Ma non c`era stata una rivoluzione al Cairo?

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Ma non c`era stata una rivoluzione al Cairo?
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EGITTO
Ma non c’era stata
una rivoluzione
al Cairo?
“Molti paesi hanno un esercito, ma solo
in Egitto l’esercito ha un paese”
U
mm al-Dunya, la madre del mondo.
Così gli Egiziani chiamano, con un
misto di orgoglio, nazionalismo e nostalgia, il loro Paese. Molti rimpiangono ancora
l’era di Gamal Abdel Nasser, quando l’Egitto
era il leader del mondo arabo, e uno dei motori
del Movimento dei paesi non allineati. “Cinquant’anni fa tutti ci rispettavano, anche i
Russi e gli Americani – dice Ayman, che ha
un negozio a Talaat Harb, una delle arterie del
centro del Cairo – Nasser è stato un grande
REUTERS/JACQUELYN MARTIN/POOL/CONTRASTO
di Valentina Saini
presidente, e al-Sisi è figlio della stessa madre,
l’esercito”.
Come Ayman, sono tanti gli egiziani convinti che l’ex capo delle forze armate Abdel
Fattah al-Sisi, eletto Presidente a fine maggio,
possa riportare il Paese agli antichi fasti. Un
compito tutt’altro che semplice. L’economia è
in ginocchio, regge solo grazie ai petrodollari
del Golfo. In meno di un anno Arabia Saudita,
Kuwait ed Emirati Arabi hanno già fornito al
Cairo benzina e diesel per circa 6 miliardi di
dollari; in cambio stanno ottenendo l’accesso
a un mercato promettente, di oltre 86 milioni
di persone, come dimostrano ad esempio i colossali progetti immobiliari emiratini.
“Senza l’assistenza degli emiri l’Egitto soffrirebbe di continui blackout, – spiega Marina Ottaway del Woodrow Wilson Center di Washington – e il Golfo vuole che l’Egitto sia stabile”.
Stabile, ma non forte. Riyad è alla ricerca di
nuovi alleati regionali, soprattutto dopo il mi-
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 Un militare dopo l’altro
el 1922,
all’indomani della
Grande guerra e del
crollo dell’Impero
ottomano, l’Egitto
ottiene l’indipendenza
da Londra. Ma la
nuova monarchia è
zoppa, l’influenza
britannica è troppo
forte, e nel 1952 un
gruppo di militari
chiamato degli
Ufficiali liberi fa il
golpe. È la rivoluzione
del 23 luglio, che
porta alla nascita
della Repubblica.
Uomo forte del golpe
e del regime è Gamal
Abdel Nasser, che
con il suo sogno
panarabista diventa il
leader del mondo
arabo. Molte delle
sue iniziative sono
però un fallimento, e
la Guerra dei Sei
Giorni, persa contro
Israele, è un duro
colpo alla sua
reputazione.
Nasser muore nel
1970: gli subentra
Anwar al-Sadat, altro
militare; nel 1978 è
lui a firmare gli
accordi di Camp
David con Israele. La
sua uccisione nel
1981 porta al potere
l’ex ufficiale Hosni
Mubarak, al governo
fino al 2011: 30 anni
segnati da crescenti
livelli di corruzione e
incompetenza; solo
le massicce rivolte
popolari, sostenute
dall’esercito,
riescono a cacciare il
“faraone” Mubarak.
Dopo il breve
interludio
dell’islamista
Mohamed Morsi, al
potere va Abdel
Fattah al-Sisi; l’ex
comandante delle
forze armate.
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glioramento delle relazioni tra gli Stati Uniti e
l’Iran, suo tradizionale nemico. Allo stesso
tempo, però, i Sauditi conoscono le ambizioni
di leadership panaraba del nuovo Presidente
egiziano, e non vogliono che la loro influenza
regionale venga messa a repentaglio. Al-Sisi ne
è consapevole, come riferisce Silvia Colombo,
ricercatrice dell’Istituto Affari Internazionali
di Roma: “Ecco perché vuole rimanere in ottimi rapporti con Washington”.
Il desiderio pare reciproco. “Credo proprio
che il governo americano, e ancor più il Pentagono, vogliano riportare le relazioni con l’Egitto
alla normalità”, dice Ottaway. Lo conferma
Ahmed Morsy, ricercatore del Carnegie Endowment for International Peace. “Durante la sua
visita al Cairo a fine giugno, il segretario di
Stato Kerry ha assicurato che gli Usa aiuteranno il governo egiziano con oltre 500 milioni
di dollari e forniranno elicotteri Apache all’esercito”. È una consegna che Washington
aveva sospeso dopo il rovesciamento del Presidente islamista Mohamed Morsi da parte dei
militari nel luglio 2013, ma che ora sembra decisa a eseguire, secondo Ottaway, per accrescere l’efficacia delle operazioni antiterrorismo
egiziane, in primo luogo nel Sinai, storico tallone d’Achille del Paese.
Come annota Colombo, “negli ultimi tre
anni di burrascose vicende interne, l’Egitto si
è isolato sempre di più, tanto da trascurare o
persino inimicarsi i suoi vicini”. A cominciare
dalla Libia, con cui oggi Il Cairo è in rotta a
causa dei frequenti sconfinamenti di milizie e
il boom del traffico di armi.
“Anche le relazioni con gli altri paesi del bacino del Nilo, in primis Sudan ed Etiopia, si
sono complicate – continua Colombo – Turchia
e Qatar, poi, sono apertamente ostili alla nuova
leadership militare”. Non potrebbe essere diversamente: sia il premier turco Erdoğan che
l’emiro Tamim erano grandi sostenitori del predecessore di al-Sisi, l’islamista Morsi.
east global geopolitics
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EGITTO
Y Abdel Fattah al-Sisi
ex comandante
dell’esercito egiziano,
ha giurato domenica 8
giugno come nuovo
Presidente dell’Egitto,
dopo avere vinto con
ampio margine le
elezioni.
REUTERS/STRINGER /CONTRASTO
u Il Segretario di
Stato americano John
Kerry stringe la mano
al Generale Abdel
Fattah al-Sisi.
D’altra parte riacquisire centralità in un
Medio Oriente in trasformazione non sarà facile. Ma al-Sisi sembra deciso a provarci. Per
Colombo: “Le ambizioni nazionaliste espresse
dal Presidente in campagna elettorale, cioè restituire all’Egitto la sua leadership regionale, appartengono a una narrativa che non ha più
fondamento da oltre un decennio”. Al-Sisi però
vede nella politica estera uno strumento fondamentale per rafforzarsi anche sul piano interno.
“Sotto Mubarak l’Egitto ha progressivamente
perso il suo ruolo storico nella regione, – dice
Colombo – questo ha creato aspri contrasti fra
l’establishment civile e i militari, che si sono
visti spogliati di una loro funzione e di un
canale di influenza negli affari dello Stato. È
una delle ragioni per cui l’esercito ha ritirato il
sostegno a Mubarak durante le rivolte del 2011”.
La ricerca di legittimazione internazionale
non basta a spiegare l’attivismo di al-Sisi in politica estera. Gli incontri con il Presidente
Putin e il re saudita Abdullah servono anche
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a tener buoni gli ex commilitoni – che hanno
dalla loro non solo la forza delle armi, ma
anche quella del denaro, dato che controllano
interi settori dell’economia egiziana. Né bisogna dimenticare il loro ascendente sulla popolazione. “Dal 1952 i militari hanno sempre
avuto un ruolo fondamentale nella vita politica del Paese”, nota Ahmed Morsy. In fondo,
argomenta l’analista, sono stati proprio loro a
usare “la frustrazione popolare come pretesto
per intervenire contro Mubarak e Morsi, e rimuoverli dal potere”.
Al Cairo si dice che “molti paesi hanno un
esercito, ma che solo in Egitto l’esercito ha un
paese.” Ecco perché al-Sisi dovrà muoversi con
cautela: lui, dell’Egitto, è solo il Presidente. E i
presidenti vanno e vengono, mentre le forze
armate rimangono.
Valentina Saini scrive del mondo arabo per Linkiesta
e Pagina99. Ha vissuto in Egitto e Marocco.
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