N.05 data editoriale 9 febbraio 2017

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N.05 data editoriale 9 febbraio 2017
Nuova serie - Anno XLI - N. 5 - 9 febbraio 2017
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Presso la sede della Cellula “Mao” di Milano
“Terza Nota”
intervista Urgo
sul PMLI e lo
Stato islamico
PAG. 11
Milano, 13-12-2016. Un momento dell’intervista di
“Terza Nota” ad Angelo Urgo (foto Il Bolscevico)
Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa
Criticata la Direzione della
Cgil per come ha gestito i
referendum
Cammilli: Occorre un nuovo,
unico e grande sindacatoPAG. 12
Verdetto della Corte costituzionale
L’Italicum
di
Renzi
è
incostituzionale
Salvati però la truffa del premio di maggioranza e i capilista bloccati
Occorre il proporzionale senza sbarramento
Intervenendo al Senato
Gentiloni si autoelogia per i
soccorsi e l’aiuto ai terremotati
La realtA’ lo smentisce
Proteste dei terremotati davanti alla Camera. L’abnegazione dei
soccorritori ha impedito che il numero dei morti fosse ancor più alto
PAG. 2
Andrea Cammilli guida la delegazione nazionale del PMLI alla manifestazione nazionale della Fiom, Roma il 28 marzo 2015 (foto il bolscevico)
Raggi indagata
per falso e abuso
Grillo esalta il fascista Trump e imbroglia i suoi parlamentari
Inquisito anche il candidato
sindaco M5S a Palermo
PAG. 6
PAG. 4
Silenzio assordante di De Magistris
De Luca dispone la chiusura anche
dell’ospedale San Gennaro dei poveri
giovani e disoccupati occupano lo
storico nosocomio
PAG. 13
Regeni fu assassinato
dal regime egiziano
La prova decisiva è nel filmato clandestino del giovane ricercatore italiano. Manifestazioni in tutta Italia
L’ambasciatore italiano non torni in Egitto
PAG. 9
A cena a Montecitorio con l’ex presidente della Camera Fini
Arrestato Corallo, il re delle slot machine.
C’è di mezzo la casa venduta alla moglie di
Fini indagata DIALOGO
LETTORI
per riciclaggio Il discorso di Scuderi
Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente
la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non
devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi.
In carcere anche
Laboccetta, ex
parlamentare Pdl
PAG. 7
“Da Marx a Mao” è
“ancorato al passato”?
PAG. 12
Gentiloni conferma il generale
Del Sette inquisito
Mattarella firma il decreto nonostante che il comandante dei carabinieri sia indagato per rivelazione
di segreto e favoreggiamento con Luca Lotti nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Consip PAG. 3
All’incontro di Astana
Russia, Turchia e Iran si accordano
sul cessate il fuoco in Siria
Il PYD e la YPG curdi non rispetteranno l’accordo. Il governo siriano e parte
dell’opposizione negozieranno a Ginevra
Continuerà la guerra contro l’Is e Al-Nusra PAG. 15
2 il bolscevico / interni
N. 5 - 9 febbraio 2017
Verdetto della Corte costituzionale
L’Italicum di Renzi è incostituzionale
Salvati però la truffa del premio di maggioranza e i capilista bloccati
Occorre il proporzionale senza sbarramento
“Questa legge, che doveva
essere esempio per il mondo,
se la esportano adesso la devono vendere a un costo minore: è
deteriorata”. Con questa efficace espressione l’avvocato Felice Besostri, uno del gruppo di
legali ricorrenti contro l’Italicum
e già autore del vittorioso ricorso contro il porcellum, ha commentato la sentenza della Corte
costituzionale del 25 gennaio,
che ha giudicato anticostituzionale la legge elettorale ultra
maggioritaria ideata da Renzi e
Berlusconi nel famigerato patto
del Nazareno di tre anni fa, e poi
imposta al parlamento con ben
tre voti di fiducia nel 2015.
Una legge peggiore del porcellum e perfino della legge fascista Acerbo, che Matteo Renzi
si era cucito su misura per consentirgli, in combinazione con la
controriforma fascista e piduista
del Senato, di conquistare la
maggioranza assoluta della Camera e governare il Paese con
poteri simili a quelli di Mussolini.
Un disegno che gli era apparso
a portata di mano dopo l’ottenimento del 41% alle elezioni
europee del 2014, e non a caso
l’Italicum prevedeva una soglia di
voti di quell’ordine di grandezza
(35% inizialmente, poi portato
a 40%) per assegnare, con un
premio di maggioranza del 15%,
ben il 54% dei seggi alla Camera,
permettendogli così di governare
incontrastato e da solo.
Anche perché grazie sempre a quella legge il suo potere
sarebbe stato rafforzato dai capilista bloccati, da lui personalmente scelti, e candidabili in 10
collegi diversi, escludendo così
dal parlamento anche i suoi avversari interni. Ma soprattutto
perché, anche in mancanza del
raggiungimento della soglia del
40%, il secondo turno di ballottaggio senza soglia gli avrebbe
assicurato comunque la vittoria
e il premio di maggioranza. Un
gliersi i candidati che vuole lui.
Anche perché in coda alla
sentenza la Corte ha scritto che
la legge così come è uscita modificata “è suscettibile di immediata applicazione”. Ovvero che
potrebbe essere usata in caso
di scioglimento delle Camere
anche in mancanza di un’altra
legge varata appositamente dal
parlamento. Il che ha fatto esultare i tirapiedi di Renzi, come
il capogruppo PD alla Camera, Rosato, secondo il quale si
può “andare a votare subito”, e
come il capogruppo al Senato,
Zanda, arrivato addirittura a sostenere che la Corte “ha confermato l’impianto dell’Italicum”.
meccanismo truffaldino e sfacciatamente
incostituzionale,
perché avrebbe permesso ad
un partito del 30% come il PD
(con il 20% e anche meno del
corpo elettorale) di conquistare
la maggioranza assoluta in parlamento.
L’incostituzionalità
del ballottaggio
renziano
E infatti è stato proprio questo uno dei due motivi di incostituzionalità giudicati validi
dalla Consulta (l’altro è stato
quello parzialmente accolto
sulle pluricandidature). Non poteva essere diversamente, data
la macroscopica violazione del
principio di eguaglianza sancito
dall’articolo 3 della Costituzione, che il ballottaggio ideato da
Renzi avrebbe comportato: è
evidente infatti che con un simile meccanismo il voto degli
elettori del PD (o comunque del
partito vincente al ballottaggio),
cioè il voto di una minoranza,
avrebbe contato molto di più di
quello del resto dei votanti, cioè
della maggioranza.
Per questo la bocciatura del
ballottaggio, il cuore dell’Italicum, quello che lo stesso Renzi
aveva definito “il punto chiave”
della legge, veniva data praticamente per scontata dalla
maggior parte dei costituzionalisti. E probabilmente anche per
questo fu deciso di rimandare la
sentenza, inizialmente prevista
ad ottobre, a dopo il referendum del 4 dicembre: l’inevitabile bocciatura anche parziale
dell’Italicum avrebbe infatti danneggiato la campagna renziana
per il Sì.
Il governo Gentiloni, fotocopia di quello di Renzi, ha tentato invano di salvare la legge,
tramite l’avvocatura dello Stato
che aveva chiesto di respingere
Renzi sogna la
rivincita
in blocco tutti gli undici motivi
di incostituzionalità presentati.
Tuttavia la Consulta, pur bocciando il ballottaggio, ha salvato il premio di maggioranza
al raggiungimento del 40% dei
voti, nonché i capilista bloccati.
Con solo una modifica alle pluricandidature in 10 collegi, che
si potranno sempre fare, ma il
capolista non potrà scegliere a
sua discrezione dopo il voto il
collegio preferito, il quale andrà
invece estratto a sorte tra quelli
in cui risulta eletto.
È su questi punti – premio
di maggioranza, capilista bloccati e pluricandidature – che la
Corte si è maggiormente divisa, tanto che la sentenza ha richiesto più tempo del previsto,
e alla fine la posizione dei due
giudici fatti eleggere da Renzi,
Amato e Barbera, sono riusciti a
strappare un vantaggioso compromesso per il nuovo duce.
Consegnandogli, come è stato
rilevato da molti commentatori,
una pistola carica per andare
velocemente alle elezioni e sce-
Lo stesso Renzi ha incassato la sentenza della Consulta
come una vittoria, inaugurando
per l’occasione il suo blog personale al modo di Grillo (ma con
i colori celeste e bianco di Forza Italia), in cui ha postato subito la parola d’ordine della sua
campagna elettorale: “Il futuro,
prima o poi, torna”. Il nuovo
duce vuole cioè tornare a Palazzo Chigi sull’onda di una sognata legittimazione elettorale,
da ottenere con elezioni subito,
questa stessa primavera, ad
aprile o al massimo l’11 giugno.
Con il Mattarellum, se anche
gli altri partiti ci stanno, oppure
anche con l’Italicum sforbiciato
dalla Consulta. Magari per “tornare” appunto a fare il premier
in tempo per presenziare al G7
di Taormina del prossimo 27
maggio.
Non gli è bastata la sberla del
4 dicembre, che si è già messo
alle spalle, e sogna ancora di
“ripartire” dal 40% di Sì al referendum come se si traducesse
automaticamente in voti per lui:
“Ma anche quella sconfitta ap-
Tramite il pennivendolo anticomunista Michele Smargiassi
partiene al passato. E ci sono
milioni di italiani, milioni, che
hanno votato ‘sì’ e che vogliono vedere tornare il futuro”, ha
scritto infatti sul blog.
Insieme a lui premono per
andare subito al voto con l’Italicum dimezzato anche Grillo e
Salvini, mentre tutti gli altri nicchiano, e si aggrappano alle indicazioni di Mattarella che prima
di sciogliere le Camere chiede al
parlamento di “armonizzare” le
leggi elettorali di Camera e Senato, che ora come ora sarebbero parecchio diverse, rendendo impossibile la formazione
di una maggioranza. Il Senato
infatti non ha premio di maggioranza, le soglie di sbarramento
sono più alte (8% per i partiti
che corrono da soli e 3% per
quelli coalizzati), e sono possibili le coalizioni di partiti, con
uno sbarramento del 20%.
La sinistra del PD è contraria ad andare a votare in queste
condizioni, ma solo perché sa
che Renzi la farebbe fuori dalle candidature sicure. E anche
Berlusconi, al quale pure vanno
benissimo i capilista bloccati
perché se li può scegliere a piacimento, è contrario alle elezioni subito perché vuole aspettare
prima la sentenza della Corte di
Strasburgo che potrebbe giudicarlo di nuovo candidabile.
Per quanto attenuato nei suoi
effetti perversi, l’Italicum così
modificato dalla Corte costituzionale è invece da respingere
risolutamente e per principio,
perché resta comunque una legge maggioritaria del tutto simile
al porcellum (salvo che quest’ultimo non aveva una soglia per il
premio di maggioranza), e perché consente alle segreterie dei
partiti parlamentari di scegliere
i candidati più fidati e servili. La
legge elettorale deve essere invece un proporzionale puro, e
senza soglie di sbarramento per
entrare in parlamento.
Bugie de “la Repubblica” sulla Commemorazione
di Lenin a Cavriago
‡‡Dal nostro corrispondente
dell’Emilia-Romagna
Il quotidiano “la Repubblica” si conferma ancora una
volta tra i capofila dei giornali
anticomunisti, infatti non solo
non ha dato notizia dello svolgimento della grande Commemorazione di Lenin che si
è svolta domenica 22 gennaio
a Cavriago nel 93° Anniversario della scomparsa, mentre
sono stati tanti i giornali nonché i siti internet e le televisioni
che hanno realizzato interviste
e servizi poi pubblicati e mandati in onda, ma addirittura si
è fatto beffa della rossa iniziativa citandola con appena un
paio di righe all’interno di un
articolo, pubblicato a pagina
12 dell’edizione del 30 gennaio, di una intera pagina sulla
disaffezione dei giovani di Cavriago dalla politica in generale
e dal PD in particolare. E lo ha
fatto tramite la penna velenosa di Michele Smargiassi, ex
giornalista de “l’Unità”, che
l’ha liquidata con: “Dieci giorni
fa era l’anniversario della sua
morte (di Lenin, ndr), è arrivato
il solito pullman di devoti con le
bandiere rosse … Ai piedi della
statua, 2 mazzolini di fiori artificiali un po’ polverosi”.
“La Repubblica” non si
smentisce, e in così poco spazio riesce a dire così tante bugie. Proprio servendosi dell’autore del libro “Un’autentica
bugia: la fotografia, il vero, il
falso”. A riprova della non credibilità dei pennivendoli della
borghesia anticomunisti.
Intanto non si è trattato certo del “solito pullman di devoti”
ma di una larga partecipazione
di compagni del PMLI giunti da
varie città della Regione, della
Lombardia, del Piemonte e della Toscana, oltre a compagni
del PCI, PRC, lista “Cavriago
città aperta” e di molti cavriaghesi e reggiani. Fin dall’inizio i
compagni già presenti in piazza
sono stati circondati dalla simpatia della popolazione e hanno registrato con soddisfazione la confluenza dalle varie vie
che conducono a piazza Lenin
dei tanti cavriaghesi desiderosi di essere presenti a questa
commemorazione, a conferma
di quanto ampia sia stata anche la presenza di sostenitori
locali di Lenin.
E poi dove avrà visto Smargiassi i “2 mazzolini di fiori artificiali un po’ polverosi” non
si sa, visto che il PMLI.EmiliaRomagna e l’Organizzazione
di Modena del PMLI hanno
depositato ai piedi del busto
2 bellissimi mazzi di fiori rossi
freschi, tra l’altro il busto è tenuto sempre in ordine dall’attuale “custode” volontario Silvano Morini, presente da anni
alla Commemorazione e che
proprio in questa occasione
è stato chiamato accanto agli
oratori ufficiali e ha ricevuto un
grande e meritato applauso.
Infine Smargiassi si è ben
guardato dal dire che ad organizzare la manifestazione
è stato, come fa da oltre 10
anni, il PMLI.Emilia-Romagna,
affiancato da 2 anni dal PCI
(prima PdCI), e in questa occasione anche dal PRC e dalla Lista “Cavriago città aperta” che
hanno svolto anch’essi un intervento, evidentemente ha paura
che citando il PMLI e una manifestazione che ricorda gli insegnamenti di Lenin possa attirare
l’attenzione dei lettori sul nostro
Partito e sul socialismo; il black
out della gran parte dei mezzi di
informazione potrà certamente
rallentare lo sviluppo del PMLI
ma non fermarlo, perché come
dimostra anche la Commemorazione di Lenin, che cresce
anno dopo anno, l’incontro tra il
PMLI e i veri comunisti non può
essere evitato, se ce la mettiamo tutta per dare al PMLI un
corpo da Gigante Rosso!
Cavriago (Reggio Emilia), 22
gennaio 2017. Al termine della
Commemorazione di Lenin per il
93° Anniversario della scomparsa il PMLI depone due mazzi di
fiori ai piedi del busto di Lenin rispettivamente a nome del PMLI.
Emilia-Romagna e dell’Organizzazione di Modena del PMLI. A
sinistra il compagno Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per
l’Emilia-Romagna (foto Il Bolscevico)
interni / il bolscevico 3
N. 5 - 9 febbraio 2017
Come risulta dalla nota trimestrale di Istat, Inps, Inail e ministero del Lavoro
I contratti a termine
superano quelli stabili
Nella seconda metà del 2016 cala l’occupazione, cresce il precariato e l’utilizzo dei voucher, penalizzati soprattutto i giovani
Un nuovo metodo è stato seguito dall’Istat e prevede
l’integrazione delle rilevazioni
dell’istituto nazionale di statistica incrociate con quelle di Inps,
Inail e ministero del Lavoro. I risultati però non cambiano e decretano ancora una volta il fallimento del Jobs Act sul piano
occupazionale. La martellante
propaganda di Renzi sugli effetti “miracolosi” di questa controriforma si scontrano con la
realtà dei fatti. Lo hanno capito
bene le masse popolari che il 4
dicembre non solo hanno difeso la Costituzione respingendo
il disegno fascista del nuovo
duce, ma hanno sonoramente
bocciato la politica economica
del suo governo e il Jobs Act in
particolare.
Stavolta sono i dati trimestrali sull’occupazione diffusi
dall’Istat a fine anno a smontare
un ulteriore pezzo del castello
di menzogne costruito da Renzi. Nel terzo trimestre 2016 le
assunzioni a termine superano
di gran lunga quelle stabili. Nei
primi sei mesi dell’anno erano
prevalse le assunzioni a tempo
indeterminato, anche se bisogna sempre ricordare come la
forma dei contratti a tutele crescenti introdotte dal Jobs Act
non sono rapporti stabili come
nel passato perché lasciano
per i primi tre anni la possibilità
ai padroni di licenziare liberamente il lavoratore attraverso il
pagamento di un misero indennizzo.
Tendenzialmente, ossia in
rapporto all’anno precedente,
rimane una lieve crescita generale pari a 239 mila occupati in
più ma nella seconda parte del
2016 questo processo si è arrestato e l’occupazione comincia
a calare e a cambiare tipologia.
Nei mesi luglio-agosto-settembre si registrano 93mila
nuovi contratti di assunzione
ma balza subito agli occhi la
sproporzione tra quelli a tempo
indeterminato, che sono 10mila
e di quelli a termine che sono
83mila.
In termini numerici, nonostante gli sforzi propagandistici
del governo, rimane più o meno
tutto fermo e non deve trarre in
inganno l’aumento percentuale
degli occupati salito di alcuni punti percentuali. Questo
è dovuto in una certa misura
all’invecchiamento della popolazione che ha ridotto la consistenza della fascia di età tra i
15 e i 64 anni. La riduzione degli
inattivi la si deve in gran parte
alla legge Fornero che nega la
pensione ben oltre i 64 anni.
Tutto questo incide sulla disoccupazione giovanile che infatti
continua ad aumentare ed è
la più alta in Europa, seconda
solo alla Grecia. Tra gli under
35 l’occupazione scende sia
rispetto al trimestre precedente
(-1,1%) che sull’anno (-0,6%).
Rispetto al periodo aprile-maggio-giugno gli occupati di questa fascia d’età sono arretrati di
altre 55 mila unità.
Rispetto al trimestre precedente (dati congiunturali) si
registra un aumento del lavoro dipendente, mentre quello
autonomo è in forte calo. Se
andiamo a guardare i diversi settori vediamo che il saldo
dell’industria rimane invariato
mentre il lavoro indipendente
registra un calo dell’1,5%, pari
ad 80 mila occupati in meno.
L’unico aumento lo abbiamo
nel terziario e sopratutto negli
alberghi, nella ristorazione e nel
commercio (+1,1%). Particolari
settori dove il precariato raggiunge i massimi livelli, il che fa
presupporre che sia di questo
tipo la nuova occupazione che
si è creata.
L’ulteriore sviluppo del precariato è confermato dall’ennesimo aumento dell’uso dei
voucher. Nei primi 9 mesi del
2016 ne sono stati venduti
109,5 milioni, il 34,6% in più
rispetto all’analogo periodo
dell’anno precedente. I dati
sui buoni lavoro sono comunque da prendere con le molle
perché il numero mediano di
voucher riscossi dal singolo
lavoratore che ne ha usufruito
è 29 nell’anno 2015: ciò significa che i prestatori di lavoro
accessorio hanno riscosso me-
diamente voucher per 217,50
euro netti. Numeri inverosimili a
fronte della loro reale diffusione
a dimostrare come questo strumento, già di per sé elusivo di
molti diritti, serve a coprire una
larga fetta di lavoro completamente a nero.
Un altro dato allarmante è
quello sugli infortuni che aumentano dell’1,1% rispetto
all’analogo trimestre del 2015.
L’Istat rileva che ciò è in linea
con l’aumento dell’occupazio
ne tendenziale. Anche se così
fosse significa che sulla prevenzione degli incidenti sul lavoro
non si è fatto nessun passo in
avanti.
Ma il dato forse più eloquente è quello sull’andamento delle
richieste di nuove assunzioni
rispetto all’entrata in vigore
del Jobs Act, in particolare di
quelle a tempo indeterminato,
pur sempre nelle limitazioni del
contratto a tutele crescenti. Ebbene, l’incremento più significativo è concentrato nell’ultimo
trimestre del 2015 e, con un
effetto trascinamento, si protrae nel primo del 2016 per poi
declinare sempre di più fino alla
situazione attuale dove predomina il contratto a termine.
Un andamento strettamente legato agli sgravi fiscali che
il governo ha generosamente
erogato ai padroni. Come abbiamo più volte denunciato, e
non siamo solo noi, l’aumento,
seppur modesto, dell’occupazione successivo al Jobs Act è
dovuto essenzialmente a questi
denari pagati dalla collettività
che nel 2015 ammontavano a
oltre 8mila euro per ogni singola assunzione, ridotti a poco
più di 3mila nel 2016 e che nel
2017 termineranno.
Anche la Cgil della Camusso ricorre
sistematicamente ai voucher
I voucher vengono oramai
utilizzati in tutti i settori e da
tutti i soggetti, anche da chi a
parole li ripudia. È venuto alla
luce come la Cgil, che ha richiesto un referendum per abolirli,
utilizzi questo strumento per
pagare chi lavora occasionalmente in alcune delle sue strutture. O meglio, questo è quanto
sostiene il sindacato, perché
risulterebbe invece che ne
faccia un ricorso sistematico.
A denunciarlo è il presidente
dell’Inps Tito Boeri in un’intervista a Repubblica secondo cui
nell’ultimo anno la Cgil ha utilizzato voucher per un valore di
750 mila euro.
Boeri accusa di ipocrisia non
solo la Cgil ma anche gli altri
sindacati, ad esempio la Cisl ne
ha utilizzati il doppio, per un valore di 1milione e mezzo di euro.
C’è anche un attacco alle pensioni dei sindacalisti che, grazie
ad alcune falle nella legislazione, tramite appositi versamenti,
possono aumentarsi la pensione negli ultimi anni di attività,
come ci ricorda la scandalosa
vicenda dell’ex segretario della
Cisl, Bonanni.
Tutte cose vere anche se
sono state tirate fuori ora in
maniera tutt’altro che disinteressata. Boeri pesca adesso
dal cassetto i dati perché è favorevole ai voucher e auspica
solo risibili “aggiustamenti” da
parte del governo, così da giustificare l’eliminazione del relativo referendum. Comunque il
loro utilizzo da parte della Cgil,
oltre ad essere un comportamento ipocrita, si dimostra
anche un clamoroso errore politico: chiedere l’abolizione dei
voucher e poi utilizzarli nelle
proprie strutture è stato un clamoroso autogol.
E non siamo neanche convinti che la Cgil voglia veramente abolirli. Basta leggere la
dichiarazione dello SPI (la categoria più coinvolta nell’utilizzo
dei voucher) “da parte nostra –
afferma il sindacato dei pensionati – non c’è alcuna ipocrisia
visto che la Cgil nella sua proposta di legge Carta dei diritti
universali del lavoro agli articoli
80 e 81 propone l’introduzione
di norme volte a regolamentare
il lavoro subordinato occasionale e accessorio”, quindi più che
abolirli li vuole solo modificare.
Vogliamo aggiungere che la
categoria degli ipocriti (termine
usato ripetutamente da Boeri) è molto ampia. Ad esempio
ne fanno parte anche i sindaci
di Napoli e Torino, dove il falso
rivoluzionario De Magistris e la
pentastellata Appendino si fanno paladini, a parole, della battaglia contro questo strumento
di lavoro nero legalizzato e poi
nella pratica le loro amministrazioni sono tra quelle che ne
fanno più largo uso. Lo stesso
Boeri è un altro ipocrita perché
potrebbe fornire altri dati in suo
possesso, ad esempio sarebbe
interessante sapere quali sono
i grandi utilizzatori dei voucher.
Ma per loro forse vale la legge
sulla privacy.
Gentiloni
conferma
il
generale
Del
Sette
inquisito
Mattarella firma il decreto nonostante che il comandante dei carabinieri sia indagato per rivelazione
di segreto e favoreggiamento con Luca Lotti nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Consip
Come primo atto del 2017
il governo di matrice renziana
antipopolare, piduista e fascista
guidato da Gentiloni ha confermato per un altro anno Tullio Del
Sette alla carica di comandante
generale dei Carabinieri, quantunque costui sia stato iscritto
lo scorso 17 dicembre dalla
procura di Roma sul registro
degli indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto
istruttorio nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti truccati e
soffiate alla Consip (la centrale
unica degli acquisti della pubblica amministrazione controllata
dal Tesoro) insieme al generale
dei carabinieri Emanuele Salta-
lamacchia, comandante della
Legione Toscana. Nello stesso
procedimento risulta imputato
degli stessi reati il braccio destro di Renzi Luca Lotti, già sottosegretario alla Presidenza del
consiglio, attuale ministro allo
sport e aspirante alla delega sui
servizi segreti con Gentiloni.
Il generale Del Sette, 66 anni
a maggio, già capo di Gabinetto
del ministro della Difesa Roberta Pinotti, era stato nominato da
Renzi per due anni a dicembre
del 2014. La proroga era già
pronta il 22 dicembre scorso
ma il suo contemporaneo coinvolgimento nell’inchiesta aveva
momentaneamente costretto
Gentiloni a rimandarla ma solo
di qualche settimana.
Del Sette per la verità nei
giorni scorsi aveva anche offerto
le proprie dimissioni, ma il Consiglio dei ministri, su proposta
del ministro della guerra Roberta
Pinotti e senza il minimo imbarazzo da parte del capo dello
Stato Mattarella che ha subito
controfirmato la nomina, ha prorogato il suo incarico insieme a
quello del capo di Stato Maggiore della Difesa Claudio Graziano
e del capo di Stato Maggiore
dell’Esercito, Danilo Errico.
L’inchiesta sugli appalti Consip che tra l’altro chiama in causa
vari boss del cosiddetto “Giglio
Magico” renziano tra cui anche il
padre, Tiziano Renzi, che al momento non risulta indagato, ma il
cui nome fa spesso capolino tra
i vari fascicoli d’indagine.
Il paradosso è che adesso,
per decisione del governo, i carabinieri sono chiamati a svolgere indagini e accertamenti sul
loro comandante generale, calpestando il dettato costituzionale e le leggi vigenti che regolano
il reclutamento degli ufficiali nelle Forze armate e esigono che
l’aspirante ufficiale deve “essere
in possesso di qualità morali e di
condotta incensurabili” e ovviamente libero da qualsiasi altro
carico penale pendente.
Luca Lotti, attuale ministro allo sport, si intrattiene affabilmente con il
generale Del Sette confermato comandante generale dei Carabinieri
4 il bolscevico / interni
N. 5 - 9 febbraio 2017
Intervenendo al Senato
Gentiloni si autoelogia per i soccorsi e
l’aiuto ai terremotati. La realtA’ lo smentisce
Proteste dei terremotati davanti alla Camera.
L’abnegazione dei soccorritori ha impedito che il numero dei morti fosse ancor più alto
Mentre nelle regioni del
Centro Italia flagellate dal
terremoto e dal maltempo si
piangono ancora i 5 morti assiderati nel teramano e nel pescarese, le 6 dell’elisoccorso
di Campofelice e soprattutto
le 29 vittime dell’Hotel Rigopiano su cui la procura di Pescara ha aperto un’inchiesta
per indagare proprio il criminale ritardo con cui la catena
di comando dei soccorsi si è
attivata; nonostante a due settimane dall’evento si contano
ancora a decine i paesi non
raggiunti dai soccorsi con intere popolazioni abbandonate
a se stesse stretti nella morsa di gelo e neve che in molte
località ha superato i tre metri
di altezza e le continue scosse di assestamento rischiano
di provocare nuovi crolli e ulteriori ingenti danni all’economia e soprattutto al bestiame rimasto intrappolato sotto
le centinaia di stalle e capannoni rasi al suolo; il 25 gennaio il premier Gentiloni durante la sua audizione al Senato
ha avuto la sfrontata faccia di
bronzo di autoelogiarsi per l’aiuto prestato con un “rilevante dispiegamento di uomini e
mezzi coordinati dalla Protezione civile”.
In un’aula praticamente
deserta, che la dice lunga su
quanto governo e parlamento
abbiano a cuore la difficile situazione che stanno vivendo
le popolazioni colpite, Gentiloni ha furbescamente strumentalizzato l’abnegazione
dei soccorritori che, pur privi
di mezzi e risorse, con turbine e spazzaneve impossibilitati a muoversi perché privi
di manutenzione, senza cate-
ne e perfino senza carburante, non si sono dati per vinti e
hanno inforcato gli sci e pelli
per raggiungere le persone in
difficoltà e impedire che il numero dei morti non fosse ancora più alto.
“Siamo orgogliosi dei nostri
soccorritori, sono cittadini italiani esemplari: forte e unanime deve essere il sentimento
di riconoscenza per le 11mila
persone intervenute che si
prodigano per salvare vite”
ma, ha attaccato subito dopo
Gentiloni, insieme ai lutti e alle
vite salvate: “Rimarranno impresse le immagini dello Stato che mobilita tutte le proprie
energie... Credo che sia stato
messo in atto ogni sforzo possibile dal punto di vista umano, organizzativo, tecnico per
cercare di salvare i dispersi.
Davanti alla concatenazione
degli eventi in una crisi senza precedenti, il dispiegamento delle forze, coordinate dalla
Protezione Civile, è stato molto rilevante”.
Nel tentativo di scrollarsi di
dosso ogni responsabilità circa il criminale ritardo con cui
sono stati inviati i primi soccorsi e del perché è stata
completamente ignorata l’allerta meteo lanciata una settimana prima degli eventi, Gentiloni ha aggiunto: “È giusto a
livello di governo verificare in
questa dinamica quanto abbiano inciso le circostanze
eccezionali e quanto ciò abbia messo in luce problemi
più generali di manutenzione. Se ci sono stati ritardi e
responsabilità saranno le inchieste a chiarire. Il governo
non teme la verità che serve
a fare meglio e non ad avvele-
Roma., 25 gennaio 2017. La forte e combattiva protesta dei terremotati del Centro Italia sotto Montecitorio
nare i pozzi. Io che condivido
la ricerca della verità non condivido la voglia di capri espiatori e giustizieri anche perché
la storia è lesta a trasformare i
giustizieri in capri espiatori. Al
di là di singoli errori che le inchieste accerteranno - ha proseguito - abbiamo mostrato
una capacità di reazione del
sistema all’altezza di un grande Paese, non a caso abbiamo un sistema di Protezione
civile all’avanguardia: non è di
destra o sinistra, di questo o
quel governo, è un patrimonio
italiano che dobbiamo tenerci
stretto. La prossima settimana
- ha concluso Gentiloni - vareremo un decreto. Nessuno immagini che sia un ritorno all’indietro, sarà un passo avanti e
molto mirato nei suoi obiettivi”. Il decreto, ha spiegato il
premier, “sarà mirato a intervenire in alcuni punti e gangli
l’accumulo di ritardi che finora
non ci sono stati ma possono
accumularsi nei prossimi mesi
e che possiamo prevenire...
Le risorse ci sono: 4 miliardi
nella legge di bilancio e altri
ci saranno come ho anticipato personalmente al presidente della commissione europea
Jean Claude Juncker”.
Parole a dir poco vergognose e inaccettabili; che mistificano oltre ogni limite la
realtà dei fatti e cozzano sfacciatamente con la contemporanea manifestazione di protesta organizzata da centinaia
di terremotati riuniti nel comitato spontaneo “Quelli che il
terremoto...” che sono sfilati
in corteo da Piazza Santi Apostoli a Montecitorio.
Da Amatrice ad Arquata, da
Accumoli a Capo d’Acqua, in
tanti si sono ritrovati in piazza, a cinque mesi di distanza
dalla prima grande scossa di
agosto, tra abbracci, occhi lu-
cidi e tanti striscioni e cartelli di protesta contro i governi
Gentiloni-Renzi e il commissario Errani in cui si legge:
“dal 24 agosto l’unica cosa
che si è mossa è la terra sotto i nostri piedi”; “avete detto
‘non vi lasceremo soli’ e noi
non vi daremo tregua”; “uno
Stato incapace” di soccorrere
le popolazioni ma “capace di
trovare i soldi per le banche”;
“i fondi per la ricostruzione
sono bloccati e da alcuni paesi non hanno ancora spostato
una pietra. Vergogna”; “dopo
5 mesi solo desolazione e colpevole abbandono”; “la burocrazia uccide più del terremoto”, “Montanari sì, fessi no.
Nessuno faccia il furbo” e “Ad
Amatrice la scossa, a Roma
datevi una mossa”.
“Siamo qui per manifestare la nostra amarezza – spiega uno degli organizzatori della protesta - per come è stata
gestita tutta questa emergenza. Siamo molto arrabbiati e
per tanti motivi. Che fine hanno fatto i soldi versati per solidarietà dagli italiani? Dove
sono le casette e i moduli abitativi che ci avevano promesso? Non possiamo più aspettare chiacchiere e parole,
vogliamo finalmente i fatti”.
In lotta ci sono anche gli
studenti de L’Aquila, sostenuti
dai genitori e dagli insegnanti, per chiedere scuole sicure
dal momento che a distanza
di quasi 8 anni dal terremoto
gli edifici che li ospitano non
sono stati messi in sicurezza
e presentano alti rischi di vulnerabilità sismica.
Sotto le finestre di Montecitorio i manifestanti hanno organizzato una specie di conferenza stampa per illustrare
la grave situazione che ancora vivono migliaia di terremotati. Ma dal governo non si è
fatto vedere nessuno. “All’incontro sono mancati gli attori
principali di questa situazione,
i rappresentanti del governo e
il commissario Vasco Errani”,
commenta con amarezza il
rappresentante dei paesi colpiti nel territorio marchigiano,
il quale non si dà certo per vinto e avverte che: “se le nostre
proposte cadranno nel vuoto,
torneremo a manifestare, con
forme più forti e incisive di protesta”.
Mentre un altro manifestante al termine del sit-in commenta: “Quando i politici dicevano che non ci avrebbero
lasciati soli, mi era venuto il
dubbio che non fossero sinceri, ma mai mi sarei aspettato di
vedere una disorganizzazione
del genere”.
Scioperi e proteste per le scuole al gelo
Serve una grande mobilitazione studentesca per invertire lo sfacelo della scuola pubblica
Oltre dieci anni di tagli ininterrotti e pesanti sforbiciate
alla scuola pubblica ora si fanno sentire anche mettendo a
rischio la salute degli studenti
in classe: mentre il freddo travolge tutta Italia da nord a sud,
isole comprese, numerose
scuole non possono permettersi il riscaldamento e le aule
dove gli studenti devono rimanere seduti immobili per diverse ore restano così esposte al
“gelicidio”.
In certi casi gli studenti si arrangiano indossando i giubbotti o portandosi da casa borse
termiche o addirittura stufette,
pagate naturalmente dai genitori. In altri, sempre più numerosi, si ribellano a questa situazione inaccettabile.
Il caso di Roma è emblematico: nelle scorse settimane,
nella Capitale gli studenti del liceo “Galilei” all’Esquilino dopo
la ricreazione si sono rifiutati di
rientrare per il freddo eccessivo. E non sono stati gli unici:
proteste simili si sono svolte in
altri istituti della Capitale. I genitori del “Plinio Seniore” hanno protestato in prima persona. Al “Righi”, invece, è stata
la scuola stessa a far uscire gli
studenti per via del clima. Anche quest’ultimo provvedimen-
to, benché appropriato per tutelare la salute degli studenti,
è comunque grave perché rivela che la situazione è ormai
insopportabile. A Messina, addirittura, sono state chiuse ben
undici scuole per il medesimo
motivo. In certi istituti il riscaldamento non c’è proprio.
Le proteste, iniziate in realtà già a dicembre, con la fine
delle ferie natalizie e il ritorno a
scuola si sono allargate a macchia d’olio in tutta la penisola e
le isole. A conferma di quanto il
problema sia diffuso su tutto il
territorio nazionale.
In certi casi, le autorità scolastiche sono arrivate al punto
di ricorrere a misure disciplinari per reprimere gli studenti
che protestavano per il più che
basilare diritto di fare lezione
al caldo. È il caso, per esempio, della preside dei licei “Nicolosio” di Recco e “Da Vigo”
di Rapallo, in Liguria, che ha
scritto una circolare per stigmatizzare lo sciopero degli
studenti definendo “ottimale”
il riscaldamento. La Rete degli
Studenti medi riferisce che un
simile provvedimento si è abbattuto sugli studenti di alcuni istituti toscani, come il liceo
“Cicognini-Rodari” di Prato,
che si rifiutavano di entrare a
scuola perché la temperatura
era andata sotto i 14 gradi garantiti dal sindaco Biffoni, benché il minimo per legge sia di
18 gradi.
Tra dirigenti scolastici, uffici scolastici regionali, sindaci
e province è uno scaricabarile
reciproco. Alla fine, però, senza nulla togliere alle responsabilità individuali dei presidi
Una recente manifestazione di studenti contro le aule senza riscaldamento. Qui siamo a La Spezia
che sanzionano gli studenti in
lotta per studiare in condizioni dignitose, la causa sta nelle
politiche dissennate perseguite a livello nazionale e locale
ai danni della scuola pubblica.
Un altro caso emblematico si
ritrova a Carbonia, in Sardegna, dove gli studenti dell’istituto tecnico-commerciale “Cesare Beccaria” si sono rifiutati
di fare lezione nel gelo delle
loro aule; da tempo si sarebbero dovuti trasferire in un edificio più idoneo, ora occupato
però dagli studenti della scuola media della cittadina dopo il
crollo del tetto di quest’ultima.
Il presidente della provincia di
Rieti e rappresentante dell’Upi (Unione province italiane),
Giuseppe Rinaldi, ha sottolineato che “i tagli imposti alle province dalle manovre economiche sono insostenibili perché
hanno effetti disastrosi sui servizi ai cittadini”.
Chiaramente quindi il problema alla base è costituito dall’autonomia scolastica,
che di fatto è la fine del finanziamento statale perché lascia ogni istituto alla mercé del
mercato e costretto a ricercarsi da sé i fondi, dai tagli all’istruzione pubblica e anche dai
tagli agli enti locali, che do-
vrebbero occuparsi della manutenzione delle scuole. Tutto
mentre si continuano a far piovere soldi per salvare le banche, pagare le spese militari e,
ancora più grave, finanziare le
scuole private mentre quelle
pubbliche restano al gelo.
Le studentesse e gli studenti hanno tutto il diritto di continuare la loro lotta attraverso il
blocco della didattica, le manifestazioni, i picchetti e ogni altro metodo di lotta ritengano
opportuno per rivendicare i dovuti lavori per rendere pienamente funzionanti gli impianti
di riscaldamento.
Al contempo l’ennesima e
gravissima conseguenza dello sfacelo della scuola pubblica dimostra che è più che urgente dare vita a una grande
mobilitazione per conquistare la scuola pubblica, unitaria,
gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti. Cominciando col costruire un governo alternativo delle scuole
per controbattere colpo su colpo ai provvedimenti delle autorità scolastiche, elaborare
proprie proposte da imporre
con la mobilitazione, e lottare
per conquistare gradualmente
il diritto di autogestire i servizi
scolastici.
tragedia di rigopiano / il bolscevico 5
N. 5 - 9 febbraio 2017
L’allarme degli esperti non ne impedì l’ampliamento
Le istituzioni sapevano che l’hotel
Rigopiano era a rischio valanghe
Condannare i governanti, gli amministratori e tutti i responsabili del disastro e dei 29 morti
Nonostante
dall’Ordine
dei Geologi della Regione
Abruzzo, all’indomani della
sciagura, sia arrivato l’invito
a non rilasciare dichiarazioni prima di poter effettuare
riscontri sul sito libero dalla
neve, due geologi diffusero
immediatamente le loro ricostruzioni sulla valanga che
ha sepolto l’hotel Rigopiano.
Secondo i due esperti, con
alle spalle 35 anni di studi, e
una vita spesa in montagna,
il rischio in quel luogo era fin
troppo evidente poiché l’hotel era sito “Alla base di un
canalone alto 1.000 metri,
con due grandi nicchie di distacco evidenti anche a un
giovane osservatore”. Non si
doveva costruire nulla dunque, specie un hotel a 4 stelle. “È una questione di rischio. In una scala da 1 a 10
il rischio per me era 9. Punto”, ha dichiarato Paolo Monaco. “La baita raffigurata da
qualcuno in foto antiche negli anni 20, poi 50 e 70 veniva usata raramente dal Cai
e da poche persone esperte. Non certo per turismo di
massa”.
ricolosità dell’area era ben
nota e, conseguentemente,
la strage praticamente annunciata.
La Commissione
e l’ampliamento
nonostante i pareri
degli esperti
Secondo i verbali della
Commissione valanghe del
comune di Farindola, istituita nel 1999 e per qualche
plurimo, il nome del resort
Rigopiano non appare. Infatti il vecchio alberghetto estivo viene comprato, ristrutturato e ampliato, generando il
resort oggi sepolto dalla valanga, tra il 2006 e il 2007
proprio quando il Comune ritenne con decisione incomprensibile di disfarsi dello
“strumento” Commissione.
Nelle carte si trovano decine di elementi già raccolti e
ben evidenziati, che avrebbero dovuto mettere in guar-
senza di neve. L’ultimo verbale della commissione è
datato 24 febbraio 2005, e
in quell’occasione, contrariamente alla posizione della
Provincia del marzo 2003, si
dice: “La volontà politica del
Comune di Farindola è quella di tenere sgombera dalla
neve la provinciale fino alla
località Fonte Vetica, al fine
di non precludere le attività legate al turismo invernale nella zona”. Fonte Vetica
ospita un rifugio e si trova sul
Terremoto
e valanghe
A lungo si è cercato di correlare la valanga alle scosse
sismiche di alto impatto rilevate nei giorni precedenti in regione, con l’intento di
attribuire la sciagura al solo
intrecciarsi di condizioni atmosferiche particolarmente
ed eccezionalmente avverse; tuttavia secondo molti
esperti, a svariate ore di ritardo è scientificamente impossibile che un terremoto
possa innescare una valanga. Per altri invece sarebbe possibile ma nessuno ha
evidenziato un collegamento stretto e certo in questo
caso. La cosa invece certa
è che nevichi a gennaio in
un territorio prevalentemente montuoso come l’Abruzzo, come è altrettanto chiaro
che le slavine rientrano nella
“normalità” di grandi nevicate, e le grandi nevicate Appenniniche non sono un fatto nuovo. Oggi tutto ciò che
accade, in particolare a carattere meteorologico, viene definito “emergenza” e
con ciò si vorrebbe attribuire
tutta la responsabilità delle
conseguenti sciagure al fato,
ad avvenimenti straordinari ed incontrollabili. Ma in realtà, quanto si fa a carattere
preventivo, in termini di strutture e sicurezza, affinché siano ridotti al minimo gli impatti e le conseguenze sulla
popolazione?
Nel caso dell’hotel Rigopiano ben poco si è fatto in
tanti anni e, oltre alle dichiarazioni dei due geologi, c’è
molto di più a supportare i
dubbi secondo i quali la pe-
I soccorsi al lavoro sulla valanga di neve che ha seppellito quello che resta dell’hotel di Rigopiano
“oscuro” mistero sciolta nel
2005, appare chiaro che il
resort di lusso è stato costruito su un versante montano conosciuto per essere
“soggetto a slavine” e collegato da una viabilità provinciale che d’inverno è sempre
stata più chiusa che aperta.
Ecco cosa scriveva la guida alpina Pasquale Iannetti,
appena nominato consulente della neonata commissione: “La zona (Rigopiano,
ndr) deve essere tenuta sotto stretto controllo”. Era il 18
marzo 1999. “Vero è che si
ha memoria di un fenomeno
rilevante risalente al 1959,
ciò non deve essere considerato un fatto che non si
possa ripetere”. Ed ancora:
“Con questi dati la Commissione valanghe potrà fornire
indicazioni certe affinché per
il futuro si possa garantire la
sicurezza delle infrastrutture alberghiere, delle strade
e dei parcheggi di Rigopiano
(…) In merito alla possibilità
di caduta di masse nevose,
slavine o valanghe nell’area
di Rigopiano, non vi è dubbio
che sia il piazzale antistante il rifugio Acerbo (a poche
decine di metri dall’albergo,
ndr), che la strada provinciale che porta a Vado di Sole,
possano essere interessate da caduta di masse nevose o valanghe”. Nelle carte
della Commissione acquisite dalla procura di Pescara
che ora indaga per disastro
colposo e omicidio colposo
dia sia chi voleva costruire,
sia chi doveva autorizzare
l’ampliamento. Verbale del
11 marzo 1999: “La montagna di Farindola risulta soggetta a valanghe, pertanto al
fine di garantire la pubblica
e privata incolumità la Provincia di Pescara ha ritenuto di chiudere la strada d’accesso alla località Vado di
Sole da Rigopiano”. Verbale del 12 marzo 1999: “Si è
ritenuto opportuno di tenere
sotto controllo la zona di Valle Bruciata, il piazzale di sosta Rigopiano (...) mediante controlli quotidiani a vista
nelle ore più calde, se si notassero distacchi e principi di
scivolamento si potrà prendere tempestivamente precauzioni a garanzia di eventuali calamità”. Verbale del 4
marzo 2003: “La Provincia
ha ritenuto di non provvedere allo sgombero della neve
tra Vado di Sole a Rigopiano in modo da non consentire il transito, per garantire
l’incolumità pubblica e privata”. Ancora nel febbraio
2003 la commissione sottopose il caso alla Scuola di
Montagna abruzzese. “Il rischio valanghe su entrambi i versanti risulta di livello
4, con condizione di pericolo
forte, per cui sono da aspettarsi valanghe spontanee di
medie dimensioni ed anche
singole grandi”. In Commissione e a livello istituzionale
locale, dunque, è nota a tutti
la pericolosità del sito in pre-
versante opposto di quello
dove si trova l’hotel Rigopiano ed ha anch’esso difficoltà
d’accesso. Dall’inverno del
2005 in poi, della Commissione valanghe di Farindola si perde ogni traccia. Per
dieci anni di fila la Prefettura
di Pescara ha ribadito ai sindaci la necessità di ricostituirla, ogni volta che ha dovuto
trasmettere un bollettino Meteomont di rischio 4 (su scala 5), sempre senza esito. Lo
fa ancora il 10 marzo 2015,
con una lettera firmata dalla
vice prefetto Ida De Cesaris:
“Si prega di valutare l’eventuale attivazione della Commissione, prevista dalla legge regionale del 1992”.
Il processo per
corruzione. Coinvolti
e poi assolti vari
esponenti del PD
Nella storia dell’albergo di
Farindola, struttura nata nel
1972 e completamente ristrutturata e dotata di tutti i
confort nel 2007, non manca
niente; report ignorati, commissioni insabbiate e anche
un processo per corruzione
e abusivismo edilizio che vedeva coinvolti esponenti del
Partito Democratico. La vicenda inizia nel 2008 quando l’amministrazione comunale attraverso una delibera
procede a “sanare” una presunta occupazione di suolo
pubblico. La Procura di Pe-
scara ipotizza che ciò sia avvenuto in cambio di denaro e
posti di lavoro. La struttura,
un tempo casolare adibito a
rifugio, s’avviava a diventare un quattro stelle. Finirono
sotto processo sette persone tra cui il sindaco di Farindola dell’epoca Massimiliano Giancaterino e il suo
successore Antonello De
Vico oltre a due ex assessori, Ezio Marzola e Walter Colangeli, e all’ex consigliere
Andrea Fusaro. Secondo l’ipotesi del Pm, i politici Giancaterino e De Vico avrebbero approvato la delibera in
cambio di “promessa di un
versamento di denaro destinato al finanziamento del
partito”, il PD. Consiglieri e
assessori avrebbero invece
acconsentito al via libera in
cambio di “assunzioni preferenziali per i propri protetti”. In primo grado lo scorso
novembre gli imputati sono
stati assolti perché “il fatto
non sussiste”, poi è arrivata
come manna dal cielo la prescrizione che impedirà il processo d’appello.
Le responsabilità
di amministratori
comunali e della
Regione
Quanto emerge mette dunque spalle al muro
gli amministratori locali. Ma
non sono soli perché gravi
responsabilità ricadono sulla Regione Abruzzo: nei fatti
l’esistenza di una mappa conoscitiva del territorio non si
è tradotta, proprio per omissione della Regione stessa
prolungatasi per 25 anni, in
una mappa del rischio valanghe prevista dalla legge 4
del 1992. Questa legge prevede infatti per le aree a rischio, accertate o potenziali,
l’inedificabilità di nuovi edifici e il divieto di uso invernale
per le strutture esistenti. Pur
mancante il Piano Valanghe,
in ogni caso nel percorso di
ristrutturazione dell’hotel si
doveva evidenziare il contesto di rischio e agire di conseguenza bloccando tutto, come prevede il Decreto
11/03/1988.
Accertare e
perseguire i
responsabili
Noi ci auguriamo innanzitutto che tali responsabilità,
sostanziali quanto evidenti,
vengano accertate e gli artefici perseguiti ed adeguatamente puniti per i 29 morti
di Rigopiano. In ultima analisi, oltre alla vicenda giudiziaria, pensiamo che sia indispensabile fare adeguata
prevenzione ambientale conoscendo a fondo il territorio
nel quale viviamo ed i suoi
rischi: alluvioni, frane e anche valanghe sono la logica
conseguenza di decenni di
cementificazioni, di aggressione indiscriminata al territorio ed abusivismo. Ad uccidere, quasi sempre, non
è la sedicente “natura killer”
ma la criminale indifferenza ai possibili rischi da parte
di potenti e costruttori mossi unicamente dalla ricerca
del profitto e del potere e da
sempre abituati ad agire con
dinamiche oscure, di corruzione, clientelari o di comodo. Oggi tutti noi, e nello specifico i 29 morti del resort,
paghiamo semplicemente
il conto dell’incoscienza sociale del capitalismo. Teniamo dunque a mente le seguenti parole di Engels: “Ad
ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo
la natura come un conquistatore domina un popolo
straniero soggiogato, che
non la dominiamo come
chi è estraneo ad essa,
ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e
cervello e viviamo nel suo
grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci
eleva al di sopra delle altre
creature, di conoscere le
sue leggi e di impiegarle in
modo appropriato”1. Troppo spesso piangiamo vittime
causate dalla speculazione,
nelle grandi come nelle piccole opere; in particolare negli ultimi mesi nell’Italia centrale, a causa della mancata
messa in sicurezza o per
l’incauta costruzione di edifici in aree inadeguate, nonostante le storiche caratteristiche territoriali di certi siti.
Le stesse costruzioni, come
Rigopiano, sono state volute a tutti i costi da imprenditori e dalla politica locale, e
celebrate come successi per
le comunità, nascondendo
i profitti dietro l’opportunità
occupazionale che rivestivano. Sempre attuale è ancora
una volta Engels che a fine
ottocento scriveva: “Non
aduliamoci troppo tuttavia
per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria
ha infatti, in prima istanza,
le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e
terza istanza ha effetti del
tutto diversi, impreveduti,
che troppo spesso annullano a loro volta le prime
conseguenze”2.
NOTE
1.cit. dal 1873 al 1883 ed alcune integrazioni furono redatte
nel 1885 – 1886. Opere Complete Marx – Engels, Editori
Riuniti, vol. XXV, p.468.
2.cit.dal 1873 al 1883 ed alcune integrazioni furono redatte nel 1885 – 1886 - Dialettica
della natura, Edizioni Rinascita 1950, p.216.
6 il bolscevico / interni
N. 5 - 9 febbraio 2017
Raggi indagata per falso e abuso
Grillo esalta il fascista Trump e imbroglia i suoi parlamentari
Inquisito anche il candidato sindaco M5S a Palermo
Il 24 gennaio Virginia Raggi ha ricevuto ufficialmente
dalla procura di Roma il temuto avviso di iscrizione nel registro degli indagati per il caso
della nomina di Renato Marra, fratello del suo ex capo di
gabinetto e capo del personale del Comune di Roma, Raffaele Marra, finito agli arresti
per corruzione insieme al costruttore romano Sergio Scarpellini. Un avviso “annunciato” da tempo ma più grave
del previsto, in quanto al reato di abuso d’ufficio dato da
tutti per scontato i pm titolari dell’inchiesta, Paolo Ielo e
Francesco Dall’Olio, hanno
aggiunto per la sindaca quello
ancor più politicamente imbarazzante di falso in atto pubblico.
La vicenda prende le mosse da una precedente inchiesta sulle nomine in Campidoglio, che inizialmente
riguardava solo l’incarico di
capo della segreteria a Salvatore Romeo, ma nella quale è poi confluita anche una
segnalazione dell’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone sul conflitto di interessi
ravvisato nella nomina di Renato Marra, già graduato della
polizia municipale, a responsabile del dipartimento Turismo del Comune con un aumento di stipendio di 20 mila
euro lordi l’anno. Alla segnalazione dell’Anac, che avanzava il sospetto di un intervento
del fratello Raffaele nella suddetta nomina, la Raggi, pur
provvedendo a rimuovere l’ex
vigile dal nuovo incarico, aveva assicurato al Responsabile anticorruzione del Comune
che la nomina di Renato Marra era stata decisa solo da lei,
escludendo tassativamente
qualsiasi coinvolgimento del
capo del personale.
Da qui l’accusa di falso in
atto pubblico, in quanto gli
inquirenti sostengono invece che Raffaele Marra era
intervenuto attivamente nella promozione del fratello, e
che la Raggi ne era perfettamente a conoscenza, cioè
avrebbe mentito all’Anticorruzione (nonché ai giornalisti e
allo stesso Movimento 5 Stelle, ndr). Accusa che si va ad
aggiungere all’abuso d’ufficio
(contestato contemporaneamente anche a Raffaele Marra), per non aver proceduto
come d’obbligo a selezionare i candidati a quella carica
in base ai rispettivi curricula.
“Così la stampa mi
massacra”
Le contestazioni dei pm si
basano su una serie di intercettazioni ambientali dei carabinieri e su alcuni messaggi
rinvenuti nel telefonino di Raffaele Marra, dai quali risulta
chiaramente non soltanto l’interessamento attivo del capo
del personale per spingere il
fratello a farsi avanti per chiedere la nomina a capo del dipartimento del Turismo, per il
quale si era “liberato il posto”,
ma anche le rimostranze della
Raggi a Marra per non averla
informata del tutto sui risvolti e sulle conseguenze della promozione del fratello. In
particolare i magistrati sono
in possesso di una chat di Telegram denominata “Quattro
amici al bar”, a cui partecipavano la Raggi, il suo ex capo
della segreteria, Romeo, l’ex
vicesindaco Daniele Frongia
(ora sostituito dall’ex veltroniano Luca Bergamo) e Raffaele Marra, nella quale in un
caso la sindaca chiede a Marra rassicurazioni sugli aspetti
legali della nomina del fratello, e in un altro lo rimprovera
di non averle detto che avrebbe avuto uno scatto di stipendio di 20 mila euro: “Così mi
metti in difficoltà”, si sarebbe
lamentata la Raggi, aggiungendo che “la stampa mi sta
massacrando”. Agli atti della
procura c’è anche una email,
inviata in copia alla Raggi, in
cui l’assessore Meloni ringraziava Raffaele Marra di avergli suggerito la nomina del
fratello al dipartimento del Turismo.
Insomma, non soltanto la
Raggi ha difeso contro tutto
e contro tutti e fino all’ultimo il
suo ex capo di Gabinetto, già
fiduciario del fascista Alemanno nella sua giunta supercorrotta, decidendosi a scaricarlo
solo quando è stato arrestato
per essersi messo “a disposizione” dell’imprenditore Scarpellini che gli aveva pagato l’acquisto di una casa; ma
è arrivata addirittura a coprire con una menzogna un suo
abuso commesso in evidente
conflitto d’interessi.
Che cosa la legava così
forte a Marra da finire nei guai
per averlo tenuto a tutti i costi
al centro del suo “raggio magico”? Una parziale risposta
può venire forse anche dalla
deposizione in procura di Roberta Lombardi, l’acerrima rivale della Raggi che ora si
vanta di avere avuto ragione
nel mettere in guardia il M5S
dagli intrighi della sindaca, e
che ha riferito le rivelazioni di
un “collaboratore del movimento” secondo il quale dietro il documento che nel 2015
servì a screditare il rivale della Raggi alla candidatura alla
guida del Campidoglio, Mar-
cello De Vito (ora presidente
dell’Assemblea capitolina), ci
sarebbe stato anche Raffaele Marra. Il che confermerebbe che dietro la vittoria della Raggi alle “comunarie” del
M5S romano c’era la destra
romana, e che quindi è alla
destra romana che la sindaca è debitrice. Da cui l’accanimento quasi suicida nella difesa di Marra.
Grillo blinda la
Raggi e minaccia i
“malpancisti”
A questo punto ci sarebbero tutte le condizioni per
l’“autosospensione”
della
Raggi a norma di regolamento M5S e la sua sostituzione
con il suo vice Bergamo. Ma
Grillo, che già aveva disinnescato per tempo la mina cambiando in corsa il regolamento
stesso rendendo non più obbligatorie le sanzioni in caso
di avviso di reato, la difende a
spada tratta dettando la linea:
“Raggi ha adempiuto ai doveri
indicati dal nostro codice etico (avvisandolo del ricevuto
avviso della procura, ndr), lei
è serena e io non posso che
esserle vicino in un momento
che umanamente capisco essere molto difficile”. In realtà
il suo obiettivo inconfessato è
quello di tenerla in piedi almeno fino a “scavallare” le possibili elezioni politiche di primavera, che la sentenza della
Consulta ha avvicinato.
A tale scopo il padre padrone del M5S ha stretto di un altro giro la mordacchia a parlamentari e amministratori, in
particolare a quelli delle rissose fazioni romane sempre
in guerra tra loro, ma anche
a quei parlamentari che sem-
plicemente criticano la sindaca per aver portato al disastro
in pochi mesi la più importante esperienza di governo del
movimento: “Il programma
per le elezioni non sarà definito dai parlamentari ma dagli
iscritti, chi non sarà d’accordo
con questo programma potrà perseguire il suo in un’altra forza politica”, ha scritto
infatti in un post dal tono minaccioso. Quanto alle interviste e dichiarazioni personali,
ha avvertito Grillo, tutte vanno “concordate coi responsabili della comunicazione”, e
“chi danneggia l’immagine del
M5S può incorrere in richiami
e sospensioni. Non si fanno
sconti a nessuno”.
L’avvertimento era rivolto
in particolare a Roberto Fico,
principale rivale del “premier
in pectore” Luigi Di Maio, e
che poco prima aveva osato
criticare il capo per la sua sortita in favore di Trump e Putin:
“La politica internazionale ha
bisogno di uomini forti come
Trump e Putin, li considero un
beneficio dell’umanità. Due
giganti come loro che si parlano è il sogno di tutto il mondo”, aveva farneticato infatti
Grillo in un’intervista al settimanale francese “Le Journal
de Dimanche”. Anzi, per lui
il fascista Trump “sembra un
moderato e i media hanno deformato il suo punto di vista”.
Da parte sua Fico, in un’intervista a “la Repubblica”, in riferimento anche alle voci di
possibili trattative tra Casaleggio e la Lega per eventuali intese elettorali, aveva commentato: “Dio ce ne scampi
da Trump e Salvini”. Aggiungendo che “sull’immigrazione varrà il programma votato
dagli iscritti, non c’è post che
tenga”.
Sempre più dissidenti
e indagati
Ormai Grillo è sempre più
costretto a ricorrere alle sanzioni e alle minacce per tenere insieme il movimento che
considera di sua proprietà e
intende governare come un
monarca. Dopo la sua sortita sfacciatamente di destra,
proprio nella sua Genova tre
consiglieri comunali, già in
dissenso per la figuraccia al
parlamento europeo e sulla
mordacchia alle dichiarazioni, hanno abbandonato il M5S
per protesta alle sue dichiarazioni su Trump. E non è che
in altre città le cose vadano
molto meglio che a Roma: anche a Torino la giunta Appendino sta diventando sempre
più bersaglio dei movimenti
e dei centri sociali che l’avevano appoggiata e che ora si
dicono delusi della sua politica, in particolare per il via libera alla costruzione di supermercati e centri commerciali e
per le mancate promesse sulla moratoria agli sfratti.
Per non parlare della faida che continua a dilaniare il
M5S a Palermo, sempre più
invischiato nello scandalo delle firme false e adesso alle
prese con l’iscrizione nel registro degli indagati per “induzione a rendere dichiarazioni
mendaci” di un altro suo illustre rappresentante: Ugo Forello, avvocato fondatore del
movimento “Addiopizzo” e
oggi nientemeno che candidato del M5S a sindaco del
capoluogo siciliano. Secondo
i parlamentari indagati per lo
scandalo, avrebbe “pilotato” le
dichiarazioni della supertestimone Claudia La Rocca a loro
danno, millantando rapporti
privilegiati con la procura.
Scuole a rischio sismico:
scioperano gli studenti a L’Aquila
Nelle scorse settimane
le studentesse e gli studenti dell’istituto Cotugno de L’Aquila, che comprende gli indirizzi umanistici raccogliendo
circa 1.200 alunni, hanno
dato vita ad un importante
sciopero rifiutandosi di rientrare in classe dopo che le
scosse del 18 gennaio hanno
riportato in strada gli abitanti
della città che ancora si lecca
le ferite del terribile terremoto
dell’aprile 2009.
Gli studenti, che hanno
picchettato gli ingressi della scuola con striscioni e cartelli anche ironici come “Co-
tugno in lotta”, “Verità per il
Cotugno”, “Sicuri da morire”,
“L’istituto può crollare in ogni
minuto”, rivendicavano interventi immediati per mettere in sicurezza il luogo dove
trascorrono buona parte della
propria giornata e che letteralmente rischierebbe di crollar-
La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta e di propaganda,
assieme a quello delle fabbriche,
dei campi, delle scuole e
delle università.
STARE
IN PIAZZA
Frequentiamola
il più possibile per diffondere i messaggi del
Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte
e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più a esse.
gli in testa, se non verranno
prese le dovute misure.
Allo sciopero hanno aderito
diversi insegnanti, che hanno
preso parte alla contestazione per appoggiare le legittime
rivendicazioni degli studenti.
“Siamo compatti”, assicurano i rappresentanti degli studenti e dei docenti. Persino la
preside ha scritto una lettera
al sindaco della città, Massimo Cialente (PD), per chiedere la chiusura dell’edificio
perché “non è idoneo a sopportare i carichi verticali che
attualmente insistono sulla
struttura”.
Nessun appoggio, invece,
dalla provincia, cui spetterebbero gli interventi d’edilizia richiesti. Anzi, per il presidente
Antonio De Crescentiis (PD),
la scuola “non è a rischio crollo”. Peccato che i genitori del
Cotugno siano riusciti, attraverso un accesso agli atti,
ad entrare in possesso dello
studio di vulnerabilità sismica dell’istituto, che attesta un
indice di vulnerabilità sismica dello 0,26%, ben inferiore
all’1%, considerato in sicurez-
L’aquila, gli studenti dell’Istituto Cotugno in lotta
za. Una negligenza che non
può non evocare l’incubo della Casa dello studente crollata il 6 aprile del 2009 uccidendo otto ragazzi.
Questo importante sciopero si somma alle proteste
delle scorse settimane in tutta Italia per chiedere interventi immediati contro le scuole rimaste al freddo e al gelo
per via di impianti di riscaldamento guasti, malfunzionanti o semplicemente inesisten-
ti. Questa è la via giusta per
rivendicare ciò che spetta di
diritto alle studentesse e agli
studenti della scuola pubblica, a partire dall’edilizia per
mettere in sicurezza i locali! Per mettere in sicurezza le
scuole della provincia de L’Aquila servirebbero 9 milioni,
ma il governo Gentiloni con
la neo-ministro Valeria Fedeli
non interviene. Anzi, procede
a tambur battente con l’attuazione della “Buona scuola”.
corruzione / il bolscevico 7
N. 5 - 9 febbraio 2017
A cena a Montecitorio con l’ex presidente della Camera Fini
Arrestato Corallo, il re delle slot machine
C’è di mezzo la casa venduta alla moglie
di Fini indagata per riciclaggio
In carcere anche Laboccetta, ex parlamentare Pdl
Con l’accusa di “associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie di
reati di peculato (cioè furto di
denaro pubblico), riciclaggio e
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”, il 13
dicembre è finito in manette il
boss degli imprenditori catanesi, Francesco Corallo, divenuto il re del gioco d’azzardo
legalizzato grazie alla concessione statale.
Corallo è stato acciuffato
dalla polizia olandese nell’isola
caraibica di Saint Marteen ed è
inquisito dalla Procura di Roma
come capo di un’associazione
per delinquere dedita al riciclaggio di denaro sottratto al
fisco. Si parla di oltre 250 milioni di euro che il suo gruppo
Atlantis-Bplus (di recente ribattezzato Global Starnet) avrebbe dovuto garantire allo Stato
italiano, per pagare le tasse sui
profitti delle sue macchinette
mangiasoldi e rovina famiglie
(slot e vlt).
Secondo le indagini del reparto antimafia della Guardia
di Finanza, i soldi guadagnati
in Italia col gioco d’azzardo
sono stati occultati in una rete
di società caraibiche offshore controllate dai più stretti
collaboratori di Corallo a cominciare dal fascista Amedeo
Laboccetta,
rappresentante
per l’Italia del gruppo di Corallo dal 2004 al 2008, nonché
parlamentare prima di An e poi
di Forza Italia fino al 2013, già
indagato per favoreggiamento
a Milano e tuttora tra i dirigenti di Forza Italia in Campania;
Rudolf Baetsen, il suo braccio
destro ai Caraibi; Alessandro
La Monica, manager per l’Italia dal 2008 al 2013, e Arturo
Vespignani, dirigente in carica
fino al luglio 2014. Tutti arrestati su ordine del Gip Simonetta
d’Alessandro.
Secondo l’accusa almeno
85 milioni di euro sono stati
sottratti al fisco italiano fino al
2007, mentre altri 150 milioni
sono spariti fino al 2014 dalle
casse nazionali della società
Atlantis-Bplus, che da oltre
un decennio ha la concessione statale a gestire il business
miliardario del gioco d’azzardo
legalizzato.
Gli intrallazzi
di Fini e famiglia
La maxinchiesta della Procura di Roma, coordinata dal
procuratore aggiunto Michele Prestipino e dal sostituto
Barbara Sargenti, è partita nel
2004, e ha coinvolto anche
Elisabetta, Sergio e Giancarlo
Tulliani, rispettivamente compagna, suocero e cognato
dell’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini. I tre sono
indagati per il reato di riciclaggio nell’ambito delle indagini che ora sembrano gettare
nuova luce anche sulla torbida
vicenda della compravendita
di un appartamento a Montecarlo che coinvolse lo stesso
Fini nel 2010.
Dalle carte risulta che l’immobile di Alleanza nazionale
fu comprato da Sergio e Giancarlo Tulliani, il suocero e il
cognato dell’allora presidente
della Camera ed ex boss di An,
proprio con i soldi del re delle
slot Corallo.
La vicenda inizia nel 2008
quando l’immobile di boulevard Princesse Charlotte, 14,
di proprietà del partito Alleanza Nazionale (lo aveva ricevuto
come donazione) viene venduto alla offshore Printemps,
società che – si legge nell’ordinanza – è “riconducibile
a Giancarlo Tulliani, che ha
abitato nell’appartamento in
questione e ha lì trasferito la
sua residenza il primo gennaio
2009. Tulliani, del resto, risulta iscritto all’Aire-Ambasciata
d’Italia Monaco, proprio dal
primo gennaio 2009, con l’indirizzo “BD Princesse Charlotte 14 – Montecarlo (Principato
di Monaco)”. Pochi mesi dopo,
l’immobile viene nuovamente
venduto, dalla Printemps alla
società caraibica Timara: “Il
prezzo di quest’ultima compravendita veniva fissato in
€ 330.000,00 (€ 330.000,00
e costi di € 30.100,00), vale a
dire proprio la cifra bonificata
dal conto caraibico di Corallo”.
Già anni fa la procura di Roma
aveva indagato sul prezzo della vendita tra An e e Printemps,
archiviando il fascicolo. In questa vecchia indagine c’è anche
una nota dell’allora Ministro
degli Affari Esteri Franco Frattini, indirizzata al Procuratore
di Roma, “con la quale veniva
trasmessa una missiva del Primo Ministro di Saint Lucia (EE)
King Stephenson, datata 2010,
nella quale, il Primo Ministro
affermava che Tulliani Giancarlo era il titolare effettivo delle
società Printemps Ltd, Timara
Ltd e Jaman Directors Ltd”.
La stessa lettera poi è stata
ritrovata nell’ufficio di Corallo
nella sede dell’Atlantis Casino,
in Sint. Maarten, durante una
perquisizione.
I Tulliani secondo l’accusa hanno aiutato Corallo a far
sparire circa quattro milioni di
dollari, mettendo a disposizione del re delle slot i propri
conti segreti. Su un deposito
estero di Sergio Tulliani, in particolare, sono arrivati 3 milioni
e 599 mila dollari nel novembre
2009; mentre Giancarlo Tulliani nel luglio dello stesso anno
ha incassato a Montecarlo un
bonifico di altri 281 mila dollari.
Tutti fondi usciti dalla società
italiana, ripuliti nelle offshore
ai Caraibi e quindi rientrati nei
conti dei Tulliani in modo da
nascondere che provenivano
da Corallo.
Sempre con i soldi di Corallo, secondo quanto risulta dagli atti dell’inchiesta, l’ex parlamentare Amedeo Laboccetta
si era pagato anche la campagna elettorale che nel 2008 lo
aveva portato alla Camera sotto la bandiera del Pdl. A documentarlo, tra l’altro, è un prelievo in contanti di 50 mila euro,
trasformati da Laboccetta, il
27 marzo 2008, in un assegno
circolare intestato al tesoriere
della sua campagna elettorale
nel collegio Campania 1.
Secondo il Gip “in concorso tra loro Giancarlo Tulliani
quale titolare del conto corrente estero acceso presso la
Compagnie Monegasque de
Banque S.A. (Monaco), Sergio
Tulliani quale titolare di conto
corrente estero acceso presso Kbc Bank Nv di Bruxelles,
mettevano a disposizione
detti conti per ricevere ingen-
Nell’accordo tra il candidato e i boss locali ogni preferenza costava 50 euro
22 arresti per voto
di scambio in Puglia
Natale Mariella si presentò nel 2015 a sostegno del
governatore PD Emiliano
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano,
è stato sostenuto alle elezioni
regionali del 2015 anche dai
voti della criminalità organizzata pugliese.
È questo che emerge
dall’inchiesta della Procura
della Repubblica di Bari che ha
portato lo scorso 13 dicembre
all’emissione, da parte del Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale del capoluogo
pugliese, dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a
carico di 22 persone.
Le indagini erano partite
nel novembre 2015, dopo le
dichiarazioni rese in carcere
dal pentito della criminalità organizzata pugliese Michele Di
Cosola, che ha parlato di un
accordo messo in piedi da Natale Mariella - candidato non
eletto alle elezioni regionali del
2015 nella lista dei Popolari a
sostegno del governatore Emiliano - d’accordo con le principali organizzazioni criminali
del capoluogo pugliese, che
prevedeva il pagamento di 50
euro, 20 agli elettori e 30 alle
organizzazioni criminali, per
ogni preferenza procurata allo
stesso Mariella.
Il sistema, riferisce il pentito,
mirava a coinvolgere soprattutto elettori più bisognosi, e per
coloro che non collaboravano,
c’erano pesantissime minacce
da parte della malavita, anche
di morte.
Mariella per ora risulta soltanto indagato nella vicenda,
mentre è finito agli arresti il
suo più stretto collaboratore
Armando Giove - con l’accusa di avere fatto da tramite tra
Mariella e il clan malavitoso dei
Di Cosola, che ha visto 21 suoi
affiliati finire in carcere.
Le accuse per i 22 arrestati
sono - a vario titolo - di aver
preso parte ad un’associazione
armata di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso
e coercizione elettorale in con-
corso.
Da un punto di vista politico,
al di là del fatto che Mariella
non sia stato eletto, è gravissimo che il PD Michele Emiliano
abbia accettato senza battere
ciglio e sapendo bene con chi
aveva a che fare (Emiliano, si
ricordi, è un ex pubblico ministero, e sarebbe ingenuo credere che come tale non fosse
bene informato) la collaborazione di persone colluse con il
mondo della malavita comune
come Natale Mariella, che si è
procurato una cospicua parte
dei 5.866 voti che ricevette tramite un accordo con la criminalità organizzata.
ti somme di denaro dal conto
corrente della società Ifps acceso presso la Fcib (First Caribbean International Bank) di
Saint Maarten, riconducibile a
Corallo Francesco, su cui era
delegato ad operare Rudolf
Baetsen, al fine di ostacolarne
l’identificazione della provenienza delittuosa (peculato),
consentendo la realizzazione
del segmento finale del flusso
di denaro tra Italia, Olanda,
Antille Olandesi, Principato di
Monaco, Belgio“. Non solo.
Nelle carte dell’inchiesta si legge anche di un bonifico di 2,4
milioni di euro, con la casuale
“liquidation foreign assets –
decree 78/2009, 2.4M Euro”,
finito nel 2009 a Sergio Tulliani.
Secondo gli inquirenti, il decreto legge del quale si parla fa
riferimento all’articolo 21 del dl
78 del 2009, ovvero quello inerenti al rilascio di concessioni
in materia di giochi.
La provenienza del denaro è spiegato in un altro passaggio dell’ordinanzza del
Gip che precisa: “Dopo che
Joyeusaz Bernardo e Laboccetta Amedeo, tra novembre
2004 e febbraio 2005, trasferivano € 25.238.450,00 (a
fronte di Preu per l’anno 2004
non versato o versato in ritardo per euro 33.937.436,00),
sul conto corrente olandese
nr. 24.23.34.474 intestato alla
società Atlantis World Management N.V. acceso presso la
Fortis Bank Baetsen, nell’anno
2006, trasferiva € 7.540.000 ($
9.555.422,00) sul conto corrente nr. 10040278 intestato
alla società offshore International Financial Planning Services Ltd acceso presso la Fcib
(First Caribbean International
Bank) di Saint Maarten, riconducibile a Corallo Francesco,
nuovamente trasferiti, in parte, (nel 2009) con bonifico di $
281.387,49 a favore di Tulliani
Giancarlo e con bonifico di $
3.599.807,49 a favore di Tulliani Sergio con la specifica “liquidation foreign assets – decree
78/2009, 2.4M Euro”.
Fini e Corallo
a cena a Montecitorio
Nell’interrogatorio di garanzia Laboccetta ha spiegato
che Fini non è affatto l’allocco
che ha voluto far credere, ma
conosceva benissimo Corallo,
tant’è che nel 2004, l’ex boss
di An venne ospitato (insieme
al suo staff) dal re dell’azzardo
nelle Antille olandesi, per una
vacanza all’insegna delle immersioni subacquee; uno degli
hobby prediletti di Fini. Insieme
a lui c’era anche l’allora camerata di partito Laboccetta che
ricorda come il soggiorno fu interamente pagato da Corallo.
Mentre nel 2009, ha detto
ancora ai giudici Laboccetta,
l’allora presidente della Camera organizzò un piccolo
ricevimento per pochi intimi
nella sua stanza a Montecitorio per festeggiare la nascita
della seconda figlia avuta con
Elisabetta Tulliani. In quell’occasione, tra gli invitati, oltre a
Laboccetta, ci sarebbe stato anche Francesco Corallo.
Un’ulteriore dimostrazione che
tra il ricco imprenditore del gioco e la terza carica dello Stato
ci sarebbe stato - sempre a
leggere le parole di Laboccetta - un rapporto più che di
semplice conoscenza. Ma c’è
di più. Sempre a detta di Laboccetta sarebbe stato ancora
l’ex presidente della Camera a
spendere il nome del cognato
per aiutare il “re delle slot” a
realizzare un affare immobiliare
a Roma.
Su questo fronte una svolta
importante è arrivata nel corso di una perquisizione svolta
novembre del 2014 presso una
abitazione di Corallo, in piazza
di Spagna a Roma. In quella
circostanza gli inquirenti misero le mani su un pc dove erano
presenti file che rendicontavano i movimenti finanziari delle
società riconducibili al “Re
delle slot”. Tra le varie voci anche una che portava a Sergio
e Giancarlo Tulliani. Corallo
avrebbe accreditato ai Tulliani,
su un conto corrente estero,
circa 2 milioni e 400mila euro
per una consulenza che gli inquirenti giudicano fasulla. Nel
pc in possesso a Corallo quel
passaggio di denaro è “giustificato” con la dicitura: “liquidazione attività estere – Decreto
78/2009, 2,4 milioni di euro”. Il
decreto in questione è quello
approvato nel 2009 che garantiva ai concessionari dei video
slot la possibilità di accedere,
tramite specifiche garanzie, ai
fondi per l’acquisto e per il collegamento delle slot.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
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murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 1/2/2017
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
8 il bolscevico / interni
N. 5 - 9 febbraio 2017
Sponsorizzata fortissimamente dal governatore Pd della Toscana, Enrico Rossi, e dal sottosegretario socialista, Riccardo Nencini
No e ancora No all’autostrada Tirrenica
Devastazione del territorio, sperpero di soldi pubblici e regalo ai Benetton. Tra Rosignano e Cecina il pedaggio più caro
d’Europa. Adeguare l’Aurelia alla superstrada a 4 corsie, già in funzione tra Grosseto e Rosignano
Nuove autostrade, sprechi di soldi pubblici, danni e
speculazione. Fra gli altri, abbiamo già un calzantissimo
quanto recente esempio: la
BreBeMi, autostrada che collega Brescia a Bergamo e Milano, costruita nel 2009 dal
governo Berlusconi e dal ciellino Formigoni, allora Presidente della Regione Lombardia, con l’avallo della CGIL di
Bergamo. Questa autostrada
a pedaggio è diventata il simbolo delle grandi opere stradali-truffa; per premere con
l’inizio dei lavori, furono fatte circolare dai promotori previsioni di traffico fantasiose
spinte fino ai 60.000 tra auto
e camion al giorno. Nella sostanza oggi il traffico non c’è e
per invogliare gli autisti a prenderla, si è addirittura arrivati
a scontare gli esosi pedaggi,
mentre allo stesso tempo, la
Regione Lombardia, con soldi pubblici, ha tirato fuori centinaia di milioni di euro per evitare il fallimento della società
di gestione confermando lauti
compensi al suo CDA. E pen-
possibile tratto della tirrenica
sare che inizialmente il costo
complessivo, annunciato pari
a 1,6 miliardi di euro, fu dichiarato “interamente a carico dei
privati”, col cosiddetto project
financing. Una truffa. Per l’autostrada Tirrenica gli studi ufficiali sul tratto Tarquinia –
Grosseto, parlano chiaro. In
un report della società inglese Steer Davies Gleave, sia le
previsioni di breve termine, sia
quelle di medie e lungo, evidenziano come da qui al 2040
si giungerebbe al massimo a
un traffico di circa 15.000 veicoli al giorno, dei quali solo
un decimo di mezzi pesanti.
Quantomeno, per provare a
giustificare un’opera comunque dannosa, ne servirebbero
il doppio, e invece sono appena un quarto di quelli vagheggiati nel 2009 per la fallimentare bretella lombarda.
Gli affari del Gruppo
Benetton
Il grande Gruppo Benetton, già proprietario di Sat –
Società Autostrada Tirrenica,
per un miliardo e 400 milioni
di euro dovrebbe costruire i
90 chilometri della nuova arteria maremmana da Tarquinia a Grosseto; da Grosseto a
Rosignano invece, l’auspicata speculazione autostradale
è per ora tramontata e rimarrà in funzione l’attuale superstrada non a pagamento. La
concessione che Sat otterrà nel malaugurato caso l’autostrada si faccia, durerà per
ben 26 anni, fino al 2043. Secondo alcuni esperti, considerato lo scarso traffico ed
ipotizzando pedaggi appena
superiori ai medi attuali delle tratte limitrofe, questa opera sarebbe più una grana che
un affare per chi se l’accollerà; ma come la mettiamo se
il costruttore e gestore fosse,
come in questo caso gestore
anche di altri 3.000 chilometri
di rete autostradale del Paese? Gli sarebbe sufficiente introdurre un generale aumento dei pedaggi, come peraltro
accade già oggi puntualmente di anno in anno, per coprire
le perdite del tratto, generando invece ulteriori utili. Il tratto di autostrada già esistente
da Collesalvetti a Rosignano
e ancor più quello tra Rosignano e Cecina Nord hanno
invece il grande privilegio di
essere i più cari d’Europa, nel
rapporto costo/chilometro.
I danni ambientali
ed economici alle
popolazioni dei
comuni coinvolti
Secondo Sat, il pedaggio
da Fonteblanda a Grosseto,
andata e ritorno si aggirerebbe tra gli 8 e i 10 euro. Agli
abitanti dei comuni coinvolti, sarebbero concessi appena 5 anni di esenzione con la
sola promessa di rivedere in
seguito gli accordi. Secondo i
comuni e i comitati, una proposta inaccettabile. La questione pedaggio è un susseguirsi di contraddizioni: se
per arrivare a Grosseto non si
paga, per attraversare i tre comuni maremmani di Magliano,
Orbetello e Capalbio, si dovrà
mettere mano al portafoglio.
Un punto cruciale da affrontare è dunque quello della viabilità alternativa, che dovrà
consentire ai residenti di spostarsi gratuitamente e ai turisti
di poter circolare senza avere
sulla testa la spada di Damocle di una vera e propria gabella. Nonostante lo si ignori, esiste infatti una normativa
europea che non consente la
concessione di agevolazioni alle stesse classi di utenti
– in questo caso automobilisti – a prescindere dalla località di residenza; altro principio
desumibile dalla sentenza di
cassazione 116/2007 (sezioni
unite), spiega che non si può
esigere un pedaggio per un
servizio di pubblica utilità se
non esiste un servizio sostitutivo gratuito, poiché già pagato con la fiscalità generale,
strade comprese. Riassumendo, a nord di Grosseto ci sarà
una superstrada ulteriormente ammodernata senza alcun
pedaggio e con arterie idonee
per supportare il traffico locale all’interno dei territori; il tratto a pagamento che vogliono
Regione e governo sarà invece proprio nei comuni con
maggiori difficoltà di inserimento e dove viene arrecato
maggior danno alle economie,
all’ambiente ed a tutta la popolazione. Da un punto di vista strettamente ambientale,
sono previsti viadotti e gallerie per attraversare il sud della
Maremma. Il nuovo tratto dovrebbe snodarsi tra la Laguna di Orbetello e la Valle d’oro
di Capalbio, tanto ricca di reperti archeologici: proprio per
le caratteristiche paesaggistiche del territorio, questo tratto era rimasto fra i pochi a non
avere ancora ufficialmente un
progetto definitivo. Tutto ciò
senza dimenticare il dissesto
idrogeologico che interesserà
le falde acquifere, catastrofico
quanto onnipresente in pressoché tutte le grandi opere.
No all’autostrada,
sì all’adeguamento
della superstrada
a 4 corsie
Appurato quanto sopra,
perché allora non adeguare
con una spesa enormemente più contenuta, l’Aurelia in
una superstrada a 4 corsie
senza incroci e caselli, naturalmente senza pedaggio,
incentivando quindi anche il
carattere turistico dell’area e
risparmiando l’ambiente ed
il paesaggio, vera ricchezza dell’area? In questo momento, nonostante le mille
ragioni per seppellire l’ipotesi, non ultima la posizione
contraria dei sindaci dei comuni interessati e dei comitati, è in corso la VIA, valutazione di impatto ambientale,
l’ultimo passo prima dell’effettiva apertura dei cantieri. Pare inspiegabile, se non
si conoscesse a fondo di chi
stiamo parlando, il fatto che
l’insistenza sull’opera provenga direttamente e praticamente in maniera prevalente
dal Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi,
candidato anche per la segreteria del PD, e Riccardo
Nencini, socialista e sottosegretario alle infrastrutture ed
ai trasporti, grande promotore da sempre di opere inutili e dispendiose per le casse
pubbliche,su tutte la TAV. Noi
marxisti-leninisti siamo certi che quest’opera non sia un
avanzamento delle condizioni materiali di vita del proletariato e delle masse toscane
ma, al contrario, contribuirà al
peggioramento delle stesse;
oltre alla questione ambientale e sui pedaggi, pare scontato che in un cantiere così
esteso si aprirà un nuovo terreno fertile per la corruzione
e lo smistamento di appalti –
come peraltro accertato dalla
magistratura circa l’aggiudicazione di lavori sulla BreBeMI nella quale entrò in ballo
anche la Lega Cooperative di
Penati - , così come fioriranno i subappalti aumentando i
pericoli e lo sfruttamento per i
lavoratori in dinamiche ormai
senza controllo.
Per turbativa d’asta
Salone del libro a Torino: 4 arresti,
indagato l’ex assessore di Fassino
Quattro persone sono state
arrestate il 12 luglio scorso dai
carabinieri della procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta
sul Salone del libro.
Tra gli indagati c’è anche
l’ex assessore alla Cultura
della giunta Fassino, Maurizio
Braccialarghe, che ha subito
una perquisizione e che condivide con gli arrestati l’accusa di turbativa d’asta.
L’indagine, coordinata dal
sostituto procuratore Gianfranco Colace, è incentrata
sul modo in cui la multinazionale francese Gl Events, che
gestisce Lingotto Fiere, ha ottenuto lo scorso anno l’appalto per organizzare tra il 2016 e
il 2018 il Salone con un bando
cucito su misura.
In manette sono finiti Regis
Faure, direttore generale della
Gl Events Italia, filiale italiana
della multinazionale francese, Roberto Fantino, direttore commerciale e marketing
di Lingotto Fiere, società di
Gl Events che gestisce il polo
fieristico torinese, e Valenti-
no Macri, segretario generale
della Fondazione per il Libro.
Ai domiciliari è finito Antonio
Bruzzone, dirigente di Bologna Eventi.
Nel corso dell’inchiesta è
emerso che l’“uccellino” Fantino, in qualità di componente
della Commissione giudicatrice, passava tramite Macri informazioni coperte da segreto (quali la presentazione di
manifestazioni di interesse,
l’identità degli interessati, la
presentazione delle offerte) a
un dirigente di Lingotto Fiere,
così da consentire alla multinazionale francese di modulare la propria partecipazione
alle varie fasi della procedura
di gara a seconda delle informazioni ricevute e di contattare uno degli altri partecipanti
per concordare la sua uscita
di scena.
L’indagine era partita dall’ipotesi di peculato nei confronti di Rolando Picchioni, ex presidente della Fondazione per
il libro, un ente che in questi
giorni è tornato al centro del-
la polemica per la volontà
dell’Associazione italiana editori di lanciare una nuova fiera
dell’editoria a Milano.
Nell’ordinanza di arresto
del Giudice per le indagini preliminari (Gip ) Adriana Cosenza si legge che nel settembre
2015 la fondazione indice una
gara per concedere al miglior
offerente l’organizzazione logistica (vendita spazi per gli
stand, biglietti…) del Salone
del libro “da realizzarsi esclusivamente in Torino presso il
Lingotto Fiere”, una “clausola
essenziale e imprescindibile”.
Con una serie di telefonate e
incontri riservati Macri informa
costantemente Fantino sulle
fasi della gara e sull’arrivo di
offerte concorrenti. Gl Events
ha una piccola percentuale
di Bologna Fiere, così Fantino e Bruzzone discutono e
quest’ultimo decide di non
ostacolare i torinesi. Alla fine
del procedimento la commissione valutativa apre l’unico
plico con le offerte giunte ed è
quello di Gl Events Italia.
Tra la fine del 2015 e l’inizio
del 2016 la concessione non
viene ufficialmente aggiudicata perché la Fondazione per
il libro, partecipata da Città di
Torino, Regione Piemonte e
l’Associazione italiana editori, è in grosse difficoltà economiche (dovute anche agli alti
costi d’affitto imposti dal Gl
Events per gli spazi del Salone e gli scarsi ricavi garantiti in
passato), al punto che un consigliere, il segretario generale
della Compagnia di San Paolo Piero Gastaldo, dice agli
investigatori: “In un’organizzazione di carattere privatistico, io stesso avrei proposto di
dichiarare lo stato fallimentare”. Servono i soldi degli enti
pubblici, senza i quali la Fondazione non può pagare Gl
Events per l’inizio dei lavori.
A questo punto, spiega ancora il Gip Cosenza, Faure
“metteva a parte delle prossime fasi della vicenda anche
gli amministratori locali Braccialarghe Maurizio, nonché
l’assessore regionale per la
Cultura, Parigi Antonella”. Telefona all’allora assessore ed
ex manager Rai “per manifestare le proprie aspettative ed
i propri auspici rispetto all’attesa aggiudicazione”; il sostituto procuratore Gianfranco
Colace aggiunge che “questa telefonata denota un tenore di estrema confidenza tra i
due interlocutori nonostante
uno sia esponente politico e
di un’amministrazione che di
fatto è parte della Fondazione
del libro, ente appaltante della gara in oggetto, e l’altro sia
il vertice di una delle società
che ha partecipato al bando
stesso”.
Pochi giorni prima di Natale Fantino spiega a Faure di
aver incontrato Macri, il quale
gli ha riferito che la fondazione dovrebbe ricevere 600mila
euro da Regione e Comune,
una somma di denaro insufficiente per il Salone del 2016.
Il dg prende l’iniziativa: “Il Faure palesava l’intento di voler
avvicinare il sindaco Fassino in modo di ‘sensibilizzarlo’
della questione e così rivendicare l’aggiudicazione della
gara”. Lo fa via mail, scrivendo anche a Braccialarghe e
alla presidente della fondazione Giovanna Milella.
Non è il suo unico tentativo
di influenzare l’ex sindaco PD.
Prima ancora aveva contattato il capo di gabinetto di Fassino, Alessandra Gianfrate, per
lamentarsi della mancata erogazione di fondi dal Comune
alla Fondazione, e aveva fatto lo stesso con la Milella affinché sollecitasse l’ex sindaco. Il 9 dicembre 2015 parla
direttamente con il primo cittadino per organizzare l’annuale
pranzo delle famiglie indigenti
all’Oval, struttura del Comune
concessa a Gl per soli 45mila
euro l’anno. Stando a quanto scritto dal giudice nell’ordinanza, Faure si era dimostrato disponibile in modo da
mantenere “buoni rapporti con
l’autorità in vista di un possibile futuro appoggio”.
interni / il bolscevico 9
N. 5 - 9 febbraio 2017
Regeni fu assassinato
dal regime egiziano
La prova decisiva è nel filmato clandestino del giovane ricercatore italiano. Manifestazioni in tutta Italia
L’ambasciatore italiano non torni in Egitto
Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano dell’università di Cambridge, rapito al Cairo
il 25 gennaio 2016 dalla polizia segreta, barbaramente torturato nelle prigioni del regime
e ritrovato cadavere nove giorni dopo lungo l’autostrada per
Alessandria, fu assassinato dal
regime fascista del dittatore
egiziano Al-Sisi.
La conferma è arrivata nei
giorni scorsi proprio a ridosso
dell’anniversario della morte di
Giulio attraverso la diffusione
di un filmato montato ad arte e
mandato in onda dalla Tv egiziana nell’ennesimo tentativo di
screditare il giovane ricercatore
friulano e farlo passare per un
infiltrato dello spionaggio inglese che lavorava per destabilizzare il governo, finanziava i sindacati e li incitava a organizzare
manifestazioni in vista del temuto anniversario della rivoluzione
di piazza Tahrir di sei anni fa.
Il video riguarda un incontro
tra Giulio Regeni e il capo del
sindacato degli ambulanti, Mohamed Abdallah, risalente al 6
gennaio del 2016. Nel filmato,
girato di nascosto dallo stesso Abdallah - che ha ammesso di aver denunciato Regeni
ai servizi segreti del Cairo - il
sindacalista cerca di provocare e di corrompere il ricercatore italiano chiedendogli dei soldi per curare la moglie malata
di cancro.
Secondo quanto è emerso dall’inchiesta della Procura di Roma, Abdallah denunciò i suoi rapporti con Regeni
alla polizia del Cairo prima del
6 gennaio e in quella occasione sarebbe stato concordato
come fare le riprese video della
durata di un’ora e 55 minuti. Di
questi, 45 minuti è durato il colloquio tra Abdallah e Regeni, e
comunque durante l’incontro il
ricercatore non mostrò alcuna
disponibilità ad una destinazione delle 10 mila sterline di finanziamento diversa da quella
di portare a termine il suo progetto di ricerca per il sindacato
ambulanti.
Dunque si è trattato dell’ennesimo tentativo di depistaggio
orchestrato dalla National Security Agency (Nsa), il Servizio
segreto civile interno del regime egiziano, alle dirette dipendenze di Al-Sisi e del suo ministro dell’Interno Magdy Abdel
Ghaffar.
Del resto non è certo la prima volta che il regime di Al-Sisi
e la Nsa tentano di insabbiare
le indagini. All’inizio dissero di
non avere alcuna informazione
sulla scomparsa di Giulio, poi
inscenarono il falso incidente
stradale lungo l’autostrada per
Alessandria dove il 3 febbraio
2016 fu fatto ritrovare il cadavere di Giulio, successivamente
attribuirono l’omicidio ai Fratelli musulmani e infine il tentativo di far passare l’assassinio di
Regeni per un delitto a sfondo
omosessuale e ventilando la
sua uccisione per mano di una
banda di spacciatori in quanto
dedito all’uso di droghe.
Invece dal filmato originale che dura quasi due ore ed
è stato acquisito agli atti dalla
procura di Roma, emerge che
Regeni fu incastrato dai servizi
segreti egiziani che il 6 gennaio
2016 nascosero una microcamera nel bottone della giacca
di Mohammed Abdallah il quale subito dopo aver registrato l’incontro avuto con Regeni
nel mercato Ahmed Helmy, nel
quartiere Ramses del Cairo,
lo ha venduto e denunciato ai
suoi aguzzini.
La telecamera che doveva smascherare Regeni come
spia di un Paese straniero fu
infatti messa a disposizione,
quello stesso giorno, da un giovane capitano della Nsa i cui
uffici erano nel quartier generale del Servizio al Cairo, nel
centralissimo quartiere Sadr
City. Non solo. Era stato lo
stesso Servizio segreto a solle-
citare quella provocazione che
si immaginava dovesse diventare una trappola.
I particolari li racconta lo
stesso Abdallah ai magistrati
della Procura generale del Cairo in un lungo verbale in lingua
araba del 10 maggio 2016 di
cui solo in queste ultime settimane gli inquirenti della procura di Roma hanno potuto avere
piena contezza nella traduzione giurata che ne è stata fatta.
Quelle carte fra l’altro confermano che il 7 gennaio 2016
furono proprio due agenti di
una stazione di Polizia del Cairo a raccogliere la denuncia
presentata da Abdallah contro
Regeni e che sono almeno tre
i poliziotti indagati per il massacro dei cinque componenti
della banda di criminali comuni, specializzata nel rapimento
di turisti stranieri, uccisi al Cairo il 24 marzo 2016 (i due che
fecero fuoco e un terzo che
eseguì la perquisizione dell’abitazione di uno degli assassinati collocandovi i documenti
di Giulio) nel macabro tentativo di iscrivere la morte di Reggeni nell’ambito di una guerra
fra bande di balordi.
Fatti e circostanze che insieme alla perquisizione della Nsa
effettuata senza mandato giudiziario nella casa di Dokki nel
dicembre 2015 quando Giulio
era in vacanza; alle foto scattate sempre in quel dicembre
che segnalano la presenza di
Giulio in una riunione del sindacato fino alla consegna della
telecamera con cui effettuare
le riprese clandestine il 6 gennaio dimostrano come “la pratica Regeni” fu istruita dalla Nsa
molte settimane prima del 7
gennaio 2016, quando ufficialmente entra in scena la polizia. E che ancora il 22 gennaio,
quando Abdallah torna a contattare la Nsa, che a sua volta lo cerca, come documentano i tabulati, la pratica continui
ad essere considerata di gran-
de attualità, nonostante, ufficialmente, la polizia l’avesse
già archiviata come “irrilevante” per la sicurezza nazionale.
Stando agli agenti egiziani,
le attività di investigazione della polizia su Regeni sarebbero durate tre giorni, dal 7 gennaio (data della denuncia di
Abdallah che riteneva Regeni
una ‘spia’) al 10 gennaio. Tutto ciò non corrisponde affatto a
quanto scoperto dai magistrati di piazzale Clodio. Dai tabulati risulta che il primo incontro
tra Abdallah e Giulio risale all’8
dicembre 2015 al mercato di
Ramses. Dunque, gli accertamenti della polizia si sarebbero dovuti esaurire l’11 (quando Regeni, unico occidentale,
venne fotografato nel corso di
una riunione di sindacalisti egiziani) o, al massimo, il 12 dicembre. Invece, l’attività di investigazione è proseguita a
gennaio inoltrato, a pochi giorni dalla scomparsa del ricercatore italiano: lo provano i contatti telefonici tra l’ex capo degli
ambulanti e la National Security dell’8, dell’11 e del 14 gennaio, quindi in epoca successiva
alla presunta data di denuncia
(6 gennaio) presentata contro
Regeni.
I genitori di Giulio, dopo aver
visionato il video, in una intervista a “Il Piccolo di Trieste”
hanno detto: “È ancora prematuro affrontare nel profondo
quest’aspetto, ci sono le indagini in corso. Quanto è emerso
nel tempo, grazie alla biografia
di Giulio, è la sua forza e disponibilità umana verso gli altri. La
sua costante e incessante ricerca di dialogo e confronto,
con se stesso e con gli altri. La
sua competenza e onestà. Da
parte nostra – hanno aggiunto - non ci siamo mai sottratti
a nulla, pur di ottenere la verità
e dunque giustizia. Sappiamo
essere pazienti ma siamo inarrestabili: vogliamo la verità e la
vogliamo tutta”. A tal proposito,
Roma. La manifestazione chiedere la verità ed avere giustizia su Regeni, sotto Montecitorio il 27 gennaio 2017,
ad un anno dalla scomparsa
hanno sottolineato ancora i coniugi Regeni: “è stato necessario, doveroso, importante e
fruttuoso il richiamo dell’ambasciatore dall’Egitto”.
Il primo anniversario della
morte di Giulio è stato ricordato
il 25 gennaio in tutta Italia con
una serie di manifestazioni per
chiedere ora più che mai di fare
piena luce su tutta la vicenda
e scoprire finalmente chi ha ordinato il sequestro, chi ha eseguito l’omicidio e soprattutto
chi e perché ha coperto e continua a coprire i mandanti e gli
aguzzini di Giulio.
La manifestazione nazionale si è svolta a Roma all’Università La Sapienza dove a tutti i
manifestanti è stato distribuito
un cartello con un numero, da
1 a 365, per ricordare i giorni
che sono passati dalla scomparsa di Giulio. Altre manifestazioni e fiaccolate si sono svolte a Fiumicello (la città dove
Giulio era cresciuto), Roma (a
San Lorenzo in Lucina), Napoli
(in Piazza Dante) a partire dalle ore 19.41, l’ora in cui Giulio
Regeni scomparve.
In ogni caso va sottolineato che se i servizi egiziani si
sono potuti permettere di farsi
impunemente beffe finora della ricerca della verità, della famiglia Regeni e dell’intero no-
stro Paese, è anche perché il
governo Renzi e il suo successore Gentiloni glielo hanno tacitamente e vergognosamente
lasciato fare: e questo in nome
dell’“amicizia” tra i due governi e personale tra Renzi e AlSisi, degli affari miliardari che
intercorrono tra i due paesi (l’Italia, con 5 miliardi l’anno di interscambio e investimenti per
10 miliardi è il secondo partner
commerciale dell’Egitto dopo
la Germania) e della stretta alleanza militare nel quadro della guerra al comune nemico, lo
Stato islamico.
La verità è che da quando il
corpo di Regeni è stato “ritrovato”, sia Renzi che Gentiloni
non hanno fatto altro che ripetere come un mantra che “non
ci accontenteremo di meno
che della verità”, ma non hanno mosso un dito contro governo egiziano.
Occorre invece interrompere subito tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici e militari con il
governo egiziano, promuovere
azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione
dei diritti umani e applicargli le
relative sanzioni e pretendere
che altrettanto facciano le autorità della UE. L’ambasciatore
italiano non torni in Egitto.
Appello di “Non una di meno” a tutti i sindacati
Scioperiamo l’8 Marzo per dire no
alla violenza maschile sulle donne
Pubblichiamo
l’appello
della rete “Non una di meno”
a tutti i sindacati: confederali, “di base” e autonomi a indire unitariamente uno sciopero generale nazionale per
l’8 Marzo giornata internazionale delle donne. Le modalità di questo sciopero saranno discusse nell’assemblea
nazionale di Bologna del
4-5 febbraio prossimi. Una
scelta quella di “Non una di
meno” dell’8 Marzo che salutiamo con piacere, proprio
quest’anno cade il centenario
della prima manifestazione
delle operaie di Pietrogrado
contro lo zarismo svolta l’8
Marzo del 1917, dopo poco
divampò la grande Rivoluzione d’Ottobre. Un 8 Marzo
per “riprenderci questa giornata di lotta” come dicono
le promotrici per dire no alla
violenza fisica, psicologica,
culturale ed economica sulle
donne. Il PMLI augura il pieno successo dell’Assemblea
nazionale e ne appoggia la
piattaforma contro la violenza maschile sulle donne, sulle lesbiche e sui transessuali.
Siamo d’accordo sull’affermazione di “Non una di
meno” spiegando le motivazioni dello sciopero che “senza donne non c’è rivoluzione
possibile!” ed è per questo
che il PMLI invita le donne a “lottare contro il governo Gentiloni e il capitalismo,
per il socialismo. Perché solo
abbattendo il capitalismo e il
potere della borghesia e instaurando il socialismo con il
proletariato al potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle donne, la totale parità tra le donne e gli
uomini e costruire un mondo
nuovo”.
Siamo le donne che hanno costruito la grande mobilitazione nazionale dello scorso
26-27 novembre che ha visto
scendere in piazza più di duecentomila persone.
Con lo slogan Non Una di
Meno ci siamo rimesse in marcia contro la violenza maschile sulle donne insieme a tutti
coloro che hanno riconosciuto questa lotta imprescindibile
per la trasformazione radicale
dell’esistente.
La manifestazione ha ribadito che la violenza è un problema strutturale delle nostre
società e agisce in ogni ambito della nostra vita. Il femminicidio è la punta dell’iceberg, l’epilogo tragico di una catena di
discorsi e atti, simbolici e concreti, che dalla casa al posto di
lavoro, dalla scuola all’università, negli ospedali e sui giornali,
nei tribunali e nello spazio pubblico tende ad annientarci.
Sappiamo come la violenza
sulle donne si esprime in una
molteplicità di agiti/piani: nella
disparità salariale; nelle tante
discriminazioni sui posti di lavoro, nei luoghi della formazione e della ricerca; nello sfruttamento del lavoro domestico e
di cura, che sia svolto gratuitamente oppure in cambio di
un salario, nella maggior parte
dei casi da una donna migrante obbligata dal ricatto del permesso di soggiorno; nel ricatto
della precarietà; nella privatizzazione della salute e dei servizi; nella negazione della libertà
di scelta e dell’autodeterminazione, nella violenza ostetrica
e medica, nell’obiezione di coscienza dilagante, nella squalificazione del nostro ruolo e della nostra dignità.
Ma siamo altrettanto consapevoli – e dobbiamo farlo
capire a molti – del peso che
le donne, più della metà della popolazione mondiale, hanno nei processi economici,
sociali,culturali, produttivi e riproduttivi, e della forza di mobilitazione trasformativa che
possono esprimere e stanno
esprimendo in tutto il mondo.
Le giornate del 26 e 27 Novembre sono state solo l’inizio
di un percorso di lotta, di elaborazione, di trasformazione,
dunque, perché sentiamo fortemente il bisogno che tutto
questo non rimanga sul piano
esclusivamente simbolico.
Per questo abbiamo fatto
nostro l’appello delle donne argentine alla costruzione di uno
SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE PER IL
PROSSIMO 8 MARZO. Una
giornata in cui rivendicare la
nostra forza agendo la nostra
sottrazione/astensione da ogni
funzione produttiva e riproduttiva che ci riguardi.
Si tratta di una pratica già
sperimentata in passato ma
inedita nella sua dimensione internazionale, che prende
spunto dagli scioperi delle donne argentine e polacche dei
mesi scorsi. È una sfida che
lanciamo per rimettere al centro, dopo il 26 e il 27 novembre,
il protagonismo delle donne
contro la violenza psicologica,
fisica, sociale, economica, politica e culturale, perché “Se le
nostre vite non valgono, allora
ci fermiamo”.
Chiediamo, quindi, a tutti i
sindacati confederali, di base
e autonomi, in particolare a tutti quelli che hanno aderito alle
giornate del 26 e del 27 Novembre, di mettersi al servizio
della mobilitazione delle donne
e di indire lo sciopero generale per la giornata dell’8 Marzo
2017, essere strumento utile
allo sciopero e non ostacolo
all’adesione delle lavoratrici e
di tutt* coloro intendano partecipare a questa nuova giornata
di lotta per la nostra autodeterminazione.
Non Una Di Meno
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
PMLI / il bolscevico 11
N. 5 - 9 febbraio 2017
Presso la sede della Cellula “Mao” di Milano
“Terza Nota” intervista Urgo
sul PMLI e lo Stato islamico
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Mao” di Milano del
PMLI
Il 13 dicembre scorso il Segretario del Comitato lombardo del PMLI, nonché della
Cellula “Mao” di Milano, compagno Angelo Urgo, ha concesso un’intervista al giornalista della rivista on-line “La
Terza Nota”, Davide Rega, il
quale ha preventivamente garantito che alla redazione della sua testata “siamo tutti convintamente antifascisti”; nel
caso tale redazione avesse
avuto un orientamento fascista o filo-fascista l’intervista,
ovviamente, non sarebbe stata concessa.
Nell’intervista Rega ha voluto fare domande sull’operato e
la linea del Partito, soprattutto
su “alcune prese di posizione
controverse, come l’appoggio
allo Stato Islamico e all’astensionismo alle elezioni”.
Rispondendo al suo intervistatore, Urgo ha spiegato
che l’attuale attività del PMLI
è prevalentemente di propaganda: “propagandiamo la linea del Partito, che non è solamente quella strategica. Per
esempio, partecipiamo al sindacato, nello specifico lavoriamo nella CGIL”. “Non perché
pensiamo sia un sindacato rivoluzionario - ha specificato
Urgo - ma perché seguiamo
la tattica leninista di stare nel
sindacato più partecipato, lavorandoci dall’interno per condizionare i lavoratori sulla nostra piattaforma rivendicativa”.
“Veniamo alle questioni più
spinose” ha quindi incalzato
Rega domandando le ragioni
del nostro appoggio allo Stato
Islamico. Urgo ha risposto che
il nostro non è un appoggio
strategico; tra l’IS e il PMLI, dai
punti di vista ideologico, culturale, tattico e strategico, c’è un
abisso incolmabile; la nostra
posizione è tattica, concerne
specificatamente la tattica antimperialista esposta da Stalin
nella sua celebre opera “Principi del Leninismo”.
Urgo ha tenuto a specifica-
Vorrei il modulo per
l’ammissione al Partito
Buonasera PMLI,
mi chiamo Michela e vivo in
Romagna. Vorrei gentilmente
richiedere il modulo per la domanda di ammissione al Partito.
Sostengo la filosofia marxista e la validità della causa
della rivoluzione e della costruzione del socialismo.
Attendo vostre notizie. Grazie e buona giornata.
Michela - Romagna
Un’esperienza importante
e gratificante
essere stati a Cavriago
Care compagne e cari
compagni del PMLI,
avere partecipato, per la
prima volta, alla Commemorazione del grande Maestro
del proletariato Lenin in quel
ICavriago (Reggio Emilia), 22 gennaio 2017. Il compagno Urgo, Segretario del Comitato lombardo del PMLI e della Cellula “Mao” di Milano,
tiene alto il ritratto di Lenin durante la Commemorazione del grande Maestro del proletariato internazionale (foto Il Bolscevico)
re che consideriamo lo Stato
Islamico come un’entità statale che oggettivamente si oppone all’invasione e aggressione (diretta e per procura)
di varie potenze imperialiste
malamente coalizzatesi e tendenzialmente rivali. “Alla fine
da dove nasce lo Stato Islamico?” si è chiesto il compagno per poi rispondere: “dalla
comunità arabo-sunnita che si
è ribellata inizialmente in Iraq,
contro la dominazione imperialista succedutasi alla caduta di Saddam Hussein, e poi in
Siria, alla discriminatoria dittatura della borghesia alawita
guidata dal clan degli Assad”.
Il fatto che tale ribellione
all’oppressione imperialista ed
etnico-religiosa abbia preso
(nella maggioranza degli arabo-sunniti) la forma dell’ideologia salafita, e abbia adottato
la Sharia, concezioni che non
condividiamo e che sono anni
luce lontane dalle nostre, “è il
frutto del livello di coscienza del
proletariato in quel Paese” dovuto anche al vuoto ideologico
causato dallo scempio politico
e ideale che i revisionisti falsi
comunisti e il partito Baath hanno fatto (screditandola col loro
operato fatto falsamente in suo
nome) della giusta aspirazione
a una autentica società laica e
socialista.
“Cosa pensate allora del
Rojava – ribatte l’intervistatore - dove i curdi e altre etnie
cercano di sviluppare un’esperienza socialista, democratica, femminista, ma fanno anche una guerra senza
quartiere all’ISIS?”. Il nostro
compagno ha spiegato che il
partito politico che promuove
il Rojava non è un partito marxista-leninista e che noi non
consideriamo nemmeno che
porti avanti il socialismo. Urgo
ha quindi sottolineato che “ri-
di Cavriago (Reggio Emilia),
è stata per me un’esperienza
importante e gratificante. Voglio ringraziare gli organizzatori, fra i quali il nostro amato Partito, per il taglio unitario
dato all’iniziativa (quante bandiere rosse!) e il compagno
Denis Branzanti per il significativo intervento fatto a nome
del PMLI. Desidero ringraziare, inoltre, il compagno Segretario generale Giovanni
Scuderi per il bellissimo e stimolante saluto fatto pervenire
agli intervenuti.
Credo proprio che, se avrò
la possibilità sia di tempo che
economiche, tale iniziativa mi
vedrà ancora presente negli
anni a venire.
Un caro saluto rosso a tutti voi, uniti in cordata per il
Socialismo, coi Maestri ed il
PMLI, vinceremo!
Andrea, operaio
del Mugello (Firenze)
La mia passione politica a
disposizione
del PMLI
So che a Reggio Emilia
(città Medaglia d’oro alla Resistenza) non c’è una Cellula
del PMLI. Do la mia passione politica a disposizione. Le
masse sono stanche. Addirittura qualche padrone sostiene che le classi non esistono
più. Meno mercato, più Stato.
Lotta continua compagni!
Luciano – Reggio Emilia
“Il Bolscevico” è l’unica
fonte informativa a
mettere il dito nella piaga
“Il Bolscevico”, come sempre, è l’unico giornale (a stampa o online), anzi l’unica fonte informativa, a mettere il dito
nella piaga sugli interventi tardivi e catastroficamente attivi
post factum, ossia a cose fat-
conosciamo legittime le rivendicazioni indipendentiste, o
autonomiste, del Rojava, e riteniamo l’aggressione dell’IS
ai curdi siriani un errore”, per
poi spiegare che lo Stato Islamico “non è un’organizzazione coscientemente, soggettivamente, antimperialista, lo
è solamente oggettivamente”.
Altrimenti il Califfato avrebbe
capito che sarebbe stata necessaria una tregua coi miliziani curdi invece di aggredirli
e spingerli in braccio agli imperialisti americani. “Le formazioni militari del Rojava (YPG
e YPJ) si chiamano gruppi di
difesa, però, premendo verso
Raqqa non si va più in difesa:
stanno giocando una guerra
di attacco che non è più quella del Rojava, dei curdi, ma è
quella dell’imperialismo americano”.
Per concludere l’argomento Urgo ha affermato che la
nostra rivendicazione antimperialista è trattare la pace
con lo Stato Islamico e mettere fine a questa guerra imperialista di aggressione per il
petrolio, e non solo; una guerra che inoltre non fa altro che
provocare rappresaglie terroristiche su civili innocenti che
vivono nei Paesi aggressori.
Alla domanda su come
qualifichiamo l’astensionismo
alle elezioni politiche e se consideriamo tutti i voti degli astenuti come voti nostri, Urgo ha
risposto che l’astensionismo
rappresenta una forma di voto
di delegittimazione delle istituzioni borghesi, “da qui a dire
che sono tutti voti nostri ce ne
passa!”.
Su cosa ne pensiamo del
famoso “Odio gli indifferenti”
di Gramsci il compagno Urgo
ha premesso che il PMLI non
è gramscista dato che Antonio
Gramsci è stato un antifascista ma non un marxista-leninista, “ideologicamente non
era nemmeno un materialista ma, in effetti, un idealista
crociano”. Rispondendo alla
domanda Urgo ha affermato
che “questa posizione non la
te, per il disastro atmosferico e
sismico in Italia Centrale (Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo)
della scorsa settimana.
Lo fa sul numero 4 del 2
febbraio scorso, evidenziando come i soccorsi siano stati tardivi e insufficienti, come
la Protezione Civile (sempre
osannata dai media di regime), sia sempre quella: da
Zamberletti (Friuli, più di quarant’anni fa) a Bertolaso (L’Aquila, otto anni fa), ad oggi con
Vasco Errani, c’è una scelta di
continuità che è quella della
borghesia, che non si perita
di lasciare morire tanti proletari e tante proletarie in condizioni terribili. I pochi salvati
lo sono a patto che “si convertano” alla ragione dello Stato
borghese e della carità spicciola e meramente assistenzialista, regolarmente delegata alla Caritas et similia.
Eugen Galasso - Firenze
La pagina web della rivista on-line “La Terza Nota” con l’intervista al
PMLI
condividiamo perché pensiamo che sia compito del Partito
marxista-leninista far prendere coscienza anche agli indifferenti; avere questo atteggiamento elitario, di disprezzo,
verso chi al momento è indifferente, perché non è ancora
cosciente, della propria condizione sociale e di classe, è un
partire male in partenza”.
L’intervista si è conclusa con alcune domande a risposta rapida. Rispondendo
a queste, Urgo ha ribadito il
nostro attaccamento a Stalin come nostro Grande Maestro, affermando che su di
lui si sono dette le cose più
truci e infamanti, proprio perché è stato il primo a edificare
una società socialista; ha riaffermato che Krusciov e il XX
Congresso del PCUS rappresentano la restaurazione del
capitalismo in Unione Sovietica; ha definito Mao quale ultimo Grande Maestro del proletariato internazionale che
ha edificato il socialismo in
Cina e – col Grande Balzo in
Avanti e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e quindi la continuazione della lotta
di classe nelle condizioni del
socialismo - l’ha portato anche più avanti dell’esperienza
sovietica.
Il nostro compagno ha affermato inoltre in merito al
PCI revisionista che era un
“Partito di massa, ma non partito di quadri”, non era un partito di tipo bolscevico, così
come inteso da Lenin già nel
1903. Era un partito revisionista e riformista, che aveva
come suo Alfa e Omega la
Costituzione borghese e non
il socialismo. Poi è stato anche un partito conservatore
con Berlinguer, fino a diventare, nella seconda metà degli anni ’80, un partito che si è
allineato alla linea reazionaria
e liberista della borghesia italiana ed europea.
In merito al proletariato di
oggi Urgo ha detto che nonostante si sia cercato di proclamarne l’estinzione esso
permane ed è sempre più
sfruttato: “Oggi come oggi
ci accorgiamo che esiste la
classe operaia solo quando
gli operai muoiono. La classe
operaia esiste ancora, se la si
vuole vedere”.
Correttamente sintetizzata
sulla base della registrazione,
l’intervista è stata pubblicata
l’8 gennaio sul sito de “La Terza Nota” (http://laterzanota.
info/). Alla cui redazione vanno i nostri ringraziamenti per
averla pubblicata dopo averci dato l’occasione di esporre, seppur in estrema sintesi, le nostre posizioni politiche
spesso censurate, ignorate o
calunniate dai mass-media
borghesi e di regime.
“La voce di Lucca” ha
pubblicato il saluto di Scuderi
alla Commemorazione di
Lenin a Cavriago
In data 27 gennaio “La voce di Lucca” on-line ha pubblicato il testo integrale del saluto del compagno Giovanni Scuderi ai partecipanti alla Commemorazione di Lenin
che si è svolta a Cavriago il 22 gennaio, promossa congiuntamente dal PMLI.Emilia-Romagna e dalla federazione di
Reggio Emilia del PCI.
12 il bolscevico / PMLI
N. 5 - 9 febbraio 2017
Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa
Criticata la Direzione della Cgil
per come ha gestito i referendum
Cammilli: Occorre un nuovo, unico e grande sindacato
‡‡Redazione di Fucecchio
Forti e generalizzate sono
state le critiche dei delegati dei
lavoratori del chimico-farmaceutico, tessile-abbigliamento e
del settore elettrico appartenenti
alla categoria Filctem-Cgil riuniti
nel direttivo provinciale svoltosi
a Pisa il 20 di gennaio.
Il direttivo si è aperto con
l’approvazione del bilancio 2016
dove il funzionario intervenuto
per spiegare le varie voci ha sottolineato, tra le altre cose, il calo
dei tesserati e di conseguenza delle entrate. Ciò è dovuto
in parte alla diminuzione degli
occupati in provincia, a questo
vanno aggiunti altri fattori, come
la crisi economica che fa pesare
sui lavoratori anche i 10-20 euro
mensili della tessera sindacale.
Non si può tacere nemmeno sul
fatto che influisca anche la perdita di consensi e di credibilità
che la Cgil sta subendo in questi
DIALOGO
ultimi anni.
Successivamente è stata
letta la relazione da parte di un
esponente della categoria che
ha toccato molti temi, come la
vittoria del referendum costituzionale del 4 dicembre, i tre referendum, di cui uno bocciato dalla Consulta, promossi dalla Cgil
con oltre 3 milioni di firme, temi
locali come la trattativa per il rinnovo del contratto della Concia
e altri più generali come quello
dell’immigrazione. Alcune analisi erano in parte condivisibili ma
è mancato qualsiasi accenno di
critica alla politica dell’attuale
governo Gentiloni.
Gli interventi che si sono succeduti non hanno lesinato critiche al gruppo dirigente nazionale della Cgil. Tra questi quello del
compagno Andrea Cammilli che
ha parlato tra i primi. Nel suo
intervento ha ricordato la vittoria nel referendum che ha sancito l’uscita di scena “purtroppo
LETTORI
Il compagno Andrea Cammilli, Responsabile della Commissione di massa del CC del PMLI guida la delegazione nazionale del PMLI alla manifestazione nazionale della Fiom, Roma 28 marzo 2015 (foto il bolscevico)
temporanea” di Renzi. Una vittoria antifascista che ha respinto
l’accentramento del potere nelle
sue mani ma anche una sonora
bocciatura verso la sua politica economica, in primis il Jobs
Act. Il governo che si è formato
è però della stessa natura, persino nei personaggi, manca solo
Renzi alla presidenza ma quella
di Gentiloni non è altro che la
sua continuazione.
Il compagno ha poi criticato
la dirigenza Cgil per come ha
gestito i tre referendum. Pur ritenendo quella della Corte Costituzionale sull’articolo 18 una
sentenza politica il fior fiore di
costituzionalisti messi in campo
da Camusso e soci si sono rivelati incompetenti fornendo appigli per la sua bocciatura tanto da far sospettare che ciò sia
stato fatto volutamente. Questo
tipo di critica è stato fatto proprio da tutti gli intervenuti che
hanno giudicato inaccettabile
la gestione del quesito referendario sull’articolo 18, a cui va
aggiunto l’atteggiamento sconsiderato sui voucher, utilizzato
in molte strutture sindacali per
pagare prestazioni occasionali,
specie dallo SPI, il sindacato dei
pensionati.
A conclusione del suo intervento il compagno Cammilli ha
sottolineato come la Cgil, per
contrastare la perdita di tessere
evidenziata dal bilancio, dovrebbe riappropriarsi del ruolo per cui
è nata, ovvero rappresentare gli
interessi dei lavoratori e abbandonare la ricerca ostinata della
concertazione. Ma per fare questo occorrerà un nuovo, unico
e grande sindacato svincolato
dalle compatibilità economiche
del capitalismo e dai suoi partiti,
non burocratico e democratico
che sappia intercettare anche i
lavoratori più giovani e la sempre
più vasta area del precariato.
Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente
la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non
devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi.
Il discorso di Scuderi “Da Marx a Mao”
è “ancorato al passato”?
Ciao compagni,
vi do il mio punto di vista sul
PMLI, e spero possa far nascere
un dibattito e non un attrito: ho
letto integralmente il discorso di
Scuderi “Da Marx a Mao” e lo ritengo un interessante documento
storico; però onestamente il PMLI
è troppo ancorato al passato, secondo me ha lo sguardo rivolto
indietro. Anche se i messaggi
sono giusti, andrebbero rivisti in
chiave moderna. Citando ogni
volta nei discorsi Mao o Lenin, si
cade nella retorica.
A mio modo di vedere dovrebbe essere più aperto all’interno, e
modificare parte della fraseologia
per entrare nelle teste e nei cuori
della gente.
Anche se Guevara non è stato un marxista al 100% (che poi
è tutto da dimostrare), non lo si
può lasciare agli avversari. Anche
il riconoscimento dell’ISIS è qualcosa che non capisco.
Simone, simpatizzante PCI,
Roma
Ciao compagno Simone,
nessun “attrito”, fra compagni
è bene essere franchi, leali e dirsi
le cose apertamente, nell’interesse della causa.
Il discorso di Scuderi ci pare
tutt’altro che “ancorato al passato”. Per esempio ci sono lunghi
capitoli sul governo Renzi, sulla
costruzione del Partito, sul progetto di socialismo che guardano
ben avanti, non indietro. Se non
citiamo Lenin o Mao, o meglio se
non ci ricolleghiamo ai Maestri del
proletariato internazionale che ci
hanno lasciato insegnamenti imprescindibili per capire e combattere il capitalismo, come possiamo fare bene la lotta di classe?
Se leggi attentamente i discorsi
di Scuderi e degli altri dirigenti del
PMLI, i suoi documenti e gli articoli del “Bolscevico”, vedrai che
noi cerchiamo sempre di legare il
marxismo-leninismo-pensiero di
Mao alle condizioni concrete.
Ciascuna classe e ciascun partito cita i propri maestri, chi apertamente chi indirettamente. Noi non
abbiamo paura a dire che i nostri
sono Marx, Engels, Lenin, Stalin e
Mao e non abbiamo intenzione di
rinunciare alla loro bandiera rossa.
L’esatto contrario di quanto hanno
fatto i partiti revisionisti, in Italia e
nel mondo, che hanno cestinato
il marxismo considerandolo “roba
vecchia” e oggi hanno completamente smarrito la bussola. Infatti
si infognano sulla Costituzione del
’48, che però nasce come un compromesso al ribasso per il proletariato e che nei fatti non esiste più,
pensa solo al presidenzialismo di
fatto, all’indebolimento del parlamento, alla cancellazione di fatto
dell’articolo 11, all’inserimento del
fiscal compact.
Certo che dobbiamo entrare
“nelle teste e nei cuori della gente” ma con un’alternativa valida al
capitalismo. È compito degli autentici comunisti lavorare affinché
il proletariato recuperi la sua coscienza di classe e si batta contro
l’intero sistema di sfruttamento
capitalistico. Ma se modificassimo la “fraseologia” cancellando
i riferimenti al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e al socialismo, non ti sembra che faremmo
il gioco della borghesia, che ha
interesse a far dimenticare il comunismo? Attento, compagno:
storicamente, questa è la via che
ha portato l’ex PCI a omologarsi
al capitalismo trasformandosi in-
fine nell’attuale PD.
Riguardo a Guevara e all’IS,
non sappiamo se hai letto i documenti del PMLI in merito. Ti
invitiamo a farlo perché la tua
“critica” di appena due parole
su questi temi molto importanti,
soprattutto l’IS, lascerebbe intendere che ti basi più che altro sul
“sentito dire” o che comunque
non hai approfondito molto. Speriamo tu non ti sia fatto influenzare da avversari del PMLI. Se non
è così ne siamo felici, ma non capiamo perché tu non abbia articolato meglio il tuo punto di vista,
dandoci peraltro modo di chiarire
le nostre posizioni.
Sull’IS ti invitiamo a leggere in
via immediata la seconda parte
del discorso di Scuderi dell’11
ottobre 2015 e l’editoriale “Spez-
zare la spirale guerra imperialista
e attentati terroristici”, successivamente l’intero rapporto del
compagno Erne alla 5ª Sessione plenaria del CC del PMLI.
Da questi documenti capirai che
noi non condividiamo per niente
l’ideologia, la religione, il progetto
di società e gli attacchi terroristici
dell’IS contro i civili, tuttavia da
coerenti antimperialisti ci opponiamo alla guerra che gli imperialisti americani, europei e russi
stanno conducendo contro di
esso per spartirsi il Medioriente.
In questo senso appoggiamo la
resistenza dell’IS per scacciare
gli occupanti stranieri, ma giudichiamo gravissimi errori gli attacchi contro i civili, attacchi che comunque non cesseranno se non
si ferma la guerra.
Su Guevara, puoi leggere il
saggio di Scuderi: “Dove porta la
bandiera di Guevara”. Comunque
non ci pare che esista il pericolo
di lasciare Guevara “agli avversari”, si tratta invece di riconoscere
che è stato un importante rivoluzionario antimperialista, ma che il
suo pensiero e la sua azione non
erano marxisti-leninisti. Il problema è che i neorevisionisti e i
trotzkisti ne hanno fatto un’icona
da sostituire a Lenin e persino a
Marx.
Speriamo di avere chiarito almeno in parte i tuoi dubbi. In ogni
caso continuiamo a confrontarci.
Facendo attenzione a non cadere nelle trappole del revisionismo
e del riformismo, che non hanno
mai portato i sinceri comunisti da
nessuna parte.
napoli / il bolscevico 13
N. 5 - 9 febbraio 2017
Silenzio assordante di De Magistris
De Luca dispone la chiusura anche
dell’ospedale San Gennaro dei poveri
giovani e disoccupati occupano lo storico nosocomio
‡‡Redazione di Napoli
È permanente l’occupazione
da fine ottobre da parte delle
masse popolari del quartiere
Sanità contro la vergognosa
chiusura deIl’Ospedale San
Gennaro dei Poveri, uno dei
più antichi e storici nosocomi
partenopei che si colloca a due
passi dal ponte dedicato alla
partigiana delle Gloriose Quattro Giornate di Napoli, Lena Cerasuolo, nell’ottica dello smantellamento criminale voluto e
propugnato dal governatore
antipopolare De Luca. Ennesimo attacco alla sanità campana con la scusa dell’apertura
prossima dell’Ospedale del
Mare in tutti i suoi reparti che
dovrebbero sopperire alle presunte insufficienze sia del San
Gennaro che della Annunziata.
Servizi pubblici e sanitari vitali
che colpiscono due quartieri
simbolo di Napoli come quello
che attornia via Forcella o che
costeggia la Sanità, in balia dei
nuovi clan emergenti che non
risparmiano sangue e colpi
di pistola pur di ribadire il loro
dominio territoriale. Assenti le
istituzioni nazionali e locali in
camicia nera dove si sottolinea
l’ennesimo silenzio assordante
del neopodetsà De Magistris e
della sua giunta arancione che
nulla hanno fatto per impedire
la chiusura dei due nosocomi.
Le masse popolari, ma soprattutto i giovani e i senzalavoro organizzati, hanno occupato
l’ospedale e in assemblea permanente hanno dichiarato che
il “San Gennaro è uno degli ultimi poli di occupazione che crea
benessere e servizi utili al quartiere, la sua chiusura cancelle-
rebbe ulteriori posti di lavoro
in un territorio in cui dilaga la
disoccupazione e che da mesi
è sotto attacco di una guerra di
camorra spietata. Siamo in presidio permanente - continuano
gli occupanti - all’interno della
struttura per impedire il trasferimento dei macchinari e di tutte
le attrezzature medico sanitarie”.
Noi marxisti-leninisti dal canto nostro condividiamo pienamente la lotta degli occupanti
contro la chiusura dell’ospedale
napoletano le cui responsabilità
politiche ricadono totalmente
su De Luca e su De Magistris.
Una manifestazione degli abitanti del quartiere Sanità contro
la chiusura dell’ospedale San
Gennaro
Si tratta per lo più di giovanissimi tra gli 8 ai 13 anni
Sempre più giovani i pusher della camorra a Napoli
Le politiche del governo Gentiloni e della giunta De Magistris, che condannano alla disoccupazione e al degrado delle periferie
urbane, li danno in pasto alla camorra
‡‡Redazione di Napoli
“Ci si chiede come mai questo fenomeno della criminalità a
Napoli non cessi. La risposta?
Qui bambini dall’età più tenera
vengono avviati al crimine e vivono in un ambiente dove il crimine è la normalità. La città non
può più tollerare questo circolo,
dobbiamo spezzarlo”. Sono le
ferme parole del procuratore
Giovanni Colangelo che interviene nella durissima polemica
tra Saviano e De Magistris e
che riesplode all’indomani degli
arresti nel cuore del centro storico, a pochi passi da piazza del
Plebiscito. Il nuovo caso scoppiato a Napoli è probabilmente
senza precedenti: il clan Elia,
associazione a delinquere di
stampo camorristico secondo
la Procura di Napoli dedita allo
spaccio di droga, utilizza decine
di bambini per confezionare dosi
di cocaina e spacciare. È quanto
emerge da un’inchiesta che ha
portato all’arresto di quasi un
centinaio di esponenti del clan,
con ben 45 ordini di custodia
cautelare in carcere. Una maxioperazione che ha fatto raggelare
gli inquirenti quando hanno scoperto, attraverso intercettazioni
telefoniche e ambientali, che,
quasi “per gioco” una bimba di
8 anni e un bimbo di 10 anni, riempivano buste di droga.
Questi i fatti: nella zona del
Pallonetto di Santa Lucia e
nell’area a ridosso di piazza del
Plebiscito e del Borgo Marinari il
clan Elia spadroneggia ormai da
alcuni anni con guadagni di più
di 5 mila euro al giorno, grazie
Comunicato del Csoa Officina 99 - Napoli
Contro lo Sgombero del Campo
Rom e la Violenza delle Istituzioni
Venerdì 27 gennaio ore 10.30
sit-in Piazza Plebiscito
Durante la cerimonia ufficiale
per la giornata della memoria,
della Shoah e anche del “Porrajmos” con lo sterminio di centinaia di migliaia di rom nei campi
di concentramento, facciamo
sentire tutti e tutte la nostra voce
contro questo ennesimo atto di
violenza istituzionale, contro i rigurgiti razzisti e fascisti!
Milletrecento persone, 450
bambini... Da alcune settimane il campo rom di via Brecce
a Gianturco è oggetto di uno
sgombero tanto silenzioso
quanto violento. Uno sgombero
silenzioso perché messo in atto
da polizia e vigili urbani con tecniche che mirano a spaventare
e far fuggire gli abitanti del campo. Gli atteggiamenti aggressivi delle forze di polizia e la loro
presenza costante nella forma
di un assedio permanente, il sequestro vigliacco dei più semplici strumenti di sopravvivenza
(dalla macchina al furgone, dal
carrello al cibo fino ai pacchi
della Caritas), le continue identificazioni dei solidali, il tentativo di bloccare i giornalisti che
cercavano di documentare tutto
questo, vogliono intimidire i rom
e distruggere qualsiasi legame
di solidarietà con la loro lotta.
Una strategia già sperimentata: l’intenzione è quella
di scacciare il maggior numero possibile degli abitanti del
campo per rendere meno visibile e scandaloso lo sgombero
finale. Cacciati da via Brecce, i
rom saranno costretti a trovare
un’altra sistemazione d’emergenza, almeno fino al prossimo
episodio di razzismo o al prossimo sgombero, in un circolo
vizioso senza fine assecondato
dalle istituzioni. Persone che
vivono a Napoli da anni, molti
da decenni, tanti sono nati qui
e non hanno vissuto altra terra
che questa... Mentre si esalta la
città vetrina, in periferia anche il
semplice diritto a un tetto continua a essere negato.
Da quasi un anno tutti gli
attori istituzionali di questa
violenza, che lascerà in mezzo
alla strada più di mille persone,
rifiutano qualsiasi responsabilità. La Procura, mentre si erge a
custode della sicurezza e della
legalità, si limita in realtà a tutelare le mire speculative del
proprietario del terreno su cui
si trova il campo, mettendo gli
interessi della proprietà davanti
alla vita delle persone. La re-
gione si nasconde e sfugge alle
proprie responsabilità, riproponendo la linea programmatica
del suo governatore, che alle
questioni sociali irrisolte risponde solo con la repressione e gli
sgomberi.
L’amministrazione
Comunale infine, mentre proclama i
valori dell’accoglienza, da mesi
risponde solo con vane promesse e soluzioni inadeguate
alla richiesta degli abitanti del
campo di ottenere un’altra sistemazione,
nascondendosi
dietro la scusa dell’emergenza.
Un’emergenza costruita ad arte
perché da sempre colpevolmente ignorata, in quanto nessuna istituzione si è mai preoccupata di progettare una vera
politica abitativa per i rom di
Napoli, l’unico modo per uscire
dalla politica dei ghetti.
Con risorse e fondi dedicati,
nazionali ed europei, scomparsi
nel nulla come i sedici milioni di
euro assegnati alla Prefettura di
Napoli pochi mesi fà...
Contro il razzismo e la guerra ai poveri: diritti per tutti!
#nessunescluso
Solidali di via Brecce
Antirazziste e antirazzisti
di Napoli
anche all’uso di minori. Una delle
vicende raccontate in conferenza stampa dagli inquirenti della
Direzione Distrettuale Antimafia
di Napoli parla di una bimba di
otto anni che confeziona dosi di
droga in salotto con sua mamma
camorrista che le insegna come
imbustare la “polvere” e sotto
la supervisione dello zio che le
forniva i rudimenti necessari al
dosaggio della “roba”.
Mentre la camorra soffoca
sempre di più Napoli, i minorenni
crescono ormai in una sconcertante normalità fatta di attività illecita, di traffico di stupefacenti,
di pistole e finanche di omicidi.
Com’è successo ai giovanissimi arrestati in questi giorni per
l’omicidio di Genny Cesarano,
con l’omissione (per omertà e
per paura) degli amici più stretti
che non hanno fornito agli inquirenti i dettagli per un arresto rapido del killer protagonista della
“stesa” punitiva.
Un altro dato nuovo, a con-
ferma – per dirla con le parole
del procuratore aggiunto Filippo Beatrice (coordinatore della
Direzione distrettuale antimafia
partenopea) – del loro “ruolo
sempre più centrale” è dato dalla donne capocamorra, situazione già consolidata nel clan dei
Casalesi e ora di pieno regime
nei gruppi criminali napoletani,
come si è visto con l’arresto del
clan Amato-Pagano.
La camorra impiega i bimbi
al di sotto dei 14 anni (la soglia
di età di punibilità penale) per i
propri affari per eludere le maglie
della precaria giustizia penale
borghese. Una volta presi i minorenni gli stessi vengono educati non al gioco ma al crimine,
pronti, dopo pochi anni (tra i 16
e i 18 anni), ad imbracciare una
arma e avviarsi a scalare le vette
della compagine criminale.
La cosiddetta “paranza dei
bambini” denunciata dal giornalista Roberto Saviano, non si
tratta dunque di una invenzione
come sosterrebbe il sindaco
Luigi De Magistris tesa in particolare a far fare guadagni d’oro
a Saviano e denigrare incondizionatamente Napoli, ma una
terribile e atroce realtà. Bambini
e bambine, e minorenni in generale, nei quartieri più poveri crescono a pane e camorra senza
che le istituzioni nazionali e locali in camicia nera riescano a
produrre uno straccio di piano
che risani il territorio e costruisca opportunità di lavoro stabile
e a salario pieno attraverso lo
sviluppo e la nuova industrializzazione. I governi del nuovo
duce Renzi e della sua fotocopia Gentiloni, ma anche il sindaco, stanno condannando intere
generazioni alla criminalità soprattutto nei quartieri più poveri
e disagiati, ma anche quelli del
centro storico come dimostrano
i fatti avvenuti al Pallonetto S.
Lucia dove si è consumato l’ennesimo fallimento dell’amministrazione De Magistris.
Nella lista “Dema” anche ex Pdl e ex FI
De Magistris candida a
Pozzuoli Cossiga, ex UDC
Piano piano si autosmaschera la presunta “rivoluzione arancione” dell’ex pm
‡‡Redazione di Napoli
Sarebbe un “outsider”, secondo la stampa del regime neofascista, il nuovo candidato
per la lista “Dema – democrazia e autonomia”
al comune di Pozzuoli, la ex “piccola URSS”,
alla poltrona di sindaco. Si tratta, invece, di un
riciclato, esattamente un ex UDC, già consigliere comunale nel comune flegreo, il probabile
candidato del movimento vicino a De Magistris,
ossia Alessandro Cossiga, con il padre, Ermanno, già legatissimo al partito di Alfano e Casini.
Con questa candidatura di regime l’ex pm punterebbe a spodestare l’attuale “centro-sinistra”
guidato da diversi anni dall’attuale neopodestà
Figliolia (PD), traghettando gli ex SeL e Sinistra
Italiana in particolare, ma anche alcuni volti noti
al “centro-destra”. Si parla di Pasquale Giacobbe, già consigliere regionale per Forza Italia con
Caldoro presidente e già sindaco di Pozzuoli tra
il 2008 e il 2010 prima dell’avvento di Figliolia.
Si parla dell’ex assessore al Commercio della
giunta Figliolia, il vendoliano Carlo Morra e, in
ultimo proprio di Alessandro Cossiga, legatissimo all’UDC e consigliere comunale a sostegno
della casa del fascio per due legislature municipali a Pozzuoli.
Dovesse venire l’ufficialità (l’unica alternativa
che circola sarebbe Niky della Corte, fuoriuscito dal PD, ex consigliere di maggioranza di Figliolia, ora simbolo di liste civiche e giovanili), la
candidatura di Cossiga a guida del movimento
politico “DeMa” non farebbe altro che squarciare il velo di ipocrisia del neopodestà De Magistris e della sua presunta rivoluzione cittadina
per prestare il fianco nella sua lista alla destra e
alla “sinistra” del regime neofascista.
esteri / il bolscevico 15
N. 5 - 9 febbraio 2017
All’incontro di Astana
Russia, Turchia e Iran si accordano
sul cessate il fuoco in Siria
Il PYD e la YPG curdi non rispetteranno l’accordo. Il governo siriano e parte dell’opposizione negozieranno a Ginevra
Nella conferenza sulla Siria che si è tenuta a Astana, in
Kazakhstan, il 23 e 24 gennaio
Russia, Iran e Turchia hanno
ribadito che “cercheranno, attraverso iniziative concrete, di
utilizzare la loro influenza sulle
parti, per consolidare il regime
di cessate il fuoco, istituito ai
sensi gli accordi conclusi il 29
dicembre del 2016 e sostenuto dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 2336 (2016), al fine
di contribuire a ridurre al minimo le violazioni e la violenza, garantendo il libero accesso umanitario, rapido e senza
intoppi, in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2165
(2014), garantendo altresì la
protezione e la libera circolazione dei civili in Siria “. Le tre
potenze imperialiste si fanno
garanti del mantenimento della tregua in Siria sottoscritta
dal regime di Damasco e una
parte delle opposizioni armate e nel comunicato finale del
vertice assicurano che i patti
stipulati tra le parti siriane e vidimati dall’Onu saranno rispettati.
Il vertice di Astana tra go-
Continuerà la guerra contro l’Is e Al-Nusra
verno di Damasco e opposizioni era il primo passaggio
previsto dagli accordi. Un negoziato indiretto tra le parti siriane con incontri separati guidati dai rappresentanti dei tre
paesi, gli unici firmatari del documento finale.
Russia, Turchia e Iran hanno di nuovo garantito che “non
esiste una soluzione militare
alla crisi siriana, che può essere risolta solo attraverso un
processo politico” basato sulle risoluzioni dell’Onu. Una
volta che gli eserciti di Mosca
e Ankara e le milizie di Teheran avranno raggiunto i propri
obiettivi militari nel paese, ovviamente. Fino a allora sono
piovute bombe russe e turche
e continueranno a piovere perché la tregua non vale per tutti
gli attori sullo scenario siriano:
i tre paesi imperialisti confermavano la loro determinazione
a combattere congiuntamente
lo Stato islamico (IS) e Fatah
Al Sham (ex Al nusra) definite
organizzazioni terroristiche, diverse dagli altri “gruppi armati
dell’opposizione” siriana.
La guerra all’IS resta una
delle priorità di Putin e Erdogan tanto che a metà gennaio
i due paesi firmavano un memorandum per prevenire “incidenti” tra aerei da guerra turchi
e russi, nonché per preparare
“operazioni congiunte in Siria
per distruggere i gruppi terroristici internazionali”. Il 17 gennaio le forze aeree russe e turche effettuavano assieme 36
raid contro l’IS ad el Bab, nella
provincia di Aleppo su obiettivi
concordati dai due Stati maggiori. Un’azione che rappresentava anche un avvertimento alle formazioni curde delle
Forze Democratiche Siriane
(FDS) attive nella zona nonostante il fascista Erdogan abbia più volte chiesto il loro allontanamento da quella che
considera una proprio zona di
influenza. L’azione della Russia contro l’IS si ripeteva il 21
gennaio quando sei bombardieri a lungo raggio Tu-22M3
colpivano vari bersagli nella
provincia di Deir ez-Zor; i bombardieri erano partiti da basi in
Russia.
Il documento firmato da
Russia, Turchia e Iran sottolineava come “l’incontro internazionale di Astana sia una
piattaforma efficace per un
dialogo diretto tra il governo
e la opposizioni come richiesto dalla risoluzione n. 2254
dell’Onu”. Per sottolineare
che la soluzione della crisi siriana era possibile solo sotto
la loro regia e sulla base dei
loro accordi di spartizione del
paese. Annunciava il prosieguo delle trattative “tra il governo e l’opposizione, sotto
gli auspici delle Nazioni Unite, il prossimo 8 febbraio a
Ginevra”. Neanche tre giorni dopo il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov doveva comunicare che l’incontro
era rinviato alla fine di febbraio, incolpando l’Onu del ritardo nell’organizzazione.
I problemi per lo sviluppo
dei negoziati però sono diversi
a cominciare dai diversi obiettivi che hanno il regime di Damasco e i gruppi dell’opposizione. Già prima del vertice il
responsabile della delegazione delle opposizioni siriane
aveva sottolineato che “l’opposizione mira a stabilizzare il cessate il fuoco in maniera completa e a portare avanti
la transizione politica, cominciando dall’uscita di scena di
Bashar Assad e del suo regime”. Quello che era l’obiettivo
iniziale anche della Turchia. Intanto i gruppi che partecipano
ai negoziati puntano a congelare l’offensiva militare di Damasco per evitare la perdita
delle altre parti di territorio che
ancora controllano. Per Assad
i colloqui partiti a Astana dovevano avere come priorità la
resa e l’amnistia per gli oppositori armati. Due posizioni al
momento inconciliabili.
Altra questione non secondaria per lo sviluppo dei negoziati di pace è quella relativa al futuro delle regioni curde
e evidenziata dall’assenza al
tavolo dei negoziati dei rappresentanti della Federazione
democratica del Nord Siria e
delle Forze Democratiche Siriane (SDF). O meglio del Partito dell’Unione Democratica
(PYD) e delle Unità di Difesa
del Popolo (YPG) che ne costituiscono l’ossatura. In una nota
le YPG denunciavano che “il
meeting di Astana è promosso
da Russia, Iran e Turchia, cioè
coloro che sono maggiormente coinvolti in Siria e sono parte delle cause del conflitto siriano. L’unica soluzione per la
Siria è la soluzione democratica ed essa non potrà mai ve-
dere la luce finché tutte le parti
presenti sul campo non saranno sedute attorno al tavolo dei
negoziati.” “Le decisioni prese
ad Astana senza la nostra presenza non porteranno a nessuna soluzione e soprattutto
non saranno vincolanti per noi”
aggiungeva il co-presidente
del PYD Saleh Muslim.
Era l’agenzia iraniana Fars
a dare la notizia che il governo
di Damasco si era detto favorevole a una “soluzione politica
dei problemi curdi attraverso
colloqui politici tra le due parti”. E la stampa russa il 26 gennaio dava notizia che a Astana
la delegazione di Mosca aveva
informalmente presentato una
bozza di Costituzione che garantiva la sovranità e l’integrità
della Siria come Stato multietnico e multiconfessionale. Sta
al popolo siriano decidere se la
Siria “sarà autonoma, una federazione o una confederazione”, garantiva un portavoce del
ministero degli Esteri russo. Intanto però Mosca apriva un tavolo di discussione sulla Costituzione con rappresentanti di
formazioni curde siriane legate ai curdi iracheni di Barzani,
quelli alleati della Turchia.
Piano dell’Ue per respingere i migranti in Libia
“Gestire meglio la migrazione e salvare vite lungo la rotta del Mediterraneo centrale”,
è l’impegno che si è preso la
Comissione europea nel documento messo a punto in vista dei prossimi appuntamenti
europei sul tema dei migranti.
Un impegno che sembrerebbe
“nobile” ma che dietro la facciata nasconde la proposta di
una serie di misure immediate per blindare le coste libiche
e bloccare le partenze dei migranti. Il compito sarà affidato
in prima battuta alle autorità libiche, con i pattugliamenti davanti alle coste e un controllo
rigoroso delle permeabili frontiere del sud del paese con
Ciad e Niger. La Ue li chiama
salvataggi in mare ma sono
respingimenti, o meglio “ritorni
volontari assistiti”.
Il piano è stato presentato
il 25 gennaio a Bruxelles dal-
la Commissione europea e
dall’Alta rappresentante della politica estera Ue, Federica
Mogherini, che ha sottolineato
come al momento siano stati
stanziati 200 milioni di euro per
la formazione e l’equipaggiamento della guardia costiera libica e per “migliorare la condizione per i migranti” sul suolo
libico, una situazione che riconosce essere “molto grave sui
diritti umani, soprattutto delle
donne”.
Il premier laburista di Malta
Jospeh Muscat, presidente di
turno della Ue, aveva lanciato
l’allarme migranti nell’incontro
del 24 gennaio col presidente della Commissione Ue Jean
Claude Juncker: “ci sarà una
nuova crisi di migranti nei prossimi mesi e i numeri potrebbero essere peggiori del 2016”. E
prima ancora che il commissario Ue all’Immigrazione, il gre-
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
FEBBRAIO
1
2-4
4
7
Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil - Cobas del Lavoro Privato –
Telecomunicazioni – Sciopero dei lavoratori delle aziende del
settore telecomunicazioni associate ad Asstel
Osp Sgb - Ost Filt-Cgil - Osr Fit-Cisl – Uilt-Uil - Osr Faisa-Cisal
- Osr Sul-Ct - Sciopero personale del trasporto pubblico
locale con modalità e date differenziate sul territorio
FlmUniti-Cub – Telecomunicazioni – Sciopero personale di
Telecom Italia SpA
OSR Cub-OSR Usb lavoro privato Trasporto aereo – Sciopero
generale dei lavoratori del comparto aereo, aeroporturale ed
indotto degli aeroporti per 4 ore
co Dimitri Avramopoulos, e la
Mogherini illustrassero il loro
progetto aveva esposto quanto
messo a punto in un documento informale della presidenza
maltese in cui si chiedeva agli
Stati membri di pensare “alla
creazione di una linea di protezione” per fermare i migranti
“molto più vicina ai porti di origine, nelle acque territoriali libiche”; una operazione da af-
fidare alle “forze libiche come
operatori di prima linea ma con
un sostegno europeo forte e
duraturo” data la poca affidabilità dell’instabile governo fantoccio del premier al Serraj.
Il documento della Commissione seguiva la stessa traccia
indicando la necessità di definire una doppia “linea di protezione” per impedire ai migranti di sbarcare in Europa.
Il primo muro sul percorso dei
migranti sarà quello messo in
atto dalla guardia costiera di
Tripoli, in acque territoriali libiche. La guardia costiera libica,
il cui addestramento affidato
alla missione europea Sophia
è quasi giunto al termine, avrà
il compito di fermare i barconi alla partenza. Sorvegliate e
appoggiate in acque internazionali dalle navi militari della
Ue. Il secondo muro sarà quello di terra, anzitutto lungo la linea di confine che separa la
Libia dal Niger per cercare di
chiudere una delle vie di transito dei migranti e bloccarli fuori dal paese. Successivamente
la Ue conta di blindare le frontiere sud della Libia anche grazie a accordi di collaborazione con altri paesi africani quali
Mali, Ciad ed Egitto.
In Siria
La Russia ottiene l’uso per altri 49 anni della base
navale di Tartus e di quella aerea di Hmeymim
L’iniziativa
diplomatica
dell’imperialismo russo per
consolidare le posizioni vantaggiose conquistate in Medio
Oriente con l’intervento militare in Siria a sostegno del regime di Assad non si limita ai negoziati che hanno preso il via
con la riunione di Astana del
23 gennaio. Se al momento il
Cremlino è riuscito a mettere
in linea dietro di sé la Turchia
e l’Iran, che sulla spartizione
della Siria hanno progetti differenti, ha pensato comunque
a consolidare la sua presenza
militare nel paese, nella base
navale di Tartus e in quella aerea di Hmeymim.
Un documento pubblicato
il 23 gennaio sul portale d’informazione del governo russo
annunciava che Russia e Siria
avevano firmato un accordo
per l’espansione e la modernizzazione della base navale
russa nel porto siriano di Tartus. “L’attuale accordo ha una
validità di 49 anni e sarà prolungato automaticamente ogni
25 anni, a meno che una delle
due parti non notifichi all’altra,
non meno di un anno prima in
forma scritta e per via diplomatica, della sua intenzione di terminarlo”, era precisato nel documento che sottolineava in
particolare il diritto riconosciuto
dal regime di Damasco alla Federazione russa di avere piena
autorità legale sulla struttura di
Tartus e la concessione dell’uso gratuito. L’accordo prevede
un ampliamento della base in
modo da poter permettere l’attracco e l’assistenza a 11 navi
contemporaneamente, alcune
anche di grandi dimensioni, rispetto alle 4 attuali e di medie
dimensioni.
Se l’accordo per la concessione da parte di Damasco di
Tartus alla Russia vale mezzo secolo con prolungamenti
automatici, quello per la base
aerea ad Hmeymim è valido
a tempo indeterminato. L’accordo tra Siria e Russia sulla concessione della base
aerea risale all’agosto 2015
e rispondeva alla necessità
dell’imperialismo russo di correre in aiuto al regime di Assad colpito duramente dalle milizie delle opposizioni
armate da Turchia e Arabia
Saudita ma soprattutto dalle vittorie dello Stato islamico
che a Raqqa stabiliva la sua
capitale. Di lì a poco scattava l’intervento militare in Siria deciso dal nuovo zar Putin anche per non perdere le
strategiche basi nel paese.
L’accordo con Damasco per
la concessione della base aerea, anche essa a titolo gratuito, è stato perfezionato a fine
2016 e ratificato con un decreto presidenziale firmato da Putin che chiarisce come nella
base comandino i gnerali russi, seppur “in coordinamento con la parte siriana” e che
il personale del gruppo aereo
può “liberamente attraversare
il confine siriano senza essere
soggetto al controllo da parte
delle autorità di frontiera e doganali”.
Se la Russia pensa alle
basi, l’Iran pensa agli affari. Il
17 gennaio Iran e Siria hanno
firmato alcuni accordi economici fra i quali quello che assegna a Teheran la licenza per
operare nel settore della telefonia mobile siriana. Il regime
di Damasco ha inoltre regalato all’Iran i diritti di estrazione
di fosfati dal sito minerario di
Sharqiya e 1.000 ettari di terreno destinati a ospitare terminal di gas e petrolio.
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Gentiloni e il capitalismo, per il socialismo.
Perché solo abbattendo il capitalismo e il potere della
borghesia e instaurando il socialismo con il proletariato al
potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle
donne, la totale parità tra le donne e gli uomini e costruire
un mondo nuovo
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
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Stampato in proprio
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del cielo e devono conquistarsela” Mao Zedong