Rubbettino
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Rubbettino
Marzapane: cibo in (e fuor di) scatola tin o “La Sicilia è un bouquet di colori, sapori e odori fantastici, e la mia vita è stata costellata da queste fantastiche policromie. Il carattere dei siciliani è tra i più variegati: ne sono testimoni le non poche dominazioni che si sono succedute nell’isola, perché greci, arabi, normanni hanno lasciato tanto e quel tanto è entrato a far parte della nostra cultura. La tavola sicilana propone ancora sapori e colori avvolgenti. Io, figlio di pasticciere, sono molto legato alla “dolce” nostra tradizione: un must della mia infanzia erano le olivette di Sant’Agata, dolce marzapane di un verde brillante, a forma di oliva e zucchero semolato che le avvolge. Leggendo l’epistolario tra Federico De Roberto e la nobildonna Ernesta Valle raccolto in un libro, edito da Bompiani (Si dubita sempre delle cose più belle), le ho ritrovate come dono all’amata, fatto arrivare direttamente dalla Sicilia a Milano. Piaceri che tornano!” Leo Gullotta bb «Marzapane e Marzapane». Non è un errore di doppia battitura, ma un bel caso di quella che potremmo tecnicamente definire “geoomonimia antonimica”; è un po’ come attraversare il Nord e il Sud Italia, oppure il salato e il dolce, o ancora il passato e il presente. Nella cucina piemontese (in particolare nell’area del Medio-Basso Novarese: «Marssapan facc con ‘l sang dal porcel, spéssii e pan o patati»: http:// www.pratosesia.com/dialetto/gastronomia_d.html) e in quella lombarda (soprattutto nella Lomellina e nel Basso Pavese) il marzapane è il sanguinaccio, un insaccato a base di sangue e carne del maiale, mescolati al pane o alle patate (APTTLomb, p. 69): Ru 166 et Un po’ salato, un po’ dolce Sanguinaccio o marzapane Sinonimo Massapan, marsapan, buschin. […] Descrizione del prodotto Ha forma arcuata di 20 cm circa di lunghezza e peso di 200-500 g. Il sapore è dolce di salame cotto, aromatizzato; la consistenza morbida. Si prepara con la macinazione delle carni, con l’aggiunta di pane e sangue, l’insaporimento con aromi, seguito dall’insaccatura e asciugatura. Si cucina con il puré o con le lenticchie. È un prodotto soggetto a stagionalità (da novembre ad aprile). Nella cucina pugliese e siciliana il marzapane, da non confondere con la pasta di mandorle, è invece una pasta molto dolce, realizzabile con tre ingredienti basici (mandorle tritate, albume e zucchero ben amalgamati) e cotta al forno; quando non viene consumata in quanto tale può avere una funzione decorativa, o può servire alla preparazione di una varietà di dolci di forme differenti, per la sua grande malleabilità. In questa “dolce” – e più comunemente nota – accezione, di cui qui tratteremo, il nostro prodotto è presente anche nel manuale di Pellegrino Artusi, nella «sfogliata di marzapane» (Artusi 1970: 489), nei «pasticcini di marzapane» (ibid., p. 553) e nella torta ricciolina (ibid., pp. 500-501). Eccone, relativamente a quest’ultima, gli ingredienti, il dosaggio e il modo di preparazione (ibid., p. 501): tin o Mandorle dolci con tre amare, sbucciate, grammi 120. Zucchero, grammi 100. Burro, grammi 15. Arancio candito, grammi 15. Un rosso d’uovo. et Pestate nel mortaio le mandorle collo zucchero, aggiungete dopo l’arancio a pezzettini, e col burro, il rosso d’uovo e una cucchiaiata d’acqua fate tutto un impasto. Ru bb La ricetta dell’Artusi, rispetto alle versioni di preparazione del marzapane oggi divulgate, mostra due varianti interessanti: l’aggiunta di mandorle amare a quelle dolci e il rosso (non il bianco) d’uovo. Se poi il marzapane parla anche il siciliano – e lo parla, eccome se lo parla –, e serve a realizzare dolcetti a forma di frutta, questi dolcetti rinviano a un’origine ben precisa: Ma questa frutta che tu chiami «martorana», che cos’è? Martorana sta per marzapane? Sì, «martorana» è la voce dialettale. Si chiama così perché la facevano nel Convento della Martorana, a Palermo, dove era superiora una della famiglia Martorana (Sciascia 1992: 11). Sembrerebbe siano state in effetti le suore del convento della Martorana (a sua volta così chiamato dal nome della nobildonna Eloisa Martorana, che lo fece costruire più o meno nel 1193) ad avere avuto per prime l’idea di creare piccoli dolci di marzapane (o pasta reale, in quanto degna di un re) a forma di frutta, lavorati con tutta la fantasia possibile e dai colori vivacissimi, al fine di abbellire il convento nell’occasione della visita del papa dell’epoca per la festa di Ognissanti (cfr. Riley 2007: 312-313). Oggi la frutta di Martorana viene prodotta durante tutto l’anno (sebbene sia ancora offerta ai bambini, a simbolo 167 della memoria dei defunti, nella notte tra il 1° e 2 novembre), ed è stata inclusa fra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (PAT) dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per la regione Sicilia (file:///C:/ Users/massimo/Downloads/Quattordicesima_revisione_dell__elenco_dei_ prodotti_agroalimentari_tradizionali.pdf). Breve storia di un presunto arabismo bb Ru 168 et tin o Beccaria (2014: 50) menziona marzapane fra gli imponenti lasciti dall’arabo. Il vocabolo, che pare attestato per la prima volta nel trecentesco Libro di divisamenti di paesi, e di misure di mercatanzie, e d’altre cose bisognevoli di sapere a’ mercatanti di diverse parti del mondo del mercante fiorentino Francesco Balducci Pegolotti, ed è meglio noto come Pratica della mercatura (Balducci Pegolotti 1936: 318), rimonterebbe, secondo il Deonomasticon Italicum, «al nome della città indiana di Martabān, nota per la fabbricazione e l’esportazione di vasi di porcellana riempiti con frutti canditi. Già in arabo martāban accolse il significato metonimico di ‘recipiente, vaso di porcellana’. Con la merce fu esportata pure la denominazione il cui significato, nelle lingue occidentali, si estese anche ai recipienti di legno che servivano preferibilmente a conservare la pasta di marzapane. In un’ulteriore tappa dello sviluppo semantico, il nome del recipiente fu poi trasferito al marzapane stesso. Non è più sostenibile l’ipotesi, a prima vista plausibile, del Pellegrini [Pellegrini 1976; cfr. Cardona 1969] che considerò l’it. marzapane un derivato dalla radice araba r-t-b ‘tenere in fresco’» (DI, s. v. Martabān). Sempre secondo il Deonomasticon Italicum (DI, l. cit.) il termine marzapane, quale esito dell’ar. marzabān o marzbān (da unità di misura di capacità in uso a Cipro a contenitore di legno leggero tarato sulla misura stessa al dolce in esso contenuto), non è etimologicamente connesso con Martabān – così come il matapane (< ar. mautabān), prima moneta veneziana importante – per ragioni cronologiche, formali e semantiche, per quanto sia palese che «per la vicinanza formale i tre gruppi di marzapane ‘unità di misura’, matapane ‘moneta’ e marzapane ‘pasticceria’ si sono influenzati a vicenda» (ibid.). Sada (20122), che ricostruisce storicamente la cucina del territorio di Bari, conferma – contestualizzando la voce anche geograficamente – l’origine araba di marzapane («Gli Arabi, soprattutto durante il trentennio circa del loro emirato a Bari, insegnarono varie cose nel campo culinario. Apprendiamo che diffusero tra noi il latte di mandorla, sconosciuto dai Greci e dai Latini; la romània, piatto con succo di melagranata; il marzapane», p. 7 sg.), ma c’è anche un’altra ipotesi, sia pure poco convincente: marzapane deriverebbe piuttosto da MÀRCI-PÀNE(M), pane di (san) Marco, perché nel giorno dedicato a questo santo pare si cuocesse una specie di piccola pasta dolce con mandorle in memoria di una grande carestia avvenuta nel 1407, durante la quale un pezzo di pane con una noce costava una vera fortuna. Si riaffaccerebbe così la presenza di Venezia, che rivendica un ruolo preciso nella storia di questo dolce. Una rivendicazione storicamente fondata sulla relativa facilità d’importazione e lavorazione dello zucchero, dal quale i pasticcieri veneziani avrebbero fatto derivare figure e sculture di marzapane già nel XIV secolo (cfr. http://www. taccuinistorici.it/ita/news/medioevale/dolci/Dolcetti-di-marzapane-e-frutta-di-Martorana.html). Non solo cibo: “assaggi” fra ieri e oggi et tin o Secondo un fondamentale principio linguistico, già ben chiaro al Manzoni, per es., più una certa parola viene usata più si carica di significati. È naturalmente vero anche il contrario: ricomporre diacronicamente il quadro della varietà di accezioni di una parola è la cartina al tornasole del suo uso; nel caso di marzapane si possono elencare almeno quattro locuzioni in cui il termine ha contribuito a determinare un significato nuovo, fatto salvo il comune nucleo semantico di partenza (la dolcezza): Ru bb 1. «dolce più del/più che il marzapane», dove la parola è adoperata come termine di paragone per indicare un carattere estremamente mansueto, maniere straordinariamente gentili e simili; 2. «aprire i marzapani», per significare ‘scoprire un inganno’, ‘svelare un segreto’, ecc.; ne è sinonimo «scoprire gli altarini» o, per restare in campo gastronomico, «scoperchiare la pignata» (tradizionale pentola di terracotta); 3. «essere di/un marzapane», detto di una persona particolarmente dolce o affettuosa; 4. «avere un cuore di marzapane», essere una persona molto disponibile o buona d’animo. Un’attestazione letteraria del paragone in (1) si ha in una composizione di Francesco Beccuti (detto il Coppetta), nella quale il poeta perugino cinquecentesco prende un po’ in giro il toscano Bernardo Giusti: «e le vostre gentil maniere umane / e ‘l conversar domestico e sicuro / son grati e dolci più del marzapane» (Guidiccioni e Coppetta Beccuti 1912: 298). Un esempio della locuzione in (2) emerge in una delle Pistole vulgari (1538) di Niccolò Franco (1515-1570). La lettera, indirizzata al defunto Petrarca, è legittimata da una sorta di “staffetta imitativa”: come il Petrarca scrisse a Cicerone così Franco scrive ora al Petrarca. Nell’epistola l’autore “apre i marzapani”, minacciando di denunciare lo scempio perpetrato dagli imitatori ai danni del grande poeta: «il sospetto loro [scil. dei petrarchisti] sapete qual è? Essi han paura, che scrivendovi, non apra i marzapani» (Franco 1542: 238v). 169 In una commedia del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli (1660-1742), L’avaro punito, protagonista il vecchio avaro Anselmo Taccagni innamorato della vedova Lena, figlia di Ciapo (contadino di Anselmo), compare invece una variante dell’espressione segnalata in (2); è in uno scambio di battute tra Lena e Anselmo (atto II, scena IX): Len.: Io non vi posso dare altra dota, che tutta me stessa: se io non ho altro presentemente. Ans.: E questo mi basta, Lenina dolce inzuccherata, tutta marzapane (Fagiuoli 1734: 81). bb Ru 170 et tin o Il tipo (4) si riscontra infine nella letteratura di stampo religioso, anche per le sue finalità didascaliche, realizzate con exempla in positivo; come nei Dialoghi rusticali, dove quelle finalità sono «dettate ad uso di persone villerecce» (Crico 1825: 5) e proiettate sul personaggio biblico di Davide: «Davidde, che aveasi un cuore di marzapane, sarà tosto divenuto mansueto siccome un agnello» (ibid., p. 101). Se è vero che la lingua e l’identità dei suoi parlanti costituiscono un binomio indissolubile, questo binomio assume ancor più rilevanza nel confronto con altre lingue e identità. Ciò vale anche per il lessico della gastronomia e per il marzapane, la cui storia attuale, rispetto a quella metonimica delle origini, si lega retoricamente a una sineddoche. Il marzapane, infatti, è stato di recente eletto simbolo della cultura gastronomica italiana all’estero, in particolare in Germania, da un’impresa, denominata proprio Marzapane (https://marzapane. de) e fondata da un giovane pugliese, che produce nel paese tedesco food boxes, scatole ordinabili in rete (fulgido esempio di enogastronomia prêt-à-click), e consegnate a domicilio, contenenti tutti gli ingredienti necessari, rigorosamente italiani, per un pranzo o una cena interamente made in Italy per un massimo di quattro persone. Così, sulla scelta del nome, si è pronunciato il suo fondatore: I tedeschi sono ossessionati dal ‘marzipan’, che ha un chiaro riferimento alla cultura italiana. ‘Marzapane’ è poi un nome facile da scrivere per le popolazioni indogermaniche e ricorda la parola italiana ‘pane’. I domini erano disponibili e, nel medio e lungo periodo, ci piaceva l’idea di poter scomporre la parola per personalizzare le diverse linee di business a seconda della tipologia di prodotto (http://www. pugliami.com/personaggi/ai-tedeschi-piacciono-le-orecchiette). Anche il marzapane, come gli spaghetti e la pizza, diventerà un giorno o l’altro veicolo simbolico dell’identità culturale italiana all’estero? Ai posteri, anzi ai palati, l’ardua sentenza. Claudio Nobili