N.05 data editoriale 9 febbraio 2017
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N.05 data editoriale 9 febbraio 2017
Nuova serie - Anno XLI - N. 5 - 9 febbraio 2017 Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale Presso la sede della Cellula “Mao” di Milano “Terza Nota” intervista Urgo sul PMLI e lo Stato islamico PAG. 11 Milano, 13-12-2016. Un momento dell’intervista di “Terza Nota” ad Angelo Urgo (foto Il Bolscevico) Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa Criticata la Direzione della Cgil per come ha gestito i referendum Cammilli: Occorre un nuovo, unico e grande sindacatoPAG. 12 Verdetto della Corte costituzionale L’Italicum di Renzi è incostituzionale Salvati però la truffa del premio di maggioranza e i capilista bloccati Occorre il proporzionale senza sbarramento Intervenendo al Senato Gentiloni si autoelogia per i soccorsi e l’aiuto ai terremotati La realtA’ lo smentisce Proteste dei terremotati davanti alla Camera. L’abnegazione dei soccorritori ha impedito che il numero dei morti fosse ancor più alto PAG. 2 Andrea Cammilli guida la delegazione nazionale del PMLI alla manifestazione nazionale della Fiom, Roma il 28 marzo 2015 (foto il bolscevico) Raggi indagata per falso e abuso Grillo esalta il fascista Trump e imbroglia i suoi parlamentari Inquisito anche il candidato sindaco M5S a Palermo PAG. 6 PAG. 4 Silenzio assordante di De Magistris De Luca dispone la chiusura anche dell’ospedale San Gennaro dei poveri giovani e disoccupati occupano lo storico nosocomio PAG. 13 Regeni fu assassinato dal regime egiziano La prova decisiva è nel filmato clandestino del giovane ricercatore italiano. Manifestazioni in tutta Italia L’ambasciatore italiano non torni in Egitto PAG. 9 A cena a Montecitorio con l’ex presidente della Camera Fini Arrestato Corallo, il re delle slot machine. C’è di mezzo la casa venduta alla moglie di Fini indagata DIALOGO LETTORI per riciclaggio Il discorso di Scuderi Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi. In carcere anche Laboccetta, ex parlamentare Pdl PAG. 7 “Da Marx a Mao” è “ancorato al passato”? PAG. 12 Gentiloni conferma il generale Del Sette inquisito Mattarella firma il decreto nonostante che il comandante dei carabinieri sia indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento con Luca Lotti nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Consip PAG. 3 All’incontro di Astana Russia, Turchia e Iran si accordano sul cessate il fuoco in Siria Il PYD e la YPG curdi non rispetteranno l’accordo. Il governo siriano e parte dell’opposizione negozieranno a Ginevra Continuerà la guerra contro l’Is e Al-Nusra PAG. 15 2 il bolscevico / interni N. 5 - 9 febbraio 2017 Verdetto della Corte costituzionale L’Italicum di Renzi è incostituzionale Salvati però la truffa del premio di maggioranza e i capilista bloccati Occorre il proporzionale senza sbarramento “Questa legge, che doveva essere esempio per il mondo, se la esportano adesso la devono vendere a un costo minore: è deteriorata”. Con questa efficace espressione l’avvocato Felice Besostri, uno del gruppo di legali ricorrenti contro l’Italicum e già autore del vittorioso ricorso contro il porcellum, ha commentato la sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio, che ha giudicato anticostituzionale la legge elettorale ultra maggioritaria ideata da Renzi e Berlusconi nel famigerato patto del Nazareno di tre anni fa, e poi imposta al parlamento con ben tre voti di fiducia nel 2015. Una legge peggiore del porcellum e perfino della legge fascista Acerbo, che Matteo Renzi si era cucito su misura per consentirgli, in combinazione con la controriforma fascista e piduista del Senato, di conquistare la maggioranza assoluta della Camera e governare il Paese con poteri simili a quelli di Mussolini. Un disegno che gli era apparso a portata di mano dopo l’ottenimento del 41% alle elezioni europee del 2014, e non a caso l’Italicum prevedeva una soglia di voti di quell’ordine di grandezza (35% inizialmente, poi portato a 40%) per assegnare, con un premio di maggioranza del 15%, ben il 54% dei seggi alla Camera, permettendogli così di governare incontrastato e da solo. Anche perché grazie sempre a quella legge il suo potere sarebbe stato rafforzato dai capilista bloccati, da lui personalmente scelti, e candidabili in 10 collegi diversi, escludendo così dal parlamento anche i suoi avversari interni. Ma soprattutto perché, anche in mancanza del raggiungimento della soglia del 40%, il secondo turno di ballottaggio senza soglia gli avrebbe assicurato comunque la vittoria e il premio di maggioranza. Un gliersi i candidati che vuole lui. Anche perché in coda alla sentenza la Corte ha scritto che la legge così come è uscita modificata “è suscettibile di immediata applicazione”. Ovvero che potrebbe essere usata in caso di scioglimento delle Camere anche in mancanza di un’altra legge varata appositamente dal parlamento. Il che ha fatto esultare i tirapiedi di Renzi, come il capogruppo PD alla Camera, Rosato, secondo il quale si può “andare a votare subito”, e come il capogruppo al Senato, Zanda, arrivato addirittura a sostenere che la Corte “ha confermato l’impianto dell’Italicum”. meccanismo truffaldino e sfacciatamente incostituzionale, perché avrebbe permesso ad un partito del 30% come il PD (con il 20% e anche meno del corpo elettorale) di conquistare la maggioranza assoluta in parlamento. L’incostituzionalità del ballottaggio renziano E infatti è stato proprio questo uno dei due motivi di incostituzionalità giudicati validi dalla Consulta (l’altro è stato quello parzialmente accolto sulle pluricandidature). Non poteva essere diversamente, data la macroscopica violazione del principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, che il ballottaggio ideato da Renzi avrebbe comportato: è evidente infatti che con un simile meccanismo il voto degli elettori del PD (o comunque del partito vincente al ballottaggio), cioè il voto di una minoranza, avrebbe contato molto di più di quello del resto dei votanti, cioè della maggioranza. Per questo la bocciatura del ballottaggio, il cuore dell’Italicum, quello che lo stesso Renzi aveva definito “il punto chiave” della legge, veniva data praticamente per scontata dalla maggior parte dei costituzionalisti. E probabilmente anche per questo fu deciso di rimandare la sentenza, inizialmente prevista ad ottobre, a dopo il referendum del 4 dicembre: l’inevitabile bocciatura anche parziale dell’Italicum avrebbe infatti danneggiato la campagna renziana per il Sì. Il governo Gentiloni, fotocopia di quello di Renzi, ha tentato invano di salvare la legge, tramite l’avvocatura dello Stato che aveva chiesto di respingere Renzi sogna la rivincita in blocco tutti gli undici motivi di incostituzionalità presentati. Tuttavia la Consulta, pur bocciando il ballottaggio, ha salvato il premio di maggioranza al raggiungimento del 40% dei voti, nonché i capilista bloccati. Con solo una modifica alle pluricandidature in 10 collegi, che si potranno sempre fare, ma il capolista non potrà scegliere a sua discrezione dopo il voto il collegio preferito, il quale andrà invece estratto a sorte tra quelli in cui risulta eletto. È su questi punti – premio di maggioranza, capilista bloccati e pluricandidature – che la Corte si è maggiormente divisa, tanto che la sentenza ha richiesto più tempo del previsto, e alla fine la posizione dei due giudici fatti eleggere da Renzi, Amato e Barbera, sono riusciti a strappare un vantaggioso compromesso per il nuovo duce. Consegnandogli, come è stato rilevato da molti commentatori, una pistola carica per andare velocemente alle elezioni e sce- Lo stesso Renzi ha incassato la sentenza della Consulta come una vittoria, inaugurando per l’occasione il suo blog personale al modo di Grillo (ma con i colori celeste e bianco di Forza Italia), in cui ha postato subito la parola d’ordine della sua campagna elettorale: “Il futuro, prima o poi, torna”. Il nuovo duce vuole cioè tornare a Palazzo Chigi sull’onda di una sognata legittimazione elettorale, da ottenere con elezioni subito, questa stessa primavera, ad aprile o al massimo l’11 giugno. Con il Mattarellum, se anche gli altri partiti ci stanno, oppure anche con l’Italicum sforbiciato dalla Consulta. Magari per “tornare” appunto a fare il premier in tempo per presenziare al G7 di Taormina del prossimo 27 maggio. Non gli è bastata la sberla del 4 dicembre, che si è già messo alle spalle, e sogna ancora di “ripartire” dal 40% di Sì al referendum come se si traducesse automaticamente in voti per lui: “Ma anche quella sconfitta ap- Tramite il pennivendolo anticomunista Michele Smargiassi partiene al passato. E ci sono milioni di italiani, milioni, che hanno votato ‘sì’ e che vogliono vedere tornare il futuro”, ha scritto infatti sul blog. Insieme a lui premono per andare subito al voto con l’Italicum dimezzato anche Grillo e Salvini, mentre tutti gli altri nicchiano, e si aggrappano alle indicazioni di Mattarella che prima di sciogliere le Camere chiede al parlamento di “armonizzare” le leggi elettorali di Camera e Senato, che ora come ora sarebbero parecchio diverse, rendendo impossibile la formazione di una maggioranza. Il Senato infatti non ha premio di maggioranza, le soglie di sbarramento sono più alte (8% per i partiti che corrono da soli e 3% per quelli coalizzati), e sono possibili le coalizioni di partiti, con uno sbarramento del 20%. La sinistra del PD è contraria ad andare a votare in queste condizioni, ma solo perché sa che Renzi la farebbe fuori dalle candidature sicure. E anche Berlusconi, al quale pure vanno benissimo i capilista bloccati perché se li può scegliere a piacimento, è contrario alle elezioni subito perché vuole aspettare prima la sentenza della Corte di Strasburgo che potrebbe giudicarlo di nuovo candidabile. Per quanto attenuato nei suoi effetti perversi, l’Italicum così modificato dalla Corte costituzionale è invece da respingere risolutamente e per principio, perché resta comunque una legge maggioritaria del tutto simile al porcellum (salvo che quest’ultimo non aveva una soglia per il premio di maggioranza), e perché consente alle segreterie dei partiti parlamentari di scegliere i candidati più fidati e servili. La legge elettorale deve essere invece un proporzionale puro, e senza soglie di sbarramento per entrare in parlamento. Bugie de “la Repubblica” sulla Commemorazione di Lenin a Cavriago Dal nostro corrispondente dell’Emilia-Romagna Il quotidiano “la Repubblica” si conferma ancora una volta tra i capofila dei giornali anticomunisti, infatti non solo non ha dato notizia dello svolgimento della grande Commemorazione di Lenin che si è svolta domenica 22 gennaio a Cavriago nel 93° Anniversario della scomparsa, mentre sono stati tanti i giornali nonché i siti internet e le televisioni che hanno realizzato interviste e servizi poi pubblicati e mandati in onda, ma addirittura si è fatto beffa della rossa iniziativa citandola con appena un paio di righe all’interno di un articolo, pubblicato a pagina 12 dell’edizione del 30 gennaio, di una intera pagina sulla disaffezione dei giovani di Cavriago dalla politica in generale e dal PD in particolare. E lo ha fatto tramite la penna velenosa di Michele Smargiassi, ex giornalista de “l’Unità”, che l’ha liquidata con: “Dieci giorni fa era l’anniversario della sua morte (di Lenin, ndr), è arrivato il solito pullman di devoti con le bandiere rosse … Ai piedi della statua, 2 mazzolini di fiori artificiali un po’ polverosi”. “La Repubblica” non si smentisce, e in così poco spazio riesce a dire così tante bugie. Proprio servendosi dell’autore del libro “Un’autentica bugia: la fotografia, il vero, il falso”. A riprova della non credibilità dei pennivendoli della borghesia anticomunisti. Intanto non si è trattato certo del “solito pullman di devoti” ma di una larga partecipazione di compagni del PMLI giunti da varie città della Regione, della Lombardia, del Piemonte e della Toscana, oltre a compagni del PCI, PRC, lista “Cavriago città aperta” e di molti cavriaghesi e reggiani. Fin dall’inizio i compagni già presenti in piazza sono stati circondati dalla simpatia della popolazione e hanno registrato con soddisfazione la confluenza dalle varie vie che conducono a piazza Lenin dei tanti cavriaghesi desiderosi di essere presenti a questa commemorazione, a conferma di quanto ampia sia stata anche la presenza di sostenitori locali di Lenin. E poi dove avrà visto Smargiassi i “2 mazzolini di fiori artificiali un po’ polverosi” non si sa, visto che il PMLI.EmiliaRomagna e l’Organizzazione di Modena del PMLI hanno depositato ai piedi del busto 2 bellissimi mazzi di fiori rossi freschi, tra l’altro il busto è tenuto sempre in ordine dall’attuale “custode” volontario Silvano Morini, presente da anni alla Commemorazione e che proprio in questa occasione è stato chiamato accanto agli oratori ufficiali e ha ricevuto un grande e meritato applauso. Infine Smargiassi si è ben guardato dal dire che ad organizzare la manifestazione è stato, come fa da oltre 10 anni, il PMLI.Emilia-Romagna, affiancato da 2 anni dal PCI (prima PdCI), e in questa occasione anche dal PRC e dalla Lista “Cavriago città aperta” che hanno svolto anch’essi un intervento, evidentemente ha paura che citando il PMLI e una manifestazione che ricorda gli insegnamenti di Lenin possa attirare l’attenzione dei lettori sul nostro Partito e sul socialismo; il black out della gran parte dei mezzi di informazione potrà certamente rallentare lo sviluppo del PMLI ma non fermarlo, perché come dimostra anche la Commemorazione di Lenin, che cresce anno dopo anno, l’incontro tra il PMLI e i veri comunisti non può essere evitato, se ce la mettiamo tutta per dare al PMLI un corpo da Gigante Rosso! Cavriago (Reggio Emilia), 22 gennaio 2017. Al termine della Commemorazione di Lenin per il 93° Anniversario della scomparsa il PMLI depone due mazzi di fiori ai piedi del busto di Lenin rispettivamente a nome del PMLI. Emilia-Romagna e dell’Organizzazione di Modena del PMLI. A sinistra il compagno Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’Emilia-Romagna (foto Il Bolscevico) interni / il bolscevico 3 N. 5 - 9 febbraio 2017 Come risulta dalla nota trimestrale di Istat, Inps, Inail e ministero del Lavoro I contratti a termine superano quelli stabili Nella seconda metà del 2016 cala l’occupazione, cresce il precariato e l’utilizzo dei voucher, penalizzati soprattutto i giovani Un nuovo metodo è stato seguito dall’Istat e prevede l’integrazione delle rilevazioni dell’istituto nazionale di statistica incrociate con quelle di Inps, Inail e ministero del Lavoro. I risultati però non cambiano e decretano ancora una volta il fallimento del Jobs Act sul piano occupazionale. La martellante propaganda di Renzi sugli effetti “miracolosi” di questa controriforma si scontrano con la realtà dei fatti. Lo hanno capito bene le masse popolari che il 4 dicembre non solo hanno difeso la Costituzione respingendo il disegno fascista del nuovo duce, ma hanno sonoramente bocciato la politica economica del suo governo e il Jobs Act in particolare. Stavolta sono i dati trimestrali sull’occupazione diffusi dall’Istat a fine anno a smontare un ulteriore pezzo del castello di menzogne costruito da Renzi. Nel terzo trimestre 2016 le assunzioni a termine superano di gran lunga quelle stabili. Nei primi sei mesi dell’anno erano prevalse le assunzioni a tempo indeterminato, anche se bisogna sempre ricordare come la forma dei contratti a tutele crescenti introdotte dal Jobs Act non sono rapporti stabili come nel passato perché lasciano per i primi tre anni la possibilità ai padroni di licenziare liberamente il lavoratore attraverso il pagamento di un misero indennizzo. Tendenzialmente, ossia in rapporto all’anno precedente, rimane una lieve crescita generale pari a 239 mila occupati in più ma nella seconda parte del 2016 questo processo si è arrestato e l’occupazione comincia a calare e a cambiare tipologia. Nei mesi luglio-agosto-settembre si registrano 93mila nuovi contratti di assunzione ma balza subito agli occhi la sproporzione tra quelli a tempo indeterminato, che sono 10mila e di quelli a termine che sono 83mila. In termini numerici, nonostante gli sforzi propagandistici del governo, rimane più o meno tutto fermo e non deve trarre in inganno l’aumento percentuale degli occupati salito di alcuni punti percentuali. Questo è dovuto in una certa misura all’invecchiamento della popolazione che ha ridotto la consistenza della fascia di età tra i 15 e i 64 anni. La riduzione degli inattivi la si deve in gran parte alla legge Fornero che nega la pensione ben oltre i 64 anni. Tutto questo incide sulla disoccupazione giovanile che infatti continua ad aumentare ed è la più alta in Europa, seconda solo alla Grecia. Tra gli under 35 l’occupazione scende sia rispetto al trimestre precedente (-1,1%) che sull’anno (-0,6%). Rispetto al periodo aprile-maggio-giugno gli occupati di questa fascia d’età sono arretrati di altre 55 mila unità. Rispetto al trimestre precedente (dati congiunturali) si registra un aumento del lavoro dipendente, mentre quello autonomo è in forte calo. Se andiamo a guardare i diversi settori vediamo che il saldo dell’industria rimane invariato mentre il lavoro indipendente registra un calo dell’1,5%, pari ad 80 mila occupati in meno. L’unico aumento lo abbiamo nel terziario e sopratutto negli alberghi, nella ristorazione e nel commercio (+1,1%). Particolari settori dove il precariato raggiunge i massimi livelli, il che fa presupporre che sia di questo tipo la nuova occupazione che si è creata. L’ulteriore sviluppo del precariato è confermato dall’ennesimo aumento dell’uso dei voucher. Nei primi 9 mesi del 2016 ne sono stati venduti 109,5 milioni, il 34,6% in più rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. I dati sui buoni lavoro sono comunque da prendere con le molle perché il numero mediano di voucher riscossi dal singolo lavoratore che ne ha usufruito è 29 nell’anno 2015: ciò significa che i prestatori di lavoro accessorio hanno riscosso me- diamente voucher per 217,50 euro netti. Numeri inverosimili a fronte della loro reale diffusione a dimostrare come questo strumento, già di per sé elusivo di molti diritti, serve a coprire una larga fetta di lavoro completamente a nero. Un altro dato allarmante è quello sugli infortuni che aumentano dell’1,1% rispetto all’analogo trimestre del 2015. L’Istat rileva che ciò è in linea con l’aumento dell’occupazio ne tendenziale. Anche se così fosse significa che sulla prevenzione degli incidenti sul lavoro non si è fatto nessun passo in avanti. Ma il dato forse più eloquente è quello sull’andamento delle richieste di nuove assunzioni rispetto all’entrata in vigore del Jobs Act, in particolare di quelle a tempo indeterminato, pur sempre nelle limitazioni del contratto a tutele crescenti. Ebbene, l’incremento più significativo è concentrato nell’ultimo trimestre del 2015 e, con un effetto trascinamento, si protrae nel primo del 2016 per poi declinare sempre di più fino alla situazione attuale dove predomina il contratto a termine. Un andamento strettamente legato agli sgravi fiscali che il governo ha generosamente erogato ai padroni. Come abbiamo più volte denunciato, e non siamo solo noi, l’aumento, seppur modesto, dell’occupazione successivo al Jobs Act è dovuto essenzialmente a questi denari pagati dalla collettività che nel 2015 ammontavano a oltre 8mila euro per ogni singola assunzione, ridotti a poco più di 3mila nel 2016 e che nel 2017 termineranno. Anche la Cgil della Camusso ricorre sistematicamente ai voucher I voucher vengono oramai utilizzati in tutti i settori e da tutti i soggetti, anche da chi a parole li ripudia. È venuto alla luce come la Cgil, che ha richiesto un referendum per abolirli, utilizzi questo strumento per pagare chi lavora occasionalmente in alcune delle sue strutture. O meglio, questo è quanto sostiene il sindacato, perché risulterebbe invece che ne faccia un ricorso sistematico. A denunciarlo è il presidente dell’Inps Tito Boeri in un’intervista a Repubblica secondo cui nell’ultimo anno la Cgil ha utilizzato voucher per un valore di 750 mila euro. Boeri accusa di ipocrisia non solo la Cgil ma anche gli altri sindacati, ad esempio la Cisl ne ha utilizzati il doppio, per un valore di 1milione e mezzo di euro. C’è anche un attacco alle pensioni dei sindacalisti che, grazie ad alcune falle nella legislazione, tramite appositi versamenti, possono aumentarsi la pensione negli ultimi anni di attività, come ci ricorda la scandalosa vicenda dell’ex segretario della Cisl, Bonanni. Tutte cose vere anche se sono state tirate fuori ora in maniera tutt’altro che disinteressata. Boeri pesca adesso dal cassetto i dati perché è favorevole ai voucher e auspica solo risibili “aggiustamenti” da parte del governo, così da giustificare l’eliminazione del relativo referendum. Comunque il loro utilizzo da parte della Cgil, oltre ad essere un comportamento ipocrita, si dimostra anche un clamoroso errore politico: chiedere l’abolizione dei voucher e poi utilizzarli nelle proprie strutture è stato un clamoroso autogol. E non siamo neanche convinti che la Cgil voglia veramente abolirli. Basta leggere la dichiarazione dello SPI (la categoria più coinvolta nell’utilizzo dei voucher) “da parte nostra – afferma il sindacato dei pensionati – non c’è alcuna ipocrisia visto che la Cgil nella sua proposta di legge Carta dei diritti universali del lavoro agli articoli 80 e 81 propone l’introduzione di norme volte a regolamentare il lavoro subordinato occasionale e accessorio”, quindi più che abolirli li vuole solo modificare. Vogliamo aggiungere che la categoria degli ipocriti (termine usato ripetutamente da Boeri) è molto ampia. Ad esempio ne fanno parte anche i sindaci di Napoli e Torino, dove il falso rivoluzionario De Magistris e la pentastellata Appendino si fanno paladini, a parole, della battaglia contro questo strumento di lavoro nero legalizzato e poi nella pratica le loro amministrazioni sono tra quelle che ne fanno più largo uso. Lo stesso Boeri è un altro ipocrita perché potrebbe fornire altri dati in suo possesso, ad esempio sarebbe interessante sapere quali sono i grandi utilizzatori dei voucher. Ma per loro forse vale la legge sulla privacy. Gentiloni conferma il generale Del Sette inquisito Mattarella firma il decreto nonostante che il comandante dei carabinieri sia indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento con Luca Lotti nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Consip Come primo atto del 2017 il governo di matrice renziana antipopolare, piduista e fascista guidato da Gentiloni ha confermato per un altro anno Tullio Del Sette alla carica di comandante generale dei Carabinieri, quantunque costui sia stato iscritto lo scorso 17 dicembre dalla procura di Roma sul registro degli indagati per favoreggiamento e rivelazione di segreto istruttorio nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti truccati e soffiate alla Consip (la centrale unica degli acquisti della pubblica amministrazione controllata dal Tesoro) insieme al generale dei carabinieri Emanuele Salta- lamacchia, comandante della Legione Toscana. Nello stesso procedimento risulta imputato degli stessi reati il braccio destro di Renzi Luca Lotti, già sottosegretario alla Presidenza del consiglio, attuale ministro allo sport e aspirante alla delega sui servizi segreti con Gentiloni. Il generale Del Sette, 66 anni a maggio, già capo di Gabinetto del ministro della Difesa Roberta Pinotti, era stato nominato da Renzi per due anni a dicembre del 2014. La proroga era già pronta il 22 dicembre scorso ma il suo contemporaneo coinvolgimento nell’inchiesta aveva momentaneamente costretto Gentiloni a rimandarla ma solo di qualche settimana. Del Sette per la verità nei giorni scorsi aveva anche offerto le proprie dimissioni, ma il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della guerra Roberta Pinotti e senza il minimo imbarazzo da parte del capo dello Stato Mattarella che ha subito controfirmato la nomina, ha prorogato il suo incarico insieme a quello del capo di Stato Maggiore della Difesa Claudio Graziano e del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Danilo Errico. L’inchiesta sugli appalti Consip che tra l’altro chiama in causa vari boss del cosiddetto “Giglio Magico” renziano tra cui anche il padre, Tiziano Renzi, che al momento non risulta indagato, ma il cui nome fa spesso capolino tra i vari fascicoli d’indagine. Il paradosso è che adesso, per decisione del governo, i carabinieri sono chiamati a svolgere indagini e accertamenti sul loro comandante generale, calpestando il dettato costituzionale e le leggi vigenti che regolano il reclutamento degli ufficiali nelle Forze armate e esigono che l’aspirante ufficiale deve “essere in possesso di qualità morali e di condotta incensurabili” e ovviamente libero da qualsiasi altro carico penale pendente. Luca Lotti, attuale ministro allo sport, si intrattiene affabilmente con il generale Del Sette confermato comandante generale dei Carabinieri 4 il bolscevico / interni N. 5 - 9 febbraio 2017 Intervenendo al Senato Gentiloni si autoelogia per i soccorsi e l’aiuto ai terremotati. La realtA’ lo smentisce Proteste dei terremotati davanti alla Camera. L’abnegazione dei soccorritori ha impedito che il numero dei morti fosse ancor più alto Mentre nelle regioni del Centro Italia flagellate dal terremoto e dal maltempo si piangono ancora i 5 morti assiderati nel teramano e nel pescarese, le 6 dell’elisoccorso di Campofelice e soprattutto le 29 vittime dell’Hotel Rigopiano su cui la procura di Pescara ha aperto un’inchiesta per indagare proprio il criminale ritardo con cui la catena di comando dei soccorsi si è attivata; nonostante a due settimane dall’evento si contano ancora a decine i paesi non raggiunti dai soccorsi con intere popolazioni abbandonate a se stesse stretti nella morsa di gelo e neve che in molte località ha superato i tre metri di altezza e le continue scosse di assestamento rischiano di provocare nuovi crolli e ulteriori ingenti danni all’economia e soprattutto al bestiame rimasto intrappolato sotto le centinaia di stalle e capannoni rasi al suolo; il 25 gennaio il premier Gentiloni durante la sua audizione al Senato ha avuto la sfrontata faccia di bronzo di autoelogiarsi per l’aiuto prestato con un “rilevante dispiegamento di uomini e mezzi coordinati dalla Protezione civile”. In un’aula praticamente deserta, che la dice lunga su quanto governo e parlamento abbiano a cuore la difficile situazione che stanno vivendo le popolazioni colpite, Gentiloni ha furbescamente strumentalizzato l’abnegazione dei soccorritori che, pur privi di mezzi e risorse, con turbine e spazzaneve impossibilitati a muoversi perché privi di manutenzione, senza cate- ne e perfino senza carburante, non si sono dati per vinti e hanno inforcato gli sci e pelli per raggiungere le persone in difficoltà e impedire che il numero dei morti non fosse ancora più alto. “Siamo orgogliosi dei nostri soccorritori, sono cittadini italiani esemplari: forte e unanime deve essere il sentimento di riconoscenza per le 11mila persone intervenute che si prodigano per salvare vite” ma, ha attaccato subito dopo Gentiloni, insieme ai lutti e alle vite salvate: “Rimarranno impresse le immagini dello Stato che mobilita tutte le proprie energie... Credo che sia stato messo in atto ogni sforzo possibile dal punto di vista umano, organizzativo, tecnico per cercare di salvare i dispersi. Davanti alla concatenazione degli eventi in una crisi senza precedenti, il dispiegamento delle forze, coordinate dalla Protezione Civile, è stato molto rilevante”. Nel tentativo di scrollarsi di dosso ogni responsabilità circa il criminale ritardo con cui sono stati inviati i primi soccorsi e del perché è stata completamente ignorata l’allerta meteo lanciata una settimana prima degli eventi, Gentiloni ha aggiunto: “È giusto a livello di governo verificare in questa dinamica quanto abbiano inciso le circostanze eccezionali e quanto ciò abbia messo in luce problemi più generali di manutenzione. Se ci sono stati ritardi e responsabilità saranno le inchieste a chiarire. Il governo non teme la verità che serve a fare meglio e non ad avvele- Roma., 25 gennaio 2017. La forte e combattiva protesta dei terremotati del Centro Italia sotto Montecitorio nare i pozzi. Io che condivido la ricerca della verità non condivido la voglia di capri espiatori e giustizieri anche perché la storia è lesta a trasformare i giustizieri in capri espiatori. Al di là di singoli errori che le inchieste accerteranno - ha proseguito - abbiamo mostrato una capacità di reazione del sistema all’altezza di un grande Paese, non a caso abbiamo un sistema di Protezione civile all’avanguardia: non è di destra o sinistra, di questo o quel governo, è un patrimonio italiano che dobbiamo tenerci stretto. La prossima settimana - ha concluso Gentiloni - vareremo un decreto. Nessuno immagini che sia un ritorno all’indietro, sarà un passo avanti e molto mirato nei suoi obiettivi”. Il decreto, ha spiegato il premier, “sarà mirato a intervenire in alcuni punti e gangli l’accumulo di ritardi che finora non ci sono stati ma possono accumularsi nei prossimi mesi e che possiamo prevenire... Le risorse ci sono: 4 miliardi nella legge di bilancio e altri ci saranno come ho anticipato personalmente al presidente della commissione europea Jean Claude Juncker”. Parole a dir poco vergognose e inaccettabili; che mistificano oltre ogni limite la realtà dei fatti e cozzano sfacciatamente con la contemporanea manifestazione di protesta organizzata da centinaia di terremotati riuniti nel comitato spontaneo “Quelli che il terremoto...” che sono sfilati in corteo da Piazza Santi Apostoli a Montecitorio. Da Amatrice ad Arquata, da Accumoli a Capo d’Acqua, in tanti si sono ritrovati in piazza, a cinque mesi di distanza dalla prima grande scossa di agosto, tra abbracci, occhi lu- cidi e tanti striscioni e cartelli di protesta contro i governi Gentiloni-Renzi e il commissario Errani in cui si legge: “dal 24 agosto l’unica cosa che si è mossa è la terra sotto i nostri piedi”; “avete detto ‘non vi lasceremo soli’ e noi non vi daremo tregua”; “uno Stato incapace” di soccorrere le popolazioni ma “capace di trovare i soldi per le banche”; “i fondi per la ricostruzione sono bloccati e da alcuni paesi non hanno ancora spostato una pietra. Vergogna”; “dopo 5 mesi solo desolazione e colpevole abbandono”; “la burocrazia uccide più del terremoto”, “Montanari sì, fessi no. Nessuno faccia il furbo” e “Ad Amatrice la scossa, a Roma datevi una mossa”. “Siamo qui per manifestare la nostra amarezza – spiega uno degli organizzatori della protesta - per come è stata gestita tutta questa emergenza. Siamo molto arrabbiati e per tanti motivi. Che fine hanno fatto i soldi versati per solidarietà dagli italiani? Dove sono le casette e i moduli abitativi che ci avevano promesso? Non possiamo più aspettare chiacchiere e parole, vogliamo finalmente i fatti”. In lotta ci sono anche gli studenti de L’Aquila, sostenuti dai genitori e dagli insegnanti, per chiedere scuole sicure dal momento che a distanza di quasi 8 anni dal terremoto gli edifici che li ospitano non sono stati messi in sicurezza e presentano alti rischi di vulnerabilità sismica. Sotto le finestre di Montecitorio i manifestanti hanno organizzato una specie di conferenza stampa per illustrare la grave situazione che ancora vivono migliaia di terremotati. Ma dal governo non si è fatto vedere nessuno. “All’incontro sono mancati gli attori principali di questa situazione, i rappresentanti del governo e il commissario Vasco Errani”, commenta con amarezza il rappresentante dei paesi colpiti nel territorio marchigiano, il quale non si dà certo per vinto e avverte che: “se le nostre proposte cadranno nel vuoto, torneremo a manifestare, con forme più forti e incisive di protesta”. Mentre un altro manifestante al termine del sit-in commenta: “Quando i politici dicevano che non ci avrebbero lasciati soli, mi era venuto il dubbio che non fossero sinceri, ma mai mi sarei aspettato di vedere una disorganizzazione del genere”. Scioperi e proteste per le scuole al gelo Serve una grande mobilitazione studentesca per invertire lo sfacelo della scuola pubblica Oltre dieci anni di tagli ininterrotti e pesanti sforbiciate alla scuola pubblica ora si fanno sentire anche mettendo a rischio la salute degli studenti in classe: mentre il freddo travolge tutta Italia da nord a sud, isole comprese, numerose scuole non possono permettersi il riscaldamento e le aule dove gli studenti devono rimanere seduti immobili per diverse ore restano così esposte al “gelicidio”. In certi casi gli studenti si arrangiano indossando i giubbotti o portandosi da casa borse termiche o addirittura stufette, pagate naturalmente dai genitori. In altri, sempre più numerosi, si ribellano a questa situazione inaccettabile. Il caso di Roma è emblematico: nelle scorse settimane, nella Capitale gli studenti del liceo “Galilei” all’Esquilino dopo la ricreazione si sono rifiutati di rientrare per il freddo eccessivo. E non sono stati gli unici: proteste simili si sono svolte in altri istituti della Capitale. I genitori del “Plinio Seniore” hanno protestato in prima persona. Al “Righi”, invece, è stata la scuola stessa a far uscire gli studenti per via del clima. Anche quest’ultimo provvedimen- to, benché appropriato per tutelare la salute degli studenti, è comunque grave perché rivela che la situazione è ormai insopportabile. A Messina, addirittura, sono state chiuse ben undici scuole per il medesimo motivo. In certi istituti il riscaldamento non c’è proprio. Le proteste, iniziate in realtà già a dicembre, con la fine delle ferie natalizie e il ritorno a scuola si sono allargate a macchia d’olio in tutta la penisola e le isole. A conferma di quanto il problema sia diffuso su tutto il territorio nazionale. In certi casi, le autorità scolastiche sono arrivate al punto di ricorrere a misure disciplinari per reprimere gli studenti che protestavano per il più che basilare diritto di fare lezione al caldo. È il caso, per esempio, della preside dei licei “Nicolosio” di Recco e “Da Vigo” di Rapallo, in Liguria, che ha scritto una circolare per stigmatizzare lo sciopero degli studenti definendo “ottimale” il riscaldamento. La Rete degli Studenti medi riferisce che un simile provvedimento si è abbattuto sugli studenti di alcuni istituti toscani, come il liceo “Cicognini-Rodari” di Prato, che si rifiutavano di entrare a scuola perché la temperatura era andata sotto i 14 gradi garantiti dal sindaco Biffoni, benché il minimo per legge sia di 18 gradi. Tra dirigenti scolastici, uffici scolastici regionali, sindaci e province è uno scaricabarile reciproco. Alla fine, però, senza nulla togliere alle responsabilità individuali dei presidi Una recente manifestazione di studenti contro le aule senza riscaldamento. Qui siamo a La Spezia che sanzionano gli studenti in lotta per studiare in condizioni dignitose, la causa sta nelle politiche dissennate perseguite a livello nazionale e locale ai danni della scuola pubblica. Un altro caso emblematico si ritrova a Carbonia, in Sardegna, dove gli studenti dell’istituto tecnico-commerciale “Cesare Beccaria” si sono rifiutati di fare lezione nel gelo delle loro aule; da tempo si sarebbero dovuti trasferire in un edificio più idoneo, ora occupato però dagli studenti della scuola media della cittadina dopo il crollo del tetto di quest’ultima. Il presidente della provincia di Rieti e rappresentante dell’Upi (Unione province italiane), Giuseppe Rinaldi, ha sottolineato che “i tagli imposti alle province dalle manovre economiche sono insostenibili perché hanno effetti disastrosi sui servizi ai cittadini”. Chiaramente quindi il problema alla base è costituito dall’autonomia scolastica, che di fatto è la fine del finanziamento statale perché lascia ogni istituto alla mercé del mercato e costretto a ricercarsi da sé i fondi, dai tagli all’istruzione pubblica e anche dai tagli agli enti locali, che do- vrebbero occuparsi della manutenzione delle scuole. Tutto mentre si continuano a far piovere soldi per salvare le banche, pagare le spese militari e, ancora più grave, finanziare le scuole private mentre quelle pubbliche restano al gelo. Le studentesse e gli studenti hanno tutto il diritto di continuare la loro lotta attraverso il blocco della didattica, le manifestazioni, i picchetti e ogni altro metodo di lotta ritengano opportuno per rivendicare i dovuti lavori per rendere pienamente funzionanti gli impianti di riscaldamento. Al contempo l’ennesima e gravissima conseguenza dello sfacelo della scuola pubblica dimostra che è più che urgente dare vita a una grande mobilitazione per conquistare la scuola pubblica, unitaria, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti. Cominciando col costruire un governo alternativo delle scuole per controbattere colpo su colpo ai provvedimenti delle autorità scolastiche, elaborare proprie proposte da imporre con la mobilitazione, e lottare per conquistare gradualmente il diritto di autogestire i servizi scolastici. tragedia di rigopiano / il bolscevico 5 N. 5 - 9 febbraio 2017 L’allarme degli esperti non ne impedì l’ampliamento Le istituzioni sapevano che l’hotel Rigopiano era a rischio valanghe Condannare i governanti, gli amministratori e tutti i responsabili del disastro e dei 29 morti Nonostante dall’Ordine dei Geologi della Regione Abruzzo, all’indomani della sciagura, sia arrivato l’invito a non rilasciare dichiarazioni prima di poter effettuare riscontri sul sito libero dalla neve, due geologi diffusero immediatamente le loro ricostruzioni sulla valanga che ha sepolto l’hotel Rigopiano. Secondo i due esperti, con alle spalle 35 anni di studi, e una vita spesa in montagna, il rischio in quel luogo era fin troppo evidente poiché l’hotel era sito “Alla base di un canalone alto 1.000 metri, con due grandi nicchie di distacco evidenti anche a un giovane osservatore”. Non si doveva costruire nulla dunque, specie un hotel a 4 stelle. “È una questione di rischio. In una scala da 1 a 10 il rischio per me era 9. Punto”, ha dichiarato Paolo Monaco. “La baita raffigurata da qualcuno in foto antiche negli anni 20, poi 50 e 70 veniva usata raramente dal Cai e da poche persone esperte. Non certo per turismo di massa”. ricolosità dell’area era ben nota e, conseguentemente, la strage praticamente annunciata. La Commissione e l’ampliamento nonostante i pareri degli esperti Secondo i verbali della Commissione valanghe del comune di Farindola, istituita nel 1999 e per qualche plurimo, il nome del resort Rigopiano non appare. Infatti il vecchio alberghetto estivo viene comprato, ristrutturato e ampliato, generando il resort oggi sepolto dalla valanga, tra il 2006 e il 2007 proprio quando il Comune ritenne con decisione incomprensibile di disfarsi dello “strumento” Commissione. Nelle carte si trovano decine di elementi già raccolti e ben evidenziati, che avrebbero dovuto mettere in guar- senza di neve. L’ultimo verbale della commissione è datato 24 febbraio 2005, e in quell’occasione, contrariamente alla posizione della Provincia del marzo 2003, si dice: “La volontà politica del Comune di Farindola è quella di tenere sgombera dalla neve la provinciale fino alla località Fonte Vetica, al fine di non precludere le attività legate al turismo invernale nella zona”. Fonte Vetica ospita un rifugio e si trova sul Terremoto e valanghe A lungo si è cercato di correlare la valanga alle scosse sismiche di alto impatto rilevate nei giorni precedenti in regione, con l’intento di attribuire la sciagura al solo intrecciarsi di condizioni atmosferiche particolarmente ed eccezionalmente avverse; tuttavia secondo molti esperti, a svariate ore di ritardo è scientificamente impossibile che un terremoto possa innescare una valanga. Per altri invece sarebbe possibile ma nessuno ha evidenziato un collegamento stretto e certo in questo caso. La cosa invece certa è che nevichi a gennaio in un territorio prevalentemente montuoso come l’Abruzzo, come è altrettanto chiaro che le slavine rientrano nella “normalità” di grandi nevicate, e le grandi nevicate Appenniniche non sono un fatto nuovo. Oggi tutto ciò che accade, in particolare a carattere meteorologico, viene definito “emergenza” e con ciò si vorrebbe attribuire tutta la responsabilità delle conseguenti sciagure al fato, ad avvenimenti straordinari ed incontrollabili. Ma in realtà, quanto si fa a carattere preventivo, in termini di strutture e sicurezza, affinché siano ridotti al minimo gli impatti e le conseguenze sulla popolazione? Nel caso dell’hotel Rigopiano ben poco si è fatto in tanti anni e, oltre alle dichiarazioni dei due geologi, c’è molto di più a supportare i dubbi secondo i quali la pe- I soccorsi al lavoro sulla valanga di neve che ha seppellito quello che resta dell’hotel di Rigopiano “oscuro” mistero sciolta nel 2005, appare chiaro che il resort di lusso è stato costruito su un versante montano conosciuto per essere “soggetto a slavine” e collegato da una viabilità provinciale che d’inverno è sempre stata più chiusa che aperta. Ecco cosa scriveva la guida alpina Pasquale Iannetti, appena nominato consulente della neonata commissione: “La zona (Rigopiano, ndr) deve essere tenuta sotto stretto controllo”. Era il 18 marzo 1999. “Vero è che si ha memoria di un fenomeno rilevante risalente al 1959, ciò non deve essere considerato un fatto che non si possa ripetere”. Ed ancora: “Con questi dati la Commissione valanghe potrà fornire indicazioni certe affinché per il futuro si possa garantire la sicurezza delle infrastrutture alberghiere, delle strade e dei parcheggi di Rigopiano (…) In merito alla possibilità di caduta di masse nevose, slavine o valanghe nell’area di Rigopiano, non vi è dubbio che sia il piazzale antistante il rifugio Acerbo (a poche decine di metri dall’albergo, ndr), che la strada provinciale che porta a Vado di Sole, possano essere interessate da caduta di masse nevose o valanghe”. Nelle carte della Commissione acquisite dalla procura di Pescara che ora indaga per disastro colposo e omicidio colposo dia sia chi voleva costruire, sia chi doveva autorizzare l’ampliamento. Verbale del 11 marzo 1999: “La montagna di Farindola risulta soggetta a valanghe, pertanto al fine di garantire la pubblica e privata incolumità la Provincia di Pescara ha ritenuto di chiudere la strada d’accesso alla località Vado di Sole da Rigopiano”. Verbale del 12 marzo 1999: “Si è ritenuto opportuno di tenere sotto controllo la zona di Valle Bruciata, il piazzale di sosta Rigopiano (...) mediante controlli quotidiani a vista nelle ore più calde, se si notassero distacchi e principi di scivolamento si potrà prendere tempestivamente precauzioni a garanzia di eventuali calamità”. Verbale del 4 marzo 2003: “La Provincia ha ritenuto di non provvedere allo sgombero della neve tra Vado di Sole a Rigopiano in modo da non consentire il transito, per garantire l’incolumità pubblica e privata”. Ancora nel febbraio 2003 la commissione sottopose il caso alla Scuola di Montagna abruzzese. “Il rischio valanghe su entrambi i versanti risulta di livello 4, con condizione di pericolo forte, per cui sono da aspettarsi valanghe spontanee di medie dimensioni ed anche singole grandi”. In Commissione e a livello istituzionale locale, dunque, è nota a tutti la pericolosità del sito in pre- versante opposto di quello dove si trova l’hotel Rigopiano ed ha anch’esso difficoltà d’accesso. Dall’inverno del 2005 in poi, della Commissione valanghe di Farindola si perde ogni traccia. Per dieci anni di fila la Prefettura di Pescara ha ribadito ai sindaci la necessità di ricostituirla, ogni volta che ha dovuto trasmettere un bollettino Meteomont di rischio 4 (su scala 5), sempre senza esito. Lo fa ancora il 10 marzo 2015, con una lettera firmata dalla vice prefetto Ida De Cesaris: “Si prega di valutare l’eventuale attivazione della Commissione, prevista dalla legge regionale del 1992”. Il processo per corruzione. Coinvolti e poi assolti vari esponenti del PD Nella storia dell’albergo di Farindola, struttura nata nel 1972 e completamente ristrutturata e dotata di tutti i confort nel 2007, non manca niente; report ignorati, commissioni insabbiate e anche un processo per corruzione e abusivismo edilizio che vedeva coinvolti esponenti del Partito Democratico. La vicenda inizia nel 2008 quando l’amministrazione comunale attraverso una delibera procede a “sanare” una presunta occupazione di suolo pubblico. La Procura di Pe- scara ipotizza che ciò sia avvenuto in cambio di denaro e posti di lavoro. La struttura, un tempo casolare adibito a rifugio, s’avviava a diventare un quattro stelle. Finirono sotto processo sette persone tra cui il sindaco di Farindola dell’epoca Massimiliano Giancaterino e il suo successore Antonello De Vico oltre a due ex assessori, Ezio Marzola e Walter Colangeli, e all’ex consigliere Andrea Fusaro. Secondo l’ipotesi del Pm, i politici Giancaterino e De Vico avrebbero approvato la delibera in cambio di “promessa di un versamento di denaro destinato al finanziamento del partito”, il PD. Consiglieri e assessori avrebbero invece acconsentito al via libera in cambio di “assunzioni preferenziali per i propri protetti”. In primo grado lo scorso novembre gli imputati sono stati assolti perché “il fatto non sussiste”, poi è arrivata come manna dal cielo la prescrizione che impedirà il processo d’appello. Le responsabilità di amministratori comunali e della Regione Quanto emerge mette dunque spalle al muro gli amministratori locali. Ma non sono soli perché gravi responsabilità ricadono sulla Regione Abruzzo: nei fatti l’esistenza di una mappa conoscitiva del territorio non si è tradotta, proprio per omissione della Regione stessa prolungatasi per 25 anni, in una mappa del rischio valanghe prevista dalla legge 4 del 1992. Questa legge prevede infatti per le aree a rischio, accertate o potenziali, l’inedificabilità di nuovi edifici e il divieto di uso invernale per le strutture esistenti. Pur mancante il Piano Valanghe, in ogni caso nel percorso di ristrutturazione dell’hotel si doveva evidenziare il contesto di rischio e agire di conseguenza bloccando tutto, come prevede il Decreto 11/03/1988. Accertare e perseguire i responsabili Noi ci auguriamo innanzitutto che tali responsabilità, sostanziali quanto evidenti, vengano accertate e gli artefici perseguiti ed adeguatamente puniti per i 29 morti di Rigopiano. In ultima analisi, oltre alla vicenda giudiziaria, pensiamo che sia indispensabile fare adeguata prevenzione ambientale conoscendo a fondo il territorio nel quale viviamo ed i suoi rischi: alluvioni, frane e anche valanghe sono la logica conseguenza di decenni di cementificazioni, di aggressione indiscriminata al territorio ed abusivismo. Ad uccidere, quasi sempre, non è la sedicente “natura killer” ma la criminale indifferenza ai possibili rischi da parte di potenti e costruttori mossi unicamente dalla ricerca del profitto e del potere e da sempre abituati ad agire con dinamiche oscure, di corruzione, clientelari o di comodo. Oggi tutti noi, e nello specifico i 29 morti del resort, paghiamo semplicemente il conto dell’incoscienza sociale del capitalismo. Teniamo dunque a mente le seguenti parole di Engels: “Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle in modo appropriato”1. Troppo spesso piangiamo vittime causate dalla speculazione, nelle grandi come nelle piccole opere; in particolare negli ultimi mesi nell’Italia centrale, a causa della mancata messa in sicurezza o per l’incauta costruzione di edifici in aree inadeguate, nonostante le storiche caratteristiche territoriali di certi siti. Le stesse costruzioni, come Rigopiano, sono state volute a tutti i costi da imprenditori e dalla politica locale, e celebrate come successi per le comunità, nascondendo i profitti dietro l’opportunità occupazionale che rivestivano. Sempre attuale è ancora una volta Engels che a fine ottocento scriveva: “Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze”2. NOTE 1.cit. dal 1873 al 1883 ed alcune integrazioni furono redatte nel 1885 – 1886. Opere Complete Marx – Engels, Editori Riuniti, vol. XXV, p.468. 2.cit.dal 1873 al 1883 ed alcune integrazioni furono redatte nel 1885 – 1886 - Dialettica della natura, Edizioni Rinascita 1950, p.216. 6 il bolscevico / interni N. 5 - 9 febbraio 2017 Raggi indagata per falso e abuso Grillo esalta il fascista Trump e imbroglia i suoi parlamentari Inquisito anche il candidato sindaco M5S a Palermo Il 24 gennaio Virginia Raggi ha ricevuto ufficialmente dalla procura di Roma il temuto avviso di iscrizione nel registro degli indagati per il caso della nomina di Renato Marra, fratello del suo ex capo di gabinetto e capo del personale del Comune di Roma, Raffaele Marra, finito agli arresti per corruzione insieme al costruttore romano Sergio Scarpellini. Un avviso “annunciato” da tempo ma più grave del previsto, in quanto al reato di abuso d’ufficio dato da tutti per scontato i pm titolari dell’inchiesta, Paolo Ielo e Francesco Dall’Olio, hanno aggiunto per la sindaca quello ancor più politicamente imbarazzante di falso in atto pubblico. La vicenda prende le mosse da una precedente inchiesta sulle nomine in Campidoglio, che inizialmente riguardava solo l’incarico di capo della segreteria a Salvatore Romeo, ma nella quale è poi confluita anche una segnalazione dell’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone sul conflitto di interessi ravvisato nella nomina di Renato Marra, già graduato della polizia municipale, a responsabile del dipartimento Turismo del Comune con un aumento di stipendio di 20 mila euro lordi l’anno. Alla segnalazione dell’Anac, che avanzava il sospetto di un intervento del fratello Raffaele nella suddetta nomina, la Raggi, pur provvedendo a rimuovere l’ex vigile dal nuovo incarico, aveva assicurato al Responsabile anticorruzione del Comune che la nomina di Renato Marra era stata decisa solo da lei, escludendo tassativamente qualsiasi coinvolgimento del capo del personale. Da qui l’accusa di falso in atto pubblico, in quanto gli inquirenti sostengono invece che Raffaele Marra era intervenuto attivamente nella promozione del fratello, e che la Raggi ne era perfettamente a conoscenza, cioè avrebbe mentito all’Anticorruzione (nonché ai giornalisti e allo stesso Movimento 5 Stelle, ndr). Accusa che si va ad aggiungere all’abuso d’ufficio (contestato contemporaneamente anche a Raffaele Marra), per non aver proceduto come d’obbligo a selezionare i candidati a quella carica in base ai rispettivi curricula. “Così la stampa mi massacra” Le contestazioni dei pm si basano su una serie di intercettazioni ambientali dei carabinieri e su alcuni messaggi rinvenuti nel telefonino di Raffaele Marra, dai quali risulta chiaramente non soltanto l’interessamento attivo del capo del personale per spingere il fratello a farsi avanti per chiedere la nomina a capo del dipartimento del Turismo, per il quale si era “liberato il posto”, ma anche le rimostranze della Raggi a Marra per non averla informata del tutto sui risvolti e sulle conseguenze della promozione del fratello. In particolare i magistrati sono in possesso di una chat di Telegram denominata “Quattro amici al bar”, a cui partecipavano la Raggi, il suo ex capo della segreteria, Romeo, l’ex vicesindaco Daniele Frongia (ora sostituito dall’ex veltroniano Luca Bergamo) e Raffaele Marra, nella quale in un caso la sindaca chiede a Marra rassicurazioni sugli aspetti legali della nomina del fratello, e in un altro lo rimprovera di non averle detto che avrebbe avuto uno scatto di stipendio di 20 mila euro: “Così mi metti in difficoltà”, si sarebbe lamentata la Raggi, aggiungendo che “la stampa mi sta massacrando”. Agli atti della procura c’è anche una email, inviata in copia alla Raggi, in cui l’assessore Meloni ringraziava Raffaele Marra di avergli suggerito la nomina del fratello al dipartimento del Turismo. Insomma, non soltanto la Raggi ha difeso contro tutto e contro tutti e fino all’ultimo il suo ex capo di Gabinetto, già fiduciario del fascista Alemanno nella sua giunta supercorrotta, decidendosi a scaricarlo solo quando è stato arrestato per essersi messo “a disposizione” dell’imprenditore Scarpellini che gli aveva pagato l’acquisto di una casa; ma è arrivata addirittura a coprire con una menzogna un suo abuso commesso in evidente conflitto d’interessi. Che cosa la legava così forte a Marra da finire nei guai per averlo tenuto a tutti i costi al centro del suo “raggio magico”? Una parziale risposta può venire forse anche dalla deposizione in procura di Roberta Lombardi, l’acerrima rivale della Raggi che ora si vanta di avere avuto ragione nel mettere in guardia il M5S dagli intrighi della sindaca, e che ha riferito le rivelazioni di un “collaboratore del movimento” secondo il quale dietro il documento che nel 2015 servì a screditare il rivale della Raggi alla candidatura alla guida del Campidoglio, Mar- cello De Vito (ora presidente dell’Assemblea capitolina), ci sarebbe stato anche Raffaele Marra. Il che confermerebbe che dietro la vittoria della Raggi alle “comunarie” del M5S romano c’era la destra romana, e che quindi è alla destra romana che la sindaca è debitrice. Da cui l’accanimento quasi suicida nella difesa di Marra. Grillo blinda la Raggi e minaccia i “malpancisti” A questo punto ci sarebbero tutte le condizioni per l’“autosospensione” della Raggi a norma di regolamento M5S e la sua sostituzione con il suo vice Bergamo. Ma Grillo, che già aveva disinnescato per tempo la mina cambiando in corsa il regolamento stesso rendendo non più obbligatorie le sanzioni in caso di avviso di reato, la difende a spada tratta dettando la linea: “Raggi ha adempiuto ai doveri indicati dal nostro codice etico (avvisandolo del ricevuto avviso della procura, ndr), lei è serena e io non posso che esserle vicino in un momento che umanamente capisco essere molto difficile”. In realtà il suo obiettivo inconfessato è quello di tenerla in piedi almeno fino a “scavallare” le possibili elezioni politiche di primavera, che la sentenza della Consulta ha avvicinato. A tale scopo il padre padrone del M5S ha stretto di un altro giro la mordacchia a parlamentari e amministratori, in particolare a quelli delle rissose fazioni romane sempre in guerra tra loro, ma anche a quei parlamentari che sem- plicemente criticano la sindaca per aver portato al disastro in pochi mesi la più importante esperienza di governo del movimento: “Il programma per le elezioni non sarà definito dai parlamentari ma dagli iscritti, chi non sarà d’accordo con questo programma potrà perseguire il suo in un’altra forza politica”, ha scritto infatti in un post dal tono minaccioso. Quanto alle interviste e dichiarazioni personali, ha avvertito Grillo, tutte vanno “concordate coi responsabili della comunicazione”, e “chi danneggia l’immagine del M5S può incorrere in richiami e sospensioni. Non si fanno sconti a nessuno”. L’avvertimento era rivolto in particolare a Roberto Fico, principale rivale del “premier in pectore” Luigi Di Maio, e che poco prima aveva osato criticare il capo per la sua sortita in favore di Trump e Putin: “La politica internazionale ha bisogno di uomini forti come Trump e Putin, li considero un beneficio dell’umanità. Due giganti come loro che si parlano è il sogno di tutto il mondo”, aveva farneticato infatti Grillo in un’intervista al settimanale francese “Le Journal de Dimanche”. Anzi, per lui il fascista Trump “sembra un moderato e i media hanno deformato il suo punto di vista”. Da parte sua Fico, in un’intervista a “la Repubblica”, in riferimento anche alle voci di possibili trattative tra Casaleggio e la Lega per eventuali intese elettorali, aveva commentato: “Dio ce ne scampi da Trump e Salvini”. Aggiungendo che “sull’immigrazione varrà il programma votato dagli iscritti, non c’è post che tenga”. Sempre più dissidenti e indagati Ormai Grillo è sempre più costretto a ricorrere alle sanzioni e alle minacce per tenere insieme il movimento che considera di sua proprietà e intende governare come un monarca. Dopo la sua sortita sfacciatamente di destra, proprio nella sua Genova tre consiglieri comunali, già in dissenso per la figuraccia al parlamento europeo e sulla mordacchia alle dichiarazioni, hanno abbandonato il M5S per protesta alle sue dichiarazioni su Trump. E non è che in altre città le cose vadano molto meglio che a Roma: anche a Torino la giunta Appendino sta diventando sempre più bersaglio dei movimenti e dei centri sociali che l’avevano appoggiata e che ora si dicono delusi della sua politica, in particolare per il via libera alla costruzione di supermercati e centri commerciali e per le mancate promesse sulla moratoria agli sfratti. Per non parlare della faida che continua a dilaniare il M5S a Palermo, sempre più invischiato nello scandalo delle firme false e adesso alle prese con l’iscrizione nel registro degli indagati per “induzione a rendere dichiarazioni mendaci” di un altro suo illustre rappresentante: Ugo Forello, avvocato fondatore del movimento “Addiopizzo” e oggi nientemeno che candidato del M5S a sindaco del capoluogo siciliano. Secondo i parlamentari indagati per lo scandalo, avrebbe “pilotato” le dichiarazioni della supertestimone Claudia La Rocca a loro danno, millantando rapporti privilegiati con la procura. Scuole a rischio sismico: scioperano gli studenti a L’Aquila Nelle scorse settimane le studentesse e gli studenti dell’istituto Cotugno de L’Aquila, che comprende gli indirizzi umanistici raccogliendo circa 1.200 alunni, hanno dato vita ad un importante sciopero rifiutandosi di rientrare in classe dopo che le scosse del 18 gennaio hanno riportato in strada gli abitanti della città che ancora si lecca le ferite del terribile terremoto dell’aprile 2009. Gli studenti, che hanno picchettato gli ingressi della scuola con striscioni e cartelli anche ironici come “Co- tugno in lotta”, “Verità per il Cotugno”, “Sicuri da morire”, “L’istituto può crollare in ogni minuto”, rivendicavano interventi immediati per mettere in sicurezza il luogo dove trascorrono buona parte della propria giornata e che letteralmente rischierebbe di crollar- La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta e di propaganda, assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole e delle università. STARE IN PIAZZA Frequentiamola il più possibile per diffondere i messaggi del Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più a esse. gli in testa, se non verranno prese le dovute misure. Allo sciopero hanno aderito diversi insegnanti, che hanno preso parte alla contestazione per appoggiare le legittime rivendicazioni degli studenti. “Siamo compatti”, assicurano i rappresentanti degli studenti e dei docenti. Persino la preside ha scritto una lettera al sindaco della città, Massimo Cialente (PD), per chiedere la chiusura dell’edificio perché “non è idoneo a sopportare i carichi verticali che attualmente insistono sulla struttura”. Nessun appoggio, invece, dalla provincia, cui spetterebbero gli interventi d’edilizia richiesti. Anzi, per il presidente Antonio De Crescentiis (PD), la scuola “non è a rischio crollo”. Peccato che i genitori del Cotugno siano riusciti, attraverso un accesso agli atti, ad entrare in possesso dello studio di vulnerabilità sismica dell’istituto, che attesta un indice di vulnerabilità sismica dello 0,26%, ben inferiore all’1%, considerato in sicurez- L’aquila, gli studenti dell’Istituto Cotugno in lotta za. Una negligenza che non può non evocare l’incubo della Casa dello studente crollata il 6 aprile del 2009 uccidendo otto ragazzi. Questo importante sciopero si somma alle proteste delle scorse settimane in tutta Italia per chiedere interventi immediati contro le scuole rimaste al freddo e al gelo per via di impianti di riscaldamento guasti, malfunzionanti o semplicemente inesisten- ti. Questa è la via giusta per rivendicare ciò che spetta di diritto alle studentesse e agli studenti della scuola pubblica, a partire dall’edilizia per mettere in sicurezza i locali! Per mettere in sicurezza le scuole della provincia de L’Aquila servirebbero 9 milioni, ma il governo Gentiloni con la neo-ministro Valeria Fedeli non interviene. Anzi, procede a tambur battente con l’attuazione della “Buona scuola”. corruzione / il bolscevico 7 N. 5 - 9 febbraio 2017 A cena a Montecitorio con l’ex presidente della Camera Fini Arrestato Corallo, il re delle slot machine C’è di mezzo la casa venduta alla moglie di Fini indagata per riciclaggio In carcere anche Laboccetta, ex parlamentare Pdl Con l’accusa di “associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie di reati di peculato (cioè furto di denaro pubblico), riciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”, il 13 dicembre è finito in manette il boss degli imprenditori catanesi, Francesco Corallo, divenuto il re del gioco d’azzardo legalizzato grazie alla concessione statale. Corallo è stato acciuffato dalla polizia olandese nell’isola caraibica di Saint Marteen ed è inquisito dalla Procura di Roma come capo di un’associazione per delinquere dedita al riciclaggio di denaro sottratto al fisco. Si parla di oltre 250 milioni di euro che il suo gruppo Atlantis-Bplus (di recente ribattezzato Global Starnet) avrebbe dovuto garantire allo Stato italiano, per pagare le tasse sui profitti delle sue macchinette mangiasoldi e rovina famiglie (slot e vlt). Secondo le indagini del reparto antimafia della Guardia di Finanza, i soldi guadagnati in Italia col gioco d’azzardo sono stati occultati in una rete di società caraibiche offshore controllate dai più stretti collaboratori di Corallo a cominciare dal fascista Amedeo Laboccetta, rappresentante per l’Italia del gruppo di Corallo dal 2004 al 2008, nonché parlamentare prima di An e poi di Forza Italia fino al 2013, già indagato per favoreggiamento a Milano e tuttora tra i dirigenti di Forza Italia in Campania; Rudolf Baetsen, il suo braccio destro ai Caraibi; Alessandro La Monica, manager per l’Italia dal 2008 al 2013, e Arturo Vespignani, dirigente in carica fino al luglio 2014. Tutti arrestati su ordine del Gip Simonetta d’Alessandro. Secondo l’accusa almeno 85 milioni di euro sono stati sottratti al fisco italiano fino al 2007, mentre altri 150 milioni sono spariti fino al 2014 dalle casse nazionali della società Atlantis-Bplus, che da oltre un decennio ha la concessione statale a gestire il business miliardario del gioco d’azzardo legalizzato. Gli intrallazzi di Fini e famiglia La maxinchiesta della Procura di Roma, coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dal sostituto Barbara Sargenti, è partita nel 2004, e ha coinvolto anche Elisabetta, Sergio e Giancarlo Tulliani, rispettivamente compagna, suocero e cognato dell’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini. I tre sono indagati per il reato di riciclaggio nell’ambito delle indagini che ora sembrano gettare nuova luce anche sulla torbida vicenda della compravendita di un appartamento a Montecarlo che coinvolse lo stesso Fini nel 2010. Dalle carte risulta che l’immobile di Alleanza nazionale fu comprato da Sergio e Giancarlo Tulliani, il suocero e il cognato dell’allora presidente della Camera ed ex boss di An, proprio con i soldi del re delle slot Corallo. La vicenda inizia nel 2008 quando l’immobile di boulevard Princesse Charlotte, 14, di proprietà del partito Alleanza Nazionale (lo aveva ricevuto come donazione) viene venduto alla offshore Printemps, società che – si legge nell’ordinanza – è “riconducibile a Giancarlo Tulliani, che ha abitato nell’appartamento in questione e ha lì trasferito la sua residenza il primo gennaio 2009. Tulliani, del resto, risulta iscritto all’Aire-Ambasciata d’Italia Monaco, proprio dal primo gennaio 2009, con l’indirizzo “BD Princesse Charlotte 14 – Montecarlo (Principato di Monaco)”. Pochi mesi dopo, l’immobile viene nuovamente venduto, dalla Printemps alla società caraibica Timara: “Il prezzo di quest’ultima compravendita veniva fissato in € 330.000,00 (€ 330.000,00 e costi di € 30.100,00), vale a dire proprio la cifra bonificata dal conto caraibico di Corallo”. Già anni fa la procura di Roma aveva indagato sul prezzo della vendita tra An e e Printemps, archiviando il fascicolo. In questa vecchia indagine c’è anche una nota dell’allora Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini, indirizzata al Procuratore di Roma, “con la quale veniva trasmessa una missiva del Primo Ministro di Saint Lucia (EE) King Stephenson, datata 2010, nella quale, il Primo Ministro affermava che Tulliani Giancarlo era il titolare effettivo delle società Printemps Ltd, Timara Ltd e Jaman Directors Ltd”. La stessa lettera poi è stata ritrovata nell’ufficio di Corallo nella sede dell’Atlantis Casino, in Sint. Maarten, durante una perquisizione. I Tulliani secondo l’accusa hanno aiutato Corallo a far sparire circa quattro milioni di dollari, mettendo a disposizione del re delle slot i propri conti segreti. Su un deposito estero di Sergio Tulliani, in particolare, sono arrivati 3 milioni e 599 mila dollari nel novembre 2009; mentre Giancarlo Tulliani nel luglio dello stesso anno ha incassato a Montecarlo un bonifico di altri 281 mila dollari. Tutti fondi usciti dalla società italiana, ripuliti nelle offshore ai Caraibi e quindi rientrati nei conti dei Tulliani in modo da nascondere che provenivano da Corallo. Sempre con i soldi di Corallo, secondo quanto risulta dagli atti dell’inchiesta, l’ex parlamentare Amedeo Laboccetta si era pagato anche la campagna elettorale che nel 2008 lo aveva portato alla Camera sotto la bandiera del Pdl. A documentarlo, tra l’altro, è un prelievo in contanti di 50 mila euro, trasformati da Laboccetta, il 27 marzo 2008, in un assegno circolare intestato al tesoriere della sua campagna elettorale nel collegio Campania 1. Secondo il Gip “in concorso tra loro Giancarlo Tulliani quale titolare del conto corrente estero acceso presso la Compagnie Monegasque de Banque S.A. (Monaco), Sergio Tulliani quale titolare di conto corrente estero acceso presso Kbc Bank Nv di Bruxelles, mettevano a disposizione detti conti per ricevere ingen- Nell’accordo tra il candidato e i boss locali ogni preferenza costava 50 euro 22 arresti per voto di scambio in Puglia Natale Mariella si presentò nel 2015 a sostegno del governatore PD Emiliano Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, è stato sostenuto alle elezioni regionali del 2015 anche dai voti della criminalità organizzata pugliese. È questo che emerge dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Bari che ha portato lo scorso 13 dicembre all’emissione, da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale del capoluogo pugliese, dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 22 persone. Le indagini erano partite nel novembre 2015, dopo le dichiarazioni rese in carcere dal pentito della criminalità organizzata pugliese Michele Di Cosola, che ha parlato di un accordo messo in piedi da Natale Mariella - candidato non eletto alle elezioni regionali del 2015 nella lista dei Popolari a sostegno del governatore Emiliano - d’accordo con le principali organizzazioni criminali del capoluogo pugliese, che prevedeva il pagamento di 50 euro, 20 agli elettori e 30 alle organizzazioni criminali, per ogni preferenza procurata allo stesso Mariella. Il sistema, riferisce il pentito, mirava a coinvolgere soprattutto elettori più bisognosi, e per coloro che non collaboravano, c’erano pesantissime minacce da parte della malavita, anche di morte. Mariella per ora risulta soltanto indagato nella vicenda, mentre è finito agli arresti il suo più stretto collaboratore Armando Giove - con l’accusa di avere fatto da tramite tra Mariella e il clan malavitoso dei Di Cosola, che ha visto 21 suoi affiliati finire in carcere. Le accuse per i 22 arrestati sono - a vario titolo - di aver preso parte ad un’associazione armata di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso e coercizione elettorale in con- corso. Da un punto di vista politico, al di là del fatto che Mariella non sia stato eletto, è gravissimo che il PD Michele Emiliano abbia accettato senza battere ciglio e sapendo bene con chi aveva a che fare (Emiliano, si ricordi, è un ex pubblico ministero, e sarebbe ingenuo credere che come tale non fosse bene informato) la collaborazione di persone colluse con il mondo della malavita comune come Natale Mariella, che si è procurato una cospicua parte dei 5.866 voti che ricevette tramite un accordo con la criminalità organizzata. ti somme di denaro dal conto corrente della società Ifps acceso presso la Fcib (First Caribbean International Bank) di Saint Maarten, riconducibile a Corallo Francesco, su cui era delegato ad operare Rudolf Baetsen, al fine di ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa (peculato), consentendo la realizzazione del segmento finale del flusso di denaro tra Italia, Olanda, Antille Olandesi, Principato di Monaco, Belgio“. Non solo. Nelle carte dell’inchiesta si legge anche di un bonifico di 2,4 milioni di euro, con la casuale “liquidation foreign assets – decree 78/2009, 2.4M Euro”, finito nel 2009 a Sergio Tulliani. Secondo gli inquirenti, il decreto legge del quale si parla fa riferimento all’articolo 21 del dl 78 del 2009, ovvero quello inerenti al rilascio di concessioni in materia di giochi. La provenienza del denaro è spiegato in un altro passaggio dell’ordinanzza del Gip che precisa: “Dopo che Joyeusaz Bernardo e Laboccetta Amedeo, tra novembre 2004 e febbraio 2005, trasferivano € 25.238.450,00 (a fronte di Preu per l’anno 2004 non versato o versato in ritardo per euro 33.937.436,00), sul conto corrente olandese nr. 24.23.34.474 intestato alla società Atlantis World Management N.V. acceso presso la Fortis Bank Baetsen, nell’anno 2006, trasferiva € 7.540.000 ($ 9.555.422,00) sul conto corrente nr. 10040278 intestato alla società offshore International Financial Planning Services Ltd acceso presso la Fcib (First Caribbean International Bank) di Saint Maarten, riconducibile a Corallo Francesco, nuovamente trasferiti, in parte, (nel 2009) con bonifico di $ 281.387,49 a favore di Tulliani Giancarlo e con bonifico di $ 3.599.807,49 a favore di Tulliani Sergio con la specifica “liquidation foreign assets – decree 78/2009, 2.4M Euro”. Fini e Corallo a cena a Montecitorio Nell’interrogatorio di garanzia Laboccetta ha spiegato che Fini non è affatto l’allocco che ha voluto far credere, ma conosceva benissimo Corallo, tant’è che nel 2004, l’ex boss di An venne ospitato (insieme al suo staff) dal re dell’azzardo nelle Antille olandesi, per una vacanza all’insegna delle immersioni subacquee; uno degli hobby prediletti di Fini. Insieme a lui c’era anche l’allora camerata di partito Laboccetta che ricorda come il soggiorno fu interamente pagato da Corallo. Mentre nel 2009, ha detto ancora ai giudici Laboccetta, l’allora presidente della Camera organizzò un piccolo ricevimento per pochi intimi nella sua stanza a Montecitorio per festeggiare la nascita della seconda figlia avuta con Elisabetta Tulliani. In quell’occasione, tra gli invitati, oltre a Laboccetta, ci sarebbe stato anche Francesco Corallo. Un’ulteriore dimostrazione che tra il ricco imprenditore del gioco e la terza carica dello Stato ci sarebbe stato - sempre a leggere le parole di Laboccetta - un rapporto più che di semplice conoscenza. Ma c’è di più. Sempre a detta di Laboccetta sarebbe stato ancora l’ex presidente della Camera a spendere il nome del cognato per aiutare il “re delle slot” a realizzare un affare immobiliare a Roma. Su questo fronte una svolta importante è arrivata nel corso di una perquisizione svolta novembre del 2014 presso una abitazione di Corallo, in piazza di Spagna a Roma. In quella circostanza gli inquirenti misero le mani su un pc dove erano presenti file che rendicontavano i movimenti finanziari delle società riconducibili al “Re delle slot”. Tra le varie voci anche una che portava a Sergio e Giancarlo Tulliani. Corallo avrebbe accreditato ai Tulliani, su un conto corrente estero, circa 2 milioni e 400mila euro per una consulenza che gli inquirenti giudicano fasulla. Nel pc in possesso a Corallo quel passaggio di denaro è “giustificato” con la dicitura: “liquidazione attività estere – Decreto 78/2009, 2,4 milioni di euro”. Il decreto in questione è quello approvato nel 2009 che garantiva ai concessionari dei video slot la possibilità di accedere, tramite specifiche garanzie, ai fondi per l’acquisto e per il collegamento delle slot. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 1/2/2017 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 8 il bolscevico / interni N. 5 - 9 febbraio 2017 Sponsorizzata fortissimamente dal governatore Pd della Toscana, Enrico Rossi, e dal sottosegretario socialista, Riccardo Nencini No e ancora No all’autostrada Tirrenica Devastazione del territorio, sperpero di soldi pubblici e regalo ai Benetton. Tra Rosignano e Cecina il pedaggio più caro d’Europa. Adeguare l’Aurelia alla superstrada a 4 corsie, già in funzione tra Grosseto e Rosignano Nuove autostrade, sprechi di soldi pubblici, danni e speculazione. Fra gli altri, abbiamo già un calzantissimo quanto recente esempio: la BreBeMi, autostrada che collega Brescia a Bergamo e Milano, costruita nel 2009 dal governo Berlusconi e dal ciellino Formigoni, allora Presidente della Regione Lombardia, con l’avallo della CGIL di Bergamo. Questa autostrada a pedaggio è diventata il simbolo delle grandi opere stradali-truffa; per premere con l’inizio dei lavori, furono fatte circolare dai promotori previsioni di traffico fantasiose spinte fino ai 60.000 tra auto e camion al giorno. Nella sostanza oggi il traffico non c’è e per invogliare gli autisti a prenderla, si è addirittura arrivati a scontare gli esosi pedaggi, mentre allo stesso tempo, la Regione Lombardia, con soldi pubblici, ha tirato fuori centinaia di milioni di euro per evitare il fallimento della società di gestione confermando lauti compensi al suo CDA. E pen- possibile tratto della tirrenica sare che inizialmente il costo complessivo, annunciato pari a 1,6 miliardi di euro, fu dichiarato “interamente a carico dei privati”, col cosiddetto project financing. Una truffa. Per l’autostrada Tirrenica gli studi ufficiali sul tratto Tarquinia – Grosseto, parlano chiaro. In un report della società inglese Steer Davies Gleave, sia le previsioni di breve termine, sia quelle di medie e lungo, evidenziano come da qui al 2040 si giungerebbe al massimo a un traffico di circa 15.000 veicoli al giorno, dei quali solo un decimo di mezzi pesanti. Quantomeno, per provare a giustificare un’opera comunque dannosa, ne servirebbero il doppio, e invece sono appena un quarto di quelli vagheggiati nel 2009 per la fallimentare bretella lombarda. Gli affari del Gruppo Benetton Il grande Gruppo Benetton, già proprietario di Sat – Società Autostrada Tirrenica, per un miliardo e 400 milioni di euro dovrebbe costruire i 90 chilometri della nuova arteria maremmana da Tarquinia a Grosseto; da Grosseto a Rosignano invece, l’auspicata speculazione autostradale è per ora tramontata e rimarrà in funzione l’attuale superstrada non a pagamento. La concessione che Sat otterrà nel malaugurato caso l’autostrada si faccia, durerà per ben 26 anni, fino al 2043. Secondo alcuni esperti, considerato lo scarso traffico ed ipotizzando pedaggi appena superiori ai medi attuali delle tratte limitrofe, questa opera sarebbe più una grana che un affare per chi se l’accollerà; ma come la mettiamo se il costruttore e gestore fosse, come in questo caso gestore anche di altri 3.000 chilometri di rete autostradale del Paese? Gli sarebbe sufficiente introdurre un generale aumento dei pedaggi, come peraltro accade già oggi puntualmente di anno in anno, per coprire le perdite del tratto, generando invece ulteriori utili. Il tratto di autostrada già esistente da Collesalvetti a Rosignano e ancor più quello tra Rosignano e Cecina Nord hanno invece il grande privilegio di essere i più cari d’Europa, nel rapporto costo/chilometro. I danni ambientali ed economici alle popolazioni dei comuni coinvolti Secondo Sat, il pedaggio da Fonteblanda a Grosseto, andata e ritorno si aggirerebbe tra gli 8 e i 10 euro. Agli abitanti dei comuni coinvolti, sarebbero concessi appena 5 anni di esenzione con la sola promessa di rivedere in seguito gli accordi. Secondo i comuni e i comitati, una proposta inaccettabile. La questione pedaggio è un susseguirsi di contraddizioni: se per arrivare a Grosseto non si paga, per attraversare i tre comuni maremmani di Magliano, Orbetello e Capalbio, si dovrà mettere mano al portafoglio. Un punto cruciale da affrontare è dunque quello della viabilità alternativa, che dovrà consentire ai residenti di spostarsi gratuitamente e ai turisti di poter circolare senza avere sulla testa la spada di Damocle di una vera e propria gabella. Nonostante lo si ignori, esiste infatti una normativa europea che non consente la concessione di agevolazioni alle stesse classi di utenti – in questo caso automobilisti – a prescindere dalla località di residenza; altro principio desumibile dalla sentenza di cassazione 116/2007 (sezioni unite), spiega che non si può esigere un pedaggio per un servizio di pubblica utilità se non esiste un servizio sostitutivo gratuito, poiché già pagato con la fiscalità generale, strade comprese. Riassumendo, a nord di Grosseto ci sarà una superstrada ulteriormente ammodernata senza alcun pedaggio e con arterie idonee per supportare il traffico locale all’interno dei territori; il tratto a pagamento che vogliono Regione e governo sarà invece proprio nei comuni con maggiori difficoltà di inserimento e dove viene arrecato maggior danno alle economie, all’ambiente ed a tutta la popolazione. Da un punto di vista strettamente ambientale, sono previsti viadotti e gallerie per attraversare il sud della Maremma. Il nuovo tratto dovrebbe snodarsi tra la Laguna di Orbetello e la Valle d’oro di Capalbio, tanto ricca di reperti archeologici: proprio per le caratteristiche paesaggistiche del territorio, questo tratto era rimasto fra i pochi a non avere ancora ufficialmente un progetto definitivo. Tutto ciò senza dimenticare il dissesto idrogeologico che interesserà le falde acquifere, catastrofico quanto onnipresente in pressoché tutte le grandi opere. No all’autostrada, sì all’adeguamento della superstrada a 4 corsie Appurato quanto sopra, perché allora non adeguare con una spesa enormemente più contenuta, l’Aurelia in una superstrada a 4 corsie senza incroci e caselli, naturalmente senza pedaggio, incentivando quindi anche il carattere turistico dell’area e risparmiando l’ambiente ed il paesaggio, vera ricchezza dell’area? In questo momento, nonostante le mille ragioni per seppellire l’ipotesi, non ultima la posizione contraria dei sindaci dei comuni interessati e dei comitati, è in corso la VIA, valutazione di impatto ambientale, l’ultimo passo prima dell’effettiva apertura dei cantieri. Pare inspiegabile, se non si conoscesse a fondo di chi stiamo parlando, il fatto che l’insistenza sull’opera provenga direttamente e praticamente in maniera prevalente dal Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, candidato anche per la segreteria del PD, e Riccardo Nencini, socialista e sottosegretario alle infrastrutture ed ai trasporti, grande promotore da sempre di opere inutili e dispendiose per le casse pubbliche,su tutte la TAV. Noi marxisti-leninisti siamo certi che quest’opera non sia un avanzamento delle condizioni materiali di vita del proletariato e delle masse toscane ma, al contrario, contribuirà al peggioramento delle stesse; oltre alla questione ambientale e sui pedaggi, pare scontato che in un cantiere così esteso si aprirà un nuovo terreno fertile per la corruzione e lo smistamento di appalti – come peraltro accertato dalla magistratura circa l’aggiudicazione di lavori sulla BreBeMI nella quale entrò in ballo anche la Lega Cooperative di Penati - , così come fioriranno i subappalti aumentando i pericoli e lo sfruttamento per i lavoratori in dinamiche ormai senza controllo. Per turbativa d’asta Salone del libro a Torino: 4 arresti, indagato l’ex assessore di Fassino Quattro persone sono state arrestate il 12 luglio scorso dai carabinieri della procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta sul Salone del libro. Tra gli indagati c’è anche l’ex assessore alla Cultura della giunta Fassino, Maurizio Braccialarghe, che ha subito una perquisizione e che condivide con gli arrestati l’accusa di turbativa d’asta. L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore Gianfranco Colace, è incentrata sul modo in cui la multinazionale francese Gl Events, che gestisce Lingotto Fiere, ha ottenuto lo scorso anno l’appalto per organizzare tra il 2016 e il 2018 il Salone con un bando cucito su misura. In manette sono finiti Regis Faure, direttore generale della Gl Events Italia, filiale italiana della multinazionale francese, Roberto Fantino, direttore commerciale e marketing di Lingotto Fiere, società di Gl Events che gestisce il polo fieristico torinese, e Valenti- no Macri, segretario generale della Fondazione per il Libro. Ai domiciliari è finito Antonio Bruzzone, dirigente di Bologna Eventi. Nel corso dell’inchiesta è emerso che l’“uccellino” Fantino, in qualità di componente della Commissione giudicatrice, passava tramite Macri informazioni coperte da segreto (quali la presentazione di manifestazioni di interesse, l’identità degli interessati, la presentazione delle offerte) a un dirigente di Lingotto Fiere, così da consentire alla multinazionale francese di modulare la propria partecipazione alle varie fasi della procedura di gara a seconda delle informazioni ricevute e di contattare uno degli altri partecipanti per concordare la sua uscita di scena. L’indagine era partita dall’ipotesi di peculato nei confronti di Rolando Picchioni, ex presidente della Fondazione per il libro, un ente che in questi giorni è tornato al centro del- la polemica per la volontà dell’Associazione italiana editori di lanciare una nuova fiera dell’editoria a Milano. Nell’ordinanza di arresto del Giudice per le indagini preliminari (Gip ) Adriana Cosenza si legge che nel settembre 2015 la fondazione indice una gara per concedere al miglior offerente l’organizzazione logistica (vendita spazi per gli stand, biglietti…) del Salone del libro “da realizzarsi esclusivamente in Torino presso il Lingotto Fiere”, una “clausola essenziale e imprescindibile”. Con una serie di telefonate e incontri riservati Macri informa costantemente Fantino sulle fasi della gara e sull’arrivo di offerte concorrenti. Gl Events ha una piccola percentuale di Bologna Fiere, così Fantino e Bruzzone discutono e quest’ultimo decide di non ostacolare i torinesi. Alla fine del procedimento la commissione valutativa apre l’unico plico con le offerte giunte ed è quello di Gl Events Italia. Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 la concessione non viene ufficialmente aggiudicata perché la Fondazione per il libro, partecipata da Città di Torino, Regione Piemonte e l’Associazione italiana editori, è in grosse difficoltà economiche (dovute anche agli alti costi d’affitto imposti dal Gl Events per gli spazi del Salone e gli scarsi ricavi garantiti in passato), al punto che un consigliere, il segretario generale della Compagnia di San Paolo Piero Gastaldo, dice agli investigatori: “In un’organizzazione di carattere privatistico, io stesso avrei proposto di dichiarare lo stato fallimentare”. Servono i soldi degli enti pubblici, senza i quali la Fondazione non può pagare Gl Events per l’inizio dei lavori. A questo punto, spiega ancora il Gip Cosenza, Faure “metteva a parte delle prossime fasi della vicenda anche gli amministratori locali Braccialarghe Maurizio, nonché l’assessore regionale per la Cultura, Parigi Antonella”. Telefona all’allora assessore ed ex manager Rai “per manifestare le proprie aspettative ed i propri auspici rispetto all’attesa aggiudicazione”; il sostituto procuratore Gianfranco Colace aggiunge che “questa telefonata denota un tenore di estrema confidenza tra i due interlocutori nonostante uno sia esponente politico e di un’amministrazione che di fatto è parte della Fondazione del libro, ente appaltante della gara in oggetto, e l’altro sia il vertice di una delle società che ha partecipato al bando stesso”. Pochi giorni prima di Natale Fantino spiega a Faure di aver incontrato Macri, il quale gli ha riferito che la fondazione dovrebbe ricevere 600mila euro da Regione e Comune, una somma di denaro insufficiente per il Salone del 2016. Il dg prende l’iniziativa: “Il Faure palesava l’intento di voler avvicinare il sindaco Fassino in modo di ‘sensibilizzarlo’ della questione e così rivendicare l’aggiudicazione della gara”. Lo fa via mail, scrivendo anche a Braccialarghe e alla presidente della fondazione Giovanna Milella. Non è il suo unico tentativo di influenzare l’ex sindaco PD. Prima ancora aveva contattato il capo di gabinetto di Fassino, Alessandra Gianfrate, per lamentarsi della mancata erogazione di fondi dal Comune alla Fondazione, e aveva fatto lo stesso con la Milella affinché sollecitasse l’ex sindaco. Il 9 dicembre 2015 parla direttamente con il primo cittadino per organizzare l’annuale pranzo delle famiglie indigenti all’Oval, struttura del Comune concessa a Gl per soli 45mila euro l’anno. Stando a quanto scritto dal giudice nell’ordinanza, Faure si era dimostrato disponibile in modo da mantenere “buoni rapporti con l’autorità in vista di un possibile futuro appoggio”. interni / il bolscevico 9 N. 5 - 9 febbraio 2017 Regeni fu assassinato dal regime egiziano La prova decisiva è nel filmato clandestino del giovane ricercatore italiano. Manifestazioni in tutta Italia L’ambasciatore italiano non torni in Egitto Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano dell’università di Cambridge, rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 dalla polizia segreta, barbaramente torturato nelle prigioni del regime e ritrovato cadavere nove giorni dopo lungo l’autostrada per Alessandria, fu assassinato dal regime fascista del dittatore egiziano Al-Sisi. La conferma è arrivata nei giorni scorsi proprio a ridosso dell’anniversario della morte di Giulio attraverso la diffusione di un filmato montato ad arte e mandato in onda dalla Tv egiziana nell’ennesimo tentativo di screditare il giovane ricercatore friulano e farlo passare per un infiltrato dello spionaggio inglese che lavorava per destabilizzare il governo, finanziava i sindacati e li incitava a organizzare manifestazioni in vista del temuto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir di sei anni fa. Il video riguarda un incontro tra Giulio Regeni e il capo del sindacato degli ambulanti, Mohamed Abdallah, risalente al 6 gennaio del 2016. Nel filmato, girato di nascosto dallo stesso Abdallah - che ha ammesso di aver denunciato Regeni ai servizi segreti del Cairo - il sindacalista cerca di provocare e di corrompere il ricercatore italiano chiedendogli dei soldi per curare la moglie malata di cancro. Secondo quanto è emerso dall’inchiesta della Procura di Roma, Abdallah denunciò i suoi rapporti con Regeni alla polizia del Cairo prima del 6 gennaio e in quella occasione sarebbe stato concordato come fare le riprese video della durata di un’ora e 55 minuti. Di questi, 45 minuti è durato il colloquio tra Abdallah e Regeni, e comunque durante l’incontro il ricercatore non mostrò alcuna disponibilità ad una destinazione delle 10 mila sterline di finanziamento diversa da quella di portare a termine il suo progetto di ricerca per il sindacato ambulanti. Dunque si è trattato dell’ennesimo tentativo di depistaggio orchestrato dalla National Security Agency (Nsa), il Servizio segreto civile interno del regime egiziano, alle dirette dipendenze di Al-Sisi e del suo ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar. Del resto non è certo la prima volta che il regime di Al-Sisi e la Nsa tentano di insabbiare le indagini. All’inizio dissero di non avere alcuna informazione sulla scomparsa di Giulio, poi inscenarono il falso incidente stradale lungo l’autostrada per Alessandria dove il 3 febbraio 2016 fu fatto ritrovare il cadavere di Giulio, successivamente attribuirono l’omicidio ai Fratelli musulmani e infine il tentativo di far passare l’assassinio di Regeni per un delitto a sfondo omosessuale e ventilando la sua uccisione per mano di una banda di spacciatori in quanto dedito all’uso di droghe. Invece dal filmato originale che dura quasi due ore ed è stato acquisito agli atti dalla procura di Roma, emerge che Regeni fu incastrato dai servizi segreti egiziani che il 6 gennaio 2016 nascosero una microcamera nel bottone della giacca di Mohammed Abdallah il quale subito dopo aver registrato l’incontro avuto con Regeni nel mercato Ahmed Helmy, nel quartiere Ramses del Cairo, lo ha venduto e denunciato ai suoi aguzzini. La telecamera che doveva smascherare Regeni come spia di un Paese straniero fu infatti messa a disposizione, quello stesso giorno, da un giovane capitano della Nsa i cui uffici erano nel quartier generale del Servizio al Cairo, nel centralissimo quartiere Sadr City. Non solo. Era stato lo stesso Servizio segreto a solle- citare quella provocazione che si immaginava dovesse diventare una trappola. I particolari li racconta lo stesso Abdallah ai magistrati della Procura generale del Cairo in un lungo verbale in lingua araba del 10 maggio 2016 di cui solo in queste ultime settimane gli inquirenti della procura di Roma hanno potuto avere piena contezza nella traduzione giurata che ne è stata fatta. Quelle carte fra l’altro confermano che il 7 gennaio 2016 furono proprio due agenti di una stazione di Polizia del Cairo a raccogliere la denuncia presentata da Abdallah contro Regeni e che sono almeno tre i poliziotti indagati per il massacro dei cinque componenti della banda di criminali comuni, specializzata nel rapimento di turisti stranieri, uccisi al Cairo il 24 marzo 2016 (i due che fecero fuoco e un terzo che eseguì la perquisizione dell’abitazione di uno degli assassinati collocandovi i documenti di Giulio) nel macabro tentativo di iscrivere la morte di Reggeni nell’ambito di una guerra fra bande di balordi. Fatti e circostanze che insieme alla perquisizione della Nsa effettuata senza mandato giudiziario nella casa di Dokki nel dicembre 2015 quando Giulio era in vacanza; alle foto scattate sempre in quel dicembre che segnalano la presenza di Giulio in una riunione del sindacato fino alla consegna della telecamera con cui effettuare le riprese clandestine il 6 gennaio dimostrano come “la pratica Regeni” fu istruita dalla Nsa molte settimane prima del 7 gennaio 2016, quando ufficialmente entra in scena la polizia. E che ancora il 22 gennaio, quando Abdallah torna a contattare la Nsa, che a sua volta lo cerca, come documentano i tabulati, la pratica continui ad essere considerata di gran- de attualità, nonostante, ufficialmente, la polizia l’avesse già archiviata come “irrilevante” per la sicurezza nazionale. Stando agli agenti egiziani, le attività di investigazione della polizia su Regeni sarebbero durate tre giorni, dal 7 gennaio (data della denuncia di Abdallah che riteneva Regeni una ‘spia’) al 10 gennaio. Tutto ciò non corrisponde affatto a quanto scoperto dai magistrati di piazzale Clodio. Dai tabulati risulta che il primo incontro tra Abdallah e Giulio risale all’8 dicembre 2015 al mercato di Ramses. Dunque, gli accertamenti della polizia si sarebbero dovuti esaurire l’11 (quando Regeni, unico occidentale, venne fotografato nel corso di una riunione di sindacalisti egiziani) o, al massimo, il 12 dicembre. Invece, l’attività di investigazione è proseguita a gennaio inoltrato, a pochi giorni dalla scomparsa del ricercatore italiano: lo provano i contatti telefonici tra l’ex capo degli ambulanti e la National Security dell’8, dell’11 e del 14 gennaio, quindi in epoca successiva alla presunta data di denuncia (6 gennaio) presentata contro Regeni. I genitori di Giulio, dopo aver visionato il video, in una intervista a “Il Piccolo di Trieste” hanno detto: “È ancora prematuro affrontare nel profondo quest’aspetto, ci sono le indagini in corso. Quanto è emerso nel tempo, grazie alla biografia di Giulio, è la sua forza e disponibilità umana verso gli altri. La sua costante e incessante ricerca di dialogo e confronto, con se stesso e con gli altri. La sua competenza e onestà. Da parte nostra – hanno aggiunto - non ci siamo mai sottratti a nulla, pur di ottenere la verità e dunque giustizia. Sappiamo essere pazienti ma siamo inarrestabili: vogliamo la verità e la vogliamo tutta”. A tal proposito, Roma. La manifestazione chiedere la verità ed avere giustizia su Regeni, sotto Montecitorio il 27 gennaio 2017, ad un anno dalla scomparsa hanno sottolineato ancora i coniugi Regeni: “è stato necessario, doveroso, importante e fruttuoso il richiamo dell’ambasciatore dall’Egitto”. Il primo anniversario della morte di Giulio è stato ricordato il 25 gennaio in tutta Italia con una serie di manifestazioni per chiedere ora più che mai di fare piena luce su tutta la vicenda e scoprire finalmente chi ha ordinato il sequestro, chi ha eseguito l’omicidio e soprattutto chi e perché ha coperto e continua a coprire i mandanti e gli aguzzini di Giulio. La manifestazione nazionale si è svolta a Roma all’Università La Sapienza dove a tutti i manifestanti è stato distribuito un cartello con un numero, da 1 a 365, per ricordare i giorni che sono passati dalla scomparsa di Giulio. Altre manifestazioni e fiaccolate si sono svolte a Fiumicello (la città dove Giulio era cresciuto), Roma (a San Lorenzo in Lucina), Napoli (in Piazza Dante) a partire dalle ore 19.41, l’ora in cui Giulio Regeni scomparve. In ogni caso va sottolineato che se i servizi egiziani si sono potuti permettere di farsi impunemente beffe finora della ricerca della verità, della famiglia Regeni e dell’intero no- stro Paese, è anche perché il governo Renzi e il suo successore Gentiloni glielo hanno tacitamente e vergognosamente lasciato fare: e questo in nome dell’“amicizia” tra i due governi e personale tra Renzi e AlSisi, degli affari miliardari che intercorrono tra i due paesi (l’Italia, con 5 miliardi l’anno di interscambio e investimenti per 10 miliardi è il secondo partner commerciale dell’Egitto dopo la Germania) e della stretta alleanza militare nel quadro della guerra al comune nemico, lo Stato islamico. La verità è che da quando il corpo di Regeni è stato “ritrovato”, sia Renzi che Gentiloni non hanno fatto altro che ripetere come un mantra che “non ci accontenteremo di meno che della verità”, ma non hanno mosso un dito contro governo egiziano. Occorre invece interrompere subito tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici e militari con il governo egiziano, promuovere azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione dei diritti umani e applicargli le relative sanzioni e pretendere che altrettanto facciano le autorità della UE. L’ambasciatore italiano non torni in Egitto. Appello di “Non una di meno” a tutti i sindacati Scioperiamo l’8 Marzo per dire no alla violenza maschile sulle donne Pubblichiamo l’appello della rete “Non una di meno” a tutti i sindacati: confederali, “di base” e autonomi a indire unitariamente uno sciopero generale nazionale per l’8 Marzo giornata internazionale delle donne. Le modalità di questo sciopero saranno discusse nell’assemblea nazionale di Bologna del 4-5 febbraio prossimi. Una scelta quella di “Non una di meno” dell’8 Marzo che salutiamo con piacere, proprio quest’anno cade il centenario della prima manifestazione delle operaie di Pietrogrado contro lo zarismo svolta l’8 Marzo del 1917, dopo poco divampò la grande Rivoluzione d’Ottobre. Un 8 Marzo per “riprenderci questa giornata di lotta” come dicono le promotrici per dire no alla violenza fisica, psicologica, culturale ed economica sulle donne. Il PMLI augura il pieno successo dell’Assemblea nazionale e ne appoggia la piattaforma contro la violenza maschile sulle donne, sulle lesbiche e sui transessuali. Siamo d’accordo sull’affermazione di “Non una di meno” spiegando le motivazioni dello sciopero che “senza donne non c’è rivoluzione possibile!” ed è per questo che il PMLI invita le donne a “lottare contro il governo Gentiloni e il capitalismo, per il socialismo. Perché solo abbattendo il capitalismo e il potere della borghesia e instaurando il socialismo con il proletariato al potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle donne, la totale parità tra le donne e gli uomini e costruire un mondo nuovo”. Siamo le donne che hanno costruito la grande mobilitazione nazionale dello scorso 26-27 novembre che ha visto scendere in piazza più di duecentomila persone. Con lo slogan Non Una di Meno ci siamo rimesse in marcia contro la violenza maschile sulle donne insieme a tutti coloro che hanno riconosciuto questa lotta imprescindibile per la trasformazione radicale dell’esistente. La manifestazione ha ribadito che la violenza è un problema strutturale delle nostre società e agisce in ogni ambito della nostra vita. Il femminicidio è la punta dell’iceberg, l’epilogo tragico di una catena di discorsi e atti, simbolici e concreti, che dalla casa al posto di lavoro, dalla scuola all’università, negli ospedali e sui giornali, nei tribunali e nello spazio pubblico tende ad annientarci. Sappiamo come la violenza sulle donne si esprime in una molteplicità di agiti/piani: nella disparità salariale; nelle tante discriminazioni sui posti di lavoro, nei luoghi della formazione e della ricerca; nello sfruttamento del lavoro domestico e di cura, che sia svolto gratuitamente oppure in cambio di un salario, nella maggior parte dei casi da una donna migrante obbligata dal ricatto del permesso di soggiorno; nel ricatto della precarietà; nella privatizzazione della salute e dei servizi; nella negazione della libertà di scelta e dell’autodeterminazione, nella violenza ostetrica e medica, nell’obiezione di coscienza dilagante, nella squalificazione del nostro ruolo e della nostra dignità. Ma siamo altrettanto consapevoli – e dobbiamo farlo capire a molti – del peso che le donne, più della metà della popolazione mondiale, hanno nei processi economici, sociali,culturali, produttivi e riproduttivi, e della forza di mobilitazione trasformativa che possono esprimere e stanno esprimendo in tutto il mondo. Le giornate del 26 e 27 Novembre sono state solo l’inizio di un percorso di lotta, di elaborazione, di trasformazione, dunque, perché sentiamo fortemente il bisogno che tutto questo non rimanga sul piano esclusivamente simbolico. Per questo abbiamo fatto nostro l’appello delle donne argentine alla costruzione di uno SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE PER IL PROSSIMO 8 MARZO. Una giornata in cui rivendicare la nostra forza agendo la nostra sottrazione/astensione da ogni funzione produttiva e riproduttiva che ci riguardi. Si tratta di una pratica già sperimentata in passato ma inedita nella sua dimensione internazionale, che prende spunto dagli scioperi delle donne argentine e polacche dei mesi scorsi. È una sfida che lanciamo per rimettere al centro, dopo il 26 e il 27 novembre, il protagonismo delle donne contro la violenza psicologica, fisica, sociale, economica, politica e culturale, perché “Se le nostre vite non valgono, allora ci fermiamo”. Chiediamo, quindi, a tutti i sindacati confederali, di base e autonomi, in particolare a tutti quelli che hanno aderito alle giornate del 26 e del 27 Novembre, di mettersi al servizio della mobilitazione delle donne e di indire lo sciopero generale per la giornata dell’8 Marzo 2017, essere strumento utile allo sciopero e non ostacolo all’adesione delle lavoratrici e di tutt* coloro intendano partecipare a questa nuova giornata di lotta per la nostra autodeterminazione. Non Una Di Meno Conto corrente postale 85842383 intestato a: PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze PMLI / il bolscevico 11 N. 5 - 9 febbraio 2017 Presso la sede della Cellula “Mao” di Milano “Terza Nota” intervista Urgo sul PMLI e lo Stato islamico Dal corrispondente della Cellula “Mao” di Milano del PMLI Il 13 dicembre scorso il Segretario del Comitato lombardo del PMLI, nonché della Cellula “Mao” di Milano, compagno Angelo Urgo, ha concesso un’intervista al giornalista della rivista on-line “La Terza Nota”, Davide Rega, il quale ha preventivamente garantito che alla redazione della sua testata “siamo tutti convintamente antifascisti”; nel caso tale redazione avesse avuto un orientamento fascista o filo-fascista l’intervista, ovviamente, non sarebbe stata concessa. Nell’intervista Rega ha voluto fare domande sull’operato e la linea del Partito, soprattutto su “alcune prese di posizione controverse, come l’appoggio allo Stato Islamico e all’astensionismo alle elezioni”. Rispondendo al suo intervistatore, Urgo ha spiegato che l’attuale attività del PMLI è prevalentemente di propaganda: “propagandiamo la linea del Partito, che non è solamente quella strategica. Per esempio, partecipiamo al sindacato, nello specifico lavoriamo nella CGIL”. “Non perché pensiamo sia un sindacato rivoluzionario - ha specificato Urgo - ma perché seguiamo la tattica leninista di stare nel sindacato più partecipato, lavorandoci dall’interno per condizionare i lavoratori sulla nostra piattaforma rivendicativa”. “Veniamo alle questioni più spinose” ha quindi incalzato Rega domandando le ragioni del nostro appoggio allo Stato Islamico. Urgo ha risposto che il nostro non è un appoggio strategico; tra l’IS e il PMLI, dai punti di vista ideologico, culturale, tattico e strategico, c’è un abisso incolmabile; la nostra posizione è tattica, concerne specificatamente la tattica antimperialista esposta da Stalin nella sua celebre opera “Principi del Leninismo”. Urgo ha tenuto a specifica- Vorrei il modulo per l’ammissione al Partito Buonasera PMLI, mi chiamo Michela e vivo in Romagna. Vorrei gentilmente richiedere il modulo per la domanda di ammissione al Partito. Sostengo la filosofia marxista e la validità della causa della rivoluzione e della costruzione del socialismo. Attendo vostre notizie. Grazie e buona giornata. Michela - Romagna Un’esperienza importante e gratificante essere stati a Cavriago Care compagne e cari compagni del PMLI, avere partecipato, per la prima volta, alla Commemorazione del grande Maestro del proletariato Lenin in quel ICavriago (Reggio Emilia), 22 gennaio 2017. Il compagno Urgo, Segretario del Comitato lombardo del PMLI e della Cellula “Mao” di Milano, tiene alto il ritratto di Lenin durante la Commemorazione del grande Maestro del proletariato internazionale (foto Il Bolscevico) re che consideriamo lo Stato Islamico come un’entità statale che oggettivamente si oppone all’invasione e aggressione (diretta e per procura) di varie potenze imperialiste malamente coalizzatesi e tendenzialmente rivali. “Alla fine da dove nasce lo Stato Islamico?” si è chiesto il compagno per poi rispondere: “dalla comunità arabo-sunnita che si è ribellata inizialmente in Iraq, contro la dominazione imperialista succedutasi alla caduta di Saddam Hussein, e poi in Siria, alla discriminatoria dittatura della borghesia alawita guidata dal clan degli Assad”. Il fatto che tale ribellione all’oppressione imperialista ed etnico-religiosa abbia preso (nella maggioranza degli arabo-sunniti) la forma dell’ideologia salafita, e abbia adottato la Sharia, concezioni che non condividiamo e che sono anni luce lontane dalle nostre, “è il frutto del livello di coscienza del proletariato in quel Paese” dovuto anche al vuoto ideologico causato dallo scempio politico e ideale che i revisionisti falsi comunisti e il partito Baath hanno fatto (screditandola col loro operato fatto falsamente in suo nome) della giusta aspirazione a una autentica società laica e socialista. “Cosa pensate allora del Rojava – ribatte l’intervistatore - dove i curdi e altre etnie cercano di sviluppare un’esperienza socialista, democratica, femminista, ma fanno anche una guerra senza quartiere all’ISIS?”. Il nostro compagno ha spiegato che il partito politico che promuove il Rojava non è un partito marxista-leninista e che noi non consideriamo nemmeno che porti avanti il socialismo. Urgo ha quindi sottolineato che “ri- di Cavriago (Reggio Emilia), è stata per me un’esperienza importante e gratificante. Voglio ringraziare gli organizzatori, fra i quali il nostro amato Partito, per il taglio unitario dato all’iniziativa (quante bandiere rosse!) e il compagno Denis Branzanti per il significativo intervento fatto a nome del PMLI. Desidero ringraziare, inoltre, il compagno Segretario generale Giovanni Scuderi per il bellissimo e stimolante saluto fatto pervenire agli intervenuti. Credo proprio che, se avrò la possibilità sia di tempo che economiche, tale iniziativa mi vedrà ancora presente negli anni a venire. Un caro saluto rosso a tutti voi, uniti in cordata per il Socialismo, coi Maestri ed il PMLI, vinceremo! Andrea, operaio del Mugello (Firenze) La mia passione politica a disposizione del PMLI So che a Reggio Emilia (città Medaglia d’oro alla Resistenza) non c’è una Cellula del PMLI. Do la mia passione politica a disposizione. Le masse sono stanche. Addirittura qualche padrone sostiene che le classi non esistono più. Meno mercato, più Stato. Lotta continua compagni! Luciano – Reggio Emilia “Il Bolscevico” è l’unica fonte informativa a mettere il dito nella piaga “Il Bolscevico”, come sempre, è l’unico giornale (a stampa o online), anzi l’unica fonte informativa, a mettere il dito nella piaga sugli interventi tardivi e catastroficamente attivi post factum, ossia a cose fat- conosciamo legittime le rivendicazioni indipendentiste, o autonomiste, del Rojava, e riteniamo l’aggressione dell’IS ai curdi siriani un errore”, per poi spiegare che lo Stato Islamico “non è un’organizzazione coscientemente, soggettivamente, antimperialista, lo è solamente oggettivamente”. Altrimenti il Califfato avrebbe capito che sarebbe stata necessaria una tregua coi miliziani curdi invece di aggredirli e spingerli in braccio agli imperialisti americani. “Le formazioni militari del Rojava (YPG e YPJ) si chiamano gruppi di difesa, però, premendo verso Raqqa non si va più in difesa: stanno giocando una guerra di attacco che non è più quella del Rojava, dei curdi, ma è quella dell’imperialismo americano”. Per concludere l’argomento Urgo ha affermato che la nostra rivendicazione antimperialista è trattare la pace con lo Stato Islamico e mettere fine a questa guerra imperialista di aggressione per il petrolio, e non solo; una guerra che inoltre non fa altro che provocare rappresaglie terroristiche su civili innocenti che vivono nei Paesi aggressori. Alla domanda su come qualifichiamo l’astensionismo alle elezioni politiche e se consideriamo tutti i voti degli astenuti come voti nostri, Urgo ha risposto che l’astensionismo rappresenta una forma di voto di delegittimazione delle istituzioni borghesi, “da qui a dire che sono tutti voti nostri ce ne passa!”. Su cosa ne pensiamo del famoso “Odio gli indifferenti” di Gramsci il compagno Urgo ha premesso che il PMLI non è gramscista dato che Antonio Gramsci è stato un antifascista ma non un marxista-leninista, “ideologicamente non era nemmeno un materialista ma, in effetti, un idealista crociano”. Rispondendo alla domanda Urgo ha affermato che “questa posizione non la te, per il disastro atmosferico e sismico in Italia Centrale (Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo) della scorsa settimana. Lo fa sul numero 4 del 2 febbraio scorso, evidenziando come i soccorsi siano stati tardivi e insufficienti, come la Protezione Civile (sempre osannata dai media di regime), sia sempre quella: da Zamberletti (Friuli, più di quarant’anni fa) a Bertolaso (L’Aquila, otto anni fa), ad oggi con Vasco Errani, c’è una scelta di continuità che è quella della borghesia, che non si perita di lasciare morire tanti proletari e tante proletarie in condizioni terribili. I pochi salvati lo sono a patto che “si convertano” alla ragione dello Stato borghese e della carità spicciola e meramente assistenzialista, regolarmente delegata alla Caritas et similia. Eugen Galasso - Firenze La pagina web della rivista on-line “La Terza Nota” con l’intervista al PMLI condividiamo perché pensiamo che sia compito del Partito marxista-leninista far prendere coscienza anche agli indifferenti; avere questo atteggiamento elitario, di disprezzo, verso chi al momento è indifferente, perché non è ancora cosciente, della propria condizione sociale e di classe, è un partire male in partenza”. L’intervista si è conclusa con alcune domande a risposta rapida. Rispondendo a queste, Urgo ha ribadito il nostro attaccamento a Stalin come nostro Grande Maestro, affermando che su di lui si sono dette le cose più truci e infamanti, proprio perché è stato il primo a edificare una società socialista; ha riaffermato che Krusciov e il XX Congresso del PCUS rappresentano la restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica; ha definito Mao quale ultimo Grande Maestro del proletariato internazionale che ha edificato il socialismo in Cina e – col Grande Balzo in Avanti e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e quindi la continuazione della lotta di classe nelle condizioni del socialismo - l’ha portato anche più avanti dell’esperienza sovietica. Il nostro compagno ha affermato inoltre in merito al PCI revisionista che era un “Partito di massa, ma non partito di quadri”, non era un partito di tipo bolscevico, così come inteso da Lenin già nel 1903. Era un partito revisionista e riformista, che aveva come suo Alfa e Omega la Costituzione borghese e non il socialismo. Poi è stato anche un partito conservatore con Berlinguer, fino a diventare, nella seconda metà degli anni ’80, un partito che si è allineato alla linea reazionaria e liberista della borghesia italiana ed europea. In merito al proletariato di oggi Urgo ha detto che nonostante si sia cercato di proclamarne l’estinzione esso permane ed è sempre più sfruttato: “Oggi come oggi ci accorgiamo che esiste la classe operaia solo quando gli operai muoiono. La classe operaia esiste ancora, se la si vuole vedere”. Correttamente sintetizzata sulla base della registrazione, l’intervista è stata pubblicata l’8 gennaio sul sito de “La Terza Nota” (http://laterzanota. info/). Alla cui redazione vanno i nostri ringraziamenti per averla pubblicata dopo averci dato l’occasione di esporre, seppur in estrema sintesi, le nostre posizioni politiche spesso censurate, ignorate o calunniate dai mass-media borghesi e di regime. “La voce di Lucca” ha pubblicato il saluto di Scuderi alla Commemorazione di Lenin a Cavriago In data 27 gennaio “La voce di Lucca” on-line ha pubblicato il testo integrale del saluto del compagno Giovanni Scuderi ai partecipanti alla Commemorazione di Lenin che si è svolta a Cavriago il 22 gennaio, promossa congiuntamente dal PMLI.Emilia-Romagna e dalla federazione di Reggio Emilia del PCI. 12 il bolscevico / PMLI N. 5 - 9 febbraio 2017 Al direttivo Filctem-Cgil di Pisa Criticata la Direzione della Cgil per come ha gestito i referendum Cammilli: Occorre un nuovo, unico e grande sindacato Redazione di Fucecchio Forti e generalizzate sono state le critiche dei delegati dei lavoratori del chimico-farmaceutico, tessile-abbigliamento e del settore elettrico appartenenti alla categoria Filctem-Cgil riuniti nel direttivo provinciale svoltosi a Pisa il 20 di gennaio. Il direttivo si è aperto con l’approvazione del bilancio 2016 dove il funzionario intervenuto per spiegare le varie voci ha sottolineato, tra le altre cose, il calo dei tesserati e di conseguenza delle entrate. Ciò è dovuto in parte alla diminuzione degli occupati in provincia, a questo vanno aggiunti altri fattori, come la crisi economica che fa pesare sui lavoratori anche i 10-20 euro mensili della tessera sindacale. Non si può tacere nemmeno sul fatto che influisca anche la perdita di consensi e di credibilità che la Cgil sta subendo in questi DIALOGO ultimi anni. Successivamente è stata letta la relazione da parte di un esponente della categoria che ha toccato molti temi, come la vittoria del referendum costituzionale del 4 dicembre, i tre referendum, di cui uno bocciato dalla Consulta, promossi dalla Cgil con oltre 3 milioni di firme, temi locali come la trattativa per il rinnovo del contratto della Concia e altri più generali come quello dell’immigrazione. Alcune analisi erano in parte condivisibili ma è mancato qualsiasi accenno di critica alla politica dell’attuale governo Gentiloni. Gli interventi che si sono succeduti non hanno lesinato critiche al gruppo dirigente nazionale della Cgil. Tra questi quello del compagno Andrea Cammilli che ha parlato tra i primi. Nel suo intervento ha ricordato la vittoria nel referendum che ha sancito l’uscita di scena “purtroppo LETTORI Il compagno Andrea Cammilli, Responsabile della Commissione di massa del CC del PMLI guida la delegazione nazionale del PMLI alla manifestazione nazionale della Fiom, Roma 28 marzo 2015 (foto il bolscevico) temporanea” di Renzi. Una vittoria antifascista che ha respinto l’accentramento del potere nelle sue mani ma anche una sonora bocciatura verso la sua politica economica, in primis il Jobs Act. Il governo che si è formato è però della stessa natura, persino nei personaggi, manca solo Renzi alla presidenza ma quella di Gentiloni non è altro che la sua continuazione. Il compagno ha poi criticato la dirigenza Cgil per come ha gestito i tre referendum. Pur ritenendo quella della Corte Costituzionale sull’articolo 18 una sentenza politica il fior fiore di costituzionalisti messi in campo da Camusso e soci si sono rivelati incompetenti fornendo appigli per la sua bocciatura tanto da far sospettare che ciò sia stato fatto volutamente. Questo tipo di critica è stato fatto proprio da tutti gli intervenuti che hanno giudicato inaccettabile la gestione del quesito referendario sull’articolo 18, a cui va aggiunto l’atteggiamento sconsiderato sui voucher, utilizzato in molte strutture sindacali per pagare prestazioni occasionali, specie dallo SPI, il sindacato dei pensionati. A conclusione del suo intervento il compagno Cammilli ha sottolineato come la Cgil, per contrastare la perdita di tessere evidenziata dal bilancio, dovrebbe riappropriarsi del ruolo per cui è nata, ovvero rappresentare gli interessi dei lavoratori e abbandonare la ricerca ostinata della concertazione. Ma per fare questo occorrerà un nuovo, unico e grande sindacato svincolato dalle compatibilità economiche del capitalismo e dai suoi partiti, non burocratico e democratico che sappia intercettare anche i lavoratori più giovani e la sempre più vasta area del precariato. Questa rubrica è aperta a tutti i lettori de Il Bolscevico, con l’esclusione dei fascisti. Può essere sollevata qualsiasi questione inerente la linea politica del PMLI e la vita e le lotte delle masse. Le lettere non devono superare le 50 righe dattiloscritte, 3000 battute spazi inclusi. Il discorso di Scuderi “Da Marx a Mao” è “ancorato al passato”? Ciao compagni, vi do il mio punto di vista sul PMLI, e spero possa far nascere un dibattito e non un attrito: ho letto integralmente il discorso di Scuderi “Da Marx a Mao” e lo ritengo un interessante documento storico; però onestamente il PMLI è troppo ancorato al passato, secondo me ha lo sguardo rivolto indietro. Anche se i messaggi sono giusti, andrebbero rivisti in chiave moderna. Citando ogni volta nei discorsi Mao o Lenin, si cade nella retorica. A mio modo di vedere dovrebbe essere più aperto all’interno, e modificare parte della fraseologia per entrare nelle teste e nei cuori della gente. Anche se Guevara non è stato un marxista al 100% (che poi è tutto da dimostrare), non lo si può lasciare agli avversari. Anche il riconoscimento dell’ISIS è qualcosa che non capisco. Simone, simpatizzante PCI, Roma Ciao compagno Simone, nessun “attrito”, fra compagni è bene essere franchi, leali e dirsi le cose apertamente, nell’interesse della causa. Il discorso di Scuderi ci pare tutt’altro che “ancorato al passato”. Per esempio ci sono lunghi capitoli sul governo Renzi, sulla costruzione del Partito, sul progetto di socialismo che guardano ben avanti, non indietro. Se non citiamo Lenin o Mao, o meglio se non ci ricolleghiamo ai Maestri del proletariato internazionale che ci hanno lasciato insegnamenti imprescindibili per capire e combattere il capitalismo, come possiamo fare bene la lotta di classe? Se leggi attentamente i discorsi di Scuderi e degli altri dirigenti del PMLI, i suoi documenti e gli articoli del “Bolscevico”, vedrai che noi cerchiamo sempre di legare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao alle condizioni concrete. Ciascuna classe e ciascun partito cita i propri maestri, chi apertamente chi indirettamente. Noi non abbiamo paura a dire che i nostri sono Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e non abbiamo intenzione di rinunciare alla loro bandiera rossa. L’esatto contrario di quanto hanno fatto i partiti revisionisti, in Italia e nel mondo, che hanno cestinato il marxismo considerandolo “roba vecchia” e oggi hanno completamente smarrito la bussola. Infatti si infognano sulla Costituzione del ’48, che però nasce come un compromesso al ribasso per il proletariato e che nei fatti non esiste più, pensa solo al presidenzialismo di fatto, all’indebolimento del parlamento, alla cancellazione di fatto dell’articolo 11, all’inserimento del fiscal compact. Certo che dobbiamo entrare “nelle teste e nei cuori della gente” ma con un’alternativa valida al capitalismo. È compito degli autentici comunisti lavorare affinché il proletariato recuperi la sua coscienza di classe e si batta contro l’intero sistema di sfruttamento capitalistico. Ma se modificassimo la “fraseologia” cancellando i riferimenti al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e al socialismo, non ti sembra che faremmo il gioco della borghesia, che ha interesse a far dimenticare il comunismo? Attento, compagno: storicamente, questa è la via che ha portato l’ex PCI a omologarsi al capitalismo trasformandosi in- fine nell’attuale PD. Riguardo a Guevara e all’IS, non sappiamo se hai letto i documenti del PMLI in merito. Ti invitiamo a farlo perché la tua “critica” di appena due parole su questi temi molto importanti, soprattutto l’IS, lascerebbe intendere che ti basi più che altro sul “sentito dire” o che comunque non hai approfondito molto. Speriamo tu non ti sia fatto influenzare da avversari del PMLI. Se non è così ne siamo felici, ma non capiamo perché tu non abbia articolato meglio il tuo punto di vista, dandoci peraltro modo di chiarire le nostre posizioni. Sull’IS ti invitiamo a leggere in via immediata la seconda parte del discorso di Scuderi dell’11 ottobre 2015 e l’editoriale “Spez- zare la spirale guerra imperialista e attentati terroristici”, successivamente l’intero rapporto del compagno Erne alla 5ª Sessione plenaria del CC del PMLI. Da questi documenti capirai che noi non condividiamo per niente l’ideologia, la religione, il progetto di società e gli attacchi terroristici dell’IS contro i civili, tuttavia da coerenti antimperialisti ci opponiamo alla guerra che gli imperialisti americani, europei e russi stanno conducendo contro di esso per spartirsi il Medioriente. In questo senso appoggiamo la resistenza dell’IS per scacciare gli occupanti stranieri, ma giudichiamo gravissimi errori gli attacchi contro i civili, attacchi che comunque non cesseranno se non si ferma la guerra. Su Guevara, puoi leggere il saggio di Scuderi: “Dove porta la bandiera di Guevara”. Comunque non ci pare che esista il pericolo di lasciare Guevara “agli avversari”, si tratta invece di riconoscere che è stato un importante rivoluzionario antimperialista, ma che il suo pensiero e la sua azione non erano marxisti-leninisti. Il problema è che i neorevisionisti e i trotzkisti ne hanno fatto un’icona da sostituire a Lenin e persino a Marx. Speriamo di avere chiarito almeno in parte i tuoi dubbi. In ogni caso continuiamo a confrontarci. Facendo attenzione a non cadere nelle trappole del revisionismo e del riformismo, che non hanno mai portato i sinceri comunisti da nessuna parte. napoli / il bolscevico 13 N. 5 - 9 febbraio 2017 Silenzio assordante di De Magistris De Luca dispone la chiusura anche dell’ospedale San Gennaro dei poveri giovani e disoccupati occupano lo storico nosocomio Redazione di Napoli È permanente l’occupazione da fine ottobre da parte delle masse popolari del quartiere Sanità contro la vergognosa chiusura deIl’Ospedale San Gennaro dei Poveri, uno dei più antichi e storici nosocomi partenopei che si colloca a due passi dal ponte dedicato alla partigiana delle Gloriose Quattro Giornate di Napoli, Lena Cerasuolo, nell’ottica dello smantellamento criminale voluto e propugnato dal governatore antipopolare De Luca. Ennesimo attacco alla sanità campana con la scusa dell’apertura prossima dell’Ospedale del Mare in tutti i suoi reparti che dovrebbero sopperire alle presunte insufficienze sia del San Gennaro che della Annunziata. Servizi pubblici e sanitari vitali che colpiscono due quartieri simbolo di Napoli come quello che attornia via Forcella o che costeggia la Sanità, in balia dei nuovi clan emergenti che non risparmiano sangue e colpi di pistola pur di ribadire il loro dominio territoriale. Assenti le istituzioni nazionali e locali in camicia nera dove si sottolinea l’ennesimo silenzio assordante del neopodetsà De Magistris e della sua giunta arancione che nulla hanno fatto per impedire la chiusura dei due nosocomi. Le masse popolari, ma soprattutto i giovani e i senzalavoro organizzati, hanno occupato l’ospedale e in assemblea permanente hanno dichiarato che il “San Gennaro è uno degli ultimi poli di occupazione che crea benessere e servizi utili al quartiere, la sua chiusura cancelle- rebbe ulteriori posti di lavoro in un territorio in cui dilaga la disoccupazione e che da mesi è sotto attacco di una guerra di camorra spietata. Siamo in presidio permanente - continuano gli occupanti - all’interno della struttura per impedire il trasferimento dei macchinari e di tutte le attrezzature medico sanitarie”. Noi marxisti-leninisti dal canto nostro condividiamo pienamente la lotta degli occupanti contro la chiusura dell’ospedale napoletano le cui responsabilità politiche ricadono totalmente su De Luca e su De Magistris. Una manifestazione degli abitanti del quartiere Sanità contro la chiusura dell’ospedale San Gennaro Si tratta per lo più di giovanissimi tra gli 8 ai 13 anni Sempre più giovani i pusher della camorra a Napoli Le politiche del governo Gentiloni e della giunta De Magistris, che condannano alla disoccupazione e al degrado delle periferie urbane, li danno in pasto alla camorra Redazione di Napoli “Ci si chiede come mai questo fenomeno della criminalità a Napoli non cessi. La risposta? Qui bambini dall’età più tenera vengono avviati al crimine e vivono in un ambiente dove il crimine è la normalità. La città non può più tollerare questo circolo, dobbiamo spezzarlo”. Sono le ferme parole del procuratore Giovanni Colangelo che interviene nella durissima polemica tra Saviano e De Magistris e che riesplode all’indomani degli arresti nel cuore del centro storico, a pochi passi da piazza del Plebiscito. Il nuovo caso scoppiato a Napoli è probabilmente senza precedenti: il clan Elia, associazione a delinquere di stampo camorristico secondo la Procura di Napoli dedita allo spaccio di droga, utilizza decine di bambini per confezionare dosi di cocaina e spacciare. È quanto emerge da un’inchiesta che ha portato all’arresto di quasi un centinaio di esponenti del clan, con ben 45 ordini di custodia cautelare in carcere. Una maxioperazione che ha fatto raggelare gli inquirenti quando hanno scoperto, attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, che, quasi “per gioco” una bimba di 8 anni e un bimbo di 10 anni, riempivano buste di droga. Questi i fatti: nella zona del Pallonetto di Santa Lucia e nell’area a ridosso di piazza del Plebiscito e del Borgo Marinari il clan Elia spadroneggia ormai da alcuni anni con guadagni di più di 5 mila euro al giorno, grazie Comunicato del Csoa Officina 99 - Napoli Contro lo Sgombero del Campo Rom e la Violenza delle Istituzioni Venerdì 27 gennaio ore 10.30 sit-in Piazza Plebiscito Durante la cerimonia ufficiale per la giornata della memoria, della Shoah e anche del “Porrajmos” con lo sterminio di centinaia di migliaia di rom nei campi di concentramento, facciamo sentire tutti e tutte la nostra voce contro questo ennesimo atto di violenza istituzionale, contro i rigurgiti razzisti e fascisti! Milletrecento persone, 450 bambini... Da alcune settimane il campo rom di via Brecce a Gianturco è oggetto di uno sgombero tanto silenzioso quanto violento. Uno sgombero silenzioso perché messo in atto da polizia e vigili urbani con tecniche che mirano a spaventare e far fuggire gli abitanti del campo. Gli atteggiamenti aggressivi delle forze di polizia e la loro presenza costante nella forma di un assedio permanente, il sequestro vigliacco dei più semplici strumenti di sopravvivenza (dalla macchina al furgone, dal carrello al cibo fino ai pacchi della Caritas), le continue identificazioni dei solidali, il tentativo di bloccare i giornalisti che cercavano di documentare tutto questo, vogliono intimidire i rom e distruggere qualsiasi legame di solidarietà con la loro lotta. Una strategia già sperimentata: l’intenzione è quella di scacciare il maggior numero possibile degli abitanti del campo per rendere meno visibile e scandaloso lo sgombero finale. Cacciati da via Brecce, i rom saranno costretti a trovare un’altra sistemazione d’emergenza, almeno fino al prossimo episodio di razzismo o al prossimo sgombero, in un circolo vizioso senza fine assecondato dalle istituzioni. Persone che vivono a Napoli da anni, molti da decenni, tanti sono nati qui e non hanno vissuto altra terra che questa... Mentre si esalta la città vetrina, in periferia anche il semplice diritto a un tetto continua a essere negato. Da quasi un anno tutti gli attori istituzionali di questa violenza, che lascerà in mezzo alla strada più di mille persone, rifiutano qualsiasi responsabilità. La Procura, mentre si erge a custode della sicurezza e della legalità, si limita in realtà a tutelare le mire speculative del proprietario del terreno su cui si trova il campo, mettendo gli interessi della proprietà davanti alla vita delle persone. La re- gione si nasconde e sfugge alle proprie responsabilità, riproponendo la linea programmatica del suo governatore, che alle questioni sociali irrisolte risponde solo con la repressione e gli sgomberi. L’amministrazione Comunale infine, mentre proclama i valori dell’accoglienza, da mesi risponde solo con vane promesse e soluzioni inadeguate alla richiesta degli abitanti del campo di ottenere un’altra sistemazione, nascondendosi dietro la scusa dell’emergenza. Un’emergenza costruita ad arte perché da sempre colpevolmente ignorata, in quanto nessuna istituzione si è mai preoccupata di progettare una vera politica abitativa per i rom di Napoli, l’unico modo per uscire dalla politica dei ghetti. Con risorse e fondi dedicati, nazionali ed europei, scomparsi nel nulla come i sedici milioni di euro assegnati alla Prefettura di Napoli pochi mesi fà... Contro il razzismo e la guerra ai poveri: diritti per tutti! #nessunescluso Solidali di via Brecce Antirazziste e antirazzisti di Napoli anche all’uso di minori. Una delle vicende raccontate in conferenza stampa dagli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli parla di una bimba di otto anni che confeziona dosi di droga in salotto con sua mamma camorrista che le insegna come imbustare la “polvere” e sotto la supervisione dello zio che le forniva i rudimenti necessari al dosaggio della “roba”. Mentre la camorra soffoca sempre di più Napoli, i minorenni crescono ormai in una sconcertante normalità fatta di attività illecita, di traffico di stupefacenti, di pistole e finanche di omicidi. Com’è successo ai giovanissimi arrestati in questi giorni per l’omicidio di Genny Cesarano, con l’omissione (per omertà e per paura) degli amici più stretti che non hanno fornito agli inquirenti i dettagli per un arresto rapido del killer protagonista della “stesa” punitiva. Un altro dato nuovo, a con- ferma – per dirla con le parole del procuratore aggiunto Filippo Beatrice (coordinatore della Direzione distrettuale antimafia partenopea) – del loro “ruolo sempre più centrale” è dato dalla donne capocamorra, situazione già consolidata nel clan dei Casalesi e ora di pieno regime nei gruppi criminali napoletani, come si è visto con l’arresto del clan Amato-Pagano. La camorra impiega i bimbi al di sotto dei 14 anni (la soglia di età di punibilità penale) per i propri affari per eludere le maglie della precaria giustizia penale borghese. Una volta presi i minorenni gli stessi vengono educati non al gioco ma al crimine, pronti, dopo pochi anni (tra i 16 e i 18 anni), ad imbracciare una arma e avviarsi a scalare le vette della compagine criminale. La cosiddetta “paranza dei bambini” denunciata dal giornalista Roberto Saviano, non si tratta dunque di una invenzione come sosterrebbe il sindaco Luigi De Magistris tesa in particolare a far fare guadagni d’oro a Saviano e denigrare incondizionatamente Napoli, ma una terribile e atroce realtà. Bambini e bambine, e minorenni in generale, nei quartieri più poveri crescono a pane e camorra senza che le istituzioni nazionali e locali in camicia nera riescano a produrre uno straccio di piano che risani il territorio e costruisca opportunità di lavoro stabile e a salario pieno attraverso lo sviluppo e la nuova industrializzazione. I governi del nuovo duce Renzi e della sua fotocopia Gentiloni, ma anche il sindaco, stanno condannando intere generazioni alla criminalità soprattutto nei quartieri più poveri e disagiati, ma anche quelli del centro storico come dimostrano i fatti avvenuti al Pallonetto S. Lucia dove si è consumato l’ennesimo fallimento dell’amministrazione De Magistris. Nella lista “Dema” anche ex Pdl e ex FI De Magistris candida a Pozzuoli Cossiga, ex UDC Piano piano si autosmaschera la presunta “rivoluzione arancione” dell’ex pm Redazione di Napoli Sarebbe un “outsider”, secondo la stampa del regime neofascista, il nuovo candidato per la lista “Dema – democrazia e autonomia” al comune di Pozzuoli, la ex “piccola URSS”, alla poltrona di sindaco. Si tratta, invece, di un riciclato, esattamente un ex UDC, già consigliere comunale nel comune flegreo, il probabile candidato del movimento vicino a De Magistris, ossia Alessandro Cossiga, con il padre, Ermanno, già legatissimo al partito di Alfano e Casini. Con questa candidatura di regime l’ex pm punterebbe a spodestare l’attuale “centro-sinistra” guidato da diversi anni dall’attuale neopodestà Figliolia (PD), traghettando gli ex SeL e Sinistra Italiana in particolare, ma anche alcuni volti noti al “centro-destra”. Si parla di Pasquale Giacobbe, già consigliere regionale per Forza Italia con Caldoro presidente e già sindaco di Pozzuoli tra il 2008 e il 2010 prima dell’avvento di Figliolia. Si parla dell’ex assessore al Commercio della giunta Figliolia, il vendoliano Carlo Morra e, in ultimo proprio di Alessandro Cossiga, legatissimo all’UDC e consigliere comunale a sostegno della casa del fascio per due legislature municipali a Pozzuoli. Dovesse venire l’ufficialità (l’unica alternativa che circola sarebbe Niky della Corte, fuoriuscito dal PD, ex consigliere di maggioranza di Figliolia, ora simbolo di liste civiche e giovanili), la candidatura di Cossiga a guida del movimento politico “DeMa” non farebbe altro che squarciare il velo di ipocrisia del neopodestà De Magistris e della sua presunta rivoluzione cittadina per prestare il fianco nella sua lista alla destra e alla “sinistra” del regime neofascista. esteri / il bolscevico 15 N. 5 - 9 febbraio 2017 All’incontro di Astana Russia, Turchia e Iran si accordano sul cessate il fuoco in Siria Il PYD e la YPG curdi non rispetteranno l’accordo. Il governo siriano e parte dell’opposizione negozieranno a Ginevra Nella conferenza sulla Siria che si è tenuta a Astana, in Kazakhstan, il 23 e 24 gennaio Russia, Iran e Turchia hanno ribadito che “cercheranno, attraverso iniziative concrete, di utilizzare la loro influenza sulle parti, per consolidare il regime di cessate il fuoco, istituito ai sensi gli accordi conclusi il 29 dicembre del 2016 e sostenuto dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 2336 (2016), al fine di contribuire a ridurre al minimo le violazioni e la violenza, garantendo il libero accesso umanitario, rapido e senza intoppi, in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2165 (2014), garantendo altresì la protezione e la libera circolazione dei civili in Siria “. Le tre potenze imperialiste si fanno garanti del mantenimento della tregua in Siria sottoscritta dal regime di Damasco e una parte delle opposizioni armate e nel comunicato finale del vertice assicurano che i patti stipulati tra le parti siriane e vidimati dall’Onu saranno rispettati. Il vertice di Astana tra go- Continuerà la guerra contro l’Is e Al-Nusra verno di Damasco e opposizioni era il primo passaggio previsto dagli accordi. Un negoziato indiretto tra le parti siriane con incontri separati guidati dai rappresentanti dei tre paesi, gli unici firmatari del documento finale. Russia, Turchia e Iran hanno di nuovo garantito che “non esiste una soluzione militare alla crisi siriana, che può essere risolta solo attraverso un processo politico” basato sulle risoluzioni dell’Onu. Una volta che gli eserciti di Mosca e Ankara e le milizie di Teheran avranno raggiunto i propri obiettivi militari nel paese, ovviamente. Fino a allora sono piovute bombe russe e turche e continueranno a piovere perché la tregua non vale per tutti gli attori sullo scenario siriano: i tre paesi imperialisti confermavano la loro determinazione a combattere congiuntamente lo Stato islamico (IS) e Fatah Al Sham (ex Al nusra) definite organizzazioni terroristiche, diverse dagli altri “gruppi armati dell’opposizione” siriana. La guerra all’IS resta una delle priorità di Putin e Erdogan tanto che a metà gennaio i due paesi firmavano un memorandum per prevenire “incidenti” tra aerei da guerra turchi e russi, nonché per preparare “operazioni congiunte in Siria per distruggere i gruppi terroristici internazionali”. Il 17 gennaio le forze aeree russe e turche effettuavano assieme 36 raid contro l’IS ad el Bab, nella provincia di Aleppo su obiettivi concordati dai due Stati maggiori. Un’azione che rappresentava anche un avvertimento alle formazioni curde delle Forze Democratiche Siriane (FDS) attive nella zona nonostante il fascista Erdogan abbia più volte chiesto il loro allontanamento da quella che considera una proprio zona di influenza. L’azione della Russia contro l’IS si ripeteva il 21 gennaio quando sei bombardieri a lungo raggio Tu-22M3 colpivano vari bersagli nella provincia di Deir ez-Zor; i bombardieri erano partiti da basi in Russia. Il documento firmato da Russia, Turchia e Iran sottolineava come “l’incontro internazionale di Astana sia una piattaforma efficace per un dialogo diretto tra il governo e la opposizioni come richiesto dalla risoluzione n. 2254 dell’Onu”. Per sottolineare che la soluzione della crisi siriana era possibile solo sotto la loro regia e sulla base dei loro accordi di spartizione del paese. Annunciava il prosieguo delle trattative “tra il governo e l’opposizione, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, il prossimo 8 febbraio a Ginevra”. Neanche tre giorni dopo il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov doveva comunicare che l’incontro era rinviato alla fine di febbraio, incolpando l’Onu del ritardo nell’organizzazione. I problemi per lo sviluppo dei negoziati però sono diversi a cominciare dai diversi obiettivi che hanno il regime di Damasco e i gruppi dell’opposizione. Già prima del vertice il responsabile della delegazione delle opposizioni siriane aveva sottolineato che “l’opposizione mira a stabilizzare il cessate il fuoco in maniera completa e a portare avanti la transizione politica, cominciando dall’uscita di scena di Bashar Assad e del suo regime”. Quello che era l’obiettivo iniziale anche della Turchia. Intanto i gruppi che partecipano ai negoziati puntano a congelare l’offensiva militare di Damasco per evitare la perdita delle altre parti di territorio che ancora controllano. Per Assad i colloqui partiti a Astana dovevano avere come priorità la resa e l’amnistia per gli oppositori armati. Due posizioni al momento inconciliabili. Altra questione non secondaria per lo sviluppo dei negoziati di pace è quella relativa al futuro delle regioni curde e evidenziata dall’assenza al tavolo dei negoziati dei rappresentanti della Federazione democratica del Nord Siria e delle Forze Democratiche Siriane (SDF). O meglio del Partito dell’Unione Democratica (PYD) e delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) che ne costituiscono l’ossatura. In una nota le YPG denunciavano che “il meeting di Astana è promosso da Russia, Iran e Turchia, cioè coloro che sono maggiormente coinvolti in Siria e sono parte delle cause del conflitto siriano. L’unica soluzione per la Siria è la soluzione democratica ed essa non potrà mai ve- dere la luce finché tutte le parti presenti sul campo non saranno sedute attorno al tavolo dei negoziati.” “Le decisioni prese ad Astana senza la nostra presenza non porteranno a nessuna soluzione e soprattutto non saranno vincolanti per noi” aggiungeva il co-presidente del PYD Saleh Muslim. Era l’agenzia iraniana Fars a dare la notizia che il governo di Damasco si era detto favorevole a una “soluzione politica dei problemi curdi attraverso colloqui politici tra le due parti”. E la stampa russa il 26 gennaio dava notizia che a Astana la delegazione di Mosca aveva informalmente presentato una bozza di Costituzione che garantiva la sovranità e l’integrità della Siria come Stato multietnico e multiconfessionale. Sta al popolo siriano decidere se la Siria “sarà autonoma, una federazione o una confederazione”, garantiva un portavoce del ministero degli Esteri russo. Intanto però Mosca apriva un tavolo di discussione sulla Costituzione con rappresentanti di formazioni curde siriane legate ai curdi iracheni di Barzani, quelli alleati della Turchia. Piano dell’Ue per respingere i migranti in Libia “Gestire meglio la migrazione e salvare vite lungo la rotta del Mediterraneo centrale”, è l’impegno che si è preso la Comissione europea nel documento messo a punto in vista dei prossimi appuntamenti europei sul tema dei migranti. Un impegno che sembrerebbe “nobile” ma che dietro la facciata nasconde la proposta di una serie di misure immediate per blindare le coste libiche e bloccare le partenze dei migranti. Il compito sarà affidato in prima battuta alle autorità libiche, con i pattugliamenti davanti alle coste e un controllo rigoroso delle permeabili frontiere del sud del paese con Ciad e Niger. La Ue li chiama salvataggi in mare ma sono respingimenti, o meglio “ritorni volontari assistiti”. Il piano è stato presentato il 25 gennaio a Bruxelles dal- la Commissione europea e dall’Alta rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini, che ha sottolineato come al momento siano stati stanziati 200 milioni di euro per la formazione e l’equipaggiamento della guardia costiera libica e per “migliorare la condizione per i migranti” sul suolo libico, una situazione che riconosce essere “molto grave sui diritti umani, soprattutto delle donne”. Il premier laburista di Malta Jospeh Muscat, presidente di turno della Ue, aveva lanciato l’allarme migranti nell’incontro del 24 gennaio col presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker: “ci sarà una nuova crisi di migranti nei prossimi mesi e i numeri potrebbero essere peggiori del 2016”. E prima ancora che il commissario Ue all’Immigrazione, il gre- CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI FEBBRAIO 1 2-4 4 7 Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil - Cobas del Lavoro Privato – Telecomunicazioni – Sciopero dei lavoratori delle aziende del settore telecomunicazioni associate ad Asstel Osp Sgb - Ost Filt-Cgil - Osr Fit-Cisl – Uilt-Uil - Osr Faisa-Cisal - Osr Sul-Ct - Sciopero personale del trasporto pubblico locale con modalità e date differenziate sul territorio FlmUniti-Cub – Telecomunicazioni – Sciopero personale di Telecom Italia SpA OSR Cub-OSR Usb lavoro privato Trasporto aereo – Sciopero generale dei lavoratori del comparto aereo, aeroporturale ed indotto degli aeroporti per 4 ore co Dimitri Avramopoulos, e la Mogherini illustrassero il loro progetto aveva esposto quanto messo a punto in un documento informale della presidenza maltese in cui si chiedeva agli Stati membri di pensare “alla creazione di una linea di protezione” per fermare i migranti “molto più vicina ai porti di origine, nelle acque territoriali libiche”; una operazione da af- fidare alle “forze libiche come operatori di prima linea ma con un sostegno europeo forte e duraturo” data la poca affidabilità dell’instabile governo fantoccio del premier al Serraj. Il documento della Commissione seguiva la stessa traccia indicando la necessità di definire una doppia “linea di protezione” per impedire ai migranti di sbarcare in Europa. Il primo muro sul percorso dei migranti sarà quello messo in atto dalla guardia costiera di Tripoli, in acque territoriali libiche. La guardia costiera libica, il cui addestramento affidato alla missione europea Sophia è quasi giunto al termine, avrà il compito di fermare i barconi alla partenza. Sorvegliate e appoggiate in acque internazionali dalle navi militari della Ue. Il secondo muro sarà quello di terra, anzitutto lungo la linea di confine che separa la Libia dal Niger per cercare di chiudere una delle vie di transito dei migranti e bloccarli fuori dal paese. Successivamente la Ue conta di blindare le frontiere sud della Libia anche grazie a accordi di collaborazione con altri paesi africani quali Mali, Ciad ed Egitto. In Siria La Russia ottiene l’uso per altri 49 anni della base navale di Tartus e di quella aerea di Hmeymim L’iniziativa diplomatica dell’imperialismo russo per consolidare le posizioni vantaggiose conquistate in Medio Oriente con l’intervento militare in Siria a sostegno del regime di Assad non si limita ai negoziati che hanno preso il via con la riunione di Astana del 23 gennaio. Se al momento il Cremlino è riuscito a mettere in linea dietro di sé la Turchia e l’Iran, che sulla spartizione della Siria hanno progetti differenti, ha pensato comunque a consolidare la sua presenza militare nel paese, nella base navale di Tartus e in quella aerea di Hmeymim. Un documento pubblicato il 23 gennaio sul portale d’informazione del governo russo annunciava che Russia e Siria avevano firmato un accordo per l’espansione e la modernizzazione della base navale russa nel porto siriano di Tartus. “L’attuale accordo ha una validità di 49 anni e sarà prolungato automaticamente ogni 25 anni, a meno che una delle due parti non notifichi all’altra, non meno di un anno prima in forma scritta e per via diplomatica, della sua intenzione di terminarlo”, era precisato nel documento che sottolineava in particolare il diritto riconosciuto dal regime di Damasco alla Federazione russa di avere piena autorità legale sulla struttura di Tartus e la concessione dell’uso gratuito. L’accordo prevede un ampliamento della base in modo da poter permettere l’attracco e l’assistenza a 11 navi contemporaneamente, alcune anche di grandi dimensioni, rispetto alle 4 attuali e di medie dimensioni. Se l’accordo per la concessione da parte di Damasco di Tartus alla Russia vale mezzo secolo con prolungamenti automatici, quello per la base aerea ad Hmeymim è valido a tempo indeterminato. L’accordo tra Siria e Russia sulla concessione della base aerea risale all’agosto 2015 e rispondeva alla necessità dell’imperialismo russo di correre in aiuto al regime di Assad colpito duramente dalle milizie delle opposizioni armate da Turchia e Arabia Saudita ma soprattutto dalle vittorie dello Stato islamico che a Raqqa stabiliva la sua capitale. Di lì a poco scattava l’intervento militare in Siria deciso dal nuovo zar Putin anche per non perdere le strategiche basi nel paese. L’accordo con Damasco per la concessione della base aerea, anche essa a titolo gratuito, è stato perfezionato a fine 2016 e ratificato con un decreto presidenziale firmato da Putin che chiarisce come nella base comandino i gnerali russi, seppur “in coordinamento con la parte siriana” e che il personale del gruppo aereo può “liberamente attraversare il confine siriano senza essere soggetto al controllo da parte delle autorità di frontiera e doganali”. Se la Russia pensa alle basi, l’Iran pensa agli affari. Il 17 gennaio Iran e Siria hanno firmato alcuni accordi economici fra i quali quello che assegna a Teheran la licenza per operare nel settore della telefonia mobile siriana. Il regime di Damasco ha inoltre regalato all’Iran i diritti di estrazione di fosfati dal sito minerario di Sharqiya e 1.000 ettari di terreno destinati a ospitare terminal di gas e petrolio. O L A V I V E L A B O L G O R E P O I C S O Z R A M 8 ’ L DEL No alla violenza maschile sulle donne l’Assemblea nazionale di NON UNA DI O M A I MENO e le auguriamo pieno successo SALUT la piattaforma contro la violenza O M A maschile sulle donne, sulle lesbiche I G G O APP e sui transessuali le donne a lottare contro il governo O M A I T I V IN Gentiloni e il capitalismo, per il socialismo. Perché solo abbattendo il capitalismo e il potere della borghesia e instaurando il socialismo con il proletariato al potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle donne, la totale parità tra le donne e gli uomini e costruire un mondo nuovo PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it Stampato in proprio “Le donne portano sulle loro spalle la metà del cielo e devono conquistarsela” Mao Zedong