N.22 data editoriale 2 giugno 2016

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N.22 data editoriale 2 giugno 2016
Nuova serie - Anno XXXX - N. 22 - 2 giugno 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
“Osare
pensare,
osare parlare,
osare agire,
osare attaccare e
osare fare la rivoluzione”
(Mao, Direttiva alla III Sessione plenaria del IX CC
della Lega della Gioventù comunista , aprile 1966)
il c
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A TUTTA
tali
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FORZA PER
o
PROPAGANDARE
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ASTIENITI
L’ASTENSIONISMO tuzio
parti ni e
CONTRO
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PER IL SOCIALISMO
NON VOTARE
I PARTITI
BORGHESI AL
SERVIZIO DEL
CAPITALISMO
Delegittimiamo
le istituzioni
rappresentative
borghesi
ern
ov
CREIAMO LE ISTITUZIONI
RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE
FAUTRICI DEL SOCIALISMO
i
Grave falsificazione sul rapporto
fra Mao e le guardie rosse PAG. 9
PER LE ELEZIONI COMUNALI DEL 5 GIUGNO
ig
Pubblicata una composizione “artistica” provocatoria di una
Guardia rossa sepolta sotto una valanga di spille di Mao
Perché i comuni siano governati
dal popolo e al servizio del popolo
ci vuole il socialismo
uo
“Il Manifesto” in ritardo “celebra”
la Rivoluzione culturale proletaria
cinese interpretandola in senso
trotzkista e anarchico
PAGG. 7 e 11
is
Ripubblicando anche tre vecchi articoli
del 2005 di ex fasulli “maoisti”
Documento elettorale
dell’Organizzazione di Caltagirone
banchini elettorali a milano e varese
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
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NON UN GIORNO VADA PERSO, NON UN VOLANTINO VENGA RISPARMIATO
Addestrare le forze del governo fantoccio
libico e’ come partecipare alla guerra all’IS
Soldati italiani sono già operativi sul territorio contro l’IS
Gli Usa appoggiano il ruolo dell’Italia in Libia
Roma
Indetto da Flc-Cgil, Cisl-scuola, Uil-scuola, Snals
Sciopero generale dei lavoratori
della scuola, universita’ e ricerca
e precari contro la “Buona scuola”
“Giannini dimettiti”. Slogan contro Renzi, la meritocrazia e la
gerarchizzazione. Chiesto lo sciopero generale
PAG. 5
PAG. 2
60 mila pensionate e pensionati
invadono piazza del Popolo per
rivendicare diritti e dignità
Cgil e UIL Pronti allo sciopero generale
PAG. 5
Sui tre referendum e sulla proposta
di legge di iniziativa popolare
sulla Carta dei diritti promossi dalla Cgil
Arrestato David (FI ex PD)
consigliere comunale
di Messina
Comunicato dell’Organizzazione locale del PMLI
La mafia messinese compra i voti
PAG. 3
Cosa
ne pensate
di quest’Europa?
PAG. 2
No alla soppressione
della Cardiologia
al Rizzoli di Ischia
Giù le mani dalla sanità pubblica
PAG. 12
Per corruzione elettorale
Ai domiciliari Capurro (FI), accusato di
concorso esterno in associazione mafiosa
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E’ morto Giuseppe Lepore
Cofondatore della
Cellula “Marx” della Val Vibrata
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2 il bolscevico / imperialismo italiano
N. 22 - 2 giugno 2016
Addestrare le forze del governo fantoccio
libico e’ come partecipare alla guerra all’IS
Soldati italiani sono già operativi sul territorio contro l’IS
Gli Usa appoggiano il ruolo dell’Italia in Libia
Nessun intervento straniero
in Libia, ma solo addestramento
militare della costituenda guardia presidenziale, primo nucleo
del nuovo esercito libico, e fine
dell’embargo sulla fornitura di
armi al governo di Tripoli: queste le richieste presentate dal
premier libico Fayez al-Serraj al
vertice della coalizione anti-Daesh del 16 maggio a Vienna, che
le ha sostanzialmente accolte. Il
vertice, a cui hanno partecipato i
rappresentanti di 20 Paesi, oltre
a Onu, Ue ed Unione africana, era
stato convocato dal segretario di
Stato americano John Kerry e dal
ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, in prosecuzione della
precedente conferenza di Roma
del dicembre scorso sulla lotta
allo Stato islamico, e in particolare per fare il punto sulla situazione politico-militare in Libia e sul
ritardato riconoscimento del governo di accordo nazionale (Gna)
di al-Serraj, creato a tavolino e
insediato dall’Onu il 30 marzo a
Tripoli, ma non ancora riconosciuto dal parlamento di Tobruk
a causa del sabotaggio, se non
dell’aperta ostilità, del generale
filoegiziano Khalifa Haftar, sostenuto anche da Francia, Gran Bretagna ed Emirati Arabi.
Lo scopo del summit era dunque quello di confermare l’appoggio al governo Serraj e rafforzare
la sua “legittimazione” internazionale, per poter procedere con i
piani di intervento militare al suolo contro lo Stato islamico, nonostante lo stallo sul riconoscimento del governo di Tripoli da parte
di tutte le fazioni libiche e stante
il fatto che tale intervento, per
essere “legale”, dovrebbe essere
“richiesto” dagli stessi libici. Per
aggirare l’ostacolo rappresentato
da Haftar, che si rifiuta di riconoscere il Gna e con la sua offensiva
per cacciare l’IS da Sirte punta
anzi, con l’appoggio degli alleati
egiziani, arabi e anglo-francesi,
a impossessarsi della Cirenaica
ricca di pozzi di petrolio, Serraj è
costretto per il momento a chiedere non un intervento militare
diretto, che sarebbe considerato
un’invasione da Haftar e dalle
altre fazioni che ancora non lo
riconoscono, ma un intervento
mascherato appunto da “addestramento” del suo costruendo
esercito personale da parte delle
potenze straniere che lo hanno
insediato e lo sostengono.
E queste ultime stanno al suo
gioco e lo coprono, accettando la
farsa dell’intervento “indiretto”,
attraverso l’invio di militari “addestratori” e rifornendo di armi i
pretoriani che lo sostengono nella guerra all’IS: “Appoggeremo il
Consiglio di presidenza e cercheremo di revocare l’embargo e fornire gli strumenti per contrattaccare Daesh”, ha detto Kerry alla
conferenza stampa congiunta
con Gentiloni. “È imperativo – ha
aggiunto il ministro degli Esteri
Usa – che la comunità internazionale sostenga il governo Serraj,
che è l’unico legittimo della Libia
e ora deve iniziare a lavorare”.
Gentiloni ha dichiarato a sua
volta che “cercheremo di rafforzare l’accordo politico, per
combattere contro l’Isis, incluso
il generale Haftar, ma serve un
riconoscimento pieno”, sottolineando che “Il messaggio del
nostro incontro è un messaggio
politico perché stiamo sostenendo le recenti decisioni del governo di accordo nazionale. Prima di
tutto: la costituzione di una guardia presidenziale che sosterremo
e di un comando congiunto per
combattere l’Isis”. “La Comunità
internazionale – ha poi concluso
il titolare della Farnesina - darà
Addestramento di militari libici in Italia nel 2014
il suo sostegno al Consiglio presidenziale che chiede di togliere
l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi e le munizioni affinché il
governo possa combattere l’Isis
e gli altri gruppi terroristi”.
Si sta adottando dunque per la
Libia la stessa strategia usata dal
governo italiano per l’intervento
contro l’IS in Iraq, dove le truppe
italiane mascherano la loro partecipazione attiva alla guerra allo
Stato islamico dietro il paravento
dell’addestramento delle forze di
sicurezza e militari irachene e dei
reparti curdi, mentre in realtà ci
si sta preparando per lo scontro
diretto con le milizie del Califfato
intorno alla sua capitale irachena, Mosul. E tuttavia, secondo
fonti libiche confermate da fonti
governative italiane, una quaran-
tina di soldati dell’Esercito e della
Marina affiancano da settimane i
servizi segreti in Cirenaica e a Misurata, nella base aerea di Benina
vicino a Bengasi, una base e uno
dei comandi principali del generale Haftar. Dunque sono schierate operativamente, al fianco delle
forze speciali francesi, americane
e britanniche, nella battaglia che
costui sta conducendo per riconquistare Bengasi e strapparla
all’IS.
Né il fantoccio Serraj, né il
nuovo duce Renzi hanno interesse in questo momento ad un
intervento militare conclamato
dell’Italia sul suolo libico: il primo
perché è ancora troppo debole e
non riconosciuto da tutti, e non
vuole smascherarsi come lacché
di potenze straniere; il secondo
perché sta monitorando le operazioni e le manovre delle altre
forze militari imperialiste presenti
in Libia e l’azione delle diverse
milizie libiche e dei loro manovratori stranieri mentre si riserva
di farlo più ufficialmente dopo la
campagna elettorale e grazie a
un’adeguata copertura diplomatica internazionale. Perciò, dopo
aver sondato il terreno dopo il G5
di Hannover, ventilando di essere
pronti all’invio di un contingente
di 900 uomini (subito smentito alle prime reazioni negative),
il governo italiano e il ministero
della Difesa non avevano invece
smentito la notizia dell’invio di un
contingente di 250 uomini, appoggiato da blindati leggeri, con
il compito di proteggere la sede
dell’Onu a Tripoli e addestrare i
primi reparti del nuovo esercito
libico.
Col vertice di Vienna e l’accoglimento delle richieste di Serraj,
questo scenario è stato sostanzialmente confermato dallo stesso Gentiloni, con l’unica differenza che le truppe italiane saranno
formalmente inviate per addestrare i militari libici e proteggere
l’ambasciata italiana, mentre la
sede e le istituzioni dell’Onu saranno controllate dalla forza multinazionale di cui l’Italia farà parte.
Ma sta di fatto che addestrare le
forze del governo fantoccio libico
è a tutti gli effetti come partecipare alla guerra all’IS, con tutte
le nefaste conseguenze per il rischio attentati terroristici che ne
deriverebbe per il nostro Paese.
A maggior ragione perché di
questa coalizione militare l’Italia
ne avrebbe addirittura la guida,
pur se questo ruolo non è stato
ancora ufficializzato. Tant’è vero
che anche di recente esso è stato riaccreditato autorevolmente
nientemeno che dal capo degli
stati maggiori riuniti della Difesa
americana, Joseph Dunford, il
quale ha riconfermato in un’intervista al Washington Post del 20
maggio che “in Libia ci sarà una
missione a lungo termine”, che
il governo Serraj farà richiesta
in tal senso e che tale missione
potrebbe essere ancora guidata dall’Italia. Il governo italiano,
ha spiegato Dunford precisando
di averne parlato a Bruxelles col
suo omologo italiano, il generale
Claudio Graziano, ha solo posto
delle “condizioni”, come l’identificazione di quali forze dovrebbe
addestrare in Libia e la copertura
internazionale dell’Onu: “Se tali
condizioni saranno accolte – ha
concluso Dunford – gli italiani
hanno indicato di essere ancora
disponibili”.
Cosa ne pensate di quest’Europa?
Buongiorno,
questa Europa così com’è
ad oggi non va bene, si tratta di
un’Europa dominata dagli speculatori, da chi è contro i lavoratori.
Voi cosa ne pensate di questa Europa? Non sarebbe meglio
uscirne per ritornare ai vecchi
Stati nazionali e lottare per il socialismo?
Alessandro - Firenze
Siamo assolutamente d’accordo con te. L’Unione europea
non è un’unione di popoli bensì
un’unione di monopoli capitalistici e di grandi centri finanziari.
È una superpotenza imperialista
nata, strutturata e organizzata per
competere, a livello finanziario,
economico e militare, con le altre
superpotenze mondiali, Usa, Cina,
Russia, Giappone, per il predominio mondiale.
Essa non è nata per perseguire il benessere dei lavoratori europei, ma anzi per sfruttarli e opprimerli ancor più intensamente e
per servire meglio gli interessi dei
rispettivi monopoli che dettano la
linea ai vari governi nazionali, in
particolare per espandersi verso la
conquista di nuovi mercati e fon-
ti energetiche e di materie prime.
La Ue è un inferno per il proletariato e le masse popolari dei Paesi
aderenti, obbligati dalle sue ferree
leggi monetarie, basate sull’euro e
sulla Banca centrale, ed economiche, basate sui parametri di Maastricht e del Fiscal compact, a perseguire in casa propria politiche
ferocemente liberiste e antipopolari di “lacrime e sangue”; come
lo strangolamento della Grecia,
favorito dalla capitolazione di
Tsipras, e anche la dura penalizzazione del nostro Paese stanno
tristemente a dimostrare.
Basti pensare anche solo al famigerato Trattato transatlantico
sul commercio e gli investimenti (TTIP), questo nuovo mostro
del capitalismo mondiale che si
sta trattando in gran segreto con
gli Usa passando sopra la testa
dei popoli europei, per comprendere che la Ue non risponde agli
interessi delle masse dei rispettivi
Paesi ma solo a quelli dei grandi
monopoli e delle grandi multinazionali private, che voglio fare tabula rasa delle regole e dei vincoli che intralciano il libero mercato
capitalista e il conseguimento dei
massimi profitti, infischiandosene
della salute e dei diritti delle po-
polazioni.
Anche le sue istituzioni riflettono la sua natura imperialistica,
antidemocratica e antipopolare. Il
parlamento europeo, la sola istituzione eletta a suffragio universale, è solo un inutile e dispendiosissimo orpello, che non conta nulla
nel determinare le decisioni politiche più importanti e vincolanti,
che vengono prese invece da ben
altri organismi elitari nominati e
controllati dall’alto, quali il Consiglio europeo dei capi di Stato e
di governo, la Bce e la Commissione europea. Organismi al cui
interno, oltretutto, comandano
solo i rappresentanti degli Stati
più forti dell’Unione, attualmente quelli dell’Europa centro-settentrionale, con in testa la Germania, più la Francia. Mentre l’Italia
del nuovo duce Renzi, per quanto cerchi di fare la voce grossa in
Europa invocando la “flessibilità”
economica, non può uscire dai rigidi binari della politica dettata da
Berlino, Francoforte e Bruxelles.
La Ue imperialista è anche una
superpotenza militare, che in alleanza e allo stesso tempo in competizione con gli Usa, pratica
sempre di più una politica espansionista, aggressiva, neocoloniali-
sta e interventista, sia sul versante
orientale, in Ukraina e nel Baltico, contro la Russia imperialista
del nuovo zar Putin, sia sul versante meridionale: verso il Mediterraneo dove le sue flotte militari scorrazzano ormai dappertutto,
e verso il Nord Africa e il Medio Oriente, come dimostra la
sua partecipazione armata a tutti i
conflitti in corso in quelle regioni, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla
Siria alla Libia.
La Ue si è dimostrata essere anche una superpotenza razzista, xenofoba e fascista, incapace di difendere e garantire i diritti umani,
la solidarietà e l’accoglienza. Ed è
sempre più orientata ad applicare
politiche di respingimento, anche
con la costruzione di muri e di reticolati di retaggio nazista alle sue
frontiere interne, contro i migranti
e le masse di disperati. Anche da
essa stessa creati con la sua politica di ingerenza imperialista e di
sfruttamento in Africa e in Medio
Oriente.
Per tutti questi e anche per mille altri motivi la Ue è pertanto irriformabile, e le due sole scelte
possibili sono di accettarla così
com’è oppure combatterla per distruggerla. Non esistono vie di
mezzo, come predicano certe forze della “sinistra” borghese e false
comuniste, che cercano di illudere
i lavoratori e le masse che sia possibile “democratizzarla” e “cambiarla” in senso popolare, tesi che
mirano solo a coprire a sinistra
le istituzioni europee e che hanno già dimostrato tutto il loro miserevole fallimento, come la Lista Tsipras per un’“altra Europa”
naufragata insieme al vergognoso
voltafaccia di Syriza.
Ci sono poi altre forze come la
Lega Nord e il Movimento 5 Stelle che chiedono l’uscita dell’Italia dall’Euro, ma si mantengono
ambigue sull’uscita dalla Ue, talora avanzando ipotesi di “rinegoziazione” delle condizioni per
la permanenza nell’Unione. Ma la
sola uscita dall’euro non risolverebbe il problema, perché sicuramente verrebbe fatta pagare a caro
prezzo al nostro Paese, come dimostra il criminale ricatto terroristico esercitato contro il popolo greco per costringerlo a restare
nell’Unione e accettare gli ulteriori e più feroci sacrifici che gli
sono stati imposti.
Perciò non basta uscire dall’euro, ma occorre uscire anche e soprattutto dalla Ue, se si vuole ve-
ramente liberarsi da ogni vincolo
e recuperare la sovranità nazionale: e non solo a livello economico,
finanziario e monetario, ma anche
politico e militare, se non si vuole restare coinvolti in nuove guerre imperialiste, come quella che
potrebbe innescarsi alle frontiere
orientali dell’Europa. La recuperata indipendenza e sovranità nazionale creerebbe inoltre un terreno più favorevole nel nostro Paese
per la ripresa della lotta di classe
anticapitalista per far avanzare le
istanze dei lavoratori e delle masse e, in prospettiva, per la conquista del potere politico da parte del
proletariato e l’instaurazione del
socialismo.
Solo il socialismo può portare all’Europa dei popoli. Ma per
aprirgli la strada bisogna prima
distruggere la Ue. Nel frattempo
lottiamo per opporci strenuamente alle sue politiche liberiste e antipopolari e a sue nuove avventure militari contro altri Paesi e altri
popoli. In primo luogo lottiamo
contro l’imperialismo italiano rappresentato dal governo del nuovo duce Renzi che va abbattuto.
L’unico modo, tra l’altro, per tirare fuori l’Italia dalla guerra imperialista contro lo Stato islamico.
sindacato / il bolscevico 3
N. 22 - 2 giugno 2016
Sui tre referendum e sulla proposta
di legge di iniziativa popolare
sulla Carta dei diritti promossi dalla Cgil
“La scelta referendaria, a carattere eccezionale e straordinario, è coerente ed è unicamente
finalizzata al sostegno della Proposta di Legge di iniziativa popolare che la CGIL avanza con la
Carta dei diritti, che è e rimane
il cuore e la finalità dell’iniziativa decisa dalla CGIL”. Potremmo partire da queste affermazioni,
contenute nel documento conclusivo del Comitato Direttivo della Cgil approvato il 21 marzo a
Roma, per fare delle considerazioni sulla raccolta delle firme iniziata sabato 9 aprile e che durerà fino
a venerdì 8 luglio per quanto riguarda i quesiti referendari di modifica del Jobs Act e fino a sabato
8 ottobre per ciò che concerne la
“Carta dei diritti universali del lavoro”. Le dichiarazioni dei vertici sindacali sono chiare: lo sforzo
della Cgil è tutto proteso a far approvare una legge che recepisca la
“Carta”, mentre i referendum sono
subordinati a questo.
Un’impostazione inaccettabile,
anzitutto perché la Carta dei diritti
del lavoro è dannosa e controproducente per i lavoratori. Cercheremo comunque in questo articolo
di fare delle riflessioni che ci aiutino a capire e a distinguere tra le
varie questioni che vengono poste
sul tappeto.
Sì ai tre quesiti
referendari
Adesso i quesiti ce li ritroviamo davanti e dobbiamo scegliere, non possiamo girarci dall’altra parte. Quindi possiamo firmare
quando nelle piazze troviamo i
punti di raccolta organizzati dalla Cgil, pur non condividendone
le motivazioni e le argomentazioni. Questo non è in contraddizione con i nostri giudizi precedenti
perché anche il PMLI è per l’abolizione dei voucher, per la reintroduzione dell’articolo 18 per i
neoassunti, per estendere la responsabilità delle ditte appaltatrici anche su appalti e subappalti,
che sono oggetto dei tre referendum proposti dalla Cgil. Nel caso
i referendum si tenessero davvero
il PMLI sarebbe schierato senza
esitazione per il Sì, impegnandosi direttamente per abrogare i tre
punti specifici del Jobs Act anche
se avrebbe preferito un quesito referendario che ne chiedeva la totale cancellazione. Non possiamo certo stare con chi lo difende;
da quella parte ci sta chi ha fortemente voluto il Jobs Act, il nuovo
duce Renzi e la maggioranza del
suo partito, il PD, assieme a chi lo
avrebbe voluto ancor più punitivo
verso i lavoratori: i vari Brunetta,
Berlusconi, Alfano e simili.
No alla proposta di
legge di iniziativa
popolare
Diverso è il discorso riguardo
alla proposta di legge di iniziativa popolare che recepisce il testo
della Carta dei diritti del lavoro:
in questo caso non possiamo assolutamente firmare e ribadiamo
il nostro giudizio critico. La Carta, ben lungi dall’essere un nuovo
Statuto dei Lavoratori che estende
le tutele come viene presentata, si
adegua e prende atto della precarizzazione del rapporto di lavoro e
delle nuove relazioni industriali di
tipo mussoliniano. Non combatte
apertamente il precariato ma cerca solo di contenerlo e di renderlo
meno indigesto ai lavoratori. Ma
c’è molto di più.
La richiesta a gran voce di attuare l’articolo 39 della Costituzione è un palese tentativo dei
sindacati di vedersi assegnato un
ruolo istituzionale, diventare parte integrante dello Stato, compensando in questo modo la perdita di
autorevolezza avuta in questi ultimi tempi. Per 70 anni questo articolo costituzionale non è mai
stato attuato proprio per l’opposizione dei sindacati e in primis della Cgil, perché ne avrebbe minato l’autonomia e avrebbe fatto da
freno allo sviluppo della lotta di
classe. Con l’istituzionalizzazione
e burocratizzazione dei sindacati
la Cgil tradisce lo scopo per cui i
sindacati sono nati, ovvero rappresentare gli interessi dei lavoratori,
allontanandosi definitivamente
dalla lotta di classe per avvicinarsi al modello corporativo simile a
quello fascista, a braccetto ormai
con banchieri e industriali. A questo si aggiunge, nel progetto della
Carta dei diritti universali del lavoro, la vera e propria truffa della
partecipazione e cogestione nelle
aziende, in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Che comporta la subordinazione dei propri
interessi di classe a quelli della
borghesia, un vero e proprio fumo
negli occhi per i lavoratori e una
resa davanti ai padroni. Chi vuole
approfondire la questione può an-
dare a leggersi il Documento della Commissione di massa del CC
del PMLI pubblicato sul numero 9/2016 del Bolscevico e i successivi articoli di critica alla Carta dei diritti universali del lavoro
della Cgil.
Tirando le somme ribadiamo
che le modalità con cui siamo arrivati alla raccolta di firme non sono
condivise dal PMLI, tanto più l’interpretazione data ai referendum,
di sostegno alla proposta di legge, non ci trova d’accordo; tuttavia questo non impedisce, giunti
a questo punto, ai marxisti-leninisti di firmare. Di fronte all’effettivo svolgimento dei referendum il
PMLI non avrebbe dubbi: pur partendo dalle proprie posizioni metterebbe in secondo piano le tante
questioni che ci dividono e farebbe fronte unito con la Cgil e con
tutti coloro che vogliono abrogare,
seppur parzialmente, il Jobs Act.
Nessuna firma invece a sostegno
della proposta di legge d’iniziativa
popolare anche se questa sembra
di difficile attuazione stando l’attuale composizione del parlamento, che sarà ancora più nero dopo
eventuali controriforme elettorali
e costituzionali. In ogni caso non
possiamo appoggiare la Carta dei
diritti universali del lavoro perché
essa non riflette gli interessi delle
lavoratrici e dei lavoratori, è invece una proposta neocorporativa e
cogestionaria funzionale al capitalismo e che trasforma i sindacati in
istituzioni dello Stato borghese.
Riguardo ai referendum ribadiamo che la posizione dei marxisti-leninisti è legata al tipo di
quesito, in base a questo decidono
per il Si, il No o l’astensione, facendo la scelta che più si avvicina
agli interessi dei lavoratori e delle
masse popolari. Rimaniamo però
convinti che i diritti sociali, collettivi e individuali si conquistano
con la lotta di classe che non può
essere sostituita da quella referendaria. Quando su un determinato
tema si attiva una forte mobilitazione, da cui scaturiscono grandi
manifestazioni di massa, forme di
lotta decise, estese e durature, allora anche il referendum, di conseguenza, può rivelarsi uno strumento valido e vincente in grado
di ottenere dei risultati. Altrimenti diventa un surrogato della lotta
di classe e della mobilitazione popolare, che alimenta illusioni ma
è destinato fatalmente all’insuccesso.
Facciamo qualche esempio.
Prendiamo la lotta che si sviluppò nei primi anni duemila contro il governo Berlusconi quando
voleva eliminare l’articolo 18 per
i neoassunti (come ha fatto Renzi con il Jobs Act). Una lunga serie di scioperi, manifestazioni, iniziative a tutti i livelli, da parte dei
lavoratori con il coinvolgimento
degli studenti e dei pensionati pervasero tutta Italia, e culminarono
nella più grande manifestazione di
piazza mai vista nel nostro Paese,
quella del 23 marzo 2002 con 3
milioni di persone a Roma organizzata dalla Cgil. In seguito vi fu
anche un referendum per estendere l’articolo 18 alle piccole aziende che non raggiunse il quorum
(nonostante 11 milioni di sì) ma
le poderose dimostrazioni spinsero lo stesso il neoduce Berlusconi
a più miti consigli: non se la sentì
di continuare a sfidare i lavoratori, l’opposizione sociale, la stessa
Cgil e l’articolo 18 non fu toccato.
Nel caso del Jobs Act invece la
Cgil ha perso tempo prezioso, illudendosi che l’inconcludente minoranza del PD frenasse i piani
di Renzi o che il parlamento nero
apportasse delle modifiche al Jobs
Act. Era già stato emanato l’apposito Decreto Legge quando fu deciso l’inizio della mobilitazione, e
in pratica era già stato approvato
dalle Camere quando ci furono le
prime iniziative nazionali. Nonostante la disponibilità dei lavoratori a lottare la Cgil, affiancata dalla
Uil, non proseguì nella lotta come
aveva promesso e quello che doveva essere l’inizio, fu la fine prematura della mobilitazione. Evidentemente non c’era la volontà
di radicalizzare la lotta, la Camusso e i vertici sindacali hanno preferito evitare lo scontro frontale
con il governo che a quel punto,
vista l’intransigenza e l’arroganza
di Renzi, era inevitabile se si voleva veramente fermare il Jobs Act,
l’eliminazione dell’articolo 18 e il
sostanziale depotenziamento dello Statuto dei lavoratori. Di fronte a questo atteggiamento il PMLI
ha giustamente dato indicazione ai
lavoratori di votare no alla consultazione promossa dalla Cgil che
chiedeva il mandato a promuovere
i referendum. Non potevamo essere d’accordo con chi preferiva abbandonare la strada della lotta di
piazza per abbracciare quella referendaria, oltretutto chiedendo
abrogazioni parziali e non totali
del Jobs Act.
Lo testimonia il fascista doc Accame in un’intervista di 8 anni fa
L’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione
è da sempre un obiettivo dei fascisti
Ora fa parte della Carta dei diritti universali del lavoro promossa dalla Cgil
La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende era “il sogno della Repubblica sociale” di Mussolini
Giano Accame è stato un intellettuale fascista, morto nel 2009.
Per ricordarlo, il 21 aprile di
quest’anno il sito Barbadillo ha riproposto una sua intervista senza
data ma dai riferimenti è riconducibile a otto anni fa. Sia la rivista
politico-culturale che il personaggio in questione sono espressione
dell’ideologia fascista. In particolare di quella parte che si autodefinisce “destra sociale” e rivendica apertamente le radici fasciste,
il nazionalismo mussoliniano,
un’“economia sociale” che, a suo
dire, si preoccupi del “popolo” e
delle masse lavoratrici, collusa
con bombaroli e golpisti ma che
spesso non ha disdegnato di strizzare l’occhio a socialisti e anarchici. Accame si definiva “eretico” rispetto al MSI ma ha diretto il suo
giornale, il “Secolo d’Italia”, per
diversi anni.
Perché mai siamo andati a scovare i discorsi di un fascista deceduto sette anni fa e riportati da un
oscuro sito web? Essenzialmente
per il tema che tratta, ossia la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Un tema oggi
richiamato spesso da molte parti politiche, trasversalmente, sia a
destra che a “sinistra” e in special
modo dai sindacati. In particolare la Cgil nella sua recente Carta
dei diritti universali del lavoro ha
rivendicato l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, che
recita: “Ai fini della elevazione
economica e sociale del lavoro e
in armonia con le esigenze della
produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle
aziende.”
Accame nella sua intervista affermava che la partecipazione dei
lavoratori alla gestione delle aziende è sempre stato un obiettivo del
fascismo. In special modo di quello definito “rivoluzionario”, ovvero ammantato di fraseologia simil
socialista, che a parole diceva di
essere innovativo, laico e progres-
sista ma che nel concreto si rivelò
per quello che era: strumento della
borghesia impaurita dall’avanzare
della classe operaia e del socialismo, ammanigliato con le gerarchie cattoliche, che riservò dittatura e sfruttamento ai lavoratori,
guerre e morte alle masse popolari
italiane e ai popoli oppressi dal colonialismo italico.
Il corporativismo prima e la
cosiddetta “socializzazione” che
fu tentata nella “repubblica di
Salò” di Mussolini dopo il 1943
(fu emanato in proposito un apposito decreto) sono lì a dimostrare e supportare le tesi di Accame.
Certo lui non dice che i lavoratori
non vi abboccarono e capirono benissimo, specie nel periodo della
cosiddetta “repubblica sociale italiana”, che era solo uno strumento per soggiogare la classe operaia ai piani del regime e in seguito
tenerla obbediente per soddisfare i
bisogni dell’industria militare nazista. È indubbio però che il tentativo mussoliniano di contrabban-
dare il fascismo come una terza
via tra socialismo e capitalismo
poggiava proprio sul corporativismo e la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende.
Accame ci ricorda che il Movimento Sociale Italiano (MSI) e
la Cisnal, partito e sindacato eredi diretti del fascismo, nel dopoguerra hanno sempre presentato
progetti e proposte per attuare la
partecipazione dei lavoratori nelle aziende ma negli anni ’50 e
’60 erano entrambi emarginati e
non avevano voce in capitolo sulla scena politica italiana. Poi bisogna considerare che i lavoratori in
maggioranza seguivano la Cgil e il
PCI che, seppur a guida opportunista e revisionista, in un periodo
di aspre lotte sociali, non avrebbero accettato di legare le mani e i
piedi del movimento operaio italiano. Difatti Accame ci ricorda
come “Alla base della socializzazione c’è un’idea sociale e nazionale collaborativa, che non si poteva realizzare in un clima acceso
di lotta di classe”.
Oggi la situazione è ben diversa
rilevava Accame otto anni fa: “ormai la lotta di classe non è più un
obiettivo delle grandi forze politiche”, tutti i partiti sono appiattiti
su di un unico modello di società.
E poi, si compiaceva, la partecipazione “coincide con l’art.46 tuttora inattuato della Costituzione,
con una Quinta direttiva europea e con la dottrina sociale della Chiesa”. Nonostante sia stata
accantonata per tanti anni ne intravedeva sviluppi futuri e si augurava che i sindacati se ne facessero promotori. Lui indicava nella
Cisl, allora guidata da Bonanni, la
forza trainante in grado di rimettere al centro questa teoria che fu
il sogno della “repubblica sociale”
di Mussolini come ribadisce più
volte lo stesso Accame. Non poteva sapere che la Cgil la riesumasse pochi anni dopo mettendola al
centro della Carta dei diritti universali del lavoro.
Chiedere l’attuazione dell’arti-
colo 46 sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende contenuto nella Costituzione
significa abbandonare l’idea stessa per cui è nato il sindacato, ossia
difendere e rappresentare gli interessi e le rivendicazioni dei lavoratori di fronte al capitale e sposare
il corporativismo, il collaborazionismo di classe e servire gli interessi della borghesia. Il fascismo,
neppure nella sua versione “repubblicana” di Salò, non si è mai
sognato di eliminare la proprietà
privata dei mezzi di produzione,
e vedeva nel corporativismo, nella
“socializzazione” e nella partecipazione nient’altro che mezzi utili
a ridurre la conflittualità e rendere
i lavoratori, in nome dell’interesse nazionale, totalmente succubi
della propria borghesia. Oltretutto
senza riuscire nemmeno a racimolare niente perché, come afferma
lo stesso fascista Accame, “la partecipazione agli utili, diviso per
migliaia di lavoratori si tratta di
spiccioli”.
4 il bolscevico / corruzione
N. 22 - 2 giugno 2016
Indagati e impresentabili
alle Comunali 2016
Altro che “liste pulite” e “candidati incensurati a prova di casellario giudiziario”: a spulciare
le liste che le varie cosche parlamentari di “sinistra”, di centro e
di destra, hanno presentato per
le amministrative del 5 giugno si
scopre che invece sono piene di
impresentabili, condannati e indagati per fatti gravi e infamanti
legati a tangentopoli e mafiopoli,
neofascisti, parenti e amici degli
amici spesso anche in palese
conflitto di interessi con la carica
elettiva a cui aspirano.
Tra i casi più clamorosi c’è
quello di Napoli dove, in corsa
con il PD, ci sono tutti i “galoppini” ripresi nei famigerati video di
Fanpage.it, mentre distribuiscono
euro fuori dai seggi delle primarie
del 6 marzo: Antonio Borriello,
Gennaro Cierro e Giorgio Ariosto.
Ariosto nel 2011 era in una lista di
Totò Cuffaro. Oggi è al fianco di
Valeria Valente, la vincitrice delle
primarie convalidate nonostante
i ricorsi dello sconfitto Antonio
Bassolino.
A sostegno della Valente corrono anche i verdiniani di Ala fra
le cui liste figurano Vincenzo e
Vitale Calone, rispettivamente nipote e figlio di Vincenzo Calone
senior condannato in via definiti-
va per traffico di sostanze stupefacenti e una fedina penale piena
di accuse, arresti e denunce che
vanno dall’associazione mafiosa,
omicidio, droga, armi, ricettazione, frode, assegni a vuoto.
Con Gianni Lettieri, capo della coalizione di centrodestra, si
ricandida Marco Nonno, che ha
lasciato Fdi e si schiera nella civica “Prima Napoli”. Nonno è stato
condannato in primo grado a 8
anni e 6 mesi per la devastazione
del quartiere di Pianura durante gli
scontri anti-discarica del gennaio
2008, ma è rimasto consigliere
comunale (e vicepresidente del
consiglio) perché la legge Severino non riguarda quelle tipologie
di reato. Cinque anni fa Nonno
fu il consigliere più votato: 3.604
preferenze.
Anche a Milano non manca chi
ha avuto a che fare con le aule di
tribunale. Marco Osnato (in lista
con Fratelli d’Italia per Stefano
Parisi sindaco) è stato condannato in primo grado (ora è in attesa
dell’appello) a 6 mesi di carcere,
con pena sospesa, per “turbata
libertà del procedimento di scelta
del contraente”. Per atti compiuti come direttore area gestionale
dell’Aler, l’azienda che gestisce le
case popolari. Osnato è più volte
citato (ma mai indagato) anche
nelle carte delle inchieste antimafia di Milano. Il nome di Alberto Bellotti (lista civica Stefano
Parisi) compare invece nelle carte dell’inchiesta che ha portato
all’arresto di Fabio Rizzi, braccio
destro del governatore Maroni,
e della zarina dell’odontoiatria
Paola Canegrati, detta “Lady
dentiera”. Bellotti non è indagato, ma è uno dei personaggi che
Canegrati incontra per sondare
“eventuali prospettive di collaborazione”. Nella civica di Parisi
c’è anche Bryan Ferrentino, volto milanese di Azione Nazionale,
il gruppo che ha come promotori neofascisti come Benedetto
Tusa, ex membro del gruppo “La
Fenice”, l’organizzazione che
rappresentava a Milano Ordine
Nuovo, il gruppo in cui matu-
rò la strage di piazza Fontana.
Dall’estrema destra arriva anche
Stefano Pavesi, candidato con
la Lega: è militante di Alpha,
costola di Lealtà e azione, il movimento neofascista che anche
questo 25 Aprile ha organizzato
una manifestazione per i caduti
della “repubblica di Salò”.
A Bologna invece il candidato
sindaco di Insieme Bologna, Manes Bernardini - ex numero uno
della Lega in città – è a processo per peculato nell’ambito della
maxi inchiesta sui rimborsi dei
gruppi in Regione Emilia-Romagna. Con i Cinque Stelle è candidato consigliere Dalio Pattacini, il
giornalista che finì coinvolto nella
vicenda delle “interviste a pagamento” (alcuni consiglieri regionali pagavano le ospitate nelle
emittenti private): Pattacini inoltre
nel 2009 si candidò con l’Italia dei
Valori, dunque secondo le regole
M5S non avrebbe potuto essere
in lista. Il PD ricandida sindaco
uscente Virginio Merola, indagato per omissione d’atti d’ufficio
per il mancato sgombero di una
occupazione abitativa: in altre inchieste simili che lo avevano già
coinvolto, va detto, era arrivata
l’archiviazione. A Rimini invece il
ricandidato sindaco PD uscente,
Andrea Gnassi, è indagato per
associazione a delinquere e truffa
nell’inchiesta Aeradria.
A Torino corre con i Moderati di Giacomo Portas (alleato del
sindaco PD Piero Fassino) Massimiliano Miano, che ha patteggiato una pena per corruzione
elettorale.
A Roma col centrodestra è candidato a presidente del Municipio
XIII, Enrico Cavallari, ex assessore
della giunta Alemanno, indagato
per la delibera sulla costruzione
di uno shopping center in centro.
Indagato nella stessa inchiesta anche Fabrizio Ghera che invece è in
lista con Fratelli d’Italia.
In lotta per una poltrona ci
sono anche le nipoti del duce,
Alessandra e Rachele Mussolini, la prima corre in Forza Italia a
sostegno di Alfio Marchini, l’altra
nella “Lista con Giorgia” per la
Meloni; e poi Giuseppe Cossiga,
figlio dell’ex capo dello Stato e di
Gladio, capolista della “Federazione popolare per la Libertà”.
A Cosenza, i verdiniani sono al
fianco del PD che candida Medina Tursi Prato, figlia dell’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato,
condannato a 6 anni per concorso esterno con la ’ndrangheta e
voto di scambio.
A Platì, nella Locride, dopo il
ritiro della candidata renziana,
Anna Rita Leonardi, il PD ha presentato due liste per conquistare
il governo del comune che vanta
tre scioglimenti per mafia in 12
anni. La prima si chiama Liberi
di ricominciare, è guidata da Rosario Sergi, esponente del Pri e
già candidato sindaco, sconfitto,
nel 2009; la seconda è Platì Res
Publica ed è capeggiata da Ilaria
Mittiga, figlia di Francesco Mittiga: ex militante del Fuan, un passato recente da sindaco (eletto
due volte con il supporto di liste
civiche), arrestato nel 2003 per
mafia, nel 2014 si era candidato
per la terza volta ma non raggiunse il quorum. Una carriera
e un’eredità politica a dir poco
torbida che ora passa in eredità
diretta alla figlia.
Per corruzione elettorale
Arrestato David (FI ex PD) consigliere
comunale di Messina
Ai domiciliari Capurro (FI), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa
La compravendita di voti sarebbe avvenuta a Messina, durante le elezioni tra il 2012 e il 2013,
indistintamente per le politiche,
le regionali e le comunali, gestita
dalle cosche mafiose peloritane in
sinergia con i politicanti borghesi
del territorio. In cambio venivano
promessi agli elettori posti di lavoro, prestazioni sanitarie e addirittura generi alimentari. Non che
sia una novità il condizionamento
criminale delle elezioni borghesi,
il problema è conosciuto sin dal
periodo post unitario, certo è che
questa volta la Procura di Messina con l’inchiesta “Matassa” è
riuscita a portare alla luce l’intrico d’interessi illeciti tra politicanti
borghesi e mafia, fornendo nomi,
cognomi e appartenenza partitica
dei responsabili. Sono stati in 35
a finire agli arresti: 26 in carcere e
9 ai domiciliari.
Il provvedimento di custodia
cautelare, che ha suscitato grande scalpore è quello nei confronti
di Paolo David, ex capogruppo
del PD, eletto in consiglio comunale con 1.500 voti prima di passare a Forza Italia armi e bagagli,
per seguire il suo padrino, Francantonio Genovese, ex-segretario siciliano del PD, arrestato nel
2015 per associazione a delinquere e truffa.
David, per la verità era già
conosciuto e chiacchierato per
lo scandalo gettonopoli, in quanto detiene il record italiano della
partecipazione più veloce ad una
riunione di commissione comunale: poco meno di venti secondi, per intascare l’intero gettone
di presenza. Attualmente David
fa parte del gruppo Grande Sud,
formazione politica fondata qualche anno fa da Gianfranco Micciché, da qualche mese coordinatore regionale di FI.
Nell’intero capitolo dedicato
ai rapporti con la politica, il consigliere comunale David è ac-
La mafia messinese compra i voti
cusato di corruzione elettorale:
avrebbe raccolto un elevato numero di voti per sé grazie all’aiuto
della criminalità organizzata, ma
anche per esponenti della politica regionale e nazionale, come il
deputato regionale di Forza Italia
Franco Rinaldi, ex PD, cognato
di Francantonio Genovese, e per
quest’ultimo alle elezioni regionali dell’ottobre 2012, (quelle che
portarono all’elezione di Rosario
Crocetta, sostenuto dal PD, anche da quello messinese) per le
politiche del febbraio 2013 e per
le amministrative del giugno 2013
a Messina. Probabilmente la Procura dovrà approfondire le posizioni di Francantonio Genovese
e di suo cognato Franco Rinaldi,
allo scopo di chiarire se fossero
al corrente che il loro braccio destro, Paolo David, gli procacciava voti grazie ai suoi contatti con
esponenti di primo piano delle
cosche mafiose messinesi.
Che al tempo della compravendita si trattava di dirigenti del
PD non va dimenticato, per comprendere su cosa si sia basato
il sostegno persino ai massimi
dirigenti nazionali e regionali del
partito di quelli che allora erano i
“signori delle preferenze” del partito di Renzi, capaci di raccogliere
migliaia di voti ad ogni elezione.
Non solo, oltre che nelle elezioni
citate ci sarebbe stata una compravendita di preferenze anche
per le primarie PD per scegliere il
candidato sindaco nel 2013.
Per capire di che pasta sono
fatti gli attuali dirigenti del PD
è doveroso un inciso: l’arresto
dell’ex-PD, oggi FI, David dovrebbe fargli perdere la poltrona
comunale. Avrebbe dovuto subentrargli il primo dei non eletti
PD alle amministrative del 2013,
cioè Giovanni Cocivera, medico
ginecologo, arrestato qualche
giorno fa con l’accusa di aver
praticato aborti clandestini a pa-
gamento.
Non solo il PD, ma anche FI
di Berlusconi vi è dentro fino al
collo. A parte David che è transitato nel partito del neoduce,
anche l’ex consigliere comunale, Giuseppe Capurro, del PdL,
eletto dal 27 novembre 2005 al 7
aprile 2008 e candidato per il rinnovo del consiglio comunale del
2012, anche se non rieletto, è ai
domiciliari accusato di concorso
esterno in associazione mafiosa,
per aver contribuito alla realizzazione degli scopi e al rafforzamento dell’associazione mafiosa
del rione Camaro, guidata da
Carmelo Ventura.
Il sindaco Accorinti cade dalle
nuvole. “Queste accuse – dichiara – sono gravissime e minano
ulteriormente la democrazia, le
istituzioni e la fiducia, confermando che purtroppo la città resta un
‘verminaio’”.
Il problema più importante è
però che il verminaio ha la testa
nelle istituzioni borghesi che lui
stesso dirige e sostiene. La strada
proposta da Accorinti, come dimostra l’indagine è miseramente
fallita, così come è evidente che
la sua giunta non ha spostato di
un millimetro gli equilibri a Messi-
na e non ha migliorato in nulla le
condizioni delle masse popolari.
Il fatto è che la corruzione, così
come le mafie che la alimentano,
è dentro il suo Comune, è gestita
da coloro che risultano eletti. La
corruzione è un cancro che nasce
dal capitalismo, perché è connaturato e funzionale ad esso, e
come tale non risparmia angolo
del Paese o settore della società
borghese. E Accorinti lo sa benissimo. Per estirparlo occorre estirpare il capitalismo che è la radice
della corruzione e della mafia,
per far posto al socialismo basato sulla dittatura del proletariato,
l’unico potere politico capace di
mettere veramente al bando e
sconfiggere per sempre le mafie
e la corruzione.
Intanto gli elettori di sinistra
messinesi devono riflettere a
fondo su quanto è avvenuto, abbandonare il PD al suo destino
di partito al servizio della mafia,
abbandonare a sé anche queste
istituzioni corrotte e adottare la
linea elettorale del PMLI, basata
sulle Assemblee popolari e i Comitati popolari, per Messina governata dal popolo e al servizio
del popolo.
Appello Mediatrade
Confalonieri e Piersilvio Berlusconi
condannati a 1 anno e 2 mesi
Il 17 marzo i giudici della seconda corte d’Appello di Milano
hanno ribaltato la sentenza di
assoluzione in primo grado del
luglio 2014 e hanno condannato
Pier Silvio Berlusconi e Fedele
Confalonieri a 1 anno e 2 mesi
nell’ambito del procedimento
scaturito dall’inchiesta sulla compravendita dei diritti tv nel 2003.
Secondo la Corte presieduta
da Marco Maiga, giudici a latere
Laura Cairati e Alberto Puccinelli
(che assolse Berlusconi senior per
il caso Ruby), gli attuali vicepresidente e il presidente Mediaset
sono “colpevoli” di frode fiscale
aggravata dalla transnazionalità
“limitatamente” ma limitatamente
all’anno di imposta 2007.
Il processo è scaturito da uno
stralcio del processo Mediaset in
cui Silvio Berlusconi nel maggio
2013 è stato condannato a 4 anni
di reclusione, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e 3 anni dagli
uffici direttivi, con conseguente
destituzione dalla carica di parlamentare e sconto di pena di 10
mesi e mezzo in affidamento in
prova ai servizi sociali.
Il Pubblico ministero, Fabio De
Pasquale, applicato al procedimento come procuratore generale, aveva chiesto per Berlusconi
junior tre anni e due mesi di carcere, per Confalonieri tre anni e
quattro mesi e per gli altri sei imputati pene fino ai cinque anni.
La condanna si riferisce al
solo anno 2007 in quanto per il
2006 è già scattata la tagliola della prescrizione mentre per quanto
riguarda il 2008, grazie alle leggi ad personam di Berlusconi, i
due boss del Biscione sono stati
assolti perché “il fatto non è più
previsto dalla legge come reato”.
Non solo. Secondo i calcoli anche il reato contestato per l’anno 2007 si prescriverà entro fine
anno e perciò sia a Confalonieri
che a Berlusconi junior sono state
riconosciute le attenuanti generiche, la sospensione condizionale
della pena e la non menzione.
Secondo l’accusa quello della compravendita dei diritti tv
“gonfiati” è un vero e proprio
“sistema di frode che dura da
vent’anni... un andazzo a cui Pier
Silvio Berlusconi non riusciva a
sottrarsi e che Fedele Confalonieri ha tollerato per anni”. La
frode era stata stimata in circa
8 milioni di euro in relazione al
bilancio consolidato di Mediaset
per gli anni 2006, 2007 e 2008.
Secondo il procuratore, la compravendita dei diritti tv è stata
gestita con “volontaria cecità”
da parte di Pier Silvio Berlusconi.
Per il magistrato, la consapevolezza troverebbe dimostrazione
nel fatto che è “il figlio di Silvio
Berlusconi (già condannato in
via definitiva per frode fiscale a
quattro anni, di cui tre coperti
da indulto per fatti analoghi)... è
ai vertici della società” e perciò
“come può non essersi accorto?” del mercimonio messo in
atto dalla sua azienda.
Assolti invece il produttore
statunitense Frank Agrama, gli
ex manager del gruppo Gabrielle Ballabio, Daniele Lorenzano e
Giovanni Stabilini, e le due cittadine di Hong Kong, Paddy Chan
Mei-You e Catherine Hsu MayChun. Agrama, con l’assoluzione in secondo grado, potrebbe
rientrare in possesso dei 140 milioni sequestrati ai tempi dell’indagine su un conto corrente in
Svizzera.
lotta sindacale / il bolscevico 5
N. 22 - 2 giugno 2016
Indetto da Flc-Cgil, Cisl-scuola, Uil-scuola, Snals
Sciopero generale dei lavoratori
della scuola, universita’ e ricerca e precari
contro
la
“Buona
scuola”
“Giannini dimettiti”. Slogan contro Renzi, la meritocrazia e la gerarchizzazione. Chiesto lo sciopero generale
Migliaia di lavoratrici e lavoratori nelle piazze di moltissime
città venerdì 20 maggio giornata
di sciopero generale proclamato
da FLC CGIL, CISL Scuola, UIL
Scuola, UIL RUA e SNALS Confsal per la scuola, l’università, la
ricerca e l’AFAM (alta formazione
artistica e musicale) per protestare contro il mancato rinnovo
del contratto, punto principale e
molto sentito, ma anche contro
la devastante legge 107, la contestatissima “Buona scuola” di
Renzi e Giannini, che ha cancellato quel poco che era rimasto
della scuola pubblica e dei diritti
dei lavoratori.
Nelle motivazioni dei maggiori
sindacati confederali di categoria
“il rinnovo del contratto, scaduto
da più di sette anni; per una riforma ‘calata dall’alto’, che ha portato storture nelle scuole; per il
problema irrisolto del precariato;
per l’odiata valutazione; per far
tornare visibile il personale Ata
(amministrativi, tecnici e ausiliari),
sottoposto al blocco delle immissioni in ruolo, al divieto di sostituire assenze, a carichi di lavoro
sempre più pesanti”. Una piattaforma limitata e una mobilitazione
tardiva, a fine anno scolastico e
scarsamente pubblicizzata, che
ha, purtroppo, visto un’adesione
non fra le più alte (il 9%, secondo il Dipartimento della Funzione
Pubblica, il 20% come sostengono i sindacati, il 50% come rivendicano i sindacati toscani), anche
se molto motivata e agguerrita.
Grave la mancata mobilitazione degli studenti, quasi del tutto
assenti dai cortei. Si è preferito,
come sempre, da parte della Cgil
in particolare, aspettare e mediare per mantenere l’unità sindacale delle sigle piuttosto che l’unità
di lotta con i lavoratori.
Contratto subito, aumenti
stipendiali europei e la cancel-
lazione del bonus meritocratico
per gli insegnanti, l’abrogazione
e non la riforma della contestatissima 107 e la valutazione degli insegnanti, la stabilizzazione
dei precari, l’immissione in ruolo
degli ata, maggiori investimenti
per la scuola pubblica, sono stati gli slogan che hanno animato
le manifestazioni e le scritte di
cartelli e striscioni ironici e critici
che hanno tappezzato i cortei e
le piazze in lotta. Non sono mancate bordate al governo Renzi e
alla ministra Giannini, della quale
molti cortei e dal palco di Cagliari
sono state chieste le dimissioni.
Molti i precari e il personale ata
colpito doppiamente dalla 107 e
dalla Legge di stabilità che prevede tagli organici e alle sostituzioni
del personale assente.
Nei comizi delle manifestazioni
delle principali città i rappresentanti delle sigle sindacali si sono
sbracciati per criticare le anomalie della legge, le ingiustizie e le
problematiche aperte ma non un
cenno di autocritica per una mobilitazione che arriva dopo la sua
attuazione, dopo tante proteste,
scioperi e contestazioni inascoltate da parte di docenti, ata, studenti e genitori su una legge che
irregimenta la scuola, il personale
e gli studenti.
Una delle motivazioni principali dello sciopero è il mancato rinnovo del contratto, fermo
dal punto di vista economico al
2009; questo blocco penalizza
fortemente i lavoratori che hanno
visto le loro retribuzioni perdere
su base annua circa 1.440 euro,
per un totale di 11.500 euro in
sette anni.
Da Milano a Palermo, passando per Torino, Firenze, Roma, Napoli, moltissime le mobilitazioni e
i cortei dei lavoratori per far sentire la loro voce.
La manifestazione regiona-
Firenze, 20 maggio 2016. Sciopero e manifestazione degli insegnanti e personale ATA
Firenze, 20 maggio 2016. Sciopero e manifestazione degli insegnanti
e personale ATA (foto Il Bolscevico)
le più importante si è svolta a
Roma: partita da Porta San Paolo (Piramide) si è conclusa al
Ministero dell’Istruzione in Viale
Trastevere. Dal palco Maddalena
Gissi (Cisl): “Il Governo non può
fare le orecchie da mercante. Ha
il dovere di aprire nei prossimi
giorni il confronto con i sindacati”, giusto ma come se il suo sindacato non avesse colpa alcuna.
Presso il Miur presidio dei lavora-
tori dell’università, della ricerca e
dell’AFAM fin dalla mattina.
A Torino in occasione dello sciopero è stata organizzata
una manifestazione regionale in
Piazza Bodoni. A Milano altra
manifestazione regionale contro
la ‘Buona Scuola’ in piazza alla
Scala davanti a Palazzo Marino.
Anche a Trieste manifestazione
regionale con ritrovo in Piazza
della Borsa.
A Firenze docenti, ata e precari sono partito da piazza Demioff e in corteo hanno raggiunto piazza Strozzi, attraversando
parte della città. Qui il comizio
di Domenico Pantaleo, segretario nazionale Cgil-Scuola, che in
una piccola piazza dismessa per
una manifestazione regionale, ha
arringato i presenti con frasi fatte
“Non solo la scuola non migliora
ma rischia di peggiorare”. E ha
preferito pubblicizzare il referendum sulla 107 e la Carta dei diritti
universali piuttosto che i prossimi
appuntamenti di lotta. Presenti
alcuni compagni del PMLI e lavoratori della scuola, che hanno
animato il corteo riportando parole d’ordine del Partito, anche
scritte sui corpetti, ben accolte e
molto fotografate dai presenti.
A Napoli il corteo regionale si è
snodato da piazza Dante a piazza
Matteotti dove ha chiuso con un
comizio Pino Turi, leader della Uil
scuola. A Bari, la manifestazione
regionale è partita dal concentramento in piazza San Ferdinando.
Ai lavoratori della scuola si sono
uniti quelli delle università, degli
enti pubblici di ricerca, delle accademie e dei conservatori.
A Trento presidio sotto il Consiglio provinciale in Piazza Dante
dalle ore 10 alle 13. Per il Molise
presidio unitario presso l’Ufficio
Scolastico Regionale Molise, in
Via Garibaldi a Campobasso.
Presidio a Terni sotto la Prefettura. Per l’Abruzzo attivo regionale con Conferenza Stampa
Pescara.A Palermo un corteo da
piazza Verdi fino alla Prefettura,
a Catania assemblea cittadina
al Teatro Stabile, sit in davanti le
Prefetture ad Agrigento, Enna,
Messina, Caltanissetta, Siracusa,
Ragusa e Trapani.
Manifestazioni a Cagliari e
a Olbia: nel capoluogo sardo i
sindacati hanno organizzato un
presidio con bandiere e striscioni
davanti alla sede dell’Ufficio scolastico regionale nella centrale via
Roma. Proprio dalle città sarde
sono arrivate le critiche pesanti. “Chiediamo le dimissioni del
ministro dell’Istruzione Stefania
Giannini e se non ci saranno risposte siamo pronti a proclamare
lo sciopero generale”, ha detto il
segretario nazionale di Flc Cgil,
Luigi Rossi.
Il ministro Giannini ha risposto, infastidita: “Abbiamo assunto centomila insegnanti, stiamo
facendo il concorso per altri 63
mila, stiamo provvedendo anche alla questione del personale
Ata, abbiamo messo 4 miliardi
di risorse fresche, più i soldi per
l’edilizia”. Ma forse crede che ci
siamo dimenticati dei tagli già
fatti al personale e alle risorse,
mettendo praticamente in mano
ai privati le scuole e le università
pubbliche.
Intanto l’Unione Sindacale di
Base ha proclamato per il prossimo
25 maggio lo sciopero nazionale di
24 ore dei lavoratori addetti alle pulizie e al decoro nelle scuole.
Roma
60 mila pensionate e pensionati invadono piazza
del Popolo per rivendicare diritti e dignità
Il 19 maggio scorso con lo
slogan “A testa alta: tutti insieme
per rivendicare diritti e dignità dei
pensionati”, in ben 60 mila hanno
invaso Piazza del Popolo a Roma,
per la manifestazione nazionale
indetta da Spi-Cgil, Fnp-Cisl e
Uilp-Uil. Senza badare a sacrifici e acciacchi decine di migliaia
di pensionate e pensionati sono
partiti da ogni parte della penisola, in alcuni casi anche nella notte, decisi a lottare per il rispetto
di diritti oggi negati. “Saremo anche vecchi ma non siamo ancora
morti, ha commentato Clara, di
Oristano, che poi con fierezza aggiunge: “e continueremo a lottare
anche per i nipoti”.
Con questa bella prova di forza sindacale le pantere grigie son
tornate a rivendicare al governo
Renzi e al parlamento la tutela del
potere di acquisto delle pensioni
e il recupero del danno prodotto
dal blocco della rivalutazione; la
difesa delle pensioni di reversibilità; la separazione tra previdenza
e assistenza; la parificazione fiscale tra pensionati e dipendenti,
e non ultimo l’estensione degli 80
Cgil e UIL Pronti allo sciopero generale
euro alle pensioni più basse. Ma
i pensionati chiedono anche la
modifica delle legge Fornero per
facilitare la flessibilità in uscita e
permettere l’entrata dei giovani
nel mondo del lavoro; maggiori
risorse per l’invecchiamento della
popolazione e una legge quadro
per la non autosufficienza.
Si chiede poi al governo la
ripresa immediata del tavolo di
confronto avviato 18 mesi fa e
poi bruscamente interrotto con il
ministro Poletti per “trovare insieme le soluzioni alle situazioni di
difficoltà di milioni di pensionati
italiani che, oramai da anni, sono
il bersaglio di una politica che
specula sulla loro pelle solo per
fare cassa”.
A riprova che i pensionati sono
la fetta di popolazione più tartassata dagli ultimi governi vi è una
ricerca dello Spi Cgil da cui risulta
che, fra tasse e blocco della rivalutazione degli assegni, i pensionati italiani versano allo Stato 70
miliardi di euro l’anno: circa 60
Roma, 19 maggio 2016. La manifestazione dei pensionati in piazza
del Popolo
miliardi al fisco, di cui 50 di Irpef
e 10 fra addizionali regionali e comunali. E poi ci sono i 10 miliardi
recuperati dalle pensioni superiori a tre volte il minimo (1.500 euro
lordi), per l’effetto trascinamen-
to del blocco della rivalutazione
2012-2013.
Il risultato è che i pensionati
versano al fisco 3 miliardi in più
rispetto ai lavoratori attivi, che
beneficiano di maggiori detrazio-
ni fiscali e degli 80 euro. Un pensionato con un assegno da 1.000
euro al mese paga 1.207 euro in
più all’anno rispetto ad un lavoratore; 1.260 euro in più per chi
prende 1.200 euro, e 1.092 euro
in più per chi ne prende 1.600.
“Sono problemi – osserva Ivana
Galli della Flai Cgil, anch’essa in
piazza – sui quali vanno individuate risposte concrete che possano rimediare ai danni causati
dalla riforma Fornero. Di certo
non possono essere i pensionati
e i lavoratori più deboli a pagare
ulteriormente per scelte sbagliate
della politica”.
Sul palco dei comizi i segretari generali di categoria, per Spi,
Ivan Pedretti, per Fnp Gigi Bonfanti, per Uilp Romano Bellissima. Oltre ai segreterari generale
di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. E proprio da
questa piazza, Cgil e Uil hanno
annunciato che senza risposte
univoche da parte del governo,
che incontreranno il prossimo
24 maggio, si sta già valutando
uno sciopero generale. Molto più
cauta e pompiera la Cisl, che per
bocca della sua segretaria generale ha detto che “prima di scioperare bisogna parlare dei contenuti” (sic!). Speriamo che i primi
due non sbrachino per l’ennesima volta e che la montagna non
partorisca il classico topolino. È
da tempo che sono mature e improcrastinabili le ragioni per indire almeno uno sciopero generale
nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma. Una mobilitazione di massa di tutto il mondo
del lavoro che già giungerebbe
con abissale ritardo rispetto al
devastante attacco ai diritti dei
lavoratori condotto dal governo
del nuovo Mussolini Renzi, e dai
precedenti governi. E per capirlo, basta guardare Oltralpe, dove
da settimane la classe operaia
e le masse lavoratrici francesi si
stanno battendo come leoni contro il governo Hollande che vuole
imporre una sorta di Jobs Act in
salsa francese.
elezioni comunali del 5 giugno / il bolscevico 7
N. 22 - 2 giugno 2016
Alle elezioni comunali del 5 giugno a Caltagirone
Astieniti, non votare i partiti borghesi al
servizio del capitalismo. Lotta per il socialismo
Documento dell’Organizzazione di Caltagirone del PMLI
Anche Caltagirone si prepara
alle elezioni comunali del prossimo 5 giugno, in un momento
tutt’altro che sereno per le masse
popolari vittime della crisi economica e finanziaria del capitalismo
e deluse dai grandi fallimenti degli
ex sindaci Pignataro e Bonanno.
La città, infatti, è attualmente
governata dal commissario Mario La Rocca, approdato nel Palazzo dell’Aquila dopo che il sindaco
Bonanno di “centro-destra” aveva dichiarato il dissesto economico ed era stato sfiduciato insieme
alla sua giunta. Mentre Bonanno,
però, è scomparso dalla scena politica della città, il dirigente scolastico dell’istituto “Alessio Narbone”, Franco Pignataro (PD),
scende di nuovo in campo puntando sull’“esperienza” dei suoi dieci anni sulla poltrona di sindaco
(dal 2002 al 2012). L’altra parola
su cui i suoi slogan puntano (come
quelli di tutti, del resto) è “respon-
sabilità”, infatti ammette di avere
avuto delle consistenti responsabilità nell’indebitamento della città, ma allo stesso tempo condanna
la scelta di dichiarare il dissesto e
porta come esempio la Catania di
Bianco che ha evitato di giungere
a tali conseguenze estreme. La ricetta di Pignataro, dunque (come
quella del sindaco Bianco) è di
chiedere aiuti a Roma per uscire fuori dalla difficile situazione
economica. Principale competitor
dell’ex sindaco è certamente Gino
Ioppolo, il quale ambisce, riunendo sotto il suo nome quasi tutta la
destra cittadina (PDR, Forza Italia, Sicilia futura), ad aggiungere
alla sua collezione di cariche, tra
cui quella di vicepresidente della
provincia nella giunta Musumeci
e di deputato regionale, la carica
di neopodestà della sua città. La
grande furberia di questa campagna elettorale sta nell’aver piazzato nell’ipotetica giunta Ioppo-
Caltagirone (Catania), 5 marzo 2016. La protesta dei dipendenti comunali
lo Sabrina Mancuso (candidatasi
alle precedenti elezioni), dirigente
scolastico del Liceo “Secusio”.
In conclusione, la guerra tra la
destra di Ioppolo e il “centro-sinistra” di Pignataro si svolge all’interno delle scuole dei due presidi
(Mancuso e Pignataro), a colpi di
Fanfaronate e falsità
di De Magistris. Ma quale
rivoluzione a Napoli!
Il sindaco arancione uscente si rimangia le dure
espressioni contro Renzi pronunciate in un comizio
‡‡Redazione di Napoli
Come avrebbero fatto senza dubbio Eduardo De Filippo e Totò con un pernacchio
o un “Ma mi faccia il piacere”, così si dovrebbe rispondere alla continua smania di
protagonismo del neopodestà
uscente di Napoli, Luigi De
Magistris, che a quasi ogni
uscita elettorale parla di “rivoluzione”.
La politica sull’ambiente è un “miracolo” fatto dalla giunta arancione, il piano
di Bagnoli “lo abbiamo fatto
noi e non Renzi”, i fondi europei a Napoli Est, secondo l’ex
pm, “stanno andando bene”
(eh?), la cultura e il turismo
sono un’occasione per cre-
are lavoro perché “i giovani dei quartieri popolari possono impugnare, anziché una
pistola, una chitarra, un violino, un pianoforte: la cultura
deve essere una occasione per
mangiare”; col suo governo
De Magistris ritiene che si sta
addirittura “riscattando non
solo Napoli, ma il Mezzogiorno”. Eppoi, reddito di cittadinanza, risanamento dei conti
e altri dischi rotti di cui né i
giovani disoccupati né quelli dei quartieri periferici né
le masse popolari in generale, che già lo bocciarono nel
2011 con il più alto astensionismo della storia napoletana dal dopoguerra ad oggi,
riescono a percepire i favori.
Fino a rimangiarsi le “parole
di fuoco” dei suoi comizi contro Renzi su invito della stampa del regime neofascista, sostituite da più teneri periodi,
“sono state parole di passione, di cuore”.
E allora, quando De Magistris continua nella sua megalomania, nel suo narcisismo,
nel suo presenzialismo e presidenzialismo asfissianti, ci
vorrebbero proprio quei pernacchi e quando afferma che
Napoli non è mai stata per
tanti aspetti una città migliore di come lo era in passato, si
dovrebbe dire con sagacia, ma
al contempo fermezza “Signor
De Magistris, ma mi faccia il
piacere!”.
Fautori
del
socialismo!
Create le istituzioni rappresentative delle masse,
ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari
basati sulla democrazia diretta,
per combattere i governi borghesi,
per difendere gli interessi delle masse
e lottare contro il capitalismo,
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per il socialismo
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accuse a chi incassa di più per i propri progetti e usando i luoghi di crescita degli studenti calatini come un
palco per comizi. La destra di Ioppolo punta ad una privatizzazione
spietata e ad attrarre ad ogni costo
l’imprenditoria per “combattere la
crisi” e dunque per favorire qualche vecchia conoscenza sulle spalle
delle masse popolari.
Il Movimento 5 Stelle propone
come candidato sindaco l’attivista
Giulio Sinatra ripetendo le classiche parole pentastellate “trasparenza” e “cambiamento” di volti e
mai di sistema economico. Come
gli altri partiti borghesi concorrenti non tocca minimamente il
capitalismo che è la causa di tutti i mali di cui soffrono le masse, a
cominciare dalla disoccupazione e
dalla miseria.
Il fronte nazionale siciliano torna in campo col nome del docente di religione cattolica Giacomo
Cosentino per tentare una politica
di accentramento di tutti i poteri
nell’ente comunale.
Per fingere di designare un candidato più a sinistra del PD, Caltagirone Bene in comune affronta la
campagna elettorale con il candidato Fabio Roccuzzo che inizia
a riempirsi la bocca di bellissime
promesse di miglioramento delle periferie, acqua pubblica, concretezza. La sua bacchetta magica
consisterebbe nel fare affidamento sul volontariato per favorire le
casse comunali e sfruttare le masse che non verrebbero mai pagate
in nome di falsi ideali.
Giuseppina Giannetto (Area
popolare), erede dell’esperienza
Bonanno, in quanto medico ha il
suo perno nella questione dei servizi sanitari, per cui propone l’autonomia dell’ospedale calatino
dall’ASP di Catania.
Il PMLI, nemico della borghesia, del capitalismo e del suo Stato, da sempre agisce al di fuori delle
istituzioni rappresentative borghesi
e lotta contro di esse, prendendo le
distanze da tutte le liste, sia da quelle di destra che da quelle della “sinistra” borghese, tutte al servizio
del capitalismo. L’invito è, quindi,
quello ad astenersi alle prossime
elezioni per sfiduciare le istituzioni
borghesi, considerando l’astensionismo come un voto dato al PMLI e
alla causa del socialismo.
Inoltre il PMLI propone di creare in ogni quartiere, in contrapposizione alle istituzioni rappresentative borghesi, le istituzioni
rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia i Comitati popolari e le Assemblee popolari, composte anche dalle ragazze e
dai ragazzi di 14 anni, basate sulla democrazia diretta e con rappresentanti revocabili in qualsiasi
momento.
Dobbiamo batterci per rivendicare i nostri diritti, in primo luogo per:
LAVORO
A Caltagirone il tasso di disoccupazione, specie giovanile, sfiora
livelli altissimi. Oltre a lottare per
avere garantito il diritto al lavoro,
occorre abolire il caporalato nei
settori edile e agricolo e il lavoro
nero nelle campagne;
SCUOLA
Mentre alcune scuole hanno ricevuto finanziamenti e hanno così
potuto ristrutturare gli edifici, altre
scuole cadono a pezzi. Il caro libri
e le tasse d’iscrizione che aumentano di anno in anno non rendono la scuola realmente pubblica.
Dunque occorre lottare affinché la
scuola sia gratuita e accessibile a
tutti, governata direttamente dagli
studenti. I giovani devono avere il
diritto di istruirsi e lavorare nella
propria città senza dover fuggire
all’estero;
SANITà
Deve essere gratuita, accessibile a tutti ed efficiente. Mentre alcune aree del nostro ospedale sono
state ristrutturate, altre cadono a
pezzi e sono sovraffollate;
ACQUA
L’acqua, che spesso viene a
mancare nelle abitazioni, dev’esserci per tutti e sempre;
RIFIUTI
La raccolta differenziata dei
rifiuti, in alcuni quartieri è inesistente, va estesa a tutta la città e la
gestione non va affidata ai privati;
INFRASTRUTTURE
I collegamenti nella zona del
calatino sono pessimi (basti pensare alla rete ferroviaria bloccata dal crollo del ponte tra Caltagirone e Niscemi) e a farne le spese
più di chiunque altro sono gli studenti e i lavoratori pendolari. Devono essere fatti tutti gli interventi
necessari.
Perché Caltagirone sia governata dal popolo e al servizio del
popolo, occorre il socialismo. Abbandoniamo perciò ogni illusione
elettorale, parlamentare, governativa, riformista e costituzionale e
uniamoci per lottare contro il capitalismo, la nuova giunta di Caltagirone, il governo del nuovo duce
Renzi, per l’Italia, unita, rossa e
socialista.
Corrispondenza delle masse
Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che
le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico”
Alle comunali di Bolzano
L’astensionismo vola al 44,22%
Il “centro-sinistra”, con l’ex DC Caramaschi, si aggiudica il sindaco
Risultato quasi scontato alle
comunali di Bolzano, con la vittoria di Renzo Caramaschi, “centro-sinistra”, ossia sinistra iperborghese, ex-City manager (tutto
dire), provenienza sinistra DC, poi
“Rete” di Leoluca Orlando, che
si è affermato con il 55,27% dei
voti validi, contro Mario Tagnin,
“centro-destra” (Lega compresa,
ma anche Casa Pound), medico odontoiatra, che si ferma al
44,73% dei voti validi.
Fortissima l’astensione, mai
così alta: 41,22%, ossia più di
due quinti dei possibili votanti si
è astenuto; astensione, certo, in
gran parte inconsapevole, non
“cosciente” come invece è quella
attiva dei marxisti-leninisti, sempre ribadita nei documenti del
PMLI e negli articoli de “Il Bolscevico”. Un astensionismo critico, “attivo”, appunto che, come
spiegato in molte occasioni, non
vale “per sempre”, ma senz’altro
ora, in questa condizione socio-
economica italiana ed europea.
30 e ancora 20 anni fa sentivo
dire (quando ci abitavo): “Tanto
sono tutti uguali”, cosa che vale
ancora. Delusione verso ogni forza politica, per una politica antipopolare, che sia stato al governo
locale il “centro” o il “centro-sinistra”, nel campo dell’edilizia abitativa, della tutela dell’ambiente,
della raccolta dei rifiuti (la città è
sporca), di discriminazione verso
i quartieri popolari e nei confronti
dei migranti; verso le scuole private cattoliche che sono ipertutelate e verso lo strapotere della
chiesa cattolica che è praticamente sconfinato.
Caramaschi ha vinto non tanto
per l’apporto di voti di “sinistra”
(Verdi-Sel, Sinistra italiana, IDV),
ma perché al ballottaggio sono
confluiti i voti della SVP, partito di
raccolta centrista, che si ispira al
Partito Popolare Europeo, con forti
tendenze verso destra, clericale,
ma capace di proporre anche un
candidato sindaco al primo turno,
Christoph Baur, massone dichiarato se pur in sonno.
Rimane il risultato negativo
della destra, dipendente dal fatto che Giorgio Holzmann, storico
dirigente (provenienza MSI-Alleanza nazionale) si era espresso
contro l’appoggio al candidato
Tagnin al secondo turno. Vecchie
rivalità anche di carattere personale, ma riconducibili in parte
anche a vecchie ruggini tra ex-fascisti e “centristi” di area ex-PDL/
Forza italia, con il “terzo incomodo”, cioè la Lega.... L’omologazione tra destra e “sinistra”
borghese è ormai consolidata, al
punto che nei quartieri popolari
(Don Bosco, in particolare) i voti
di “centro-destra” prevalgono su
quelli di “centro-sinistra”; anche
la minaccia di Casa Pound, con
quasi il 7% dei voti validi al primo
turno pesa.
Un lettore de “Il Bolscevico”
originario di Bolzano
8 il bolscevico / 50° anniversario della GRCP
N. 22 - 2 giugno 2016
Autocritica dei leader delle
Guardie rosse di Pechino dopo
un colloquio con Mao
L’importante
documento
che riportiamo qui di seguito
si riferisce a un colloquio tra
Mao e i leader delle Guardie
rosse di Pechino.
Questo colloquio si tenne
il 28 luglio del 1968, la notte dopo che una fazione di
Guardie rosse dell’Università
Qinghua (Pechino), guidata
da Kuai Dafu, ebbe aperto il
fuoco su una squadra operaia
di propaganda giunta nell’ateneo per mettere fine agli
scontri violenti che, da tempo,
stavano impegnando diversi
gruppi di Guardie rosse. Questi scontri erano totalmente al
di fuori della linea di Mao per
la Rivoluzione culturale proletaria e le stavano causando
gravi danni, in quanto, oltre
a portare sofferenza e distruzione alle masse, inducevano molti operai e studenti al
disimpegno e alla passività,
disgustati dall’entità delle violenze.
L’autocritica del 30 luglio, firmata dai dirigenti delle Guardie rosse di Pechino,
da cui emerge l’atteggiamento corretto, premuroso, educativo, critico e autocritico di
Mao, è sufficiente a spazzare
via tutte le falsificazioni, pubblicate su “il manifesto” trotzkista del 19 maggio 2016 circa il rapporto fra questi e le
Guardie rosse, svelando che
non le volle mai reprimere nel
sangue dopo essersene servito per i propri scopi, bensì le
incoraggiava all’unità e a imparare dai propri sbagli.
Vanno naturalmente considerati superati i giudizi positivi su Lin Biao, che allora era il
successore designato di Mao
ma che avrebbe poi tradito rivelandosi un rinnegato e arrivista.
Per “ordine del 3 luglio”,
“ordine del Guangxi” e “ordine
dello Shaanxi” (queste ultime
sono province cinesi) si intendono direttive con le quali
il Comitato centrale del Partito comunista cinese ordinava
l’interruzione degli scontri armati.
Il 28 luglio, dalle 3:30 di
notte alle 8:30, il nostro grande dirigente il presidente
Mao e il suo stretto compagno d’armi il vicepresidente
Lin Biao hanno convocato noi
cinque. L’essenza delle importanti direttive date dal Presidente è che dobbiamo accogliere e sostenere l’ingresso
delle squadre operaie di propaganda del pensiero di Mao
Zedong di Pechino nel piccolo numero di università dove
si verificano scontri armati, affinché diffondano le ultime direttive del presidente Mao e
l’ordine del 3 luglio e persuadano gli studenti a interrompere gli scontri, consegnare le
armi e rimuovere le barricate.
Da noi ci si aspetta sostegno
e rispetto per l’Esercito popolare di Liberazione.
All’incontro erano presen-
ti il Primo ministro e i compagni Chen Boda, Kang Sheng,
Jiang Qing, Yao Wenyuan,
Xie Fuzhi, Huang Yongsheng,
Wu Faxian, Ye Qun e Wang
Dongxing. Erano presenti anche altri compagni, fra
cui Wen Yucheng, Wu De e
Huang Zuozhen.
Il presidente Mao era
estremamente in salute. Non
potrebbero quindi non essere
del tutto precise.
Il presidente Mao ha detto:
Oggi vi abbiamo convocati per discutere degli scontri
nelle università. Secondo voi
cosa andrebbe fatto? Voi fate
la Grande Rivoluzione Culturale da due anni! Attualmente voi non lottate, non criticate
e non vi trasformate. Sì, lot-
cuna distinzione. Ma il vecchio sistema e i vecchi metodi
non funzionano più. Il sistema scolastico va semplificato
e l’istruzione va rivoluzionata.
Inoltre ci vuole la lotta culturale, non la lotta militare.
Secondo me vi siete separati dalle masse. Le masse non vogliono la guerra civile. C’è chi dice che l’ordine
studenti, le masse contro le
masse. Per la maggior parte
sono figli di operai e contadini, manovrati dagli elementi
negativi. Alcuni sono controrivoluzionari, altri hanno appena cominciato a fare la rivoluzione, ma il loro spirito
rivoluzionario si è affievolito
a poco a poco e sono passati dalla parte opposta. Alcu-
1 ottobre 1967. Mao stringe la mano a rappresentanti delle Guardie rosse di Pechino durante il raduno di massa in piazza Tian An Men in occasone
del 18° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese
appena ci ha visti entrare, ha
stretto la mano a ciascuno di
noi, quindi ci ha invitato a sederci.
La compagna Jiang Qing
ha detto: “Non ci vediamo da
molto tempo”.
Il presidente Mao ha detto:
“Non ci siamo visti nemmeno
a Tian’anmen e non abbiamo
parlato. Così non va! Voi siete
i classici tipi che ‘non visitano
mai un tempio senza una ragione’, eppure io ho letto tutti
i vostri giornali e so tutto della
vostra situazione”.
Il grande dirigente il presidente Mao ha grande cura
di noi, piccoli generali delle
guardie rosse, e si preoccupa molto del movimento della
Grande Rivoluzione culturale nelle università. Ci ha fornito insegnamenti di immensa importanza e profondità. I
punti salienti e lo spirito delle
istruzioni del presidente Mao
sull’interruzione degli scontri armati che riportiamo di
seguito, sono state elaborate in base ai nostri appunti e
tate, ma la vostra è lotta armata. Il popolo, gli operai, i
contadini, i cittadini, la maggior parte degli studenti non
sono affatto contenti; non è
contenta nemmeno la maggioranza degli studenti dei vostri istituti. Persino nella fazione che vi sostiene serpeggia
il malcontento. Vi siete separati dagli operai, dai contadini,
dai soldati, dai cittadini, dalla
stragrande maggioranza degli studenti. Alcune università hanno avuto degli scontri
con le cricche nere, ma non
sono abbastanza. Al momento si ingrossa la fazione degli
indifferenti, perché le due fazioni in cui vi siete divisi non
fanno che combattersi. Al momento non si porta avanti la
lotta-critica-trasformazione,
bensì la lotta-critica-cacciata,
la
lotta-critica-dispersione?
Ho detto che dobbiamo continuare ad avere le università
e ho parlato delle facoltà di ingegneria, ma non ho mai detto che dobbiamo chiudere le
facoltà umanistiche senza al-
del Guangxi vale solo per il
Guangxi, e che l’ordine dello Shaanxi vale solo per lo
Shaanxi1 quindi noi possiamo lavarcene le mani. Ora
comunico un ordine a valenza nazionale: chi continuerà a
ribellarsi con violenza, ad attaccare l’Esercito popolare di
Liberazione, a sabotare le linee di comunicazione, ad assassinare e ad appiccare incendi, è un criminale. Quella
minoranza di individui che faranno orecchie da mercante e continueranno imperterriti nelle loro attività, sono da
considerarsi banditi e gente del Kuomintang, e vanno
perciò catturati. Se resistono,
vanno distrutti.
Il vicepresidente Lin ha
detto:
Attaccare i dirigenti avviatisi sulla via capitalista è una
buona cosa. Occorre lottare
contro i mostri e i demoni anche nel regno della letteratura e dell’arte. Attualmente alcuni non lo stanno facendo e
istigano gli studenti contro gli
ni soggettivamente vogliono
fare la rivoluzione, ma oggettivamente, nella pratica, si
comportano nel modo opposto. Infine un piccolo pugno è
composto da chi è controrivoluzionario sia soggettivamente che oggettivamente.
Il presidente Mao ha detto:
Adesso è il momento che i
piccoli generali commettono i
propri sbagli. Non datevi delle arie. Se vi gonfiate troppo,
andrete in idropsia. Spero che
non vorrete dividervi in fazioni del cielo e della terra. Una
è sufficiente, perché crearne
due?
Il vicepresidente Lin ha
detto:
Oggi il presidente Mao si
è preso personalmente cura
di voi e vi ha dato insegnamenti importantissimi, correttissimi, chiarissimi e del tutto
tempestivi. Se farai orecchie
da mercante anche stavolta,
commetterai un gravissimo
errore. Voi guardie rosse avete giocato un ruolo di grande importanza nella Grande
Rivoluzione Culturale. Adesso le scuole di tutto il Paese
hanno realizzato la grande alleanza rivoluzionaria. Alcune
vostre università sono indietro sulla questione della grande alleanza. Il problema è
che non avete tenuto in considerazione le necessità delle diverse fasi del movimento.
Speriamo che vi rimetterete in
carreggiata.
Al contempo, il nostro Primo ministro e i nostri compagni Chen Boda, Kang Sheng,
Jiang Qing, Yao Wenyuan,
Xie Fuzhi, Huang Yongsheng
e altri ci hanno criticati e incoraggiati cordialmente.
Questo incontro di cinque
ore ci ha educati profondamente. Il grande dirigente il
presidente Mao ama e protegge noi guardie rosse e fazioni proletarie rivoluzionarie. Il nostro grande dirigente
il presidente Mao è colui che
più di tutti capisce noi guardie
rosse e fazioni proletarie rivoluzionarie. È proprio vero che
nemmeno i genitori più cari
sono amati quanto il presidente Mao, e che in cielo e in
terra niente e nessuno eguaglia l’affetto del Partito. In
passato, non abbiamo svolto
il nostro lavoro nel modo giusto ed abbiamo avuto numerosi difetti e commesso molti
errori. Ce ne vergogniamo immensamente e siamo estremamente addolorati per alcuni casi. Siamo decisi nella
misura più assoluta a non deludere l’interessamento, l’incoraggiamento e le aspettative che il grande dirigente il
presidente Mao ha riposto in
noi. Siamo determinati a dare
ascolto alle parole del presidente Mao e ad applicare le
sue istruzioni. Noi accogliamo
calorosamente e sosteniamo
con risolutezza le squadre
operaie di propaganda del
pensiero di Mao Zedong della
capitale nel loro lavoro per diffondere le massime direttive e
l’ordine del 3 luglio nelle università. Ci impegniamo a studiare diligentemente le opere
del presidente Mao, ad imparare con onestà dagli operai,
dai contadini e dall’Esercito
di Liberazione, a trasformare
fino in fondo la nostra concezione del mondo, ad attenerci scrupolosamente al grande
piano strategico del presidente Mao, ad applicare con decisione l’ordine del 3 luglio e
tutte le direttive del presidente Mao, e a portare la Grande
Rivoluzione Culturale Proletaria fino alla fine!
Nie Yuanzi
Università di Pechino
Kuai Dafu
Università Tsinghua
Tan Houlan
Università normale di Pechino
Han Aijing
Istituto aeronautico e
astronautico di Pechino
Wang Dabin
Istituto di Geologia di Pechino
30 luglio 1968
50° anniversario della GRCP / il bolscevico 9
N. 22 - 2 giugno 2016
Ripubblicando anche tre vecchi articoli del 2005 di ex fasulli “maoisti”
“Il Manifesto” in ritardo “celebra” la Rivoluzione culturale
proletaria cinese interpretandola in senso trotzkista e anarchico
Pubblicata una composizione “artistica” provocatoria di una Guardia rossa sepolta sotto una valanga di spille di Mao
Grave falsificazione sul rapporto fra Mao e le guardie rosse
Alla fine, anche “il manifesto” ha pubblicato uno speciale di 4 pagine sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria
(GRCP) per il suo 50° Anniversario, con un ritardo anomalo,
ben tre giorni dopo la ricorrenza. Si saranno forse accorti di
aver toppato rispetto a “Il Bolscevico” che ha dedicato ben
due numeri e più di 8 pagine
all’anniversario, senza contare quest’ultimo numero. Non
si spiega altrimenti questo clamoroso ritardo, tra l’altro non
hanno proposto quasi niente di
originale, ma recuperato vecchi articoli da un libro del 2005.
Comunque, nonostante “il
manifesto” continui a definirsi “comunista”, i vecchi articoli
degli ex “maoisti” Alain Badiou,
filosofo francese che teorizza
la “fine” della rivoluzione e dei
partiti, Edoarda Masi, eminente sinologa deceduta nel 2011,
e Alessandro Russo, professore dell’Università di Bologna, e quelli nuovi del redattore del “manifesto” Tommaso Di
Francesco e del corrispondente da Pechino Simone Pieranni non fanno però un servizio
migliore alla verità storica rispetto al “Venerdì di Repubblica” e al “Fatto” (vedi nn. 20 e
21 del “Bolscevico”), anzi continuano a fornire una versione
estremamente mistificatoria e
deformata della GRCP. Il fatto
è ancora più grave e di basso
livello se si tiene conto che la
maggioranza degli autori allora si consideravano maoisti e
in certi casi hanno anche visto
direttamente la GRCP all’opera in Cina; “il manifesto” stesso allora sosteneva la Cina e
Mao, a parole, e li contrapponeva strumentalmente all’Urss
e a Stalin.
Una versione
scorretta degli eventi
Tutta la storia della GRCP
viene vista attraverso una lente anarchica e movimentista,
paradossalmente già a partire
dalla cronologia, visto che gli
autori sono pressoché unanimi nell’affermare che sarebbe
durata fino al 1968. La GRCP
sarebbe cioè una contrapposizione antagonistica fra le masse e il Partito comunista, che
dura finché le masse si ribellano in “situazioni totalmente imprevedibili” (Badiou) e termina
quando Mao, al quale sta sfuggendo la situazione di mano,
le reprime. Ciò è simboleggiato graficamente dalla stessa
immagine che sovrasta gli articoli, che vede alcune giovanissime Guardie rosse sepolte sotto una valanga di spille
di Mao.
In realtà questa interpretazione, intrisa di anarchismo
per quanto riguarda il rapporto
masse-partito marxista-leninista, ignora completamente che
il compito della GRCP non era
distruggere il Partito comunista
ma la borghesia riciclatasi al
suo interno nella forma dei dirigenti revisionisti che volevano
restaurare il capitalismo, rendendo le masse protagoniste
dirette di questa grande lotta
e spronandole a impossessarsi della concezione proletaria
e marxista-leninista del mondo
per consolidare e sviluppare il
socialismo ed eliminare così
la base sociale che generava
la borghesia. Questi per Mao
erano lo “scopo” e il “compito principale” (v. “Discorso ad
una delegazione militare albanese” sul n. 21 de “Il Bolscevico”), ma “il manifesto” trotzkista soprassiede, altrimenti non
potrebbe affermare che la dittatura del proletariato è un sistema dispotico come la dittatura della borghesia, né che la
GRCP “satura la forma del partito-stato”, cioè dichiara conclusa la storia del socialismo e
del marxismo-leninismo.
Sempre in tema di interpretazioni fasulle e fuorvianti, ricompare la trita e ritrita
tesi trotzkista che contrappo-
in realtà dimostra l’esatto contrario: Mao convoca i capi delle Guardie rosse a seguito dei
gravi scontri armati che avevano contrapposto le loro diverse
organizzazioni, critica il fazionismo e le tendenze “ultrasinistre” con la massima severità e avverte che se gli scontri
continueranno non ci sarà alternativa a una soluzione militare: “Se voi non riuscirete a
trovare un modo, daremo il
potere all’Esercito”. Tuttavia
non è quello che vuole, anzi
è disposto ad accettare la loro
autocritica (“Nel passato noi
abbiamo commesso molti errori. Per voi invece è la
prima volta, non possiamo
rimproverarvi per questo”),
za Kuai Dafu non c’è unità”.
“Voi non potete unirvi?” continua, rivolto a due fazioni divergenti. “Uno è di sinistra e
l’altro è di destra: un’ottima
unità”.
Mao persino si autocritica, riconoscendo che i giovani che occupavano i treni per
andare in giro per la Cina a
raccogliere le esperienze di
altre fazioni di Guardie rosse
non andavano arrestati, “invece ne sono stati arrestati
troppi, e questo perché ho
dato la mia approvazione”.
Al ministro della sicurezza Xie
Fuzhi che se ne assume la responsabilità, Mao controbatte:
“Non nascondere i miei errori. Non darmi protezione. Gli
“Il presidente Mao, sole rosso dei nostri cuori, è fra noi” Manifesto del 1967
ne Mao e Stalin. Falso visto
che uno dei più grandi meriti
di Mao è di avere difeso Stalin contro le calunnie e il revisionismo di Krusciov, rilevando
che attaccare Stalin significa
gettare via il leninismo. Semmai la GRCP criticò aspramente l’URSS revisionista e
socialimperialista di Krusciov e
Breznev, che però era distante
un abisso rispetto a quella socialista di Stalin, ma “il manifesto” butta tutto nel calderone e
si guarda bene dal fare questa
distinzione.
Falsità sul rapporto
fra Mao e
le Guardie rosse
Il picco della strumentalizzazione che presenta Mao come
nemico delle Guardie rosse, intenzionato a distruggerle dopo essersene servito, è
raggiunto con l’articolo di Russo: in esso, vengono pubblicati solo pochi passaggi, perlopiù fuori contesto o comunque
non sufficientemente e correttamente spiegati, del colloquio
che Mao ebbe la notte del 28
luglio 1968 con i dirigenti delle
Guardie rosse di Pechino, per
dimostrare che egli voleva “annientare” i giovani che le componevano.
Il verbale del colloquio, di
cui abbiamo il testo integrale,
le sprona a riflettere sui propri sbagli ed è particolarmente premuroso nel convincere
le Guardie rosse a superare le
loro divergenze e ricercare l’unità. “Ma ci vuole l’unità, ci
vuole Kuai Dafu” afferma, riferendosi a uno dei leader più
arroganti che aveva addirittura
fatto sparare su una squadra
operaia di propaganda, “Sen-
arresti ci sono stati perché
li ho approvati anche io, ma
adesso sono d’accordo con
i rilasci”. Alla faccia dell’annientamento! Va distrutto solo
“chi continuerà a ribellarsi
con violenza, ad attaccare
l’Esercito popolare di Liberazione, a sabotare le linee
di comunicazione, ad assassinare e ad appiccare incen-
La provocatoria immagine di apertura dello speciale de il manifesto
del 19 maggio 2016 sulla Grande
Rivoluzione Culturale Proletaria
di”.
Tant’è vero che i dirigenti delle Guardie rosse non saranno giustiziati ma inviati a
lavorare in campagna o in fabbrica per rieducarsi, dopo aver
firmato un’autocritica scritta
(che riportiamo a pagina 8 nel
testo integrale) dove riconoscono: “In passato, non abbiamo svolto il nostro lavoro nel
modo giusto ed abbiamo avuto
numerosi difetti e commesso
molti errori. Ce ne vergogniamo immensamente e siamo
estremamente addolorati per
alcuni casi. Siamo decisi nella maniera più assoluta a non
deludere l’interessamento, l’incoraggiamento e le aspettative che il grande dirigente il
presidente Mao ha riposto in
noi”. Saranno arrestati soltanto nell’aprile del 1978, quando
ormai il partito è caduto sotto
il controllo di Deng, che li processa per saldare alcune vendette personali dei suoi sodali criticati durante la GRCP, ma
soprattutto per processare la
GRCP stessa prima di poterla
rinnegare ufficialmente e definitivamente nel 1981.
Le rivoluzioni sono
destinate alla
sconfitta
Certamente negli articoli vengono messi in luce anche alcuni aspetti reali e positivi della GRCP e soprattutto il
fatto che il suo rinnegamento
da parte dell’attuale regime revisionista cinese era la condizione per il ritorno del capitali-
smo. Ma anche in questo caso
Pieranni si dispiace che non si
possa arrivare ad un “superamento” della Rivoluzione culturale, suggerendo un assurdo
legame con la “riflessione sul
passato” operata dalla Germania dopo la caduta del nazismo.
Tuttavia l’impianto generale di stampo anarchico, trotzkista e movimentista presenta
la Rivoluzione culturale proletaria come un “fallimento” e
una “sconfitta”, invece si è dimostrata di essere la via giusta per rafforzare e sviluppare
il socialismo perché ha raggiunto tutti i suoi obiettivi finché era in vita Mao. Solo che
la sua morte ha impedito di
portarla avanti per via dell’opportunismo e della debolezza
dei suoi successori, che hanno
consentito il ritorno al potere
dei vecchi revisionisti rovesciati e dei loro seguaci, fingendosi
comunisti agli occhi del popolo
per de-ideologizzarlo e sedurlo alla promessa di un futuro di
prosperità col libero mercato.
Probabilmente sarebbe servita un’altra rivoluzione culturale, o la stessa GRCP avrebbe
dovuto cominciare prima, cosa
che però non era possibile non
essendo ancora maturate le
esperienze e le condizioni.
Dietro si cela la tesi trotzkista delle rivoluzioni destinate al fallimento e alla degenerazione, che poco si discosta
dalla tesi della reazione e della
borghesia secondo cui alla fine
le rivoluzioni vengono sconfitte
ed è inutile farle, tesi che ha lo
scopo di indurre al pessimismo
e al disimpegno a salvaguardia dell’ordine capitalistico.
Non c’è paragone rispetto
a quanto ha fatto il PMLI, che
ha chiarito la genesi, la storia
e i contenuti della Rivoluzione culturale proletaria con l’editoriale del numero scorso del
“Bolscevico”, ma soprattutto
ha invitato i giovani e gli anticapitalisti in generale a scoprire la storia per trarne esempio e ispirazione attraverso il
Documento della Commissione giovani dall’eloquente titolo: “Giovani prendete esempio
dalle Guardie rosse per cambiare l’Italia”.
Il quotidiano del partito revisionista
e fascista cinese esorcizza il ritorno
della rivoluzione culturale proletaria
Il “Quotidiano del popolo”,
organo ufficiale del partito revisionista e fascista cinese, è
intervenuto sul 50° Anniversario della Rivoluzione culturale
proletaria, ma l’ha fatto soltanto con un articolo pubblicato
il 16 maggio a tarda ora sulla versione online del giornale a firma di un commentatore
esterno, tale Shan Renping.
L’articolo, dal titolo “La ‘rivoluzione culturale’ ha subito una condanna integrale”,
in realtà non aggiunge nulla di nuovo alla condanna ufficiale e infatti si copre dietro
la “autorevolezza” della risoluzione approvata dal Comitato
centrale del PCC il 27 giugno
1981, quando già era sotto il
controllo di Deng Xiaoping e
stava mettendo in atto la restaurazione del capitalismo,
che descriveva la Rivoluzione
culturale come una “tragedia”
della quale Mao era “il principale responsabile”. Infatti anche nell’articolo la Rivoluzione
culturale viene definita “disastro interno”, “enorme catastrofe”, “dolorosa lezione” e
via diffamando. La Cina socialimperialista odierna viene
invece dipinta come un paradiso di persone ricche e felici, che progetta all’unisono lo
sviluppo futuro, un trionfo della “coesione sociale” in marcia
verso l’“era del grande rinnovamento della nazione cinese”. Chissà quale sarà stata
la reazione di un giovane operaio di una fabbrica come la
Foxconn nel leggere queste
parole al termine di una dura
giornata di lavoro, durata magari 10 ore, per ottenere circa
1.800 yuan (il minimo salariale che corrisponde a circa 200
euro) alla fine del mese.
“La ‘rivoluzione culturale’
non si potrà mai ripetere in
Cina”, chiosa l’articolo. Peccato per il nostro pennivendolo e
per i suoi mandanti revisionisti, ma la questione è tutt’altro
che chiusa, se è vero com’è
vero che lo stesso “Quotidiano del popolo” ha ammesso
di essere intervenuto proprio
perché su Internet si stanno
sviluppando vivaci e interes-
santi discussioni sulla Rivoluzione culturale, producendo anche “opinioni scorrette”,
come le taccia l’articolo, cioè
in difesa del pensiero e dell’opera di Mao. Cosa sono queste discussioni in rete, se non
un evidente riflesso di una certa discussione a livello di massa? Discussione che il regime
di Pechino cerca di stroncare chiudendo i siti di sinistra
o esorcizzando il ritorno della
Rivoluzione culturale proletaria, nel vano tentativo di scacciare l’incubo del socialismo e
della rivoluzione. Che, invece,
tornano alla ribalta come conseguenza dello sfruttamento e
delle disparità sociali prodotte
dal capitalismo cinese.
2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI
stampato in proprio - committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
N. 3 - 22 gennaio 2015
PMLI / il bolscevico 11
N. 22 - 2 giugno 2016
Malgrado le condizioni metereologiche avverse
Proficui banchini elettorali
astensionisti del PMLI a Varese
Centinaia di volantini diffusi e diverse discussioni hanno posto il PMLI come
avanguardia nella lotta contro il potere borghese i suoi partiti e le sue istituzioni
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione
di Viggiù del PMLI
Nelle giornate di giovedì 19
e lunedì 23 maggio, malgrado
le condizioni metereologiche
avverse, si sono tenuti presso l’area mercato di Piazzale
Kennedy, e piazza XX settembre a Varese, i banchini elettorali astensionisti organizzati
dall’Organizzazione di Viggiù
del PMLI sostenuti da compagni di Milano. Centinaia di volantini, riportanti gli estratti del
documento elettorale astensionista redatto dall’Organizzazione di Viggiù, che invita ad astenersi non votando i candidati
borghesi in corsa per la poltrona a sindaco di Varese, e a
creare le Assemblee popolari
in ogni quartiere contrapposte
alle istituzioni borghesi, sono
stati distribuiti tra le masse popolari italiane e migranti riscontrando nella maggior parte dei
casi apprezzamenti e sostegno
per la nostra campagna. Copie
de “Il Bolscevico” sono state distribuite ai passanti, in particolare ai giovani, interessati ad
approfondire le nostre posizioni politiche, lasciando dei contributi economici per finanziare
l’attività del Partito.
Ci sono state diverse proficue discussioni tra i marxisti-le-
Varese, 19 maggio 2016. Giovani si intrattengono al banchino astensionista del PMLI in Piazzale Kennedy (foto Il Bolscevico)
ninisti e le masse popolari sui
più svariati temi, dai problemi
del lavoro, il disprezzo per l’attuale governo del nuovo duce
Renzi, la mancanza di futuro
per i giovani, il magna magna
dei politicanti borghesi di destra o di “sinistra”, fino a temi di
carattere storico e di storia del
movimento comunista internazionale.
Un uomo avvicinandosi ai
marxisti-leninisti, pur dichiarandosi di estrazione sociale borghese, si è detto d’accordo con
la nostra politica e della necessità di un cambiamento radica-
A 42 anni dalla scomparsa del giovanissimo militante
di Firenze dell’OCBI M-L (poi PMLI)
RICORDATO MARCO MARCHI
le della società indicando l’effigie di Mao sui nostri corpetti
come modello da seguire.
Un ragazzo definitosi marxista ha preso contatti con il Partito in quanto interessato ad
avvicinarsi ad un partito comunista serio e non a chiacchere.
Un’anziana ha espresso disgusto per gli attuali politici e si è
dichiarata decisamente favorevole alla nostra proposta dell’astensionismo.
Una ragazza ha chiesto approfondimenti sulla nostra posizione astensionista, un vecchio compagno ci ha salutati
con un “Viva Stalin”.
Certo non tutti hanno appog-
giato il punto di vista dei marxisti-leninisti com’è naturale che
sia in una società divisa in classi dove l’ideologia dominante è
quella borghese. In particolare
abbiamo rilevato come tra diversi appartenenti alla comunità albanese, vissuti sotto il regime revisionista di Enver Hoxha
ci sia un astio contro quello che
loro considerano “comunismo”
vissuto sotto Hoxha in Albania. I marxisti-leninisti attraverso la dialettica hanno cercato
di spiegare loro le differenze e il
tradimento di Hoxha rispetto al
vero socialismo di Lenin, Stalin
e Mao. Purtroppo i traditori del
proletariato e i revisionisti a livello mondiale spacciando il revisionismo per socialismo hanno
distorto la realtà e gettato fango sul socialismo vero facendo
così il gioco della borghesia terrorizzata da un possibile ritorno
di moda del socialismo tra gli
operai e le masse popolari.
Tirando le somme, come
ancora una volta l’esperienza
ci insegna i banchini e la presenza di piazza attiva dei marxisti-leninisti sono il miglior metodo per instaurare e rafforzare
il contatto diretto tra il PMLI e le
masse popolari.
Il prossimo appuntamento sarà sabato 28 maggio nel
centro di Varese, tra Corso
Moro e via Bagaini dalle ore 15
alle 19.
Milano
Banchino del PMLI per
promuovere l’astensionismo
alle elezioni comunali
del 5 giugno
Milano, 21 maggio 2016. Il rosso banchino astensionista del
PMLI in Piazza Costantino (foto Il Bolscevico)
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Mao” di Milano
Sabato 21 maggio, in
Piazza Costantino, nel popolare quartiere di Crescenzago, militanti della Cellula “Mao” di Milano
del PMLI hanno iniziato
la campagna astensionista per le elezioni comunali del 5 giugno. Presenti
in piazza anche il PD e la
Lega Nord, la presenza di
quest’ultima era fortemente
provocatoria in un quartiere
ad alta densità abitativa di
migranti.
I compagni hanno allestito un banchino e diffuso
centinaia di copie del volantino dal titolo “Perché
occorre astenersi alle elezioni comunali del 5 giugno”. Il documento è stato
accolto con interesse ed è
stato spunto di discussione in merito all’attuale società capitalista, sul fatto
oggettivo che solo la lotta
di classe e di piazza paga
per quanto riguarda la conquista dei diritti politici e sociali (stante il permanere
dell’attuale società) e la necessità della conquista del
potere politico da parte del
proletariato e quindi del socialismo.
E’ morto Giuseppe Lepore
Cofondatore della Cellula “Marx” della Val Vibrata
‡‡Redazione di Firenze
Come ogni anno il 19 maggio le compagne e i compagni fiorentini
ricordano con spirito militante il compagno Marco Marchi, morto
in un incidente in moto nel 1974 a soli 18 anni mentre si recava a
una riunione della sua Cellula dell’OCBI m-l (Organizzazione comunista bolscevica italiana marxista-leninista, dalla quale nacque
il PMLI). Sulla tomba del compagno nel cimitero di Rifredi la Cellula “‘Lucia’ Nerina Paoletti” di Firenze ha deposto un bel mazzo
di fiori rossi.
Fra gli omaggi floreali al compagno Giuseppe Lepore il mazzo rosso
del PMLI
Mercoledì 18 maggio 2016
è morto a causa di un ictus,
presso l’ospedale di Sant’Omero (Teramo), all’età di 92
anni il compagno Giuseppe
Lepore, artigiano in pensione
della lavorazione di manufatti
in cemento. Abitava a Civitella del Tronto. La Cellula “Marx”
della Val Vibrata del PMLI, di
cui era stato cofondatore il 13
dicembre 1996, ha deposto dei
fiori sulla sua tomba presso il
cimitero della frazione di S.
Eurosia ed espresso profonde
condoglianze ai familiari.
Secondo pioniere marxistaleninista dell’Abruzzo, dopo
il compagno Salvatore Zunica, aveva preso contatto per
la prima volta col Partito nel
marzo del 1995 per poi aderirvi il 30 novembre 1996. E stato
delegato al 4° Congresso nazionale del PMLI nel 1998 e al
5° Congresso nel 2008, in cui
tenne un apprezzato e applaudito intervento.
Ancor prima di divenirne militante, come simpatizzante ha
coraggiosamente sostenuto e
propagandato il Partito nella
sua zona di residenza, contribuendo tra l’altro ad organizzare un dibattito a Civitella con
la partecipazione come oratore del Segretario generale
del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, il 21 ottobre 1995,
e in altra occasione sempre
nella sua città un dibattito col
compagno Emanuele Sala
come oratore per le elezioni
politiche del 2001. Ha coadiuvato inoltre il compagno Zunica nel promuovere il ripristino
Il compagno Giuseppe Lepore mentre interviene al 5° Congresso del
PMLI, tenutosi a Firenze il 6, 7 e 8 dicembre 2008
della tradizione della sua zona
di piantare un pioppo per issarvi la bandiera rossa in occasione del 1° Maggio.
Lepore aveva abbracciato gli ideali del comunismo fin
dal 1935 quando aveva appena 11 anni, per poi aderire al
PCI il 13 maggio 1945, all’indomani della Liberazione dal
nazi-fascismo. Nella sua domanda di ammissione al PMLI
così descrive il suo percorso
politico: “Sono nato l’11 genna-
io 1924, i miei genitori contadini e di aspirazioni socialiste, mi
hanno educato sin da bambino alla giustizia sociale e all’uguaglianza. Quindi appena superata l’adolescenza, mi sono
tesserato al PCI, credendo che
fosse il vero partito del proletariato, ma col passare degli
anni e soprattutto con la sua
scissione del 1981 a Rimini, è
stata per me una vera delusione. Di conseguenza ho chiuso
definitivamente con lo stesso,
smascherandone la linea antimarxista e antirivoluzionaria.
Dopo un breve periodo di vuoto politico, ho avuto la fortuna
di incontrare il compagno del
PMLI Salvatore Zunica, il quale mi ha ridato l’entusiasmo e
il coraggio alla lotta di classe”.
Lepore è stato con e del
Partito fino all’ultimo, anche
quando per l’età e le sue precarie condizioni di salute non
ha più potuto svolgere attività
pratica, anche a causa della
progressiva perdita della vista
che dal 2011 gli ha impedito
di poter leggere “Il Bolscevico” come aveva sempre fatto.
Egli è stato fedele e coerente
nel tempo con l’impegno che
si era assunto scrivendolo nella sua domanda di ammissione al Partito: “La mia volontà
principale, oltre alla mia credenza ai Maestri fondatori del
socialismo scientifico, è quello
di vedere realizzare in un futuro non troppo lontano una società più giusta, affinché non ci
sia più sulla faccia della terra lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, quindi solo stringendomi al
PMLI e diventando membro, è
possibile dare il massimo contributo alla causa socialista”.
Il compagno Giuseppe Lepore lascia ai militanti e dirigenti del Partito e in particolare
ai compagni più giovani il suo
esempio marxista-leninista di
attaccamento al PMLI e di risoluta fedeltà alla causa del proletariato e del socialismo. Rimarrà per questo sempre nei
nostri cuori. Onore e gloria al
compagno Giuseppe Lepore!
12 il bolscevico / cronache locali
Comunicato dell’Organizzazione locale del PMLI
No alla soppressione
della Cardiologia
al Rizzoli di Ischia
Giù le mani dalla sanità pubblica
Dopo la minaccia di chiudere l’unico ospedale di Procida che l’intera popolazione
ha prontamente rintuzzato con una massiccia manifestazione di piazza, ora la
scure del governo del nuovo duce Renzi si abbatte su
Ischia. La ministra della sanità non pensa di tagliare gli
sprechi dei suoi colleghi e
del suo capo, se la prende
con i più deboli e perfino con
quei pazienti che rischiano la
vita, costretti a fare la corsa
col tempo per salvarsi.
Sopprime infatti, l’Utic,
Unità cardiologica dell’Ospedale Rizzoli di Ischia! Quella
sola unità che ha salvato tante vite umane, perché non
ha costretto isolani e turisti
a ricorrere agli ospedali della terraferma, sfidando i disagi dello spostamento e delle
condizioni metereologiche.
Un esponente del governo regionale campano
avrebbe definito solo un “errore” il taglio operato dalla
ministra. Ce lo auguriamo,
ma se così fosse, dimostrerebbe quanta superficialità e
leggerezza sia alla base di
un governo che non rispetta
seriamente le esigenze di chi
ha bisogno, nello scellerato
tentativo di regalare ai privati la sanità e il diritto alla salute, pur sancito dalla Costituzione.
I marxisti-leninisti dell’isola d’Ischia, mentre propongono di creare un Comitato
di Lotta per la difesa del diritto alla salute, che faccia sentire al presidente della regione De Luca (che sarà forse
ad Ischia venerdì prossimo
al Palazzo Reale) un forte “Giù le mani dalla sanità
pubblica”.
Mercoledì 25 maggio, dalle ore 16, raccoglieremo firme in Piazza degli Eroi. Per
dire no alla chiusura dell’UTIC, per garantire il diritto ad
avere un ospedale funzionante, attrezzato, organizzato in modo civile, per assicurare reparti sanitari degni di
una società moderna e non
ricettacoli schifosi dove i pazienti siano costretti a subire
non solo il peso della propria
malattia, ma anche la vergogna dei disagi.
L’Organizzazione isola d’Ischia del PMLI
23 maggio 2016
Bocciata la svendita della Fondazione Arena
Il rampante sindaco
di Verona Tosi attacca
lavoratori e sindacati
‡‡Da un compagno
palermitano del PMLI che
lavora a Verona
Periodo nero per il sindaco di
Verona Flavio Tosi, che si trova
ad affrontare problemi su problemi. L’ultimo in ordine è la disfatta della Fondazione Arena,
di cui era presidente, che gestisce la maggior parte degli spettacoli lirici che durante l’anno si
svolgono proprio all’Arena.
Con 132 voti sfavorevoli contro 130 sì i lavoratori della Fondazione hanno detto no al ridimensionamento economico
che avrebbe ridotto di molto gli
stipendi dei dipendenti. Questo
è accaduto dopo che era stato
raggiunto l’accordo con la Cisl
ma non con la Cgil e la Uil che
hanno indetto un referendum
tra i lavoratori ottenendo un ri-
sultato a sorpresa. Con questo
risultato, l’accordo è venuto a
mancare e ora non si esclude
il licenziamento di oltre 300 dipendenti.
Tosi se la prende con i lavoratori e i sindacati che, a suo
parere, hanno portato a questa
grave situazione.
A parte questo, il sindaco ha
anche forti contrasti con i suoi
ex compari della Lega Nord che
lo accusano di non lavorare per
la città e, anzi, di creare disagi,
non ultimo, il problema degli immigrati che Flavio Tosi, a detta
della Lega, continua a far entrare facilmente in città. A chi lo
accusa di pensare più alla sua
carriera politica che a Verona il
rampante neopodestà risponde
alzando i toni e promettendo impegno.
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
MAGGIO
24
25
29
30
31
CUB trasporti Ferroviario – Sciopero personale gruppo FSI e
Socc. NTV, Trenonord, Serfer, SBB Cargo Italy, Nord Cargo
Usb-Lavoro Privato - Pulizie e multiservizi - Ciclat, Maca e
Smeraldo, Manital, Cns, Dussmann Service – Sciopero personale
ex-Lsu e dipendenti ditte appalti pulizia e decoro scuola
RSU Aereo – Sciopero di 8 ore personale soc. Techno Sky
Fp-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Fiadel – Sciopero Aziende
Igiene Ambientale pubblica CCNL Utilitalia/Ambiente
OSR Filt-CGIL/Fit-CISL/Uilt-UIL/UGL-TA – Sciopero di 4 ore
personale soc. Aviation services aeroporti di Fiumicino e Ciampino
N. 22 - 2 giugno 2016
Contromanifestazione nella capitale
Gli antifascisti romani
non lasciano campo libero
ai neofascisti di Casapound
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Rivoluzione
d’Ottobre” di Roma
Sabato 21 maggio a Roma
si sono svolti in contemporanea
una provocatoria manifestazione a carattere nazionale organizzata da Casapound e la contromanifestazione nella quale
sono scesi in piazza un universo variegato di associazioni,
movimenti e attivisti antifascisti
riuniti sotto la sigla “CasaPound
not welcome“ (CasaPound non
è benvenuta).
La capitale era sotto l’assedio di un grande assembramento di “forze dell’ordine” anche
perché nei giorni precedenti c’erano stati segnali delle tensioni crescenti, come l’assalto al
banchino di Casapound a Torpignattara e il blitz dei neofascisti di Forza Nuova (anche loro
candidati alle elezioni comunali)
nella sede del Gay Center a Testaccio al grido “La perversione
non sarà mai legge”.
I neofascisti hanno sfilato per
le strade della capitale con l’obiettivo di arrivare a Colle Oppio
(a due passi dal Colosseo) per
un concerto che ha visto la partecipazione di diverse band dichiaratamente fasciste, italiane
e non. Scopo di questo evento
è stato anche quello di offrire tribuna elettorale al candidato sindaco di Casapound, che ha infatti tenuto un comizio. Tra gli
striscioni e i manifesti venivano
celebrati i cosiddetti “come gli
eroi del Piave” del primo conflitto mondiale imperialista mentre spiccavano slogan razzisti,
guerrafondai e sciovinisti come
“Prima gli italiani”, “Italia risorgi, combatti e vinci”, ecc. Tra le
bandiere presenti in prima fila
quelle dei neonazisti greci di
Alba Dorata.
Durante la sfilata i tartarugati
neri sono stati oggetto di un lancio di uova da un palazzo di via
Merulana.
Nella
contromanifestazione degli anitifascisti, chiamati a
raccolta tra gli altri dall’ANPI, si
poteva leggere tra l’altro: “Contro ogni fascismo io non dimentico”, in ricordo del decennale
della morte di Renato Biagetti,
giovane ucciso a Focene dopo
un concerto reggae da due neofascisti, “Roma Libera, No ai
fascisti vecchi e nuovi”. Ribadita la denuncia che la manifestazione neofascista, Costituzione
alla mano, andava vietata. Clamoroso peraltro che diversi media l’abbiano documentata con
tanto di inviati e collegamenti in
diretta.
II candidato sindaco di Sinistra italiana Stefano Fassina
era in piazza con gli antifascisti, di fatto cavalcando l’onda e
spostando il discorso nel campo mediatico, vedi lo sterile
scambio di battute via twitter
con la candidata di Fratelli d’Italia e Lega Nord, l’ex ministro
Giorgia Meloni.
Presa di posizione del PMLI.Biella
Per eliminare le cause dei suicidi occorre
abbattere la società capitalistica
L’Organizzazione biellese
del Partito marxista-leninista
italiano in merito all’elevato
numero di suicidi – e tentativi di
suicidio – che stanno tristemente interessando il nostro
territorio intende prendere
posizione, anche e soprattutto
riguardo alle “soluzioni” che
da più parti vengono proposte,
in primis quello delle “barriere”
sui ponti. Nel biellese la
precipitazione dai ponti è il
secondo metodo di suicidio
scelto, dal 2012 a oggi sono 10
le persone che si sono suicidate
in questo modo, 8 di queste dal
ponte della tangenziale.
Delle semplici ringhiere permetterebbero di risolvere questo tragico problema o ne attenuerebbero l’effetto? No, non
lo crediamo affatto. Se degli
ostacoli impedissero di gettarsi da un ponte questo forse impedirebbe ai suicidi di portare
a compimento il loro disperato proposito? Visto che il primo
metodo di suicidio resta quello
dell’impiccagione, forse smettere di produrre corde e ritirarle dalla circolazione servirebbe
a qualcosa? No, non si possono eliminare gli “strumenti” per
togliersi la vita e ogni intervento in questo senso non potrà
che essere un mero palliativo di
dubbia utilità.
Invece di pensare di investire centinaia di migliaia di euro
per “barriere” di sicurezza perché non si pensa ad implementare i servizi psichiatrici e sociali
sul territorio, rendendoli funzionali ai bisogni delle masse popolari biellesi? Eliminando ogni
retrogrado pregiudizio e ogni
condanna sociale, il tema del
suicidio andrebbe affrontato
durante assemblee pubbliche,
nelle scuole e negli spazi sociali dalla cittadinanza tutta. In ogni
caso questo terribile fenomeno
non deve essere affrontato solo
con un approccio psichiatrico e
individuale bensì anche – e soprattutto – nella sua dimensione economica e sociale. Il suicida non è infatti, nella maggior
parte dei casi, un “malato” ma
una vittima dell’attuale degenerata società capitalistica basata sullo sfruttamento dell’uomo
sull’uomo; che richiede sempre
maggiori ritmi di competizione
disumani.
Il suicidio non può essere
ridotto a mero “atto di follia”.
Quasi sempre si tratta di scel-
“Il Bolscevico” ha
demistificato gli
squallidi attacchi alla
Rivoluzione culturale
proletaria cinese
te) mondiale.
Eugen Galasso - Firenze
sta prova. Il non potersi aiutare
conferma invece l’esaltazione
dell’individualismo a discapito
del gruppo.
L’unica cosa positiva della
giornata è stata che nonostante nel mio indirizzo non ci sia
stata alcun tipo di protesta, negli altri (linguistico e scientifico)
la maggior parte degli studenti
ha boicottato la prova, in alcuni
casi incoraggiati dai professori.
Grazie per l’attenzione.
Saluti marxisti-leninisti.
Giuseppe - Patti (Messina)
Benissimo, cari compagni.
Finalmente si demistifica la squallida (ma funzionale
all’affermazione
del
capitalismo) operazione di demonizzazione del comunismo,
ovviamente nella forma della
Rivoluzione culturale proletaria
cinese, ormai completamente demolita dal ritorno indietro dell’”orologio della storia”,
per dirla con Mao, indetto dalla cricca neo e iper-capitalista
affermatasi con Deng Xiaoping
e con i suoi attuali successori,
dove però il regime reazionario attuale (è ancora previsione
storica di Mao) in un periodo
più o meno breve verrà abbattuto.
Come sempre, “Il Bolscevico” coglie nel segno, dandoci uno strumento di riflessione ulteriore, fondamentale per
orientarci in quell’apparente
“caos dei segni” creato artatamente dal capitalismo (che è il
capitalismo di sempre, ma aggiornato ipertecnologicamen-
La prova Invalsi
boicottata da molti
studenti a Messina
Cari compagni,
il 12 maggio io e gli altri
compagni e compagne delle
seconde classi del mio liceo
classico (e delle altre scuole
d’Italia) siamo stati costretti a
svolgere le prove Invalsi ed è
stato veramente odioso.
Già nei mesi precedenti abbiamo impiegato non poche
ore alla preparazione dei test
togliendole alla normale attività didattica. E quando è arrivato il giorno delle prove, quasi tutte le mie compagne (sono
il solo ragazzo in classe) erano particolarmente stressate per via dell’importanza che
qualche insegnante ha dato a
esse. Poi l’impostazione schematica e nozionistica e il fatto
che siano slegate dal programma scolastico le ha rese ancor
più difficili. Se abbiamo riscontrato problemi noi del classico,
posso immaginarmi quali difficoltà abbiano riscontrato quelli
di un tecnico. E questo conferma il carattere classista di que-
te ben maturate e coscienti.
Ecco alcuni messaggi lasciati
da chi si è suicidato: “senza un
lavoro mi sento inutile”, “sono
stanco di vivere”, “questa vita
è senza prospettive”. Si scorge in queste parole una critica
contro questa società, un estremo segnale di protesta – per
noi inaccettabile, ma comprensibile rispetto alle ragioni di chi
lo compie – lanciato contro il sistema oppressivo e sfruttatore.
Disoccupazione, emarginazione e solitudine da un lato,
competizione sfrenata, individualismo, carrierismo, sopraffazione del più forte sul più
debole dall’altro: ecco le vere
cause dei suicidi! È questa società che non offre prospettive, non garantisce un avvenire
degno di essere vissuto, getta
i più deboli nella disperazione
totale.
Per eliminare i suicidi occorre abbattere l’attuale società capitalistica e conquistare
un nuovo sistema economico e
una nuova società non più basati sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sul profitto.
Questa società non può che
essere il socialismo, l’unica società in cui l’economia non è
governata dalle leggi del mercato e del profitto a beneficio
di un pugno di sfruttatori, ma
è pianificata per essere al servizio della collettività. Solo con
il socialismo ciascuno – anche
i soggetti più deboli – troverà
una sua collocazione e potrà
realizzare se stesso nelle sua
interezza.
Per il PMLI.Biella Gabriele Urban
22 maggio 2016
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per il socialismo
contributi e corrispondenze / il bolscevico 13
N. 22 - 2 giugno 2016
Corrispondenza delle masse
Questa rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che
le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico”
I lavoratori in piazza contro la “Buona
scuola” del nuovo duce Renzi
Diffuse copie dell’Editoriale di Scuderi. Alcuni lavoratori chiedono di poterlo diffondere nelle loro scuole
I sindacati confederali di categoria, FLC Cgil, Cisl Scuola, Uil
Scuola, insieme allo Snals, hanno
indetto per il 20 maggio uno sciopero della scuola e dell’università
di tutto il comparto della ricerca
e della conoscenza che si è concretizzato con una manifestazione
regionale a Firenze per protestare
contro la “Buona scuola” di Renzi e Giannini e le sue varie contraddizioni. Le rivendicazioni più
importanti dello sciopero hanno
riguardato il rinnovo del contratto oramai scaduto dal 2009 con
la conseguente perdita di potere d’acquisto dei lavoratori della
scuola, e solo alcuni aspetti della legge 107, sullo sblocco delle
assunzioni ATA e l’aumento degli
organici, e sulla stabilizzazione di
tutti i precari.
Il corteo è partito da piazza Demidoff per arrivare in piazza Strozzi dove dal palco sono intervenuti
alcuni lavoratori delle varie sigle
sindacali. Il comizio finale è stato
tenuto dal segretario nazionale
FLC CGIL Domenico Pantaleo.
La partecipazione al corteo,
se consideriamo che la manifestazione di Firenze era a carattere
regionale, non è stata molto alta;
si è aggirata intorno ai 1.500 partecipanti con delegazioni pervenute anche da altre città toscane.
L’adesione allo sciopero a livello
generale si è attestata al 60% e
ha visto il personale Ata essere
Firenze, 20 maggio 2016. Sciopero e manifestazione degli insegnanti e personale ATA
il più combattivo. In alcuni istituti
dove l’affluenza allo sciopero dei
collaboratori scolastici è arrivata
al 100%, i dirigenti scolastici sono
stati costretti a tener chiusa la
scuola rimandando gli studenti a
casa, come ad esempio all’Istituto Gobetti-Volta di Bagno a Ripoli
dove io lavoro.
Nonostante tutto è stata una
manifestazione molto colorata,
festosa e rivendicativa alla quale hanno dato come sempre un
ottimo contributo i compagni del
PMLI con i vari slogan che sono
Comunicato dello Slai cobas di Pomigliano
stati apprezzati e cantati da molti
partecipanti al corteo. I più apprezzati sono stati: “La 107 è da
abrogare, vuole solo privatizzare”,
“Renzi/Giannini la stessa scuola
di Mussolini”, “7 anni che aspettiamo, il contratto ci meritiamo” e
tanti altri ancora. È stata proposta
e ben accolta dai manifestanti
“Bella Ciao”.
Durante i comizi finali i compagni del PMLI hanno diffuso l’Editoriale del compagno Segretario
generale Giovanni Scuderi sull’alternativa a Renzi, talmente condiviso dai lavoratori in piazza che
alcuni di loro ci hanno chiesto se
potevano fotocopiarlo per diffonderlo nei loro ambienti di lavoro.
Quello che è stato evidente e
che si è percepito durante gli interventi in piazza Strozzi è stata la
autoreferenzialità che i vari sindacati hanno dimostrato e che credo
sia una delle tante cause della crisi
che il sindacato confederale vive
in questo periodo. Un’altra conseguenza è l’ormai poca credibilità
che gli viene concessa da parte
dei lavoratori del settore, vittime
decennali di una politica sindacale
concertativa che li ha portati oggi
a dover subire la concezione competitiva e padronale della scuola
voluta dal nuovo duce Renzi.
Questo sciopero del 20 maggio arriva ampiamente in ritardo,
come fa presente anche l’opposizione CGIL, e rischia quindi di
essere poco efficace; un semplice
posizionamento testimoniale delle organizzazioni sindacali promotrici. Non si contrasta questo
governo, queste controriforme,
questi processi di scomposizione
del settore con un semplice sciopero a fine anno scolastico. Cosa
Tre sentenze della
Cassazione a favore dello
Slai cobas e contro la Fiat
C ntributi
Chrysler di Pomigliano
Riceviamo e volentieri pubblichiamo in sintesi.
Slai cobas fa scricchiolare le relazioni sindacali “alla Marchionne”
in FCA e l’accordo del 10 gennaio
2014 tra CGIL-CISL-UIL e Confindustria sull’elezione “coatta” delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU)
per i soli firmatari di contratto.
Nel 2015 (in un solo anno) il
massimo vertice del potere giudiziario e dell’ordinamento giuridico
di riferimento, la Corte di cassazione, ha condannato per ben 3 volte
la Fiat Chrysler di Pomigliano con
sentenze del 6 novembre 2015, 5
novembre 2015 e 9 febbraio 2015
per “Il rifiuto di trattenere i contributi sindacali da accreditare a Slai
Cobas è condotta antisindacale
pregiudicando il diritto dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire e il diritto
del sindacato di acquisire i mezzi
di finanziamento per lo svolgimento della propria attività” (Cass. Civ.
sez. lav 06/11/2015, n° 22712).
Il giorno prima la stessa Cassazione aveva condannato la
Fiat (Cass. Civ. sezione lavoro,
05/11/2015, n°22617) stavolta per
la “portata intimidatoria e l’antisindacalità della sospensione dell’attività lavorativa nel reparto montaggio Alfa 147 di Pomigliano dalle
ore 6,30 alle 14 del 6 aprile 2004 in
occasione dello sciopero indetto in
pari data dallo Slai cobas dalle ore
6 alle ore 6,30”.
Ancor più significativa, il 9 febbraio 2015, la condanna della Fiat
e TNT Pomigliano (Cass. Civ. sez.
lav. 09/02/2015, n° 2375), “profilo
di plurioffensività dei licenziamenti
disciplinari nei confronti di attivisti o simpatizzanti di Slai cobas
a cagione di una delle più tipiche
manifestazioni di autotutela collet-
tiva e proprio nel momento in cui
la summenzionata organizzazione
si opponeva ad altre”. Il riferimento è agli 8 licenziamenti (5 operai
Fiat, 3 di TNT, poi CEVA) avvenuti
a seguito delle assemblee sindacali del 14 febbraio 2016. Con
questa sentenza la Cassazione
stabilisce che: “se l’antagonismo
aziendale è connaturato alla fisiologica contrapposizione dialettica
propria delle relazioni industriali
(e, in quanto tale, è perfettamente
legittimo), non altrettanto può dirsi per l’uso dei poteri disciplinari
e gerarchico-direttivi a danno di
talune organizzazioni sindacali
e a protezione di altre, poiché la
contingente oggettiva (e parziale)
comunanza di interessi che in un
dato momento storico può anche
verificarsi tra datore di lavoro e
singole organizzazioni sindacali
non giustifica la repressione del
dissenso manifestato da altre”.
Tale sentenza ha inoltre riconfermato il “requisito di sindacato nazionale” di Slai cobas (già
oggetto di numerose pronunce
in tal senso della Cassazione, e
delle tre su-richiamate sentenze)
determinato: “da un’azione diffusa a livello nazionale… che non
deve necessariamente coincidere
con la stipula dei contratti nazionali”, e censurato la Fiat non solo
per la violazione dell’art. 41 della
Costituzione ma per la violazione
degli art. 28 e 17 dello Statuto dei
Lavoratori (divieto di condotta sindacale e di costituire o sostenere
sindacati di comodo) e dell’art. 39
della Costituzione: “l’organizzazione sindacale è libera”!
Slai cobas - coordinamento
provinciale di Napoli - Pomigliano d’Arco
30 aprile 2016
aspetta la CGIL a proclamare lo
sciopero generale?
L’arroganza del capo del governo non si combatte con una
semplice raccolta di firme per
abolire solo 4 punti della legge
107, non si combatte con la Carta
dei diritti universali dei lavoratori
proposta dalla CGIL che di fatto va
a normare il “Jobs Act” e il lavoro
precario e a limitare gli scioperi
come da richiesta di Confindustria, e che vuole istituzionalizzare
il sindacato. Non a caso Pantaleo
si è affrettato a propagandare la
Carta e la campagna di raccolta
firme subito all’inizio del suo intervento, dimostrando palesemente
la consapevolezza della distanza
sempre più grande che oggi ha il
sindacato nei confronti delle masse lavoratrici.
I lavoratori della scuola e in
particolare il personale ATA hanno nuovamente dimostrato che
serve mobilitarsi, rinunciando in
due mesi a due giornate di salario,
se si aggiunge a quello odierno lo
sciopero di categoria del 18 marzo
indetto da un sindacato pressoché sconosciuto come “FederAta”
che in tanti istituti ha raggiunto il
90% di adesioni. Solo con la lotta
di piazza si può contrastare la politica neo fascista di Renzi anche
nel settore dell’istruzione; la sua
arroganza nei confronti dei lavoratori della scuola e degli studenti va
combattuta con la lotta di classe e
proponendo una visione proletaria
dell’istruzione, quella di una istruzione socialista del popolo al servizio del popolo e non al servizio
dei padroni.
Massimo - delegato Rsu
del “Gobetti-Volta”
di Bagno a Ripoli (Firenze)
La deriva
antidemocratica in
Polonia: si stava meglio
quando si stava peggio?
In Polonia, dopo aver attaccato
frontalmente e aver messo in discussione il ruolo di garanzia della
Corte Costituzionale, il governo
di estrema destra di Jarosław
Kaczyński varerà a breve, sotto
dettatura della Chiesa cattolica
polacca, la legge sull’aborto (o
meglio, contro l’aborto) più reazionaria d’Europa. Ed è solo uno
dei provvedimenti presi dal partito
uscito vincitore dalle elezioni dello scorso anno, che per la prima
volta hanno visto sparire dal parlamento della Polonia comunisti e
socialisti.
Stretta sui media e sulla libertà
di informazione, velleità di riforma
costituzionale in senso autoritario,
fastidio per la divisione dei poteri,
deriva autocratica da uomo solo
al comando, che caratterizzano non solo la realtà polacca ma
che si replicano ovunque e con
sempre maggiore frequenza nel
continente europeo: nell’Ungheria
di Orban, nell’Austria del vincitore annunciato Hofer, nell’Italia del
bullo di Rignano sull’Arno e delle
sue “riforme”; per non parlare poi
della Russia di Putin, un caso da
manuale.
Tornando alla Polonia, abbiamo
sotto gli occhi una rappresentazione plastica di cosa è stato il programma del papato di Wojtyla: demolire il muro, o comunque aprirci
la prima fondamentale breccia, per
riempire di soldi freschi i fascisti e
le più brutte facce reazionarie della sua patria d’origine. A partire da
quel Lech Walesa che per tanti è il
sindacalista che ha guidato il suo
paese verso la libertà, un eroe nazionale, mentre, se si ha modo di
studiare bene la storia, si capisce
che è tutt’altro. Risale a tre anni fa
– solo per fare un esempio - una
sua “democratica” dichiarazione
sugli omosessuali: “Devono sapere che sono la minoranza e che
devono accontentarsi e non ambire ai vertici. Dovrebbero sedere
nelle ultime file del parlamento,
anzi addirittura dietro ad un muro.
Non voglio che questa minoranza,
con la quale non sono d’accordo,
vada nelle strade e confonda le
idee ai miei bambini e ai miei nipoti”. Che dire: proprio un discorso
di libertà. Nemmeno Jaruzelski,
che era Jaruzelski e non propriamente un discepolo di Gandhi, si
era mai lanciato in un’intemerata
del genere.
Quel che meraviglia ed irrita è
che popoli come quello polacco,
quello ungherese, quello russo,
piangevano tanto per il “comunismo” (che pure i suoi grossi difetti
li aveva), l’hanno voluto demolire, e poi adesso si mettono nelle
mani di soggetti al cui confronto i
“comunisti” più cattivi erano degli
zuccherini. Lo dice uno che la pensa a modo suo, e che sicuramente
non è un comunista ortodosso: un
po’ di Gulag a questa gente qui
farebbe ancora bene.
Alessandro –
Cervia (Ravenna)
OPINIONI PERSONALI DI LETTRICI E LETTORI
NON MEMBRI DEL PMLI SUI TEMI SOLLEVATI
DAL PARTITO E DA “IL BOLSCEVICO”
Missili, satelliti e fucili italiani per i torturatori d’Egitto
di Antonio Mazzeo - Messina
Il 5 aprile 2016, intervenendo al
Senato sul caso di Giulio Regeni,
barbaramente torturato e ucciso al
Cairo il 25 gennaio, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promesso il massimo sforzo per far
luce sui mandanti e gli esecutori
dell’omicidio del nostro giovane
connazionale.
Per tanti analisti, il governo stavolta - sembra voler fare sul
serio. Peccato però che ad oggi
non esista atto concreto che rimetta in discussione la consolidata partnership politico-militareindustriale tra Italia ed Egitto o
quantomeno congeli i trasferimenti di sistemi d’arma pesanti e leggeri alle forze armate e di polizia
del sanguinario regime di Al-Sisi.
Al contrario, nelle stesse ore in cui
il ministro Gentiloni faceva la sua
minacciosa sortita in Parlamento,
un’azienda leader nel settore aerospaziale controllata in parte dalla holding Finmeccanica, Thales
Alenia Space, annunciava la firma
di un contratto di 600 milioni di
euro per la fornitura di un sistema
di telecomunicazione militare satellitare al governo egiziano.
Oltre al satellite co-prodotto da
Italia e Francia, Hollande si è impegnato a fornire ai militari egiziani
cacciabombardieri e unità navali.
In particolare, i cantieri francesi
DCNS consegneranno nel 2017
una corvetta tipo “Gowind 2500”
a cui seguiranno altre tre unità dello stesso tipo prodotte nei cantieri
egiziani di Alessandria tra il 2018
e il 2019. La commessa ha un va-
lore superiore al miliardo di euro,
a cui si aggiungeranno altri 3-400
milioni per la fornitura dei sistemi
da combattimento che in buona
parte saranno prodotti da imprese
controllate interamente o parzialmente dal colosso Finmeccanica.
Alla marina militare egiziana è
giunta pure una fregata multiruolo
tipo FREMM realizzata nei cantieri navali del gruppo DCNS. Anche
in questo caso molti dei sistemi
di combattimento parleranno italiano.
Nel 2013, un’altra importante
azienda del gruppo Finmeccanica,
AgustaWestland, si assicurò un
contratto di 17,3 milioni di dollari
per la manutenzione e l’assistenza
al parco elicotteri delle forze armate egiziane. A fine 2012, sem-
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pre AgustaWestland consegnò
all’Egitto due elicotteri AW139 in
configurazione ricerca e soccorso
(SAR) e trasporto truppe, armamenti e materiali. Nel dicembre
2010, anche l’azienda DRS Technologies, con sede e stabilimenti
negli Stati Uniti d’America ma interamente controllata da Finmeccanica, firmò con l’esercito Usa un
contratto di 65,7 milioni di dollari
per consegnare alle forze armate
egiziane veicoli, sistemi di sorveglianza e altre apparecchiature
elettroniche.
“L’Italia è l’unico paese
dell’Unione europea che, dalla
presa del potere del generale AlSisi, ha inviato armi utilizzabili per
la repressione interna nonostante
la sospensione delle licenze di
esportazione verso l’Egitto decretata nell’agosto del 2013 dal
Consiglio dell’Unione europea”,
denunciano la Rete italiana per il
disarmo e l’Osservatorio permanente armi leggere (Opal) di Brescia. “Nel 2014 l’Italia ha fornito
alle forze di polizia egiziane 30.000
pistole, prodotte nel bresciano e
nel 2015 di 3.661 fucili, per la maggior parte prodotti da un’azienda
in provincia di Pesaro Urbino. Nel
2012 il valore delle esportazioni di
armi italiane all’Egitto ha raggiunto
i 28 milioni di euro e ha riguardato fucili d’assalto e lanciagranate
della Beretta, munizioni della Fiocchi, blindati della Iveco di Torino e
apparecchiature specializzate per
l’addestramento militare”.
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N. 22 - 2 giugno 2016
Contro la Loi Travail
E’ guerra aperta tra
i lavoratori e il governo Valls
Proiettili di gomma e idranti per sgomberare una raffineria occupata
All’alba del 24 maggio la polizia interveniva per sgomberare gli
accessi a una raffineria e al deposito di carburante di Fos-sur-Mer,
vicino a Marsiglia, bloccati dai
lavoratori in lotta contro la Loi Travail, la versione francese del Jobs
act, fatta passare alla Camera il
12 maggio dal governo socialista
di Manuel Valls. Lavoratori e militanti della Confédération générale
du travail (Cgt) opponevano resistenza e gli agenti impiegavano
due ore per entrare negli stabilimenti usando persino le armi, caricate con proiettili di gomma.
Il sindacato, che assieme a
Force ouvrière (Fo) e alle principali organizzazioni studentesche
è impegnato a organizzare la
battaglia contro la “riforma” del
lavoro, condannava l’intervento
della polizia definito come “scene
di guerra” a Fos-sur-mer e un delegato dello stabilimento denunciava che “ci hanno sparato con
proiettili di gomma e hanno usato
gli idranti, senza nessun avvertimento” causando diversi feriti tra
i manifestanti.
La Cgt annunciava altri scioperi e nuove azioni sottolineando
come i lavoratori di tutte le otto
raffinerie sul territorio francese
erano comunque in sciopero il 24
maggio nonostante la repressione della polizia a Fos-sur-Mer. Sin
dalle prime ore della mattina una
protesta dei camionisti, ai quali in
seguito alla Loi Travail potrebbe
essere tagliata la retribuzione degli straordinari, rallentavano la circolazione attorno ai porti, raffinerie e altri centri. Fra i quali quello
di Nantes-Saint-Nazaire, il quarto
porto francese, già bloccato per
lo sciopero dei portuali; attività
ridotte dagli scioperi anche nei
porti di Le Havre o Lorient.
Secondo il ministro dei Trasporti, Slain Vidalies, al 23 maggio già più del 10% delle stazioni di servizio avevano chiuso o
esaurito i carburanti a causa del
blocco delle raffinerie. Il Medef, la
Confindustria francese, condannava la protesta dei lavoratori e
invocava l’intervento contro chi
“prende in ostaggio il paese”.
Solerte il premier Valls affermava che “lo Stato sta dando prova
di grande determinazione, tutti i
siti saranno sbloccati”. E inviava
la polizia a irrompere nello stabilimento di Fos, il segnale della
volontà del governo socialista di
voler imporre la controriforma del
lavoro contro la volontà di lavoratori e studenti che da oltre due
mesi la contestano nelle piazza
e nelle fabbriche chiedendone
il ritiro. Fino a fine maggio sono
in programma nuovi scioperi nel
trasporto ferroviario e dei controllori di volo.
Il 19 maggio, nella settima
Nantes, 17 maggio 2016. I manifestanti contro la “loi travail” fronteggiano lo schieramento della polizia
giornata di mobilitazione contro la Loi Travail erano scesi in
piazza in tutta la Francia almeno
400 mila manifestanti. La principale manifestazione si è svolta a
Parigi dove in 100 mila secondo
la Cgt sono sfilati da Place de la
Nation a Place d’Italie. Manifestazioni anche in molte altre città,
Saint-Nazaire, Le Havre, Rennes,
Bordeaux, Montpellier, ClermontFerrand, Lione. E a Nantes, dove
un corteo improvvisato al grido
di “stato d’emergenza, stato di
polizia, non ci impediranno di manifestare” sfilava nonostante che
il ministro degli Interni Bernard
Cazeneuve avesse proibito la manifestazione in base ai poteri conferitegli dallo stato di emergenza.
Lo stato di emergenza era decretato dal governo in seguito agli
attentati terroristici del novembre
scorso ma prorogato una settimana fa dal parlamento con la
scusa di garantire la “sicurezza”
durante i prossimi eventi sportivi,
europei di calcio e Tour, ovvero
fino a metà luglio quando la legge
dovrebbe aver completato l’iter
parlamentare.
Una legge che fin dalla sua
presentazione era stata bocciata in prima battuta dai giovani
che si mobilitavano nelle scuole
e università denunciando in particolare la parte che rendeva più
facili i licenziamenti e aumentava
di fatto la precarietà e il lavoro
sottopagato. Una denuncia fatta
propria dalle principali organizzazioni sindacali che mettevano
in evidenza anche l’attacco ai
diritti dei lavoratori attuato con la
prevalenza assegnata alla contrattazione aziendale su quella
nazionale o di settore. Un passaggio già perseguito dal padronato col supporto dei governi di
destra come quello segnato dalla
legge Fillon del 2004 che stabiliva
la possibilità di accordi aziendali
stipulati in deroga a quanto previsto da quelli nazionali. Ora col
governo socialista il Medef punta
a far prevalere la contrattazione
aziendale, quella tra l’altro dove
ha maggior potere.
Nel 2006 il movimento di protesta di lavoratori e studenti contro il tentativo di liberalizzare il
mercato del lavoro col “contratto
di primo impiego” da parte dell’allora primo ministro Dominique de
Villepin costrinse l’esecutivo a
fare marcia indietro nonostante
la legge fosse stata approvata
dal parlamento e pubblicata sul
Journal Officiel. Lo stesso risultato al quale punta la contestazione
di piazza alla Loi Travail con le
iniziative in programma nel mese
di maggio, prima della giornata di
mobilitazione generale del 14 giugno quando la legge comincerà
ad essere discussa al Senato.
L’Italia di Renzi in fondo alla classifica
sulla libertà di stampa
In una lista di 180 Paesi di tutti
i continenti l’Italia di Renzi si colloca al 77° posto per la libertà di
stampa. E quel che è ancor più significativo è che nell’ultimo anno
è retrocessa di ben 4 posizioni,
essendo risultata 73ª nel 2015.
Lo si ricava dalla classifica stilata ogni anno da Reporters sans
frontières, l’organizzazione con
sede a Parigi che dal 2002 monitora la situazione della libertà
di stampa in tutto il mondo. Nella
cartina geografica pubblicata sul
sito dell’ong francese, in cui i vari
Paesi sono distinti per colore in
base alla libertà di stampa, in una
gamma che va dal bianco (situazione buona) al nero (situazione
molto grave), l’Italia è colorata di
marrone (problemi notevoli), unico Paese dell’Europa occidentale
ad avere questo giudizio, che la
accomuna ai Paesi balcanici e
ad alcuni Paesi dell’Est europeo
come Ukraina e Ungheria. Nel
vecchio continente peggio di noi
stanno solo l’Albania, la Russia di
Putin e la Turchia di Erdogan.
Né le cose vanno meglio su
scala mondiale, dal momento che
siamo preceduti da Paesi come la
Moldavia, il Nicaragua, l’Armenia
e il Lesotho, mentre una distanza
abissale ci separa dai Paesi dove
la libertà di stampa è più tutelata, come Finlandia, Paesi Bassi e
Norvegia.
Pur in un quadro mondiale
complessivo che si è andato notevolmente deteriorando in questi
anni, tanto che l’indice che misura
la libertà di stampa è peggiorato
del 3,71% rispetto all’anno scorso
ed è addirittura crollato del 13,6%
dal 2013, per quanto riguarda
l’Italia Rfs rileva che nel nostro
Paese c’è un “livello di violenza
contro i giornalisti (intimidazioni
verbali o fisiche, minacce di morte ecc.) assai inquietante”. E che
“tra i più colpiti sono i giornalisti
che si occupano della corruzione
e del crimine organizzato”, tanto
che ci sono dai 30 ai 50 giornalisti
sotto scorta della polizia per aver
ricevuto minacce di morte. L’ong
francese sottolinea a questo proposito l’attacco alla stampa portato dalla giustizia vaticana nel
contesto degli scandali Vatileaks
e Vatileaks 2, “con l’incriminazione di due giornalisti che rischiano
8 anni di carcere per aver scritto
libri sulla corruzione e gli intrighi
dentro la Santa sede”, ai quali Rsf
dà tutta la sua solidarietà.
Anche se la retrocessione di 4
posizioni quest’anno non è clamorosa come quella dell’anno
scorso, quando l’Italia precipitò
di ben 24 posizioni rispetto al
2014, la tendenza è chiarissima
e inoppugnabile: nei due anni del
governo Renzi i giornalisti italiani
non sono mai stati così intimiditi, ridotti al silenzio o asserviti
direttamente al potere politico.
Il rapporto di Rsf sottolinea in-
fatti l”anomalia tutta italiana del
conflitto di interessi nei media”,
in una lunga e dettagliata analisi
sul sistema radiotelevisivo dominato dal duopolio Rai-Mediaset,
per quasi un ventennio rimasto
tutto nelle mani di Berlusconi. Un
sistema, aggiungiamo noi, che
oggi vede il prepotente ingresso del nuovo duce Renzi, che si
è impadronito completamente
della Rai trasformandola in una
sua personale macchina propagandistica e ha allungato le sue
grinfie su tutti i gruppi editoriali,
da “La Repubblica” al “Corriere
della Sera”.
Non c’è da meravigliarsi, allora, se dopo vent’anni di berlusconismo e due di renzismo l’Italia
è precipitata così in basso nella
classifica della libertà di stampa.
Non ne è sorpresa neanche la Federazione nazionale della stampa,
che in una nota del suo segretario generale, Raffaele Lorusso, a
commento della classifica di Rsf,
ricorda che da noi “vige ancora
l’articolo 595 del codice penale
che prevede il carcere per i giornalisti”, e che “si va dall’assenza
di normative antitrust ai meccanismi di nomina della governance
dell’ente radiotelevisivo di Stato,
che resta legato all’esecutivo in
carica”.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
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Editore: PMLI
chiuso il 25/5/2016
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
esteri / il bolscevico 15
N. 22 - 2 giugno 2016
La “sinistra” borghese venezuelana
rischiaAnche
di per
perdere
il
potere
i suoi troppi errori
Il Tribunale supremo di
giustizia (Tsj) del Venezuela annullava il 20 maggio la
decisione espressa a larga
maggioranza dalll’Assemblea
nazionale che aveva respinto
il decreto con cui il presidente Nicolás Maduro assumeva i
pieni poteri e dichiarava in tutto
il paese lo “stato di eccezione
e di emergenza economica”.
Il provvedimento presidenziale era ritenuto valido e Maduro poteva segnare un successo nel braccio di ferro contro le
forze di opposizione, raggruppate attorno alla Mesa de Unidad democratica (Mud), in corso dalle elezioni del dicembre
scorso quando conquistarono
la maggioranza in parlamento.
Il penultimo atto dello scontro politico nel quale la “sinistra” borghese venezuelana
rischia di perdere il potere conquistato nel 1999 da Chavez
era stata la bocciatura da parte del governo del referendum
per la revoca del presidente
Maduro, sulla quale il Mud ha
già raccolto oltre due milioni di
firme e punta a raccoglierne altri 5 milioni entro la fine di giu-
gno.
Le condizioni di vita delle
masse popolari in Venezuela
sono diventate gravissime per
la mancanza di cibo e beni di
prima necessità accompagnati dal taglio della distribuzione
di energia elettrica. Lo stato
di emergenza consente al governo di impiegare l’esercito
non solo nelle piazze ma anche nelle fabbriche chiuse per
la mancanza di materie prime,
non acquistate per il deprezzamento della moneta nazionale
o per sabotaggio, come in alcuni casi denunciati dal presidente Maduro.
Il 15 maggio Maduro aveva presentato il ricorso allo
stato di emergenza come necessario per prendere “tutte
le misure per recuperare l’apparato produttivo paralizzato
dalla borghesia. Chiunque voglia fermare la produzione per
sabotare il Paese dovrà andarsene e chi non lo fa va ammanettato e inviato alla prigione”.
Nel bocciare il voto contrario
del parlamento, il Tsj ribadiva
che “la misura approvata dal
presidente risponde alla ne-
cessità di proteggere il popolo e le istituzioni oggetto di minacce esterne e interne che
portano a destabilizzare la vita
e l’ordine sociale nel paese”.
Il Venezuela è il quinto produttore di petrolio al mondo e il
Paese con le più ricche riserve petrolifere, eppure è sull’orlo del fallimento dovuto in parte
al crollo del prezzo del petrolio ma anche per una serie di
errori del governo della “sinistra” borghese nella gestione
dell’economia, per non parlare del permanere di una dilagante corruzione. I dati del
paesi indicano una pesante
recessione economica con la
caduta di quasi del 6% del pil
nel 2015 e mentre l’inflazione
schizzava al 700% moltiplicando l’aumento dei prezzi il salario medio restava sui 15 dollari
mensili.
Maduro accusava le opposizioni di essere il braccio esecutivo nel paese delle ingerenze degli Stati Uniti impegnati
in Venezuela, come in Brasile, a realizzare “un golpe” strisciante col l’obiettivo di “porre
fine alle correnti del progressi-
smo in America Latina”. Dopo
quello già realizzato in Argentina con l’elezione del liberista
Mauricio Macri alla Casa Rosada. Di sicuro c’è che l’imperialismo americano anche
sotto la guida di Obama ha
cercato di recuperare spazio e
consensi nel continente sudamericano per rispondere all’offensiva economica della concorrente superpotenza cinese.
Il sucessore di Hugo
Chávez rischia di perdere il
potere conquistato dal suo predecessore nel 1999. Ha perso
la maggioranza di consensi nel
paese come registrato alle elezioni legislative del 6 dicembre
2015 quando l’opposizione riunita del Mud doveva conquistava 112 seggi su 167; solo
55 seggi andavano al Partito
socialista unito del Venezuela
(Psuv), il partito del presidente.
Una perdita di consensi pesante da parte del Psuv, certo
dovuta alle difficoltà create al
governo dalla guerra economica lanciata dalla borghesia che
si riconosce nell’opposizione e
dalle manovre dirette da Washington ma anche agli errori
Mentre 10 giornalisti palestinesi sono incarcerati in Israele
Raid aereo israeliano su Gaza
Fra il 4 e il 5 maggio l’aviazione israeliana ha comppiuto
una serie di raid sulla striscia
di Gaza che hanno causato almeno un morto, una donna, e
quattro feriti, tra i quali tre bambini. Bersagli dei raid sionisti
sono stati l’area Abu al-Rus,
nella parte orientale di Rafah,
e quartieri periferici di Khan
Yunis e della città di Gaza.
Questi attacchi sono la rappresaglia decisa del regime sionista di Tel Aviv ai colpi di mortaio sparati negli stessi giorni dai
palestinesi contro le sue truppe schierate al confine.
Ai primi del mese di maggio
blindati e bulldozer dell’esercito di occupazione sionista hanno dato il via a una nuova serie di incursioni all’interno della
Striscia per tenere “pulita” una
fascia di territorio lungo tutta
le recinzione del lager di Gaza
per togliere qualsisi riparo a
possibili attaccanti. I buldozer
spianano il terreno e i blindati sparano per tenere alla larga i palestinesi che protestano come è successo presso
Shujayea e nella zona di Beit
Hanun.
I raid aerei e le incursioni via
terra sono ritornate a essere
una costante nella vita dei palestinesi della striscia di Gaza,
una condizione di vita “cancellata” dalle normali cronache
dei mass media imperialisti
che coprono col loro silenzio
anche lo sviluppo dell’occupazione sionista dei territori palestinesi con l’avanzare incessante della colonizzazione e la
confisca di terre e risorse naturali in Cirgiordania. Mentre
i confini della striscia di Gaza
vengono sempre più spesso
chiusi sul versante israeliano e
sono del tutto bloccati su quello egiziano dove il regime del
generale golpista Al Sisi apre
il valico di Rafah col contagocce, una volta ogni diversi mesi,
in rappresaglia contro il governo di Hamas, l’organizzazione
nata da una costola dei Fratelli Musulmani cacciati al Cairo
dal golpe di tre anni fa.
La repressione della resistenza all’occupazione per il
regime sionista del boia Netanyahu passa anche dall’incarcerazione, spesso senza processo, di giornalisti palestinesi. Il
regime di Tel Aviv gareggia col
vicino alleato imperialista, il governo di Ankara nello sbattere
in galera i giornalisti e tentare
di mettere a tacere anche quella voce contraria.
Nel corso degli ultimi sei
mesi i soldati di Tel Aviv hanno
arrestato 19 giornalisti palestinesi, dieci sono ancora dietro
le sbarre e tra questi sei senza
processo, a tempo indetermi-
nato. Uno dei casi noti è quello di un corrispondente di una
tv saudita arrestato a fine novembre e mai processato.
Secondo una denuncia del
Centro studi per Prigionieri
palestinesi, solo nello scorso
mese di aprile le forze di occupazione israeliana hanno arrestato 490 palestinesi, tra cui 65
minori, 27 donne e 21 anziani.
Tra gli arrestati una ventina di
pescatori di Gaza, che per lavorare superano l’illegale limite di distanza da terra imposto
dai sionisti, e una decina tra
feriti e malati sempre di Gaza
che sono stati bloccati al valico di Beit Hanoun/Erez mentre tentavano di andare a farsi
curare a Tel Aviv o in Cisgiordania. I tribunali sionisti hanno
emesso ben 186 ordini di detenzione amministrativa contro
detenuti vecchi e nuovi senza
accuse o prove, quindi illegali.
Elettrice ed elettore di sinistra!
ASTIENITI,
considerandolo un
voto dato al PMLI e
al socialismo
dell’esecutivo di Caracas.
Stando solo a giudizi benevoli di collaboratori del governo
Maduro, la “rivoluzione” chavista non ha modificato la situazione del paese di dipendenza quasi esclusiva dal petrolio
e quando il prezzo del greggio
è crollato ne ha pagato le conseguenze; coi dollari del petrolio ha coperto le esigenze del
mercato interno importando
persino beni di prima necessità piuttosto che puntare sullo
sviluppo dell’agricoltura nazionale. Ha lasciato in mani private il controllo di buona parte del
sistema bancario che ha potuto giocare a vantaggio dell’opposizione di destra quando ha
voluto; lo stesso dicasi per la
grande distribuzione dei generi
alimentari, rimasta in mano ai
gruppi privati protagonisti della
guerra economica al governo.
D’altra parte è stata evidente la
lotta quasi inesistente del governo contro la corruzione dilagante e l’impunità dei funzionari pubblici.
Esemplare la vicenda del
febbraio scorso quando Maduro aveva chiuso la catena sta-
tale Bicentenario che si occupava delle forniture alimentari
su larga scala ai supermercati; funzionari pubblici corrotti risultavano implicati nella sparizione di prodotti di consumo
dagli scaffali e nella loro vendita illegale al mercato nero e
a prezzi esorbitanti. Un ravvedimento che non copre i tanti
errori del governo della “sinistra” borghese venezuelana e
che conferma come la “rivoluzione bolivariana” avviata da
Chavez e il suo “socialismo del
siglo XXI” altro non sono che
una rimasticatura di revisionismo destinati al fallimento.
Dopo la sconfitta elettorale del dicembre scorso Maduro sostenne che “ha vinto la
guerra economica, il capitalismo selvaggio e parassitario,
e ora si impone un piano controrivoluzionario per smantellare lo stato democratico di giustizia e diritto. Ma noi, con la
costituzione in mano, difenderemo il nostro popolo”. Il Mud,
con la costituzione venezuelana in mano raccoglie le firme
per destiture Maduro.
Il nuovo zar Putin
istituisce un
esercito
personale
Il compito principale della Guardia
nazionale è reprimere
le manifestazioni non autorizzate
Il presidente russo Vladimir Putin ha personalmente
annunciato lo scorso 5 aprile
la creazione di un nuovo organo di sicurezza, la Guardia nazionale, alle sue dirette dipendenze col compito di
partecipare al mantenimento della sicurezza pubblica
e delle emergenze, oltre al
contrasto del terrorismo internazionale, del narcotraffico e della criminalità organizzata; parteciperà alla difesa
territoriale della Federazione,
alla protezione di siti e cargo
importanti e insieme all’Fsb,
i servizi segreti, controllerà
le frontiere della Federazione russa. Ma il suo compito
principale, come ha precisato il portavoce del Cremlino
Dmitri Peskov, è reprimere
le manifestazioni di protesta
non autorizzate.
Il nuovo zar Putin, dopo un
incontro con il ministro degli
Interni, Vladimir Kolokoltsev,
e altri responsabili della sicurezza nazionale ha spiegato
che la nuova formazione nascerà dalla fusione delle truppe dipendenti dal ministero
degli Interni, quelle dedicate
agli interventi in caso di calamità e grandi rischi, con gli
Omon, le squadre di polizia
anti-sommosa e le Sobor, le
squadre di intervento rapido.
Nella struttura del ministero degli Interni saranno invece inglobate le forze dell’agenzia per la lotta alla droga,
Fskn, e quelle del Servizio
immigrazione, Fms.
La Guardia nazionale, guidata dall’ex capo della guardia presidenziale e vice mi-
nistro degli Interni Viktor
Zolotov, sarà composta inizialmente da almeno 430
mila uomini, i 200 mila del
ministero degli Interni e i 230
mila soldati delle unità speciali Omon e Sobor. Le forze degli Interni, impegnate
attualmente in “un ruolo importante nel mantenimento
dell’ordine e del rispetto della
legge nel Nord del Caucaso”,
portano in dotazione i loro
mezzi corazzati, aerei, unità
navali e genieri.
Nel testo della legge per
la costituzione della nuova
forza che il governo russo
ha depositato in parlamento
si afferma che i componenti
della Guardia nazionale potranno aprire il fuoco a vista
e arrestare presunti colpevoli di reati, “ricorrere alla forza fisica, a strumenti speciali
quali manganelli o lacrimogeni o alle armi senza preavviso
se l’attesa a farlo costituisce
una minaccia immediata per
i russi o per gli agenti stessi”. Potranno usare “mezzi
speciali”, dai cannoni ad acqua ai mezzi corazzati, contro proteste di massa o altre
“azioni illegali” che disturbano il traffico o il normale svolgimento della vita quotidiana.
Potranno entrare nelle abitazioni private, fermare sospetti o verificare documenti o
veicoli, come peraltro già agiscono contro il “terrorismo”
nella regione del Caucaso le
Forze del ministero degli Interni. La Guardia nazionale
sarà di fatto l’esercito personale di Putin contro oppositori e proteste di piazza.
Perché i comuni siano governati
dal popolo e al servizio del popolo
ci vuole il socialismo
NON VOTARE
I PARTITI
BORGHESI AL
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CAPITALISMO
Delegittimiamo
le istituzioni
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borghesi
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