N. 7 data editoriale 18 febbraio 2016

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N. 7 data editoriale 18 febbraio 2016
Settimanale
Nuova serie - Anno XXXX - N. 7 - 18 febbraio 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
L’Italia di Renzi pronta a inviare altri soldati in Iraq e a guidare l’intervento armato in Libia
Vertice imperialista a Roma
per “distruggere” l’IS
Kerry: “L’Italia è stata grandiosa. Il suo impegno nella coalizione anti-Isis è sostanziale, uno dei più grandi”
Aumentano i rischi delle ritorsioni terroristiche in Italia
PAG. 2
Visita in Nigeria, Senegal e Ghana
Renzi alla conquista
dell’Africa
Il nuovo duce invoca un “più forte ruolo nello scacchiere
mondiale” per l’imperialismo italiano
PAG. 3
Un crimine del regime fascista di al-Sisi, grande amico di Renzi
Assassinato al Cairo il giovane
ricercatore Regeni
Ucciso con un colpo alla testa dopo 7 giorni di sevizie
Rompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto PAG. 14
VOTATE PER IL PMLI E IL SOCIALISMO
ASTENENDOVI
di Giovanni Scuderi
PAG. 7
Milano
L’alternativa non è “Chiara” ma il socialismo
La pentastellata Sala, votato dalla destra,
vince le primarie PD
Appendino
candidata dall’alto
alla carica di
Movimenti a destra e a “sinistra” in vista
sindaco di Torino
delle elezioni comunali a Bologna
Majorino, Balzani e Iannetta lo sosterranno rivendicando un posto in giunta. Pisapia sottoscrive l’appello a
unirsi attorno al beniamino della borghesia
PAG. 8
I 5 stelle puntano a tranquillizzare
la borghesia torinese
PAG. 9
SEL spaccata. Nella “Coalizione Civica” anche chi vuole “buttare via le bandiere rosse”
PAG. 9
Benedetta da Renzi che nomina sottosegretario l’alfaniano Tonino Gentile
PD e NCD verso l’alleanza
elettorale a Cosenza
PAG. 8
Mentre Alfano, De Luca e De Magistris sono univoci circa “sicurezza”, repressione e militarizzazione del territorio
Ancora sangue a Napoli
nella guerra di camorra
L’EX PM CANTONE: “NON BASTANO GLI ARRESTI, SERVE UN PIANO STRAORDINARIO
DI RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO”
PAG. 11
2 il bolscevico / intervento imperialista in libia
N. 7 - 18 febbraio 2016
L’Italia di Renzi pronta a inviare altri soldati in Iraq e a guidare l’intervento armato in Libia
Vertice imperialista a Roma
per “distruggere” l’IS
Kerry: “L’Italia è stata grandiosa. Il suo impegno nella coalizione anti-Isis è sostanziale, uno dei più grandi”
Aumentano i rischi delle ritorsioni terroristiche in Italia
L’Italia imperialista di Renzi è
sempre più coinvolta nella guerra
allo Stato islamico (IS), esponendo
sempre di più il nostro popolo alle
ritorsioni terroristiche. Lo dimostra
il recente vertice dei ministri degli
Esteri della coalizione internazionale anti-Daesh tenutosi a Roma,
il terzo dopo quelli di Londra del
gennaio 2015 e di Parigi del giugno 2015: in questo momento,
cioè, l’Italia è da molti punti di vista la base più avanzata in Europa per la guerra all’IS, vuoi per la
sua vicinanza ai teatri in cui questa
guerra si svolge, vuoi per le dimensioni del suo impegno militare (con
circa 1.000 uomini è il più alto in
Iraq dopo gli Usa), e vuoi per le sue
sempre più scoperte ambizioni
espansionistiche nel Mediterraneo
e in Nord Africa, e in particolare
verso la Libia, dove punta a guidare l’imminente intervento militare
internazionale contro l’espansione
dello Stato islamico.
È in segno di riconoscimento
di questo ruolo di punta dell’Italia,
che il vertice del cosiddetto “Small
Group” (piccolo gruppo), la Coalizione globale anti-Daesh di Stati
impegnati nella guerra all’IS, si è
svolto alla Farnesina, co-presieduto dal ministro degli Esteri italiano,
Paolo Gentiloni, e dal segretario
di stato Usa, John Kerry. Vi hanno
preso parte i rappresentanti di 23
paesi: Australia, Bahrain, Belgio,
Canada, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Iraq, Italia, Giordania, Kuwait, Nuova Zelanda, Paesi
Bassi, Norvegia, Qatar, Arabia
Saudita, Spagna, Svezia, Turchia,
Emirati Arabi, Regno Unito e Stati Uniti, più l’alto rappresentante
Esteri della UE, Federica Mogherini e un rappresentante delle Nazioni Unite come osservatore.
Guerra totale all’IS
Al termine dei lavori il vertice
dei ministri degli Esteri ha emesso
una dichiarazione in cui sono stati
vantati grandi progressi nella guerra all’IS, grazie al “grande impeto,
con un forte impatto” delle azioni
militari della coalizione, che avrebbero respinto Daesh dal 40% del
territorio iracheno e ottenuto “risultati tangibili” in Siria, “anche con
bombardamenti aerei”. La guerra e
i bombardamenti quindi “funzionano”, secondo loro, e non c’è motivo di cercare altre vie, come eventuali trattative, per riportare la pace
nella regione. I ministri ribadiscono
anzi l’impegno “a combattere questa barbara organizzazione fino
alla sua definitiva sconfitta”, escludendo cioè qualsiasi altra soluzione che non sia la guerra totale e a
qualsiasi prezzo allo Stato islamico
fino alla sua distruzione completa.
A chi toccherà poi pagare questo
prezzo – le popolazioni civili arabe
e (per ritorsione) europee – non è
una questione che li riguardi.
I ministri si dicono infatti “consapevoli che Daesh rappresenta
una minaccia terroristica nei nostri
confronti, come dimostrato dagli
attacchi terroristici barbari ed efferati in Turchia, Francia e in altri
paesi”, ma rassicurano le popolazioni dei rispettivi paesi che “Daesh sta perdendo sia territori che
credibilità in Iraq e Siria”, e che tali
minacce saranno sventate grazie
al contrasto alle fonti di finanziamento dell’IS, alla riduzione del
flusso di combattenti stranieri, alla
“cooperazione tra i nostri servizi di
intelligence” (di cui elencano una
sfilza di organismi internazionali
creati ad hoc) e alle agenzie di pro-
paganda, basate in particolare negli Emirati e in Gran Bretagna, per
“mettere a nudo la falsa ideologia
e la narrativa di Daesh”.
I ministri ribadiscono altresì il
sostegno incondizionato al governo fantoccio e corrotto di Haider al-Abadi in Iraq, accolgono
“con soddisfazione” la decisione
dell’Afghanistan di unirsi alla coalizione e, infine, dichiarano di seguire “con preoccupazione l’influenza
crescente di Daesh in Libia”, prefigurando così che questo sarà il
prossimo obiettivo da colpire per
la coalizione imperialista anti-IS.
“Il mondo si aspetta sicurezza da noi e noi distruggeremo
Daesh”, ha detto bellicosamente
Kerry, aggiungendo senza mezzi
termini che il tema da discutere a
Roma era quello di come “aumentare gli sforzi per vincere questa
guerra”. Una dichiarazione in linea
con la notizia contemporanea che
il ministero della Difesa Usa ha aumentato del 50% il budget per la
guerra all’IS, salendo a 7,5 miliardi
di dollari. Come dire in pratica che
siamo un’altra volta alla “guerra
infinita” di Bush, tant’è che Kerry
ha avvertito che “cercheremo di
schiacciare l’IS in ogni angolo, ma
questa guerra sarà lunga, ci vorrà
del tempo, abbiamo già provato a
farlo per smantellare Al Qaeda, è
un impegno più lungo per tutti”.
Nessuna “ritrosia” a
bombardare
Più diplomatico nella forma,
ma concorde nella sostanza, è
stato Gentiloni, che nell’aprire il
vertice ha detto che nella lotta al
Daesh sono stati fatti “importanti
progressi, ma di fronte abbiamo
un’organizzazione molto resistente e quindi non dobbiamo sottovalutarla”. In ogni caso l’Italia sta
facendo la sua parte, come ha
ribadito il ministro alla vigilia del
vertice in un’intervista a “Il Messaggero”, in cui alla domanda se
vi fosse della ritrosia nel governo
italiano a rispondere alle sollecitazioni fatte dal capo del Pentagono Carter alla sua collega Pinotti
lo scorso dicembre a partecipare
attivamente ai bombardamenti in
Iraq, come rivelato recentemente
dal “New York Times”, il titolare
della Farnesina ha risposto: “Nessuna ritrosia. L’Italia è uno dei 5 o
6 paesi al mondo più impegnati nel
contrasto a Daesh... siamo leader
nella formazione delle forze di polizia irachene che devono riprendere
il controllo delle aree liberate. Cerchiamo di farlo coordinando anche
lo sforzo di altri Paesi. Abbiamo
addestrato oltre 2mila peshmerga
curdi, e continuiamo a farlo”.
Gentiloni ha confermato anche
l’imminente invio in Iraq, probabilmente a primavera, di altri 450
uomini per la protezione dei lavori
di riparazione della diga di Mosul,
il cui appalto è stato affidato a una
ditta italiana, la Trevi. Inoltre il Consiglio dei ministri ha disposto l’invio di altri 130 soldati specializzati
in ricerca e soccorso elitrasportato, con piloti, meccanici, medici e
una squadra di protezione: a che
scopo, se non nel quadro dell’imminente partecipazione dei Tornado italiani di stanza in Kuwait
ai bombardamenti in Iraq, e/o allo
scontro diretto delle truppe inviate
a Mosul con i guerriglieri dell’IS?
Non a caso, durante il vertice
di Roma, Kerry ha rivolto un elogio sperticato all’Italia, in omaggio al suo eccezionale impegno
militare nella “guerra al terrori-
smo”, e anche in riconoscimento
delle sue ambizioni egemoniche
regionali nel Mediterraneo e in
Nord Africa, a cominciare dalla
Libia: “L’Italia è stata grandiosa,
il suo impegno nella coalizione è
sostanziale, uno dei più grandi in
termini di persone, di contributi
finanziari e militari in Iraq e, in
particolare, per il suo ruolo di leadership in Libia”, ha detto infatti
il segretario di Stato Usa.
Via libera
all’intervento in Libia
Le parole di Kerry suonano
come un eloquente via libera degli
Usa al comando italiano dell’intervento militare in Libia, che i governi
imperialisti occidentali stanno preparando e che scatterà non appena
il governo di coalizione libico, che
però fatica a trovare un accordo,
ne farà formalmente richiesta. Intervento che comunque è già in fase
avanzata e che avverrà presto, in un
modo o nell’altro, come ha lasciato
intendere la guerrafondaia Pinotti in un’intervista al “Corriere della
Sera”, in cui ha detto: “Non possiamo immaginarci di far passare la
primavera con una situazione libica
ancora in stallo. Nell’ultimo mese
abbiamo lavorato più assiduamente con americani, inglesi e francesi.
Non parlerei di accelerazioni, tanto
meno unilaterali: siamo tutti d’accordo che occorre evitare azioni
non coordinate, che in passato non
hanno prodotto buoni risultati. Ma
c’è un lavoro più concreto di raccolta di informazioni e stesura di piani
possibili di intervento sulla base dei
rischi prevedibili”.
Fermo restando che l’intervento
potrebbe scattare in qualsiasi momento “nel caso di un’emergenza”,
quale potrebbe essere un’improvvisa avanzata dello Stato islamico
in Libia: “La stessa missione Mare
Sicuro - ha aggiunto a questo
proposito la ministra della Difesa
- nata come operazione anti-scafisti (sic), prevedeva sin dall’inizio
l’eventualità della lotta al terrori-
smo: ci dà infatti una capacità di
intervento nel caso di rischi per le
nostre piattaforme o di altro genere. Per lo stesso motivo abbiamo
già spostato degli aerei a Trapani e
costantemente aggiornato la raccolta di informazioni sul terreno”.
L’Italia, insomma, aumenta la
sua presenza militare e il grado di
intervento bellico in Iraq, e nello
stesso tempo intensifica i preparativi per guidare una missione di
guerra in Libia: un’escalation imperialista, giustificata con la guerra santa all’IS, alla quale occorre
opporsi risolutamente e senza
ambiguità, anche perché espone il
nostro Paese e il nostro popolo a
sanguinose ritorsioni terroristiche.
Renzi concede Pantelleria ai militari Usa
come base aerea per la guerra in Libia
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
La Sicilia, a causa della sua
posizione strategica nel mezzo del
Mediterraneo, è la regione italiana
che subisce la presenza del più
alto numero di basi militari sul territorio. In previsione dell’imminente intervento militare in Libia, Renzi
ha concesso ai militari statunitensi
l’uso della base aerea dell’isola di
Pantelleria, in provincia di Trapani,
a 110 km a sud ovest della Sicilia e
70 a est nord est della Tunisia.
L’isola siciliana viene usata indirettamente dai militari, come base
di un nuovo sistema di spionaggio
aereo statunitense, progettato per
operare con scopi top secret di
“intelligence e sorveglianza”, cioè
spionaggio di guerra, nelle regioni
del Nord Africa, dalla Libia, alla Tunisia, all’Egitto, all’Algeria.
La presenza militare statunitense a Pantelleria è malamente oc-
cultata dietro i voli di ricognizione
di una società privata, la Aircraft
Logistics Group LLC, interamente
controllata dal gruppo finanziario
statunitense Acorn Growth Companies (AGC), presente nel settore
militare aeronautico, che riceve
grossi finanziamenti da parte del
governo americano. Ne usufruiscono i signori della guerra, interessati a tenere alta la tensione nel
Mediterraneo, tra cui anche esponenti dell’esercito. Presidente del
comparto difesa e aerospazio
dell’AGC è l’ex generale dell’US
Air Force, Darryl Wilkerson. Vicepresidente il generale Peter J.
Hennessey, che ha diretto tutte le
attività logistiche dell’US Air Force
durante l’aggressione imperialista
all’Afghanistan. L’aereo usato per
le operazioni di spionaggio sulla
Libia è il Beech King air 300, lungo
15 metri con un’apertura alare di
17 e che può trasportare fino a 15
spie.
Ormai i voli, come denuncia la
popolazione locale, sono quasi
quotidiani. Su disposizione del
governo, la compagnia privata di spionaggio ha l’assistenza
logistica dell’Aeronautica militare italiana, ne usa le piste e gli
strumenti di supporto. Prima di
ogni decollo gli statunitensi consegnano il loro piano di volo ai
militari italiani che cooperano
alle attività di preparazione della
guerra che gli USA conducono
nei confronti della Libia e le supportano attivamente.
Mentre freme di avere il comando dell’intervento imperialista in
Libia, l’Italia di Renzi sta assumendo giorno dopo giorno un ruolo di
punta nella santa alleanza contro
lo Stato islamico. È questa l’ennesima conferma che ci troviamo
ormai in guerra, anche se Renzi lo
nega per tranquillizzare le masse,
sapendo che esse sono in maggioranza nettamente contrarie, e
per non suscitare troppo allarme di
fronte all’escalation interventista e
bellicista che sta imprimendo alla
sua politica estera e militare.
Occorre che le masse siciliane
comprendano che Renzi, col silenzio complice del governatore PD
Crocetta, sta trascinando la Sicilia
nell’occhio del ciclone di un intervento imperialista contro lo Stato
islamico e la espone a un’ulteriore
militarizzazione del territorio e alle
inevitabili ritorsioni da parte dell’IS.
Bisogna dire no a questa strategia
e comprendere che l’imperialismo
è il vero nemico dei popoli, la vera
causa di tutte le guerre, la barbarie
che genera ogni barbarie. Bisogna
combatterlo, e le masse popolari
siciliane devono fare la loro parte, incentivando la battaglia per
lo smantellamento del MUOS e la
chiusura della base di Sigonella, rifiutandosi di ospitare le operazioni
militari degli USA e di avallare la
politica interventista e guerrafondaia del governo imperialista del
nuovo duce Renzi, che va mandato a casa.
imperialismo italiano / il bolscevico 3
N. 7 - 18 febbraio 2016
Visita in Nigeria, Senegal e Ghana
Renzi alla conquista dell’Africa
Il nuovo duce invoca un “più forte ruolo nello scacchiere mondiale” per l’imperialismo italiano
“Usciamo da questa due giorni in Africa con la consapevolezza che l’Italia è un grande paese
e che in questo essere grande paese abbiamo bisogno di essere più
forti nello scacchiere mondiale,
più forti in particolar modo nella relazione con l’Africa”. Questa
dichiarazione di Renzi al termine
della visita di Stato effettuata dal
1° al 3 febbraio in Nigeria, Ghana
e Senegal, al di là dei pur cospicui accordi economici firmati, rivela l’ambizioso disegno politico
celato nella sua politica estera, che
mira a guadagnare nuovi spazi di
espansione all’imperialismo italiano ispirandosi alla politica colonialista ed espansionista di Mussolini verso l’Africa.
Una politica che il nuovo duce
persegue da quando è alla guida
del Paese, e non a caso ha messo
l’accento sul fatto che è già la terza volta che si reca in Africa, dopo
la visita in Mozambico, Congo e
Angola nel 2014 e quella in Etiopia e Kenya dell’anno scorso, al
termine della quale ebbe a dichiarare che “una strategia di politica
estera degna di questo nome non
può che mettere al centro dell’interesse italiano l’Africa, le sue potenzialità, le sue contraddizioni, le
sue ricchezze. Dopo anni di immobilismo finalmente si riparte”.
Dopo l’Africa centrale e quella
orientale è ora la volta dell’Africa
occidentale, e non appare casuale
la scelta di questi tre paesi, Nigeria Ghana e Senegal, come ex colonie ancora nella sfera di influenza di Gran Bretagna e Francia, per
farsi largo tra le potenze che contano, contendere loro il terreno di
conquista acquisito, e permettere
anche all’Italia di sfruttare le enormi ricchezze di petrolio, gas e materie prime, ma anche di potenzialità agricole e commerciali, che
possiede questa immensa regione.
A questo scopo Renzi si è fatto
accompagnare da uno stuolo di dirigenti delle più importanti aziende
pubbliche, dall’Eni del suo amico
Descalzi, un gruppo che è col 7%
il primo produttore di idrocarburi
del continente tra tutte le compagnie internazionali, presente da 60
anni in Africa e da 40 in Nigeria,
a Enel Green Power, da Italferr del
gruppo FS a Cassa depositi e prestiti, di manager di aziende private
come Ice, Sace, Simest, Anas International, Cnh Industrial, Trevi,
Ge Nuovo Pignone, Maire Technimont e Telecom, nonché da una
nutrita delegazione di Confindustria e di imprenditori e uomini
d’affari con interessi nell’Africa
subsahariana.
“L’Africa è la priorità e
l’Italia ci deve essere”
Questa visita l’ha spiegata
così lo stesso Renzi, sul suo sito
di news alla vigilia della partenza: “Per la terza volta in meno di
due anni una delegazione di Palazzo Chigi scende sotto il Sahara (non era mai accaduto nei 70
anni precedenti), allo scopo di rafforzare il ruolo, l’amicizia, gli interessi, i valori dell’Italia”. Roma,
ha aggiunto, “può giocare un ruolo se ha il coraggio di avere una
strategia politica di ampio respiro.
Non due battute buone per fare un
po’ di demagogia in tv. Noi investiamo sull’Africa perché pensiamo che sia doveroso per il nostro
posizionamento geografico e geopolitico. Se vogliamo combattere
la povertà, sradicare il terrorismo,
affermare valori condivisi l’Africa
oggi è la priorità. E dopo anni di
assenza, l’Italia ci deve essere”.
Ma oltre ai lucrosi affari economici in questa visita c’erano in ballo importanti questioni politiche,
come gli accordi con questi paesi
sulla lotta comune al “terrorismo
islamico” e il rimpatrio dei migranti respinti dall’Italia, tanto che
a questo scopo Renzi si era portato
dietro il capo della polizia Pansa,
e ha firmato un primo memorandum d’intesa con il primo ministro
nigeriano: “Il nostro sostegno va a
voi nella lotta contro Boko Haram
e in particolare nella lotta contro
terrorismo”, ha detto a questo proposito Renzi al presidente nigeriano. “Io credo sia priorità per la comunità internazionale considerare
l’Africa come una priorità. Abbiamo molti attacchi che avvengono
nel mondo, abbiamo toccato con
mano questi tragici attacchi compiuti dai terroristi, ma io considero personalmente una priorità dare
molta attenzione a questa regione
del pianeta”.
E soprattutto in ballo c’era
la questione della candidatura
dell’Italia a un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu per il 2017-2018, una
partita che sarà giocata al Palazzo
di vetro il prossimo giugno e per
il successo della quale l’appoggio
dei paesi africani potrebbe essere
decisivo. Il nuovo duce considera
questa partita come prioritaria nel
quadro di far entrare l’imperialismo italiano nel club ristretto delle
nazioni che determinano la politica globale. Lo aveva detto chiaro e
tondo anche nel luglio scorso alla
conferenza degli ambasciatori italiani. “Vorrei che tutti voi sentiste
questa (la battaglia per il seggio al
Cds dell’Onu, ndr) come una priorità assoluta. Questa non è la battaglia di un singolo governo, ma
di un intero Paese”, li aveva arringati Renzi, proclamando poi con
enfasi nazionalista mussoliniana
che “comunque vada la discussio-
ne politica, penso che l’Italia abbia un futuro straordinario: tra 20
o 30 anni saremo leader in Europa
e nel mondo”.
Tribuna africana per
sfidare Bruxelles
La sua terza visita in Africa è
avvenuta subito dopo l’incontro
con la Merkel e in contemporanea con le polemiche ingaggiate
con la Commissione europea sulla questione della “flessibilità” dei
conti dell’Italia, polemiche che
sono continuate anche a distanza e anzi si sono intensificate nel
corso delle varie tappe africane
di Renzi. Il nuovo duce, che alla
stregua di Craxi a Sigonella nei
confronti degli americani, ha ormai indossato con la Germania e
la Commissione europea la casacca del nazionalismo mussoliniano
per rivendicare un maggior peso
dell’imperialismo italiano nella
UE e nel mondo, ha approfittato
della tribuna mediatica africana
per alzare la posta e lanciare sfide
sempre più sfrontate ai “burocrati”
di Bruxelles che richiamano l’Italia al rispetto dei rigidi limiti di bilancio imposti dai trattati europei.
Prendendo spunto dalla precisazione piccata di Bruxelles, seguita alla decisione di Roma di
sbloccare i contributi italiani alla
Turchia per tenersi i rifugiati siriani, che quei soldi non sarebbero stati conteggiati nel deficit, ma
che per le spese relative al salvataggio dei migranti nel Tirreno,
per le quali l’Italia rivendica analogo trattamento, ogni decisione
era rimandata alla prossima sessione di bilancio di primavera, Renzi
ha commentato con sarcasmo che
“se non fosse una cosa seria scapperebbe da ridere a pensare che si
vuole operare una distinzione tra i
morti nel mare Egeo e i morti nel
mar Tirreno”. E dicendo no a “polemicucce da quattro soldi” ha aggiunto in tono sferzante: “Non voglio fare polemiche che lasciano
il tempo che trovano. Noi siamo
l’Italia e l’Italia è un grande paese
che ogni anno dà a Bruxelles molti più soldi di quelli che riceve”.
Lo facciamo, ha proseguito Renzi, perché crediamo in essa. “Ma
proprio per questo non prendiamo
lezioncine da nessuno dei nostri
amici europei. Siamo pronti a imparare da tutti ma il tempo in cui
da Bruxelles ci dicevano cosa fare
e cosa no è finito”.
Dottrina
neocolonialista
mussoliniana
Quello di Renzi non è semplice bullismo parolaio, o una tattica
elettoralistica consistente nel fare
la voce grossa con l’Europa per
nascondere le difficoltà e alzare i
sondaggi in casa propria, come è
stato detto da molti, o almeno non
è solo questo. La sua è invece una
vera e propria rivendicazione mussoliniana del riconoscimento di un
maggior ruolo dell’imperialismo
italiano nel mondo, del riconoscimento delle sue storiche sfere
di interesse e di espansione. A cominciare dall’Africa, e in particolare dalla Libia, dove ha ottenuto
di guidare l’imminente missione
militare internazionale contro lo
Stato islamico. Un riconoscimento
che il nuovo duce conta di essersi ormai guadagnato e che pretende di far valere anche per merito
della massiccia presenza militare
dell’Italia in Afghanistan, Iraq e in
altri teatri della guerra al “terrorismo”, come ha riconosciuto Kerry al vertice anti-Daesh di Roma
e come ha confermato subito dopo
Obama a Mattarella.
Non per nulla, parlando ad una
conferenza stampa durante la visita in Ghana, il nuovo duce ha
svelato la sua dottrina neocolonialista mussoliniana verso l’Africa con queste parole: “Noi come
Italia dobbiamo ricordarci chi siamo. Ovunque siamo considerati
un punto di riferimento importante. Per anni siamo stati assolutamente decisivi nella vita di alcuni
di questi paesi, e possiamo esserlo
ancora”.
In polemica con Renzi che decide di mantenere la norma xenofoba
introdotta da Maroni col governo Berlusconi
ANM: “Il reato di clandestinità
inutile e dannoso”
“Il reato di clandestinità è una norma inutile e dannosa”! Lo ha detto
il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli
il 9 gennaio e lo ha ribadito anche
il primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio il 27 gennaio
nella sua relazione per l’apertura
dell’anno giudiziario.
In risposta al nuovo duce Renzi e al gerarca del Viminale Alfano
che hanno deciso di mantenere la
norma xenofoba e razzista contenuta nell’articolo 10 bis del Testo
unico sull’immigrazione, introdotto nel 2009 dal quarto governo Berlusconi e dal fascio-leghista Maroni, Sabelli, nel rilanciare
l’opinione quasi unanime della
stragrande maggioranza di giudici
e pubblici ministeri, ha fra l’altro
sottolineato che: “Capisco che la
politica si faccia carico dei timori della gente, ma quando le paure
sono populiste e infondate vanno
combattute, spiegando come stanno realmente le cose... Bisogna innanzitutto chiarire che depenalizzare il reato non significa volere
un’immigrazione incontrollata e
illimitata, ma eliminare una norma inutile e dannosa; e occorre
spiegare che la clandestinità è una
contravvenzione punita con l’ammenda: e mai nessun straniero rinuncerà ad entrare illegalmente
davanti a una sanzione pecuniaria
che non è in grado di pagare e che
lo Stato non è in grado di riscuotere”. Non solo. Sabelli ha aggiunto
che, oltretutto: si tratta di un reato
inutile che ingolfa i tribunali con
migliaia di cause e costi enormi
per lo Stato; e che ostacola le indagini contro gli scafisti, visto che
il clandestino, in quanto indagato,
non può essere sentito come testimone”. Dunque ha concluso Sabelli: “Gli ingressi illegali non si
combattono con la minaccia ridicola di un’ammenda, ma con una
seria gestione del fenomeno migratorio nel quadro europeo e con
provvedimenti amministrativi di
controllo dei migranti e, se del
caso, di espulsione”.
Grottesca la posizione assunta da Palazzo Chigi e dal Viminale che, pur considerando “logica” l’abolizione del reato, hanno
comunque deciso di mantenere la
norma con grande soddisfazione
di Alfano che fra l’altro era guar-
Numero di telefono e fax
della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo liberamente, saremo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo.
dasigilli all’epoca in cui il reato di
clandestinità fu introdotto.
“Evitiamo di trasmettere
all’opinione pubblica dei messaggi negativi per la percezione di sicurezza in un momento particolarissimo per l’Italia e l’Europa” ha
tuonato Alfano.
Mentre per Renzi il problema è
soprattutto di comunicazione. Perché se è vero che “la logica vorrebbe la scelta della depenalizzazione”, è altrettanto vero che “nella
componente sicurezza l’elemento
psicologico è molto importante”.
Da sempre il PMLI sostiene
l’apertura delle frontiere italiane
ed europee ai rifugiati e ai migranti e permettere il loro ingresso libero e sicuro in Italia e in Europa.
Per il PMLI sono necessarie e urgenti però altre misure, a cominciare dall’abolizione definitiva e
completa del reato di immigrazione clandestina, la sanatoria generalizzata per tutti i migranti senza
permesso di soggiorno, la parità di
diritti sociali, civili e politici per
tutti i migranti e il diritto di cittadinanza ai figli di immigrati nati
nel nostro Paese.
4 il bolscevico / interni
N. 7 - 18 febbraio 2016
Rapporto Adepp sulla previdenza privata
Professionisti sempre piu’ poveri
L’Adepp, l’associazione delle casse di previdenza private
che tutelano gli iscritti agli albi
professionali, nel suo V rapporto pubblicato lo scorso 15 dicembre ha certificato quanto la crisi del sistema capitalista iniziata
nel 2008 abbia colpito duramente non soltanto le masse popolari, ma anche un settore che fino a
dieci o venti anni fa era ritenuto
dai più estremamente redditizio e
al riparo da qualsiasi crisi: quello
delle libere professioni.
Il reddito medio dei professionisti, secondo le analisi
dell’Adepp, è diminuito in termini reali - ossia considerando
il valore al netto dell’inflazione - del 18,35% tra 2007, prima del deflagrare della crisi, e il
2014, anno per cui è disponibile
l’ultimo aggiornamento, e si attesta attualmente in media, sempre in termini reali, a 28.960,02
euro annui. La flessione, si spiega
nel rapporto, è dovuta soprattutto agli effetti erosivi della crescita
dei prezzi, perché i guadagni (nel
2014 il reddito nominale si ferma
34.549,30 euro annui) non hanno
fatto fronte all’avanzata dei prezzi, minando la capacità di spesa
della categoria.
È ciò che di fatto è avvenuto anche nella stragrande maggioranza dei comparti produttivi,
dove il mancato rinnovo dei contratti collettivi ha determinato la
perdita del potere effettivo dei salari.
Il numero dei professionisti,
iscritti alle casse di previdenza
che l’Adepp rappresenta, è costantemente salito negli anni, fino
ad arrivare nel 2014 a 1.469.637
professionisti, aumentati del 20%
nel decennio che va dal 2005 al
2014, ossia oltre 50mila iscritti
in più ogni anno, per cui si tratta
di una presenza ormai numericamente importante a livello sociale.
In tale numero poi sono compresi
sia coloro che svolgono esclusivamente una attività professionale in modo totalmente autonomo
(ad esempio notai, avvocati, commercialisti, la maggior parte degli architetti e degli ingegneri) sia
coloro che, pur iscritti al relativo
albo professionale, svolgono attività dipendente (ad esempio giornalisti, medici e infermieri), e lo
studio dell’Adepp non manca di
sottolineare come le maggiori difficoltà economiche le incontrino
coloro che fanno parte del primo
gruppo menzionato, ossia i professionisti che esercitano in regime di piena autonomia.
È la tendenza graduale, per
una notevolissima percentuale di
professionisti, di scivolare in uno
stato di vera e propria povertà,
che si manifesta sotto la forma di
guadagni sempre minori e incerti,
l’assenza di qualsiasi ammortizzatore sociale, l’obbligo di versamento di contributi pensionistici
minimi non legati al reddito (che,
solo per fare un esempio, per gli
avvocati sono di quasi 3.700 euro
l’anno) e le incognite pensionistiche comuni a tutti gli altri lavo-
ratori.
Sono sufficienti a tal proposito
due dati relativi a professioni un
tempo ritenute estremamente redditizie e che ora presentano aspetti di estrema contraddittorietà: i
notai e gli avvocati.
I primi, nonostante in Italia siano circa solo 5.000, hanno visto
scendere dal 2007 al 2014 i loro
redditi di circa il 45%, ma con
profonde contraddizioni all’interno della categoria, in quanto i più
penalizzati sono i professionisti
che esercitano nelle piccole città dove il crollo del mercato immobiliare ha tolto loro la maggior
parte dei loro redditi, derivanti
dai rogiti degli atti immobiliari.
Gli avvocati, dal canto loro,
hanno visto un calo dei loro redditi nello stesso periodo di circa il
18%, tanto che ormai alcuni ordini forensi, come quelli di Roma,
Milano e Bari, hanno creato Onlus
per sostenere gli avvocati travolti
dalla crisi, finanziate con il cinque per mille della dichiarazione
dei redditi. Il calo dei redditi degli avvocati, pur se di gran lunga
più contenuto rispetto a quello dei
notai, ha inciso però su una platea
di gran lunga più vasta, perché in
Italia ci sono circa 230mila avvocati, e la crisi ha semmai creato
un divario insanabile tra la maggioranza dei professionisti - soprattutto trentenni e quarantenni
e anche donne, che fanno fatica
a sopravvivere a causa degli alti
costi degli affitti degli studi, degli
oneri previdenziali e della sempre maggiore difficoltà a riscuotere i loro onorari dai loro clienti
- e una minoranza di avvocati legati a studi professionali di punta
che supportano la media e grande
imprenditoria, i quali al contrario
non hanno conosciuto crisi. Tutto questo spiega perché negli ultimi due anni oltre seimila giovani
avvocati si sono cancellati dagli
albi professionali in Italia, e alcune stime prudenti ritengono che a
breve si raggiungerà la soglia delle diecimila cancellazioni.
Attualmente - a conferma delle drammatiche contraddizioni
interne alla categoria, contraddizioni che la crisi ha ampliato - oltre il 50% del reddito complessivo prodotto dall’avvocatura va ad
appena l’8,6% per cento della categoria mentre il restante 91,4%
degli avvocati deve dividersi l’altra metà del fatturato.
È chiaro che le contraddizioni
ormai insanabili del sistema capitalista, dopo aver generato all’interno della classe operaia una
situazione di crescente disoccupazione di massa e - contemporaneamente - di perdita di tutele e di
diritti per i lavoratori, dopo aver
spazzato via centinaia di migliaia
di piccole aziende e avvantaggiato al contempo i grandi operatori economici, si sta ripercuotendo
anche nel mondo delle libere professioni creando miseria e precarietà crescenti tra questi lavoratori.
La posizione del Sindacato è un’altra cosa sulla Carta della Cgil
Pubblichiamo di seguito la
posizione di Sindacato è un’altra cosa sulla Carta dei diritti
della Cgil. Quantunque risulti
critica nei confronti del Nuovo Statuto delle lavoratrici e
dei lavoratori tale posizione si
rivela opportunistica laddove
evita di indicare esplicitamente di bocciare le proposte del
Nuovo Statuto dei lavoratori
invitando le lavoratrici e i lavoratori a votare due No ai due
quesiti, un’indicazione che il
PMLI ha propagandato fin da
subito (vedi “Il Bolscevico” n.
5/2016 pag. 6).
Il direttivo nazionale Cgil che
ha varato la proposta di legge sul
nuovo statuto dei diritti del lavoro
e sulla consultazione straordinaria
degli iscritti lo ha fatto con il nostro voto contrario.
La ragione è semplice ma va
articolata bene.
In primo luogo abbiamo ritenuto drammaticamente sbagliato che tutta l’iniziativa di contrasto al Jobs Act ed alle profonde
modifiche della legislazione Fornero-Renzi sulle tutele dal licenziamento si risolvesse con una
semplice raccolta firme su una
proposta di legge da consegnare
al parlamento. Il primo compito
del sindacato è dare gambe e forza alla propria iniziativa su tutti i
terreni su cui è impegnata: sociale, contrattuale, politico.
Una proposta di legge di iniziativa popolare che affida al parlamento, a questo parlamento o,
peggio ancora, a quello che avremo dopo la riforma istituzionale
Renzi-Boschi, la ricostruzione di
diritti perduti è chiaramente destinata ad essere sconfitta se non è
parte di una straordinaria mobili-
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO
A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che
riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di
lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella
scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi,
malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il
sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a
tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle
masse, Corrispondenze operaie e Sbatti i signori del
palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi “pezzi’’ a:
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
tazione di resistenza e riconquista.
Dalla contrattazione aziendale ai
contratti nazionali si deve riaprire
nel paese la partita della condizione del lavoro per imporre un cambio radicale dell’agenda alla politica ed alle imprese. Solo cosi è
possibile riconquistare diritti.
La Cgil chiede davvero di riconquistare i diritti perduti?
No, ed è la seconda ragione
che ci ha portato a votare contro
questa scelta. Purtroppo la proposta della Cgil su un nuovo statuto
dei diritti del lavoro rappresenta
l’adeguamento del sindacato alla
situazione esistente. Si accetta e si
legittima l’esistenza di tipologie
contrattuali precarie nate per consentire ai padroni di non applicare
i contratti nazionali di lavoro e si
accetta il mare di flessibilità che
in questi decenni si è rovesciato
sulla condizione dei lavoratori e
delle lavoratrici. Si certifica così
la fine della lotta alla precarietà per l’applicazione dei contratti
collettivi.
Persino sulle tutele dal licenziamento la Cgil non si propone
più il ritorno alla formula originaria dell’art.18 della legge 300
(statuto dei diritti dei lavoratori)
la più tutelante in assoluto, prima
delle manomissioni della Fornero
e del Jobs Act di Renzi. In sostanza siamo davanti ad una proposta che si pone il tema di estendere alcuni diritti generali al mondo
del lavoro subordinato e autonomo ma dentro il nuovo regime di
ricattabilità e precarietà. Infine la
proposta di legge è fondata sul Testo Unico sulla rappresentanza del
10 gennaio 2014 cioè sulla negazione della democrazia e delle libertà sindacali e sul modello della
contrattazione di restituzione.
Rispetto all’ipotesi referendaria
La Cgil, con la consultazione
straordinaria, chiede agli iscritti
cosa pensano di un eventuale referendum per l’abrogazione del Jobs
Act ma senza che il risultato del
voto sia davvero vincolante per le
sue scelte. Come può un’organizzazione di 6 milioni di iscritti non
riuscire ad avere una propria posizione su un tema così importante? Crediamo che la Cgil avrebbe
dovuto assumersi la responsabilità di decidere insieme alle lavoratrici ed ai lavoratori la costruzione
di quella necessaria battaglia generale contro la legislazione del
governo Renzi che va dalla contrattazione al referendum. Questa
consultazione appare invece come
un sondaggio ad uso tutto interno
a gruppi dirigenti che non sono
d’accordo tra loro.
Per queste ragioni la campagna referendaria è molto rischiosa
Non abbiamo contrarietà di
principio sullo strumento referendum. La campagna referendaria
per abrogare le leggi del governo Renzi contro il lavoro potrebbe essere un’occasione importante per riaprire la battaglia generale
nel paese. Tuttavia ha bisogno di
una nuova politica contrattuale
della Cgil, ha bisogno di coerenza e radicalità, di un cambiamento
profondo della linea che in questi
mesi ha abbandonato il conflitto e
fatto accordi al ribasso sui contratti nazionali. I referendum, come ci
insegna la storia, non possono sostituire l’iniziativa sociale.
Ogni lavoratore deciderà come
esprimersi su questa consultazione. noi intendiamo denunciare i
rischi di una campagna referendaria avviata senza convinzione
e senza una coerente battaglia sociale!
Il tribunale di Ferrara:
“Atto ritorsivo, preordinato per far cessare la sua presenza al negoziato”
Reintegrato il delegato Cgil
licenziato dalla LyondellBasell
Il 30 gennaio 2016 è arrivata
la sentenza del tribunale di Ferrara del giudice Alessandro D’Ancona che reintegra Luca Fiorini,
sindacalista della Filctem Cgil e
delegato Rsu, nel posto di lavoro alla multinazionale della chimica LyondellBasell di Ferrara,
che lo aveva licenziato lunedì 4
gennaio con la motivazione di
“violenza sul posto di lavoro”.
Un’importante vittoria sindacale
contro il tentativo della Lyondell
di estromettere con un atto fascista il sindacalista dalla trattativa
e dall’azienda. A portarla a compimento è certamente contata
anche la larga solidarietà, manifestata con scioperi, e mobilitazioni dei lavoratori e dei sindacati che da settimane imperversa
nelle piazze e su internet.
La sentenza del giudice
D’Ancona ha evidenziato l’inconsistenza della motivazione
dell’accusa mossa dalla Lyondell, l’aggressione che di fatto
non c’è stata, dall’altro ha smascherato chiaramente il tentativo
della multinazionale di attivare
un’azione antisindacale che “rivela l’uso abusivo e strumentale
del potere disciplinare, con chiara finalità ritorsiva” nei confronti
del sindacalista, per allontanarlo
dalla trattativa e avere mano libera nei licenziamenti.
La sentenza stabilisce il reintegro di Fiorini nel posto di lavoro, l’obbligo da parte di Basell
di riprenderlo in azienda e di rifondere la spese processuali sostenute da CGIL e la pubblicazione del decreto nelle bacheche
aziendali e su alcuni dei principali quotidiani italiani
I dirigenti del gruppo Basell
hanno detto di fare riferimento al
codice interno di “etica” aziendale, molto in voga in Usa, dove
è noto non esistono tutele sinda-
cali come in Italia. Ma di fatto il
loro atteggiamento antisindacale
e antioperaio è in perfetta linea
con l’arroganza padronale italiana e con le controriforme come
il Jobs Act imposto da Renzi.
Anche se la sentenza ha bloccato questo tentativo quello che
si profila all’orizzonte, con l’arrendevolezza dei vertici dei tre
maggiori sindacati confederali,
è un nuovo modello di relazioni
industriali basato sul collaborazionismo e la flessibilità funzionale al capitalismo che di fatto
cancella ogni diritto sindacale e
normativo.
interni / il bolscevico 5
N. 7 - 18 febbraio 2016
L’eurodeputato Caputo (PD)
indagato per voto di scambio
Il governatore PD
della Basilicata
Arrestato per corruzione il senatore De Siano (FI) Pittella indagato per
corruzione elettorale
‡‡Redazione di Napoli
L’ennesimo scandalo che coinvolge la destra e la “sinistra” del
regime neofascista travolge il PD
e FI per i gravissimi reati di voto
di scambio e corruzione.
Nel primo caso trattasi dell’eurodeputato Nicola Caputo (PD)
promosso da Villa di Briano, in
provincia di Caserta, a Strasburgo con 85.897 voti dopo quasi
due legislature nel consiglio regionale campano. In questo paese
dell’hinterland casertano Caputo
ha uno dei suoi principali serbatoi
di preferenze, raccolte in passato
anche grazie a sfarzose feste elettorali tra cui un banchetto di ben
1.800 invitati, risalente al 2010 e
raccontato dall’intercettazione di
un imprenditore vicino ai clan, finita dritta nelle carte dell’inchiesta della Dda di Napoli, condotta
dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, e dai pubblici ministeri Cesare Sirignano e Catello Maresca, che hanno iscritto, a metà
gennaio, l’europarlamentare nel
registro degli indagati in uno stralcio dell’indagine madre sul Comune di Villa di Briano.
Secondo gli inquirenti le attività dell’amministrazione PD erano di fatto nelle mani della fazione
del clan dei Casalesi guidata dal
boss Antonio Iovine ’o Ninno, attualmente in carcere. L’accusa è di
voto di scambio elettorale: infatti
è stato accertato che il 18 febbraio 2010, un mese e mezzo prima
del voto amministrativo a Villa di
Briano, un dirigente della Regione
Campania aveva firmato il decreto
di approvazione della graduatoria
dei progetti ammissibili a finanziamento, e tra questi c’era anche
lo svincolo sulla Nola-Villa Literno, importo di quasi due milioni di
euro.
All’epoca Caputo era vice capogruppo del PD in consiglio
regionale e componente della
commissione Bilancio: alcune intercettazioni ambientali metterebbero nei guai l’europarlamentare, atteso che il 21 maggio 2010
una cimice piazzata in una Peugeot 307 registra una conversazione
tra alcuni esponenti del PD dove si
accenna al patto politico e di affari tutto interno ai neoliberali. I fratelli Magliulo che avevano retto le
sorti dell’amministrazione corrotta di Villa di Briano tramite il sindaco Daniele, avrebbero sostenuto con 100mila euro la campagna
elettorale di Caputo alle regionali
del 28 e 29 marzo 2010 e Caputo
in cambio sarebbe intervenuto in
Regione Campania per assicurare i fondi per la realizzazione dello svincolo sulla statale Nola-Villa
Literno.
Verrà arrestato perché ha annunciato di rinunciare alla propria
immunità di parlamentare il senatore di Forza fascisti Domenico
De Siano, già coordinatore regionale di Forza Italia, nell’ambito di
un’inchiesta su presunte irregolarità negli appalti per la nettezza
urbana. Nello stesso procedimento è indagato l’altro parlamentare
Luigi Cesaro, ex presidente della
Provincia. La richiesta di arresto
è stata inviata in Parlamento dalla Procura di Napoli e in particolare dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino e dai sostituti Maria
Sepe e Graziella Arlomede che
contestano al parlamentare i reati
di associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta.
L’ordinanza con la quale verranno disposti gli arresti domiciliari è stata emessa dal gip Claudia
Picciotti: un’azienda per la raccolta dei rifiuti sarebbe stata sistematicamente agevolata per fargli aggiudicare appalti in vari comuni
del napoletano, tra cui Ischia nel
periodo 2010-2014. Le misure cautelari sono in tutto nove: tre arresti
domiciliari e sei obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.
Luigi Cesaro è indagato a piede libero. I destinatari sono, oltre a De
Siano, Oscar Rumolo, responsabile finanziario del Comune di Lacco Ameno; Vittorio Ciummo, titolare della società Ego Eco, che si è
aggiudicata vari appalti nel settore
dei rifiuti; Salvatore Antifono, già
consigliere comunale di Torre del
Greco; Vincenzo Rando, responsabile della Ragioneria di Forio
d’Ischia; Giulia Di Matteo, segretario generale di Monte di Procida;
Francesco Iannuzzi, ex sindaco di
Monte di Procida ed ex parlamentare; Carmine Gallo, legale rappresentante della società Cite, pure
aggiudicataria di appalti, e Carlo
Savoia, dipendente della Cite.
Coinvolto anche l’ex sindaco
PD di Potenza Santarsiero
C’è anche il nome di Marcello Pittella, presidente piddino
della regione Basilicata, tra i 35
indagati dell’inchiesta avviata
dalla procura della Repubblica
di Potenza in seguito al dissesto
finanziario dichiarato dal consiglio comunale del capoluogo lucano nel novembre del 2014.
Il boss del PD lucano, fratello minore dell’eurodeputato
Gianni, eletto alla guida della
Basilicata nella primavera del
2014, è accusato di corruzione
elettorale in riferimento al patto di sangue sancito alla vigilia
delle scorse elezioni regionali
tra il PD e il Centro democratico di Bruno Tabacci. I termini
dell’accordo prevedevano che
Pittella (e con lui Vito De Filippo, allora presidente uscente
e oggi sottosegretario alla Salute, e Roberto Speranza, deputato bersaniano e boss politico
del PD) garantivano a Tabacci
che avrebbe ottenuto un posto
in giunta e il diritto di indicare anche il nome del suo futuro assessore, come contropartita
del ritiro dall’agone elettorale di
Nicola Benedetto, un imprenditore di Ferrandina.
Oltre a Pittella, tra gli indagati
figurano anche l’ex sindaco di Potenza e attuale consigliere regionale, Vito Santarsiero, anch’egli
esponente del PD, l’ex assessore
al bilancio Federico Pace e una
trentina fra amministratori, funzionari e imprenditori.
L’inchiesta è articolata in diversi filoni e riguarda tutto il sistema corruttivo messo in atto
dalle giunte di “centro-sinistra”:
dalla scandalosa gestione del
trasporto pubblico, al servizio
di pulizia fino alle modalità con
cui si è giunti alla dichiarazione
di dissesto finanziario.
Referendum: ordalia o democrazia? Accettiamo la sfida!
Se qualcuno aveva ancora un
dubbio, ha provveduto lui stesso a toglierlo nel discorso di fine
anno 2015, in cui, parlando del
referendum confermativo sulla
“sua” riforma (in)costituzionale
approvata dal succube parlamento, ha detto: “Se perderò
considero fallita la mia esperienza politica”. Parole gravi e
pericolose, perché un capo di
governo, per definizione “provvisorio”, lega la sorte del suo
governo al voto più importante per un Paese Democratico
e di Diritto, in quanto sancisce
le regole “istituzionali” che per
loro natura sono “sovrane”,
cioè libere da condizionamenti
di sorta e di governi. Dicendo
queste parole, Renzi ha lanciato
un’ordalìa di stampo medievale: o con me o il diluvio; se non
di Paolo Farinella, prete
Speravamo che la fine del berlusconismo al governo diretto del
Paese dovesse portare un minimo di regole democratiche, eliminando lo scempio alla dignità
della legalità e curando le ferite
inflitte a ogni istituzione civile e
organizzazione dello Stato. Circa
metà degli Italiani ha coscientemente tenuto al governo dell’Italia un evasore fiscale, un alleato
di mafia, attraverso il suo diretto
braccio destro Dell’Utri (ora in
carcere). Ora abbiamo anche il
conforto di Sandro Bondi, testimone qualificato indiscusso che
gli fu vate, “servo volontario” ed
ex PCI, il quale quatto quatto,
cacchio cacchio, viene a dirci
con lirica innocenza che a Berlusconi nulla importava dell’Italia,
perseguendo il fedifrago un solo
interesse: il suo e quello delle sue
aziende. Quando lo dicevamo noi
in epoca non sospetta, eravamo tacciati di antiberlusconismo
ideologico; ora che tutti sanno,
fanno finta. Speravamo che il PD
volesse riparare lo sfascio, come
è sempre accaduto nella storia
d’Italia: la destra dilapida e la
sinistra aggiusta. Speravamo da
impenitenti illusi perché non volevamo rassegnarci alla disfatta dei
“principia” per cui abbiamo vissuto e spesso anche dato la vita.
L’arrivo al governo del PD, nel
frattempo mutato geneticamente in “cosa renziana-boschiana”,
costringe a prendere atto che il
partito “che fu” delle lotte operaie
e della difesa a oltranza della Costituzione, ha fretta di dismettere
il vocabolario “di sinistra” perché se ne vergogna, rincorrendo
la destra fino all’incesto contro
natura, battezzato - ironia della
sorte! - “Nazareno”, col nome di
uno che si è fatto crocifiggere
pur di restare fedele a sé, senza
perseguire interesse personale di
alcun genere. Per la terza volta
consecutiva, dopo Monti e Letta,
il PD smania per andare al governo con uno che non è mai stato
Vignetta che circola in internet
eletto (se non per fare il sindaco
di una media città come Firenze) e da qual momento perde la
bussola e si ammala di labirintite.
Nei primi tre anni di malgoverno,
l’allegra brigata ha fatto una scelta di classe: stare dalla parte di
Confindustria, precarizzare il lavoro e punire i Sindacati. I numeri
mirabolanti di giovani al lavoro
sono stati ridimensionati dall’Istat,
la furia iniziale (“una riforma alla
settimana”) si è acquetata nelle
braccia del marpione Marchionne
nel proscenio della Borsa del Cavallino Rosso (l’unico rosso che
questo governo riconosce). Nella
finanziaria vi sono più normative a
favore delle mafie, degli evasori e
dei suoi parenti e del babbo della
Boschi Maria Etruria che a tutela
dei piccoli risparmiatori. Con la
controriforma costituzionale e la
legge elettorale, il governo si è
posto espressamente contro la
democrazia e l’ordine costituzionale.
Renzi, infatti, contraddicendo
tutto quello che aveva dichiarato
e promesso prima di prendere il
partito e il governo, ha sopraffatto il Parlamento, la Giustizia,
addirittura la Corte Costituziona-
le e la TV di Stato, dandosi ruoli
e compiti che non gli spettavano, allargando la propria azione
anche dove non gli è lecito. È
riuscito così dove Berlusconi ha
tentato senza risultato completo
perché aveva le piazze piene degli iscritti del PD, della sedicente sinistra e degli uomini e delle
donne di buona volontà democratica.
La riforma costituzionale, infatti, non è materia di governo,
ma esclusiva prerogativa del Parlamento, dove non vige il vincolo
di partito, ma la libera convinzione e la libertà di coscienza al momento del voto, che comunque,
è sempre superiore alla disciplina
di partito. Ora sappiamo bene
che la riforma costituzionale, anzi
la distruzione della Costituzione
repubblicana - unita alla legge
elettorale che prevede di fatto la
trasformazione del Senato della Repubblica in dopolavoro per
servitori fedeli e proni, è un obiettivo che riguarda la perpetuità
di Renzi - lo statista di Rignano
sull’Arno! - come prosecuzione
ideale e storica del berlusconismo (senza cene eleganti o almeno evidenti).
mi votate, accettando le “mie”
riforme, succederà il finimondo, perché dopo di me non vi è
futuro e l’Italia può sprofondare
nell’abisso dell’anarchia.
Ne prendiamo atto e non ci
lasciamo sconvolgere. Accettiamo la sfida. Vogliamo mobilitarci
per battere la controriforma (in)
costituzionale a firma “Renzi/
Boschi”, decisi a prendere due
piccioni con una fava sola: sconfiggere lo stravolgimento della
Carta del ’48, nata dalla Resistenza, e mandare a casa Renzi
e la sua ghenga che, insieme,
sono spuri alla vita democratica
e al Diritto della Decenza. Se è
guerra, guerra sia!
Con una differenza - questa sì
abissale! - Renzi lotta per il potere per sé, per la sua famigliola, il babbo della Boschi e i suoi
amici, noi lotteremo senza alcun
interesse solo per amore della
dignità della Carta Suprema, garanzia di Democrazia, baluardo
della dignità del lavoro utile e
orizzonte del futuro della nostra
Italia. Renzi, che è stato sindaco
di Firenze, non dimentichi Carlo
VIII e Pier Capponi del 1494 perché come allora, se Renzi suonerà le sue trombe e trombette,
anche noi oggi suoneremo le
campane delle nostre coscienze e della nostra libertà votando
“NO” al referendum confermativo. A quel punto, dovrà essere
lui a prendere atto che esiste un
popolo d’irriducibili e dovrà tornarsene a Rignano a giocare con
i figli sulle rive dell’Arno, magari
accompagnato da Boschi Maria
Elena Etruria in veste di Baby
Sitter a tempo pieno.
L’ANPI per il referendum
popolare: “No” alla riforma
del Senato
ed alla legge elettorale
Riportiamo estratti del comunicato del Comitato nazionale dell’ANPI sulla riunione del
21 gennaio scorso, nella quale
ha deciso con larghissima maggioranza (solo tre astenuti) di
sostenere il No nel referendum
popolare sulla controriforma
del Senato.
L’ANPI si schiera per il referendum popolare, per dire “no”
alla legge di riforma del Senato ed
alla legge elettorale.
La decisione è stata presa nel-
la riunione del Comitato nazionale del 21 gennaio dove si è ampiamente ed approfonditamente
discusso circa la riforma del Senato e la legge elettorale e sulla proposta di aderire ai Comitati referendari già costituiti.
In una associazione pluralista
come la nostra ci saranno certamente opinioni anche diverse da
quella prevalsa nel Comitato nazionale; e del resto, alcune perplessità e preoccupazioni sono
emerse anche in quella sede. Ebbene, la parola chiave è: “rispetto”
di tutte le opinioni, pur nel contesto dell’attuazione delle decisio-
ni assunte. Ognuno sarà libero di
votare come crede, quando verrà il
momento; ma oggi sono da evitare azioni ed iniziative che contrastino con la linea assunta dal massimo organo dirigente, così come
devono essere - da parte di chi è
convinto della bontà e della giustezza della decisione adottata –
evitati toni e comportamenti che
in qualche modo possano apparire prevaricatori. L’ANPI è perfettamente in grado di mantenere la
sua preziosa unità se tutti rispettano le regole, le decisioni adottate e
- al tempo stesso - le opinioni diverse.
6 il bolscevico / carta dei diritti cgil
N. 7 - 18 febbraio 2016
Inciucio tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per favorire il governo e gli imprenditori
L’accordo sulla rappresentanza
e’ un freno alla lotta sindacale
e al diritto di sciopero
La Cgil a rimorchio di Cisl e Uil. Emarginati i sindacati minori. Attuato di fatto l’articolo 39
della Costituzione. Napolitano e Letta si spellano le mani per il risultato
L’accordo va rigettato
In questi giorni gli iscritti
alla Cgil sono chiamati nei loro
posti di lavoro a esprimersi con
voto palese sulla “Carta dei diritti universali del lavoro”. Per
comprendere meglio le radici
dell’indicazione del PMLI a votare No ai due quesiti referendari della Cgil in questa pagina
ripubblichiamo l’articolo sulla
rappresentanza sindacale, cavallo di battaglia appunto del
Nuovo Statuto delle lavoratrici
e dei lavoratori proposto dalla
Cgil, apparso su “Il Bolscevico” n. 25/13.
Il 31 maggio è stato firmato l’accordo sulla rappresentanza sindacale tra Cgil-Cisl-Uil e
Confindustria. Camusso, Bonanni e Angeletti per i confederali
e Squinzi per gli industriali hanno siglato ufficialmente un’intesa
che di fatto era già stata raggiunta e che stravolge completamente da destra le relazioni industriali
nel nostro Paese. Nella sostanza si
tratta dell’applicazione, in materia
di rappresentanza, dell’accordo
del 28 giugno 2011 che a sua volta riprendeva quello separato del
2009 che tra le altre cose prevedeva i “patti in deroga”, ossia la possibilità di modificare a favore delle esigenze aziendali quasi tutta
la materia contenuta nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
(CCNL) che veniva disarticolato
e ridimensionato fino a diventare
una “scatola vuota”.
Sindacato
delle larghe intese
L’intesa sulla rappresentanza
non ha niente a che vedere con la
democrazia sindacale, anzi ne è
la sua negazione, è bene chiarirlo subito. Questo accordo nasce
con il chiaro intento di eliminare
o quantomeno limitare e prevenire le lotte dei lavoratori delle fabbriche più combattive che non si
piegano di fronte ai padroni e di
quei sindacati che non accettano
le logiche collaborazioniste e cogestionarie di Cgil, Cisl e Uil. Il
tutto per assicurare agli industriali un clima di pace sociale quando
invece le conseguenze della crisi
capitalistica spingono i lavoratori
alla ribellione e permettono ai padroni di affrontare la competizione con i capitalisti delle altre nazioni senza avere i conflitti nelle
proprie fabbriche.
È questo l’indirizzo di fondo che sta alla base del patto che
non a caso è stato raggiunto in
questo preciso momento, durante il governo delle larghe intese,
che vede le maggiori fazioni della borghesia, rappresentate da PD
e PDL, assieme al governo. Come
abbiamo detto la sostanza di questo accordo era già scritta in quelli del 2009, non firmato dalla Cgil
nel suo insieme, e del 2011 osteg-
giato dalla Fiom. Ma la presenza
di Berlusconi e del PDL alla guida dell’esecutivo non aiutavano
certo l’unità dei sindacati confederali; la politica del neoduce è
sempre stata improntata all’emarginazione della Cgil privilegiando
accordi con Cisl, Uil e Ugl.
L’avvento del Governo LettaBerlusconi, con i suoi richiami
al “patto tra i produttori”, ovvero
l’alleanza innaturale tra padroni e
lavoratori, le esternazioni e i diktat del nuovo Vittorio Emanuele
III, vero promotore, regista e garante di questo governo, Giorgio
Napolitano, all’unità nazionale e
al “bene comune” hanno cambiato le carte in tavola e creato un clima favorevole a una nuova unità
tra i confederali e in special modo
al riavvicinamento della Cgil a
Cisl e Uil, puntualmente avvenuto. Fermo restando la politica governativa fatta di lacrime e sangue
per i lavoratori e la linea collaborazionista di Cisl e Uil che non
sono certo cambiate, piuttosto è
avvenuta la capitolazione della
Cgil, Fiom compresa. Le definizione “sindacato delle larghe intese”, usata da alcuni osservatori
per definire la ritrovata unità appare quindi perfettamente appropriata.
Uno stop
al conflitto sociale
Questo accordo sancisce il monopolio sindacale di Cgil, Cisl e
Uil ed è fatto per allineare categorie che si ribellano come ad
esempio i metalmeccanici della
Fiom che con queste nuove regole a Pomigliano avrebbero dovuto ubbidire a Marchionne e non
avrebbero potuto nemmeno scioperare contro la Fiat. Se ci addentriamo nel protocollo d’intesa lo
possiamo capire bene. Anzitutto
ai sindacati viene misurata la rappresentatività, da calcolare per il
50% con le deleghe delle quote
versate dai lavoratori e per l’altro
50% con i voti ottenuti nelle elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU). E già qui
c’è una discriminazione perché i
“sindacati di base” non possono
contare sulle trattenute sindacali
in busta paga. Poi, fatta la media
si dovrà raggiungere almeno il 5%
per essere ammessi al tavolo dove
si decidono i contratti nazionali.
Ma questo 5% è solo fittizio
perché occorre prima dare il proprio assenso a queste regole. Difatti nel documento si ricorda continuamente che sono ammesse al
tavolo delle trattative solo le “organizzazioni sindacali firmatarie
della presente intesa”. Quindi prima bisogna sottostare alle regole
scritte da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, dopodiché, se si raggiungono i requisiti, si potrà sedere al
tavolo, ovviamente in posizione
minoritaria e da semplice spettatore. La stessa regola della firma
dei tre principali. Nello stesso tempo, la Cgil di Camusso e la Fiom
di Landini con questo vogliono rientrare in pieno nelle grazie del padronato, da cui hanno rischiato di
essere emarginati.
Un accordo
da rigettare
Milano, 14 novembre 2014. Sciopero generale dei metalmeccanici. Il PMLI tiene alta la propria bandiera
insieme a quella della Fiom
preventiva vale per la misurazione dei voti nelle elezioni delle Rsu
quindi, rimanendo ancora al caso
Pomigliano, la Fiom non avrebbe
il diritto ad essere rappresentata
in Fiat. Ai sindacati che vogliono
presentare liste alle elezioni delle Rsu si chiede una sottomissione, un’abiura preventiva della difesa degli interessi dei lavoratori,
un’accettazione a priori e comunque degli accordi svendita. Questa è la certificazione della dottrina mussoliniana di Marchionne.
Di sicuro non è la “consultazione certificata dei lavoratori”,
come ha affermato Landini che
con il suo assenso all’intesa si è
rimangiato tutte le lotte che proprio sul tema della democrazia
sindacale hanno visto la Fiom in
prima fila. Il segretario dei metalmeccanici si ripara dietro il paravento della consultazione dei lavoratori necessaria per approvare
a maggioranza i contratti nazionali le cui modalità “saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo
contratto”. Quindi non è nemmeno vero che ad ogni firma seguirà
un referendum. Insomma, il consenso finale dei lavoratori è solo
una foglia di fico.
Esistono invece altre clausole come quella che prevede che
potranno presentare la piattaforma contrattuale solo le organizzazione che da sole o unitariamente
supereranno il 50% e solo queste
potranno trattare con la controparte. Ma la parte forse peggiore
è quella che riguarda la limitazione del diritto di sciopero. Difatti, dopo tutte queste clausole antidemocratiche, quando l’accordo
viene firmato ha “piena esigibilità”, cioè tutti devono rispettarlo e
s’impegnano a “non promuovere
iniziative di contrasto agli accordi così definiti”, cioè non devono
scioperare e tutti devono stare zitti. Ma addirittura i contratti firmati con questa modalità “dovranno
stabilire clausole e/o procedure di
raffreddamento”: tradotto dal lin-
guaggio burocratico vuol dire che
ci saranno penali per i sindacati
(e anche per i singoli lavoratori?)
che si azzardano a metterlo in discussione.
Capitolazione
della Cgil
Basterebbero le dichiarazioni
che ci sono state a seguito della
firma per capire bene a chi giova
e a chi nuoce l’accordo sulla rappresentanza. Quella del capo del
governo, il PD di area democristiana Enrico Letta: “bravi, bravi,
veramente bravi”, oppure quelle
di Napolitano che continuamente bacchetta e incita i partiti alle
controriforme
presidenzialiste
stavolta è soddisfatto perché per
lui l’accordo susciterà “l’apprezzamento anche delle istituzioni
europee” e si augura “che lo spirito e il contenuto dell’accordo trovino la più larga adesione in tutti
gli ambienti imprenditoriali e sindacali”. Più espliciti e diretti gli
industriali come il capo di Confindustria Giorgio Squinzi: “dopo
60 anni definiamo le regole per la
rappresentanza, che ci permette
di avere contratti nazionali pienamente esigibili” o il suo vice Stefano Dolcetta: “l’accordo è una
riforma strutturale del sistema di
contrattazione per rendere più solida anche l’impresa”, un “sistema
vicino al modello dell’articolo 39
della Costituzione”.
Questo richiamo alla Costituzione apre anche un altro capitolo, quello della trasformazione del
nostro Paese da repubblica unitaria parlamentare e, almeno sulla
carta, antifascista, a regime presidenzialista, neofascista e federalista. Non si può prescindere
dall’inquadrare l’accordo in questione dal processo di fascistizzazione in atto nel Paese, sancito anche dall’apposito disegno di
legge di questo governo, pressato da Napolitano, per arrivare in
tempi rapidi alla controriforma
presidenzialista della Costituzione del 1948. In questo caso non
si tratta di riscrivere un articolo
ma d’interpretarlo da destra; l’articolo 39 della Costituzione riferendosi ai sindacati dice: “....possono, rappresentati unitariamente
in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro
con efficacia obbligatoria per tutti
gli appartenenti alle categorie alle
quali il contratto si riferisce”.
Una norma che stabilisce un
diritto ma non le regole. Anzi, finora questo articolo veniva impugnato per pretendere che tutti i
lavoratori beneficiassero dei miglioramenti contrattuali, invece in
questo accordo se ne dà una lettura punitiva, e cioè che la maggioranza dei sindacati (non dei
lavoratori, ndr) decide per tutti e chi non è d’accordo si deve
per forza adeguare. C’è la pretesa di cancellare il conflitto sociale, di prevenire gli accordi separati che lasciano come strascico
gli scioperi e la mobilitazione dei
lavoratori, si vuole un sindacato
che non sia rivendicativo ma collaborativo e succube dei padroni.
Sono eloquenti le parole del crumiro Bonanni che dalla tribuna
del congresso nazionale della Cisl,
svoltosi in questi giorni a Roma,
ha detto: “un accordo che valorizza tutte le scelte di fondo compiute con coerenza dalla Cisl in questi
anni, contribuendo al superamento
delle cultura antagonistica”
Non c’è stato nessun smacco
alla Fiat, come ha detto la Camusso nè tanto meno la Cgil è riuscita a
far cambiare idea a Cisl e Uil, come
ha detto Landini. Queste sono dichiarazioni fatte per buttare fumo
negli occhi ai lavoratori; semmai
c’è stata la completa omologazione della Cgil, Fiom compresa, al
governo Letta-Berlusconi, a Napolitano, Squinzi e Confindustria, ai
sindacati cogestionari e collaborazionisti Cisl e Uil e l’emarginazione dei sindacati minori, a sinistra
Nonostante quasi tutti i massmedia abbiano santificato l’accordo come un toccasana per uscire
dalla crisi, ovviamente sulle spalle dei lavoratori, si allarga e si
manifesta il dissenso. L’area della Cgil che si riconosce nella Rete
28 Aprile ha fin da subito condannato l’accordo. Cremaschi ha dichiarato: “È un accordo ‘storico’,
ma in senso negativo. Questo accordo infatti risolve alla radice il
problema per i padroni di scegliere con chi trattare, perché, con le
regole firmate, Cgil Cisl e Uil accettano la limitazione e l’attacco
al diritto di sciopero, in pratica il
modello Fiat viene esteso a tutti i lavoratori”. L’altro esponente
dalla Rete 28 Aprile Bellavita ha
dichiarato che tale accordo comporta: “l’affermazione delle politiche d’austerità sul terreno contrattuale” che cancella “il diritto
dei lavoratori alla libera rappresentanza, colpiscono il diritto di
sciopero e il potere dei lavoratori
di migliorare la loro condizione”.
Per l’Unione Sindacale di Base
(USB) questo è l’accordo della
vergogna “utile solo a garantire
pace sociale di fronte ai sempre
più avanzati processi di riorganizzazione produttiva”. Per i Cobas
( Confederazione dei Comitati di
Base) “è la logica conseguenza
dell’insulso inciucio che ha costruito il governo Letta, finalizzato alla logica corporativa della
pace sociale”
La Camusso è stata contestata da una parte della platea a un
convegno a Milano al grido di “lo
sciopero non si tocca” mentre si
alzano grida di protesta da diverse fabbriche, specialmente metalmeccaniche. Segnaliamo le voci
contrarie delle RSU-Fiom della
Piaggio di Pontedera (Pisa), Same
di Treviglio (Bergamo), Oerlikon
Graziano di Rivoli (Torino), Insiel di Trieste. La parte più avanzata della classe operaia con le
sue lotte dovrà far capire a tutti i
lavoratori che in buona parte ne
sono ancora all’oscuro, la necessità di rigettare questo accordo,
che non a caso, per la sua gravità
e la sua portata, aggiungiamo noi,
capo del governo, presidente della
Repubblica e rappresentante degli
industriali hanno definito “storico”. Dal loro punto di vista non
hanno torto, poiché si tratta della
consacrazione delle relazioni industriali mussoliniane introdotte da Marchionne alla FIAT, che
vanno ostacolate in ogni modo,
usando qualsiasi metodo di lotta
di massa ritenuto necessario.
VOTATE PER IL PMLI
E IL SOCIALISMO
ASTENENDOVI
Committ.: Resp. Monica Martenghi (art. 3 - L.515/93)
di Giovanni Scuderi
(…) Siamo qui per chiedervi di votare per il PMLI e il
socialismo attraverso l’astensionismo, ossia disertare
le urne, votare nullo o bianco. Ciascuno scelga la forma
di astensionismo che ritiene tatticamente più opportuna
al suo caso. L’astensionismo, così inteso e praticato, è
l’unico voto anticapitalista, antimperialista, antifascista,
antipresidenzialista, antifederalista e antirazzista. Votare
diversamente equivale esattamente al contrario, ossia
dare il consenso, di fatto, agli oppressori e agli sfruttatori,
ai nemici e agli imbroglioni del popolo.
Sul piano elettorale solo con l’astensionismo marxistaleninista si fa chiarezza tra il campo del proletariato e del
socialismo e il campo della borghesia e del capitalismo, si
eleva la coscienza politica e la combattività delle masse,
si educano le nuove generazioni alla lotta rivoluzionaria,
antistituzionale e antiparlamentare, si indeboliscono, si
disgregano e si delegittimano le istituzioni rappresentative
borghesi e i partiti che le appoggiano.
L’astensionismo marxista-leninista è quindi un voto
che esprime una ben precisa volontà politica, una
dichiarazione aperta di guerra al capitalismo e ai suoi
partiti, e di schieramento con il PMLI e il socialismo.
L’unico voto coerente che possano esprimere un’elettrice
e un elettore di sinistra.
Un voto che nel passato poteva essere espresso votando
gli eventuali candidati e le liste del PMLI. Oggi però non
più, dal momento che le masse a milioni disertano le
urne ... e dal momento che l’esperienza dell’utilizzazione
del parlamento dimostra che sono più gli svantaggi che
i vantaggi che possiamo ricavarne ai fini della lotta di
classe per la conquista del potere politico da parte del
proletariato.
I marxisti-leninisti di tutto il mondo fin dai tempi di Marx
ed Engels, e grazie ai loro insegnamenti, pur coscienti del
pericolo del “cretinismo parlamentare”, che consiste nel
credere di poter arrivare al socialismo conquistando la
maggioranza elettorale e per via parlamentare, hanno in
passato utilizzato quando hanno potuto e per motivi tattici
anche la tribuna elettorale per combattere la borghesia e il
capitalismo, ma mai nel corso di una rivoluzione e sempre
in subordine alla lotta di classe e facendo bene attenzione
a non creare illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e
pacifiste nelle masse. Ben diverso è stato l’atteggiamento
dei revisionisti, falsi comunisti.
Le masse allora erano attratte dalle istituzioni
rappresentative borghesi e dalle novità apportate dal
parlamento rispetto alle assemblee delle monarchie, le
consideravano degli organismi democratici e non era
facile convincerle a non utilizzarle. Oggi, visto che tali
istituzioni hanno sempre meno presa sulle masse e sono
avvertite come estranee, se non nemiche, e dopo aver
verificato che prendendovi parte si finisce col rafforzarle
mentre si indebolisce la coscienza rivoluzionaria e
antiparlamentare delle masse, noi abbiamo ritenuto
necessario abbandonarle e scegliere l’astensionismo
come la posizione
tattica elettorale
migliore e più
funzionale alla
nostra strategia
rivoluzionaria.
L’astensionismo
ci aiuta a staccare
ancor più le masse
dal parlamento e dalle altre istituzioni rappresentative
borghesi (consigli comunali, provinciali e regionali),
ci aiuta a rendere le masse più fiduciose nelle proprie
possibilità e a coinvolgerle nella lotta di classe.
Per questo noi invitiamo le masse anticapitaliste,
astensioniste e fautrici del socialismo, comprese le
ragazze e i ragazzi fin dai 14 anni che hanno questo stesso
orientamento politico ed elettorale, a creare ovunque in
Italia delle proprie istituzioni rappresentative costituite
dalle Assemblee popolari e dai Comitati popolari. Le
invitiamo cioè a unirsi periodicamente in Assemblea
popolare, indipendentemente dai partiti di appartenenza,
nel quartiere, frazione di comune o zona rurale in cui
risiedono, sotto la direzione del proprio Comitato popolare
per stabilire la propria piattaforma politica e rivendicativa,
le proprie lotte, attività e iniziative sociali aperte a tutta la
popolazione del proprio territorio.
Ogni Assemblea popolare deve dotarsi di un regolamento
interno in grado di assicurare la propria vita democratica
e la propria operatività e deve avere un proprio governo
denominato Comitato popolare i cui membri devono
essere eletti con voto palese e con mandato revocabile
in qualsiasi momento. Esso deve essere composto
da un numero paritario di donne e uomini, eleggibili
fin dall’età di 16 anni indipendentemente dalla razza,
dalla confessione religiosa o dal loro ateismo e
dall’orientamento sessuale.
Dai Comitati popolari di quartiere, a catena e per elezioni
sempre sulla base della democrazia diretta, si passerà ai
Comitati popolari cittadini, provinciali, regionali, fino ad
arrivare al Comitato popolare nazionale, che rappresenta il
governo centrale delle masse anticapitaliste, astensioniste
e fautrici del socialismo.
Si tratta cioè di creare un’organizzazione politica
e istituzionale anticapitalistica delle masse che si
contrapponga a tutti i livelli a quella dello Stato borghese.
Delle istituzioni rappresentative permanenti delle masse,
in cui le masse siano sovrane e attraverso cui possano
contrapporre idee, scelte, soluzioni, indirizzi a quelli dei
governi ufficiali locali, provinciali, regionali e nazionale.
Così da produrre un costante confronto, un braccio
di ferro e uno scontro tra istituzioni e linee politiche
contrapposte per strappare alle amministrazioni borghesi
il massimo possibile di benefici per le masse, specie per
quanto riguarda il lavoro, la casa, i servizi sociali, le tasse,
le imposte e le tariffe
(Dal discorso pronunciato a Napoli il 5 maggio 2001)
8 il bolscevico / elezioni comunali
N. 7 - 18 febbraio 2016
Milano
Sala, votato dalla destra, vince
le primarie PD
Majorino, Balzani e Iannetta lo sosterranno rivendicando
un posto in giunta. Pisapia sottoscrive l’appello a unirsi
attorno al beniamino della borghesia
‡‡Redazione di Milano
Domenica 7 febbraio si è conclusa come da copione la sceneggiata delle votazioni primarie
del PD che ha ufficializzato la
candidatura a neopodestà di Milano dell’amministratore delegato
di EXPO spa, Giuseppe Sala, già
designata dal nuovo duce Renzi
e fortemente voluta dalla grande
borghesia cittadina e nazionale.
Hanno partecipato al voto
60mila residenti, 7mila in meno
rispetto a cinque anni fa. Quasi
25mila hanno votato per Sala,
primo col 42% dei consensi;
seguono la piddina attuale vicesindaco e assessore al Bilancio
Francesca Balzani (34%), l’assessore PD alle politiche sociali
Pierfrancesco Majorino (23%) e
il presidente dell’associazione
sportiva Uisp Milano Antonio Iannetta (0,73%).
Majorino, Balzani e Iannetta, a
caccia di voti per rivendicare un
posto nella futura giunta a guida
PD, hanno assolto bene al loro
ruolo di copertura a sinistra della
candidatura predesignata dall’alto di Sala. Con un sapiente gioco
delle parti hanno attratto a sé (con
programmi “di sinistra” farciti con
fantasmagoriche promesse) la
maggioranza della base e degli
elettori del PD - che certo non
simpatizza per il prescelto di Renzi – finendo col garantire la vittoria
del loro falso avversario con una
maggioranza relativa. A giochi
fatti, tutti insieme allegramente,
hanno lanciato l’appello: “e adesso tutti uniti per Beppe Sala!”;
appello, ovviamente, sottoscritto
anche dal neopodestà uscente,
l’arancione Giuliano Pisapia.
Dal canto loro i potenti sostenitori di Sala hanno comunque
dovuto garantirgli una maggioranza di voti alle primarie, seppur
relativa. Per fare questo è stato
necessario muovere “pacchetti
di voti” sicuri, più probabilmente
legati a clientelari voti di scambio
che mossi da sincere convinzioni
politiche. Oltre ai fedelissimi renziani (per scelta o per “obbligo”)
tra gli iscritti e i simpatizzanti PD,
a votare Sala ci sono contingenti
di elettori provenienti da destra:
gli ex berlusconiani che fanno
capo al plurinquisito e intrallazzatore della cosiddetta P3 Denis
Verdini (il quale ha dichiarato ufficialmente il suo “endorsement”);
gli affiliati e i clienti della potente
lobby politico-affaristica cattolica
di Comunione e Liberazione (della
quale è socio fondatore Fiorenzo
Tagliabue che con la sua società
di comunicazione guida le strategie elettorali di Sala); elettori democristiani del Centro Democratico dell’ex assessore al Bilancio
Bruno Tabacci dietro il quale si
cela la clerico-fascista Opus Dei
tramite Giuseppe Garofano (già
condannato a 3 anni di reclusione, ai tempi di tangentopoli nel
processo Enimont, per finanziamento illecito ai partiti quand’era
presidente di Montedison, ed oggi
I quattro candidati delle primarie PD uniti nel sostegno al renziano Sala. Nella foto da sinistra: Giuseppe
Sala, Antonio Iannetta, Francesca Balzani, Pierfrancesco Majorino
presidente della holding di partecipazioni industriali “Alerion”) ed
Ettore Gotti Tedeschi (già coinvolto - insieme agli altri vertici dello
IOR che presiedeva - in un’indagine della Procura di Roma per
supposta violazione delle norme
antiriciclaggio), ambedue dichiarati sostenitori di Sala.
Ha destato forti sospetti di
voto di scambio, inoltre, l’anomala alta affluenza di cittadini cinesi
residenti nella zona di Via Paolo
Sarpi guidati in gruppo e istruiti a
dovere da attivisti connazionali.
L’indicazione di voto campeg-
giava da giorni sul sito in lingua
cinese “huarenjie.com”: “i cinesi
di Milano devono tirar fuori la loro
forza” in sostegno di Sala, invito
corredato da una foto in posa del
candidato prescelto e dalla cartina della città con i seggi dove
andare a votarlo. Il fatto che molti
di loro non avessero nemmeno
una basilare consapevolezza per
motivare il voto è stato anche rilevato da vari servizi giornalistici
come quello del 7 febbraio, edizione delle 13.30 del tg “La7”,
che ha persino sorpreso un votante cinese mentre fotografava
col cellulare la carta d’identità
e il talloncino della scheda che,
assieme alla foto (fatta in cabina, ovviamente) della scheda col
voto espresso, può fungergli da
prova documentale per riscuotere il “premio” pattuito.
Sala ha provato a carpire anche i voti dell’elettorato di sinistra, strizzando l’occhio a quello
giovanile anzitutto, quando, alla
festa di chiusura della sua campagna per le primarie, ha esibito
una maglietta con l’effige di “Che”
Guevara (icona mai scomoda per
la borghesia) promettendo di “ti-
rarla fuori quando, a giugno, sarò
sindaco della città”. Riteniamo
però che sarà difficile che i giovani cedano ai suoi ammiccamenti
dato il trattamento che Sala ha
riservato a molti di loro durante
l’EXPO sfruttandoli a gratis o per
quattro soldi, senza diritti, per
brevi periodi e senza alcuna prospettiva lavorativa futura.
Ai fatti le primarie si sono dimostrate una sceneggiata per dare
visibilità al principale partito della
“sinistra” borghese e legittimità
al suo candidato neopodestà. In
esse non sono entrati i bisogni e
gli interessi degli operai, dei lavoratori, dei disoccupati, degli studenti, delle donne e dei pensionati
milanesi, bensì quelli della grande
borghesia nazionale e cittadina.
Per noi marxisti-leninisti c’è
una sola scelta di classe per
bloccare questa pericolosissima
convergenza politica interborghese pro-Sala e per delegittimare i vomitevoli intrallazzi per
sostenerlo (destinati a estendersi con l’avvicinarsi delle elezioni
comunali), negare il voto a tutti i
partiti in lizza per Palazzo Marino
e quindi delegittimare le corrotte
e antipopolari istituzioni borghesi
e chi le sostiene.
Affinché Milano sia governata
dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo e il primo
passo in tale direzione è quello di
astenersi, disertando le urne, annullando la scheda o lasciandola
in bianco.
Benedetta da Renzi che nomina sottosegretario l’alfaniano Tonino Gentile
PD e NCD verso l’alleanza elettorale a Cosenza
se le primarie regionali nel 2014
come espressione della “sinistra”
PD contro il renziano segretario regionale Ernesto Magorno
e il vendoliano Gianluca Callipo.
Questa è una delle ragioni per le
quali Renzi dalla Calabria ha portato al governo uomini di Alfano
e non del PD, per colpire i “non
allineati” a lui e manovrare meglio
Oliverio ridimensionandolo.
Considerando lo sfascio determinato da Occhiuto e dalla destra
tanto a livello comunale quanto
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scheda o lasciarla in bianco) per
delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi e i partiti
e i candidati al servizio del capitalismo, innescando la lotta di
classe fuori dalle marce istituzioni
locali del regime neofascista, con
l’obiettivo strategico di creare le
istituzioni rappresentative delle
masse fautrici del socialismo basate sulla democrazia diretta: le
Assemblee popolari e i Comitati
popolari.
ASTENSIONISTI DI SINISTRA,
FAUTORI DEL SOCIALISMO,
SOTTOSCRIVETE PER IL PMLI
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provinciale, il qualunquismo di
destra del M5S che ha individuato il suo candidato sindaco in Gustavo Coscarelli con metodi che,
al di là delle chiacchiere, con la
“democrazia diretta” non hanno
nulla a che spartire, è del tutto
evidente che per il popolo cosentino alle prossime comunali l’unica alternativa di classe è quella
votare per il PMLI e il socialismo
impugnando l’arma dell’astensionismo tattico marxista-leninista
(disertare le urne, annullare la
Committente
consolidata e benedetta da Renzi e da Oliverio, sembra dunque
cosa fatta.
Non è stato trovato ancora il
candidato a sindaco, per effetto
della lotta di potere interna al PD
cosentino, tra vari esponenti del
partito:
Nicola Adamo (ex uomo forte
del PD regionale, marito di Enza
Bruno Bossio, deputata nazionale) il quale, travolto da “Rimborsopoli” torna in Calabria dopo
ben 7 mesi di divieto di dimora
nella regione.
Carlo Guccione, ex assessore regionale al lavoro nella prima
mini-giunta borghese neofascista
e filomafiosa di Oliverio defenestrata dalla “Rimborsopoli” calabrese, che punta sulla candidatura alle primarie di Enzo Paolini,
consigliere comunale di FI e “re
delle cliniche private”, gradito ai
Gentile.
Lucio Presta, detto il “signor
Rai” (fu indagato per concussione nei confronti di alcuni dirigenti
della Rai, è impresario fra gli altri
del giullare del regime neofascista, il clericopiddino Roberto Benigni), il quale ha già presentato
la sua lista “Amo Cosenza” ed ha
dato la sua disponibilità a Renzi
per la candidatura a sindaco, ma
non ha intenzione di partecipare
alle primarie.
Giacomo Mancini jr. (nipote
dell’omonimo defunto ex segretario del PSI) che ritorna a “sinistra” attraverso Denis Verdini
dopo essere stato vicepresidente della nera giunta regionale di
Scopelliti e vari altri arnesi rimasti
a bocca asciutta sia alla regione
che a Palazzo Chigi, cosa dovuta per alcuni di loro al fatto di
essere troppo poco “renziani” e
troppo vicini ad Oliverio, che vin-
in proprio
Scopelliti, nella cui giunta Pino
Gentile fu assessore ai lavori
pubblici.
Si consolida poi con la nomina
del “cinghiale” a sottosegretario
ai trasporti nel neonato governo
Renzi nel 2014, anche se in questo caso fu costretto a dimettersi per il vergognoso caso della
censura al quotidiano “L’ora della
Calabria”.
Prosegue quindi con la scelta, alle regionali anticipate del
novembre 2014, di NCD e UDC
di presentarsi da soli, fuori dal
“centro-destra”, col malcelato
obiettivo di favorire l’elezione a
governatore di Mario Oliverio del
PD, con la candidatura a presidente della regione del senatore
Nico D’Ascola (eletto, in realtà
nominato, in Calabria con il PDL
come Gentile e la neosottosegretaria al turismo, oggi NCD, Dorina
Bianchi) il quale è stato eletto da
poche settimane presidente della
commissione giustizia del Senato
con i voti del PD.
Per quanto riguarda in particolare Cosenza, i Gentile, va ricordato, furono fra i massimi artefici
dell’elezione di Occhiuto a sindaco, tanto da riuscire ad imporre
Katya Gentile (figlia di Pino) come
vicesindaco della città.
Occhiuto (nel frattempo passato dall’UDC a FI) la estrometterà però dopo pochi mesi scatenando una guerra con gli ex
alleati con tanto di strascichi giudiziari e accuse di “mafiosità” da
parte di Occhiuto ai Gentile specie durante la lotta per l’elezione
a presidente della provincia vinta
per pochi voti contro il sindaco di
Rende Marcello Manna, sostenuto anche dai Gentile.
L’alleanza anche sul piano amministrativo per la città dei Bruzi,
Stampato
In vista delle amministrative
della prossima primavera prove
tecniche del partito della nazione
fascista anche a Cosenza.
PD e NCD si presenteranno
insieme alle elezioni per accaparrarsi la carica di sindaco. Gli effetti di questa alleanza non hanno
tardato a emergere: nella notte
tra il 6 e il 7 febbraio scorso Mario
Occhiuto (FI) sindaco uscente, è
stato sfiduciato da 17 consiglieri
comunali, tra cui il suo ex fedelissimo presidente del Consiglio
comunale Luca Morrone, che
hanno presentato le dimissioni
alleandosi con Gentile. Occhiuto
è anche il presidente della provincia di Cosenza, nominato con
i voti dei consiglieri dei comuni
della provincia come previsto
dalla sciagurata “riforma” Delrio
che ha ristretto gli spazi di democrazia borghese.
E mentre Cosenza si prepara
al commissariamento non è stato
individuato ancora il candidato
per effetto della lotta fra le varie
fazioni interne al PD, per questo
motivo si terranno le primarie il 6
di marzo.
L’alleanza PD-NCD a Cosenza viene da lontano. Fortemente
voluta dal nuovo duce Renzi, che
ha da poche settimane nominato
il senatore Antonio Gentile detto
‘U Cinghiale’ sottosegretario alle
attività produttive, uomo forte insieme al fratello Pino e agli altri
suoi familiari dell’NCD di Alfano
in Calabria.
L’avvicinamento fra la “dinastia
politica” dei Gentile (che nasce
nel PSI degli anni ’70 a Cosenza
all’ombra dell’allora segretario
nazionale Giacomo Mancini) e il
PD inizia con la condanna per il
caso Fallara dell’ex governatore,
il fascista mal-ripulito Giuseppe
ZE
FIREN
Il PMLI sta impegnandosi al massimo per sostenere la campagna elettorale
astensionista. Si sta svenando economicamente per far giungere la sua voce anticapitalista, contro il regime neofascista e il governo Renzi, per l’Italia unita, rossa e socialista
a un maggior numero possibile di elettrici e di elettori. I militanti e i simpatizzanti attivi del
Partito stanno dando il massimo sul piano economico. Di più non possono dare.
Il PMLI fa quindi appello a tutte le astensioniste e agli astensionisti di sinistra e ai
sinceri fautori del socialismo, indipendentemente se voteranno i loro attuali partiti, per
aiutarlo economicamente, anche con piccoli contributi da uno a 5 euro. Nel supremo interesse del proletariato e della causa del socialismo.
Compagne e compagni astensionisti di sinistra e fautori del socialismo, aiutateci anche
economicamente per combattere le illusioni elettorali, parlamentari, riformiste e governative
e per creare una coscienza, una mentalità, una mobilitazione e una lotta rivoluzionarie di
massa capaci di abbattere il capitalismo e il potere della borghesia e di istituire il socialismo
e il potere del proletariato.
Consegnate i contributi nelle nostre Sedi o ai nostri militanti oppure inviate i contributi
al conto corrente postale n. 85842383, specificando la causale, intestato a: PMLI - Via A.
Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Ogni euro dato per la campagna elettorale astensionista del PMLI è un euro dato per
la vittoria del proletariato sulla borghesia e sulle sue istituzioni, del socialismo sul capitalismo, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao sul riformismo e sul revisionismo, del
PMLI sui falsi partiti comunisti.
Grazie di cuore per tutto quello che potrete fare.
elezioni comunali / il bolscevico 9
N. 7 - 18 febbraio 2016
L’alternativa non è “Chiara” ma il socialismo
La pentastellata Appendino candidata
dall’altoI 5alla
carica
di
sindaco
di
Torino
stelle puntano a tranquillizzare la borghesia torinese
‡‡Dal nostro corrispondente
del Piemonte
Chiara Appendino, borghese
doc dal volto pulito, è la candidata dei 5 stelle per la carica di sindaco della città di Torino. Trentunenne, bocconiana e da poco
diventata mamma, la giovane
Appendino è sposata con un industriale torinese e ha un incarico dirigenziale nella sua azienda.
La sua candidatura, una delle prime a essere ufficializzate lo
scorso novembre, è stata e viene tuttora presentata dai media
di regime come la vera “novità”
nella corsa per Palazzo Civico.
Appendino si trova in effetti a sfidare arcinoti caporioni della politica borghese come Piero Fassino, sindaco PD uscente in cerca
della rielezione, l’arcirevisionista ed imbroglione Marco Rizzo,
che intende usare la campagna
elettorale per lanciare il suo falso partitino “comunista” e Giorgio Airaudo, parlamentare di Sel
e già sindacalista riformista della
Fiom. In mezzo a questi rottami
della politica borghese la pentastellata Appendino sta avendo in
effetti gioco facile ad autoincensarsi come il “nuovo che avanza”
e come moralizzatrice (in un acceso dibattito nella sala consiliare Fassino la ebbe a definire con
scherno la “Giovanna d’Arco della pubblica morale”) del corrotto
mondo della politica borghese.
Una candidatura
della borghesia
torinese
Quella della pentastellata Chiara Appendino è a tutti gli
effetti, al pari di tutti gli altri caporioni in corsa per la carica di
neopodestà di Torino, una candidatura espressione della borghesia cittadina. Il suo pedigree
“doc” è consono al ruolo che, in
caso di vittoria, si troverà a rico-
prire. Il padre della Appendino,
vicepresidente di Prima Industrie
e braccio destro di Gianfranco
Carbonato che guida Confindustria Piemonte, è di casa nei salotti della borghesia bene di Torino. Degna figlia di tale padre,
Chiara, come detto, è dirigente
- lautamente stipendiata - nell’azienda del marito ed è considerata un astro nascente nel mondo delle piccole e medie imprese
che, a suo dire, rappresentano
la vera spina dorsale dell’economia torinese. Non le lavoratrici
ed i lavoratori sfruttati bensì i loro
sfruttatori borghesi. Ecco chi, secondo la Appendino, deve ricevere il pieno supporto delle istituzioni politiche comunali! Nel suo
libro “La città solidale, per una
comunità urbana” - considerato dai più come il suo manifesto
elettorale - esprime come propria la cultura borghese impregnata di liberalismo e, sul versante economico, esalta il libero
mercato e l’“impresa” come valore da difendere ad ogni costo. I
suoi punti di riferimento sono l’economista borghese di “sinistra”
Keynes ed il nostrano Adriano
Olivetti. Soprattutto quest’ultimo
- nel migliore stile dell’ipocrita “sinistra” borghese - viene incensato come imprenditore illuminato
e filantropo sostenitore dell’interclassista “Movimento Comunità” da prendere come esempio.
Inutile dire che la Appendino non
fa riferimento alcuno ai crimini
di Olivetti che nelle sue aziende, nel corso degli anni ’50 e ’60,
esponeva senza precauzione alcuna (nonostante ne fossero già
noti i gravissimi rischi) i propri lavoratori all’amianto.
Nei trascorsi cinque anni in
cui è stata seduta nella Sala rossa come consigliera comunale
Chiara Appendino non ha certo
brillato né per iniziativa né per
risultati. A dispetto delle sue infuocate quanto del tutto sterili discussioni con il neopodestà Fas-
sino - le solite polemiche in cui i
pentastellati si presentano come
i moralizzatori della politica - la
Appendino non ha ottenuto neppure il minimo miglioramento
delle condizioni di vita delle masse popolari torinesi e neppure
è stata capace di denunciare le
condizioni di degrado del proletariato cittadino. Nessuna reale
contestazione al corrotto sistema politico cittadino al soldo della borghesia torinese - corrotto
sistema di cui del resto la Appendino è stata ed è parte integrante
- ma soltanto critiche e denunce
da quattro soldi per l’affidamento
“poco trasparente” di incarichi e
consulenze.
Anche se il suo programma
elettorale non è ancora stato
reso noto, Appendino ha subito
messo in chiaro che intende mettere al centro della propria agenda elettorale le piccole e medie
imprese (anche quella di proprietà di famiglia?) che dovranno ricevere i dovuti supporti dalla
politica locale. “Vogliamo valorizzare il commercio e sostenere
il tessuto delle piccole e medie
imprese presenti sul nostro territorio” questo il punto fermo del
programma elettorale della candidata pentastellata. Prevedendo massicci tagli alla spesa per
la politica (tagli che, se necessario, investiranno anche la spesa
sociale della città?) la Appendino
intende ricavare almeno cinque
milioni di euro da destinare alle
imprese come finanziamenti. Insomma: pieno supporto all’economia borghese cittadina!
Ipocrisia grillina
all’ombra della Mole
Non appena eletta consigliere comunale nel 2011 la Appendino nel corso di una conferenza
stampa ha orgogliosamente dichiarato di rinunciare all’indennità mensile di carica - circa duemila euro mensili - dimenticandosi
però di aggiungere che l’azienda
del marito avrebbe continuato a
corrisponderle il suo stipendio di
dirigente a titolo di “permesso retribuito”. A fronte di un taglio fittizio dell’indennità la Appendino
ha quindi continuato a percepire
il suo lauto stipendio da dirigente, pagato dai sacrifici delle lavoratrici e dei lavoratori dell’azienda di famiglia. Che dire poi della
sua attuale “candidatura”? Alla
faccia della democrazia on-line
tanto cara ai grillini la Appendino
non si è dovuta sottoporre alle
“primarie” del Movimento. Senza
alcuna consultazione della base
(non era forse questa la forza dei
5 stelle, la “democrazia dal basso”?) è stata scelta all’unanimità dai 250 grandi elettori pentastellati del Piemonte. Forte del
suo mandato ricevuto “dall’alto”
ha subito messo in chiaro la linea della propria campagna elettorale e, alla pari di ogni borioso
borghese che si rispetti, ha dichiarato che avrebbe deciso personalmente la squadra da mettere in lista solo dopo la messa
a punto del proprio programma
elettorale.
Quale la primissima preoccupazione della Appendino? Le
masse popolari torinesi e le loro
sempre peggiori condizioni di
vita? Nulla di tutto ciò! Al pari di
ogni politicante borghese ha immediatamente provveduto a silurare il suo concorrente di partito - già candidato sindaco alle
scorse elezioni amministrative Vittorio Bertola. Questi, non appena ricevuta la laconica comunicazione che non sarebbe stato
messo in lista come vicesindaco,
ha dichiarato: “Non mi è piaciuto
che la scelta sia arrivata da una
riunione di partito chiusa, invece che da un’assemblea aperta
per lo meno agli iscritti al portale
nazionale: i sostenitori di Appendino hanno scritto un messaggio precotto, con lo stampino, nascondendosi dietro a un dito, a un
muro di gomma. L’apparato - lo so
è che è una brutta parola - si è appiattito su Appendino”. A fronte di
una lista di candidati scelta di persona (forse anche e soprattutto
come contrappeso a questo spiccato decisionismo) la pentastellata Appendino ha annunciato di
volere introdurre una sorta di bando di concorso pubblico per selezionare gli assessori della sua (in
caso di vittoria) giunta. “L’obiettivo
è mettere in campo le persone migliori, con le competenze migliori”, ha dichiarato nel corso di una
conferenza stampa.
Staremo a vedere chi verrà
“selezionato” come assessore
della sua potenziale giunta ma
possiamo fin da ora scommettere che la modalità di scelta saprà
decantare, in modo più o meno
pilotato, la “crema” della borghesia cittadina forte dei suoi roboanti titoli accademici borghesi e
delle sue prestigiose esperienza
professionali in Italia e all’estero.
Un bando di concorso pubblico
per selezionare gli amministratori? Il criterio scelto è particolarmente grave in quanto riduce
ancora di più i già limitati spazi
offerti dalla democrazia e dall’elettoralismo borghesi alle masse popolari. Queste saranno del
tutto escluse dagli organi di governo borghesi ancora prima
delle elezioni farsa, sulla base
di criteri meritocratici finalizzati a realizzare un governo locale
di tecnocrati ligi agli ordini della
borghesia cittadina.
L’alternativa per le
masse torinesi è il
socialismo
Per noi marxisti-leninisti non
ci sono dubbi, nessun candidato
alla carica di neopodestà di Torino potrà offrire il benché minimo miglioramento alle condizioni
di vita delle masse popolari torinesi. Il proletariato non deve far-
si ingannare. Nessun candidato dei partiti borghesi, men che
meno la pentastellata Chiara
Appendino, potrà offrire alcuna
vera alternativa alla schiavitù salariata a cui la classe dominante costringe. Alla parola d’ordine
lanciata dal Movimento 5 stelle
per le elezioni comunali: “l’alternativa è Chiara”, le masse popolari torinesi devono rispondere a
gran voce che l’unica vera alternativa è il socialismo.
Appendino cerca di presentarsi come candidata di “sinistra” e, soprattutto negli ultimi
giorni, non ha perso occasioni per rilanciare la propria immagine di “ragazza del popolo”
con partecipazioni e comizi improvvisati nei quartieri popolari
della città e schierandosi in favore di un “sì” compatto del Movimento 5 stelle al Ddl Cirinnà
sulle unioni civili. Chiara Appendino una candidata di “sinistra”
per Torino? Certo, se eletta sindaco del capoluogo piemontese sarebbe un’ottima galoppina
della corrente di “sinistra” della classe dominante borghese
nelle corrotte istituzioni politiche cittadine! No, il proletariato e le masse popolari torinesi
non devono dare alcuna fiducia
a questa imbrogliona patentata
e devono respingere al mittente
le sue menzogne imbracciando
l’arma dell’astensionismo. Solo
delegittimando le corrotte istituzioni rappresentative borghesi negando loro il voto e solo
abbracciando la proposta del
PMLI di creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo - le Assemblee
popolari e i Comitati popolari
basati sulla democrazia diretta - le masse popolari torinesi
potranno contrastare il dominio
della borghesia cittadina, primo e fondamentale passo verso il socialismo con cui potranno avere Torino governata dal
popolo e al servizio del popolo.
Movimenti a destra e a “sinistra” in
vista delle elezioni comunali a Bologna
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
FEBBRAIO
9
Cobas pt-Cub-Usb – Poste-Comunicazioni – Sciopero
lavoratori Poste Italiane SpA
15
Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltrasporti-Uil - Pulizie e multiservizi
– Cns, Ciclat, Manital, Manutencoop, Dussmann service,Team
Service, Maca e Smeraldo – Sciopero lavoratori servizi di
pulizia,ex Lsu, Appalti storici Istituzioni scolastiche
Usb-Lavoro Privato – Sciopero personale Trasporto Aereo,
Gruppo Meridiana Fly - Esclusione personale Meridiana
Maintenance
Orsa-Settore Ferrovie - Trasporto Merci - Compagnia
Ferroviaria Italiana – Sciopero di tutto il personale mobile
di C.F.I.
19
Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil - Energia e Petrolio –
Sciopero lavoratori Eni SpA, Saipem SpA
11
12
SEL spaccata. Nella “Coalizione Civica”
anche chi vuole “buttare via le bandiere rosse”
‡‡Dal
nostro
corrispondente
dell’Emilia-Romagna
A 5 mesi dalle elezioni comunali che decideranno la
prossima giunta e il prossimo
sindaco di Bologna, di sicuro
c’è solo la candidatura per il
secondo mandato dell’attuale sindaco PD Valerio Merola e quella del raccomandato
(da Grillo) consigliere comunale del M5S Massimo Bugani. Alla loro destra e “sinistra”
invece ancora nulla di deciso.
In Forza Italia vi sono alcuni pretendenti ma Berlusconi giorni fa ha avanzato la
candidatura di Vittorio Sgarbi
che però sta pensando anche
alle comunali di Milano, l’importante è andare a caccia di
poltrone. La Lega Nord ha posto subito l’altolà in quanto ha
già lanciato la consigliera co-
munale in camicia nero-verde Lucia Bergonzoni e il patto
FI-Lega prevede che vi siano
candidati condivisi in tutte le
città.
Anche a “sinistra” c’è grande divisione.
Prima è stato Mauro Zani,
ex dirigente PCI/PDS che nel
2009 non ha aderito al PD, ad
annunciare la nascita di “Coalizione Civica”, alla quale aderiscono “Possibile” di Civati,
una parte di SEL con i consiglieri comunali Mirco Pieralisi e Cathy Latorre, ex PRC,
ex M5S, sindacalisti e alcuni centri sociali con il leader
Gianmarco De Pieri che ha
dichiarato: “E’ ora di buttare
via le bandiere rosse”. Zani lo
ha rassicurato: “nel nostro appello iniziale come Coalizione
Civica la parola ‘sinistra’ nemmeno c’era”; eppure ha l’o-
biettivo di unire tutto ciò che si
trova a “sinistra” del PD, fungendo da precursore a livello
nazionale.
A scompaginare i piani è
arrivato Roberto Morgantini, ex responsabile dell’ufficio stranieri della Cgil di Bologna, figura ben conosciuta
nel campo sociale, che ha annunciato l’intenzione di creare una lista civica in appoggio
al sindaco Merola, che raccoglie un’altra parte di SEL con
i consiglieri comunali Lorenzo Cipriani e Lorenzo Sazzini,
e punta a prendere consensi
nel mondo dell’associazionismo.
Come candidato di “Coalizione Civica” inizialmente si
parlava di Paola Ziccone, ex
direttrice del carcere minorile del Pratello, poi è spuntato
Federico Martelloni, professo-
re associato a giurisprudenza
dell’Alma Mater, ma soprattutto componente della presidenza nazionale di SEL, ma
probabilmente sarà l’assemblea di metà febbraio a decidere, o ratificare, la nomina a
candidato sindaco.
Per Morgantini invece ancora non è stato deciso, o
meglio non è ancora stata comunicata l’intenzione di candidarsi evidentemente per
non “bruciarsi”, ma di certo vi
è l’ingresso nel comitato elettorale di Merola, progetto dal
quale dovrebbe poi nascere
la lista civica.
Frattanto SEL, il partito
personalistico di Nichi Vendola, si sta sfaldando come
neve al sole, con i suoi eletti
e amministratori che si dividono, chi con l’uno chi con l’altro, alla caccia di poltrone.
10 il bolscevico / cronache locali
N. 7 - 18 febbraio 2016
In provincia di Forlì-Cesena
Congresso dell’Anpi di Bertinoro
Branzanti: “Renzi in 2 anni ha fatto quello che Berlusconi non è riuscito a fare in 20 anni”. Un consigliere
comunale del PD appoggia l’aggressione all’IS e la “riforma” del Senato
Il responsabile dell’Anpi: “è normale che nella nostra
associazione vi siano posizioni diverse”
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Stalin” di Forlì
Venerdì 5 febbraio si è svolto presso il circolo Arci di Bertinoro il Congresso della locale sezione dell’Anpi in vista del 16°
Congresso nazionale che si terrà a Rimini dal 12 al 15 maggio.
L’introduzione è stata svolta dal
responsabile dell’Anpi di Cesena
Furio Kobau che ha illustrato il
regolamento e il documento congressuale.
Al termine vi sono stati vari interventi, tra i quali quello del compagno Denis Branzanti in qualità
di iscritto all’Anpi della sezione. Il compagno ha detto di condividere tutta la parte riguardante
l’antifascismo, il dovere dell’Anpi
di tramandare la memoria storica,
l’opposizione al proliferare di organizzazioni neofasciste, quando
invece il documento spazia su altri
temi ne viene fuori l’impostazione filo-PD, ad esempio per quanto riguarda le illusioni sull’Unione europea, oppure addirittura la
richiesta di un intervento contro
l’IS quando in quello scenario è
proprio lo Stato islamico che sta
facendo resistenza all’aggressione delle potenze occidentali, è invece da apprezzare il sostegno al
“No” al referendum confermativo sulla controriforma costituzionale anche se la posizione espressa a riguardo non va abbastanza a
fondo nella denuncia della pericolosità che queste modifiche comporteranno, tenendo conto poi che
il governo Renzi ha fatto in 2 anni
quello che Berlusconi non è riu-
scito a fare in 20 anni (Jobs Act,
“Buona scuola”, “Sblocca Italia”,
ecc.) con le norme attuali, è facile immaginare cosa farà, lui e chi
verrà dopo di lui, senza i limiti
che la legislazione vigente pone al
governo di turno.
Un consigliere comunale del
PD, al governo della città e iscritto all’Anpi è intervenuto invece per giustificare l’aggressione
all’IS e per sostenere la controriforma costituzionale in quanto nella società già vi sarebbero i
necessari “contrappesi”, citando
ad esempio quella Cgil che oggi
non muove un dito contro la cancellazione dei diritti dei lavoratori, a partire dall’articolo 18, e della quale il nuovo Mussolini Renzi
ha comunque dichiarato di non interessarsi minimamente.
E’ poi intervenuto Walter Pedroni, l’apprezzato responsabile
dell’Anpi di Bertinoro che ha riassunto l’attività dell’associazione, limitata anche dal particolare
territorio comunale che è molto
dispersivo e comprende sia zone
di pianura che di collina, dove si
trova il centro ma che si sta spopolando.
Kobau ha concluso sottolineando come sia normale che in una
associazione come l’Anpi vi siano posizioni diverse e quindi anche dibattito, l’importante è che
una volta presa una decisione a
maggioranza si vada poi tutti nella stessa direzione.
Infine sono stati eletti i delegati al Congresso provinciale di Forlì-Cesena.
Piazza Lenin, Cavriago (Reggio Emilia),
24 gennaio 2016. Il
compagno Denis
Branzanti, Responsabile del PMLI per
l’Emilia-Romagna,
mentre tiene il discorso ufficiale durante la
commemorazione di
Lenin organizzata da
PMLI e PDCI (foto Il
Bolscevico)
Slogan contro il sindaco Bianco (PD) e l’infiltrazione della mafia nel Consiglio comunale
Manifestazione contro la mafia a Catania
Provocazione anticomunista del M5S nei confronti del PMLI
Le “forze dell’ordine” bloccano l’accesso a palazzo degli elefanti
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Stalin” della
provincia di Catania
Sabato 30 gennaio un migliaio di manifestanti ha affollato via
Etnea per dire no alla mafia e,
di riflesso, all’interno della giunta del neopodestà Enzo Bianco
(PD). La manifestazione è partita
dall’ingresso di Villa Bellini, in via
Etnea, e si è conclusa a piazza
Università, nei pressi della sede
del Comune. Lì, un cordone di
“forze dell’ordine” ha bloccato
l’accesso ai manifestanti alla limitrofa piazza Duomo e dunque
l’ingresso principale di Palazzo
degli elefanti.
Il corteo, indetto dal coordinamento “Catania libera dalle
mafie”, promosso da movimenti,
comitati, associazioni – in primo
luogo da Gapa (Giovani Assolutamente per Agire) e I Siciliani
giovani – ed organizzazioni e partiti politici – tra cui Catania Bene
Comune (Prc) e Movimento 5
Stelle, ha iniziato a prendere forma durante l’assemblea svoltasi
lo scorso 5 gennaio, in occasione
del 32º anniversario dell’assassinio da parte di Cosa nostra di
Giuseppe Fava. Il coordinamento, che all’interno della convocazione all’evento, tra l’altro, comprendeva slogan come: “Fuori la
mafia dai Palazzi”, “Fuori la mafia
dai quartieri”, “Fuori la mafia dalla
città”, ha, in verità, dato – volutamente o indirettamente – una
declinazione prettamente “antiBianco” alla manifestazione. A
verifica di ciò lo striscione che
apriva il corteo e che recitava
“Fuori la mafia dal Comune” e
quello in mano al M5S: “Bianco
dimettiti”.
Scelta legittimata dall’ultimo
scandalo che ha colpito il Consiglio comunale etneo, il quale – a
detta della commissione regionale antimafia che il 29 dicembre ha
inviato una relazione al riguardo
alla Commissione nazionale antimafia – sarebbe infettato da Cosa
nostra. Otto consiglieri comunali,
cinque dei quali facenti parte della maggioranza, “in campagna
elettorale, da candidati, avrebbe-
ro ottenuto il sostegno di ambienti malavitosi. Alcuni addirittura
parenti e familiari di pregiudicati”.
Si tratta di Riccardo Pellegrino
(Pdl-opposizione); Erika Marco (Il
Megafono-maggioranza); Lorenzo Leone (Articolo 4-maggioranza); Salvatore Giuffrida (Tutti per
Catania-opposizione); Salvatore
Spataro (Primavera per Cataniamaggioranza); Alessandro Porto
(Patto per Catania-maggioranza);
Maurizio Mirenda (Grande Catania-opposizione);
Francesco
Petrina (Primavera per Cataniamaggioranza).
Il Consiglio comunale, ad
oggi, non ha preso una posizione
netta sulla questione. Inoltre, tra i
motivi degli attacchi nei confronti
del democristiano PD Bianco e
della sua giunta, vi sono i silenzi
e le mezze verità sussurrate, a
denti stretti, dal neopodestà catanese in occasione dell’udienza
tenutasi davanti alla Commissione nazionale antimafia il 14
gennaio scorso a Roma. Il tema
principale dell’incontro è stato
l’intercettazione telefonica del
2013 con l’editore Mario Ciancio
Sanfilippo, ai tempi indagato per
concorso esterno in associazione
mafiosa (dal 2009 e ufficialmente,
ma l’ex senatore afferma che, nonostante fossero risaputo ai più,
egli non ne era a conoscenza),
durante la quale Bianco faceva
più di un passo verso l’ex direttore del quotidiano “La Sicilia”.
Si trattava del 18 aprile 2013,
un giorno dopo l’approvazione
del Pua (Piano urbanistico attuativo - Catania sud, ideato da
Bianco nel 1999), un progetto da
300 milioni di euro da realizzare
alla Playa, su cui aleggia l’ombra della mafia e della speculazione edilizia e che comprende
terreni di proprietà di Ciancio (il
30% del territorio interessato dal
Piano). Bianco si sarebbe “impegnato” nei confronti di Ciancio e
quest’ultimo gli avrebbe garantito
il proprio influente appoggio in
campagna elettorale, che si sarebbe ufficialmente aperta due
giorni dopo?
I manifestanti hanno pure fatto
Catania, 30 gennaio 2016. Lo striscione di apertura del corteo che
chiede l’espulsione dei mafiosi dal comune
riferimento all’inchiesta sulla costruzione della nuova darsena del
porto di Catania e l’organizzazione di iniziative culturali all’Empire,
discoteca sequestrata alla mafia.
Tra i manifestanti si parla dello
stato di abbandono e degrado in
cui versano le periferie della città, si fanno i nomi dei “padroni”
di Catania, si parla, si urla contro
il già citato Ciancio, contro Costanzo, contro Virlinzi. Imprenditori legati da un filo nero all’amministrazione comunale di turno
e a famiglie mafiose come quella
dei Santapaola, dei Pillera, degli
Ercolano, dei Puntina, dei Mazzei, dei Cursoti, dei Cappello. Tre
componenti imprescindibili dello
stesso sistema.
Diversi, tra i partecipanti e i
passanti in un affollato sabato
pomeriggio in cui si respira l’imminente festività cittadina della
“santa patrona”, non sono convinti dai toni – a dir la verità non
particolarmente battaglieri – della
manifestazione. Alcuni di questi
fanno riferimento ad un sistema
malato che vede i mafiosi più
importanti a Roma (in parlamento), altri parlano apertamente di
rivoluzione, di violenza contro
chi opprime le masse popolari: la
classe dominante borghese.
Il capogruppo del PD al Consiglio comunale Giovanni D’Avola
parlerà di 300 manifestanti e di
un corteo che strumentalizza la
lotta alla mafia per fini elettorali.
Sebbene D’Avola sbagli a generalizzare, non si può affermare il
contrario in riferimento ad alcune
organizzazioni politiche presenti in piazza come Catania Bene
Comune, M5S e Sel. Per questi
gruppi la campagna elettorale non
finisce mai. Per altri, vedi I Siciliani giovani e il suo direttore, le presunte infiltrazioni mafiose all’interno della giunta e la seguente
formazione del Coordinamento,
rappresentano un’occasione imperdibile per farsi pubblicità.
Importante la partecipazione
degli studenti delle scuole medie
superiori Spedalieri e Principe
Umberto.
Il PMLI era in piazza con i compagni della Cellula “Stalin” della
provincia di Catania. I marxistileninisti hanno subìto una provocazione da parte di un’esponente
del M5S la quale, appellandosi
ad un fantomatico accordo preso
in assemblea dalle organizzazioni
promotrici e da quelle aderenti,
secondo il quale non si dovevano esporre “simboli di partito”
durante la manifestazione, ha –
con atteggiamento schizofrenico
– chiesto, in un primo momento
con garbo, di poter fotografare la
bandiera del Partito (come spesso capita ai militanti del PMLI che
partecipano alle manifestazioni),
dopodiché, forte della “prova”,
ha vomitato la sua bile anticomunista contro i compagni, “rei” di
non aver rispettato i patti. La provocatrice ha continuato la propria opera di censura di carattere squadrista su Facebook. Qui,
all’interno dell’“evento” collegato
alla manifestazione, ha postato la
foto che ritrae i nostri compagni,
diffamandoli. Al di là di qualsiasi
ipotetico accordo preso in assemblea, che ne è dell’articolo
21 della Costituzione italiana borghese a cui tanto inneggiano?
Per i marxisti-leninisti catanesi, provocazioni di questo tipo,
come il recente attacco fascista
alla Sede del PMLI in via Padova,
rappresentano uno stimolo a far
meglio il lavoro politico. Non si
può, altresì, non denunciare che
certi elementi affermano di lottare
contro la criminalità organizzata
ma si rendono protagonisti di atteggiamenti tipicamente mafiosi
e reazionari.
In occasione dell’Anniversario della Battaglia di Cantalupo
Convegno sul contributo dei
partigiani sovietici alla Resistenza
A Genova il 4 febbraio scorso, in occasione dell’anniversario della Battaglia di Cantalupo
del 2 febbraio 1945, si è tenuto
un convegno organizzato dal
Collettivo Genova City Strike e
Rete Noi saremo tutto.
Si è così voluto ricordare uno
degli eposodi più importante
della Resistenza in Val Borbera
dove perse la vita il partigiano
sovietico Fiodor Poletaev e il
contributo dei partigiani sovietici nella Resistenza della VI zona
operativa.
Infatti, furono ben 5 mila i
partigiani sovietici che combatterono in Italia al fianco dei partigiani e ben 400 di loro morirono
in combattimento.
Catturati dall’esercito nazista
durante l’Operazione Barbarossa con cui le truppe di Hitler,
Mussolini e i loro alleati invasero
l’Unione Sovietica nel 1941 - si
legge nel volantino che annuncia l’iniziativa -, dopo varie peripezie legate alla loro prigionia
giunsero in Italia dove fuggirono
dai luoghi destinati loro dall’occupante nazista, nei campi di
prigionia, come ausiliari od operai ‘forzati’ nelle fabbriche e si
unirono ai partigiani.
Oltre trecento combatterono coi partigiani della VI zona
operativa in Liguria, formando
gruppi anche interamente sovietici, che grazie alla loro precedente preparazione militare
e il loro spirito indomito rivestirono compiti delicati: la Brigata
italo-russa di sabotaggio, divenuta poi 79ª Brigata d’assalto
Garibaldi e di cui il sovietico
“Grisha” fu vicecomandante; il
distaccamento mortaisti della
divisione “Cichero”, che operò
al comando del capitano Grigori Acopian, caduto; i distaccamenti Franchi e Peter della
divisione “Pinin Cichero”, composti per metà da sovetici, tra
cui Fiodor Poletaev.
Furono per così dire la punta
avanzata dell’Armata Rossa in
Europa occidentale combattendo fianco a fianco di chi decise
di imbracciare le armi per combattere il nazifascismo.
cronache locali / il bolscevico 11
N. 7 - 18 febbraio 2016
Mentre Alfano, De Luca e De Magistris sono univoci circa “sicurezza”, repressione e militarizzazione del territorio
Ancora sangue a Napoli
nella guerra di camorra
L’EX PM CANTONE: “NON BASTANO GLI ARRESTI, SERVE UN PIANO STRAORDINARIO
DI RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO”
‡‡Redazione di Napoli
Continua la mattanza di camorra che ha visto un gennaio insanguinato e un inizio di febbraio nero
con tre omicidi tra Napoli e provincia nella guerra tra i clan per la
conquista delle piazze di spaccio
di droghe più ambite in città.
Da Ponticelli, Forcella e Sanità, il conflitto tra i clan si è spostato e aperto nelle zone di Scampia
(considerata la piazza di spaccio
più grande d’Europa) e Bagnoli.
Si spartiscono il territorio Ben 110
cartelli camorristici che possono
contare su 5mila affiliati ma soprattutto su decine e decine di giovani, soprattutto minorenni sottoproletari, cui vengono inculcate
l’arroganza e la prepotenza mafiosa. La furia criminale delle vecchie e nuove fazioni che ha già fat-
to 7 omicidi - ben 30 dal gennaio
2015 - e decine di feriti dall’inizio
di quest’anno, in numerosi agguati
perpetrati senza scrupoli, al punto
da far ammazzare anche il giovane
innocente Maikol Russo nella notte di Capodanno, scambiato per un
affiliato ad un clan di Forcella.
Una polveriera cui le istituzioni nazionali e locali in camicia
nera non hanno saputo porre un ri-
medio serio con un piano straordinario che spezzi l’egemonia camorristica in città e che dia lavoro,
risanamento delle periferie urbane, riqualificazione dei quartieri
popolari. Anzi!
Il ministro dell’Interno Alfano convocava una conferenza
stampa urgente giovedì 4 febbraio nella quale cianciava di rafforzare il presidio territoriale con la
Da parte degli squadristi di Casapound
Ennesima aggressione
neofascista a Napoli
La solidarietà di De Magistris non basta: chiudere
immediatamente i covi neofascisti in città
‡‡Redazione di Napoli
Ennesima aggressione dei neofascisti di CasaPound a Napoli. Questa volta le vittime sono
alcuni studenti e studentesse del
Liceo scientifico “Elio Vittorini”
sito nella zona del Rione Alto. Già
a novembre una ragazza era stata
aggredita con un coltello da alcuni fascisti al Vomero; questa volta invece gli squadristi hanno teso
un vero e proprio agguato ai danni degli studenti dello storico liceo napoletano. Nella mattinata di
venerdì 29 gennaio una decina di
militanti di Casapound hanno provocato alcuni antifascisti fuori la
scuola prima picchiando uno studente di 15 anni che, dopo essere
stato accerchiato, veniva colpito
violentemente da un pugno sferratogli dietro la testa e perdeva i
sensi.
Successivamente altre intimidazioni e aggressioni, coi neofascisti che iniziavano a distribuire
volantini di Blocco Studentesco,
organizzazione legata a CasaPound, minacciando gli studenti
che li avrebbero menati all’uscita da scuola se avessero reagito.
Nonostante la vile intimidazione,
studenti e studentesse si sono organizzati e hanno esposto uno striscione che recava la scritta: “Vittorini Antifascista”; all’uscita di
scuola la teppaglia fascista si dileguava con la coda fra le gambe
per poi riapparire nei pressi del-
la testa per un totale di quasi 20
punti di sutura, e sospette fratture in attesa dei risultati della Tac a
cui sono stati sottoposti.
Il giorno dopo, in solidarietà con i ragazzi aggrediti, diversi centri sociali napoletani hanno
dato vita a un corteo che è sfilato
per le vie della città chiedendo la
chiusura delle sedi fasciste a Napoli.
Mentre la destra e la “sinistra”
del regime neofascista tacciono
sul grave episodio registriamo la
dichiarazione di De Magistris che
ha condannato l’aggressione agli
studenti e delle studentesse del
Le mazze degli squadristi di CasaPound
la stazione di Rione Alto dove tre
fascisti, probabilmente gli stessi
aggressori del “Vittorini”, aggredivano, armati di manganelli contrassegnati dalla scritta “decima
mas” e martelli, alcuni studenti
dell’istituto, prima lanciando bottiglie di vetro e poi colpendoli ripetutamente al volto e alla testa
con mazze e martelli, recuperando addirittura oggetti contundenti
dalla vetrina di un negozio.
Molti passanti difendevano gli
studenti antifascisti mettevano in
fuga gli aggressori. Il bilancio è
di due ragazzi portati in ospedale con referti medici che parlano
chiaro: due traumi cranico facciali, ferite e contusioni al volto e sul-
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
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murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
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chiuso il 10/2/2016
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ore 16,00
“Vittorini” rimarcando che “Napoli è la città della Resistenza per
cui sono inaccettabili queste aggressioni squadriste, i nostri studenti devono essere difesi: non c’è
spazio per questo tipo di atteggiamenti, comportamenti e azioni”.
Ma ora non bastano più solo le parole, occorre passare ai fatti: l’impegno del sindaco e della giunta
arancione deve essere teso a chiudere tutti i covi neofascisti a Napoli, cominciando da quelli collegati alla teppaglia di Casapound e
dei suoi protettori.
solita formula tipica del regime
neofascista: aumento delle “forze dell’ordine” e militarizzazione
di Napoli con posti di blocco, decine di videocamere e più facilità nell’effettuare arresti (“ci sono
440 uomini in più a Napoli, possiamo controllare 60mila cittadini”); inoltre avanzava una proposta di riforma del codice con
abbassamento dell’età punibile a
16 anni per fermare i minori criminali (“rifuggiamo dall’ipocrisia: un ragazzo di 16 anni sa esattamente la gravità del reato che
compie, quindi l’età per la punibilità deve essere abbassata”), invece di compulsare il governo del
nuovo duce Renzi a porre un argine alla dilagante descolarizzazione a Napoli e provincia. Sul progetto videocamere, inoltre, Alfano
promette che “entro l’estate saremo al 100% coprendo anche zone
come i decumani e il centro storico”, confermando la piena disponibilità della giunta regionale dell’ex neopodestà di Salerno,
Vincenzo De Luca, a mettere i soldi per realizzare il tutto.
In linea con la ricetta di sicurezza e repressione di Alfano è
stato il neopodestà De Magistris:
“sono molto soddisfatto del metodo con cui si sta lavorando a
Napoli, della sinergia con tutte le
istituzioni, dalla magistratura alle
forze dell’ordine, al prefetto e naturalmente al governo Renzi con
il ministro Alfano. A Napoli vogliamo più presenza delle forze
dell’ordine perché c’è bisogno di
un rafforzamento che dia serenità
a tutti i cittadini”.
Degne di sottolineatura le affermazioni del presidente dell’Autorità anticorruzione, l’ex pm an-
ticamorra Raffaele Cantone, che a
“Il Mattino” di domenica 7 febbraio ha parlato di “piano sociale straordinario” per Napoli e Campania:
“nell’hinterland napoletano il reddito dichiarato, ufficiale, è tale per
cui dovremmo essere alla tragedia
o alla guerra civile. Invece il tenore
di vita è accettabile, spesso decisamente alto. Un miracolo? No, il risultato della persistenza di un welfare parallelo, un anti-Stato che si
insinua nel disagio sociale, tra i ragazzini che lasciano la scuola, nelle famiglie dove gli adulti hanno
perso il lavoro e i giovani non lo
trovano”. E continua: “nella chiave dello sviluppo, della crescita è
importante che si voglia sbloccare Bagnoli, è importante che arrivino grandi nomi come la Apple,
ma non basta: io dico che serve
un vero, grande piano straordinario: servono infrastrutture, serve
favorire una crescita armonica del
territorio, perché il problema non
riguarda solo Napoli ma la sua immensa area metropolitana”.
Parole che sono diametralmente opposte a quelle del nuovo
triumvirato Alfano-De Luca-De
Magistris che sulla questione dei
quartieri popolari e periferici ben
si guardano anche solo dal trattare
argomenti come risanamento o riqualificazione.
Per Napoli, invece, soprattutto
da quando da un anno è diventata
città metropolitana, servono lavoro, sviluppo, industrializzazione
con salari uguali al Nord ma anche servizi e trasporti pubblici, risanare l’ambiente cominciando da
Bagnoli, cancellare il precariato, il
lavoro nero, lo schiavismo degli
immigrati e sradicare la camorra e
le nuove emergenti baby-gang.
Comunicato del Forum toscano dei movimenti per l’acqua
I sindaci insistono a regalare ai privati
la gestione dell’acqua e continuano
a calpestare i referendum del 2011
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
È’ notizia di pochi giorni fa: alla
riunione del CDA di Publiacqua
spa è stato presentato e approvato,
con il solo voto contrario del Comune di Pistoia, un piano di potenziamento gestionale e organizzativo dell’azienda: il sistema ACEA
2.0. In altri termini, un rinnovo
della piattaforma tecnologica, da
realizzare entro l’anno 2016, su
cui sono state convogliate ingenti risorse già nel corso del 2015.
Quella che appare come una notizia interessante solo dal punto di
vista tecnico-gestionale o tutt’al
più inerente la sfera economicofinanziaria, ha in realtà dei risvolti
politici di notevole portata: si regalano ad ACEA dati e know-how,
elementi fondamentali per la sua
scalata dell’azienda idrica.
Ci troviamo quindi ancora una
volta a registrare nell’atteggiamento dei Comuni, l’indifferenza, l’ignavia, il vero e proprio favore al “privato”, ai suoi interessi
speculativi e di mero profitto. Perché il rischio reale è quello di ritrovarsi a constatare, nel 2021, a
fine concessione, che Publiacqua
è divenuta un guscio vuoto, a cui
il socio privato ha sottratto strumenti e professionalità, pregiudicando quindi in modo grave, il
dovere di ripubblicizzare il servizio, come richiesto nel 2011 da 27
milioni di italiani/e.
Quando, agli inizi degli anni
2000, i Comuni presero la sciagurata decisione di affidare la gestione del servizio idrico alla spa
Publiacqua, la società aveva una
propria unità organizzativa e gestionale, con tutte le competenze
necessarie e un organico di quasi 800 dipendenti, come sotto-
linea l’USB dell’azienda. Oggi,
settori del lavoro vengono appaltati a ditte esterne, si disperdono le competenze, si riduce il
numero degli addetti. E cambiamenti analoghi stanno investendo anche le altre aziende idriche
toscane che vedono ACEA nella
propria compagine sociale: Acque spa e Acquedotto del Fiora
spa. La fusione delle tre società,
paventata ormai da tempo, non
si è ancora realizzata nella forma ma è già in atto nella sostanza.
Allora, sindaci, soci di Publiacqua
spa e membri dell’Autorità Idrica
Toscana, dove siete? La gestione
privatistica e speculativa del servizio idrico, portata avanti negli
ultimi 15 anni, fa registrare esosi aumenti delle tariffe, a fronte
di una qualità dell’acqua sempre
più scadente, di una depurazione
mancante, insufficiente o addirittura dannosa, di perdite esorbi-
tanti delle reti. Ancora dobbiamo
richiamarvi alla vostra responsabilità e al dovere di rispettare la
volontà popolare? E questo ben
prima della scadenza del 2021.
Voi non solo state rimandando
qualsiasi presa di posizione a quel
termine ma supinamente accettate nel frattempo qualsiasi colpo di mano del vostro socio privato, a danno di un bene comune.
Ultimo atto: dare il vostro assenso alla dispersione del patrimonio
umano, professionale, gestionale di Publiacqua. Tacete nei CDA
dell’azienda, farete altrettanto in
AIT? L’Autorità lascerà che impunemente questo ulteriore scempio si consumi?
Forum Toscano
dei Movimenti per l’Acqua
8 febbraio 2016
12 il bolscevico / contributi, lettere e corrispondenze
N. 7 - 18 febbraio 2016
All’attivo della FLC CGIL di Firenze
Messa in discussione la proposta del
nuovo Statuto dei lavoratori che rischia di
appiattirsi sulla precarizzazione del lavoro
Quasi all’unanimità è stato chiesto di votare NO al referendum sulla “riforma” del Senato
Venerdì 5 febbraio la FLC
CGIL di Firenze ha convocato un attivo presso la propria
sede per le R.S.U., le T.A.S. e
gli iscritti.
L’argomento della convocazione era la presentazione del
nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori che il direttivo nazionale della CGIL vuol varare come
proposta di legge e sulla relativa consultazione straordinaria
degli iscritti. Ha aperto il dibattito la segretaria provinciale dell’FLC poi un dirigente dello SPI
ha presentato la proposta di Statuto come la ricostruzione dei diritti perduti e l’allargamento degli
stessi anche a nuove tipologie
di lavoratori. Lo Statuto insomma, dopo l’avvento del Jobs Act,
è ritenuto l’unica e più moderna
forma di tutela, sarebbe ormai
impossibile ritornare alla forma
originaria dell’articolo 18 della
legge 300, in considerazione del
fatto che “i tempi sono cambiati”.
Finita la presentazione ho deciso di intervenire subito cercando di aprire il dibattito sulle molte contraddizioni che contiene
questa proposta chiedendo se
non fosse quantomeno pericoloso e controverso affidare questa
Roma, 25-10-14. Un milione di lavoratori in piazza
per la manifestazione nazionale della CGIL (foto ll Bolscevico)
proposta di legge al parlamento italiano, fautore per l’appunto
del Jobs Act. Ho fatto presente
anche che nel nuovo Statuto si
definisce la tipologia del contratto a tempo indeterminato quale
“forma principale del rapporto di
lavoro” e che anche il Jobs Act
definisce il contratto a tutele crescenti come tale; quindi perché
nello Statuto non se ne chiede
l’abolizione, visto che di fatto ha
sancito la fine del lavoro stabile?
Ho fatto presente inoltre che
le nuove forme di lavoro sono
nate per consentire ai padroni e
allo Stato di non applicare i contratti nazionali e che normando
forme di lavoro precario, quale
il tempo determinato o, peggio,
il contratto di somministrazione,
non si finisca per legittimarle,
accettando il mare di flessibilità che in questi decenni si è riversato sulle lavoratrici e sui lavoratori. Ho fatto presente infine
come nell’interesse di tutti ci sia
il bisogno di buoni contratti di lavoro e di uniformità di trattamento per tutti i lavoratori della stessa categoria e che proponendo
maggiore contrattazione di secondo livello, anche se subordinandone i contenuti al CCNL,
si finisce per depotenziare
quest’ultimo. Quindi ho chiesto
perché nello Statuto non si pretenda e si rivendichi che il senso
e la funzione del diritto al lavoro
non possano essere altro che il
lavoro stabile, a salario pieno e
sindacalmente tutelato per tutti.
Comunicato dell’Unione per l’Ateismo Antireligioso e il Comunismo Sovietico
Il 27 gennaio ricordiamo l’immane lotta
del popolo sovietico per la liberazione
dell’umanità dal nazifascismo
Riceviamo e volentieri pubblichiamo in ampi estratti.
Il 27 gennaio, l’Armata Rossa, e
precisamente la 60ª Armata del
Primo Fronte Ucraino, arriva nella cittadina polacca di Oswieçim
(in tedesco Auschwitz). Le avanguardie più veloci, al comando
del maresciallo Koniev, raggiungono il complesso di AuschwitzBirkenau-Monowitz. Verso le
15 i soldati sovietici abbattono i
cancelli del campo di sterminio
e liberano circa 7.650 prigionieri.
In seguito ad una risoluzione
del 2005, l’ONU ha stabilito il 27
gennaio come giorno in cui ricordare lo sterminio, da parte dei
nazifascisti, di circa 6 milioni di
ebrei (ovvero il cosiddetto Olocausto o Shoah), in Italia denominato “Giorno della memoria”.
Ma che proprio in questa data
l’Armata Rossa liberò il campo di sterminio di Auschwitz, la
maggior parte dei media si guardano bene dal ricordarlo.
Il cosiddetto “Olocausto” viene cinicamente usato da 60 anni
dagli Stati Uniti, dall’Europa, da
Israele, da Hollywood e da potentissime lobby economiche e
politiche, per coprire le complicità delle potenze occidentali nei
confronti di Hitler (in chiave antisovietica) e per nascondere lo
spaventoso sterminio perpetrato dai nazifascisti nei confronti
dell’URSS: 27 milioni di morti e
un immenso territorio devastato,
con 70 mila città e paesi distrutti,
30 mila fabbriche rase al suolo,
25 milioni di persone senza più
una casa.
Noi, in questa data vogliamo
ricordare l’immane lotta del popolo sovietico per la liberazione
dell’umanità dal nazifascismo,
mentre rifiutiamo le celebrazioni ufficiali, un micidiale strumento di mistificazione storica e di
propaganda politico-religiosa al
fine di perpetuare la tirannia cristiano-capitalistico-borghese sul
mondo.
Quello che non ci viene mai
detto: Auschwitz I–Stammlager
(lager principale), fu per lo più riservato all’eliminazione di intellettuali polacchi e prigionieri di
guerra sovietici; Auschwitz II Birkenau–Vernichtungslager (campo di sterminio), anch’esso inizialmente usato per il genocidio
dei prigionieri di guerra sovietici,
venne poi utilizzato soprattutto
per lo sterminio degli ebrei.
All’Eterno disonore dei genocidi nazisti che con disumana ferocia realizzarono lo sterminio di
intere nazioni. All’Eterna gloria
dell’Armata Sovietica, che il 27
Gennaio 1945 liberò Auschwitz.
All’Eterno ammonimento contro
i seguaci del fascismo e del nazifascismo. (Dall’atto di erezione
del Monumento Internazionale
delle Vittime del Nazifascismo
costruito nei pressi del campo
di concentramento di Auschwitz)
Nel corso della seconda
guerra mondiale, secondo le ultime stime, morirono tra i 27 e i
30 milioni di sovietici. Per fare
un esempio è come se venisse
cancellata, in un sol colpo, quasi
metà della popolazione italiana.
Solo tra il 1941 e il 1942, nel giro
di otto mesi, l’esercito tedesco
invasore uccise deliberatamente per fame, freddo ed esecuzio-
ni sommarie, da 2,5 a 3,3 milioni
di prigionieri di guerra e cittadini sovietici. Questo autentico genocidio, volutamente nascosto e
ignorato dai paesi occidentali,
rappresenta il più grande sterminio di massa della storia umana,
concentrato nello spazio di poco
tempo. L’Operazione Barbarossa di Hitler puntava al rovesciamento del primo stato operaio e
contadino nella storia dell’umanità, per imporre un sistema brutale di schiavitù e sfruttamento
coloniale delle popolazioni sovietiche.
Le condizioni nei campi di prigionia erano atroci. Non c’erano
baracche o protezioni, i campi
erano solo recinti da filo spinato. I prigionieri giacevano sotto il
sole, nel fango autunnale o con
temperature che raggiungevano
i 30 gradi sotto zero. A centinaia
morivano tutti i giorni e venivano buttati in immense fosse comuni.
Lo sterminio di massa per
fame era stato programmato in
anticipo dai comandi dell’esercito nazista. Si ricorse anche allo
sterminio di massa tramite i lavori forzati, che provocò la morte di centinaia di migliaia di donne sovietiche. Molti prigionieri
vennero fucilati o impiccati, molti morirono nei campi di concentramento ed usati come cavie
per esperimenti scientifici.
Tutto questo è stato deliberatamente tenuto nascosto dagli americani in funzione antisovietica.
UAACS - Unione per
l’Ateismo Antireligioso ed il
Comunismo Sovietico
E come mai nello Statuto non si
propone più il ritorno alla forma
originaria dell’art. 18 della legge
300, la più tutelante in assoluto,
prima della manomissione della
Fornero e, appunto, del Jobs Act
di Renzi.
Ho domandato alla platea, in
considerazione delle sistematiche estromissioni dai tavoli contrattuali di tutti i sindacati da parte del governo, se non fosse il
caso di cambiare interlocutore,
che per il sindacato è sempre il
lavoratore e non lo Stato e i padroni che sono sempre stati sua
controparte. Infine, ho chiesto
perché nel nuovo Statuto si abbia come conseguenza l’abbandono definitivo della mobilitazione dei lavoratori che in passato
ha portato a tutte le conquiste
sindacali, in primis allo Statuto
originario del 1970. Ho chiuso ricordando che nell’autunno 2014
i lavoratori si erano presentati
a Roma in più di un milione; la
CGIL sarebbe meglio che ripensasse a mobilitarci con vere ed
efficaci forme di lotta.
Dalla sala ho ricevuto molti
applausi mentre dalla dirigenza
CGIL solo silenzio.
La discussione è continuata e
altri interventi hanno appoggiato
il mio estendendo il dibattito alla
“riforma” costituzionale voluta
dal nuovo duce Renzi che prevede di minare la democrazia
nel nostro paese, come da piano della P2 di Gelli. Su questo
argomento, i lavoratori hanno
chiesto quasi all’unanimità che
anche la CGIL faccia fronte comune al referendum per bloccare le riforme di stampo fascista.
Mi auguro che questo mio intervento sia stato di stimolo per
i lavoratori della scuola pubblica
presenti.
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
Massimo Pontassieve (Firenze)
Con i Maestri
riusciamo sempre a
capire le cose
I testi, nuovi ma anche scritti
vari anni fa, del compagno Segretario generale, Giovanni Scuderi, come tutto quanto pubblica “Il Bolscevico”, sono sempre
ricchi di considerazioni importantissime quanto attuali, veri
insegnamenti come quelli dei
Maestri. Mi riferisco naturalmente anche al testo del 1985 (dicembre, terzo Congresso nazionale del PMLI, riportato ne “Il
Bolscevico” n. 6/2016 con il significativo titolo “Abbiamo il dovere di appoggiare il movimento
antimperialista anche se alla sua
testa ci fossero degli anti marxisti-leninisti”.
Il compagno Segretario ci ricorda che “Nel sostegno e nell’aiuto ai popoli in lotta non dobbiamo guardare tanto a chi guida
il movimento ma la direzione in
cui si muove tale movimento. Se
esso va nella direzione giusta se
cioè indebolisce e toglie spazio
a una delle due superpotenze o
a tutte e due (allora la situazione
storica era diversa, come ricorda
opportunamente la nota apposta
tra parentesi, oggi forse diremmo alle superpotenze in genere, includendo gli USA, la Russia e la Cina socialimperialista)
e all’imperialismo in generale, se
porta alla liberazione nazionale
e all’indipendenza dei paesi, noi
abbiamo il dovere di appoggiarlo risolutamente e senza riserve”. Cita poi alcuni esempi tratti
da Stalin, nel 1924, (in “Principi
del leninismo-Questioni del leninismo”, edito nel 1997 a cura
dell’Ufficio politico del PMLI, libro
da “divorare” e poi da rileggere
continuamente e approfondire
sempre), attualissimi anch’essi,
riferiti all’Afghanistan e all’Egitto, allora in una condizione ap-
punto antimperialista, segnatamente anti-colonialista. Che tali
movimenti, di ispirazione monarchica quello afghano e borghese
quello egiziano, fossero per così
dire “ne fait rien à l’affaire”, ossia non importa nulla, visto appunto il fine antimperialista da
raggiungere. Ciò vale “sorprendentemente” bene anche oggi,
considerando l’antimperialismo
dell’IS, che sarà anche intriso di
integralismo islamico, ma certamente mette in crisi gli imperialismi: quello USA, quello europeo
e quello russo e disturba quello di una Cina che di comunista
non ha più nulla da decenni.
Con i Maestri (tra cui includo
in pieno anche il compagno Scuderi) riusciamo sempre a capire
meglio le cose, a “ritrovare terra”
rispetto alle fate morgane dell’utopia. Suonano particolarmente
attuali anche le parole di Scuderi nella chiusura del testo: “Il piccolo borghese ultrasinistro non
può certo capire tali indicazioni
ideologiche, politiche e tattiche
di Stalin, perché egli sogna un
movimento di liberazione ‘puro’,
‘tutto proletario’ che non esiste e
non potrebbe esistere” (testo citato).
Affermazioni
validissime
e verificabili oggi come più di
trent’anni fa. L’ultrasinistro piccolo borghese (che spesso tende al radical-chic) non capisce la
realtà perché rimane nelle nebbie e nelle secche dell’utopia,
non avendo contezza della contraddizione fondamentale, ossia
della dialettica tra le classi.
Eugen Galasso - Firenze
Viva solidarietà al
PMLI di Catania
Esprimo viva solidarietà e forte condanna del vile atto di provocazione fascista a Catania
contro il PMLI.
Domenico - Catania
Comunicato del “Coordinamento Nazionale Autoferrotranvieri 27 marzo 2015”
Lottiamo uniti a fianco dei
lavoratori dell’ILVA
Riceviamo e volentieri pubblichiamo in ampi estratti
I lavoratori del settore trasporti, Autoferrotranvieri, Ferrovieri,
Marittimi, Aereoportuali, organizzati dai sindacati autonomi che
partecipano al Coordinamento
Nazionale Autoferrotranvieri 27
marzo 2015, sono al fianco dei
lavoratori metalmeccanici dell’Ilva che in questi giorni di concitata lotta sono impegnati nella
difesa dei livelli occupazionali
nello stabilimento di Genova.
La vicenda Ilva segna l’emblema della arroganza padronale e la sudditanza delle istituzioni ai grandi poteri economici e
finanziari di un Paese in cui gli
imprenditori ricevono ogni sorta di agevolazione e aiuti, mentre per contro sfruttano i lavoratori per poi disfarsene a proprio
piacimento quando la congiun-
tura economica non è proficua o
quando le regole non sono asservite al loro tornaconto.
Il governo invece di richiamare l’azienda alle proprie responsabilità verso i lavoratori e verso
il territorio, asseconda prepotenze e soprusi, alleggerendo
le responsabilità di disastro ambientale come a Taranto, oppure come a Genova agevolando
i ricatti sulla testa dei lavoratori,
un teatro vergognoso a cui anche molte sigle sindacali si sono
prestate e inchinate.
In questo quadro di ingordigia
e spregiudicatezza, l’accordo di
programma firmato da governo,
parti sociali e azienda, in verità già sufficientemente umiliante per i diritti e per le aspettative
dei lavoratori, diventa nuovamente oggetto di contrattazione
e speculazione.
Con lo stesso cinismo oggi si
sta smantellando anche il servi-
zio di trasporto pubblico, svendendo ferrovie, trasporto aereo
e aziende di trasporto pubblico locale, sempre al miglior offerente, facendo cassa sui diritti
dei lavoratori e dei cittadini. È il
momento di dire con forza che
fabbriche e servizi sono dei lavoratori e dei cittadini!
Lottiamo fianco a fianco per
riprenderceli, contro una prospettiva di umiliazione e sfruttamento che altrimenti ci travolgerà tutti, mobilitandoci in lotte
trasversali a tutti i settori.
Sosteniamo i lavoratori dell’Ilva! Noi ci siamo!
SLAI COBAS TPL, CUB
Trasporti, COBAS lavoro
privato, ORSA TPL Genova, USB
TPL Genova, CAMBIA-MENTI
M410, ADL COBAS trasporti,
SLS Padova, Coordinamento
Nazionale Autoferrotranvieri 27
marzo 2015
2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI
stampato in proprio - committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
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Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
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N. 3 - 22 gennaio 2015
14 il bolscevico / esteri
N. 7 - 18 febbraio 2016
Un crimine del regime fascista di al-Sisi, grande amico di Renzi
Assassinato al Cairo il
giovane ricercatore Regeni
Ucciso con un colpo alla testa dopo 7 giorni di sevizie
Rompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto
Il ministro degli Interni egiziano Magdi Abdel Ghaffar il 9 febbraio in una conferenza stampa al
Cairo respingeva qualsiasi accusa
contro le sue forze di polizia per la
morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano assassinato
nella capitale e il cui corpo era stato ritrovato il 3 febbraio sul ciglio
della strada verso Alessandria. Regeni “non è mai stato arrestato. Vi
sono troppe voci riprese sulle pagine dei giornali che insinuano il
coinvolgimento delle forze di sicurezza nell’incidente”, dichiarava Ghaffar “non accettiamo che si
facciano false insinuazioni, questi
non sono i metodi degli apparati
di sicurezza dello Stato”. Che invece sono noti per sequestrare, incarcerare, torturare, uccidere e far
sparire i cadaveri degli oppositori, senza procedere nemmeno a un
formale arresto. Come sono stati palesi i tentativi della polizia di
fornire false informazioni e depistaggi sulle cause della morte del
giovane, dall’incidente stradale al
delitto a sfondo sessuale.
Dall’inizio del 2014, secondo
la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, sono state almeno 120 le morti in carcere riconducibili a maltrattamenti e violenze
da parte degli agenti penitenziari
mentre in un rapporto diffuso nel
luglio 2015, Human rights watch
segnalava centinaia di sparizioni,
soprattutto di oppositori politici,
attivisti e giornalisti scomodi per
mano delle autorità egiziane. Nel
corso del 2015, l’Egyptian Commission for Rights and Freedom,
organizzazione indipendente egiziana ideatrice della campagna
Stop Enforced Disappearance, ha
registrato oltre 1.700 scomparsi,
una media che supera i quattro al
giorno. Molti “spariscono” nella
rete di centri di detenzione segreti,
detenuti senza che nessuno sappia
dove sono, senza la formalizzazione delle accuse e senza il diritto all’assistenza di un avvocato,
dove vengono interrogati e spesso torturati. Un numero cresciuto tra l’altro dopo che il generale
Magdi Abdel Ghaffar, un veterano
dei servizi di sicurezza egiziani, è
diventato ministro dell’Interno lo
scorso marzo.
In questa rete potrebbe essere finito Regani “scomparso”
nel centro del Cairo il 25 gennaio, il quinto anniversario dell’inizio della rivolta di piazza Tahrir
che riuscì a porre fine al regime di
Mubarak, oggi sostituito a tutti gli
effetti da quello di al Sisi.
Nei giorni dell’anniversario
della rivolta ci sono state nella capitale egiziane oltre 6.000 perquisizioni, retate e qualche migliaio
di arresti fra i membri dell’opposizione, denunciava Human Rigets Watch, di 490 dei quali non ci
sono ancora notizie. Probabilmente Regani è finito in una di queste
retate, certamente torturato e ucciso come risulta dalle brutali le-
I due amiconi Matteo Renzi e Abdel Fattah al-Sisi nell’incontro bilaterale
di Sharm el-Sheikh del 13 marzo 2015
sioni rilevate nella prima autopsia
condotta in un ospedale italiano al
Cairo. Non finirà tra i desaparecidos e il suo cadavere sarà abbandonato sulla strada tra il Cairo e
Alessandria probabilmente in seguito alle proteste per la sua sparizione.
In una intervista dell’8 febbraio
il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni affermava che “non
ci accontenteremo di verità presunte, vogliamo che si individuino
i reali responsabili e che siano puniti in base alla legge”. “L’Egitto
è un nostro partner strategico - ribadiva il ministro - e ha un ruolo
fondamentale per la stabilizzazione della regione. Questo non ci ha
mai impedito di promuovere la nostra visione del pluralismo e dei diritti umani. Qui però ci troviamo di
fronte a un problema diverso, cioè
il dovere dell’Italia di difendere
i suoi cittadini e pretendere che,
quando essi sono vittima di crimini, i colpevoli vengano assicurati
alla giustizia. Questo dovere vale
tanto più nei rapporti con un Paese alleato come l’Egitto”, guidato
dal generale golpista al Sisi, grande amico del presidente del consiglio italiano Matteo Renzi.
Renzi è stato da subito tra i più
forti sostenitori di al Sisi; dopo il
golpe del 3 luglio 2013 che depose il presidente islamista Mohammed Morsi e l’investitura del generale a presidente con le elezioni
del 26 maggio 2014, Renzi è stato
il primo leader occidentale a volare al Cairo il 2 agosto successivo a
stringergli la mano.
In una intervista dell’8 luglio
2014 a al Jazeera Renzi affermava che “in questo momento l’Egitto può essere salvato soltanto dalla leadership di al Sisi, questa è la
mia opinione personale. Sono orgoglioso della nostra amicizia e lo
aiuterò a proseguire nella direzione della pace perché il Mediterraneo senza Egitto sarà senza dubbio
un posto senza pace”. Il 2 agosto
era al Cairo, in qualità di presidente di turno dell’Unione Europea, e
ripeteva che “abbiamo non solo il
piacere e l’amicizia di una storica collaborazione fra i nostri due
paesi, ma un destino comune e la
mia presenza qui riconosce alla leadership egiziana un ruolo cruciale per la stabilità dell’area e il futuro delle nuove generazioni”.
Non era quindi un caso che al
Sisi per la sua prima visita ufficiale nella Ue sia passato prima
di tutto da Roma il 24 novembre
2014 e che il successivo 13 marzo 2015 Renzi sia stato l’unico
premier del G7 presente al forum
economico di Sharm el Sheikh,
dove affermava che “sosteniamo
la sua visione, la sua lotta alla corruzione e il suo lavoro per la stabilità. L’Egitto può andare avanti
in un processo di consolidamento
istituzionale. L’Egitto affronta le
crescenti minacce del terrorismo,
rimanendo attaccati al rispetto della libertà. La stabilità dell’Egitto è
la nostra stabilità, non soltanto per
questa area del mondo. Apprezziamo la leadership e la sagezza di alSisi, soprattutto per quanto riguarda la Libia. Rinnovo l’impegno
dell’Italia a lavorare con lei per
portare avanti una soluzione alla
crisi siriana e alla crisi libica”.
Il legame tra l’Italia imperialista di Renzi e il regime fascista di
al Sisi è sempre più stretto, viaggia anche sul rafforzamento degli scambi economici tanto che
fra non molti giorni l’Italia attraverso l’Eni firmerà con l’Egitto
un accordo per lo sfruttamento di
un giacimento di gas nel Mediterraneo, un contratto che vale 7 miliardi di dollari solo per i primi 3
anni. È uno dei legami necessari
a sostenere tra l’altro le ambizioni interventiste italiane in Libia.
La vicenda dell’assassinio del giovane ricercatore italiano ha se non
altro messo in primo piano questo
sporco legame e indicato che occorre al contrario rompere le relazioni diplomatiche con l’Egitto.
Inviato di Obama visita Kobane
Più stretta la collaborazione militare tra l’imperialismo americano e i curdi nel nord della Siria contro l’IS
Per la prima volta, quantomeno in maniera ufficiale, una
delegazione della santa allean-
za contro lo Stato islamico (Is),
quella della coalizione guidata
dagli Stati Uniti è entrata in ter-
ritorio siriano e il 31 gennaio ha
incontrato a Kobane i rappresentanti dei curdi siriani. Lo ha reso
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus)
Più di mille i civili morti nei
raid russi in Siria e 238 bambini
In un rapporto pubblicato il
mese scorso, aveva denunciato che
“centinaia di civili” erano stati uccisi dagli attacchi aerei russi compiuti contro aree residenziali. Sia
Amnesty International che Human
Rights Watch avevano denunciato
l’uso nei raid russi anche di bombe a grappolo e avevano accusato
Mosca di avere compiuto “crimini
di guerra”.
Il bilancio delle vittime civili cadute sotto le bombe di Putin
dall’inizio dell’intervento russo
in Siria il 30 settembre scorso era
calcolato dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus),
un organismo che ha sede in Gran
Bretagna e conta su una rete di informatori in Siria, secondo il quale
sono 1.015 i civili uccisi, dei quali
238 bambini e ragazzi minorenni.
Una recente immagine di Aleppo
(Siria) sotto i bombardamenti
russi
noto l’Osservatorio nazionale
per i diritti umani (Ondus) che
ha documentato l’incontro della
delegazione guidata dall’inviato
speciale del presidente Obama
per la lotta all’Is, Brett McGurk,
e da due rappresentanti francese
e britannico, con rappresentanti delle Forze democratiche siriane, uno dei gruppi che ricevono
il sostegno diretto dagli Usa.
Stando a altre fonti l’inviato
di Obama ha incontrato anche
rapresentanti delle Ypg, le Uni-
tà di difesa popolare del Partito
dell’Unione Democratica (Pyd)
che, supportate dai bombardamenti aerei Usa, sono state protagoniste della difesa della città
dall’attacco delle forze dell’Is. I
rappresentanti curdi non sono tra
gli invitati dei meeting imperialisti sulla Siria, tenuti fuori dalla
Turchia. Il che comunque non ha
impedito ai rappresentanti della coalizione imperialista la visita a Kobane, una visita che intanto simbolicamente riconosce
l’importanza delle formazioni
dei curdi siriani contro l’Is e va
verso una più stretta collaborazione militare tra l’imperialismo
americano e i curdi nel nord della Siria. Collaborazione che insieme a quella di recente offerta anche dall’imperialismo russo
non vanno certo a vantaggio della legittima richiesta dei curdi
siriani di avere uno Stato autonomo e il diritto di autodeterminazione del popolo curdo, che noi
sosteniamo
Il papa appoggia l’Iran
di Rouhani nella lotta
contro l’IS
Il presidente della Repubblica
islamica d’Iran, Hassan Rouhani, il 26 gennaio scorso, nella seconda giornata del suo viaggio in
Italia si è recato in Vaticano dove
si è intrattenuto con il segretario
di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal segretario
per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Gallagher e successivamente ha avuto un’udienza
privata con papa Francesco.
In un bollettino diffuso al termine dei colloqui la Santa Sede
spiegava che durante l’udienza
si era affrontato il tema dell’applicazione dell’accordo sul nucleare e “si è rilevato l’importante ruolo che l’Iran è chiamato
a svolgere, insieme ad altri Paesi della Regione, per promuovere adeguate soluzioni politiche
alle problematiche che affliggono il Medio Oriente, contrastando la diffusione del terrorismo
e il traffico di armi. Al riguardo, è stata ricordata l’importanza del dialogo interreligioso e la
responsabilità delle comunità religiose nella promozione della riconciliazione, della tolleranza e
della pace”.
Al netto delle questioni strettamente religiose la nota del
Vaticano metteva in evidenza l’appoggio del papa all’Iran
di Rouhani nella lotta contro la
“diffusione del terrorismo”, leggi lo Stato islamico, il nemico
comune della Santa alleanza imperialista benedetta da Francesco.
unione europea / il bolscevico 15
N. 7 - 18 febbraio 2016
Abolito di fatto lo spazio Schengen
Europa blindata contro i migranti
Frontiere ripristinate dalla Macedonia alla Scandinavia. La Svezia annuncia espulsioni di massa. La Danimarca
confisca i beni ai profughi. Minacciata di espulsione la Grecia perché non respinge i barconi in Egeo
Il vertice europeo in programma il prossimo 18 febbraio ha
tra i principali punti all’ordine del
giorno l’esito del negoziato per
la permanenza nell’Unione europea della Gran Bretagna e il punto sull’attuazione delle decisioni in
merito alla crisi migratoria e dei rifugiati. Un appuntamento al quale i 28 paesi della Ue arriveranno
con una serie di soluzioni adottate
ciascuno per conto proprio che di
fatto aboliscono lo spazio Shengen, la libera circolazione delle
persone, e presentano un Europa
blindata contro profughi e soprattutto migranti.
Il 25 gennaio a Amsterdam
il vertice dei ministri degli Interni dell’Ue ha discusso della proposta della Commissione di creare un corpo europeo di guardie
di frontiera con cui controllare i
flussi migratori, un controllo alle
frontiere esterne. La soluzione
sarebbe quella di blindare, o meglio cercare di blindare le frontiere
esterne col contributo di tutti i paesi membri e non solo di quelli posizionati sul confine, Italia, Grecia
e Spagna in primis. Se si chiudono le frontiere interne tutto il peso
dell’accoglienza di profughi e rifugiati tra l’altro cadrebbe su di loro
e ovviamente questi paesi sono
contrari anche alla sola sospensione di Shengen.
Chi sta geograficamente dietro propone altre soluzioni come
alcuni dei sei paesi dell’area
Schengen che hanno attualmente in corso i controlli alle frontiere interne, dalla Francia che le ha
chiuse in seguito agli attacchi di
novembre a Danimarca, Germania, Austria, Norvegia e Svezia
che hanno chiesto alla Commissione europea di avviare la pro-
cedura per il prolungamento di
questi controlli. Lo rendeva noto il
segretario di stato olandese Klaas
Dijkhoff al termine del vertice che
annunciava la richiesta di attivazione “dell’articolo 26 del codice
Schengen”, quello che prevede
la concessione di proroghe di sei
mesi ciascuna fino a un massimo
di due anni. Tra l’altro a maggio
scade il blocco alle frontiere attivato da Austria e Germania. Se
non tengono le frontiere esterne
si ripristinano quelle interne, o si
cacciano dall’area Shengen i paesi di frontiera che non tengono
i profughi in attesa dello svolgimento delle pratiche di identificazione e smistamento. Nel frattempo tornano le frontiere dalla
Macedonia alla Scandinavia e la
Grecia è minacciata di espulsione perché non respinge i barconi in Egeo.
Toccava al Commissario Ue
per le Migrazioni, il greco Dimitris Avramopoulos, smentire la discussione sull’ipotesi della Grecia fuori da Schengen mentre il
ministro spagnolo FernandezDiaz affermava che non c’è la volontà di isolare la Grecia, sarebbe
oltre che “politicamente inaccettabile” anche “inapplicabile” dato
che sarebbe di fatto irrealizzabile controllare le frontiere sulle
oltre 400 isole della Grecia. “La
sospensione di Schengen o l’esclusione di un Paese da Schengen sono due possibilità che non
esistono”, sosteneva la portavoce dell’esecutivo comunitario,
Natasha Bertaud, che provava
a chiudere la questione, almeno
per il momento, in attesa del rapporto della Commissione sul funzionamento di Schengen nei diversi paesi dell’Unione. Secondo
Profughi ammassati all’addiaccio in Austria
indiscrezioni sul documento sembra che la Grecia sarà bocciata e
riceverà una serie di raccomandazioni con le misure da prendere per ripristinare il controllo delle
frontiere; se la misura funzionerà
entro tre mesi, l’allarme sarà cessato altrimenti diventa molto probabile la chiusura delle frontiere
interne per due anni.
La Svezia non solo è tra i paesi che hanno ripristinato i controlli ma ha annunciato espulsioni di
massa tra i profughi che hanno
raggiunto il paese. Il ministro degli Interni svedese, Ygeman Anders, rendeva noto che il governo
ha deciso di respingere 80 mila
delle 163 mila domande di asilo
ricevute e di voler avviare il programma di espulsioni tramite voli
charter che potrebbe durare motli
anni. Senza tenere di conto che in
mancanza di accordi specifici con
i paesi di provenienza dei profughi il rimpatrio è impossibile. La
decisione del governo di Stoccolma ringalluzziva i gruppi nazisti e
xenofobi che il 29 gennaio organizzavano la spedizione punitiva
di oltre un centinaio di persone,
vestite di nero e con un cappuccio
sulla testa, nella stazione centrale
della capitale picchiando gli immigrati e distribuendo volantini con
minacce di “punizione” ai “bambini nordafricani“. Sotto lo sguardo
complice della polizia.
In Danimarca, che nel 2015
ha ricevuto 21 mila richiedenti asilo, il governo di destra dopo
aver chiuso le frontiere decideva di confiscare i beni ai profughi. Come facevano i nazisti con
gli ebrei. Il Parlamento danese
ha approvato il 26 gennaio con
81 voti favorevoli, 27 contrari e
un astenuto tutte le proposte del
governo, fra le quali quella della confisca di denaro e oggetti di valore oltre 1.300 euro “per
contribuire alle spese di mante-
nimento e alloggio” e dell’estensione a tre anni del periodo necessario per poter procedere alla
richiesta di riunificazioni familiari.
Il via libera ai provvedimenti, che
annunciati nel novembre scorso
avevano sollevato diverse proteste anche nel paese, era venuto il 12 gennaio con l’intesa tra il
Venstre, il partito liberale del primo ministro Lars Løkke Rasmussen, e i suoi partner di destra, il
Partito popolare danese (df), l’Alleanza liberale e il Partito popolare conservatore, cui si erano vergognosamente accordati anche i
socialdemocratici all’opposizione.
La pratica delle confische ai
profughi è già impiegata in Svizzera e nei Laender tedeschi di Baviera e Baden-Württenberg, tanto
che all’annuncio del governo danese la Commissione affermava
che la confisca dei beni ai richiedenti asilo “è compatibile” con la
normativa internazionale “solo se
è proporzionata e necessaria”.
Il leader dei laburisti olandesi Diederik Samsom, il cui partito è il principale della coalizione
di governo, affermava che in futuro si può pensare a rimpatriare i richiedenti asilo non accolti con i traghetti e non nei paesi
d’origine, mancando quasi sempre gli accordi bilaterali per i rimpatri, ma in Turchia, “non appena
la situazione dell’accoglienza ai
rifugiati sia migliorata in quel paese”. Certo al momento, secondo Human Rights Watch la situazioni dei profughi in Turchia non
è assolutamente accettabile sotto
il profilo igienico e dell’accesso a
servizi fondamentali quali la sanità e l’istruzione di bambini e adolescenti e l’Europa “ha solo deciso di esternalizzare il problema in
cambio di denaro”, i tre miliardi di
euro che arriveranno a Ankara.
Il regime di Erdogan potrà contare sui finanziamenti aggiuntivi della Ue ma nel frattempo non
sta con le mani in mano; secondo un rapporto dell’organizzazione no profit Business and Human
Rights Resource Centre (Bhrrc) le
fabbriche turche di alcuni grandi
marchi della moda internazionale sfruttano i bambini e i rifugiati siriani. Secondo l’organizzazione sarebbero centinaia di migliaia
i rifugiati siriani che lavorano con
stipendi inferiori al salario minimo
consentito, soprattutto in fattorie e
aziende agricole nelle aree più remote del paese. Esperti del Centre for Middle Eastern Strategic
Studies (ORSAM) parlano di almeno 250 mila rifugiati siriani che
stanno lavorando illegalmente in
Turchia, ben il 10% circa dei 2,5
milioni di profughi censiti ufficialmente.
Un favore ai responsabili del Dieselgate e alle grandi case automobilistiche
La UE raddoppia il limite minimo
di
inquinamento
da
polveri
sottili
Il parlamento europeo approva la modifica del regolamento sugli ossidi di azoto infischiandosene degli impegni di Parigi
Che le emissioni di NOx dei
veicoli diesel fossero ben diverse da quelle dichiarate lo si sapeva bene anche prima, tuttavia è
stato il caso Volkswagen che ha
reso la pantomima visibile a livello
globale. Adesso dalla pantomima
si passa alla legalizzazione di un
vero e proprio abuso. Nonostante il Dieselgate quindi, vincono le
auto e perdono i nostri polmoni e
l’ambiente.
Ormai senza più remore, il parlamento europeo ha sancito la
sua fedeltà alla lobby manipolatrice e ricattatoria dell’industria automobilistica e non ha trovato la
forza necessaria per respingere
una proposta della Commissione
europea volta a diluire e a rinviare di molti anni l’obbligo di rispettare i limiti sulle emissioni dei motori diesel. I parametri, definiti in
un regolamento del lontano 2007,
sarebbero dovuti entrare in vigore per tutti i nuovi modelli nel settembre del 2015 fissando lo standard delle emissioni dei veicoli
Euro 5/6 a un limite massimo di
80 mg / km per le emissioni di ossidi di azoto (NOx) da veicoli diesel, rilevati su strada. Il 19 maggio
scorso, il Comitato tecnico Europeo dei veicoli a motore (Tcmv) ha
approvato il regolamento attuativo (Rde) che prevedeva l’introduzione dal gennaio 2016 di test di
sperimentazione su veicoli in strada, con dispositivi portatili di misura delle emissioni (Pems); lo stesso Comitato però, composto da
rappresentanti dei governi e della stessa Commissione Europea,
ha adottato anche un ulteriore regolamento che prevede l’introduzione di un “fattore di conformità”
per determinare i limiti da non superare.
In sostanza è questo il ”cavallo
di troia” che vanifica per molti anni
a venire e forse irrimediabilmente
i già ampi limiti di legge previsti,
consentendo a tutti i veicoli diesel
venduti sul mercato Ue e fino al
2021, di superare del 110 per cento il limite di NOx – (sostituendo
il valore limite di 80 mg / km con
168mg / km) – e del 50 per cento
dopo il 2021 – (cambiando il limite
da 80mg a 120 mg / km).
La Commissione Ambiente
dell’Europarlamento ha contestato la decisione del Comitato ma
per bloccare il tutto ci sarebbe
stato bisogno di un voto a maggioranza qualificata della plenaria del
Parlamento europeo (375 voti).
Presidente di tale Commissione
è il forzista LaVia che, a dispetto
della decisione della maggioranza
dei deputati della sua Commissione, ha dichiarato come molti altri
esponenti del suo partito e della
destra europea che la Commis-
sione stessa vuole mettere ”i tappi ai tubi di scappamento e fare
chiudere le fabbriche”. In pratica,
impunemente, si continua a legiferare con lo stesso vergognoso,
opportunista e purtroppo comune ricatto che fu anche dell’ILVA
di Taranto quando all’esplodere
dello scandalo, gli addetti ai lavori quasi si giustificavano dicendo
che c’era spazio “o per il lavoro,
o per la salute”. Stavolta, grazie
anche al solerte lavoro di molti governi, incluso il nostro schierato a spada tratta con i costruttori, nella sessione di Strasburgo
del 3 febbraio, non si sono trovati i 375 voti necessari ad adottare la contestazione e la norma è
passata. Insomma, non è sembrato un argomento convincente
per 323 deputati il fatto assodato
secondo il quale l’inquinamento
al diossido di azoto, dovuto principalmente alle emissioni di ossido di azoto (NOx) dei veicoli diesel, sia l’esclusivo responsabile di
75.000 morti premature in Europa
ogni anno; in questo ambito, proprio l’Italia detiene il triste primato
internazionale.
Tra gli artefici dell’ennesimo
regalo alle multinazionali figurano 21 europarlamentari italiani,
fra i quali il già citato Presidente
della commissione ambiente LaVia, la coordinatrice alla Commis-
sione Ambiente Elisabetta Gardini, entrambi di Forza Italia, gli altri
forzisti Lorenzo Cesa, Alessandra
Mussolini ed Antonio Tajani (PPE),
Raffaele Fitto (ECR), il nazista
Borghezio ed il razzista e fascista
Salvini del gruppo capeggiato dalla fascista Marie Le Pen, Enf (Europa delle azioni e delle libertà).
Fra gli altri 61 membri che si sono
astenuti appoggiando di fatto la
misura, spicca il nome di Simona
Bonafè, relatrice Pd della direttiva
sull’economia circolare, e dei PD
Caterina Chinnici, Silvia Costa,
Luigi Morgano e Michela Giuffrida
a testimoniare l’assoluta unità
d’intenti, seppur con strategie stavolta differenti, fra PD e Forza Italia. Di fatto in aula i popolari hanno
guidato compatti la battaglia per
alzare i limiti, mentre è significativo che il sedicente fronte composto da verdi, socialisti, sinistra unitaria, liberali e cinque stelle, non
abbia trovato unanimità neanche
nell’opposizione. Astenuti anche
tutti i britannici dell’Ukip che insieme con i grillini formano il gruppo
Efdd.
Il messaggio dunque è chiaro. Dopo lo scandalo Volkswagen,
nonostante le nostre città siano
assediate dallo smog, nonostante
il mezzo milione di morti premature e i 940 miliardi di costi all’anno, per il parlamento europeo è
meglio alzare i limiti invece che rispettare le norme e la salute pubblica e l’ambiente; limiti che essi
stessi sono tuttora il compromesso fra i profitti delle case produttrici e salute e ambiente pubbliche
che tende da sempre a favorire gli
interessi delle prime a spese dei
secondi. Una “scelta assurda e
insensata che va contro la salute
dei cittadini e l’ambiente. Un vero
e proprio condono che premia i
furbi e non l’innovazione e la qualità, solo a favore delle lobby automobilistiche”: così ha commentato
il direttore generale di Legambiente, Stefano Ciafani. Molti quotidiani si interrogano sul perché ciò è
potuto accadere proprio a poche
settimane dalla conclusione della Cop21 di Parigi e da uno scandalo planetario come il Dieselgate
Volkswagen, e con le città assediate dallo smog; la denuncia della stampa di regime trasuda però
di retorica poiché com’è possibile
chiedersi senza dare una risposta
che appare fin troppo chiara sul
perché le massime istituzioni europee sono così vilmente sotto il
ricatto delle case automobilistiche
e delle lobbies di settore?
La verità è che c’è incompatibilità fra gli interessi del capitalismo ed il reale rispetto della natura, dell’ambiente e della
salute pubblica, così come per
il soddisfacimento dei reali bisogni e interessi delle popolazioni.
A distanza di due mesi siamo di
fronte all’ennesimo fallimento delle direttive e degli impegni di Parigi registrando l’ennesima truffa
politica sulle tematiche ambientali, a conferma che a poco servono
i proclami in coro conditi di belle
parole e dagli scarsi contenuti, di
cui fanno vanto le massime istituzioni europee e i politicanti di regime; nello stesso tempo, ancora una volta, dobbiamo prendere
atto di un altro regalo alle multinazionali, gentilmente concesso dai rappresentanti di governi
compiacenti e disposti a tutto pur
di rimanere saldamente lacchè al
soldo di esse. Quell’ Europa “vicina alle persone” che paiono inseguire anche i rappresentanti delle
più grandi associazioni ambientaliste, non potrà mai realizzarsi
nel capitalismo perché è il capitalismo stesso che crea e forma istituzioni e governi a esso funzionali
e quindi amici della speculazione
e del profitto e nemici dei bisogni
delle popolazioni, incluso quello
di vivere in un ambiente sano e rispettato, che possa aiutare il progresso umano con le sue risorse
e nello stesso tempo rigenerarsi
completamente svolgendo quel
ruolo che la natura stessa gli ha
attribuito.
Perché i comuni siano governati
dal popolo e al servizio del popolo
ci vuole il socialismo
NON VOTARE
I PARTITI
BORGHESI AL
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CAPITALISMO
Delegittimiamo
le istituzioni
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borghesi
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