Ultimo numero de Il Bolscevico in formato pdf

Transcript

Ultimo numero de Il Bolscevico in formato pdf
Nuova serie - Anno XLI - N. 7 - 23 febbraio 2017
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Appoggiando il
referendum della Cgil
lottiamo per abolire
i voucher e il precariato
Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI
PAG. 2
Il governo dà la stella di “sceriffo” ai sindaci
Decreti antimigranti
Gentiloni-Minniti-Orlando
Facilitate le espulsioni, i richiedenti asilo senza diritti e costretti a lavorare gratis
PAG. 5
Il precario suicida: “Non posso passare la vita
a combattere solo per sopravvivere”
Un suicidio per
colpa dei governi
Renzi
e
Gentiloni
Poletti dimettiti. Giovani ribellatevi
e conquistate il futuro
9 Aprile
1977-2017
PMLI
40 ANNI
Tenendo alta la bandiera del
marxismo-leninismo-pensiero di Mao
e dritta la barra verso il socialismo
e la conquista del potere politico da
parte del proletariato
IL PMLI FESTEGGIA
I SUOI 40 ANNI
AL SERVIZIO DEL PROLETARIATO
E CONTRO IL CAPITALISMO E
I SUOI GOVERNI
Firenze 9 Aprile 2017 ore 10
Sala ex Leopoldine - Piazza Tasso, 7
L’INIZIATIVA È APERTA AL PUBBLICO
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Comitato centrale
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it
Contro il raduno dei fascisti e xenofobi
Genova antifascista
in piazza
La polizia di Gentiloni e Minniti carica gli antifascisti
PAG. 4
PAG. 4
Non si ferma il “genocidio bianco”
nell’hinterland partenopeo
Viva le studentesse e gli studenti in lotta!
Battaglia a Bologna contro
i tornelli all’Università
La dirigenza Unibo chiama la celere che fa irruzione nella biblioteca universitaria. Responsabilità
del sindaco PD Merola. Gli studenti: “Dalla zona universitaria non ce ne andremo mai”
Solidarietà agli studenti dalla Commissione giovani del CC del PMLI
PAG. 3
Comunicato dell’Organizzazione di Modena del PMLI
La “giornata del ricordo”
è un oltraggio ai valori
della Resistenza e del
socialismo
PAG. 12
Morti 8 bimbi in 20
giorni nella “Terra
dei fuochi”
Le responsabilità della giunta regionale De Luca
richiamano quelle locali di Bassolino e Caldoro e quelle
nazionali di Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni
PAG. 8
Aperte le trattative per la costruzione dello stadio della Roma
La Raggi cede ai palazzinari e cementificatori
rimangiandosi le sue promesse elettorali
Un’opera faraonica costosa per la collettività, urbanisticamente mostruosa e a rischio idrogeologico
PAG. 7
Volantinaggio a Napoli Militanti e simpatizzanti del PMLI
lavoriamo uniti per applicare le
contro il governo
indicazioni di Scuderi sul Partito
Gentiloni
di Antonio Leparulo
PAG. 11
PAG. 11
2 il bolscevico / lottare per abolire i voucher e il precariato
N. 7 - 23 febbraio 2017
Appoggiando il referendum
della Cgil lottiamo per abolire
i voucher e il precariato
Documento della Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI
Con la decisione della corte costituzionale che all’inizio
di gennaio ha dato il via libera
al referendum promosso dalla CGIL per l’abrogazione dei
voucher, ritorna prepotentemente sulla scena politica la
messa in discussione di una
delle forme oramai più diffuse
e odiate di sfruttamento del
lavoro, in particolare giovanile: il voucher.
Da regola
del lavoro
“accessorio”
a piaga sociale
La storia dei voucher, già
ampiamente
documentata
dal PMLI e da “Il Bolscevico”
attraverso numerosi articoli e
reportage è la storia della legalizzazione del lavoro nero in
Italia. Introdotti nel 2003 per
regolare le attività lavorative
di tipo accessorio e di natura meramente occasionale,
i voucher sono rimasti inapplicati fino al 2008, quando il
governo Prodi li lanciò in via
“sperimentale” in agricoltura
e in particolare nella vendemmia. Il primo anno furono venduti 500mila voucher, nel 2011
si erano raggiunti i 15 milioni,
nel 2015 si sono superati i 115
milioni di voucher.
Nel periodo compreso tra
gennaio e ottobre 2016 sono
stati venduti 121,5 milioni di
voucher del valore nominale
di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi dieci mesi
del 2015, pari al 32,3%. Lo
comunica l’Inps, sottolineando che nei primi dieci mesi del
2015 la crescita dell’utilizzo
dei voucher, rispetto al 2014,
era stata pari al 67,6%. Una
cifra che nel 2016 ha raggiunto la cifra record di 145 milioni
di buoni-lavoro venduti con
un aumento previsionale del
26,3% rispetto al 2015.
A livello nazionale nel 2016
il 64% dei buoni-lavoro sono
stati venduti nel Nord (93,2
milioni), e il restante 36% tra
Centro (26,3 milioni) e Mezzogiorno (25,8 milioni di voucher).
A livello regionale, le prime
5 regioni col numero più alto
di voucher venduti nel 2016
sono: la Lombardia (27 milioni), il Veneto (18,5 milioni),
l’Emilia Romagna (18,2 milioni), Piemonte (11,9 milioni)
e la Toscana (10,6 milioni). Si
aggiudicano il primato per la
vendita di voucher nel 2016
le province di: Milano (9,8 milioni), seguita da Torino (5,6
milioni), Roma (5,1 milioni),
Brescia (4,2 milioni), Bologna
(3,9 milioni).
Con la “riforma” Fornero
del lavoro del 2012 il campo
di applicazione dei voucher si
è esteso a settori come l’industria, l’edilizia, i trasporti.
Questi ultimi hanno venduto il
50% dei voucher nel 2016 (73
milioni). Seguono turismo (21
milioni), commercio (18,4 milioni) e servizi (14,9 milioni).
Gran parte dei lavoratori pagati a voucher (l’82%
secondo l’Istat) ha un unico
committente, a dimostrazione che non si tratta di lavori
semplicemente stagionali ma
di veri e propri “contratti”. E il
turn-over è quasi al 70%.
Un’arma
di sfruttamento
nelle mani
dei capitalisti
Le cifre esorbitanti qui riportate dimostrano dati alla
mano di come il fenomeno
voucher sia ormai una piaga
sociale che condanna e nega
a milioni di lavoratrici e lavoratori in larga parte giovani la
possibilità di avere un lavoro
stabile e una sicurezza per il
futuro.
Per il padronato italiano
impegnato a salvaguardare
i propri astronomici profitti
nella grave crisi del capitalismo, i voucher costituiscono
una forma nuova di sfruttamento del lavoro a bassissimi
costi e, insieme, di erosione
dei diritti conquistati dalle
precedenti generazioni di lavoratori attraverso la lotta ed
il sangue. Istituendoli e allargandoli, i governi borghesi
succedutisi nello scorso decennio hanno dimostrato di
curare unicamente gli affari
del grande capitale anziché
gli interessi delle masse lavoratrici. È lampante che l’avvio
sia venuto proprio dal “centro-sinistra” borghese.
I voucher quindi altro non
sono che la legalizzazione
del lavoro nero, scavalcano
qualsiasi forma di contratto
sindacale dando ai padroni
il potere illimitato di negare
ogni tutela ai lavoratori, di
mantenere bassi i salari e di
prevenire le lotte visto che
hanno la possibilità di licenziare a piacimento.
Una situazione, portata
alle estreme conseguenze
da tutti i governi che si sono
succeduti dal 2003 ad oggi,
ma è in particolare coi governi cosiddetti di “centro
sinistra” (Prodi e Renzi) che il
sistema voucher è decollato.
Ora, Gentiloni che ha preso il
posto del nuovo duce Renzi,
e ne porta avanti le politiche
antipopolari antioperaie e
guerrafondaie ha annunciato
a fine 2016 una serie di correzioni riguardo le “riforme” del
Jobs Act e i voucher, in particolare per quest’ultimi ha millantato promesse di riduzione
dei tetti annuali per l’utilizzo
e di aumento dei controlli e
sanzioni nei confronti dei padroni che utilizzino in maniera
illegale i buoni lavoro.
Una sparata puramente
propagandistica con la quale
Gentiloni tenta di ammorbidire una situazione ostica per
voucher e governo, soprattutto dopo che la corte costituzionale ha dato il via libera
ai referendum.
Dare forza al
referendum per
l’abrogazione
dei voucher nella
strategia per
l’abolizione del
precariato
Il PMLI che è sempre stato
in prima linea nella lotta contro i voucher lancia oggi un
nuovo appello a intraprendere
una lotta intransigente contro
i voucher fino alla loro abrogazione. Il prossimo referendum
è un’occasione imperdibile da
sfruttare per dare nuovo slancio e portare possibilmente
alla vittoria questa battaglia e
i marxisti-leninisti non faranno
mancare la loro partecipazione e appoggio.
Una lotta che deve essere
portata avanti con tutti i mezzi
necessari, un passo importante sarà la creazione dei
comitati referendari su tutto il
territorio nazionale in vista del
referendum per l’abrogazione dei voucher, comitati che
dovranno vedere la partecipazione del più ampio fronte
unito possibile di tutte le forze
politiche e sociali in campo.
Auspichiamo anche che
dopo il referendum, indipendentemente dall’esito, questi
comitati potranno diventare un punto di riferimento e
di coordinamento di massa
per portare avanti la lotta per
abolire il precariato nella sua
interezza.
Le lavoratrici ed i lavoratori
più coscienti e combattivi che
non sono sottoposti al ricatto
del voucher e godono dei contratti a tempo indeterminato
devono impegnarsi su questo
fronte di lotta unitaria. Infatti
molto spesso chi è vittima dei
voucher non ha la possibilità
di iscriversi ad organizzazioni
sindacali che tutelino i suoi
diritti, pena la perdita di quel
poco lavoro dato dal padrone. La solidarietà di classe
è fondamentale in questa
battaglia: i lavoratori devono
essere in prima linea nel far
pressione sui sindacati, in
particolare all’interno della
CGIL affinché facciano propria questa battaglia e non
la mantengano su un piano
prettamente referendario e
riformistico ma la spostino
su un piano di lotta di classe.
Ovviamente questa battaglia non è la fine della guerra,
ma sarebbe una importante
vittoria sul fronte dei diritti
dei lavoratori da inserire nella
lotta più generale per abolire
l’intero sistema del precariato. Che, come abbiamo detto, è insieme compressione
dei diritti dei lavoratori e utile strumento nelle mani della
borghesia per soffocarne le
lotte. Visto però che ormai il
precariato è endemico e parte
integrante del sistema economico capitalista, se non si
abbatte quest’ultimo, difficilmente si potrà eliminare il
precariato.
Lottiamo tutti uniti e sviluppiamo la lotta di classe e
di massa per l’abolizione dei
voucher!
Sosteniamo la campagna
referendaria promossa dalla
CGIL per abrogare i voucher!
Lottiamo per abolire il precariato e conquistare il lavoro
stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutte le lavoratrici e
lavoratori!
La Commissione giovani
del Comitato centrale
del PMLI
Firenze, 13 febbraio 2017
N. 7 - 23 febbraio 2017
solidarietà alle studentesse e agli studenti di bologna / il bolscevico 3
No ai manganelli in università! Solidarietà
alle studentesse e agli studenti di Bologna
Il Partito marxista-leninista italiano condanna senza
appello la violenta e vigliacca repressione poliziesca di
stampo fascista che si è abbattuta sulle studentesse e
sugli studenti che occupavano la biblioteca “36” dell’Università di Bologna, per protestare contro l’installazione dei
“tornelli” che restringerebbe-
ro l’accesso alla biblioteca
ai soli possessori del badge
universitario.
Con questa repressione, le
autorità accademiche con alla
testa il rettore Ubertini, senza
tralasciare le gravi responsabilità dei governi comunale e
nazionale, hanno voluto dire
che l’università neoliberale,
aziendalizzata e chiusa è in-
toccabile e che alla protesta
e alla rivendicazione di diritti
e servizi si risponderà con il
manganello. Questa è ormai
la regola del regime neofascista e piduista vigente.
Ai problemi di diffusa tossicodipendenza e piccola criminalità dell’area si risponde
aprendosi non chiudendosi,
rivitalizzando la zona con ini-
ziative culturali, artistiche e
ricreative e combattendo la
povertà dilagante che, insieme allo smantellamento del
welfare, è alla radice di tali
problemi.
Noi incoraggiamo le studentesse e gli studenti
dell’Università di Bologna ad
andare avanti nelle loro giuste battaglie, a rivendicare ciò
che gli spetta (dalla mensa a
prezzi popolari ad un vero
diritto allo studio), senza lasciarsi intimidire dalla repressione. Al contempo invitiamo
i collettivi a ragionare sul fatto che ciò è possibile solo
allargando la mobilitazione,
lavorando pazientemente per
convincere e coinvolgere le
masse studentesche. Ora più
che mai è urgente mettere in
campo una grande mobilitazione per l’università pubblica, gratuita e governata dalle
studentesse e dagli studenti.
Costruendovi innanzitutto il
governo alternativo studentesco.
La Commissione giovani
del CC del PMLI
10 febbraio 2017
Viva le studentesse e gli studenti in lotta!
Battaglia a Bologna contro
i tornelli all’Universita’
La dirigenza Unibo chiama la celere che fa irruzione nelle biblioteca universitaria. Responsabilità
del sindaco PD Merola. Gli studenti: “Dalla zona universitaria non ce ne andremo mai”
Solidarietà agli studenti dalla Commissione giovani del CC del PMLI
‡‡Dal nostro corrispondente
dell’Emilia-Romagna
Le studentesse e gli studenti bolognesi stanno combattendo una grande battaglia
di piazza contro le imposizioni
del preside Francesco Ubertini e la repressione delle “forze
dell’ordine” guidate dal questore Ignazio Coccia sotto la
direzione della giunta comunale targata PD del sindaco Virginio Merola.
Le proteste sono nate
dall’installazione
decisa
dall’università di Bologna, per
volere in primis del preside
Ubertini, di tornelli all’ingresso
della biblioteca di Discipline
umanistiche denominata “36”
in riferimento al numero civico
in cui è ubicata in via Zamboni, giustificata col pretesto del
“degrado” in cui verserebbe la
zona e della necessità di garantire l’accesso alla biblioteca
ai soli possessori del badge
universitario.
Gli studenti denunciano che
in realtà Unibo (la dirigenza universitaria), che già da tempo ha
messo in campo provvedimenti
per limitare il diritto allo studio
e rendere l’università una sorta
di caserma, vuole porre fine a
quel luogo di socialità e aggregazione antifascista e antirazzista che è divenuto il “36”, “uno
dei pochi spazi rimasti liberi,
accessibili e attraversati da migliaia di studenti ogni giorno.
Uno spazio di studio, incontro,
aggregazione e socialità che
vogliamo sempre più aperto e
vissuto”.
I collettivi universitari, tra cui
il CUA (Collettivo Universitario
autonomo), hanno risposto
all’installazione dei tornelli con
una petizione che ha raccolto oltre 600 firme in appena 2
giorni consegnata il 2 febbraio
alla prorettrice Trombini che si
era assunta la responsabilità di
agire di conseguenza e di far
rimuovere i tornelli ma poi si
era rimangiata la parola.
Per questo le studentesse e
gli studenti hanno continuato
la mobilitazione forzando più
volte i tornelli e garantendo il
libero e pubblico accesso alla
biblioteca. In risposta le “forze
L’irruzione della Celere dentro la biblioteca universitaria occupata
da giorni dalle studentesse e dagli studenti contro l’installazione dei
tornelli
La polizia manganella gli studenti che presidiano l’entrata della bibilioteca “36” dell’università di Bologna
dell’ordine” hanno ripetutamente tentato di forzare l’occupazione del “36” e denunciato una ventina di studenti.
Dopo quasi 20 giorni di mobilitazione con presidi, assemblee, petizioni, nel pomeriggio
dell’8 febbraio gli studenti
hanno restituito la biblioteca
alle masse smontando definitivamente i tornelli costati “decine di migliaia di euro spesi
contro la volontà degli studenti
e delle studentesse, decine di
migliaia di euro che si devono
spendere, sì, ma per rendere
più economici i pasti in mensa
ad esempio, o per comprare
nuovi libri che tutti possano
consultare, o ancora per garantire nuove borse di studio
o agevolazioni sugli affitti”, denunciando come “Ubertini vorrebbe radere al suolo questa
comunità per importare modelli di socialità e studio che
ci ricordano troppo da vicino
le grandi aziende, le fiere del
lavoro gratuito stile Expo e tutto ciò che all’incontro oppone
l’individuazione, la solitudine e
l’egoismo. Non lo accetteremo
mai”.
Ma la dirigenza Unibo ha
imposto una vera e propria
“serrata” barricando le porte
del “36”, poi smontate dagli
studenti che ne hanno proclamato l’autogestione, e successivamente ha chiesto l’intervento della celere, accorsa
prontamente il giorno seguente
su ordine del questore, che ha
caricato addirittura all’interno
della biblioteca picchiando selvaggiamente chi vi si trovasse
all’interno per studiare.
Anche all’esterno è scoppiata la battaglia tra i picchiatori in
divisa e le centinaia di studenti
accorsi per protestare contro
lo sgombero, battaglia che si
è svolta nelle vie e piazze limitrofe e sostenuta con coraggio
dalle studentesse e dagli studenti mentre le “forze dell’ordine” non solo provvedevano
a caricare ripetutamente ma
si accanivano anche contro
singoli studenti che cercavano
riparo dalla furia fascista della
polizia che li rincorreva per la
strade.
Il giorno seguente un partecipato e combattivo corteo
ha sfilato contro la vigliacca
irruzione nella biblioteca a colpi di manganello, per l’ennesima chiusura della biblioteca
e per chiedere le dimissioni
del questore Ignazio Coccia
e anche del rettore Ubertini,
“perché colpevole e responsabile di aver voluto più volte
che la celere intervenisse contro le istanze studentesche”,
promettendo che “dalla zona
universitaria non ce ne andremo mai. Aggredire studenti e
studentesse che studiano è
scellerato, e adesso è tempo
del contrattacco! Chi è privo di
tutto, di diritti e garanzie, è disposto a dare battaglia fino alla
fine pur di prendersi e tenersi
tutto ciò che da una vita gli è
negato”.
Anche in questa occasione
si è ripetuta la repressione neofascista della polizia che prima ha impedito l’accesso del
corteo in via Zamboni e poi ha
caricato gli studenti che provavano ad avanzare, ma che anche in questo caso non si sono
fatti intimorire e hanno dato
battaglia, cambiando più volte
il percorso del corteo e bloccando il traffico in vari punti.
Sabato 11 si è svolta l’ennesima manifestazione di una
mobilitazione che non accenna
a fermarsi perché non è accettabile che ad una biblioteca
pubblica sia impedito l’accesso libero delle masse e perché
non è accettabile che alle giuste istanze degli studenti si risponda sempre col manganello, in perfetto stile fascista.
Il corteo, che era aperto dallo striscione “Contro la
Bologna della repressione e
dell’austerità. Apriamo spazi
di autogestione, conflitto e libertà”, è partito da piazza Verdi per sfilare nel centro città :
“Siamo la Bologna che resiste
quella dei picchetti, quella sui
tetti delle case occupate, degli
spazi autogestiti come Xm24,
Atlantide, Crash e tutti quegli
spazi che vivono di autogestio-
ne, mense popolari e progetti
autorganizzati”, hanno detto
chiaramente i collettivi respingendo il tentativo di criminalizzazione messo in campo dalla
Procura ed espresso solidarietà
a Sara e Orlando, i due studenti
finiti ai domiciliari per gli scontri
del giorno precedente. A loro e
a diversi esponenti dei collettivi
il procuratore di Bologna Giuseppe Amato contesta il reato
di “associazione a delinquere”.
Nel corso della manifestazione, è stato rilanciato l’appuntamento per l’assemblea
studentesca in programma
martedì 14 in via Zamboni 38,
e lanciato un appello perché
giovedì 16 diventi una giornata
nella quale aprire “spazi di mobilitazione in tutte le università
d’Italia, in solidarietà con gli
studenti e le studentesse che
a Bologna sono stati aggrediti
dentro la propria biblioteca!”.
Il corteo si è concluso davanti all’ingresso del Comune
per denunciare le responsabilità del sindaco PD Virginio Merola. Costui ha difeso “la scelta
di installare i tornelli all’ingresso di una biblioteca universitaria. Una scelta sacrosanta che
non inficia in alcun modo il diritto allo studio e la possibilità
di frequentare liberamente le
strutture universitarie. Anzi...”;
e che da subito si era espresso in favore della repressione
delle proteste affermando che
“il primo segnale che dobbiamo dare è in termini repressivi”, proponendosi di ottenere
dal governo i nuovi poteri in
materia di sicurezza che i sindaci hanno chiesto al ministro
dell’Interno Minniti e che garantirebbero “la possibilità di
fare ordinanze non contingibili
e urgenti, di dare i daspo agli
spacciatori, come per gli ultras
allo stadio e di adottare sanzioni non solo amministrative
ma penali”. Ad esempio, contro chi scrive sui muri, continua
il forcaiolo Merola, “ci servirebbero provvedimenti più pesanti
perché oggi quando becchiamo uno che imbratta i muri gli
facciamo una multa da 500
euro e lo accompagniamo dai
genitori, che in genere lo difendono”.
Com’è scritto nel comunicato della Commissione giovani del CC del PMLI “ll Partito
marxista-leninista italiano condanna senza appello la violenta
e vigliacca repressione poliziesca di stampo fascista che si
è abbattuta sulle studentesse
e sugli studenti … Ai problemi
di diffusa tossicodipendenza e
piccola criminalità dell’area si
risponde aprendosi non chiudendosi, rivitalizzando la zona
con iniziative culturali, artistiche e ricreative e combattendo la povertà dilagante che,
insieme allo smantellamento
del welfare, è alla radice di tali
problemi… Ora più che mai
è urgente mettere in campo
una grande mobilitazione per
l’università pubblica, gratuita
e governata dalle studentesse
e dagli studenti. Costruendovi
innanzitutto il governo alternativo studentesco”.
4 il bolscevico / interni
N. 7 - 23 febbraio 2017
Il precario suicida: “Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere”
Un suicidio per colpa
dei governi Renzi e Gentiloni
Poletti dimettiti. Giovani ribellatevi e conquistate il futuro
È doloroso e terribile leggere le ultime parole di un ragazzo che aveva tutta la vita
davanti ma che è arrivato a
togliersi la vita perché stanco
di non trovare un lavoro stabile e di non vedere alcun futuro all’orizzonte.
Ma questo è accaduto a
Michele di Udine, suicidatosi
il 7 febbraio scorso dopo aver
lasciato una lettera d’addio
che i genitori hanno voluto
rendere pubblica per diffondere le ragioni della protesta
del giovane trentenne.
La lettera di
Michele
Michele era stanco di una
realtà che sentiva sbagliata,
dalla quale aveva ricevuto
solo rifiuti e disillusioni, nella quale non aveva modo di
sentirsi valorizzato né realizzato, che non gli permetteva di avere una prospettiva. “Sono stufo di fare sforzi
senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui
di lavoro come grafico inutili,
stufo di sprecare sentimenti
e desideri per l’altro genere
(che evidentemente non ha
bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa
si prova a vincere, di dover
giustificare la mia esistenza
senza averla determinata,
stufo di dover rispondere alle
aspettative di tutti senza aver
mai visto soddisfatte le mie,
stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere
preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire
che la responsabilità è una
grande qualità.”
“Questa”, scrive ancora
Michele, “è la realtà sbagliata, è una dimensione dove
conta la praticità che non
premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni,
insulta i sogni”.
E sembra dar voce ad
un’intera generazione di giovani quando dichiara: “Non
è assolutamente questo il
mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi
può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo
di punti di riferimento, e privo
ormai anche di prospettive”.
Un’accusa ben
precisa e lucida
Su gran parte dei mass
media abbiamo letto interpretazioni fumose e confuse, che danno l’idea di un
ragazzo depresso e deluso
dalle condizioni avverse e infine arreso alla cattiva sorte.
Addirittura c’è chi dissuade
dall’usare la lettera di Michele come un “manifesto” per i
precari. Tutte interpretazioni che però assolvono i veri
responsabili di questa trage-
Un presidio di denuncia del suicidio di un giovane precario
dia, parte della ben più vasta
catastrofe della mancanza di
prospettive per i giovani. Le
parole di Michele in realtà
sono tutt’altro che strumentalizzabili, anzi sono accuse
ben precise e lucide.
Innanzitutto perché Michele aggiunge un post
scriptum assai eloquente:
“Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a
noi stronzi”. Come minimo il
ministro del Lavoro dovrebbe prendere atto del totale
fallimento delle sue politiche
e dimettersi, non avesse la
faccia di bronzo e l’arroganza da “me ne frego” di mussoliniana memoria con cui
aveva già esultato per l’emigrazione dei giovani. Né il
governo né la maggioranza
PD né Mattarella hanno trovato nulla da ridire.
Più in generale, però, le
responsabilità ricadono sui
governi Renzi e Gentiloni
che, sulla scia dei loro predecessori, hanno agito solo per
salvare i profitti del grande
capitale industriale e finanziario in crisi, battendo cassa
sui diritti dei giovani. Come
potremmo dimenticarci che
Renzi è salito al governo giurando e spergiurando sui giovani a cui avrebbe restituito
lavoro e dignità, e invece gli
ha regalato il Jobs Act, i voucher, la truffa della “Garanzia giovani”, il lavoro gratuito
mascherato da “volontariato” o “servizio civile”? E tutto
perché i capitalisti in quest’epoca di crisi economica hanno bisogno di tutelarsi con
manodopera meno costosa,
meno tutelata e meno capace di lottare per i propri diritti,
visto che può essere lasciata alla porta ad un momento
all’altro e ricattata con l’alto
tasso di disoccupazione.
Non si può ignorare, tra
l’altro, che il suicidio arriva
a pochi giorni dalla notizia
che i senza-lavoro sono oltre il 40% dei giovani fino ai
24 anni. Gli autori delle politiche sul lavoro degli ultimi
anni possono forse considerarsi innocenti?
Certo, Michele parla di “realtà” e non di capitalismo e
sfruttamento padronale, ma
la realtà sociale non si forma
certo da sola, né è immutabile, ma è il frutto delle contraddizioni esistenti nella società
fra gli sfruttatori e gli sfruttati.
Dev’essere il
capitalismo,
non i giovani, a
soccombere!
Ormai dall’inizio della crisi
il capitalismo, esaltato come
portatore di benessere e progresso, dimostra il suo vero
volto di barbarie, oppressione e sfruttamento a vantaggio di un pugno di ricchi. Ed è
persino arretramento rispetto ai redditi e ai diritti conquistati dalle vecchie generazioni: Michele apparteneva
alla generazione, i nati negli
anni Ottanta, che era considerata fortunata perché vissuta in un’epoca d’oro piena
di possibilità. E che il guardiano della grande finanza
Mario Draghi ha più precisamente definito “generazione
perduta”, alla quale è stato
tolto tutto. Doveva essere il
fiore all’occhiello del “trionfo”
del capitalismo e della globalizzazione imperialista; è diventata il certificato della sua
bancarotta.
Senza contare la marcia
cultura individualista ed edonista secondo cui chi ha successo economico è un vincente, chi è ai margini della
società è un perdente. Senza tenere conto delle possibilità economiche di partenza
di ciascuno e creando così il
triste e grigio “mito” del successo individuale a scapito
della solidarietà.
È questo il sistema che
sopravvive rubando il futuro
ai giovani e che per questo
non può restare in piedi. A
soccombere non devono essere le vittime, cioè i giovani e gli sfruttati, ma i carnefici, cioè il capitalismo. Perché
ciò avvenga spetta ai giovani stanchi dello sfruttamento
lavorativo, della precarietà e
della disoccupazione unirsi
e far sentire la propria voce,
mobilitarsi e lottare non soltanto per resistere, ma soprattutto per vincere e conquistare quello che gli spetta.
Mai più un altro Michele!
Giovani, ribellatevi al capitalismo e conquistate il futuro,
che ve lo può assicurare solo
il socialismo.
Contro il raduno dei fascisti e xenofobi
Genova antifascista in piazza
La polizia di Gentiloni e Minniti carica gli antifascisti
In risposta all’ oltraggioso
raduno nazi-fascista organizzato da “Forza Nuova” a
cui sono state invitate varie
altre organizzazioni xenofobe e razziste europee coalizzate e mascherate dietro
la cosiddetta “Alleanza per
la pace e la libertà”, l’11 febbraio oltre un migliaio di antifascisti con alla testa l’Anpi
(Associazione
nazionale
partigiani d’Italia) sono scesi in piazza a Genova per
protestare e impedire ai caporioni in camicia nera di infangare il ricordo e la memoria storica di una delle città
simbolo della Resistenza fra
le prime a essere insignita
con la medaglia d’oro.
In testa al corteo, partito
da piazza Ragazzi del ’99, lo
striscione dell’Anpi “Genova
non dimentica”. Presenti la
Camera del Lavoro di Genova, la Fiom Cgil, la Filt, i lavoratori portuali della Culmv,
varie associazioni antifasciste, dall’Arci a Legambiente, il presidente dell’Istituto ligure per la storia della
Resistenza, i centri sociali,
Aut Aut 357, CSOA Emiliano Zapata, Collettivo Dege-
neriot, Ex Latteria Occupata,
Alternativa Libertaria Genova, Csoa Terra di Nessuno,
gruppi studenteschi e alcune organizzazioni di migranti.
Tutta la zona intorno a
via Caprera dove ha sede il
covo di Forza Nuova, nonché luogo di svolgimento del
convegno, è stata sigillata
da un cordone di blindati e
“forze dell’ordine” a difesa
dei “relatori” in camicia nera
fra cui figurano Roberto Fiore (leader di Forza Nuova),
Udo Voigt (eurodeputato per
il Partito Nazionaldemocratico di Germania), il francese
Yvan Benedetti e l’inglese
Nick Griffin, entrambi leader
di movimenti nazionalisti.
Imponente il dispiegamento di celerini e cellulari dietro le grate di circa 3 metri
che chiudono sui due lati via
Caprera.
Giunti nei pressi della
zona rossa a Piazza Sturla
i manifestanti hanno intonato “Bella Ciao” e lanciato slogan contro il raduno nazi-fascista.
“Vogliamo esprimere il
nostro sdegno rispetto alle
presenze che arriveranno a
Genova - ha spiegato Massimo Bisca, presidente provinciale Anpi - persone con-
dannate nei loro paesi per
avere esaltato le SS, partecipato a pestaggi, aver negato l’Olocausto, essere
Genova 11 febbraio 2017. Il corteo antifascista indetto dall’ANPI contro il
provocatorio raduno nazi-fascista organizzato da Forza nuova
stati xenofobi, razzisti. Idee
che sono l’esatto contrario di
valori per cui tanti uomini e
donne genovesi hanno combattuto e dato la vita”.
Ma non appena il corteo
si è avvicinato alle transenne poste a protezione della zona rossa, la polizia di
Gentiloni e Minniti ha caricato i manifestanti a suon di
lacrimogeni e manganellate.
“Credo che Genova abbia risposto positivamente, fascisti e nazisti si devono riunire in un sottoscala e
questo è un gran risultato”
ha commentato il segretario
della Fiom genovese. Infatti la sera prima Forza Nuova aveva tentato di trasferire il convegno all’Ac Hotel di
Quarto che poi è stato costretto a disdire la prenotazione.
In un comunicato i lavoratori della Compagnia unica
del porto di Genova ricordano: “La storia di questa città
è caratterizzata da lavoratori
e partigiani che hanno impegnato e dato la loro vita contro la dittatura fascista partendo proprio dalle fabbriche
e dal porto. È per noi un
punto fermo che si trasmette alle generazioni successive, ribadito tutte le volte
che qualcuno ha tentato di
ripresentarsi (come il 30 giugno 1960) con quelle idee di
odio e di intolleranza... Noi
non chiudiamo la porta alla
nostra memoria di classe.
Questa è proprio la nostra
storia ed oggi non bisogna
permettere questa presenza
di filo nazisti e xenofobi”.
In un volantino diffuso in
tutte le fabbriche genovesi e
durante il corteo la Fiom ha
aggiunto che “Chi ha torturato e ucciso per schiacciare le lotte dei lavoratori impegnandoli poi in guerre per
la difesa dei profitti dei vari
padroni non può avere cittadinanza nella nostra città.
Una generazione di operai,
impiegati, dirigenti sindacali,
di uomini e donne ha dato la
propria vita per impedire un
futuro al fascismo... Per il rispetto che dobbiamo a quella storia – conclude la Fiom
– e per la difesa del nostro
futuro invitiamo i lavoratori
e lavoratrici, i delegati e tutti
gli antifascisti a scendere in
piazza”.
interni / il bolscevico 5
N. 7 - 23 febbraio 2017
Il governo dà la stella di “sceriffo” ai sindaci
Decreti antimigranti
Gentiloni-Minniti-Orlando
Facilitate le espulsioni, i richiedenti asilo senza diritti e costretti a lavorare gratis
Il 10 febbraio il Consiglio dei
ministri (Cdm) presieduto da
Gentiloni ha approvato una serie di provvedimenti, tra cui due
decreti tra loro collegati recanti
disposizioni urgenti per “l’accelerazione delle procedure
amministrative e giurisdizionali” di accoglimento e respingimento di immigrati e richiedenti
asilo e per la “tutela della sicurezza delle città”. I due decreti,
che portano la firma del ministro dell’Interno Minniti e di
quello della Giustizia Orlando,
non sono ancora stati depositati in parlamento, ma dalle linee generali e da alcune norme
principali che sono state pubblicate nel comunicato finale
della riunione e illustrate nella
conferenza stampa del governo, si possono senz’altro definire come decreti antimigranti,
presi al solo scopo di riproporre
e legalizzare sotto altro nome i
famigerati Cie (Centri di identificazione ed espulsione, già
ampiamente riconosciuti come
veri e propri lager), accelerare al
massimo la selezione e l’espulsione dei migranti giudicati privi
dei requisiti di rifugiati, anche
forzando le regole e i diritti giurisprudenziali, dare un drastico
giro di vite alla libertà e ai movimenti dei migranti nelle città e
nei territori assegnando anche
più poteri di controllo e repressivi ai prefetti e ai sindaci.
Col primo decreto illustrato
dal Guardasigilli Orlando, riguardante l’accelerazione delle
procedure, si istituiscono infatti
presso i tribunali di 14 capoluoghi di regione, altrettante
sezioni “specializzate in materia di immigrazione, protezione
internazionale e libera circolazione dei cittadini”, che avranno competenza in generale
sulle controversie riguardanti
i migranti, e in particolare sul
riconoscimento dello stato di
rifugiati o della loro espulsione.
Contemporaneamente a ciò
vengono introdotte misure per
la semplificazione e l’efficienza
delle procedure “innanzi alle
commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione
internazionale”, nonché riguardo ai “procedimenti giudiziari
connessi ai fenomeni dell’immigrazione”. A tale riguardo
– come ha accennato Orlando
- sarà adottato “un nuovo modello processuale in Camera di
consiglio con udienza eventuale”, con sentenza emessa “in
composizione monocratica”, e
con la riduzione da sei a quattro
mesi del termine di definizione
del provvedimento, che sarà
preso con “decreto non reclamabile ma ricorribile in Cassazione”.
Leggi speciali per
esseri umani di serie B
Tutto ciò significa in pratica una drastica riduzione delle
garanzie giuridiche a tutela del
migrante richiedente asilo, che
nella maggior parte possibile
dei casi non potrà nemmeno
partecipare all’udienza, o eventualmente partecipare solo in
videoconferenza, e nel caso di
partecipazione l’udienza sarà
videoregistrata. E quel che è
peggio in caso di diniego non
avrà diritto all’appello ma soltanto al ricorso in Cassazione:
viene cioè soppresso per i mi-
granti il secondo grado di giudizio che spetta di diritto a tutti,
compresi criminali comuni, mafiosi e politici corrotti.
Per quanto il “giovane turco”
Orlando abbia avuto la faccia
tosta di sostenere che queste
norme “non indeboliscono le
garanzie”, è evidente a chiunque che siamo in presenza di
una palese violazione delle garanzie giuridiche per i migranti
e richiedenti asilo, trattati come
esseri umani di serie B al punto
da ideare la costituzione di una
sorta di “magistratura speciale”, separata da quella ordinaria
e dotata di una “giurisprudenza speciale” riservata appositamente a tale “sottospecie”
umana.
Non è ancora chiaro poi
come potrebbe il respinto esercitare il ricorso in Cassazione,
anche a prescindere dai costi,
dati i tempi lunghi richiesti dalla
procedura: verrà intanto espulso nel paese di provenienza, e
poi da lì dovrebbe presentare
il ricorso? Sembrerebbe una
cosa ridicola, se non fosse allucinante. Infatti, nel periodo tra
il respingimento della richiesta
di protezione internazionale e la
sentenza dell’eventuale ricorso
del migrante, che ne sarà di
lui?
Minniti ha spiegato che a
questo scopo saranno costruiti
in ogni regione dei Centri permanenti per i rimpatri (Cpr), per
un totale di 1.600 posti, che andranno a sostituire i vecchi Cie,
con tempi di detenzione che
aumenteranno dagli attuali 90 a
135 giorni, e in essi potrà essere internato fino a tre mesi anche chi rintracciato nel territorio
si rifiuta di farsi prendere le impronte digitali. E si è affrettato a
precisare che per ogni centro ci
sarà un “garante” con libero accesso per il controllo del rispetto dei diritti umani. Ma non ha
spiegato quali siano i suoi poteri e i suoi ambiti di giurisdizione.
È forte il sospetto che questi
nuovi centri, dietro il pretesto di
parcheggiare i migranti in attesa
di espulsione, non siano altro
che la riproposizione dei vecchi
Cie sotto altro nome, sospetto
avvalorato anche dallo stanziamento di 19,5 milioni di euro in
più per i respingimenti.
Giro di vite sulla
“sicurezza urbana”
Minniti ha anche annunciato
che i Comuni potranno impiegare i richiedenti asilo, “su base
volontaria e gratuita”, per essere impiegati in “lavori socialmente utili”. In pratica potranno
disporne come mano d’opera
gratuita. Non si sa ancora a
quali condizioni (assicurazione,
orario di lavoro ecc.), e soprattutto quali siano questi “lavori
utili”, se cioè si tratterà di servizi pubblici in aggiunta a quelli
normalmente programmati, o
se, come è lecito temere date
le sempre maggiori ristrettezze
finanziarie dei comuni e il blocco delle assunzioni, verranno
impiegati come mano d’opera
gratis per risparmiare sul personale regolare, il che configurerebbe un vero e proprio sfruttamento servile.
Se a tutto ciò si aggiunge
che col decreto per la “sicurezza urbana” si rafforzano i
poteri di ordinanza dei “sindaci
sceriffi”, con nuove misure di
carattere amministrativo, come
multe da 300 a 900 euro, fino al
Daspo (interdizione a frequentare determinate zone cittadine o territoriali su disposizione
di prefetti e sindaci), e per tutta
una serie di motivi che suscitano allarme sociale, come lo
spaccio e la prostituzione “con
modalità ostentate”, ma anche
pericolosamente
pretestuosi
per giri di vite autoritari e finanche fascisti come il “decoro urbano”, il “commercio abusivo”,
l’accatonaggio e l’“occupazione di aree pubbliche”, non ci
vuol molto a capire che siamo
in presenza di un pacchetto
di provvedimenti antimigranti,
antidemocratici e discriminatori
degni della più vieta propaganda della Lega fascista e razzista
di Salvini e Maroni, nonché delle sparate xenofobe del qualunquista Grillo.
La sola differenza è che questi personaggi squallidi lo fanno
apertamente e non se ne vergognano, mentre il governo PDNCD lo fa pretendendo anche
di farlo per ragioni “umanitarie”
e nell’“interesse” degli stessi
migranti: “L’obiettivo strategico
non è chiudere le nostre porte
ma trasformare sempre più i
flussi migratori da fenomeno
irregolare a fenomeno regolare,
in cui non si mette a rischio la
vita ma si arriva in modo sicuro nei nostri paesi e in maniera
controllata”, ha avuto infatti la
faccia tosta di dichiarare Gentiloni nel presentare i due decreti
antimigranti.
Un’ipocrisia, la sua, smascherata dal presidente del
Centro Astalli, un servizio dei
Gesuiti per i rifugiati in Italia, padre Camillo Ripamonti, a giudizio del quale col provvedimento
del governo “si è molto concentrati sul velocizzare espulsioni e
rimpatri di chi soggiorna illegalmente ma non si affronta il tema
principale: le quote di ingresso
dei lavoratori migranti non vengono attivate ormai da diversi
anni. Non esistono vie legali per
arrivare a chiedere asilo in sicurezza. Queste sono le principali
urgenze da affrontare, ormai da
tempo. Oggi in Italia per i migranti non c’è modo di entrare legalmente né per lavorare
né per chiedere protezione da
guerre e persecuzioni”.
“La vicinanza elettorale porta il governo a solcare territori
pericolosi per le libertà. Dunque
dopo bocciature severe, anche
istituzionali, dei Centri di identificazione e espulsione (Cie), ora
i centri di detenzione per immigrati si moltiplicano e si creano
1.600 posti di reclusione amministrativa”, ha denunciato in un
comunicato stampa il presidente dell’Associazione Antigone e
della Coalizione italiana Libertà
e Diritti civili (Cild). “Inoltre – ha
aggiunto Patrizio Gonnella sottolineando la pericolosità antidemocratica dei provvedimenti
del governo - dopo la recente
bocciatura da parte della Corte
Costituzionale si danno poteri
di ordinanza ai sindaci su un
terreno, quello della sicurezza,
già praticato in modo illiberale,
informe e talvolta ridicolo. La
sicurezza spetta ai prefetti ed ai
giudici, non ai sindaci. Le città
hanno bisogno di servizi e non
di sceriffi”.
Scandalo dei “Corsi d’oro” per disoccupati e giovani da inviare al lavoro
Condannato a 11 anni di carcere
il deputato Genovese (ex Pd ora Fi)
“Era il capo di un’associazione a delinquere”
Il 22 gennaio la prima sezione del tribunale di Messina
presieduta da Silvana Grasso
ha condannato il già renziano
del PD, Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina e
ora parlamentare di Forza Italia, a 11 anni di carcere per lo
scandalo dei “corsi d’oro” della Formazione professionale.
Genovese è ritenuto il capo
di una associazioe per delinquere che per molti anni ha
drenato risorse regionali per
60 milioni di euro destinati alla
formazione di giovani e disoccupati da avviare al lavoro
professionale.
Tra i 22 componenti dell’associazione anche il cognato di
Genovese, Franco Rinaldi, ex
deputato regionale del PD e
ora di FI, condannato a 2 anni
e mezzo di reclusione così
come le mogli di Genovese e
dello stesso Rinaldi, le sorelle
Chiara ed Elena Schirò, rispettivamente a 3 anni e mezzo e
6 anni e mezzo.
Condannato anche l’ex
consigliere comunale di Messina Elio Sauta: 6 anni e 6
mesi. Melino e Natale Capone
3 anni; Stefano Galletti 3 anni
e 6 mesi; Graziella Feliciotto,
Cettina Cannavò e Salvatore
La Macchia a 2 anni; Natale Lo
Presti 3 anni; Roberto Giunta
5 anni e 6 mesi; Giuseppina
Pozzi, Liliana Imbesi, Orazio
De Gregorio e Domenico Fazio un anno e 3 mesi; Antonino
Di Lorenzo e Carmelo Favazzo 3 anni. Assolti Francesco
Buda, Salvatore Natoli e Paola
Piraino.
I due parlamentari sono
stati condannati anche all’in-
terdizione dai pubblici uffici
per tutta la durata della pena.
Il tribunale ha condannato
Francantonio Genovese anche ad una multa da ventimila
euro e ha disposto la confisca
dei beni gia precedentemente
sequestrati come garanzia del
risasrcimento del danno alle
parti civili tra cui la Regione
siciliana e l’assessorato regionale alla Formazione che verrà
quantificato in sede civile.
L’inchiesta ruotava attorno
a tre centri di formazione professionale che operavano in
provincia di Messina: Lumen,
Aram e Ancol. I riflettori della magistratura furono accesi
inizialmente sull’Ancol, per
accertare la legittimità dei finanziamenti ottenuti dalla Regione per 13 milioni e 600mila
euro, dal 2006 al 2011.
Le indagini, dirette dal procuratore aggiunto Sebastiano
Ardita e dai pm Camillo Falvo,
Fabrizio Monaco ed Antonio
Carchietti, hanno fatto emergere l’esistenza di un vero e
proprio sistema truffaldino
grazie al quale venivano gonfiati i prezzi delle prestazioni
di servizio o degli acquisti di
beni necessari per l’attività
degli enti. In particolare gli inquirenti hanno accertato prestazioni totalmente simulate e
sovrafatturazione delle spese
di gestione. Grazie a questi artifici, i rappresentanti legali dei
centri di formazione, attraverso la compiacenza dei titolari
di alcune società con i quali
erano legati da vincoli di parentela o di fiducia, riuscivano
- secondo gli inquirenti - a documentare spese a prezzi no-
tevolmente superiori a quelli di
mercato. I centri in questione,
che hanno come scopo l’organizzazione - senza fini di lucro
- di corsi formativi, avrebbero
così ottenuto finanziamenti
per importi di gran lunga superiori ai costi effettivamente
sostenuti.
Già nel marzo 2014 la Procura di Messina aveva chiesto l’arresto di Genovese.
Due mesi dopo la Camera, al
termine di furiose polemiche
politiche, ha autorizzato la richiesta di arresto nei confronti
di Genovese che è costretto a
costituirsi prima in carcere e
poi ai domiciliari.
Sia Genovese - che era
stato anche segretario regionale del PD e aveva portato
in dote a Renzi un consistente
pacchetto di circa 40 mila voti
- sia Rinaldi un anno e mezzo fa hanno deciso di passare
a Forza Italia. La condanna,
adesso, comporterà quasi
certamente, sulla base della
legge Severino, la sospensione di Rinaldi dalla carica di
deputato regionale. Portando
così fuori da Sala d’Ercole
quello che era stato il boss
delle preferenze, con oltre diciottomila voti.
Il posto di Rinaldi potrebbe
essere preso da Francesco
Calanna, “commissario straordinario” dell’Ente per lo sviluppo agricolo (Esa), primo dei
non eletti nel Collegio di Messina, candidato con le liste del
PD, animatore del Megafono,
il movimento del governatore
Crocetta e politicamente molto vicino al senatore Giuseppe
Lumia.
6 il bolscevico / giunta raggi
N. 7 - 23 febbraio 2017
Raggi indagata anche
per la nomina di Romeo
I movimenti: Con la nuova giunta di Roma nulla è cambiato
L’ex assessore Berdini: “Sindaca impreparata, con accanto una banda”
Sono già due i procedimenti
per abuso d’ufficio avviati nei
confronti della sindaca di Roma
Virginia Raggi. Il primo riguarda
l’inchiesta per la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele,
da vicecapo dei vigili urbani alla
Direzione Turismo del Campidoglio e per la quale è accusata anche del reato di falso.
Nel secondo la sindaca M5S è
indagata per abuso d’ufficio in
concorso con il suo fedelissimo Salvatore Romeo, già capo
della sua segreteria politica. Fu
lei a firmare la delibera approvata all’unanimità dalla giunta
pentastellata con cui il 9 agosto 2016 cooptò il suo “brocker
assicurativo” e, secondo alcune voci “amante”, da semplice
funzionario del Dipartimento
Partecipate con stipendio di 39
mila euro annui, alla guida della
sua segreteria con un mensile
quasi triplicato di 120 mila euro.
Un vantaggio economico che,
secondo i giudici, non poteva
essere attribuito a Romeo e
che poi è infatti sceso a 93 mila
euro dopo l’intervento dell’Authority anticorruzione (Anac).
Tutto in barba alle commedianti “battaglie contro le parentopoli, per la trasparenza e
la meritocrazia” di cui amano
sciacquarsi la bocca i Cinquestelle.
La nomina di Romeo fu
aspramente criticata dall’allora
assessore al Bilancio, Marcello
Minenna, e dall’allora capo di
gabinetto Carla Raineri la quale
fra l’altro avvertì la Raggi che si
configurava un abuso d’ufficio
proprio come descritto in un
esposto di 21 pagine presentato alla Procura di Roma subito
dopo le sue dimissioni.
La Raineri si dimise l’1 settembre dopo che l’Anac “interpellata in modo strumentale
dall’amministrazione M5S” aveva dato parere sfavorevole alla
sua nomina. In realtà è logico
immaginare che la vera causa
del suo defenestramento furono
proprio i “gravi contrasti” con
il quadriunvirato Cinquestelle
(Raggi-Marra-Romeo e Daniele
Frongia, vicesindaco dimessosi dopo l’arresto di Marra, ora
assessore allo Sport), il quale,
sotto la regia occulta del vicepresidente della Camera e candidato premier dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, ha condotto la
marcia sul Campidoglio a suon
di bugie, ricatti, minacce e in
stretta continuità con i protagonisti di mafia capitale.
Nel suo esposto Raineri sottolinea fra l’altro che: “La delibera per la nomina di Romeo è
stata portata in giunta il 9 agosto 2016 senza essere prima
passata al vaglio del gabinetto.
Di norma le delibere vengono
trasmesse al gabinetto alcuni giorni prima per un esame
di legittimità”. La delibera in
questione, ricorda la Raineri, è
“inusualmente approdata direttamente in giunta allorché io e
gli assessori ci trovavamo già
seduti al tavolo nella sala delle bandiere e nessuno in quella
occasione ne ha illustrato i contenuti prima di porla al voto”.
Inoltre nella delibera in questione non era indicato il compenso di Romeo, ma si rimandava
a varie categorie contrattuali.
dunque, secondo Raineri, si
approfittò dell’assenza per ferie del capo dell’Ufficio Risorse
Umane del Campidoglio, Laura
Benente, che avrebbe dovuto
vistare la delibera, ma era in
cattivi rapporti con l’amministrazione, e la firma fu del vice
Gianluca Viggiano. Quindi la
delibera andò direttamente in
giunta senza passare al vaglio
del suo gabinetto. Insomma,
considerati i passaggi, compreso l’avere ignorato il parere
contrario dell’avvocatura comunale, la delibera che porta
alla nomina di Romeo sembra
studiata apposta per evitare
eventuali rilievi sul nuovo stipendio.
ficio e per violazione di norme
ambientali consumati in combutta con alcuni protagonisti di
“Mafia Capitale”. Insieme all’ex
assessore al Bilancio, Marcello
Minenna e al capo di gabinetto
Carla Raineri, si dimettono uno
dopo l’altro che il dg Atac Marco Rettighieri, l’amministratore
unico Armando Brandolese e il
presidente di Ama Spa (Azienda Municipale Ambiente) Alessandro Solidoro.
Altro che “i 43 successi più
importanti” conseguiti dalla sindaca di Roma nei primi 7 mesi
di governo pubblicati sul blog a
firma Beppe Grillo!
Raggi e la sua
“banda”
La sindaca Raggi in compagnia del fedelissimo Romeo, già capo della segreteria politica
Il burattinaio Di Maio
Un colpo di mano studiato
a tavolino ancor prima che la
Raggi venisse eletta sindaca e
confermata anche dalle conversazioni nella ormai famigerata
chat “Quattro amici al bar” dove
tra Marra e Romeo si sprecano i
riferimenti alla “macrostruttura”.
Ovvero la modifica della pianta
organica dei dirigenti del Campidoglio. In particolare Marra
rassicura Romeo: “Ho messo in
fila le cose per lo staff del sindaco. Ho segnalato incarichi e
possibili retribuzioni. Ho lasciato tutto a V.”, probabilmente
Virginia Raggi. “Ho appena finito di studiare i nominativi per gli
incarichi delle strutture di diretta collaborazione del sindaco e
del vicesindaco”, scrive Marra
a Romeo su WhatsApp a maggio 2016.
Dunque Raineri e Minenna,
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di
classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove
lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove
vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali
ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le
seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª
pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
che l’aveva voluta capo di gabinetto al posto di Daniele Frongia
a cui la Raggi aveva promesso
quella poltrona, pagano a caro
prezzo l’insubordinazione ai
diktat del quadriunvirato che fa
capo al burattinaio Di Maio.
Illuminante in tal senso è
l’sms con cui, nei giorni delle
sue dimissioni, Minenna svela
alla Raineri tutto il mercimonio
dei Cinquestelle per le nomine
in Capidoglio e aggiunge: “La
storia di Di Maio (il riferimento è
all’incontro di luglio con Marra
ndr) è assolutamente vera e lo
sai avendola vissuta quasi in diretta. Così come sai che misi a
parte anche la Taverna. Ho sms
con entrambi e fui scaricato.
D’altronde, erano i referenti di
Direttorio e mini Direttorio per
Roma. Quindi erano loro l’ancora di salvezza. Sono certo
che Di Maio sapeva tutta la storia di Cantone (il parere chiesto
all’Anac ndr) ben prima di noi.
Si capì benissimo dall’interazione”. Minenna fa protocollare in
comune anche una lettera con
la quale comunica alla sindaca e alla giunta “che devono
intendersi revocati tutti i voti
favorevoli da me manifestati a
tutte le assunzioni effettuate da
Roma Capitale ai sensi dell’articolo 90 Tuel (la norma di legge
sugli enti locali)”. In particolare,
aggiunge, “quella di Salvatore
Romeo”, per la sua “intrinseca
illegittimità “, poiché “il suo status di dipendente pubblico già
assunto a tempo indeterminato
dell’amministrazione capitolina,
non è stato reso noto nelle motivazioni della delibera”.
Nel giro di appena sei mesi
è andata a finire che Raffaele
Marra, capo di gabinetto e capo
del personale del Comune di
Roma, legato a doppio filo alla
destra romana e già collaboratore di Alemanno e della Polverini finisce il 16 dicembre scorso
a Regina Coeli per corruzione.
Raggi, Romeo e l’ex assessora all’Ambiente Paola Muraro
sono indagati dalla Procura rispettivamente per abuso di uf-
Intanto le polemiche e i veleni non accennano a placarsi. A
rilanciarle è stato l’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini
che il 9 febbraio durante un colloquio con il giornalista Federico Capurso de “La Stampa” nel
commentare il totale fallimento
della giunta Raggi ha fra l’altro
affermato che: “Trovo la situazione esplosiva, questa città
non tiene... è stato fatto un errore dopo l’altro. Prima con la
nomina di Raffaele Marra, poi la
polizza di Romeo, e se è uscita
questa cosa su L’Espresso, fra
qualche giorno magari ne esce
un’altra. Non si può dire che sia
finita la musica. I Cinque Stelle
mi hanno chiesto aiuto per affrontare alcune battaglie insieme. Anche per questo, non ho
fatto gli esami con il direttorio.
Sono l’unico assessore, credo,
ad essere entrato di diritto, ma
non mi aspettavo tutto questo”.
Sulla sindaca Raggi, che tra
l’altro secondo Berdini se l’intende con Romeo “sono amanti”, l’ex assessore all’Urbanistica ha aggiunto: “Su certe scelte
sembra inadeguata al ruolo che
ricopre. I ‘grand commis’ dello Stato, che devo frequentare
per dovere, lo vedono che è
impreparata. Ma impreparata strutturalmente, non per gli
anni. Se vai, per dirne una, a un
tavolo pubblico e dici che sei
sindaco di Roma, spiazzi tutti.
Lei invece… Mi dispiace. Mi dispiace molto - continua Berdini
- Se lei si fidasse delle persone
giuste… Ma lei si è messa in
mezzo a una corte dei miracoli.
Anche in quel caso, io glie l’ho
detto: ‘Aei sindaco, quindi mettiti intorno il meglio del meglio
di Roma’. E invece si è messa
in mezzo a una corte dei miracoli... s’è messa vicino una
banda... È forte il sapore del
rimorso e della rabbia per non
essere stato ascoltato quando,
da mesi, aveva avvisato la sindaca dei pericoli che Marra e il
raggio magico portavano con
sé. Io sono amico della magistratura, Paolo Ielo lo conosco
benissimo, è un amico, ma lei
è stata interrogata otto ore. Anche lì c’è qualcosa che non mi
torna. Come se ne esce? Non
lo so. Io questo non lo so”.
Subito dopo la pubblicazione del colloquio Berdini nell’annunciare le sue dimissioni, subito “congelate” dalla Raggi (ma
in un secondo momento diventate “irrevocabili”), ha cercato
in tutti i modi di smentire e ridimensionare le sue “chiacchere”
che, a suo dire, sarebbero state
carpite alla chetichella da un
“mascalzone. Non ho mai detto
certe cose, è repellente ragionare su questo piano. Il ragazzo avrà contraffatto con i mezzi
tecnologici a disposizione. Mi
sono state messe in bocca parole inaudite da questo piccolo
delinquente”.
In una nota pubblicata sul suo
sito internet “La Stampa conferma parola per parola il colloquio con l’ex assessore Berdini
pubblicato nell’edizione odierna a firma del giornalista Federico Capurso. Se umanamente
si può comprendere l’imbarazzo dell’assessore, questo comunque non giustifica in alcun
modo gli inaccettabili giudizi
che Berdini ha pronunciato sul
collega per cercare di smentire
quanto riferito”. Anzi l’intervista
è stata “alleggerita di alcuni intercalari poco pubblicabili. Non
c’erano attacchi più forti alla
Raggi, c’erano alcune parolacce, usate come esclamazioni,
ma le abbiamo tolte”. Come ad
esempio: “Quando parlava della polizza e della Raggi, con la
sindaca che aveva detto di non
saperne nulla, Berdini diceva ‘a
chi cazzo lo vuoi raccontare’?
E poi quando parlava di questa
‘banda’, che la Raggi si sarebbe messa intorno, invece di
dire banda Berdini ha detto una
banda di assassini”.
Insomma anche Berdini è
finito nel mirino della “banda Raggi” per le perplessità
espresse in merito alla grande
speculazione edilizia che si preannuncia intorno al progetto per
il nuovo stadio dell’As Roma.
E mentre la giunta e il consiglio comunale si apprestano a
dare il via libera ai palazzinari di
inondare Roma con una nuova
colata di cemento, centinaia di
attivisti aderenti ai vari movimenti di lotta (Carovana delle
Periferie, rete Decide Roma,
Usb e Forum Salviamo il Paesaggio) che si battono contro i
tagli alla scuola, all’edilizia pubblica, alla sanità e per la tutela
dei posti di lavoro e del territorio, si sono riuniti il 7 febbraio
nella sala della protomoteca del
Campidoglio per denunciare
fra l’altro che fino a “Qualche
mese fa speravamo che tutto
cambiasse, ma non è cambiato
niente... Abbiamo vissuto questi mesi con spirito di collaborazione, ma vediamo che anche
il ragionamento, insufficiente,
sull’onestà è stato vanificato dagli accadimenti recenti...
L’assemblea non si capacita
di come i consiglieri comunali
della larghissima maggioranza
a 5 Stelle abbiano esultato per
l’approvazione del bilancio. E di
come ci si inchiodi al rispetto
di procedure che andrebbero
messe in discussione, come la
legge Madia sull’esternalizzazione dei servizi locali... Questa
è la modalità della vecchia politica” in perfetta continuità con
tutte le altre cosche parlamentari e di “Mafia Capitale”.
giunta raggi / il bolscevico 7
N. 7 - 23 febbraio 2017
Aperte le trattative per la costruzione dello stadio della Roma
La Raggi cede ai palazzinari e
cementificatori rimangiandosi
le sue promesse elettorali
Un’opera faraonica costosa per la collettività, urbanisticamente mostruosa e a rischio idrogeologico
Sembra proprio che, contrariamente alle recenti dichiarazioni della sindaca Virginia
Raggi nelle quali afferma che
la decisione definitiva sarà rimandata alla prossima conferenza dei servizi, l’accordo
sulle cubature del maxi-impianto della AS Roma, sia stato già trovato. Secondo molti
quotidiani, le parti avrebbero
già messo a punto i termini
dell’accordo: il progetto iniziale prevedeva per il “business
park” 900mila metri cubi di
nuove costruzioni, mentre l’allora assessore Berdini ne chiedeva il taglio di almeno il 60%,
abbattendo così la cubatura a
330mila. A questa controproposta la As Roma e il costruttore Parnasi hanno risposto
rilanciando a 600mila il totale dei nuovi cubaggi. Ed è qui
che si è inserito nella contrattazione finale l’ex-vice sindaco Frongia, in oscuro accordo
con Parnasi, per chiudere con
una riduzione di un ulteriore
10% rispetto a quei 600mila.
Un vero e proprio tradimento
rispetto alle posizioni dell’ex
assessore all’urbanistica Paolo Berdini, che ha considerato
il patto un via libera alla speculazione firmato proprio da chi
aveva promesso di combatterla, ma anche al programma
elettorale dell’allora candidata
cinquestelle che aveva opposto il “No” alle cubature extra,
quale uno dei suoi maggiori
cavalli di battaglia. Tor di Valle
è divenuto invece il più grande
crocevia di interessi, stimabili
in 3 miliardi di euro, da investire per la costruzione dell’intero
complesso; e quando ci sono
tanti interessi in mezzo ed una
possibile ritrovata popolarità,
dopo le scandalose vicende di
Raggi & Co., ricavata dal mondo calcistico, nuovo “oppio dei
popoli”, non c’è Movimento o
etica che tenga.
rate necessarie per la funzionalità dell’insieme.
Una specie di piccola Eur
dunque, dove il piano regolatore prevede impianti sportivi
con modeste cubature. Tutto ciò sarebbe consentito non
da una legge sugli stadi, della
quale ogni tanto si sente parlare anche se non esiste, ma
grazie a una norma inserita
forzosamente e all’ultimo momento nella legge di stabilità
del 2014, e quindi approvata
solo per volontà del governo
con voto di fiducia. Desta perplessità, o meglio, apre gli occhi sui reali fini dell’opera per
la quale l’impianto sportivo è
solo un contorno, la questione
dei parcheggi previsti: nessuno Stadio europeo, grande o
piccolo, vecchio o nuovo, presenta una dimensione di parcheggi a raso vasta 22 ettari.
Un incredibile quanto inutile
consumo di suolo. Ed il paragone non vale solo per gli impianti sportivi, perché anche
di prendere posizione poiché
“non parla di cose di calcio”,
come se fosse il calcio il nocciolo della questione. In realtà
il progetto che sta per essere
ufficializzato ha in sé enormi
oneri di urbanizzazione e solo
chi è in malafede non riesce a
notare che in un contesto del
genere lo stadio vero e proprio
rappresenta solo il cavallo di
Troia per realizzare tutto il resto. Inoltre è stata scelta un’area che ha bisogno di un enorme investimento pubblico, che
potrebbe anche non essere risolutivo, data la sua conformità e le sue caratteristiche. In
primis il rischio idrogeologico
pare insormontabile; secondo
alcuni esperti quella zona non
è solo una delle più complicate di Roma, ma anche d’Europa e del mondo, se si considera l’edificazione. Esiste un
documento del Comune di
Roma che parla per quell’area
di “regimazione” del fosso di
Vallerano, un affluente sotter-
La regia delle
banche
Chi ha scelto dunque
quell’area? Probabilmente chi
aveva interessi, come Parnasi
ed Unicredit. La grande Banca
d’affari, ex proprietaria del 31%
di quote della società giallorossa, poi cedute a Pallotta nel
2014, è anche la stessa che
ha finanziato Parnasi nell’acquisizione dei terreni da girare per il nuovo stadio. Nel 2016
Parnasi, abbondantemente indebitato per circa 500 milioni
con finanziarie e banche, sigla con la stessa Unicredit un
accordo per il piano di ristrutturazione aziendale al quale
seguono pesanti licenziamenti fra i lavoratori, dando vita a
Parsitalia. Unicredit, quindi ha
tutto l’interesse che Parsitalia
rientri più rapidamente possibile, senza rischi. Quale migliore
occasione di una boccone così
goloso come la colossale cit-
richiesta della Lazio o di altre
società sportive. Ma, è vero,
ci stiamo dimenticando che in
questa vicenda lo sport non
c’entra nulla.
I nuovi palazzinari
del Movimento 5
stelle romano e
l’epurazione di
Berdini
Roma, infine, ha già nel piano regolatore una dotazione di
milioni di metri cubi largamente
inutilizzati poiché ci sono 185
mila alloggi sfitti o invenduti e
parecchi metri quadrati di uffici altrettanto vuoti. Nella sua
trattativa, tali argomentazioni sono state avanzate anche
dall’assessore all’urbanistica
Berdini, contrario a un progetto
di queste dimensioni, anche se
possibilista verso un intervento in forma “ridotta”. Sessantotto anni, ingegnere specializza-
intervista “rubata” dalla telecamera di un giornalista precario
nella quale Berdini esprime parole poco edificanti sulla Raggi e sulla sua giunta. In estrema sintesi ha definito la Raggi
“impreparata”, circondata da
“corte dei miracoli” che pare
più una “banda” che un gruppo
di tecnici. Da mesi però si parla della possibilità che Berdini
sia cacciato dalla giunta vista
la sua contrarietà al progetto
del nuovo stadio, che vorrebbe fosse realizzato nel quadro
dei vincoli del piano regolatore,
ossia senza le tre torri e la centralità commerciale previsti dal
disegno attuale, e con al massimo 300 mila nuovi metri cubi.
Alla fine è stato lui che se ne
è andato sbattendo la porta. Si
tratta comunque di una nuova
epurazione dunque a chi mette
il bastone fra le ruote agli scagnozzi di Grillo, anche se essi
cercano di limitare in qualche
modo la piaga della speculazione.
Il progetto, i costi
e i rischi
Un milione di metri cubi
a Tor di Valle, in una fragile
ansa del Tevere non lontana
dall’Eur, località difficilmente
accessibile, servita solo dalla
Roma-Lido, la peggiore ferrovia d’Italia. Questo è in estrema sintesi la “location” del
“business park” di Pallotta.
Delle nuove cubature previsto, lo stadio e le altre funzioni connesse alle attività sportive rappresentano solo una
minima parte, meno del quindici per cento, del complesso
immobiliare che comprende
tre grattacieli alti più di duecento metri e tanti altri edifici
destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali senza rapporti con lo stadio, ma
destinati a compensare il costo delle infrastrutture dichia-
Il piano della grande speculazione edilizia legata alla costruzione del nuovo stadio di Roma
se si guarda alle più grandi
strutture per il divertimento
in Italia, e perfino ai più grandi centri commerciali, in nessun caso si arriva a numeri simili. Anche lo slogan lanciato
dal capitano della Roma Totti
“#FamoStoStadio” è diventato il tormentone della campagna messa su dai club romanisti riunitisi nel “comitato per
il sì” che già annunciano “promozione” in tutte le curve. Lo
stesso slogan è stato ripreso
anche con i cartelli innalzati in
Aula da alcuni consiglieri capitolini del Pd.
Renzi che si è naturalmente schierato per il Sì, mentre
nicchia Bersani che si rifiuta
raneo del Tevere. Roma è percorsa da tanti fiumi sotterranei
che, se da un lato la mettono a
riparo dal rischio sismico, evidenziano fortemente il rischio
idrogeologico. Per convogliare le acque piovane dai parcheggi, servirebbero idrovore
per una spesa di oltre 9 milioni
di euro, più altre opere idrauliche generali e molto probabilmente non risolutive per altri
16/16 milioni. Ne consegue in
generale un progetto non sostenibile dal punto di vista finanziario poiché l’urbanizzazione costerebbe oltre 270
milioni, mentre la AS Roma ha
posto il contributo massimo a
50.
tadella dell’amico Pallotta che,
insieme a Goldman Sachs e
Rotschild, è già alla caccia di
nuovi investitori? In pratica a
Roma si stanno dando le chiavi della città in mano al privato,
in piena continuità col passato
e con “Mafia capitale”. Siamo
probabilmente di fronte alla più
grossa speculazione fondiaria
tentata a Roma dopo l’Unità
d’Italia e conta poco non sapere neppure quale sarà il destino dello stadio Olimpico e del
vecchio stadio Flaminio, ormai
vergognosamente abbandonato. Per non dire della futura difficoltà a negare lo stesso
trattamento a una eventuale
to in urbanistica, Berdini ha un
passato di militanza dal Pci a
Rifondazione Comunista, ed è
un ambientalista attivo, membro di Italia Nostra e per quattro anni, dal 2009 al 2012, del
Consiglio nazionale del Wwf.
Fin da quando il suo nome era
comparso sul taccuino del toto-assessori e poi annunciato
tra i primi aderenti alla squadra di governo Raggi, donandole una certa dose di autorevolezza e affidabilità presso
ampi settori dell’opinione pubblica, le quotazioni del M5S
erano salite presso ambienti prima difficilmente raggiungibili. Oggi però il suo destino
pare segnato a seguito di una
Roma in sintesi, dopo decenni di governo del territorio
realizzato con l’assenso dei
principali proprietari fondiari,
dei maggiori costruttori e immobiliaristi, rimane la stessa
anche se “targata” 5 Stelle.
La giunta Raggi, la questione
“stadio”, Marra, Paola Muraro,
Salvatore Romeo, così come
le vicende che hanno coinvolto il movimento a Roma dimostrano che i vertici pentastellati rappresentano la continuità
con i giochi di potere borghesi che dicono di contrastare;
altro che alternativa, essi rappresentano un vero e proprio
puntello al capitalismo.
8 il bolscevico / interni
N. 7 - 23 febbraio 2017
Nel famigerato “giorno del ricordo”
Mattarella rilancia le bugie dei fascisti sulle foibe
In occasione del famigerato “giorno del ricordo”, il 10
febbraio, il presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, coerentemente con il suo
essere democristiano e anticomunista, ha rilasciato una
dichiarazione per rilanciare
le bugie dei fascisti sulle foibe. A suo dire si è trattato di
“feroci crimini”, di “una strage
di italiani”, di “criminali pulizie
etniche”. Le stesse menzogne sono state pronunciate
dalla presidente della Came-
ra Laura Boldrini alla vergognosa commemorazione alla
Camera dove erano stati radunati ignari studenti di ogni
ordine e grado, accompagnati dagli insegnanti.
Niente di più falso. In realtà nella zona di Trieste, in
Istria, a Fiume e nella costa
dalmata negli anni tra il 1943
e il 1945 furono giustiziati dei
criminali fascisti da parte dei
partigiani comunisti, ed emigrarono numerose famiglie di
anticomunisti.
“All’origine di questi fatti stanno lo snaturamento dell’identità nazionale del
popolo jugoslavo e dei suoi
diritti, le vessazioni a cui è
stato sottoposto dall’imperialismo, dal nazionalismo e dal
fascismo italiano prima e, in
seguito, dall’aggressione e
dall’occupazione nazifascista”. Così come è detto ed è
dimostrato dall’articolo de “Il
Bolscevico” del 2005 “Sulla
questione delle foibe: origine, storia, cause e responsa-
bilità” che si trova sul sito del
PMLI al seguente link http://
www.pmli.it/questionefoibe.
htm.
Bambini internati dai fascisti
italiani nel campo di concentramento di Arbe (oggi Rab) che
fu creato nel luglio del 1942 ed
ospitò complessivamente circa 21.000 internati tra sloveni,
croati ed ebrei diventando il più
esteso e popolato campo di concentramento italiano. Il campo
si caratterizzò per la durezza del
trattamento riservato agli internati di etnia slava, dei quali un gran
numero perì di stenti e malattie
In piazza studenti e le vittime del decreto salvabanche
Contestata la Boschi a Pisa
Nel pomeriggio dello scorso 6 febbraio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Maria Elena
Boschi è stata oggetto di una
pesantissima contestazione
a Pisa, dove si era recata per
tenere una lezione magistrale presso la Scuola Normale
dal titolo ‘La nuova frontiera
dei diritti’.
A protestare erano due
gruppi distinti, uno di universitari e l’altro delle vittime del
decreto salvabanche di cui
hanno beneficiato anche suo
padre e la Banca Etruria in
cui era in posizione di vertice.
Di fronte all’evidente provocazione che a salire in cattedra sui diritti sia proprio
una ministra che ha peraltro
concepito e dato il suo nome
all’Italicum fascistissimum,
alcuni studenti universitari,
che protestavano per i tagli
di servizi alle università italiane e che contemporaneamente hanno offerto la loro
solidarietà agli ex obbligazionisti di Banca Etruria, hanno
esposto uno striscione su cui
è scritto “Cara Boschi, quali pari opportunità? Salvate
le banche per tagliare scuola, università, salute, sociale!
Che schifo!”.
A loro volta gli ex obbligazionisti hanno esposto una
foto della Boschi e uno striscione contro il salvabanche. Intervistati, alcuni manifestanti hanno manifestato
la loro intenzione di non indietreggiare nella protesta
contro la Boschi e l’ex pre-
sidente del Consiglio Matteo
Renzi, responsabili di tale
decreto che li ha mandati nel
lastrico.
“Ci appare surreale –
ha sostenuto la presidente
dell’associazione Vittime del
Salva Banche Letizia Giorgianni che era presente alla
manifestazione – che chi ha
attentato alla Costituzione,
fallendo in un tentativo di riforma bocciato dagli italiani, la stessa persona che ha
privato del diritto ai propri risparmi tanti cittadini, per la
prima e unica volta nella storia repubblicana, possa salire in cattedra a parlare di
cose che, evidentemente,
più di chiunque altro ignora”.
Dentro la sede universitaria, al termine della sua lezione, la Boschi, informata
nel frattempo delle proteste
che montavano nella piazza
davanti all’ateneo, ha avuto
anche l’ardire di lamentarsi
per essere stata attaccata in
quanto donna, una litania già
sentita e risentita ad esempio dall’ex ministro del lavoro
responsabile della mostruosa controriforma pensionistica che ha provocato il fenomeno degli esodati Elsa
Fornero.
Lungi dal dare una risposta ai motivi delle proteste,
la Boschi ha affermato che
in generale l’impeto polemico contro di lei sarebbe “molto collegato all’essere donna
in quanto tale, erano attacchi
collegati al genere più che al
lavoro svolto”, nascondendo
ai risparmiatori truffati dalla
banca diretta anche da suo
padre e agli studenti privati ogni giorno di più dei loro
elementari diritti non interessa a quale sesso appartiene
chi li priva dei loro diritti, interessa soltanto manifestare pubblicamente la loro rabbia e contrarietà verso chi ha
compiuto a suo tempo porcherie giuridiche anticostituzionali e avrebbe dovuto
avere il buon senso di non
salire in cattedra per tenere
una lezione di diritto.
Pisa 6 febbraio 2017.La protesta
degli studenti contro la Boschi organizzata fuori dell’ateneo
Non si ferma il “genocidio bianco” nell’hinterland partenopeo
Morti 8 bimbi in 20 giorni
nella “Terra dei fuochi”
Le responsabilità della giunta regionale De Luca richiamano quelle locali di Bassolino
e Caldoro e quelle nazionali di Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni
‡‡Redazione di Napoli
Si tratta di un vero e proprio “genocidio bianco” quello
che si sta consumando lentamente, silenziosamente e da
anni nell’hinterland napoletano con decine di morti che riempiono i muri della città del
cosiddetto “triangolo della
morte”, ossia nella parte che
va da Nola ad Acerra e precisamente vicino all’inceneritore inaugurato dal rinnegato
Bassolino con il beneplacito
del neoduce Berlusconi, fino
alla zona del giuglianese e
del casertano dove il pentito Schiavone ha individuato
centinaia di rifiuti tossici e nucleari mai smaltiti negli ultimi
dieci anni con le giunte antipopolari Bassolino e Caldoro.
Un disastro che vede la indomita protesta dei Comitati territoriali ambientali e ora
delle madri di queste terre
che hanno visto nell’ultimo
periodo la scomparsa della
loro prole. Si tratta di 8 bimbi che in un colpo e nel giro di
pochi giorni dall’inizio dell’anno sono morti nella maniera
più atroce, dilaniati da tumori e leucemie, nell’indifferenza delle istituzioni nazionali e
locali in camicia nera. Clamoroso quello che sta avvenendo a Casalnuovo, un comune
di 50mila abitanti alle porte di
Napoli, dove è raddoppiata la
mortalità per cancro dei giovani da 1 a 14 anni. Un dato
che è confermato dal progetto
“Sentieri” del 2016 dell’Istituto Superiore della Sanità che
parla di un “eccesso di tumori sui bambini già all’età di un
anno, in particolare viene interessato il sistema nervoso
centrale”, ossia tumori al cervello già in tenera età. Tutta
“colpa” dell’aria si potrebbe
dire che secondo uno studio
del Cnr e dell’Università “Parthenope” di Napoli in solo tre
mesi di osservazione era carica di un flusso di anidride carbonica di 5.500 kg l’ora, pari
a quasi 2mila automobili che
scaricano nell’ambiente.
Tra i responsabili di questo
inferno si può citare Mario De
Biase, ennesimo commissario per la bonifica della vasta
area di Giugliano in Campania che ha il compito di mettere in sicurezza 30mila tonnellate di materiale tossico
interrato; così si giustifica: “i
lavori per il risanamento della discarica Resit vanno a rilento, siamo stati fermi due
anni perché la ditta vincitrice
dell’appalto, la ‘3R’, venne indicata in rapporti con soggetti
di Mafia capitale e poi revocata l’interdittiva antimafia”.
Quando poi si chiede come
affrontare il dramma delle
ecoballe, 5 milioni e 60mila
tonnellate di spazzatura impacchettata, De Biase lancia
la favoletta che in cinque anni
i terreni delle zone interessate saranno di nuovo coltivabili
(sic!). Ormai si è fissi sulla politica dello scaricabarile, ma
rimangono chiare a noi marxisti-leninisti le responsabilità
politiche di questo genocidio
che non risparmia nemmeno
bimbi, giovani e giovanissimi
e che si dividono equamente gli ultimi governi nazionali (in particolare Berlusconi,
Monti, Letta, Renzi, Gentiloni) e quelli locali in camicia
nera, ossia Bassolino, Caldoro e ora De Luca, incapaci di dare una concreta risposta alla questione ambiente,
cominciando con l’assunzione immediata degli operatori ecologici formati con il progetto “Bros” e finendo per la
bonifica immediata e sistematica delle zone del giuglianese, del casertano e del vesuviano.
PMLI / il bolscevico 9
N. 7 - 23 febbraio 2017
Radicare ed
estendere il PMLI
per dargli un corpo
da Gigante Rosso
Ne abbiamo fatta tanta di
strada, e tutta in salita, per
costruire il Partito. Ma abbiamo le energie per scalare
le prossime vette ancora più
alte, che richiedono durissimi
sforzi e un impegno più qualificato. Anche perché abbiamo pochissimi mezzi e risorse economiche e siamo oggetto di un assordante silenzio stampa. La nostra è la tipica situazione in cui si trovano i pionieri che aprono una
nuova strada nell’incredulità e
nello scetticismo degli osservatori. (…)
Oggi più che preoccuparci di quando arriverà il socialismo, di quando avverrà
la svolta rivoluzionaria della lotta di classe, di quando il proletariato si schiererà
con noi, dobbiamo preoccuparci di dare al PMLI un corpo
da Gigante Rosso radicandolo ed estendendolo nelle città
e regioni dove siamo presenti,
in modo da ricavarne le forze
per espanderlo in tutta Italia.
Questo deve essere il nostro
obiettivo strategico a medio
termine. Questo è quello che
ci è richiesto dall’attuale lotta
di classe e dall’attuale situazione del nostro Paese. Se non
ce la facciamo a raggiungere
tale obiettivo a medio termine, non ci resta che rilanciarlo
una o più volte fino a conquistarlo. Non tutto dipende da
noi, cioè dalle nostre capacità
e dal nostro impegno. Noi abbiamo in mano solo metà della chiave del problema, l’altra
metà l’hanno la lotta di classe,
il proletariato e le nuove generazioni.
La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta, assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole
e delle università. Frequentiamola il più possibile per diffondere i messaggi del Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte
e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più
ad esse. Gli ambienti in cui
operiamo devono essere conosciuti a fondo e studiati in
maniera sistematica e tale da
aiutarci a intervenire con volantini, documenti, comunicati stampa, articoli ben calibrati
e fondati sulla realtà concreta.
(…)
Marx, Engels, Lenin, Stalin e
Mao ci hanno lasciato in eredità un grande patrimonio ideologico, politico e organizzativo, facciamolo fruttare. Ciascuno in base alle proprie possibilità e capacità e secondo il
posto e il ruolo che il Partito ci
ha assegnato. Con tranquillità e serenità,senza affanni, un
passo per volta, imparando e
insegnando gli uni dagli altri,
dando il meglio di noi stessi,
tenendo ben alte le bandiere
dei grandi maestri del proletariato internazionale, del socialismo, dell’anticapitalismo,
dell’antimperialismo, dell’antifascismo, dell’antirazzismo,
dell’internazionalismo proletario e del PMLI.
(Brani tratti dal discorso “Da Marx a Mao”
pronunciato da Giovanni Scuderi, Segretario
generale del PMLI, a Firenze l’11 settembre
2016 in occasione della Commemorazione
per il 40° Anniversario della scomparsa di
Mao)
PMLI / il bolscevico 11
N. 7 - 23 febbraio 2017
Militanti e simpatizzanti del PMLI lavoriamo uniti
per applicare le indicazioni di Scuderi sul Partito
di Antonio Leparulo
Il Partito ha chiesto al compagno Antonio Leparulo, Responsabile dell’Organizzazione
di Modena, una riflessione sul
paragrafo “Il Partito” del discorso del compagno Giovanni
Scuderi, “Da Marx a Mao”, in
base all’esperienza della propria
istanza. Ecco quanto ha scritto.
“Per combattere e sconfiggere il capitalismo e i suoi governi, occorre un forte, radicato
e legato alle masse partito autenticamente proletario, rivoluzionario e marxista-leninista”.
Così inizia il paragrafo “Il Partito” del discorso del compagno
Giovanni Scuderi, Segretario
generale del PMLI, a nome del
Comitato centrale, per il 40°
Anniversario della scomparsa
di Mao “Da Marx a Mao” pronunciato l’11 settembre 2016.
Questa frase dà molta importanza al nostro Partito e ai
suoi militanti nonché ai simpatizzanti ed amici, poiché,
direttamente o indirettamente
facciamo parte di un autentico
Partito marxista-leninista al servizio del proletariato. Lo dimo-
Nuovo volantinaggio
Le masse napoletane
approvano il
Documento dell’UP
del PMLI contro
il governo Gentiloni
Napoli 12 febbraio 2017. La diffusione in piazza del Gesù del
volantino del PMLI contro il governo Gentiloni (foto il Bolscevico)
‡‡Dal corrispondente
della Cellula “Vesuvio
Rosso” di Napoli
Domenica 12 febbraio, a
Piazza del Gesù, la Cellula
“Vesuvio Rosso” di Napoli
del PMLI ha diffuso centinaia
di volantini dal titolo: “Opponiamoci al governo Gentiloni
di matrice renziana antipopolare, piduista e fascista. Lottiamo per aprire la strada al
socialismo e al potere politico
del proletariato”.
Alle 10.30 i compagni,
guidati dal compagno Andrea, Segretario della Cellula
partenopea, hanno iniziato la
diffusione favoriti da un clima
soleggiato, riscontrando sin
da subito l’apprezzamento
dei passanti, attratti dal rosso
del volantino, che concordavano senza alcun equivoco
che il governo Gentiloni è di
matrice renziana e che per
tale motivo non poteva che
continuare a danneggiare le
masse popolari e il proletariato in primis. Diversi conservavano in tasca il volantino anche dopo averlo letto.
Data la posizione della
piazza - nel pieno centro storico di Napoli – i compagni
hanno divulgato il volantino
anche ai numerosi turisti di
passaggio, sia italiani che
stranieri. Nel giro di un’ora,
un’ora e mezza i volantini venivano esauriti tra l’ approvazione di chi ha già capito che
il governo Gentiloni nulla farà
per il Sud e il Mezzogiorno.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 15/2/2017
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
stra innanzitutto la grandiosa
coscienza di classe che solo i
seguaci del PMLI riescono ad
esprimere anche nelle piazze
che, nonostante i nostri mezzi limitati e le poche forze che
disponiamo, riusciamo a frequentare in maniera costante,
ricevendo l’apprezzamento delle masse popolari, non badando ai sacrifici e agli attacchi cui
siamo sottoposti da parte della
borghesia e dalle sue istituzioni
e partiti. Come afferma Scuderi, “La nostra stessa esperienza
dimostra che solo coloro che
vogliono veramente e nei fatti
trasformare l’Italia e se stessi,
costi quel che costi, sono capaci di affrontare e superare tutte
le avversità e le prove della lotta
di classe, nonché quelle della
propria vita personale: disoccupazione, licenziamenti, malattia,
vecchiaia, problemi familiari. Il
che non significa che non possa
sopraggiungere, come accade
specie tra i militanti più deboli
ideologicamente e più sensibili
alla propaganda borghese e dei
falsi comunisti, un momento di
scoramento, di pessimismo,
constatando la lentezza della
crescita numerica del Partito,
la lontananza dell’avvento del
socialismo e le difficoltà per ottenere il consenso e l’appoggio
delle masse che già ci conoscono”.
Non è un caso che il 9 Aprile
2017 il PMLI festeggerà i suoi
primi 40 anni al servizio del proletariato e contro il capitalismo
e i suoi governi, siamo molto
fieri dell’evento e si trovano
sicurezza e forza proletaria rivoluzionaria dalle parole del
nostro Segretario generale “Ne
abbiamo fatta tanta di strada,
e tutta in salita, per costruire il
Partito. Ma abbiamo le energie
per scalare le prossime vette
ancora più alte, che richiedono
durissimi sforzi e un impegno
più qualificato. Anche perché
abbiamo pochissimi mezzi e
risorse economiche e siamo
oggetto di un assordante silenzio stampa. La nostra è la tipica situazione in cui si trovano i
pionieri che aprono una nuova
strada nell’incredulità e nello
scetticismo degli osservatori”
e da Mao “Il risveglio politico
del popolo non è una cosa
facile. Per eliminare le idee
errate diffuse fra il popolo,
dobbiamo fare seri e considerevoli sforzi”. Dobbiamo
sforzarci di essere avanguardie
proletarie all’interno e al di fuori
del Partito, Mao su questo ci dà
grande forza: “Chi non ha paura di morire di mille ferite, osa
disarcionare
l’imperatore,
questo è l’indomabile spirito
necessario nella nostra lotta
Il compagno Leparulo interviene
alla 38° commemorazione di Mao
tenutasi a Firenze il 7 settembre
2014
per il socialismo e il comunismo”.
Studiare le cinque opere
fondamentali dei cinque grandi
Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin,
Stalin e Mao, studiare il nostro
territorio, studiare i problemi
delle masse applicando la parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle
priorità, studiare”, in base alla
linea ed allo Statuto del Partito, nonché dai documenti del
Comitato centrale, se stiamo
fermi, non studiamo e non agiamo, non daremo mai un corpo
da Gigante Rosso al PMLI e
non daremo nessun aiuto alla
causa del proletariato.
I militanti del PMLI non sono
semplici iscritti, il PMLI non è il
partito cui si bussa alla porta per
ritirare la tessera, i militanti sono
avanguardie proletarie formate
dal Partito che li segue passo
passo durante la candidatura,
fino ad arrivare alla conferma
della militanza col passaggio
a membro effettivo del Partito.
Spiega Scuderi: “Ai nuovi militanti, fin dal primi giorni in cui
entrano nel Partito, dobbiamo
spiegare a fondo tali indicazioni
affinché essi siano pienamente
coscienti della scelta ideologica, politica e organizzativa fatta,
che non può non comportare
una svolta radicale della propria
vita. Essi vanno presi per mano
per tutto il periodo della loro
candidatura, e lasciandogliela
solo quando siamo sicuri che
sono in grado di camminare ideologicamente, politicamente e
organizzativamente con le proprie gambe. Non a tutti è concesso di essere marxisti-leninisti, anche se tutti i membri del
proletariato, del popolo e delle
masse giovanili possono diven-
tarlo. Ci vuole la stoffa di Marx,
Engels, Lenin, Stalin e Mao,
dei martiri comunisti italiani e
dei vari paesi, dei fondatori del
PMLI fedeli alla causa”. Affermò
Stalin, commemorando Lenin
nel 1924 “Noi comunisti siamo
gente di una fattura particolare. Siamo fatti di una materia
speciale. Siamo coloro che
formano l’esercito del grande
stratega proletario, l’esercito
del compagno Lenin. Nulla è
più elevato dell’onore di appartenere a questo esercito.
Nulla è più elevato dell’appellativo di membro del partito
che è stato fondato e diretto
dal compagno Lenin. Non a
tutti è dato essere membri di
un tale partito. Non a tutti è
dato sopportare i rovesci e le
tempeste che l’appartenenza
a un tale partito comporta. I
figli della classe operaia, i figli
del bisogno e della lotta, i figli
delle privazioni inimmaginabili e degli sforzi eroici: ecco
coloro che innanzitutto, debbono appartenere a un tale
partito. Ecco perché il partito
dei leninisti, il partito dei comunisti, si chiama al tempo
stesso partito della classe
operaia”.
Oggi il nostro obiettivo strategico a medio termine è dare
al PMLI un corpo da Gigante
Rosso, se non ce la facciamo
nell’immediato non dobbiamo
scoraggiarci, dobbiamo perseguirlo fino a conquistarlo.
Lavorando con grande forza
nelle piazze, il nostro ambiente
naturale e di lotta, “assieme a
quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università” affinché le nostre posizioni
vengano accettate dalle masse
occupandosi delle loro problematiche. Per far ciò il compagno Scuderi ci dà indicazioni
sul metodo di lavoro “Nei nostri
interventi orali e scritti teniamo
sempre presente tre cose: massima dialettica, argomentazione
e documentazione”.
Un altro tema fondamentale su cui dobbiamo riflettere è
quello delle contraddizioni nel
Partito. “Le contraddizioni in
seno al popolo e le contraddizioni antagonistiche, fin qui il
nostro Partito – rileva il compagno Scuderi - le ha affrontate
in maniera corretta attraverso
la critica e l’autocritica in modo
franco, leale, sincero e con spirito unitario. Dobbiamo continuare a fare così anche in futuro. È la nostra forza. Quando
le nostre opinioni non vengono
condivise, non è il caso di prendersela sul piano personale, di
drammatizzare o rompere col
Partito. Bisogna sempre saper
aspettare che i nuovi avveni-
menti e i fatti ci diano ragione.
Se ogni militante o simpatizzante attivo rompesse col Partito per una qualsiasi questione,
anche se importante e rilevante,
alla fine il PMLI cesserebbe di
esistere. Chi se ne avvantaggerebbe allora? Il proletariato o la
borghesia, l’antimperialismo o
l’imperialismo? Rimaniamo uniti
e in cordata, aiutandoci l’un l’altro a scalare le montagne che
ci attendono nella nostra Lunga
Marcia politica e organizzativa”.
Dalle parole di Scuderi si evince la forte natura di classe e
marxista-leninista del Partito;
tutti, nessuno escluso, anche i
simpatizzanti attivi se abbiamo
a cuore la causa del proletariato, del socialismo e del PMLI e
ci identifichiamo in essa, come
sinceri rivoluzionari non possiamo rompere con il Partito.
Il Partito si fonda sul centralismo democratico, sulla critica e
sull’autocritica e raccoglie a sé
i sinceri rivoluzionari. Se non vi
è confronto, se non si risolvono anche le più piccole incomprensioni, il Partito ne risentirà,
anche sul piano dei rapporti tra
compagni, militanti o simpatizzanti. Dobbiamo essere coscienti che la borghesia, sotto
qualsiasi forma si manifesti,
farà di tutto per corromperci,
per metterci l’uno contro l’altro
per disgregare il Partito.
Noi tutti, militanti e simpatizzanti attivi, dobbiamo essere lo
scudo rosso del PMLI, tutti uniti
dietro di esso per applicare le
indicazioni di Scuderi sul Partito. La storia e il tempo ci daranno ragione.
Viva i grandi Maestri del proletariato internazionale!
Prendiamo esempio da
Marx, Engels, Lenin, Stalin e
Mao per trasformare l’Italia e
noi stessi!
Viva il marxismo-leninismopensiero di Mao!
Gloria eterna a Marx, Engels,
Lenin, Stalin e Mao!
Con Marx, Engels, Lenin,
Stalin e Mao per sempre contro
il capitalismo per il socialismo!
Opponiamoci al governo
Gentiloni di matrice renziana,
antipopolare, piduista e fascista!
Lottiamo per aprire la strada
al socialismo e al potere politico del proletariato!
Lavoriamo uniti per dare
al PMLI un corpo da Gigante
Rosso!
Tutto per il PMLI, il proletariato e il socialismo!
Avanti con forza e fiducia
verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
Accade nulla attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita
e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere
e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno
ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere,
Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
12 il bolscevico / no al “giorno del ricordo”
N. 7 - 23 febbraio 2017
Comunicato dell’Organizzazione di Modena del PMLI
La “giornata del ricordo” è un oltraggio
ai valori della Resistenza e del socialismo
La giunta comunale di Modena, guidata dal sindaco del PD
Gian Carlo Muzzarelli, si appresta a celebrare, davanti al monumento dedicato ai “martiri” delle
foibe, in Piazzale Natale Bruni, il
10 febbraio, come ogni anno, il
“giorno del ricordo” delle “vittime” delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, istituito nel 2004
dal parlamento dominato dalla
maggioranza neofascista del neoduce Berlusconi.
Questa giornata è la rappresentazione dell’ignobile parlamento italiano borghese complice da sempre dei crimini contro
l’umanità perpetrati dal sistema
imperialista e capitalista e l’attuale linea del governo Gentiloni,
senza dubbio, non se ne discosta.
L’istituzione della “giornata
del ricordo” maschera le atrocità
commesse dai nazisti tedeschi e
dai fascisti italiani quando invasero la Jugoslavia procedendo
a un processo di italianizzazione forzata, mettendo a bando
la lingua slovena e croata, la
libertà di stampa e i partiti antifascisti. Furono inoltre costruiti
campi di concentramento nazi-
fascisti dove circa 11mila persone morirono di fame e malattie.
Omettendo queste gravi atrocità
si parla delle foibe come un fenomeno a sé stante, come una
sorta di follia scagliata contro gli
italiani “brava gente”.
La speciale attenzione a questi fatti ci dice che la Resistenza
jugoslava è stata grandiosa e
di conseguenza il revisionismo
neofascista, attraverso i massmedia al soldo del capitalismo
e della borghesia reazionaria,
criminalizza intenzionalmente il
concetto di Resistenza antifascista e quindi inevitabilmente
condanna anche la Resistenza
italiana. Gli storici revisionisti,
nascondendo le atrocità nazifasciste nei confronti delle popolazioni slave vogliono influenzare
l’opinione pubblica attraverso
l’ignobile e improponibile concetto della “memoria condivisa”,
equiparando così carnefici e vittime. Come dicevano i partigiani
jugoslavi contro l’occupazione
nazifascista “Morte al fascismo,
libertà al popolo!”.
L’Organizzazione di Modena
del PMLI
10 febbraio 2017
Dietro al “giorno del ricordo” si nascondono le peggiori
atrocità commesse dal fascismo italiano e dal nazismo
di Stefano Dondi, simpatizzante
dell’Organizzazione di Modena del
PMLI
Una vera giornata della vergogna italiana, quella istituita il 10
febbraio 2004, celebrata annualmente e denominata con infamia:
“giorno del ricordo”.
La propaganda nazionale
mass-mediatica, messa in opera
a viva voce dai vili poteri forti costituiti di stampo capitalista-imperialista e la nefasta montatura
ideologica tronfia di patriottismo
nazionalista, relativa alla celebrazione dei cosiddetti “martiri delle
foibe ed esodo giuliano-dalmata”
è l’epitaffio legislativo dell’ignobile
parlamento italiano democraticoborghese, sovrastruttura politicoculturale complice da sempre dei
crimini dell’umanità attuati dal
sistema capitalista e imperialista;
infatti, nel corso della storia (contemporanea), dall’istituzione del
parlamento italiano nel secondo
dopoguerra ad oggi, con l’attuale
linea ideologica condotta dall’antipopolare governo Gentiloni di
matrice renziana, si può constatare, senza alcun dubbio, la propria precisa presa di posizione
ideologica di carattere liberalereazionaria, e cioè, fascista!
Codesti politicanti, lacchè della borghesia capitalista e imperialista, si succedono e si alternano
vicendevolmente tra un governo
italiano e l’altro, attraverso scambi di potere, favoritismi e gratificazioni istituzionali con annessi
massimi privilegi e notorietà pubblica.
La famigerata istituzione della
“giornata del ricordo” maschera
le peggiori atrocità commesse
dall’imperialismo nazifascista nel
corso del XX secolo; questa è la
verità, codesta è la memoria storica.
A proposito del revisionismo
attuato a spron battuto attraverso la suddetta istituzione del
“giorno del ricordo”, è doveroso
richiamare le atroci affermazioni di Benito Mussolini nel 1920:
“Di fronte ad una razza inferiore
e barbara come la slava, non si
deve seguire la politica che dà lo
zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano
sacrificare 500.000 slavi barbari a
50.000 italiani”. Affermazioni da
carogna con la “C” maiuscola.
Gli eventi nel confine
orientale
Entriamo nella verità e nella
memoria storica, facendo luce
sugli eventi nel confine orientale,
quando durante la II guerra mondiale, i nazisti tedeschi, i fascisti
italiani e gli alleati ungheresi e
bulgari invasero la Jugoslavia.
Dalla divisione dei territori conquistati all’Italia spettarono una
metà della Slovenia, la Dalmazia
e l’intero Montenegro.
A cavallo degli anni ’20 del
secolo scorso, avvenne l’italianizzazione forzata nei territori
limitrofi oltre-confine, precedentemente annessi: giunsero funzionari e operatori italiani che sostituirono i lavoratori locali, l’italiano
diventò la lingua ufficiale, mentre
vennero messe al bando la lingua
slovena e croata. Le scuole slovene furono chiuse e i loro insegnanti costretti al licenziamento,
al confino o all’emigrazione. Si
fecero cessare le attività delle associazioni culturali non italiane; i
partiti antifascisti vennero posti
fuori legge insieme alla stampa
locale (tranne quella allineata,
cioè italiana!).
Durante l’invasione nazifa-
Eccidio compiuto dai fascisti italiani nel villaggio sloveno di Radoh
scista, la Slovenia divenne “provincia di Lubiana” governata dal
feroce squadrista fascista, Emilio
Grazioli che fascistizzò la provincia creando una serie di istituzioni
repressive cui aderirono, in nome
dell’anticomunismo, molti nobili e
i vertici della Chiesa. Operai, artigiani, intellettuali, studenti e contadini slavi non furono disposti ad
accettare l’occupazione nazifascista, così si formò il Fronte di
liberazione in collegamento con il
movimento di liberazione diretto
da Tito.
Nel febbraio del 1942, il nuovo
comandante della II armata fascista, il generale Mario Roatta, agì
con tale ferocia che la città di Lubiana divenne un enorme campo
di concentramento circondato da
filo spinato e diviso in settori senza possibilità di collegamento. Ci
fu un enorme rastrellamento e, in
pochi giorni, le caserme si riempi-
Studiare, capire
e agire in base
al paragrafo Il Partito
del discorso di Scuderi
“Da Marx a Mao”
pubblicato su “Il Bolscevico” n. 34/16 e sul sito
http://www.pmli.it/articoli/2016/20160914_34a_discorsoScuderiMarxMao.html
rono di migliaia di civili arrestati.
La Croazia venne riconosciuta come regno indipendente ma
con un Savoia proposto come
regnante; inoltre, l’amico e pupillo di Mussolini, Ante Pavelić
(designato come primo ministro)
e i suoi Ustaša (i fascisti croati)
in sinergia con l’esercito italiano,
fecero partire una feroce caccia
al serbo che seminò terrore con
saccheggi, torture, mutilazioni,
deportazioni nei campi di concentramento e uccisioni di massa.
In Montenegro le truppe di occupazione si distinsero per brutalità nei confronti dei civili tanto da
essere soprannominate pali kuće
(brucia case). È questo il periodo
di maggiore violenza da parte
delle milizie fasciste italiane.
Alla fine della seconda guerra
mondiale la Jugoslavia risulterà
uno dei Paesi con il più elevato
numero di perdite: un milione e
mezzo di persone su 16 milioni
di abitanti di cui oltre 250 mila risultano morti per mano italiana, e
solo una piccola parte di essi in
combattimento. Il generale Roatta e il generale Robotti misero in
atto una vastissima azione contro
gli antifascisti deportando intere
popolazioni.
La circolare 3C, famigerato
documento di morte, prevedeva
la fucilazione di ostaggi soprattutto se comunisti, la fucilazione
di uomini adulti che provenivano
da paesi in cui erano avvenuti
atti di sabotaggio contro i nazifascisti, la deportazione del resto
della popolazione: donne, bambini, vecchi, il bombardamento e
l’incendio con i lanciafiamme dei
villaggi. In questa circolare è inserita la seguente frase sul comportamento da tenersi con gli
slavi: “non dente per dente, ma
testa per dente”.
L’opera di assimilazione (forzata) nei confronti delle popolazioni slave che entrarono a
far parte del territorio nazionale
italiano fu messa in atto dagli
occupanti con la costruzione di
campi di concentramento, brevetto tedesco sì, ma che gli italiani seppero gestire in pieno con
l’internamento di almeno 100.000
prigionieri sloveni, croati e montenegrini; di conseguenza, circa
11mila persone, donne, uomini,
bambini, intere famiglie, morirono
nei campi di concentramento, di
fame e malattie.
I lager italiani furono numerosi, i più conosciuti quelli di Hvar,
Rab, Lopud, Gonars e Visco in
provincia di Udine, Cairo Montenotte (Savona), Alatri (Frosinone),
Monigo (Treviso), Chiesanuova
di Padova, Renicci di Anghiari
(Arezzo), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), molti altri campi, istituiti e
sparsi sulla dorsale appenninica
e sulle isole hanno conosciuto la
propria vergognosa pagina di deportazioni, internamenti e morte.
In realtà chi è finito
nelle foibe?
Omettendo fatti ed eventi
precedentemente citati, si arriva
a parlare delle “foibe” come un
fenomeno a sé stante, come una
sorta di follia scagliata contro gli
italiani “brava gente”. Ma in realtà
chi è finito nelle foibe?
I profili di coloro che risultano
infoibati sono quasi tutti di adulti
compromessi con il fascismo, per
quanto riguarda le foibe istriane
del 1943; e con l’occupante tedesco per quanto riguarda il 1945.
Questo
diventa
evidente
quando si vanno ad analizzare i
documenti ufficiali, rilevanti, che
però la gran parte degli “storici”
in tanti anni non ha assolutamente elaborato, accontentandosi di
riprendere i temi e le argomentazioni della propaganda neofascista.
Occorre aggiungere che i numeri non sono assolutamente
quelli della propaganda attuale
revisionista: è assodato che in
Istria nel 1943 le persone uccise sono circa 500, la gran parte
uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei
nazifascisti.
Nel 1945, le persone “infoibate” furono alcune decine, e per
queste morti ci furono nei mesi
successivi dei processi e delle
condanne, da cui risultava che si
era trattato in genere di vendette
personali nei confronti di spie o
ritenute tali.
C’è poi l’episodio della foiba
Plutone, da cui furono estratti 18
corpi, in cui gli “infoibatori” erano
appartenenti alla Decima Mas (fascisti) e criminali comuni infiltrati
fra i partigiani, i quali furono arrestati e processati dagli jugoslavi
stessi.
Se si analizzano il contesto
e le documentazioni esistenti, si
constata una varietà di casi che
non possono assolutamente
corrispondere ad un progetto di
“pulizia etnica” da parte degli jugoslavi.
Per quanto riguarda il cosiddetto “esodo”, occorre rinnovare
di nuovo la memoria, e cioè, che
durante i giorni dell’amministrazione jugoslava, furono istituiti
tribunali del popolo e vennero
portati a processo solo coloro
che avevano collaborato con i
nazifascisti.
Fuori dai tribunali la repressione fu usata contro chi premeva
per la giustizia di strada e le vendette di piazza; non si hanno notizie di rilevanti episodi di violenze
ai danni degli italiani, i processi
che videro alla sbarra traditori e
nemici del popolo erano rappresentati dai fascisti (certamente
italiani), ma anche da tutti quelli
che avevano in qualche modo
appoggiato il precedente regime
nazifascista e che si opponevano
alla liberazione della Jugoslavia,
tra questi, anche i giuliani proprietari di fabbriche, miniere e
campi che prevedevano la fine
dei propri profitti con l’avvento
del socialismo. Si confonde il cosiddetto “esodo”, anche con la
scelta di coloro (italiani) che rifiutarono l’avvento del socialismo in
Jugoslavia, e cioè, gli anticomunisti di varia estrazione, i liberali,
gli elementi fascistoidi e soprattutto coloro che appartenevano
alla classe padronale.
La grande attenzione a questi
fatti ci dice che la resistenza jugoslava fu grandiosa.
Di conseguenza il revisionismo neo-fascista, attraverso la
feccia mass-mediatica perversa
assoldata dal capitalismo, criminalizza intenzionalmente il concetto paradigmatico di Resistenza antifascista, inevitabilmente si
condanna anche la Resistenza
italiana; lo dimostrano le ignobili
pubblicazioni di Giampaolo Pansa.
E’ questo il bieco lavoro con
cui gli storici revisionisti speculano e si divertono perché, nascondendo le efferate atrocità attuate
dal nazifascismo per oltre venti
anni nei confronti delle popolazioni slave, si vuole influenzare
l’opinione pubblica attraverso
l’ignobile e improponibile concetto della “memoria condivisa”,
equiparando così, carnefici e vittime.
cronache locali / il bolscevico 13
N. 7 - 23 febbraio 2017
Per dire No allo slargo intitolato al caporione fascista Almirante
Presidio antifascista a Catania
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Stalin” della
provincia di Catania del
PMLI
Domenica 12 febbraio si è
svolto a Catania un presidio antifascista davanti al municipio
di S. Gregorio per contestare
la scelta dell’amministrazione
comunale di “centro-destra”
del sindaco Carmelo Corsano,
con l’appoggio di una lista civica, di intitolare uno slargo al
noto caporione fascista Giorgio
Almirante.
Il presidio è stato indetto
dall’associazione “Noi democratici” (Formazione socioculturale uscita dal PD per dissensi) che si è battuta con forza
perché questa decisione non
fosse attuata. Oltre agli organizzatori erano presenti l’Anpi, il
PMLI e altre associazioni.
In molti hanno protestato e
contestato questo atto considerandolo un’offesa alla memoria
di chi ha dato la vita nella lotta
al fascismo. L’Anpi, in un comu-
Il PMLI è stato accolto con interesse dai manifestanti
nicato, denuncia: “Ci sembra
del tutto improponibile intitolare uno slargo ad un uomo come
Almirante che ha partecipato
come protagonista alla rivista
del nascente razzismo fascista,
contribuendo in prima persona
alla persecuzione antiebraica.
Almirante ha svolto un ruolo
importante nella repubblica di
Salò, firmando anche il bando
di fucilazione di giovani italiani
che rifiutavano di arruolarsi nella Rsi. L’Anpi si oppone con fermezza all’intitolazione prevista
per il 12 febbraio”.
I fascisti hanno alzato la testa
grazie al revisionismo storico
attuato proprio dalla “sinistra”
di regime che sostiene “non ci
sono più nemici ma avversari
politici”, mentre il fascismo esiste ancora ed è di nuovo al potere nella forma della seconda
repubblica neofascista funzionale al capitalismo.
Il PMLI ha partecipato al
presidio portando la solidarietà antifascista alla popolazione
di S. Gregorio per aver subito
questa offesa, per lo più senza
essere consultata, e alle forze
Catania 12 febbraio 2017. Un momento del presidio antifascista davanti al municipio di S. Gregorio contro la decisione di intitolare uno
slargo al noto caporione fascista Almirante (foto il bolscevico)
sociali che si sono battute per
far sì che lo slargo fosse intitolato alle vittime del fascismo. I
marxisti-leninisti sono stati accolti con interesse dai manifestanti che hanno dialogato con
i compagni con reciproco rispetto, hanno scambiato le loro
opinioni sentendosi uniti nel
fronte antifascista. Il compagno
Sghembi, dell’Organizzazione
locale del PMLI, ha chiarito che
il fascismo di oggi è di tipo nuovo, non dichiarato ma di fatto
ha portato all’affossamento
della Costituzione democratico-borghese del ‘48. al punto
che oggi c’è una generalizzata
rivalutazione del fascismo e il
governo centrale e i governi locali si permettono di concedere
ad un criminale fascista, come
Almirante, il titolo di uno slargo
non tenendo conto delle proteste della popolazione.
Dopo la vittoria del NO che
ha bloccato la controriforma
costituzionale, la lotta deve
continuare contro il capitalismo, per i diritti delle masse
popolari a partire dal lavoro,
dove il 40,1% dei giovani sono
disoccupati e costretti ad emigrare, per colpa del Jobs Act,
per ripristinare, l’articolo 18, anche se la Consulta ne ha bocciato il referendum, e contro i
voucher. Pronti a lottare contro
i tagli alla scuola pubblica, alla
sanità e per una alimentazione
e una vita sana.
Il PMLI è sempre pronto al
dialogo e disponibile a costruire un fronte unito antifascista
perché sia la popolazione di
S. Gregorio a decidere il nome
da dare allo slargo. Occorre intensificare la mobilitazione per
mettere fuorilegge le organizzazioni neo fasciste, per abbattere il governo Gentiloni, per
la libertà delle masse popolari
dall’oppressione capitalista dei
suoi governi centrale e locali,
per il socialismo.
Intanto il sindaco di Pelago Zucchini (PD) scarica le proprie responsabilità sui migranti
Valdisieve: disastro accoglienza per i richiedenti asilo
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di
Rufina del PMLI
Il 22 dicembre scorso il sindaco di Pelago Zucchini (PD)
ha inviato una lettera indirizzata
al sindaco della città metropolitana Nardella, al presidente
dell’Anci Matteo Biffoni e al
prefetto di Firenze, riguardante la contrarietà del comune di
Pelago a sostenere il peso di
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
FEBBRAIO
10-17
Osrl Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Osp-Ugl, Faisa-Cisal, OrsaAutoferro Tpl.Fast-Mobilità e Orsa-Ferrovie - Sciopero del
personale del trasporto pubblico locale e ferroviario con
PRGDOLWjGLYHUVLÀFDWHVXOWHUULWRULR
Slc-Cgil – Telecomunicazioni - Telecom Italia-Tim – Sciopero
degli straordinari/reperibilità e ultimi 90 minuti di ogni turno
di lavoro dal 17/2 al 16/3
17
21
23
Unione Nazionale Giudici di Pace, Associazione Nazionale
Giudici di Pace – Sciopero dei Magistrati professionali
e onorari
Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Ta - Sciopero personale
delle aziende del settore trasporto aereo rappresentate da
Assaereo, Assaeroporti, Fairo e Assohndlers e di Aviation
Services Spa,Aviapartner Handling Spa,WFS Ground Handling
Srl, Consulta Spa, GH Aircraft Clening Services Srl,LP Industrial
Spa,On Board Catering Srl,AYS,Full Cleaning, AC95 SP
Anpac – Sciopero personale navigante (piloti e assistenti di
volo) Air Italy SpA
Cub-Trasporti -Aereo – Sciopero personale Gruppo Alitalia-Sai
RSA Anpav-Aereo – Sciopero personale navigante di cabina
del Gruppo Meridiana
Osr Filt-Cgil/Fit-Cisl/Uilt-Uil/Ugl-Ta Aereo – Sciopero del
personale delle aziende Handling che effettuano pulizie di
bordo presso l’aeroporto di Fiumicino
23-24
Rete dei 65 movimenti - Presidio a Roma davanti
a Montecitorio per il ritiro dei decreti attuativi
della “riforma” della scuola
MARZO
8
Usb,Usi-Ait, Sial-Cobas, Slai-Cobas, - Sciopero Generale di
tutte le categorie pubbliche e private in adesione all’iniziativa
di “Non una di meno” di sciopero globale delle donne
17
Cobas, Unicobas – Sciopero generale della scuola contro la
legge 107 e i decreti attuativi
Ospiti ricoverati in strutture fatiscenti
ulteriori arrivi di richiedenti asilo; pare siano 25 quelli previsti
nella struttura “Il Peraccio” nella frazione di Paterno. Il sindaco, che capeggia una giunta di
cui fa parte il PRC, ha chiesto
il riequilibrio della distribuzione
dell’“accoglienza diffusa del
modello toscano”, coinvolgendo nei bandi per le strutture
ricettive quei comuni che non
hanno finora accolto alcun richiedente asilo.
All’origine di questa richiesta, c’è un incontro avvenuto
proprio a Paterno, in un’assemblea del 19 dicembre, nella
quale la popolazione ha fatto
emergere i disagi relativi al trasporto pubblico della direttrice
Saltino-Pontassieve, e la quasi
completa saturazione della capienza degli autobus che effettuano il servizio della mattina
intorno alle sette in direzione
Pontassieve, frequentato da
molti studenti. Secondo alcuni partecipanti all’assemblea,
la causa del sovraffollamento
dei bus sarebbe da ricercare
nell’uso dei mezzi pubblici da
parte di un folto numero di richiedenti asilo ospitati nelle
strutture a Saltino-Vallombrosa-Tosi.
Le reazioni delle
altre forze politiche
comunali
Questa presa di posizione
del sindaco ha ricevuto le critiche della lista d’opposizione
“Pelago insieme per cambiare”
di Sinistra Italiana, che considera offensiva e non pertinente la
distinzione fatta fra “cittadini” e
richiedenti asilo, anziché considerarli tutti utenti di un servizio
pubblico. Secondo il consigliere
Rubino anche il rilanciare l’accusa di non pagare il biglietto,
porta in se il rischio conseguente di alimentare forme di razzismo. Il sindaco ha minimizzato
dichiarando che era necessario
motivare la richiesta con “trasparenza” e nell’ambito della
“legalità”. Zucchini ha poi sottolineato che, secondo gli accordi
tra prefettura e cooperative che
si occupano dell’accoglienza, il
diritto allo spostamento e le risorse per prendere i mezzi pubblici ci devono essere.
A seguito della vicenda, il
sindaco del PD ha incassato
piena solidarietà dall’opposizione di destra “Pelago 2.0”
che, per bocca del consigliere
Luca Vigni, ha dichiarato: “in un
paese civile e moderno all’appello del sindaco dovrebbe
seguire un’immediata presa di
posizione per trovare soluzioni adeguate e impedire da una
parte nuovi disagi agli utenti e
dall’altra soluzioni a un problema quanto mai attuale”. Sottolineando che quello sollevato da
Zucchini è “un problema scomodo a tutti”, la destra punta
strumentalmente il dito contro
la sedicente omertà delle amministrazioni locali targate PD
che non arrivano, almeno fino
ad oggi, a definire pubblicamente gli immigrati stessi un
problema.
La posizione del PMLI
L’Organizzazione di Rufina
del PMLI condanna l’opportunismo del sindaco Zucchini
che, allineandosi ai toni emersi
nell’assemblea di Paterno, non
fa altro che giustificare e fomentare forme di razzismo, di
xenofobia e non accettazione
nei confronti dei richiedenti asilo da parte della popolazione,
vittima a sua volta delle politiche neoliberiste e dello smantellamento graduale e ultradecennale della spesa pubblica e
dello “Stato sociale” tanto care
al PD. È giusto che un sindaco
chieda l’aumento del servizio di
trasporto pubblico, ma vorremmo ricordargli quali sono il ruolo
e le responsabilità politiche del
suo partito nella privatizzazione dei trasporti pubblici e nelle
politiche di tagli alla spesa pubblica. Privatizzazioni, come nel
caso specifico, atte a tutelare i
profitti di aziende e cooperative
non solo per quanto riguarda i
trasporti, ma anche sulla pelle
dei migranti, come dimostra
la situazione della frazione del
Saltino in cui la gestione del
centro di accoglienza è stata affidata ad un’associazione
temporanea d’impresa dove
spicca la presenza, oltre che
di una cooperativa di Napoli,
la Alma Mater, della PLM, una
pasticceria di Prato. Perché il
sindaco Zucchini non mette
a conoscenza la popolazione
su chi gestisce l’accoglienza e
su chi sono i vertici di queste
due aziende? La popolazione
sa in quali strutture fatiscenti
e mancanti pure dell’impianto
di riscaldamento, come nella
struttura del Saltino, vengono
ricoverati i richiedenti asilo?
Forse è stata scambiata l’accoglienza con la ghettizzazione?
Forse i 31 euro al giorno più Iva
che le imprese intascano per
l’accoglienza di ciascuno dei
102 richiedenti ospitati al Saltino non è sufficiente per fornire
loro un abbonamento per il trasporto, sempre che l’accusa
di non pagare il biglietto abbia
fondamento?
Sterile ci pare la posizione
espressa da “Pelago insieme
per cambiare” che si sofferma
solo sulla critica del metodo e
dello stile della lettera del sindaco, non proponendo alternative
nello specifico e nel merito della
questione. Condanniamo invece con forza la fascista ricetta
del capogruppo di Fratelli d’Italia alla regione Toscana Donzelli
espressa su “il Giornale” del 25
gennaio secondo cui la pretesa
di rendicontazione delle spese
da parte dei soggetti che svolgono i servizi d’accoglienza, è
uno specchietto per le allodole
in quanto il nocciolo della proposta per risolvere la questione
è quella di fermare tout-court
gli sbarchi dei migranti.
Inoltre, pensiamo che quanto proposto in tema di integrazione dalle amministrazioni di
tutta la Valdisieve quali feste,
cene, partite di calcetto, latenti
progetti educativi spesso realizzati esclusivamente con giovani
volontari, possa rappresentare
solo un contorno a un vero e
concreto inserimento effettivo
nel tessuto sociale.
Come si vede la negazione
dei diritti per profughi e migranti è una costante anche
nella Toscana governata dalla
“sinistra” borghese. Sono stati
finanziati sporadici “progetti”
finalizzati soprattutto a creare
opportunità economiche e a
ingrassare associazioni e cooperative coinvolte, secondo la
filosofia della sussidiarietà, ma
non sono stati garantiti i diritti
fondamentali dei migranti.
Anche in Valdisieve è completamente assente una politica
progressista che riconosca pari
diritti sociali, civili e politici a
tutti gli immigrati. Lo Stato deve
garantire con regole universalistiche, attraverso la fiscalità generale e le strutture pubbliche,
il soddisfacimento dei diritti
essenziali delle masse popolari,
dei lavoratori immigrati e dei richiedenti asilo, quali una degna
e effettiva accoglienza, il lavoro,
la casa, l’istruzione e la cultura,
l’assistenza sanitaria e previdenziale, la pensione il riposo.
La questione dell’immigrazione non troverà una giusta
soluzione finché sarà gestita
con la logica capitalista dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo e con la speculazione; in
questo caso siamo di fronte a
un’emergenza umanitaria senza
precedenti che tra le sue cause
principali annovera secoli di colonialismo e imperialismo. Ma
forse per le istituzioni borghesi
al servizio e subordinate al capitalismo, l’immigrazione serve
solo ad abbassare il “costo del
lavoro” e a mettere in competizione fra loro le masse lavoratrici locali e immigrate. Considerando queste ultime solo
come manodopera di riserva a
bassissimo costo, da ricattare
e ipersfruttare quotidianamente, si garantiscono lauti profitti
ai padroni, anche in un periodo
di crisi del capitalismo come
quello odierno.
Sarebbe quindi opportuno
che la sedicente “sinistra” istituzionale, a partire dal sindaco
Zucchini e da tutti gli altri amministratori della Valdisieve,
facesse finalmente la dovuta
autocritica riguardo alla propria
responsabilità politica, sociale
e umanitaria.
esteri / il bolscevico 15
N. 7 - 23 febbraio 2017
Non si accontenta del ritiro del decreto “salva corrotti”
Il popolo romeno in piazza
chiede le dimissioni del governo
Il primo ministro romeno Sorin Grindean annunciava il 5
febbraio il ritiro del decreto che
era stato approvato dal suo governo per depenalizzare una
serie di reati legati alla corruzione di fronte alle proteste di
piazza che da sei giorni consecutivi si svolgevano a Bucarest
e in decine di altre città della
Romania; nella capitale erano
almeno 170 mila i manifestanti
e oltre 300 mila nelle altre città
che chiedevano il ritiro del decreto bollato come “salva corrotti” e che decidevano di restare in piazza chiedendo le
dimissioni del governo.
La più massiccia protesta
di piazza dal 1989, dalla rivolta che fece cadere la dittatura
di Nicolae Ceausescu, metteva
in difficoltà l’esecutivo a guida
socialdemocratica e causava il
9 febbraio anche le dimissioni
del ministro della Giustizia Florin Iordache, l’autore della legge contestata. In seguito alle
proteste iniziate fin dalla presentazione del decreto all’inizio di gennaio si era già dimesso il ministro del Commercio
Florin Jianu; in poco più di un
mese sono saltate due poltrone dell’esecutivo entrato in carica il 4 gennaio.
L’esecutivo guidato da Sorin
Grindean è formato dalla coalizione tra il Psd (Partito Social
Democratico) e l’Alde (Alleanza Liberal Democratica) che
alle elezioni politiche dell’11 dicembre 2016 avevano ottenuto rispettivamente il 42% e il
19% dei voti validi. E una solida maggioranza parlamentare
che però non ha riscontro nel
paese a fronte di una diserzione delle urne che aveva toccato il 60% dei circa 18 milioni di
elettori e ridotto la rappresentatività reale dei partiti della coalizione a circa un quarto dell’elettorato.
L’esecutivo di Grindean succedeva ai due precedenti costretti alle dimissioni da imponenti manifestazioni di piazza;
nel febbraio del 2012 si era
dimesso il premier Emil Boc,
sostenuto dalla formazione di
centrodestra del Partito Democratico Liberale mentre nel
2015 era stata la volta del socialdemocratico Victor Ponta, costretto a farsi da parte
per accuse di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale
dopo la tragedia della morte di
64 persone in una discoteca a
Bucarest a causa di un incendio scoppiato per mancanza di
norme di sicurezza e di controlli.
Bucarest 13 febbraio 2017. La gigantesca manifestazione di protesta contro la corruzione e per le dimissioni
del governo
Nonostante questi precedenti il governo di Grindean
approvava a fine gennaio un
decreto d’emergenza predisposto dal ministro Iordache
che entrava in vigore con effetto immediato per la depenalizzazione di una serie di reati legati alla corruzione. Il decreto,
che sarebbe dovuto entrare in
vigore il 10 febbraio, prevedeva tra le altre la punizione col
carcere per reati quali l’abuso d’ufficio solo se fosse stato
provato un danno per lo Stato
superiore a 44.000 euro; una
norma che sembrava costruita apposta per fornire un sal-
vacondotto al leader del Psd,
Liviu Dragnea, il premier di
fatto alle spalle di Grindean,
che nonostante avesse vinto
le elezioni di dicembre non ha
potuto sedersi sulla poltrona di
capo del governo perché sospeso dagli incarichi pubblici
per l’accusa di abuso d’ufficio,
per un valore di 24.000 euro, e
per frode elettorale in occasione del referendum presidenziale del 2012.
Assieme al varo della legge
“salva corrotti” il governo aveva in programma di portare in
parlamento anche una proposta per scarcerare 2.500 am-
ministratori pubblici condannati
a meno di cinque anni per reati
non violenti. Gran parte di questi, assieme all’ex primo ministro Victor Ponta, a cinque ministri, 16 deputati e 5 senatori,
sono finiti sotto accusa e condannati per abuso d’ufficio tra
il 2014 e il 2016 per rispondere alle proteste popolari contro il dilagante fenomeno della
corruzione nelle istituzioni. Nonostante il giro di vite degli ultimi due anni la Romania resta
in cima alla classifica, redatta
dall’organizzazione Transparency International, delle nazioni più corrotte dell’UE, si tro-
va al quarto posto dietro Italia,
Grecia e Bulgaria.
Il semplice ritiro del decreto
“salva corrotti” non poteva accontentare il popolo romeno
che restava in piazza a chiedere, dopo quelle del ministro
della Giustizia, le dimissioni del
governo. “Ladri”, “dimissioni”,
“Noi resistiamo”, continuavano a gridare quotidianamente
i manifestanti sotto le finestre
del governo in Piata Victorie a
Bucarest. La partita non è chiusa, tanto più che il 10 febbraio
la Corte di Cassazione dava il
via libera al processo con accuse di frode e di falsa testimonianza a carico di Calin Tariceanu, il presidente del Senato e
leader del partito liberale che
sostiene il governo.
In soccorso del governo arrivava l’iniziativa del presidente
romeno Klaus Iohannis che invitava il parlamento a affidargli
il compito di indire un referendum popolare sul tema della
lotta alla corruzione; il 13 febbraio il parlamento di Bucarest
votava la proposta all’unanimità pensando di offrire alla piazza un diversivo che induca i
manifestanti a tornare a casa
in attesa che il presidente decida la data del referendum.
Per le violenze della polizia su un giovane nero
In rivolta le periferie di Parigi
Il
presidente
francese
François Hollande si recava
nel pomeriggio del 7 febbraio
nell’ospedale parigino dove era
ricoverato il giovane nero operato d’urgenza in seguito alle
gravi ferite inflittegli una settimana prima da quattro poliziotti
durante l’arresto a Aulany-sousBois, un quartiere della periferia
della capitale. La visita ufficiale del presidente e il precedente annuncio dell’incriminazione
dei poliziotti erano il tentativo
delle istituzioni di calmare la
rivolta delle periferie di Parigi
contro la violenza sul giovane
nero e non solo; la protesta de-
nunciava il generalizzato comportamento repressivo, violento
e spesso impunito della polizia
contro gli abitanti dei quartieri
periferici, i cittadini francesi di
serie B, spesso immigrati di seconda o terza generazione.
Il 2 febbraio il giovane era
stato gravemente ferito in occasione di un controllo di identità,
condotto dagli agenti nel quartiere di Aulany-sous-Bois come
un vero e proprio rastrellamento, era arrivato in commissariato
con il volto tumefatto e “importanti lesioni” che “corrispondono chiaramente” all’introduzione di un manganello nel retto
del giovane, come confermava
il referto medico dell’ospedale
di Aulnay. L’agente responsabile della violenza si difendeva
parlando di un “incidente” ma la
versione del giovane era confermata da immagini di videosorveglianza della polizia municipale e da diversi testimoni.
Il ministro dell’Interno Bruno
Leroux annunciava il 5 febbraio la sospensione dal servizio
dei quattro agenti con l’accusa di violenza sessuale e violenza volontaria e contemporaneamente la procura rendeva
nota che gli agenti intervenuti
per controllare l’identità di una
decina di persone sospettate di
spaccio di stupefacenti avevano usato gas lacrimogeni e lo
sfollagente telescopico a causa della resistenza opposta dal
giovane.
L’incriminazione degli agenti non bastava a fermare la protesta dei quartieri periferici della
capitale che iniziava il 4 febbraio da Aulany-sous-Bois, con
centinaia di manifestanti che la
sera protestavano per le strade
dando fuoco a alcune auto, e si
allargava nei due giorni successivi in particolare a Bobigny e
Argenteuil.
Il primo ministro Bernard Ca-
zeneuve chiedeva una punizione “esemplare” per i poliziotti
colpevoli assieme alla “fermezza” contro i manifestanti. La destra dei repubblicani attaccava
le manifestazioni e la razzista
Le Pen garantiva che una volta
al governo si sarebbe sbarazzata “di questa feccia”. Con una
campagna elettorale per le presidenziali di fatto già avviata si
pronunciava anche il candidato socialista Benoît Hamon che
condannava gli “atti inammissibili” commessi a Aulnay-sousBois dagli agenti ma aggiungeva che c’era anche “bisogno di
ristabilire una relazione di fidu-
cia tra la polizia e la popolazione”.
Intanto il governo Valls ha
pensato a rafforzare i poteri della polizia e presentato il 7 febbraio in parlamento una nuova
legge sulla sicurezza pubblica,
che ha già passato il vaglio del
Senato, che estende alla polizia
le regole della gendarmeria sul
ricorso all’uso di armi da fuoco:
finora i poliziotti potevano usare le armi da fuoco solo in caso
di legittima difesa mentre i gendarmi, come i militari, possono
usare le armi con maggiore libertà.
Il parlamento israeliano approva
l’annessione di territori in Cisgiordania
L’Onu: Illegale
Il 4 febbraio circa 5.000 palestinesi ed ebrei hanno manifestato a Tel Aviv contro lo
stato “razzista” di Israele e le
demolizioni delle case palestinesi e arabe in Cisgiordania e nel Sinai. Molti i cartelli
in arabo ed in ebraico che denunciavano “Basta con il razzismo del governo, chiediamo
uguaglianza”, “ebrei e arabi
insieme, combattiamo il fascismo” e “se il governo è contro
il popolo, la gente sarà contro
il governo”. Due giorni dopo il
parlamento israeliano rispondeva approvando con 60 voti
a favore e 52 contrari la legge
nota come Regulation Bill che
decreta tra le altre una “sanatoria” per legalizzare retroattivamente quasi 4.000 case costruite senza permesso su 800
ettari di terra palestinese. A
queste costruzioni si aggiungeranno le almeno 6.000 abitazioni la cui costruzione è stata approvata dal governo di Tel
Aviv nelle ultime due settimane.
La legge voluta dal governo
del fascista Netanyahu serviva
a impedire che in futuro si potessero verificare situazioni simili a quella dell’insediamento di coloni di Amona, costruito
in Cisgiordania su terra privata
palestinese e dichiarato illegale
dalla Corte Suprema israeliana.
Ma non solo. Con la legge sulla sanatoria, per la prima volta
il parlamento israeliano impone
di fatto ufficialmente una legge
israeliana in un’area della Cisgiordania assegnata al controllo civile e militare di Israele in base agli accordi di Oslo.
Detto in altre parole costituirebbe il primo passo verso l’annessione diretta di questo territorio ad Israele, a completamento
della distruzione della case e
delle coltivazioni e dell’espulsione dei palestinesi avviata in Cisgiordania fin dalla nascita della prima colonia di Kiryat Arba
a Hebron, costruita nel 1968
un anno dopo la guerra dei Sei
Giorni e l’inizio dell’occupazione militare. Oramai quasi il 20%
della Cisgiordania è annessa di
fatto a Israele, lungo la linea di
frontiera dove il regime sionista
ha costruito il muro illegale e in
vaste aree fertili dove ha costruito a macchia d’olio le colonie e
spezzettato i restanti territori
abitati e coltivati dai palestinesi in enclavi distanti e discontinue. Una politica perseguita dai
governi della destra e in misura
minore anche da quelli laburisti.
Gli obiettivi annessionisti del
governo Netanyahu erano denunciati persino dal leader laburista Hertzog che durante il
dibattito in parlamento affermava che “questo governo sta
approvando un provvedimento che è un grave pericolo per
Israele. Questa legge rappresenta de facto un’annessione
di territori”. Esattamente quello che voleva il partito di Casa
Ebraica, presente nella coalizione governativa, vicino ai coloni e promotore della legge:
“questo è un passaggio storico per completare il processo
che noi vogliamo portare avanti: l’applicazione della piena sovranità su tutte le città e le comunità della Giudea e Samaria
(la Cisgiordania per gli israeliani, ndr)”.
Dopo il varo della legge due
organizzanizzazioni non governative israeliane, Adalah e il
Centro israeliano per i diritti civili presentavano ricorso alla
Corte suprema affermando che
la nuova legge è in contrasto
col diritto internazionale e incompatibile anche col sistema
legale israeliano poiché viola il
diritto di proprietà dei palestinesi. I palestinesi, denunciavano le due Ong, “si trovano alla
mercè altrui, privi di difese legali, esposti al rischio di essere
privati delle loro proprietà a beneficio dei coloni israeliani”. Ma
anche se il ricorso avesse effetto non inciderebbe più di tanto
dato che gli insediamenti demoliti su sentenza della Corte sono
una infima minoranza rispetto
quelli costruiti dal governo di Tel
Aviv che può contare sul rinnovato appoggio del presidente
americano Trump.
La strisciante annessione
della Cisgiordania da parte di
Israele era denunciata dai delegati della Lista Araba Unita,
un’alleanza di 4 principali partiti
arabi d’Israele che ha 13 seggi
alla Knesset e condannata duramente dal segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat che
però si preoccupava soprattutto per la realizzazione dell’impossibile obiettivo della soluzione dei due Stati. “Il parlamento
israeliano – affermava Erekat –
ha appena approvato una legge
che legalizza il furto di terra palestinese. Tutti gli insediamenti
nella Palestina occupata sono
illegali e rappresentano un cri-
mine di guerra”.
Il provvedimento israeliano
è una “violazione della risoluzione 2234” contro le colonie
in Cisgiordania votata lo scorso
dicembre dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ricordava il presidente palestinese Abu Mazen. E l’Onu chiamato in causa
rispondeva col segretario generale Antonio Guterres che esprimeva “profondo rammarico” per
la legge che “è contraria al diritto internazionale e avrà conseguenze legali per Israele”.
Posizione giusta ma si tratta di
vedere quale sarà l’effettiva reazione delle Nazioni Unite, finora a risultato zero. L’Unione europea non si dannava l’anima
neanche un po’ e lasciava all’Alto rappresentante per la politica
estera e la sicurezza dell’Ue,
l’italiana Federica Mogherini, il
compito di produrre un tweet col
quale “esortava” il governo israeliano a “non applicare la legge
votata dalla Knesset”.
O
L
A
V
I
V
E
L
A
B
O
L
G
O
R
E
P
SCIO
O
Z
R
A
M
8
’
L
DEL
No alla violenza maschile sulle donne
la
piattaforma
contro
la
violenza
O
M
A
I
G
G
O
maschile sulle donne, sulle lesbiche
APP
e sulle persone transessuali
le
donne
a
lottare
contro
il
governo
O
M
A
INVITI
Gentiloni e il capitalismo, per il socialismo.
Perché solo abbattendo il capitalismo e il potere della
borghesia e instaurando il socialismo con il proletariato al
potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle
donne, la totale parità tra le donne e gli uomini e costruire un
mondo nuovo
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164
e-mail: [email protected] -- www.pmli.it
Stampato in proprio
“Le donne portano sulle loro spalle la metà
del cielo e devono conquistarsela” Mao Zedong