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LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com CANADA-USA: UNA FRONTIERA INTELLIGENTE? di Fabrizio Nava Un confine fra due Stati e fra due società. Dopo l’11 settembre, l’economia del Canada rischia di essere penalizzata dalle esigenze di sicurezza del vicino meridionale. Il transito di persone e merci al centro del dibattito. L’integrazione regionale oltre il Nafta. Anche Washington vuole il passaggio a Nord Ovest. A ccennare alle questioni della frontiera tra Canada e Stati Uniti può sembrare paradossale, posto che questa non è certo nota per essere problematica. La stessa opinione pubblica canadese accoglie il riemergere periodico dei pochi contenziosi territoriali con curiosità e divertimento, come nel caso della perdurante disputa con la Danimarca su Hans Island, poco più di uno scoglio a metà tra Groenlandia ed Ellesmere Island. Gli altri contenziosi sono con gli Stati Uniti sulla frontiera marittima tra Yukon e Alaska, con Stati Uniti e Unione Europea sullo status del Passaggio a Nord Ovest -che il Canada considera acque territoriali e non uno stretto internazionale- e con la Federazione Russa sulla mappatura della piattaforma continentale. Il confine meridionale con gli Stati Uniti è tornato bruscamente d'attualità all’indomani degli attentati dell'11 settembre 2001; la chiusura della frontiera terrestre per due giorni e le lunghe code di TIR al confine hanno infatti messo drammaticamente in evidenza l’importanza vitale per il Canada -in quel momento subordinata alle priorità americane di sicurezza- di garantire il traffico di merci e persone attraverso la frontiera. Alcuni dati possono aiutare a capire meglio la situazione: ogni giorno la frontiera è attraversata da 300.000 persone e da merci per 1.9 miliardi di dollari canadesi (circa 1,2 miliardi di euro) che costituiscono il più grande volume di scambi tra due Paesi al mondo e fanno di questo confine una delle grandi arterie del commercio mondiale. Se si considera che l’85% delle esportazioni del Canada è diretto verso gli Stati Uniti, da dove proviene il 60% delle importazioni, non è esagerato affermare che la libertà di attraversare la frontiera è per il Canada un interesse vitale. Di fronte a tali dati è facile capire l’allarme del 2001: l’opinione pubblica ha difatti compreso chiaramente che la frontiera con gli Stati Uniti si sarebbe potuta trasformare da vantaggio decisivo ad ostacolo insormontabile, con conseguenze drammatiche per il Canada e forse per il suo stesso futuro quale entità statale distinta. Tale riflessione, passata inosservata fuori dal Nordamerica, ha comportato la definitiva presa di coscienza da parte del Canada della sua dipendenza dal mercato statunitense e dell’urgenza di preservare la libertà di commercio e di transito. La frontiera tra Stati Uniti e Canada si snoda per circa 8.890 km lungo il tracciato dei Grandi Laghi e del 49° parallelo (circa 11.265 km con la frontiera tra Alaska e Yukon) ed è tradizionalmente nota come il confine smilitarizzato più lungo del mondo. Questa frontiera aperta è un vantaggio immenso per il Canada, che può commerciare liberamente con il mercato più ricco del pianeta. Il suo tracciato ricalca quello concordato nel Trattato di Parigi del 1783, che stabilì il confine tra gli Stati Uniti nati dalla Rivoluzione e i territori ancora soggetti alla Corona britannica lungo il 45° parallelo dalla costa atlantica al fiume San Lorenzo, seguendo questo fino al Lago Ontario e proseguendo nel mezzo dei laghi Erie e Huron fino a Lake of the Woods, a nord del Lago Superiore. Al Trattato seguirono decenni di controversie per dirimere le imprecisioni del testo e la 1 LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com definizione di aspetti quali la sovranità sulle isole interne o i criteri per le frontiere fluviali (se l’equidistanza dalle rive o la profondità delle acque). Il confine ad Ovest lungo il 49° parallelo, adottato dal 1713 dalla Compagnia della Baia di Hudson quale limite per il suo commercio di pellicce, fu riconosciuto formalmente solo nel 1818, quando le ambizioni continentali degli Stati Uniti seguite al “Louisiana Purchase” del 1803 e alla guerra anglo-americana del 1812 resero urgente definire la frontiera fino al Pacifico. Con la colonizzazione dell’Ovest sorsero presto nuove dispute sul tracciato della frontiera nell’Oregon Country ad ovest delle Montagne Rocciose, finché nel 1846 Stati Uniti e Gran Bretagna firmarono un trattato che confermava il confine del 49° parallelo fino al Pacifico e la sovranità britannica sull’isola di Vancouver. La sovranità sugli stretti che separano l’isola dal continente fu risolta nel 1872 dall’arbitrato dell’Imperatore di Germania, che accolse le rivendicazioni americane. L’ultima disputa in ordine di tempo fu quella relativa al confine dell’Alaska. Il problema principale riguardava la genericità del territorio denominato “Alaska”, che i russi avevano venduto agli americani per 7.2 milioni di dollari nel 1867, ed in particolare la sovranità sul cosiddetto “panhandle” che scende dall’Alaska fino alla cittadina canadese di Prince Rupert. La disputa territoriale esplose con la corsa all’oro del Klondike nel 1896 e fu risolta solo nel 1903, quando Stati Uniti e Canada istituirono una Commissione che stabilì il tracciato definitivo del confine. L’unica questione tuttora aperta che può essere assimilata ad una disputa territoriale riguarda il riconoscimento della sovranità del Canada sull’Oceano Artico, ed in particolare sul passaggio a Nord Ovest. La sovranità sugli spazi artici, disabitati e coperti di ghiaccio, è rimasta confinata all’ambito di cartografi e studiosi fino a quando non è tornata di attualità con i mutamenti climatici degli ultimi anni. Le rivendicazioni canadesi, basate sul trasferimento di sovranità da parte della Gran Bretagna al Canada nel 1870 e 1880 dei diritti residui che essa deteneva nell’”Alto Artico”, sono state formulate nel 1985 dall’allora Primo Ministro Joe Clark1, e contrastano con le rivendicazioni di libero passaggio di altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti. Il problema del transito non autorizzato nell’Artico si è ripetuto periodicamente negli anni e, come dimostrato dalla disputa con la Danimarca su Hans Island, è destinato ad aumentare man mano che lo scioglimento dei ghiacci artici renderà agibile la regione. A questo proposito, una debolezza della posizione canadese è proprio l’affermazione che il pack ghiacciato costituisce un’estensione del territorio ancestrale degli inuit (un “unicum” nella storia dei confini tra Stati, nel quale il ghiaccio viene equiparato al territorio), con il rischio che il suo scioglimento possa comportare il venire meno della base per le rivendicazioni canadesi. La frontiera con gli Stati Uniti rappresenta per i canadesi -più che la separazione tra due territori- la demarcazione tra due società distinte sviluppatesi sulla base di dinamiche assai diverse. I canadesi amano sottolineare le differenze che li separano dai vicini statunitensi ed i valori che li distinguono, radicati nelle vicende storiche all’origine del Canada. Il Paese è nato dall’emigrazione a nord dei lealisti rimasti fedeli alla Corona britannica dopo la Rivoluzione americana, e dalla loro convivenza con la comunità dei francesi d’America annessa con la Guerra dei Sette Anni, fortemente influenzata da una Chiesa Cattolica radicata nell’Ancièn Regime fino alla “Rivoluzione Tranquilla” degli anni ‘60. Se gli Stati Uniti sono nati dalla Rivoluzione che lacerò il mondo anglosassone nel diciottesimo secolo, il Canada è nato dalla controrivoluzione, e si è sviluppato come società strettamente legata al Regno Unito ed alla sua evoluzione, passando dall’essere conservatrice e “tory” alla socialdemocrazia di fatto che la caratterizza ancora oggi. Per sottolineare le differenze con gli Stati Uniti molti canadesi tengono a sottolineare le differenze tra le rispettive Carte Costituzionali: la Dichiarazione di Indipendenza di Jefferson riporta gli ideali di “vita, libertà e ricerca della felicità”, mentre i padri della Confederazione canadese si sono ispirati a 1 ”Canada’s sovereignty in the Artic is indivisible. It extends without interruption to their seaward-facing coasts of the Artic Islands. These islands are joined and not divided by the waters between them. They are bridged for most of the year by ice. From time immemorial Canada’s Inuit people have used and occupied the ice as they have used and occupied the land”. 2 LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com “pace, ordine e buon governo”, contrapponendo l’ambizione idealistica di creare una nuova società a quella più pragmatica di gestire la cosa pubblica. Non è questa la sede per illustrare le differenze che derivano tra l’impostazione “rivoluzionaria” degli Stati Uniti che tende a limitare l’autorità delle istituzioni e l’impostazione “controrivoluzionaria” del Canada, che si è invece sviluppato all’ombra delle stesse, né il dibattito incessante con il quale i canadesi si interrogano sui rischi di assorbimento culturale, economico e politico da parte del Paese confinante. E’ tuttavia importante sapere che i canadesi definiscono la propria identità partendo dalle differenze che esistono con gli Usa nonostante la vicinanza geografica, linguistica e culturale, che vanno dall’assistenza medica pubblica e gratuita ad una politica estera multilaterale. Gli atteggiamenti dei canadesi verso i vicini del sud sono vari: spaziano dalla sufficienza nei confronti della cultura di massa e degli orientamenti politici dell’attuale Amministrazione all’ammirazione per i loro successi economici e politici: Tutto ciò si riassume in un sano apprezzamento degli americani come vicini ed alleati, temperato tuttavia dalla reticenza verso gli eccessi cui questi talvolta si lasciano andare. Che sia per ammirarli o denigrarli, i canadesi si confrontano costantemente con gli americani, e specialmente con il loro atteggiamento verso il Canada. Queste differenze talvolta appaiono esagerate ad arte proprio per mettere in risalto il rischio costante di finire fagocitati, confermando l’impegno a perseverare nella lotta per la “sopravvivenza” –da una natura estrema e da un vicino ingombrante– che, secondo la scrittrice Margaret Atwood, è la caratteristica di fondo dello spirito canadese. La frontiera marca lo spazio entro il quale il Canada ha potuto sviluppare la sua visione di società distinta da quella statunitense, ma è anche uno strumento di prosperità. L’accesso diretto al mercato degli Stati Uniti senza separazioni geografiche ha comportato per Ottawa il raggiungimento di un livello di benessere tra i più elevati al mondo. Il Canada ha sperimentato l’”outsourcing” dagli Usa con un anticipo di almeno 30 anni rispetto al Messico e ai Paesi asiatici: l’Auto Pact del 1965, con il quale le “Three Majors” di Detroit aprirono alcuni impianti oltrefrontiera per avvalersi dei costi inferiori della manodopera, segna il momento in cui l'industria manifatturiera ha iniziato a superare nella composizione del PIL le materie prime. A seguito degli attentati dell’11 settembre, la classe dirigente del Canada si è trovata di fronte all'evidenza che la frontiera avrebbe potuto trasformarsi da vantaggio in barriera, con conseguenze drammatiche per un’economia in cui il commercio internazionale e le attività collegate contano per circa il 45% del PIL. La prima e più importante conseguenza degli attentati è stata il riemergere della forte interdipendenza tra sicurezza e prosperità economica, drammaticamente dimostrata nei giorni successivi all'attacco terroristico quando gli Usa ordinarono la chiusura dei valichi di frontiera; gli effetti furono negativi specialmente per il Canada, che si vide negare dall'oggi al domani l'accesso al suo principale mercato. Gli Stati Uniti lasciarono chiaramente intendere che, nella ridefinizione delle proprie priorità, la sicurezza della frontiera, che sembrava passata in secondo piano 2 a seguito dell’integrazione economica avviata con l’Accordo di Libero Scambio del 1988 ed il NAFTA3 nel 1994, era centrale. Nel clima teso del post-11 settembre la liberalità canadese nel concedere il diritto d’asilo, il sospetto della presenza di cellule terroriste “dormienti’ nel Paese e il fatto che in passato terroristi si fossero introdotti negli Usa via Canada4 costituivano e costituiscono altrettanti elementi di grande apprensione a Washington. La posizione americana fu efficacemente riassunta dall’allora 2 Nel 2001 gli agenti statunitensi sulla frontiera con il Canada erano appena 300, a fronte di 9000 con il Messico. 3 “North American Free Trade Agreement” tra Canada, Stati Uniti e Messico. 4 Tra loro Ahmed Ressam, arrestato alla frontiera nel 1999 mentre si recava a compiere un attentato all’aeroporto di Los Angeles, e Abu Mezer, un profugo palestinese arrestato nel 1997 per avere progettato un attentato alla metropolitana di New York. Nei giorni successivi all’11 settembre 2001 circolò insistentemente la voce – rivelatasi falsa – che i responsabili degli attentati erano entrati dal Canada. Il 2 e 3 giugno 2006, sono stati arrestati a Toronto 17 mediorientali accusati di terrorismo. 3 LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com Ambasciatore ad Ottawa, Paul Cellucci, nella frase “Security Trumps Trade”5 (la sicurezza fa premio sul commercio) che, in un Paese che mantiene il 72% del suo commercio con gli Stati Uniti, ha suscitato grande allarme e preoccupazione. A poca distanza dagli attentati il Governo di Ottawa adottò rapidamente un Progetto Anti Terrorismo con misure di rafforzamento della sicurezza e adeguamento degli strumenti legislativi, ed intraprese una serie di politiche di sostegno agli Stati Uniti che culminarono nell’invio di un contingente canadese in Afghanistan6. L’importanza del mantenimento della libera circolazione attraverso la frontiera richiedeva tuttavia l’adozione di uno strumento ad hoc che permettesse ad Ottawa di affrontare in un contesto unitario le problematiche poste dal libero transito di merci e persone nella mutata congiuntura internazionale: la frontiera doveva essere chiusa a terroristi e contrabbandieri7, ma restare aperta a commercio e turismo. Le proposte di incrementare agenti ed ispezioni furono presto abbandonate a favore di un modello basato sulle nuove tecnologie, specie la condivisione delle informazioni e l’adozione di procedure comuni per l’esame di persone e merci. Tale impostazione fu esaminata a margine del G-20 dei Ministri delle Finanze ad Ottawa nel novembre 2001 tra gli allora Ministri delle Finanze del Canada, Paul Martin, e degli Stati Uniti, Paul O’Neill. Al termine della riunione canadesi e americani stesero la bozza di un piano d’azione che fu chiamato “Smart Border Plan”, o Frontiera Intelligente, per conciliare le esigenze americane di sicurezza con quelle canadesi di libertà di transito. In dicembre gli allora Vice Primo Ministro del Canada, John Manley, e Segretario degli Stati Uniti per la Homeland Security, Tom Ridge, firmarono ad Ottawa la “Canada-United States Smart Border Declaration”, cui è allegato un Piano d’Azione per la creazione della “Frontiera Intelligente”. Il Piano d’Azione venne formalmente adottato pochi mesi dopo nella simbolica località di Niagara Falls, che marca la frontiera tra i due Paesi. Nel 2004 il Governo canadese ha annunciato l'implementazone della “Comprehensive National Security Policy”, che elabora ulteriormente le previsioni del Piano per dimostrare la priorità che il Canada riconosce alla gestione della frontiera. Secondo la Dichiarazione del 2001, la “Frontiera Intelligente” è una “frontiera che facilita in condizioni di sicurezza il libero transito di persone e commercio”. La filosofia di fondo è di concentrare l’attenzione su veicoli o persone sospette eliminando, attraverso corsie preferenziali ed altre facilitazioni, la grande maggioranza di automezzi e persone a basso rischio. La Dichiarazione prevede infatti che i due Paesi collaborino per definire procedure di sicurezza compatibili ai valichi di frontiera e altre strutture di interesse comune, quali terminali ferroviari e porti. Il Piano d’Azione, che prevede 32 impegni di natura prevalentemente doganale, è diviso in quattro pilastri principali, che riguardano rispettivamente il transito di persone e merci, la sicurezza delle strutture frontaliere, la collaborazione e lo scambio di informazioni. L’adozione di requisiti aggiuntivi per diverse categorie di viaggiatori ha posto nuovi ostacoli alla libera circolazione anche dei canadesi, che da gennaio 2007 devono essere in possesso di un passaporto valido. Al fine di limitare i disagi per i passeggeri diretti negli Stati Uniti, la Dichiarazione ha previsto l’adozione di misure per facilitare il transito dei passeggeri a basso 5 La frase fu pronunciata da Cellucci in un discorso all’Economic Club di Toronto il 19 marzo 2003, ad una settimana di distanza dall’attacco all'Iraq, nel quale espresse la “delusione” per il mancato sostegno del Canada. Il Presidente Bush cancellò inoltre la sua visita ad Ottawa, che fu infine effettuata nel novembre 2004. 6 Già nell’ottobre 2002 il Canada inviò un gruppo navale nel Golfo Persico. Le prime unità combattenti canadesi, appartenenti alla “Princess Patricia Canadian Light Infantry”, hanno partecipato dal febbraio 2002 alle operazioni di “Enduring Freedom” nella regione di Kandahar. Dall’agosto 2003 al dicembre 2005 il contingente canadese, giunto a circa 2,200 uomini, è stato dispiegato a Kabul (operazione “Athena”). Nell’estate 2006, con l’assunzione da parte di ISAF del comando di tutte le forze operanti nel settore meridionale, le truppe canadesi sono state impegnate in aspri combattimenti nella regione di Kandahar, che sono costate la vita a 36 militari. 7 Ha destato grande interesse la vicenda di Maher Arar, un ingegnere informatico di origine siriana che, di rientro in Canada nell’autunno 2002, fu arrestato in uno scalo statunitense per sospetti legami con Al Qaeda e deportato in Siria, dove venne torturato fino al suo rilascio l’anno successivo. Il caso Arar è diventato un paradigma delle paure canadesi sui rischi insiti nel rafforzamento in chiave antiterroristica delle misure di sicurezza statunitensi. 4 LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com rischio, tra l’altro inglobando l’accordo di pr e- cl earan c e nel trasporto aereo del 2001 (formalizzato nel 2003), che prevede il superamento della dogana americana già negli aeroporti canadesi. La richiesta di requisiti aggiuntivi per il rilascio del visto ai numerosi cittadini di Paesi del Commonwealth che risiedono in Canada ha reso più difficoltoso il loro transito. La categoria più problematica è tuttavia quella dei richiedenti asilo, per i quali Stati Uniti e Canada hanno concordato misure che tendono a limitare i casi di “As yl um Sh opp in g” tra i due Paesi, garantendo al tempo stesso il diritto del richiedente a non essere deportato prima dell’esame della richiesta. Per quanto riguarda l’immigrazione, nel 2003 i due Paesi hanno firmato uno “Statement of Mutual Understanding” per intensificare lo scambio di informazioni, mentre sono previste consultazioni bilaterali per la revisione dello status dei Paesi terzi in tema di rilascio dei visti; al riguardo, Usa e Canada hanno politiche comuni verso 175 Stati. Il secondo pilastro -transito delle merci attraverso la frontiera- è quello cui sono dedicati più articoli. Il volume del traffico commerciale su gomma dal Canada verso gli Stati Uniti è stimato in 7 milioni di autocarri l’anno (+40% nel periodo 1996-2001). Questi passano attraverso 20 valichi di frontiera, e il 70% transita tra gli Stati americani del Michigan e di New York e le Province canadesi dell’Ontario e del Québéc. Snodo principale è il ponte tra Windsor, in Ontario, e Detroit, in Michigan, cuore delle industrie automobilistiche di entrambi i Paesi, che ha il nome emblematico di “Ambassador Bridge”, attraversato da diecimila autocarri al giorno. La Camera di Commercio dell’Ontario ha calcolato che i ritardi alla frontiera comportano perdite di 16,5 miliardi di dollari canadesi l'anno. In particolare, un ritardo di 4 ore sull”Ambassador Bridge” costa 7 milioni di dollari canadesi in produzione perduta. Le misure individuate consistono nell’adozione di procedure comuni per l’identificazione di carichi a rischio e facilitare il transito degli altri. Sono inoltre previsti 5 obiettivi specifici per garantire il traffico di merci: l’adozione di procedure doganali armonizzate, la “ cl ea ran c e ” doganale in località lontane dalla frontiera, la costruzione di infrastrutture congiunte, la condivisione dei dati doganali e il controllo dei container in transito nei porti marittimi. Il terzo pilastro -sicurezza e adeguamento delle infrastrutture attraverso cui avviene il traffico di merci e persone- è centrale per la creazione di una frontiera che risponda alle aspettative reciproche. Tuttavia la creazione delle corsie preferenziali per merci e passeggeri a basso rischio è in forte ritardo. Canada e Stati Uniti hanno perciò creato un Comitato di Coordinamento e un fram ewo rk per la protezione delle infrastrutture più importanti. Tra di esse l’energia ha assunto grande rilievo a seguito del “blackout” del 14 agosto 2003, che creò difficoltà di approvvigionamento elettrico nelle regioni orientali dei due Stati. I programmi adottati a sostegno di questi obiettivi sono numerosi: essi vogliono dimostrare la volontà di creare rapidamente la “Frontiera Intelligente” prevista dalla Dichiarazione del 2001, e contrastare la percezione di fondo dei canadesi che attraversare il confine sia divenuto più difficile. La priorità che gli Stati Uniti riconoscono alla sicurezza non ha mancato di ripercuotersi anche sullo scenario regionale. Canada, Usa e Messico sono uniti dal 1994 nel NAFTA che, con l'adozione del libero scambio, si poneva ambiziosi traguardi di integrazione economica, che dopo l'11 settembre sono più lontani. La Dichiarazione sulla “Security and Prosperity Partnership of North America” (SPP, del 2005) si propone di rafforzare l’integrazione nordamericana adeguando la regione alle nuove sfide non indicate nel NAFTA o verso le quali questo si è dimostrato inefficace, come il terrorismo o la concorrenza asiatica; è stata proposta l’adozione su base regionale di misure analoghe alla “Frontiera Intelligente”. Alcuni programmi per il transito dei viaggiatori a basso rischio e misure come lo screening di merci e persone sono anzi già in vigore tra Canada e Stati Uniti. La SPP segna un momento politico importante, in quanto conferma l’impegno degli Stati Uniti a sviluppare la dimensione regionale del Nordamerica. Essa diverge tuttavia dall’idea più volte prospettata in particolare dal Messico negli ultimi anni, ma mai seriamente discussa per via 5 LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com delle perplessità statunitensi, di partire dall’esperienza positiva del NAFTA per giungere ad un accordo più ambizioso di integrazione regionale. Data l’impossibilità di seguire l’esempio dell’Unione Europea -precluso dai diversi rapporti di forza nel Nordamerica nel quale Canada e Messico non possono bilanciare il peso degli USA né separatamente né congiuntamente- la riflessione sembra ora dirigersi verso una “terza via” che rafforzi le capacità dei tre Paesi in alcuni settori chiave attraverso partenariati che però non preluderanno a integrazioni più strette. Da parte canadese si ritiene che le misure adottate ai sensi della "Smart Border Declaration" abbiano garantito la libertà di transito tra Canada e Stati Uniti in un momento difficile, dimostrando che è possibile salvaguardare le priorità di entrambi i Paesi senza che la frontiera diventi una barriera. Le valutazioni positive sono condivise da Washington, soddisfatta di avere evitato che la frontiera diventasse un “collo di bottiglia”. La Dichiarazione ha certamente raggiunto il suo obiettivo. La chiusura unilaterale della frontiera da parte degli Stati Uniti viene costantemente evocata quale il peggiore incubo per l'economia del Canada, fortemente orientata agli scambi internazionali (date le ridotte dimensioni del mercato interno) ma penalizzata dalla geografia che la fa confinare con un solo Paese, malgrado i tentativi di estendere la propria attività commerciale con accordi bilaterali e regionali e di promuovere l'adozione di norme e procedure internazionali per disciplinare il colosso statunitense, la posizione dominante di quest'ultimo nel commercio del Canada è una realtà ineludibile. Nonostante il 96% del commercio sia “dispute free”, iniziative protezioniste da parte statunitense8 hanno contribuito a saldare le preoccupazioni per gli ostacoli posti dalla frontiera a quelle originate dalle decisioni politiche del Paese confinante. In tale situazione, e tenuto conto dei ritardi dei principali negoziati regionali cui il Canada partecipa9 e del fallimento del “Doha Round”, la priorità della politica commerciale canadese rimane la gestione degli scambi con gli Stati Uniti. Alcuni sono giunti a proporre un’unione doganale o settoriale con gli Usa, senza abrogare il Nafta10 ma al tempo stesso senza dover ricercare un parallelismo con il Messico, per il quale la priorità è la circolazione delle persone. E' tuttavia assai difficile prevedere se Ottawa adotterà misure in tale senso, nonostante il governo di Stephen Harper sia maggiormente propenso del precedente ad intensificare i rapporti con Washington. Buona parte dell'opinione pubblica canadese è difatti reticente verso un'integrazione troppo stretta (si ricordi l’analogia dell'ex Primo Ministro Trudeau secondo cui il Canada è "un topolino che dorme con un elefante") in una relazione che sarebbe per forza di cose disuguale, che rischierebbe di porre il Canada di fronte a scelte difficili qualora gli orientamenti di Washington non vengano condivisi, come si è verificato per l'intervento in Iraq. Se è possibile affermare che le problematiche sorte negli ultimi anni intorno alla frontiera meridionale del Canada sono in via di risoluzione, lo stesso non può dirsi per la frontiera settentrionale. Il prospettato scioglimento dei ghiacci artici ha infatti riportato di attualità la questione della sovranità sul passaggio a Nord Ovest, che il Canada considera come acque territoriali ma per altri Paesi è uno stretto internazionale. La questione non è limitata al transito dei navigli ma riguarda anche lo sfruttamento delle cospicue risorse minerarie attualmente sotto i ghiacci. Il dibattito è uscito dalla cerchia ristretta degli studiosi e dei giuristi ed è approdato alla politica internazionale, come nel caso della citata disputa tra Canada e Danimarca su Hans Island. Negli ultimi mesi si è tuttavia profilato un fronte assai più minaccioso per le rivendicazioni canadesi. Nei primi anni della guerra al terrorismo gli Stati Uniti avevano infatti lasciato intendere 8 L'opinione pubblica canadese ha seguito con grande attenzione la disputa seguita all’adozione di tariffe aggiuntive sulle esportazioni canadesi di "softwood", recentemente risolta dopo 5 anni di controversie. 9 Tra cui il negoziato per l'Area di Libero Scambio per le Americhe, che attraversa una prolungata fase di stallo. 10 A riprova dell’efficacia del NAFTA si segnala che, a 10 anni dall’entrata in vigore, l’interscambio tra Canada e Messico è balzato da 2 a 20 miliardi di dollari canadesi. 6 LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA pubblicato il 6/11/ 2007 su http://www.limesonline.com la possibilità di riconoscere i diritti di Ottawa sull’Artico in cambio dell’impegno canadese a controllare il traffico navale. Nell’estate 2006, tuttavia, Washington ha riaffermato il diritto di transito nella regione artica, dapprima con alcune esternazioni dell’Ambasciatore ad Ottawa Wilkins e, successivamente, con la pubblicazione di un rapporto dello United States National Research Council commissionato dal Congresso, che afferma l’esigenza di rinnovare la flotta statunitense di rompighiaccio per “proiettare una presenza attiva ed influente a sostegno degli interessi nell’Artico ed Antartico”, e ribadisce l’obbligo del Governo “di non proteggere solamente i cittadini dell’Alaska e il territorio statunitense nell’Artico, ma anche gli interessi nazionali”. Il Governo conservatore di Ottawa ha reagito vigorosamente alle rivendicazioni statunitensi organizzando nell’estate 2006, sull’Isola di Baffin, le più grosse manovre aeronavali mai effettuate a nord del 70° parallelo, e ribadendo gli impegni presentati in campagna elettorale col progetto “Canada First”, che prevede un rafforzato impegno diplomatico e militare per difendere la sovranità canadese nell’Artico, sostenuto anche dall’acquisto di materiali adatti a pattugliare l’area anche d’inverno. L’esito di questo confronto è difficile da prevedere. E’ necessario sottolineare tuttavia che, se nel caso del transito attraverso la frontiera meridionale vi era un interesse condiviso da parte canadese e statunitense a non ostacolare il traffico di merci e passeggeri che ha consentito di individuare rapidamente un piano d’azione, la divergenza nelle posizioni dei due Paesi sullo status del passaggio a Nord Ovest non potrà essere composta sulla base di un interesse comune, se non quello di evitare un confronto tra due Paesi confinanti legati da lunghe tradizioni di amicizia e buon vicinato. 7