possono impugnare, anziché una pistola, una chitarra, un violino, un pianoforte: la cultura deve essere una occasione per mangiare”; col suo governo De Magistris ritiene che si sta addirittura “riscattando non solo Napoli, ma il Mezzogiorno”. Eppoi, reddito di cittadinanza, risanamento dei conti e altri dischi rotti di cui né i giovani disoccupati né quelli dei quartieri periferici né le masse popolari in generale, che già lo bocciarono nel 2011 con il più alto astensionismo della storia napoletana dal dopoguerra ad oggi, riescono a percepire i favori. Fino a rimangiarsi le “parole di fuoco” dei suoi comizi contro Renzi su invito della stampa del regime neofascista, sostituite da più teneri periodi, “sono state parole di passione, di cuore”. E allora, quando De Magistris continua nella sua megalomania, nel suo narcisismo, nel suo presenzialismo e presidenzialismo asfissianti, ci vorrebbero proprio quei pernacchi e quando afferma che Napoli non è mai stata per tanti aspetti una città migliore di come lo era in passato, si dovrebbe dire con sagacia, ma al contempo fermezza “Signor De Magistris, ma mi faccia il piacere!”. Fautori del socialismo! Create le istituzioni rappresentative delle masse, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta, per combattere i governi borghesi, per difendere gli interessi delle masse e lottare contro il capitalismo, AST IEN I TI per il socialismo Perché dal popoloi comuni siano go vern e al serviz io del popoati ci vuole il socialis lo mo NON VOTARE I PARTITI BORGHESI AL SERVIZIO DE CAPITALISMOL Delegittimiam le istituzioni o rappresentat borghesi ive CREIAM O LE RAPPRESE NT IVEISTITUZIONI DE FAUTRIAT CI DE LLE MASSE PARTITO MARXIST L SOCIALISMO A-L ENINISTA ITALIA NO Sede central e: Via Antoni Tel. e fax 055.512 o 3164 e-mail:del Pollaiolo, 172a commissioni@p - 50142 FIRENZ E mli.it www.pmli .it accuse a chi incassa di più per i propri progetti e usando i luoghi di crescita degli studenti calatini come un palco per comizi. La destra di Ioppolo punta ad una privatizzazione spietata e ad attrarre ad ogni costo l’imprenditoria per “combattere la crisi” e dunque per favorire qualche vecchia conoscenza sulle spalle delle masse popolari. Il Movimento 5 Stelle propone come candidato sindaco l’attivista Giulio Sinatra ripetendo le classiche parole pentastellate “trasparenza” e “cambiamento” di volti e mai di sistema economico. Come gli altri partiti borghesi concorrenti non tocca minimamente il capitalismo che è la causa di tutti i mali di cui soffrono le masse, a cominciare dalla disoccupazione e dalla miseria. Il fronte nazionale siciliano torna in campo col nome del docente di religione cattolica Giacomo Cosentino per tentare una politica di accentramento di tutti i poteri nell’ente comunale. Per fingere di designare un candidato più a sinistra del PD, Caltagirone Bene in comune affronta la campagna elettorale con il candidato Fabio Roccuzzo che inizia a riempirsi la bocca di bellissime promesse di miglioramento delle periferie, acqua pubblica, concretezza. La sua bacchetta magica consisterebbe nel fare affidamento sul volontariato per favorire le casse comunali e sfruttare le masse che non verrebbero mai pagate in nome di falsi ideali. Giuseppina Giannetto (Area popolare), erede dell’esperienza Bonanno, in quanto medico ha il suo perno nella questione dei servizi sanitari, per cui propone l’autonomia dell’ospedale calatino dall’ASP di Catania. Il PMLI, nemico della borghesia, del capitalismo e del suo Stato, da sempre agisce al di fuori delle istituzioni rappresentative borghesi e lotta contro di esse, prendendo le distanze da tutte le liste, sia da quelle di destra che da quelle della “sinistra” borghese, tutte al servizio del capitalismo. L’invito è, quindi, quello ad astenersi alle prossime elezioni per sfiduciare le istituzioni borghesi, considerando l’astensionismo come un voto dato al PMLI e alla causa del socialismo. Inoltre il PMLI propone di creare in ogni quartiere, in contrapposizione alle istituzioni rappresentative borghesi, le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia i Comitati popolari e le Assemblee popolari, composte anche dalle ragazze e dai ragazzi di 14 anni, basate sulla democrazia diretta e con rappresentanti revocabili in qualsiasi momento. Dobbiamo batterci per rivendicare i nostri diritti, in primo luogo per: LAVORO A Caltagirone il tasso di disoccupazione, specie giovanile, sfiora livelli altissimi. Oltre a lottare per avere garantito il diritto al lavoro, occorre abolire il caporalato nei settori edile e agricolo e il lavoro nero nelle campagne; SCUOLA Mentre alcune scuole hanno ricevuto finanziamenti e hanno così potuto ristrutturare gli edifici, altre scuole cadono a pezzi. Il caro libri e le tasse d’iscrizione che aumentano di anno in anno non rendono la scuola realmente pubblica. Dunque occorre lottare affinché la scuola sia gratuita e accessibile a tutti, governata direttamente dagli studenti. I giovani devono avere il diritto di istruirsi e lavorare nella propria città senza dover fuggire all’estero; SANITà Deve essere gratuita, accessibile a tutti ed efficiente. Mentre alcune aree del nostro ospedale sono state ristrutturate, altre cadono a pezzi e sono sovraffollate; ACQUA L’acqua, che spesso viene a mancare nelle abitazioni, dev’esserci per tutti e sempre; RIFIUTI La raccolta differenziata dei rifiuti, in alcuni quartieri è inesistente, va estesa a tutta la città e la gestione non va affidata ai privati; INFRASTRUTTURE I collegamenti nella zona del calatino sono pessimi (basti pensare alla rete ferroviaria bloccata dal crollo del ponte tra Caltagirone e Niscemi) e a farne le spese più di chiunque altro sono gli studenti e i lavoratori pendolari. Devono essere fatti tutti gli interventi necessari. Perché Caltagirone sia governata dal popolo e al servizio del popolo, occorre il socialismo. Abbandoniamo perciò ogni illusione elettorale, parlamentare, governativa, riformista e costituzionale e uniamoci per lottare contro il capitalismo, la nuova giunta di Caltagirone, il governo del nuovo duce Renzi, per l’Italia, unita, rossa e socialista. Corrispondenza delle masse Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico” Alle comunali di Bolzano L’astensionismo vola al 44,22% Il “centro-sinistra”, con l’ex DC Caramaschi, si aggiudica il sindaco Risultato quasi scontato alle comunali di Bolzano, con la vittoria di Renzo Caramaschi, “centro-sinistra”, ossia sinistra iperborghese, ex-City manager (tutto dire), provenienza sinistra DC, poi “Rete” di Leoluca Orlando, che si è affermato con il 55,27% dei voti validi, contro Mario Tagnin, “centro-destra” (Lega compresa, ma anche Casa Pound), medico odontoiatra, che si ferma al 44,73% dei voti validi. Fortissima l’astensione, mai così alta: 41,22%, ossia più di due quinti dei possibili votanti si è astenuto; astensione, certo, in gran parte inconsapevole, non “cosciente” come invece è quella attiva dei marxisti-leninisti, sempre ribadita nei documenti del PMLI e negli articoli de “Il Bolscevico”. Un astensionismo critico, “attivo”, appunto che, come spiegato in molte occasioni, non vale “per sempre”, ma senz’altro ora, in questa condizione socio- economica italiana ed europea. 30 e ancora 20 anni fa sentivo dire (quando ci abitavo): “Tanto sono tutti uguali”, cosa che vale ancora. Delusione verso ogni forza politica, per una politica antipopolare, che sia stato al governo locale il “centro” o il “centro-sinistra”, nel campo dell’edilizia abitativa, della tutela dell’ambiente, della raccolta dei rifiuti (la città è sporca), di discriminazione verso i quartieri popolari e nei confronti dei migranti; verso le scuole private cattoliche che sono ipertutelate e verso lo strapotere della chiesa cattolica che è praticamente sconfinato. Caramaschi ha vinto non tanto per l’apporto di voti di “sinistra” (Verdi-Sel, Sinistra italiana, IDV), ma perché al ballottaggio sono confluiti i voti della SVP, partito di raccolta centrista, che si ispira al Partito Popolare Europeo, con forti tendenze verso destra, clericale, ma capace di proporre anche un candidato sindaco al primo turno, Christoph Baur, massone dichiarato se pur in sonno. Rimane il risultato negativo della destra, dipendente dal fatto che Giorgio Holzmann, storico dirigente (provenienza MSI-Alleanza nazionale) si era espresso contro l’appoggio al candidato Tagnin al secondo turno. Vecchie rivalità anche di carattere personale, ma riconducibili in parte anche a vecchie ruggini tra ex-fascisti e “centristi” di area ex-PDL/ Forza italia, con il “terzo incomodo”, cioè la Lega.... L’omologazione tra destra e “sinistra” borghese è ormai consolidata, al punto che nei quartieri popolari (Don Bosco, in particolare) i voti di “centro-destra” prevalgono su quelli di “centro-sinistra”; anche la minaccia di Casa Pound, con quasi il 7% dei voti validi al primo turno pesa. Un lettore de “Il Bolscevico” originario di Bolzano 8 il bolscevico / 50° anniversario della GRCP N. 22 - 2 giugno 2016 Autocritica dei leader delle Guardie rosse di Pechino dopo un colloquio con Mao L’importante documento che riportiamo qui di seguito si riferisce a un colloquio tra Mao e i leader delle Guardie rosse di Pechino. Questo colloquio si tenne il 28 luglio del 1968, la notte dopo che una fazione di Guardie rosse dell’Università Qinghua (Pechino), guidata da Kuai Dafu, ebbe aperto il fuoco su una squadra operaia di propaganda giunta nell’ateneo per mettere fine agli scontri violenti che, da tempo, stavano impegnando diversi gruppi di Guardie rosse. Questi scontri erano totalmente al di fuori della linea di Mao per la Rivoluzione culturale proletaria e le stavano causando gravi danni, in quanto, oltre a portare sofferenza e distruzione alle masse, inducevano molti operai e studenti al disimpegno e alla passività, disgustati dall’entità delle violenze. L’autocritica del 30 luglio, firmata dai dirigenti delle Guardie rosse di Pechino, da cui emerge l’atteggiamento corretto, premuroso, educativo, critico e autocritico di Mao, è sufficiente a spazzare via tutte le falsificazioni, pubblicate su “il manifesto” trotzkista del 19 maggio 2016 circa il rapporto fra questi e le Guardie rosse, svelando che non le volle mai reprimere nel sangue dopo essersene servito per i propri scopi, bensì le incoraggiava all’unità e a imparare dai propri sbagli. Vanno naturalmente considerati superati i giudizi positivi su Lin Biao, che allora era il successore designato di Mao ma che avrebbe poi tradito rivelandosi un rinnegato e arrivista. Per “ordine del 3 luglio”, “ordine del Guangxi” e “ordine dello Shaanxi” (queste ultime sono province cinesi) si intendono direttive con le quali il Comitato centrale del Partito comunista cinese ordinava l’interruzione degli scontri armati. Il 28 luglio, dalle 3:30 di notte alle 8:30, il nostro grande dirigente il presidente Mao e il suo stretto compagno d’armi il vicepresidente Lin Biao hanno convocato noi cinque. L’essenza delle importanti direttive date dal Presidente è che dobbiamo accogliere e sostenere l’ingresso delle squadre operaie di propaganda del pensiero di Mao Zedong di Pechino nel piccolo numero di università dove si verificano scontri armati, affinché diffondano le ultime direttive del presidente Mao e l’ordine del 3 luglio e persuadano gli studenti a interrompere gli scontri, consegnare le armi e rimuovere le barricate. Da noi ci si aspetta sostegno e rispetto per l’Esercito popolare di Liberazione. All’incontro erano presen- ti il Primo ministro e i compagni Chen Boda, Kang Sheng, Jiang Qing, Yao Wenyuan, Xie Fuzhi, Huang Yongsheng, Wu Faxian, Ye Qun e Wang Dongxing. Erano presenti anche altri compagni, fra cui Wen Yucheng, Wu De e Huang Zuozhen. Il presidente Mao era estremamente in salute. Non potrebbero quindi non essere del tutto precise. Il presidente Mao ha detto: Oggi vi abbiamo convocati per discutere degli scontri nelle università. Secondo voi cosa andrebbe fatto? Voi fate la Grande Rivoluzione Culturale da due anni! Attualmente voi non lottate, non criticate e non vi trasformate. Sì, lot- cuna distinzione. Ma il vecchio sistema e i vecchi metodi non funzionano più. Il sistema scolastico va semplificato e l’istruzione va rivoluzionata. Inoltre ci vuole la lotta culturale, non la lotta militare. Secondo me vi siete separati dalle masse. Le masse non vogliono la guerra civile. C’è chi dice che l’ordine studenti, le masse contro le masse. Per la maggior parte sono figli di operai e contadini, manovrati dagli elementi negativi. Alcuni sono controrivoluzionari, altri hanno appena cominciato a fare la rivoluzione, ma il loro spirito rivoluzionario si è affievolito a poco a poco e sono passati dalla parte opposta. Alcu- 1 ottobre 1967. Mao stringe la mano a rappresentanti delle Guardie rosse di Pechino durante il raduno di massa in piazza Tian An Men in occasone del 18° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese appena ci ha visti entrare, ha stretto la mano a ciascuno di noi, quindi ci ha invitato a sederci. La compagna Jiang Qing ha detto: “Non ci vediamo da molto tempo”. Il presidente Mao ha detto: “Non ci siamo visti nemmeno a Tian’anmen e non abbiamo parlato. Così non va! Voi siete i classici tipi che ‘non visitano mai un tempio senza una ragione’, eppure io ho letto tutti i vostri giornali e so tutto della vostra situazione”. Il grande dirigente il presidente Mao ha grande cura di noi, piccoli generali delle guardie rosse, e si preoccupa molto del movimento della Grande Rivoluzione culturale nelle università. Ci ha fornito insegnamenti di immensa importanza e profondità. I punti salienti e lo spirito delle istruzioni del presidente Mao sull’interruzione degli scontri armati che riportiamo di seguito, sono state elaborate in base ai nostri appunti e tate, ma la vostra è lotta armata. Il popolo, gli operai, i contadini, i cittadini, la maggior parte degli studenti non sono affatto contenti; non è contenta nemmeno la maggioranza degli studenti dei vostri istituti. Persino nella fazione che vi sostiene serpeggia il malcontento. Vi siete separati dagli operai, dai contadini, dai soldati, dai cittadini, dalla stragrande maggioranza degli studenti. Alcune università hanno avuto degli scontri con le cricche nere, ma non sono abbastanza. Al momento si ingrossa la fazione degli indifferenti, perché le due fazioni in cui vi siete divisi non fanno che combattersi. Al momento non si porta avanti la lotta-critica-trasformazione, bensì la lotta-critica-cacciata, la lotta-critica-dispersione? Ho detto che dobbiamo continuare ad avere le università e ho parlato delle facoltà di ingegneria, ma non ho mai detto che dobbiamo chiudere le facoltà umanistiche senza al- del Guangxi vale solo per il Guangxi, e che l’ordine dello Shaanxi vale solo per lo Shaanxi1 quindi noi possiamo lavarcene le mani. Ora comunico un ordine a valenza nazionale: chi continuerà a ribellarsi con violenza, ad attaccare l’Esercito popolare di Liberazione, a sabotare le linee di comunicazione, ad assassinare e ad appiccare incendi, è un criminale. Quella minoranza di individui che faranno orecchie da mercante e continueranno imperterriti nelle loro attività, sono da considerarsi banditi e gente del Kuomintang, e vanno perciò catturati. Se resistono, vanno distrutti. Il vicepresidente Lin ha detto: Attaccare i dirigenti avviatisi sulla via capitalista è una buona cosa. Occorre lottare contro i mostri e i demoni anche nel regno della letteratura e dell’arte. Attualmente alcuni non lo stanno facendo e istigano gli studenti contro gli ni soggettivamente vogliono fare la rivoluzione, ma oggettivamente, nella pratica, si comportano nel modo opposto. Infine un piccolo pugno è composto da chi è controrivoluzionario sia soggettivamente che oggettivamente. Il presidente Mao ha detto: Adesso è il momento che i piccoli generali commettono i propri sbagli. Non datevi delle arie. Se vi gonfiate troppo, andrete in idropsia. Spero che non vorrete dividervi in fazioni del cielo e della terra. Una è sufficiente, perché crearne due? Il vicepresidente Lin ha detto: Oggi il presidente Mao si è preso personalmente cura di voi e vi ha dato insegnamenti importantissimi, correttissimi, chiarissimi e del tutto tempestivi. Se farai orecchie da mercante anche stavolta, commetterai un gravissimo errore. Voi guardie rosse avete giocato un ruolo di grande importanza nella Grande Rivoluzione Culturale. Adesso le scuole di tutto il Paese hanno realizzato la grande alleanza rivoluzionaria. Alcune vostre università sono indietro sulla questione della grande alleanza. Il problema è che non avete tenuto in considerazione le necessità delle diverse fasi del movimento. Speriamo che vi rimetterete in carreggiata. Al contempo, il nostro Primo ministro e i nostri compagni Chen Boda, Kang Sheng, Jiang Qing, Yao Wenyuan, Xie Fuzhi, Huang Yongsheng e altri ci hanno criticati e incoraggiati cordialmente. Questo incontro di cinque ore ci ha educati profondamente. Il grande dirigente il presidente Mao ama e protegge noi guardie rosse e fazioni proletarie rivoluzionarie. Il nostro grande dirigente il presidente Mao è colui che più di tutti capisce noi guardie rosse e fazioni proletarie rivoluzionarie. È proprio vero che nemmeno i genitori più cari sono amati quanto il presidente Mao, e che in cielo e in terra niente e nessuno eguaglia l’affetto del Partito. In passato, non abbiamo svolto il nostro lavoro nel modo giusto ed abbiamo avuto numerosi difetti e commesso molti errori. Ce ne vergogniamo immensamente e siamo estremamente addolorati per alcuni casi. Siamo decisi nella misura più assoluta a non deludere l’interessamento, l’incoraggiamento e le aspettative che il grande dirigente il presidente Mao ha riposto in noi. Siamo determinati a dare ascolto alle parole del presidente Mao e ad applicare le sue istruzioni. Noi accogliamo calorosamente e sosteniamo con risolutezza le squadre operaie di propaganda del pensiero di Mao Zedong della capitale nel loro lavoro per diffondere le massime direttive e l’ordine del 3 luglio nelle università. Ci impegniamo a studiare diligentemente le opere del presidente Mao, ad imparare con onestà dagli operai, dai contadini e dall’Esercito di Liberazione, a trasformare fino in fondo la nostra concezione del mondo, ad attenerci scrupolosamente al grande piano strategico del presidente Mao, ad applicare con decisione l’ordine del 3 luglio e tutte le direttive del presidente Mao, e a portare la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria fino alla fine! Nie Yuanzi Università di Pechino Kuai Dafu Università Tsinghua Tan Houlan Università normale di Pechino Han Aijing Istituto aeronautico e astronautico di Pechino Wang Dabin Istituto di Geologia di Pechino 30 luglio 1968 50° anniversario della GRCP / il bolscevico 9 N. 22 - 2 giugno 2016 Ripubblicando anche tre vecchi articoli del 2005 di ex fasulli “maoisti” “Il Manifesto” in ritardo “celebra” la Rivoluzione culturale proletaria cinese interpretandola in senso trotzkista e anarchico Pubblicata una composizione “artistica” provocatoria di una Guardia rossa sepolta sotto una valanga di spille di Mao Grave falsificazione sul rapporto fra Mao e le guardie rosse Alla fine, anche “il manifesto” ha pubblicato uno speciale di 4 pagine sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP) per il suo 50° Anniversario, con un ritardo anomalo, ben tre giorni dopo la ricorrenza. Si saranno forse accorti di aver toppato rispetto a “Il Bolscevico” che ha dedicato ben due numeri e più di 8 pagine all’anniversario, senza contare quest’ultimo numero. Non si spiega altrimenti questo clamoroso ritardo, tra l’altro non hanno proposto quasi niente di originale, ma recuperato vecchi articoli da un libro del 2005. Comunque, nonostante “il manifesto” continui a definirsi “comunista”, i vecchi articoli degli ex “maoisti” Alain Badiou, filosofo francese che teorizza la “fine” della rivoluzione e dei partiti, Edoarda Masi, eminente sinologa deceduta nel 2011, e Alessandro Russo, professore dell’Università di Bologna, e quelli nuovi del redattore del “manifesto” Tommaso Di Francesco e del corrispondente da Pechino Simone Pieranni non fanno però un servizio migliore alla verità storica rispetto al “Venerdì di Repubblica” e al “Fatto” (vedi nn. 20 e 21 del “Bolscevico”), anzi continuano a fornire una versione estremamente mistificatoria e deformata della GRCP. Il fatto è ancora più grave e di basso livello se si tiene conto che la maggioranza degli autori allora si consideravano maoisti e in certi casi hanno anche visto direttamente la GRCP all’opera in Cina; “il manifesto” stesso allora sosteneva la Cina e Mao, a parole, e li contrapponeva strumentalmente all’Urss e a Stalin. Una versione scorretta degli eventi Tutta la storia della GRCP viene vista attraverso una lente anarchica e movimentista, paradossalmente già a partire dalla cronologia, visto che gli autori sono pressoché unanimi nell’affermare che sarebbe durata fino al 1968. La GRCP sarebbe cioè una contrapposizione antagonistica fra le masse e il Partito comunista, che dura finché le masse si ribellano in “situazioni totalmente imprevedibili” (Badiou) e termina quando Mao, al quale sta sfuggendo la situazione di mano, le reprime. Ciò è simboleggiato graficamente dalla stessa immagine che sovrasta gli articoli, che vede alcune giovanissime Guardie rosse sepolte sotto una valanga di spille di Mao. In realtà questa interpretazione, intrisa di anarchismo per quanto riguarda il rapporto masse-partito marxista-leninista, ignora completamente che il compito della GRCP non era distruggere il Partito comunista ma la borghesia riciclatasi al suo interno nella forma dei dirigenti revisionisti che volevano restaurare il capitalismo, rendendo le masse protagoniste dirette di questa grande lotta e spronandole a impossessarsi della concezione proletaria e marxista-leninista del mondo per consolidare e sviluppare il socialismo ed eliminare così la base sociale che generava la borghesia. Questi per Mao erano lo “scopo” e il “compito principale” (v. “Discorso ad una delegazione militare albanese” sul n. 21 de “Il Bolscevico”), ma “il manifesto” trotzkista soprassiede, altrimenti non potrebbe affermare che la dittatura del proletariato è un sistema dispotico come la dittatura della borghesia, né che la GRCP “satura la forma del partito-stato”, cioè dichiara conclusa la storia del socialismo e del marxismo-leninismo. Sempre in tema di interpretazioni fasulle e fuorvianti, ricompare la trita e ritrita tesi trotzkista che contrappo- in realtà dimostra l’esatto contrario: Mao convoca i capi delle Guardie rosse a seguito dei gravi scontri armati che avevano contrapposto le loro diverse organizzazioni, critica il fazionismo e le tendenze “ultrasinistre” con la massima severità e avverte che se gli scontri continueranno non ci sarà alternativa a una soluzione militare: “Se voi non riuscirete a trovare un modo, daremo il potere all’Esercito”. Tuttavia non è quello che vuole, anzi è disposto ad accettare la loro autocritica (“Nel passato noi abbiamo commesso molti errori. Per voi invece è la prima volta, non possiamo rimproverarvi per questo”), za Kuai Dafu non c’è unità”. “Voi non potete unirvi?” continua, rivolto a due fazioni divergenti. “Uno è di sinistra e l’altro è di destra: un’ottima unità”. Mao persino si autocritica, riconoscendo che i giovani che occupavano i treni per andare in giro per la Cina a raccogliere le esperienze di altre fazioni di Guardie rosse non andavano arrestati, “invece ne sono stati arrestati troppi, e questo perché ho dato la mia approvazione”. Al ministro della sicurezza Xie Fuzhi che se ne assume la responsabilità, Mao controbatte: “Non nascondere i miei errori. Non darmi protezione. Gli “Il presidente Mao, sole rosso dei nostri cuori, è fra noi” Manifesto del 1967 ne Mao e Stalin. Falso visto che uno dei più grandi meriti di Mao è di avere difeso Stalin contro le calunnie e il revisionismo di Krusciov, rilevando che attaccare Stalin significa gettare via il leninismo. Semmai la GRCP criticò aspramente l’URSS revisionista e socialimperialista di Krusciov e Breznev, che però era distante un abisso rispetto a quella socialista di Stalin, ma “il manifesto” butta tutto nel calderone e si guarda bene dal fare questa distinzione. Falsità sul rapporto fra Mao e le Guardie rosse Il picco della strumentalizzazione che presenta Mao come nemico delle Guardie rosse, intenzionato a distruggerle dopo essersene servito, è raggiunto con l’articolo di Russo: in esso, vengono pubblicati solo pochi passaggi, perlopiù fuori contesto o comunque non sufficientemente e correttamente spiegati, del colloquio che Mao ebbe la notte del 28 luglio 1968 con i dirigenti delle Guardie rosse di Pechino, per dimostrare che egli voleva “annientare” i giovani che le componevano. Il verbale del colloquio, di cui abbiamo il testo integrale, le sprona a riflettere sui propri sbagli ed è particolarmente premuroso nel convincere le Guardie rosse a superare le loro divergenze e ricercare l’unità. “Ma ci vuole l’unità, ci vuole Kuai Dafu” afferma, riferendosi a uno dei leader più arroganti che aveva addirittura fatto sparare su una squadra operaia di propaganda, “Sen- arresti ci sono stati perché li ho approvati anche io, ma adesso sono d’accordo con i rilasci”. Alla faccia dell’annientamento! Va distrutto solo “chi continuerà a ribellarsi con violenza, ad attaccare l’Esercito popolare di Liberazione, a sabotare le linee di comunicazione, ad assassinare e ad appiccare incen- La provocatoria immagine di apertura dello speciale de il manifesto del 19 maggio 2016 sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria di”. Tant’è vero che i dirigenti delle Guardie rosse non saranno giustiziati ma inviati a lavorare in campagna o in fabbrica per rieducarsi, dopo aver firmato un’autocritica scritta (che riportiamo a pagina 8 nel testo integrale) dove riconoscono: “In passato, non abbiamo svolto il nostro lavoro nel modo giusto ed abbiamo avuto numerosi difetti e commesso molti errori. Ce ne vergogniamo immensamente e siamo estremamente addolorati per alcuni casi. Siamo decisi nella maniera più assoluta a non deludere l’interessamento, l’incoraggiamento e le aspettative che il grande dirigente il presidente Mao ha riposto in noi”. Saranno arrestati soltanto nell’aprile del 1978, quando ormai il partito è caduto sotto il controllo di Deng, che li processa per saldare alcune vendette personali dei suoi sodali criticati durante la GRCP, ma soprattutto per processare la GRCP stessa prima di poterla rinnegare ufficialmente e definitivamente nel 1981. Le rivoluzioni sono destinate alla sconfitta Certamente negli articoli vengono messi in luce anche alcuni aspetti reali e positivi della GRCP e soprattutto il fatto che il suo rinnegamento da parte dell’attuale regime revisionista cinese era la condizione per il ritorno del capitali- smo. Ma anche in questo caso Pieranni si dispiace che non si possa arrivare ad un “superamento” della Rivoluzione culturale, suggerendo un assurdo legame con la “riflessione sul passato” operata dalla Germania dopo la caduta del nazismo. Tuttavia l’impianto generale di stampo anarchico, trotzkista e movimentista presenta la Rivoluzione culturale proletaria come un “fallimento” e una “sconfitta”, invece si è dimostrata di essere la via giusta per rafforzare e sviluppare il socialismo perché ha raggiunto tutti i suoi obiettivi finché era in vita Mao. Solo che la sua morte ha impedito di portarla avanti per via dell’opportunismo e della debolezza dei suoi successori, che hanno consentito il ritorno al potere dei vecchi revisionisti rovesciati e dei loro seguaci, fingendosi comunisti agli occhi del popolo per de-ideologizzarlo e sedurlo alla promessa di un futuro di prosperità col libero mercato. Probabilmente sarebbe servita un’altra rivoluzione culturale, o la stessa GRCP avrebbe dovuto cominciare prima, cosa che però non era possibile non essendo ancora maturate le esperienze e le condizioni. Dietro si cela la tesi trotzkista delle rivoluzioni destinate al fallimento e alla degenerazione, che poco si discosta dalla tesi della reazione e della borghesia secondo cui alla fine le rivoluzioni vengono sconfitte ed è inutile farle, tesi che ha lo scopo di indurre al pessimismo e al disimpegno a salvaguardia dell’ordine capitalistico. Non c’è paragone rispetto a quanto ha fatto il PMLI, che ha chiarito la genesi, la storia e i contenuti della Rivoluzione culturale proletaria con l’editoriale del numero scorso del “Bolscevico”, ma soprattutto ha invitato i giovani e gli anticapitalisti in generale a scoprire la storia per trarne esempio e ispirazione attraverso il Documento della Commissione giovani dall’eloquente titolo: “Giovani prendete esempio dalle Guardie rosse per cambiare l’Italia”. Il quotidiano del partito revisionista e fascista cinese esorcizza il ritorno della rivoluzione culturale proletaria Il “Quotidiano del popolo”, organo ufficiale del partito revisionista e fascista cinese, è intervenuto sul 50° Anniversario della Rivoluzione culturale proletaria, ma l’ha fatto soltanto con un articolo pubblicato il 16 maggio a tarda ora sulla versione online del giornale a firma di un commentatore esterno, tale Shan Renping. L’articolo, dal titolo “La ‘rivoluzione culturale’ ha subito una condanna integrale”, in realtà non aggiunge nulla di nuovo alla condanna ufficiale e infatti si copre dietro la “autorevolezza” della risoluzione approvata dal Comitato centrale del PCC il 27 giugno 1981, quando già era sotto il controllo di Deng Xiaoping e stava mettendo in atto la restaurazione del capitalismo, che descriveva la Rivoluzione culturale come una “tragedia” della quale Mao era “il principale responsabile”. Infatti anche nell’articolo la Rivoluzione culturale viene definita “disastro interno”, “enorme catastrofe”, “dolorosa lezione” e via diffamando. La Cina socialimperialista odierna viene invece dipinta come un paradiso di persone ricche e felici, che progetta all’unisono lo sviluppo futuro, un trionfo della “coesione sociale” in marcia verso l’“era del grande rinnovamento della nazione cinese”. Chissà quale sarà stata la reazione di un giovane operaio di una fabbrica come la Foxconn nel leggere queste parole al termine di una dura giornata di lavoro, durata magari 10 ore, per ottenere circa 1.800 yuan (il minimo salariale che corrisponde a circa 200 euro) alla fine del mese. “La ‘rivoluzione culturale’ non si potrà mai ripetere in Cina”, chiosa l’articolo. Peccato per il nostro pennivendolo e per i suoi mandanti revisionisti, ma la questione è tutt’altro che chiusa, se è vero com’è vero che lo stesso “Quotidiano del popolo” ha ammesso di essere intervenuto proprio perché su Internet si stanno sviluppando vivaci e interes- santi discussioni sulla Rivoluzione culturale, producendo anche “opinioni scorrette”, come le taccia l’articolo, cioè in difesa del pensiero e dell’opera di Mao. Cosa sono queste discussioni in rete, se non un evidente riflesso di una certa discussione a livello di massa? Discussione che il regime di Pechino cerca di stroncare chiudendo i siti di sinistra o esorcizzando il ritorno della Rivoluzione culturale proletaria, nel vano tentativo di scacciare l’incubo del socialismo e della rivoluzione. Che, invece, tornano alla ribalta come conseguenza dello sfruttamento e delle disparità sociali prodotte dal capitalismo cinese. 2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI stampato in proprio - committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it N. 3 - 22 gennaio 2015 PMLI / il bolscevico 11 N. 22 - 2 giugno 2016 Malgrado le condizioni metereologiche avverse Proficui banchini elettorali astensionisti del PMLI a Varese Centinaia di volantini diffusi e diverse discussioni hanno posto il PMLI come avanguardia nella lotta contro il potere borghese i suoi partiti e le sue istituzioni Dal corrispondente dell’Organizzazione di Viggiù del PMLI Nelle giornate di giovedì 19 e lunedì 23 maggio, malgrado le condizioni metereologiche avverse, si sono tenuti presso l’area mercato di Piazzale Kennedy, e piazza XX settembre a Varese, i banchini elettorali astensionisti organizzati dall’Organizzazione di Viggiù del PMLI sostenuti da compagni di Milano. Centinaia di volantini, riportanti gli estratti del documento elettorale astensionista redatto dall’Organizzazione di Viggiù, che invita ad astenersi non votando i candidati borghesi in corsa per la poltrona a sindaco di Varese, e a creare le Assemblee popolari in ogni quartiere contrapposte alle istituzioni borghesi, sono stati distribuiti tra le masse popolari italiane e migranti riscontrando nella maggior parte dei casi apprezzamenti e sostegno per la nostra campagna. Copie de “Il Bolscevico” sono state distribuite ai passanti, in particolare ai giovani, interessati ad approfondire le nostre posizioni politiche, lasciando dei contributi economici per finanziare l’attività del Partito. Ci sono state diverse proficue discussioni tra i marxisti-le- Varese, 19 maggio 2016. Giovani si intrattengono al banchino astensionista del PMLI in Piazzale Kennedy (foto Il Bolscevico) ninisti e le masse popolari sui più svariati temi, dai problemi del lavoro, il disprezzo per l’attuale governo del nuovo duce Renzi, la mancanza di futuro per i giovani, il magna magna dei politicanti borghesi di destra o di “sinistra”, fino a temi di carattere storico e di storia del movimento comunista internazionale. Un uomo avvicinandosi ai marxisti-leninisti, pur dichiarandosi di estrazione sociale borghese, si è detto d’accordo con la nostra politica e della necessità di un cambiamento radica- A 42 anni dalla scomparsa del giovanissimo militante di Firenze dell’OCBI M-L (poi PMLI) RICORDATO MARCO MARCHI le della società indicando l’effigie di Mao sui nostri corpetti come modello da seguire. Un ragazzo definitosi marxista ha preso contatti con il Partito in quanto interessato ad avvicinarsi ad un partito comunista serio e non a chiacchere. Un’anziana ha espresso disgusto per gli attuali politici e si è dichiarata decisamente favorevole alla nostra proposta dell’astensionismo. Una ragazza ha chiesto approfondimenti sulla nostra posizione astensionista, un vecchio compagno ci ha salutati con un “Viva Stalin”. Certo non tutti hanno appog- giato il punto di vista dei marxisti-leninisti com’è naturale che sia in una società divisa in classi dove l’ideologia dominante è quella borghese. In particolare abbiamo rilevato come tra diversi appartenenti alla comunità albanese, vissuti sotto il regime revisionista di Enver Hoxha ci sia un astio contro quello che loro considerano “comunismo” vissuto sotto Hoxha in Albania. I marxisti-leninisti attraverso la dialettica hanno cercato di spiegare loro le differenze e il tradimento di Hoxha rispetto al vero socialismo di Lenin, Stalin e Mao. Purtroppo i traditori del proletariato e i revisionisti a livello mondiale spacciando il revisionismo per socialismo hanno distorto la realtà e gettato fango sul socialismo vero facendo così il gioco della borghesia terrorizzata da un possibile ritorno di moda del socialismo tra gli operai e le masse popolari. Tirando le somme, come ancora una volta l’esperienza ci insegna i banchini e la presenza di piazza attiva dei marxisti-leninisti sono il miglior metodo per instaurare e rafforzare il contatto diretto tra il PMLI e le masse popolari. Il prossimo appuntamento sarà sabato 28 maggio nel centro di Varese, tra Corso Moro e via Bagaini dalle ore 15 alle 19. Milano Banchino del PMLI per promuovere l’astensionismo alle elezioni comunali del 5 giugno Milano, 21 maggio 2016. Il rosso banchino astensionista del PMLI in Piazza Costantino (foto Il Bolscevico) Dal corrispondente della Cellula “Mao” di Milano Sabato 21 maggio, in Piazza Costantino, nel popolare quartiere di Crescenzago, militanti della Cellula “Mao” di Milano del PMLI hanno iniziato la campagna astensionista per le elezioni comunali del 5 giugno. Presenti in piazza anche il PD e la Lega Nord, la presenza di quest’ultima era fortemente provocatoria in un quartiere ad alta densità abitativa di migranti. I compagni hanno allestito un banchino e diffuso centinaia di copie del volantino dal titolo “Perché occorre astenersi alle elezioni comunali del 5 giugno”. Il documento è stato accolto con interesse ed è stato spunto di discussione in merito all’attuale società capitalista, sul fatto oggettivo che solo la lotta di classe e di piazza paga per quanto riguarda la conquista dei diritti politici e sociali (stante il permanere dell’attuale società) e la necessità della conquista del potere politico da parte del proletariato e quindi del socialismo. E’ morto Giuseppe Lepore Cofondatore della Cellula “Marx” della Val Vibrata Redazione di Firenze Come ogni anno il 19 maggio le compagne e i compagni fiorentini ricordano con spirito militante il compagno Marco Marchi, morto in un incidente in moto nel 1974 a soli 18 anni mentre si recava a una riunione della sua Cellula dell’OCBI m-l (Organizzazione comunista bolscevica italiana marxista-leninista, dalla quale nacque il PMLI). Sulla tomba del compagno nel cimitero di Rifredi la Cellula “‘Lucia’ Nerina Paoletti” di Firenze ha deposto un bel mazzo di fiori rossi. Fra gli omaggi floreali al compagno Giuseppe Lepore il mazzo rosso del PMLI Mercoledì 18 maggio 2016 è morto a causa di un ictus, presso l’ospedale di Sant’Omero (Teramo), all’età di 92 anni il compagno Giuseppe Lepore, artigiano in pensione della lavorazione di manufatti in cemento. Abitava a Civitella del Tronto. La Cellula “Marx” della Val Vibrata del PMLI, di cui era stato cofondatore il 13 dicembre 1996, ha deposto dei fiori sulla sua tomba presso il cimitero della frazione di S. Eurosia ed espresso profonde condoglianze ai familiari. Secondo pioniere marxistaleninista dell’Abruzzo, dopo il compagno Salvatore Zunica, aveva preso contatto per la prima volta col Partito nel marzo del 1995 per poi aderirvi il 30 novembre 1996. E stato delegato al 4° Congresso nazionale del PMLI nel 1998 e al 5° Congresso nel 2008, in cui tenne un apprezzato e applaudito intervento. Ancor prima di divenirne militante, come simpatizzante ha coraggiosamente sostenuto e propagandato il Partito nella sua zona di residenza, contribuendo tra l’altro ad organizzare un dibattito a Civitella con la partecipazione come oratore del Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, il 21 ottobre 1995, e in altra occasione sempre nella sua città un dibattito col compagno Emanuele Sala come oratore per le elezioni politiche del 2001. Ha coadiuvato inoltre il compagno Zunica nel promuovere il ripristino Il compagno Giuseppe Lepore mentre interviene al 5° Congresso del PMLI, tenutosi a Firenze il 6, 7 e 8 dicembre 2008 della tradizione della sua zona di piantare un pioppo per issarvi la bandiera rossa in occasione del 1° Maggio. Lepore aveva abbracciato gli ideali del comunismo fin dal 1935 quando aveva appena 11 anni, per poi aderire al PCI il 13 maggio 1945, all’indomani della Liberazione dal nazi-fascismo. Nella sua domanda di ammissione al PMLI così descrive il suo percorso politico: “Sono nato l’11 genna- io 1924, i miei genitori contadini e di aspirazioni socialiste, mi hanno educato sin da bambino alla giustizia sociale e all’uguaglianza. Quindi appena superata l’adolescenza, mi sono tesserato al PCI, credendo che fosse il vero partito del proletariato, ma col passare degli anni e soprattutto con la sua scissione del 1981 a Rimini, è stata per me una vera delusione. Di conseguenza ho chiuso definitivamente con lo stesso, smascherandone la linea antimarxista e antirivoluzionaria. Dopo un breve periodo di vuoto politico, ho avuto la fortuna di incontrare il compagno del PMLI Salvatore Zunica, il quale mi ha ridato l’entusiasmo e il coraggio alla lotta di classe”. Lepore è stato con e del Partito fino all’ultimo, anche quando per l’età e le sue precarie condizioni di salute non ha più potuto svolgere attività pratica, anche a causa della progressiva perdita della vista che dal 2011 gli ha impedito di poter leggere “Il Bolscevico” come aveva sempre fatto. Egli è stato fedele e coerente nel tempo con l’impegno che si era assunto scrivendolo nella sua domanda di ammissione al Partito: “La mia volontà principale, oltre alla mia credenza ai Maestri fondatori del socialismo scientifico, è quello di vedere realizzare in un futuro non troppo lontano una società più giusta, affinché non ci sia più sulla faccia della terra lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quindi solo stringendomi al PMLI e diventando membro, è possibile dare il massimo contributo alla causa socialista”. Il compagno Giuseppe Lepore lascia ai militanti e dirigenti del Partito e in particolare ai compagni più giovani il suo esempio marxista-leninista di attaccamento al PMLI e di risoluta fedeltà alla causa del proletariato e del socialismo. Rimarrà per questo sempre nei nostri cuori. Onore e gloria al compagno Giuseppe Lepore! 12 il bolscevico / cronache locali Comunicato dell’Organizzazione locale del PMLI No alla soppressione della Cardiologia al Rizzoli di Ischia Giù le mani dalla sanità pubblica Dopo la minaccia di chiudere l’unico ospedale di Procida che l’intera popolazione ha prontamente rintuzzato con una massiccia manifestazione di piazza, ora la scure del governo del nuovo duce Renzi si abbatte su Ischia. La ministra della sanità non pensa di tagliare gli sprechi dei suoi colleghi e del suo capo, se la prende con i più deboli e perfino con quei pazienti che rischiano la vita, costretti a fare la corsa col tempo per salvarsi. Sopprime infatti, l’Utic, Unità cardiologica dell’Ospedale Rizzoli di Ischia! Quella sola unità che ha salvato tante vite umane, perché non ha costretto isolani e turisti a ricorrere agli ospedali della terraferma, sfidando i disagi dello spostamento e delle condizioni metereologiche. Un esponente del governo regionale campano avrebbe definito solo un “errore” il taglio operato dalla ministra. Ce lo auguriamo, ma se così fosse, dimostrerebbe quanta superficialità e leggerezza sia alla base di un governo che non rispetta seriamente le esigenze di chi ha bisogno, nello scellerato tentativo di regalare ai privati la sanità e il diritto alla salute, pur sancito dalla Costituzione. I marxisti-leninisti dell’isola d’Ischia, mentre propongono di creare un Comitato di Lotta per la difesa del diritto alla salute, che faccia sentire al presidente della regione De Luca (che sarà forse ad Ischia venerdì prossimo al Palazzo Reale) un forte “Giù le mani dalla sanità pubblica”. Mercoledì 25 maggio, dalle ore 16, raccoglieremo firme in Piazza degli Eroi. Per dire no alla chiusura dell’UTIC, per garantire il diritto ad avere un ospedale funzionante, attrezzato, organizzato in modo civile, per assicurare reparti sanitari degni di una società moderna e non ricettacoli schifosi dove i pazienti siano costretti a subire non solo il peso della propria malattia, ma anche la vergogna dei disagi. L’Organizzazione isola d’Ischia del PMLI 23 maggio 2016 Bocciata la svendita della Fondazione Arena Il rampante sindaco di Verona Tosi attacca lavoratori e sindacati Da un compagno palermitano del PMLI che lavora a Verona Periodo nero per il sindaco di Verona Flavio Tosi, che si trova ad affrontare problemi su problemi. L’ultimo in ordine è la disfatta della Fondazione Arena, di cui era presidente, che gestisce la maggior parte degli spettacoli lirici che durante l’anno si svolgono proprio all’Arena. Con 132 voti sfavorevoli contro 130 sì i lavoratori della Fondazione hanno detto no al ridimensionamento economico che avrebbe ridotto di molto gli stipendi dei dipendenti. Questo è accaduto dopo che era stato raggiunto l’accordo con la Cisl ma non con la Cgil e la Uil che hanno indetto un referendum tra i lavoratori ottenendo un ri- sultato a sorpresa. Con questo risultato, l’accordo è venuto a mancare e ora non si esclude il licenziamento di oltre 300 dipendenti. Tosi se la prende con i lavoratori e i sindacati che, a suo parere, hanno portato a questa grave situazione. A parte questo, il sindaco ha anche forti contrasti con i suoi ex compari della Lega Nord che lo accusano di non lavorare per la città e, anzi, di creare disagi, non ultimo, il problema degli immigrati che Flavio Tosi, a detta della Lega, continua a far entrare facilmente in città. A chi lo accusa di pensare più alla sua carriera politica che a Verona il rampante neopodestà risponde alzando i toni e promettendo impegno. CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI MAGGIO 24 25 29 30 31 CUB trasporti Ferroviario – Sciopero personale gruppo FSI e Socc. NTV, Trenonord, Serfer, SBB Cargo Italy, Nord Cargo Usb-Lavoro Privato - Pulizie e multiservizi - Ciclat, Maca e Smeraldo, Manital, Cns, Dussmann Service – Sciopero personale ex-Lsu e dipendenti ditte appalti pulizia e decoro scuola RSU Aereo – Sciopero di 8 ore personale soc. Techno Sky Fp-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Fiadel – Sciopero Aziende Igiene Ambientale pubblica CCNL Utilitalia/Ambiente OSR Filt-CGIL/Fit-CISL/Uilt-UIL/UGL-TA – Sciopero di 4 ore personale soc. Aviation services aeroporti di Fiumicino e Ciampino N. 22 - 2 giugno 2016 Contromanifestazione nella capitale Gli antifascisti romani non lasciano campo libero ai neofascisti di Casapound Dal corrispondente della Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma Sabato 21 maggio a Roma si sono svolti in contemporanea una provocatoria manifestazione a carattere nazionale organizzata da Casapound e la contromanifestazione nella quale sono scesi in piazza un universo variegato di associazioni, movimenti e attivisti antifascisti riuniti sotto la sigla “CasaPound not welcome“ (CasaPound non è benvenuta). La capitale era sotto l’assedio di un grande assembramento di “forze dell’ordine” anche perché nei giorni precedenti c’erano stati segnali delle tensioni crescenti, come l’assalto al banchino di Casapound a Torpignattara e il blitz dei neofascisti di Forza Nuova (anche loro candidati alle elezioni comunali) nella sede del Gay Center a Testaccio al grido “La perversione non sarà mai legge”. I neofascisti hanno sfilato per le strade della capitale con l’obiettivo di arrivare a Colle Oppio (a due passi dal Colosseo) per un concerto che ha visto la partecipazione di diverse band dichiaratamente fasciste, italiane e non. Scopo di questo evento è stato anche quello di offrire tribuna elettorale al candidato sindaco di Casapound, che ha infatti tenuto un comizio. Tra gli striscioni e i manifesti venivano celebrati i cosiddetti “come gli eroi del Piave” del primo conflitto mondiale imperialista mentre spiccavano slogan razzisti, guerrafondai e sciovinisti come “Prima gli italiani”, “Italia risorgi, combatti e vinci”, ecc. Tra le bandiere presenti in prima fila quelle dei neonazisti greci di Alba Dorata. Durante la sfilata i tartarugati neri sono stati oggetto di un lancio di uova da un palazzo di via Merulana. Nella contromanifestazione degli anitifascisti, chiamati a raccolta tra gli altri dall’ANPI, si poteva leggere tra l’altro: “Contro ogni fascismo io non dimentico”, in ricordo del decennale della morte di Renato Biagetti, giovane ucciso a Focene dopo un concerto reggae da due neofascisti, “Roma Libera, No ai fascisti vecchi e nuovi”. Ribadita la denuncia che la manifestazione neofascista, Costituzione alla mano, andava vietata. Clamoroso peraltro che diversi media l’abbiano documentata con tanto di inviati e collegamenti in diretta. II candidato sindaco di Sinistra italiana Stefano Fassina era in piazza con gli antifascisti, di fatto cavalcando l’onda e spostando il discorso nel campo mediatico, vedi lo sterile scambio di battute via twitter con la candidata di Fratelli d’Italia e Lega Nord, l’ex ministro Giorgia Meloni. Presa di posizione del PMLI.Biella Per eliminare le cause dei suicidi occorre abbattere la società capitalistica L’Organizzazione biellese del Partito marxista-leninista italiano in merito all’elevato numero di suicidi – e tentativi di suicidio – che stanno tristemente interessando il nostro territorio intende prendere posizione, anche e soprattutto riguardo alle “soluzioni” che da più parti vengono proposte, in primis quello delle “barriere” sui ponti. Nel biellese la precipitazione dai ponti è il secondo metodo di suicidio scelto, dal 2012 a oggi sono 10 le persone che si sono suicidate in questo modo, 8 di queste dal ponte della tangenziale. Delle semplici ringhiere permetterebbero di risolvere questo tragico problema o ne attenuerebbero l’effetto? No, non lo crediamo affatto. Se degli ostacoli impedissero di gettarsi da un ponte questo forse impedirebbe ai suicidi di portare a compimento il loro disperato proposito? Visto che il primo metodo di suicidio resta quello dell’impiccagione, forse smettere di produrre corde e ritirarle dalla circolazione servirebbe a qualcosa? No, non si possono eliminare gli “strumenti” per togliersi la vita e ogni intervento in questo senso non potrà che essere un mero palliativo di dubbia utilità. Invece di pensare di investire centinaia di migliaia di euro per “barriere” di sicurezza perché non si pensa ad implementare i servizi psichiatrici e sociali sul territorio, rendendoli funzionali ai bisogni delle masse popolari biellesi? Eliminando ogni retrogrado pregiudizio e ogni condanna sociale, il tema del suicidio andrebbe affrontato durante assemblee pubbliche, nelle scuole e negli spazi sociali dalla cittadinanza tutta. In ogni caso questo terribile fenomeno non deve essere affrontato solo con un approccio psichiatrico e individuale bensì anche – e soprattutto – nella sua dimensione economica e sociale. Il suicida non è infatti, nella maggior parte dei casi, un “malato” ma una vittima dell’attuale degenerata società capitalistica basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; che richiede sempre maggiori ritmi di competizione disumani. Il suicidio non può essere ridotto a mero “atto di follia”. Quasi sempre si tratta di scel- “Il Bolscevico” ha demistificato gli squallidi attacchi alla Rivoluzione culturale proletaria cinese te) mondiale. Eugen Galasso - Firenze sta prova. Il non potersi aiutare conferma invece l’esaltazione dell’individualismo a discapito del gruppo. L’unica cosa positiva della giornata è stata che nonostante nel mio indirizzo non ci sia stata alcun tipo di protesta, negli altri (linguistico e scientifico) la maggior parte degli studenti ha boicottato la prova, in alcuni casi incoraggiati dai professori. Grazie per l’attenzione. Saluti marxisti-leninisti. Giuseppe - Patti (Messina) Benissimo, cari compagni. Finalmente si demistifica la squallida (ma funzionale all’affermazione del capitalismo) operazione di demonizzazione del comunismo, ovviamente nella forma della Rivoluzione culturale proletaria cinese, ormai completamente demolita dal ritorno indietro dell’”orologio della storia”, per dirla con Mao, indetto dalla cricca neo e iper-capitalista affermatasi con Deng Xiaoping e con i suoi attuali successori, dove però il regime reazionario attuale (è ancora previsione storica di Mao) in un periodo più o meno breve verrà abbattuto. Come sempre, “Il Bolscevico” coglie nel segno, dandoci uno strumento di riflessione ulteriore, fondamentale per orientarci in quell’apparente “caos dei segni” creato artatamente dal capitalismo (che è il capitalismo di sempre, ma aggiornato ipertecnologicamen- La prova Invalsi boicottata da molti studenti a Messina Cari compagni, il 12 maggio io e gli altri compagni e compagne delle seconde classi del mio liceo classico (e delle altre scuole d’Italia) siamo stati costretti a svolgere le prove Invalsi ed è stato veramente odioso. Già nei mesi precedenti abbiamo impiegato non poche ore alla preparazione dei test togliendole alla normale attività didattica. E quando è arrivato il giorno delle prove, quasi tutte le mie compagne (sono il solo ragazzo in classe) erano particolarmente stressate per via dell’importanza che qualche insegnante ha dato a esse. Poi l’impostazione schematica e nozionistica e il fatto che siano slegate dal programma scolastico le ha rese ancor più difficili. Se abbiamo riscontrato problemi noi del classico, posso immaginarmi quali difficoltà abbiano riscontrato quelli di un tecnico. E questo conferma il carattere classista di que- te ben maturate e coscienti. Ecco alcuni messaggi lasciati da chi si è suicidato: “senza un lavoro mi sento inutile”, “sono stanco di vivere”, “questa vita è senza prospettive”. Si scorge in queste parole una critica contro questa società, un estremo segnale di protesta – per noi inaccettabile, ma comprensibile rispetto alle ragioni di chi lo compie – lanciato contro il sistema oppressivo e sfruttatore. Disoccupazione, emarginazione e solitudine da un lato, competizione sfrenata, individualismo, carrierismo, sopraffazione del più forte sul più debole dall’altro: ecco le vere cause dei suicidi! È questa società che non offre prospettive, non garantisce un avvenire degno di essere vissuto, getta i più deboli nella disperazione totale. Per eliminare i suicidi occorre abbattere l’attuale società capitalistica e conquistare un nuovo sistema economico e una nuova società non più basati sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sul profitto. Questa società non può che essere il socialismo, l’unica società in cui l’economia non è governata dalle leggi del mercato e del profitto a beneficio di un pugno di sfruttatori, ma è pianificata per essere al servizio della collettività. Solo con il socialismo ciascuno – anche i soggetti più deboli – troverà una sua collocazione e potrà realizzare se stesso nelle sua interezza. Per il PMLI.Biella Gabriele Urban 22 maggio 2016 I T S I N O I S N E AST A R T S I N I S I D NITI AST IE ! I V E T A T I L B O M vernati ano go muni si io del popoloo co i é h iz lism Perc l serv olo e a vuole il socia dal pop ci RE NON VOTA I PARTITI AL SI HE RG BO DEL SERVIZIO SM O LI TA PI CA iamo Delegittim ni io le istituz ative nt rapprese borghesi NI ITUZIO E ISTELLE MASSEO MO L D CIALISM E IA IV E T R C ESENTA DEL SO IANO RAPPR FAUTRICI STA-LENINISTA ITAL ARXI PARTITO M mli.it www.p FIRENZE - 50142 iolo, 172a del [email protected] Antonio ale: Via 4 e-mail: comm Sede centr 055.512316 Tel. e fax Aiutate il PMLI a propagandare l’astensionismo contro il capitalismo i suoi governi, istituzioni e partiti per il socialismo contributi e corrispondenze / il bolscevico 13 N. 22 - 2 giugno 2016 Corrispondenza delle masse Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico” I lavoratori in piazza contro la “Buona scuola” del nuovo duce Renzi Diffuse copie dell’Editoriale di Scuderi. Alcuni lavoratori chiedono di poterlo diffondere nelle loro scuole I sindacati confederali di categoria, FLC Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, insieme allo Snals, hanno indetto per il 20 maggio uno sciopero della scuola e dell’università di tutto il comparto della ricerca e della conoscenza che si è concretizzato con una manifestazione regionale a Firenze per protestare contro la “Buona scuola” di Renzi e Giannini e le sue varie contraddizioni. Le rivendicazioni più importanti dello sciopero hanno riguardato il rinnovo del contratto oramai scaduto dal 2009 con la conseguente perdita di potere d’acquisto dei lavoratori della scuola, e solo alcuni aspetti della legge 107, sullo sblocco delle assunzioni ATA e l’aumento degli organici, e sulla stabilizzazione di tutti i precari. Il corteo è partito da piazza Demidoff per arrivare in piazza Strozzi dove dal palco sono intervenuti alcuni lavoratori delle varie sigle sindacali. Il comizio finale è stato tenuto dal segretario nazionale FLC CGIL Domenico Pantaleo. La partecipazione al corteo, se consideriamo che la manifestazione di Firenze era a carattere regionale, non è stata molto alta; si è aggirata intorno ai 1.500 partecipanti con delegazioni pervenute anche da altre città toscane. L’adesione allo sciopero a livello generale si è attestata al 60% e ha visto il personale Ata essere Firenze, 20 maggio 2016. Sciopero e manifestazione degli insegnanti e personale ATA il più combattivo. In alcuni istituti dove l’affluenza allo sciopero dei collaboratori scolastici è arrivata al 100%, i dirigenti scolastici sono stati costretti a tener chiusa la scuola rimandando gli studenti a casa, come ad esempio all’Istituto Gobetti-Volta di Bagno a Ripoli dove io lavoro. Nonostante tutto è stata una manifestazione molto colorata, festosa e rivendicativa alla quale hanno dato come sempre un ottimo contributo i compagni del PMLI con i vari slogan che sono Comunicato dello Slai cobas di Pomigliano stati apprezzati e cantati da molti partecipanti al corteo. I più apprezzati sono stati: “La 107 è da abrogare, vuole solo privatizzare”, “Renzi/Giannini la stessa scuola di Mussolini”, “7 anni che aspettiamo, il contratto ci meritiamo” e tanti altri ancora. È stata proposta e ben accolta dai manifestanti “Bella Ciao”. Durante i comizi finali i compagni del PMLI hanno diffuso l’Editoriale del compagno Segretario generale Giovanni Scuderi sull’alternativa a Renzi, talmente condiviso dai lavoratori in piazza che alcuni di loro ci hanno chiesto se potevano fotocopiarlo per diffonderlo nei loro ambienti di lavoro. Quello che è stato evidente e che si è percepito durante gli interventi in piazza Strozzi è stata la autoreferenzialità che i vari sindacati hanno dimostrato e che credo sia una delle tante cause della crisi che il sindacato confederale vive in questo periodo. Un’altra conseguenza è l’ormai poca credibilità che gli viene concessa da parte dei lavoratori del settore, vittime decennali di una politica sindacale concertativa che li ha portati oggi a dover subire la concezione competitiva e padronale della scuola voluta dal nuovo duce Renzi. Questo sciopero del 20 maggio arriva ampiamente in ritardo, come fa presente anche l’opposizione CGIL, e rischia quindi di essere poco efficace; un semplice posizionamento testimoniale delle organizzazioni sindacali promotrici. Non si contrasta questo governo, queste controriforme, questi processi di scomposizione del settore con un semplice sciopero a fine anno scolastico. Cosa Tre sentenze della Cassazione a favore dello Slai cobas e contro la Fiat C ntributi Chrysler di Pomigliano Riceviamo e volentieri pubblichiamo in sintesi. Slai cobas fa scricchiolare le relazioni sindacali “alla Marchionne” in FCA e l’accordo del 10 gennaio 2014 tra CGIL-CISL-UIL e Confindustria sull’elezione “coatta” delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) per i soli firmatari di contratto. Nel 2015 (in un solo anno) il massimo vertice del potere giudiziario e dell’ordinamento giuridico di riferimento, la Corte di cassazione, ha condannato per ben 3 volte la Fiat Chrysler di Pomigliano con sentenze del 6 novembre 2015, 5 novembre 2015 e 9 febbraio 2015 per “Il rifiuto di trattenere i contributi sindacali da accreditare a Slai Cobas è condotta antisindacale pregiudicando il diritto dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire e il diritto del sindacato di acquisire i mezzi di finanziamento per lo svolgimento della propria attività” (Cass. Civ. sez. lav 06/11/2015, n° 22712). Il giorno prima la stessa Cassazione aveva condannato la Fiat (Cass. Civ. sezione lavoro, 05/11/2015, n°22617) stavolta per la “portata intimidatoria e l’antisindacalità della sospensione dell’attività lavorativa nel reparto montaggio Alfa 147 di Pomigliano dalle ore 6,30 alle 14 del 6 aprile 2004 in occasione dello sciopero indetto in pari data dallo Slai cobas dalle ore 6 alle ore 6,30”. Ancor più significativa, il 9 febbraio 2015, la condanna della Fiat e TNT Pomigliano (Cass. Civ. sez. lav. 09/02/2015, n° 2375), “profilo di plurioffensività dei licenziamenti disciplinari nei confronti di attivisti o simpatizzanti di Slai cobas a cagione di una delle più tipiche manifestazioni di autotutela collet- tiva e proprio nel momento in cui la summenzionata organizzazione si opponeva ad altre”. Il riferimento è agli 8 licenziamenti (5 operai Fiat, 3 di TNT, poi CEVA) avvenuti a seguito delle assemblee sindacali del 14 febbraio 2016. Con questa sentenza la Cassazione stabilisce che: “se l’antagonismo aziendale è connaturato alla fisiologica contrapposizione dialettica propria delle relazioni industriali (e, in quanto tale, è perfettamente legittimo), non altrettanto può dirsi per l’uso dei poteri disciplinari e gerarchico-direttivi a danno di talune organizzazioni sindacali e a protezione di altre, poiché la contingente oggettiva (e parziale) comunanza di interessi che in un dato momento storico può anche verificarsi tra datore di lavoro e singole organizzazioni sindacali non giustifica la repressione del dissenso manifestato da altre”. Tale sentenza ha inoltre riconfermato il “requisito di sindacato nazionale” di Slai cobas (già oggetto di numerose pronunce in tal senso della Cassazione, e delle tre su-richiamate sentenze) determinato: “da un’azione diffusa a livello nazionale… che non deve necessariamente coincidere con la stipula dei contratti nazionali”, e censurato la Fiat non solo per la violazione dell’art. 41 della Costituzione ma per la violazione degli art. 28 e 17 dello Statuto dei Lavoratori (divieto di condotta sindacale e di costituire o sostenere sindacati di comodo) e dell’art. 39 della Costituzione: “l’organizzazione sindacale è libera”! Slai cobas - coordinamento provinciale di Napoli - Pomigliano d’Arco 30 aprile 2016 aspetta la CGIL a proclamare lo sciopero generale? L’arroganza del capo del governo non si combatte con una semplice raccolta di firme per abolire solo 4 punti della legge 107, non si combatte con la Carta dei diritti universali dei lavoratori proposta dalla CGIL che di fatto va a normare il “Jobs Act” e il lavoro precario e a limitare gli scioperi come da richiesta di Confindustria, e che vuole istituzionalizzare il sindacato. Non a caso Pantaleo si è affrettato a propagandare la Carta e la campagna di raccolta firme subito all’inizio del suo intervento, dimostrando palesemente la consapevolezza della distanza sempre più grande che oggi ha il sindacato nei confronti delle masse lavoratrici. I lavoratori della scuola e in particolare il personale ATA hanno nuovamente dimostrato che serve mobilitarsi, rinunciando in due mesi a due giornate di salario, se si aggiunge a quello odierno lo sciopero di categoria del 18 marzo indetto da un sindacato pressoché sconosciuto come “FederAta” che in tanti istituti ha raggiunto il 90% di adesioni. Solo con la lotta di piazza si può contrastare la politica neo fascista di Renzi anche nel settore dell’istruzione; la sua arroganza nei confronti dei lavoratori della scuola e degli studenti va combattuta con la lotta di classe e proponendo una visione proletaria dell’istruzione, quella di una istruzione socialista del popolo al servizio del popolo e non al servizio dei padroni. Massimo - delegato Rsu del “Gobetti-Volta” di Bagno a Ripoli (Firenze) La deriva antidemocratica in Polonia: si stava meglio quando si stava peggio? In Polonia, dopo aver attaccato frontalmente e aver messo in discussione il ruolo di garanzia della Corte Costituzionale, il governo di estrema destra di Jarosław Kaczyński varerà a breve, sotto dettatura della Chiesa cattolica polacca, la legge sull’aborto (o meglio, contro l’aborto) più reazionaria d’Europa. Ed è solo uno dei provvedimenti presi dal partito uscito vincitore dalle elezioni dello scorso anno, che per la prima volta hanno visto sparire dal parlamento della Polonia comunisti e socialisti. Stretta sui media e sulla libertà di informazione, velleità di riforma costituzionale in senso autoritario, fastidio per la divisione dei poteri, deriva autocratica da uomo solo al comando, che caratterizzano non solo la realtà polacca ma che si replicano ovunque e con sempre maggiore frequenza nel continente europeo: nell’Ungheria di Orban, nell’Austria del vincitore annunciato Hofer, nell’Italia del bullo di Rignano sull’Arno e delle sue “riforme”; per non parlare poi della Russia di Putin, un caso da manuale. Tornando alla Polonia, abbiamo sotto gli occhi una rappresentazione plastica di cosa è stato il programma del papato di Wojtyla: demolire il muro, o comunque aprirci la prima fondamentale breccia, per riempire di soldi freschi i fascisti e le più brutte facce reazionarie della sua patria d’origine. A partire da quel Lech Walesa che per tanti è il sindacalista che ha guidato il suo paese verso la libertà, un eroe nazionale, mentre, se si ha modo di studiare bene la storia, si capisce che è tutt’altro. Risale a tre anni fa – solo per fare un esempio - una sua “democratica” dichiarazione sugli omosessuali: “Devono sapere che sono la minoranza e che devono accontentarsi e non ambire ai vertici. Dovrebbero sedere nelle ultime file del parlamento, anzi addirittura dietro ad un muro. Non voglio che questa minoranza, con la quale non sono d’accordo, vada nelle strade e confonda le idee ai miei bambini e ai miei nipoti”. Che dire: proprio un discorso di libertà. Nemmeno Jaruzelski, che era Jaruzelski e non propriamente un discepolo di Gandhi, si era mai lanciato in un’intemerata del genere. Quel che meraviglia ed irrita è che popoli come quello polacco, quello ungherese, quello russo, piangevano tanto per il “comunismo” (che pure i suoi grossi difetti li aveva), l’hanno voluto demolire, e poi adesso si mettono nelle mani di soggetti al cui confronto i “comunisti” più cattivi erano degli zuccherini. Lo dice uno che la pensa a modo suo, e che sicuramente non è un comunista ortodosso: un po’ di Gulag a questa gente qui farebbe ancora bene. Alessandro – Cervia (Ravenna) OPINIONI PERSONALI DI LETTRICI E LETTORI NON MEMBRI DEL PMLI SUI TEMI SOLLEVATI DAL PARTITO E DA “IL BOLSCEVICO” Missili, satelliti e fucili italiani per i torturatori d’Egitto di Antonio Mazzeo - Messina Il 5 aprile 2016, intervenendo al Senato sul caso di Giulio Regeni, barbaramente torturato e ucciso al Cairo il 25 gennaio, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promesso il massimo sforzo per far luce sui mandanti e gli esecutori dell’omicidio del nostro giovane connazionale. Per tanti analisti, il governo stavolta - sembra voler fare sul serio. Peccato però che ad oggi non esista atto concreto che rimetta in discussione la consolidata partnership politico-militareindustriale tra Italia ed Egitto o quantomeno congeli i trasferimenti di sistemi d’arma pesanti e leggeri alle forze armate e di polizia del sanguinario regime di Al-Sisi. Al contrario, nelle stesse ore in cui il ministro Gentiloni faceva la sua minacciosa sortita in Parlamento, un’azienda leader nel settore aerospaziale controllata in parte dalla holding Finmeccanica, Thales Alenia Space, annunciava la firma di un contratto di 600 milioni di euro per la fornitura di un sistema di telecomunicazione militare satellitare al governo egiziano. Oltre al satellite co-prodotto da Italia e Francia, Hollande si è impegnato a fornire ai militari egiziani cacciabombardieri e unità navali. In particolare, i cantieri francesi DCNS consegneranno nel 2017 una corvetta tipo “Gowind 2500” a cui seguiranno altre tre unità dello stesso tipo prodotte nei cantieri egiziani di Alessandria tra il 2018 e il 2019. La commessa ha un va- lore superiore al miliardo di euro, a cui si aggiungeranno altri 3-400 milioni per la fornitura dei sistemi da combattimento che in buona parte saranno prodotti da imprese controllate interamente o parzialmente dal colosso Finmeccanica. Alla marina militare egiziana è giunta pure una fregata multiruolo tipo FREMM realizzata nei cantieri navali del gruppo DCNS. Anche in questo caso molti dei sistemi di combattimento parleranno italiano. Nel 2013, un’altra importante azienda del gruppo Finmeccanica, AgustaWestland, si assicurò un contratto di 17,3 milioni di dollari per la manutenzione e l’assistenza al parco elicotteri delle forze armate egiziane. A fine 2012, sem- ati vern o go polo i sian del po mo mun io is é i co serviz social Perch lo e al vuole il po ci po TARE l da NON VO ITI I PART AL SI BORGHE O DEL SERVIZI LISMO CAPITA o ittimiam Deleg zioni le istitusentative rappre si borghe AST IEN I TI R NI UZIO E TIT MASS O SM E IS LE O L E DEL CIALI IAM TIVDEL SO STA ITALIANO CRERESENTA RICI ISTA-LENINI APP FAUT RX MA PARTITO - 50142 172a i.it olo, i@pml Pollai ission io del Anton l: comm e-mai le: Via centra 23164 Sede fax 055.51 Tel. e it mli. www.p ZE FIREN pre AgustaWestland consegnò all’Egitto due elicotteri AW139 in configurazione ricerca e soccorso (SAR) e trasporto truppe, armamenti e materiali. Nel dicembre 2010, anche l’azienda DRS Technologies, con sede e stabilimenti negli Stati Uniti d’America ma interamente controllata da Finmeccanica, firmò con l’esercito Usa un contratto di 65,7 milioni di dollari per consegnare alle forze armate egiziane veicoli, sistemi di sorveglianza e altre apparecchiature elettroniche. “L’Italia è l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del potere del generale AlSisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione interna nonostante la sospensione delle licenze di esportazione verso l’Egitto decretata nell’agosto del 2013 dal Consiglio dell’Unione europea”, denunciano la Rete italiana per il disarmo e l’Osservatorio permanente armi leggere (Opal) di Brescia. “Nel 2014 l’Italia ha fornito alle forze di polizia egiziane 30.000 pistole, prodotte nel bresciano e nel 2015 di 3.661 fucili, per la maggior parte prodotti da un’azienda in provincia di Pesaro Urbino. Nel 2012 il valore delle esportazioni di armi italiane all’Egitto ha raggiunto i 28 milioni di euro e ha riguardato fucili d’assalto e lanciagranate della Beretta, munizioni della Fiocchi, blindati della Iveco di Torino e apparecchiature specializzate per l’addestramento militare”. ! I T I N E I T S A ntire, e s i t r a f r Pe e tue l e r e l a v er far p , e r a t s partiti e i e r a z z i l per prot er pena p , i are le n o m i i t g t i g ra e l , per de i s esi e h h g g r r o o b b e v sentati e r p p a r ghesi i r n o o b i i z n u r t i e t s i e i gov 14 il bolscevico / esteri N. 22 - 2 giugno 2016 Contro la Loi Travail E’ guerra aperta tra i lavoratori e il governo Valls Proiettili di gomma e idranti per sgomberare una raffineria occupata All’alba del 24 maggio la polizia interveniva per sgomberare gli accessi a una raffineria e al deposito di carburante di Fos-sur-Mer, vicino a Marsiglia, bloccati dai lavoratori in lotta contro la Loi Travail, la versione francese del Jobs act, fatta passare alla Camera il 12 maggio dal governo socialista di Manuel Valls. Lavoratori e militanti della Confédération générale du travail (Cgt) opponevano resistenza e gli agenti impiegavano due ore per entrare negli stabilimenti usando persino le armi, caricate con proiettili di gomma. Il sindacato, che assieme a Force ouvrière (Fo) e alle principali organizzazioni studentesche è impegnato a organizzare la battaglia contro la “riforma” del lavoro, condannava l’intervento della polizia definito come “scene di guerra” a Fos-sur-mer e un delegato dello stabilimento denunciava che “ci hanno sparato con proiettili di gomma e hanno usato gli idranti, senza nessun avvertimento” causando diversi feriti tra i manifestanti. La Cgt annunciava altri scioperi e nuove azioni sottolineando come i lavoratori di tutte le otto raffinerie sul territorio francese erano comunque in sciopero il 24 maggio nonostante la repressione della polizia a Fos-sur-Mer. Sin dalle prime ore della mattina una protesta dei camionisti, ai quali in seguito alla Loi Travail potrebbe essere tagliata la retribuzione degli straordinari, rallentavano la circolazione attorno ai porti, raffinerie e altri centri. Fra i quali quello di Nantes-Saint-Nazaire, il quarto porto francese, già bloccato per lo sciopero dei portuali; attività ridotte dagli scioperi anche nei porti di Le Havre o Lorient. Secondo il ministro dei Trasporti, Slain Vidalies, al 23 maggio già più del 10% delle stazioni di servizio avevano chiuso o esaurito i carburanti a causa del blocco delle raffinerie. Il Medef, la Confindustria francese, condannava la protesta dei lavoratori e invocava l’intervento contro chi “prende in ostaggio il paese”. Solerte il premier Valls affermava che “lo Stato sta dando prova di grande determinazione, tutti i siti saranno sbloccati”. E inviava la polizia a irrompere nello stabilimento di Fos, il segnale della volontà del governo socialista di voler imporre la controriforma del lavoro contro la volontà di lavoratori e studenti che da oltre due mesi la contestano nelle piazza e nelle fabbriche chiedendone il ritiro. Fino a fine maggio sono in programma nuovi scioperi nel trasporto ferroviario e dei controllori di volo. Il 19 maggio, nella settima Nantes, 17 maggio 2016. I manifestanti contro la “loi travail” fronteggiano lo schieramento della polizia giornata di mobilitazione contro la Loi Travail erano scesi in piazza in tutta la Francia almeno 400 mila manifestanti. La principale manifestazione si è svolta a Parigi dove in 100 mila secondo la Cgt sono sfilati da Place de la Nation a Place d’Italie. Manifestazioni anche in molte altre città, Saint-Nazaire, Le Havre, Rennes, Bordeaux, Montpellier, ClermontFerrand, Lione. E a Nantes, dove un corteo improvvisato al grido di “stato d’emergenza, stato di polizia, non ci impediranno di manifestare” sfilava nonostante che il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve avesse proibito la manifestazione in base ai poteri conferitegli dallo stato di emergenza. Lo stato di emergenza era decretato dal governo in seguito agli attentati terroristici del novembre scorso ma prorogato una settimana fa dal parlamento con la scusa di garantire la “sicurezza” durante i prossimi eventi sportivi, europei di calcio e Tour, ovvero fino a metà luglio quando la legge dovrebbe aver completato l’iter parlamentare. Una legge che fin dalla sua presentazione era stata bocciata in prima battuta dai giovani che si mobilitavano nelle scuole e università denunciando in particolare la parte che rendeva più facili i licenziamenti e aumentava di fatto la precarietà e il lavoro sottopagato. Una denuncia fatta propria dalle principali organizzazioni sindacali che mettevano in evidenza anche l’attacco ai diritti dei lavoratori attuato con la prevalenza assegnata alla contrattazione aziendale su quella nazionale o di settore. Un passaggio già perseguito dal padronato col supporto dei governi di destra come quello segnato dalla legge Fillon del 2004 che stabiliva la possibilità di accordi aziendali stipulati in deroga a quanto previsto da quelli nazionali. Ora col governo socialista il Medef punta a far prevalere la contrattazione aziendale, quella tra l’altro dove ha maggior potere. Nel 2006 il movimento di protesta di lavoratori e studenti contro il tentativo di liberalizzare il mercato del lavoro col “contratto di primo impiego” da parte dell’allora primo ministro Dominique de Villepin costrinse l’esecutivo a fare marcia indietro nonostante la legge fosse stata approvata dal parlamento e pubblicata sul Journal Officiel. Lo stesso risultato al quale punta la contestazione di piazza alla Loi Travail con le iniziative in programma nel mese di maggio, prima della giornata di mobilitazione generale del 14 giugno quando la legge comincerà ad essere discussa al Senato. L’Italia di Renzi in fondo alla classifica sulla libertà di stampa In una lista di 180 Paesi di tutti i continenti l’Italia di Renzi si colloca al 77° posto per la libertà di stampa. E quel che è ancor più significativo è che nell’ultimo anno è retrocessa di ben 4 posizioni, essendo risultata 73ª nel 2015. Lo si ricava dalla classifica stilata ogni anno da Reporters sans frontières, l’organizzazione con sede a Parigi che dal 2002 monitora la situazione della libertà di stampa in tutto il mondo. Nella cartina geografica pubblicata sul sito dell’ong francese, in cui i vari Paesi sono distinti per colore in base alla libertà di stampa, in una gamma che va dal bianco (situazione buona) al nero (situazione molto grave), l’Italia è colorata di marrone (problemi notevoli), unico Paese dell’Europa occidentale ad avere questo giudizio, che la accomuna ai Paesi balcanici e ad alcuni Paesi dell’Est europeo come Ukraina e Ungheria. Nel vecchio continente peggio di noi stanno solo l’Albania, la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Né le cose vanno meglio su scala mondiale, dal momento che siamo preceduti da Paesi come la Moldavia, il Nicaragua, l’Armenia e il Lesotho, mentre una distanza abissale ci separa dai Paesi dove la libertà di stampa è più tutelata, come Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia. Pur in un quadro mondiale complessivo che si è andato notevolmente deteriorando in questi anni, tanto che l’indice che misura la libertà di stampa è peggiorato del 3,71% rispetto all’anno scorso ed è addirittura crollato del 13,6% dal 2013, per quanto riguarda l’Italia Rfs rileva che nel nostro Paese c’è un “livello di violenza contro i giornalisti (intimidazioni verbali o fisiche, minacce di morte ecc.) assai inquietante”. E che “tra i più colpiti sono i giornalisti che si occupano della corruzione e del crimine organizzato”, tanto che ci sono dai 30 ai 50 giornalisti sotto scorta della polizia per aver ricevuto minacce di morte. L’ong francese sottolinea a questo proposito l’attacco alla stampa portato dalla giustizia vaticana nel contesto degli scandali Vatileaks e Vatileaks 2, “con l’incriminazione di due giornalisti che rischiano 8 anni di carcere per aver scritto libri sulla corruzione e gli intrighi dentro la Santa sede”, ai quali Rsf dà tutta la sua solidarietà. Anche se la retrocessione di 4 posizioni quest’anno non è clamorosa come quella dell’anno scorso, quando l’Italia precipitò di ben 24 posizioni rispetto al 2014, la tendenza è chiarissima e inoppugnabile: nei due anni del governo Renzi i giornalisti italiani non sono mai stati così intimiditi, ridotti al silenzio o asserviti direttamente al potere politico. Il rapporto di Rsf sottolinea in- fatti l”anomalia tutta italiana del conflitto di interessi nei media”, in una lunga e dettagliata analisi sul sistema radiotelevisivo dominato dal duopolio Rai-Mediaset, per quasi un ventennio rimasto tutto nelle mani di Berlusconi. Un sistema, aggiungiamo noi, che oggi vede il prepotente ingresso del nuovo duce Renzi, che si è impadronito completamente della Rai trasformandola in una sua personale macchina propagandistica e ha allungato le sue grinfie su tutti i gruppi editoriali, da “La Repubblica” al “Corriere della Sera”. Non c’è da meravigliarsi, allora, se dopo vent’anni di berlusconismo e due di renzismo l’Italia è precipitata così in basso nella classifica della libertà di stampa. Non ne è sorpresa neanche la Federazione nazionale della stampa, che in una nota del suo segretario generale, Raffaele Lorusso, a commento della classifica di Rsf, ricorda che da noi “vige ancora l’articolo 595 del codice penale che prevede il carcere per i giornalisti”, e che “si va dall’assenza di normative antitrust ai meccanismi di nomina della governance dell’ente radiotelevisivo di Stato, che resta legato all’esecutivo in carica”. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 25/5/2016 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 esteri / il bolscevico 15 N. 22 - 2 giugno 2016 La “sinistra” borghese venezuelana rischiaAnche di per perdere il potere i suoi troppi errori Il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) del Venezuela annullava il 20 maggio la decisione espressa a larga maggioranza dalll’Assemblea nazionale che aveva respinto il decreto con cui il presidente Nicolás Maduro assumeva i pieni poteri e dichiarava in tutto il paese lo “stato di eccezione e di emergenza economica”. Il provvedimento presidenziale era ritenuto valido e Maduro poteva segnare un successo nel braccio di ferro contro le forze di opposizione, raggruppate attorno alla Mesa de Unidad democratica (Mud), in corso dalle elezioni del dicembre scorso quando conquistarono la maggioranza in parlamento. Il penultimo atto dello scontro politico nel quale la “sinistra” borghese venezuelana rischia di perdere il potere conquistato nel 1999 da Chavez era stata la bocciatura da parte del governo del referendum per la revoca del presidente Maduro, sulla quale il Mud ha già raccolto oltre due milioni di firme e punta a raccoglierne altri 5 milioni entro la fine di giu- gno. Le condizioni di vita delle masse popolari in Venezuela sono diventate gravissime per la mancanza di cibo e beni di prima necessità accompagnati dal taglio della distribuzione di energia elettrica. Lo stato di emergenza consente al governo di impiegare l’esercito non solo nelle piazze ma anche nelle fabbriche chiuse per la mancanza di materie prime, non acquistate per il deprezzamento della moneta nazionale o per sabotaggio, come in alcuni casi denunciati dal presidente Maduro. Il 15 maggio Maduro aveva presentato il ricorso allo stato di emergenza come necessario per prendere “tutte le misure per recuperare l’apparato produttivo paralizzato dalla borghesia. Chiunque voglia fermare la produzione per sabotare il Paese dovrà andarsene e chi non lo fa va ammanettato e inviato alla prigione”. Nel bocciare il voto contrario del parlamento, il Tsj ribadiva che “la misura approvata dal presidente risponde alla ne- cessità di proteggere il popolo e le istituzioni oggetto di minacce esterne e interne che portano a destabilizzare la vita e l’ordine sociale nel paese”. Il Venezuela è il quinto produttore di petrolio al mondo e il Paese con le più ricche riserve petrolifere, eppure è sull’orlo del fallimento dovuto in parte al crollo del prezzo del petrolio ma anche per una serie di errori del governo della “sinistra” borghese nella gestione dell’economia, per non parlare del permanere di una dilagante corruzione. I dati del paesi indicano una pesante recessione economica con la caduta di quasi del 6% del pil nel 2015 e mentre l’inflazione schizzava al 700% moltiplicando l’aumento dei prezzi il salario medio restava sui 15 dollari mensili. Maduro accusava le opposizioni di essere il braccio esecutivo nel paese delle ingerenze degli Stati Uniti impegnati in Venezuela, come in Brasile, a realizzare “un golpe” strisciante col l’obiettivo di “porre fine alle correnti del progressi- smo in America Latina”. Dopo quello già realizzato in Argentina con l’elezione del liberista Mauricio Macri alla Casa Rosada. Di sicuro c’è che l’imperialismo americano anche sotto la guida di Obama ha cercato di recuperare spazio e consensi nel continente sudamericano per rispondere all’offensiva economica della concorrente superpotenza cinese. Il sucessore di Hugo Chávez rischia di perdere il potere conquistato dal suo predecessore nel 1999. Ha perso la maggioranza di consensi nel paese come registrato alle elezioni legislative del 6 dicembre 2015 quando l’opposizione riunita del Mud doveva conquistava 112 seggi su 167; solo 55 seggi andavano al Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), il partito del presidente. Una perdita di consensi pesante da parte del Psuv, certo dovuta alle difficoltà create al governo dalla guerra economica lanciata dalla borghesia che si riconosce nell’opposizione e dalle manovre dirette da Washington ma anche agli errori Mentre 10 giornalisti palestinesi sono incarcerati in Israele Raid aereo israeliano su Gaza Fra il 4 e il 5 maggio l’aviazione israeliana ha comppiuto una serie di raid sulla striscia di Gaza che hanno causato almeno un morto, una donna, e quattro feriti, tra i quali tre bambini. Bersagli dei raid sionisti sono stati l’area Abu al-Rus, nella parte orientale di Rafah, e quartieri periferici di Khan Yunis e della città di Gaza. Questi attacchi sono la rappresaglia decisa del regime sionista di Tel Aviv ai colpi di mortaio sparati negli stessi giorni dai palestinesi contro le sue truppe schierate al confine. Ai primi del mese di maggio blindati e bulldozer dell’esercito di occupazione sionista hanno dato il via a una nuova serie di incursioni all’interno della Striscia per tenere “pulita” una fascia di territorio lungo tutta le recinzione del lager di Gaza per togliere qualsisi riparo a possibili attaccanti. I buldozer spianano il terreno e i blindati sparano per tenere alla larga i palestinesi che protestano come è successo presso Shujayea e nella zona di Beit Hanun. I raid aerei e le incursioni via terra sono ritornate a essere una costante nella vita dei palestinesi della striscia di Gaza, una condizione di vita “cancellata” dalle normali cronache dei mass media imperialisti che coprono col loro silenzio anche lo sviluppo dell’occupazione sionista dei territori palestinesi con l’avanzare incessante della colonizzazione e la confisca di terre e risorse naturali in Cirgiordania. Mentre i confini della striscia di Gaza vengono sempre più spesso chiusi sul versante israeliano e sono del tutto bloccati su quello egiziano dove il regime del generale golpista Al Sisi apre il valico di Rafah col contagocce, una volta ogni diversi mesi, in rappresaglia contro il governo di Hamas, l’organizzazione nata da una costola dei Fratelli Musulmani cacciati al Cairo dal golpe di tre anni fa. La repressione della resistenza all’occupazione per il regime sionista del boia Netanyahu passa anche dall’incarcerazione, spesso senza processo, di giornalisti palestinesi. Il regime di Tel Aviv gareggia col vicino alleato imperialista, il governo di Ankara nello sbattere in galera i giornalisti e tentare di mettere a tacere anche quella voce contraria. Nel corso degli ultimi sei mesi i soldati di Tel Aviv hanno arrestato 19 giornalisti palestinesi, dieci sono ancora dietro le sbarre e tra questi sei senza processo, a tempo indetermi- nato. Uno dei casi noti è quello di un corrispondente di una tv saudita arrestato a fine novembre e mai processato. Secondo una denuncia del Centro studi per Prigionieri palestinesi, solo nello scorso mese di aprile le forze di occupazione israeliana hanno arrestato 490 palestinesi, tra cui 65 minori, 27 donne e 21 anziani. Tra gli arrestati una ventina di pescatori di Gaza, che per lavorare superano l’illegale limite di distanza da terra imposto dai sionisti, e una decina tra feriti e malati sempre di Gaza che sono stati bloccati al valico di Beit Hanoun/Erez mentre tentavano di andare a farsi curare a Tel Aviv o in Cisgiordania. I tribunali sionisti hanno emesso ben 186 ordini di detenzione amministrativa contro detenuti vecchi e nuovi senza accuse o prove, quindi illegali. Elettrice ed elettore di sinistra! ASTIENITI, considerandolo un voto dato al PMLI e al socialismo dell’esecutivo di Caracas. Stando solo a giudizi benevoli di collaboratori del governo Maduro, la “rivoluzione” chavista non ha modificato la situazione del paese di dipendenza quasi esclusiva dal petrolio e quando il prezzo del greggio è crollato ne ha pagato le conseguenze; coi dollari del petrolio ha coperto le esigenze del mercato interno importando persino beni di prima necessità piuttosto che puntare sullo sviluppo dell’agricoltura nazionale. Ha lasciato in mani private il controllo di buona parte del sistema bancario che ha potuto giocare a vantaggio dell’opposizione di destra quando ha voluto; lo stesso dicasi per la grande distribuzione dei generi alimentari, rimasta in mano ai gruppi privati protagonisti della guerra economica al governo. D’altra parte è stata evidente la lotta quasi inesistente del governo contro la corruzione dilagante e l’impunità dei funzionari pubblici. Esemplare la vicenda del febbraio scorso quando Maduro aveva chiuso la catena sta- tale Bicentenario che si occupava delle forniture alimentari su larga scala ai supermercati; funzionari pubblici corrotti risultavano implicati nella sparizione di prodotti di consumo dagli scaffali e nella loro vendita illegale al mercato nero e a prezzi esorbitanti. Un ravvedimento che non copre i tanti errori del governo della “sinistra” borghese venezuelana e che conferma come la “rivoluzione bolivariana” avviata da Chavez e il suo “socialismo del siglo XXI” altro non sono che una rimasticatura di revisionismo destinati al fallimento. Dopo la sconfitta elettorale del dicembre scorso Maduro sostenne che “ha vinto la guerra economica, il capitalismo selvaggio e parassitario, e ora si impone un piano controrivoluzionario per smantellare lo stato democratico di giustizia e diritto. Ma noi, con la costituzione in mano, difenderemo il nostro popolo”. Il Mud, con la costituzione venezuelana in mano raccoglie le firme per destiture Maduro. Il nuovo zar Putin istituisce un esercito personale Il compito principale della Guardia nazionale è reprimere le manifestazioni non autorizzate Il presidente russo Vladimir Putin ha personalmente annunciato lo scorso 5 aprile la creazione di un nuovo organo di sicurezza, la Guardia nazionale, alle sue dirette dipendenze col compito di partecipare al mantenimento della sicurezza pubblica e delle emergenze, oltre al contrasto del terrorismo internazionale, del narcotraffico e della criminalità organizzata; parteciperà alla difesa territoriale della Federazione, alla protezione di siti e cargo importanti e insieme all’Fsb, i servizi segreti, controllerà le frontiere della Federazione russa. Ma il suo compito principale, come ha precisato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, è reprimere le manifestazioni di protesta non autorizzate. Il nuovo zar Putin, dopo un incontro con il ministro degli Interni, Vladimir Kolokoltsev, e altri responsabili della sicurezza nazionale ha spiegato che la nuova formazione nascerà dalla fusione delle truppe dipendenti dal ministero degli Interni, quelle dedicate agli interventi in caso di calamità e grandi rischi, con gli Omon, le squadre di polizia anti-sommosa e le Sobor, le squadre di intervento rapido. Nella struttura del ministero degli Interni saranno invece inglobate le forze dell’agenzia per la lotta alla droga, Fskn, e quelle del Servizio immigrazione, Fms. La Guardia nazionale, guidata dall’ex capo della guardia presidenziale e vice mi- nistro degli Interni Viktor Zolotov, sarà composta inizialmente da almeno 430 mila uomini, i 200 mila del ministero degli Interni e i 230 mila soldati delle unità speciali Omon e Sobor. Le forze degli Interni, impegnate attualmente in “un ruolo importante nel mantenimento dell’ordine e del rispetto della legge nel Nord del Caucaso”, portano in dotazione i loro mezzi corazzati, aerei, unità navali e genieri. Nel testo della legge per la costituzione della nuova forza che il governo russo ha depositato in parlamento si afferma che i componenti della Guardia nazionale potranno aprire il fuoco a vista e arrestare presunti colpevoli di reati, “ricorrere alla forza fisica, a strumenti speciali quali manganelli o lacrimogeni o alle armi senza preavviso se l’attesa a farlo costituisce una minaccia immediata per i russi o per gli agenti stessi”. Potranno usare “mezzi speciali”, dai cannoni ad acqua ai mezzi corazzati, contro proteste di massa o altre “azioni illegali” che disturbano il traffico o il normale svolgimento della vita quotidiana. Potranno entrare nelle abitazioni private, fermare sospetti o verificare documenti o veicoli, come peraltro già agiscono contro il “terrorismo” nella regione del Caucaso le Forze del ministero degli Interni. La Guardia nazionale sarà di fatto l’esercito personale di Putin contro oppositori e proteste di piazza. Perché i comuni siano governati dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo NON VOTARE I PARTITI BORGHESI AL SERVIZIO DEL CAPITALISMO Delegittimiamo le istituzioni rappresentative borghesi PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it Stampato in proprio CREIAMO LE ISTITUZIONI RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE FAUTRICI DEL SOCIALISMO Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) ASTIENITI