Pdf Opera - Penne Matte
Transcript
Pdf Opera - Penne Matte
Tutto quello che Franco Giobatta detto Ciabatta dagli amici, sapeva, era che era stato rapito dagli alieni. A dirla era una cosa da pazzi, a crederla anche, ma le cose erano andate così. Un fascio di luce potentissima era spiovuto giù dal cielo colpendolo in pieno e sollevandolo da Terra. La sensazione era stata bruttissima. Ciabatta non aveva mai pensato di essere così affezionato alla cara e rassicurante forza di gravità, finché non se ne era sentito ingiustamente espropriato. Il fascio luminoso l'aveva risucchiato verso l'alto, come le labbra di un tizio che ha comprato una lattina di coca succhiano attraverso la cannuccia. Ciabatta aveva appena fatto in tempo ad alzare gli occhi e vedere il ventre sferico di un oggetto volante prima di finirci dentro e perdere coscienza. Quando aveva riaperto gli occhi, si trovava in una stanza senza finestre, senza porte, senza niente a parte le pareti, il pavimento e il soffitto (bianchi) di cui era fatta. Ciabatta soffriva di claustrofobia. Fin da 13 anni, cioè da quando gli era capitato di rimanere chiuso per tre ore in un ascensore stretto come una bara, aveva avuto la paura dei luoghi chiusi. L'idea di non avere una via di fuga lo mandava fuori di testa. Stranamente, però, quando si ritrovò dentro quella stanza, non andò in panico. Ricordò quanto gli era accaduto poco prima di svenire: il fascio di luce, il disco e tutto quanto, e pensò: "Accidenti, sono dentro un ufo". Si concentrò sul pavimento per capire se il disco stesse viaggiando, fosse in volo, ma la sueprficie solida e immobile non gli suggerì alcuna sensazione di movimento. Cercò di ascoltare, tese l'udito nel tentativo di percepire un ronzio, un fischio, qualcosa che facesse pensare che c'erano dei motori in funzione, ma non sentì un suono. Tutto era muto e chiuso. Era orribile. Ciabatta si alzò e si guardò intorno. Scrutò ogni angolo della stanza per vedere se c'erano telecamere, apparecchi attraverso cui qualcuno potesse vederlo, ma non vide nulla. Vi sarà capitato di sentire l'espressione "topo in trappola". Di solito si usa per descrivere una situazione in cui non si vede via di uscita. Ma un vero topo in trappola non solo non vede una via di uscita, ma non capisce. Le sue limitate capacità cognitive gli fanno provare giusto il dolore di una situazione, la trappola che scatta, l'impossibilità a muoversi, gli sfugge tutto il contesto. Ciabatta si sentiva così: gli sfuggiva tutto il contesto. Perché lo avevano rapito? Perché proprio lui? Dov'era? Cosa volevano fargli? Chi, esattamente, lo aveva rapito? Non sapeva rispondersi. Era veramente come un topo in trappola privato della gravità. Tutti abbiamo diritto alla gravità. Non solo ogni uomo, ma ogni creatura animata che viene al mondo ha il sacrosanto diritto di posare su qualcosa, di sentirsi attratta verso il centro del tutto, partecipare a questa forza d'attrazione che regola la vita sua e di quanti la circondano, la vita dell'universo intero. Togliere questo diritto è la più grande ingiustizia che si possa fare. Senza gravità, né una via di fuga, Ciabatta cercò di capire perché lo avessero rapito. Era nella sua natura di uomo porsi domande, non poteva farne a meno, anche se trovare una risposta era come acchiappare un tornado con un retino da pesca. Si considerò come persona. Non gli sembrava di essere speciale. Aveva 33 anni. Era disoccupato. Aveva avuto una ragazza che lo aveva mollato tre mesi prima. Navigava molto su Internet. Ogni tanto guardava un film. Ironia della sorte gli piaceva la fantascienza, le storie di alieni e ambientate nel futuro. Una volta aveva letto la storia di due astronauti che partono a bordo di un razzo per la luna. Ad un certo punto, i motori entrano in avaria, i due astronauti perdono il controllo sul mezzo che vaga in balia dello spazio fino a quando non incappa in un buco nero e ci cade dentro. Uscito dal buco, il razzo viene attratto dall'orbita ellittica di un pianeta simile alla Terra. I due astronauti ci atterrano. Esplorano il pianeta dall'atmosfera respirabile senza casco. Penetrano un boschetto e s'imbattono in due donne bellissime. Due top model, nude come mamma le ha fatte, che si accoccolano sopra una pianta che sbuca dalla terra, una pianta di forma fallica, e si lasciano penetrare e inseminare da essa. I due astronauti scoprono che il pianeta è abitato unicamente da donne bellissime che si riproducono lasciandosi penetrare dalla disgustosa pianta. Un giorno le donne bellissime scoprono la presenza dei due astronauti uomini e allora scoprono anche le gioie del sesso a due e i due astronauti finiscono col fare la vita degli uomini-oggetto in un mondo di top model. Ecco, a Ciabatta non sarebbe dispiaciuto se a rapirlo fosse stata una specie di top model con l'intenzione di trattarlo come uomo oggetto, ma qualcosa gli diceva che non era così. Un topo non viene preso in trappola e poi studiato dallo scienziato di turno perché bello e sensuale, ma in quanto essere vivente atto a ricoprire il ruolo di cavia in un qualche esperimento. Ciabatta pensava che più che come uomo-oggetto da sfruttare sessualmente, gli alieni lo avessero rapito in quanto cavia. Questo pensiero aumentò il suo disagio. Cercò tuttavia di rimanere saldo e presente a se stesso. Tornò a porsi la domanda di prima: "Perché mi hanno rapito? Cosa vogliono ottenere da me?". Forse lo avrebbero chiuso in uno zoo intergalattico come attrazione principale oppure volevano semplicemente porgli delle domande. O ancora volevano... punirlo! Stranamente, il mistero che circondava la sua situazione, si accompagnava, in Ciabatta, a un subdolo e strisciante senso di colpa. Qualcosa, forse la percezione negativa che aveva sempre avuto di se stesso, gli suggeriva che gli alieni lo avevano rapito per processarlo e condannarlo alla pena che meritava. Ma processarlo per cosa? "Cos'ho commesso per meritare che un disco volante mi succhiasse dentro la sua pancia e portasse via?", si domandò. Tento di rispondersi esaminando rapidamente la sua vita. "Sono un pigro", pensò. "Forse vogliono punirmi di questo, la mia pigrizia. Il fatto che non mi sono mai sforzato di fare qualcosa di speciale, di emergere dalla massa, distinguermi compiendo del bene, utilizzando questa vita che mi è stata donata. Mi sono sempre lasciato andare alla deriva...". Una deriva fatta di video porno su Internet, serie tv ridicole, cartoni animati, musica trash scaricata sull'iPhone, film di fantascienza, cibo spazzatura, bestseller per teenager brufolosi o adulti immaturi, partite di calcio truccate, chat erotiche, siti di dating online, sbronze con gli amici, battute volgari alle spalle delle ragazze, bocciature a scuola, lavori precari, aspettative mai confermate. Una vita che non era mai precipitata nel baratro della perdizione, ma nemmeno aveva preso il volo. Un'anatra grassa troppo pigra per nuotare contro corrente o alzarsi in volo, così si sentiva Ciabatta, e le anatre se non volano, prima o poi vengono catturate e dopo essere catturate, le si serve in tavola, all'arancia. Forse gli alieni lo avrebbero mangiato. Ciabatta li immaginò grossi, verdi e con la bocca piena di denti appuntiti. Rabbrividì. Sentì il panico montare, lento e inesorabile, come un lontano rumor di tamburi che preannuncia la guerra. Stava per mettersi a urlare quando qualcuno parlò. - Ascolta. Ciabatta si guardò intorno: a parte lui nessuno era in quella stanza, chi aveva parlato? - Ascolta, ti prego -, disse nuovamente la voce che galleggiava nell'aria, amplificata per tutta la stanza. - Chi sei? Chi sta parlando? -, domandò Ciabatta. - Non devi avere paura -, continuò la voce. - Non ti faremo alcun male. - Ma... chi siete? - Siamo alieni. Dal tuo punto di vista, ovviamente. Dal nostro sei tu l'alieno. Veniamo da un pianeta che dista dieci miliardi per dieci miliardi di anni luce al quadrato dal tuo. - E... perché mi avete prelevato? Cosa volete farmi? - Niente di male, sta' tranquillo. Ti stiamo portando in un posto. - Quale posto? - Un pianeta. - Quale pianeta? - Un pianeta lontano dal tuo 100 miliardi per 30 miliardi alla decima. - Ma... ma... -, Ciabatta stava per piangere, ciò che provava era molto simile al cosiddetto "panico da abbandono", una sensazione sgradevole che chiunque ha provato almeno una volta da bambino, un giorno in cui si è trovato solo e ha sentito fortissima l'urgenza di avere accanto a sé sua madre; improvvisamente, Ciabatta sentiva fortissima l'urgenza di essere sulla madre Terra. - Tornerò sulla Terra? La voce tardò forse un secondo di troppo a fornire la risposta. - Certo, certo, ti riporteremo a casa, fidati... Oh, ecco, stiamo per atterrare! - Tra poco una di queste pareti si solleverà lasciando libero il passaggio -, la voce continuava a parlare nel suo tono rassicurante e Ciabatta continuava a sentirsi nient'affatto rassicurato. - E tu sarai libero di uscire dal nostro wargun. Ciabatta aggrottò la fronte. - War-che? - Scusa, wargung, è così che chiamiamo i nostri mezzi di trasporto, da voi comunemente detti, dischi volanti. - Ma sarò libero di uscire dove? - Sul pianeta di cui parlavamo prima. - E cosa dovrei fare su questo pianeta? - Lo scoprirai. Ciabatta cominciava a spazientirsi. - Ma insomma, non potresti essere un po' più specifico? Sono stato rapito, maledizione, di punto e in bianco, sottratto al mio luogo d'origine senza che nessuno mi chiedesse il permesso. Ora tu mi dici che non mi farete niente di male... - È così... - E invece il male me lo state facendo, avendomi trascinato via dalla Terra contro la mia volontà e mantenendomi all'oscuro su quale sarà il mio futuro. Per alcuni secondi la stanza cubica ripiombò nel silenzio di prima, totale assenza di suono. Poi, la misteriosa voce riprese a parlare nel suo tono solito, asessuato, rassicurante, per niente convincente. - Ok, ti fornirò alcuni dettagli circa la tua permanenza sul pianeta che siamo prossimi a toccare, anche se non dovrei, ma non vedo che male ci sarebbe alla fin fine. Ciabatta incrociò le braccia sul petto. - Bene, sono tutt'orecchi! - Il pianeta su cui stiamo per atterrare si chiama Gonaar. - Gonaar? - Esatto. Di conseguenza i suoi abitanti sono i goonariani. Un goonariano è un mammifero dal sistema nervoso evoluto e le capacità cognitive in grado di adattarsi all'ambiente circostante e sfruttarne le caratteristiche a proprio favore; è diviso in due generi sessuali, maschile e femminile, che si riproducono attraverso l'accoppiamento. I generi si distinguono per un dimorfismo sessuale ravvisabile, soprattutto, nei caratteri sessuali deputati alla riproduzione... ehm, come ti sembra come descrizione? Ciabatta ci pensò un po' su. - Da quello che ho capito, i goonariani, come noi umani, sono divisi un maschi e femmine e perpetrano la specie facendo sesso e sono in grado di pensare e agire di conseguenza... - Esatto. - Ok, cosa li rende differenti da noi umani, allora? - Praticamente nulla. - Cosa? - Hai capito bene. I goonariani sono uguali a voi umani a tal punto che anche loro possono essere definiti tali. Uomini e donne che, semplicemente, vivono su un pianeta differente dalla Terra. - Ma... ma com'è possibile? - Gonaar è un pianeta situato in un sistema stellare praticamente identico a quello solare. Così come la Terra ruota attorno al sole, Gonaar lo fa, sempre in orbita ellittica, attorno a una supernana gialla di potenza pressoché identica a quella dell'astro solare. Anche su Gonaar ci sono terre emerse e acque le quali ospitano una fauna e una flora analoghe a quelle terrestri. La vita - nelle sue tante specie - che lì si è sviluppata, per forza di cose è simile, se non gemella a quella sulla Terra. Infine, anche su Gonaar la specie dominante ha sviluppato una civiltà fatta di strade, dighe, paesi, campagne, campi coltivati, città eccetera. Atterrarci sarà un po' come tornare sulla Terra, per te. - E allora perché mi ci state portando? - Perché una differenza tra umani terrestri e umani goonariani c'è e si tratta di una differenza decisiva per quanto apparentemente minima, se non invisibile. E noi vorremmo che tu la scoprissi e ci dicessi poi che effetto ti ha fatto rilevarla, comprenderla, capito? Sì, Ciabatta aveva capito, ma gli sembrava tutto così incerto... - Ecco, siamo atterrati -, disse la voce. Ciabatta udì un rumore, come di ingranaggi che si sono messi in moto e allora vide la parete di fronte sollevarsi lentamente, come la serranda di un negozio. - Come farò a comunicare con i goonariani? -, domandò. - Mentre eri incosciente ti abbiamo iniettato una dose di nanomacchine che, collegate alla tua corteccia cerebrale, fungeranno da traduttore simultaneo quando qualcuno ti parlerà e ti abiliteranno a parlare nella lingua locale senza nemmeno che tu te ne accorga. In pratica sarà come se avessi parlato goonariano da sempre. Abbiamo anche rifornito il tuo portfolio di svariati biglietti cartacei della valuta corrente di modo che tu possa procurarti da bere e da mangiare e passare la notte da qualche parte. - Notte? Ma quanto dovrei stare su questo pianeta? - Cinque giorni a partire da oggi. Dopodiché tornerai in questo stesso punto dove siamo atterrati per essere riportato sulla Terra, siamo d'accordo? Ciabatta annuì, anche se aveva un milione di domande che gli ronzavano per il capo. Riuscì a rivolgerne una, prima che la parete fosse aperta del tutto. - Ma voi chi siete? - Lo saprai tra cinque giorni, esci per cortesia. Ora la parete era sollevata del tutto; davanti a sé Ciabatta vide un immenso prato e un cielo azzurro, uscire gli sembrò la cosa più naturale da farsi. Quando si voltò, alle sue spalle la stanza bianca e asettica dove era stato rinchiuso (intrappolata) non c'era più e nemmeno il disco volante a bordo del quale aveva viaggiato. Ciabatta guardò davanti a sé e prese a camminare. Ciabatta camminò lungo un sentiero in pendenza. Ciò che lo circondava gli era così familiare che cominciò a dubitare di trovarsi su un pianeta alieno. Forse era sulla Terra e gli alieni lo avevano preso per il culo. Poteva essere… Poi vide un cartello che indicava con una località; era scritto in un alfabeto strano, con lettere simili a geroglifici, un alfabeto che non apparteneva ad alcuna lingua terrestre. Ciabatta, tuttavia, riuscì a decifrarlo, grazie alle nanomacchine. Lesse: "Jet Letho - 3 Km". Dunque, camminò in direzione di Jet Letho. Dopo circa duecento metri riconobbe una costruzione, quella che poteva essere una casa di campagna. Aveva una forma cilindrica e somigliava a un silo, leggermente imbrunito dalla ruggine. Ciabatta vide affacciarsi a una finestra una donna. Era in tutto e per tutto simile a una terrestre. Una biondina con la faccia lentigginosa e gli occhi azzurri. Ciabatta le sorrise. Lei gli sorrise. Lui si disse: "Vuoi vedere che le donne qui se la menano meno che sulla Terra?". Continuò a camminare. L'aria su Gonaar gli sembrava più pulita che sulla Terra o almeno di quella di Milano. L'aria di Milano era un vero schifo e nel tempo non aveva fatto che peggiorare. Spesso, Ciabatta aveva associato l'atmosfera inquinata, carica di agenti chimici, all'atteggiamento acido, da figadoro delle donne milanesi. A Milano non si faceva sesso bene e, di conseguenza, non si respirava bene. Lì, forse l'aria pura predisponeva la specie dominante a rapporti sessuali più fluidi e goderecci. Senza tante paranoie. Dopo un chilometro circa, Ciabatta riconobbe altre costruzioni. Lo skyline della città, simile a quello di una qualsiasi città terrestre; un rilievo frastagliato lungo la linea dell'orizzonte. Imboccò una strada e ad un certo punto udì uno strano rumore, tipo un trillo sottile e continuo. Si voltò e vide un'auto provenire in lontananza. Si trattava di un'auto di forma semisferica e di colore grigio traslucido, spinta, probabilmente, da un motore elettrico. Ciabatta pensò di alzare il pollice e fare l'autostop, chissà se era un costume in uso anche su quel mondo…. Sorprendentemente l'auto rallentò e accostò. La portiera di destra si sollevò verticalmente. Ciabatta si piegò per vedere chi c'era dentro. Con piacere, constatò che al posto di guida sedeva una donna abbastanza giovane, sulla trentina, capelli rossicci e un bel visino. Vestiva una specie di tunica turchese fermata su una spalla da un fermaglio. - Bisogno di un passaggio? -, domandò la rossa nella sua lingua perfettamente comprensibile. - Sì, vado a Jet Letho. - Bene, anche io vado in città, salta a bordo, dai! Ciabatta entrò nell'auto trovandola confortevole assai. La portiera si richiuse e il mezzo riprese la corsa, silenziosa e rapida. - Bella auto -, disse Ciabatta, tanto per fare conversazione. - Ti piace? L'ho comprata di seconda mano. Il motore spinge bene, ma le batterie si esauriscono velocemente. Devo fare una ricarica ogni 24 ore. In quale quartiere abiti? Ciabatta, ovviamente, non voleva dire che proveniva da un altro mondo, così disse che era un forestiero, veniva da un paese di campagna. - Mi piace la campagna -, disse la rossa. - Prima o poi mi trasferisco. Questa città diventa ogni giorno più stressante. Quando l'auto s'infilò nelle arterie urbane, a Ciabatta parve che Jet Letho fosse tutto tranne che una città stressante. Le strade erano larghe, ombreggiate da alberi verdi e fronzuti; il traffico era scorrevole e non appestato dai gas tossici dei mezzi a combustione, come sulla Terra, la gente aveva un'aria rilassata. - Come hai detto che ti chiami, tu? -, chiese la rossa. Ciabatta tossì. - Hem, mi chiamo Franco anche se tutti mi chiamano Ciabatta -, disse "ciabatta" in lingua terrestre. La donna masticò tra le labbra quella strana parola che apparteneva a un'altra galassia. - Ciabatta... che strano nome... io comunque mi chiamo Klito. "Anche Klito è un nome ben strano!", pensò il terrestre. Beh, piacere Klito. - Piacere mio, allora, Ciaba, ti spiace se ti chiamo "Ciaba"? È più breve e comodo... dov'è che ti mollo? - Quella piazzetta va benissimo. L'auto si fermò e la portiera si aprì verticalmente. Ciabatta uscì e ringraziò Klito. Lei, prima di ripartire, si sporse in fuori e disse: - Ascolta, hai da fare questa sera? - No... - Perché se non hai da fare una mia amica da una festa e visto che sei nuovo della città, potresti venire, conosceresti un po' di gente, non esattamente la crème de la crème, ma i miei amici sono tipi a posto. Ciabatta sorrise. - Ok, perfetto, grazie, ma... dov'è la festa? - Al palazzo numero 37 del sedicesimo quartiere, non lontano da qui. La padrona di casa si chiama Clara, è una mia mica. Quando arrivi, tu chiedi di me, va bene? - Va bene. - Allora a stasera, Ciaba! Il terrestre salutò scuotendo la mano. - Ciao. L'auto elettrica ripartì a razzo. Ciabatta non riusciva a credere che la rossa fosse stata così gentile con lui. Di solito le donne non erano così gentili con lui. Di solito le donne erano dei cani idrofobi con lui, se solo provava ad avvicinarle. Abbaiavano finché non se ne andava. Invece la rossa, quella Klito, si era comportata benissimo. Aveva parlato durante il viaggio e addirittura lo aveva invitato a una festa. Tutto contento dalla prospettiva di avere una festa in programma, quella sera, Ciabatta s'incamminò lungo un viale. Era pomeriggio e tutto quello che doveva fare era guardarsi intorno, comprendere la specie intelligente di quel pianeta e riportare le sue impressioni agli alieni che lo avevano rapito. Facile. Era quasi contento, ora, che lo avessero rapito, che quel fascio luminoso fosse piovuto giù e poi in un risucchio il disco volante lo avesse ingoiato. Mentre camminava, fischiettò. Come la voce dentro al disco gli aveva anticipato, i goonariani erano simili ai terrestri se non proprio uguali. Fisicamente non vi erano differenze se non che i gonaariani erano generalmente più belli e avevano una faccia più sana, e questo Ciabatta lo imputò all'aria più salubre e a una migliore predisposizione alla vita di società. Ciò che cambiava erano i vestiti e anche l'architettura dei palazzi. L'abbigliamento era assai originale. Le donne erano per lo più abbigliate con lunghe tuniche strette in vita da larghe fasce e annodate su una spalla o tenute insieme da fermagli, e avevano i capelli raccolti a crocchia; gli uomini vestivano anch'essi tuniche ma dai tessuti più pesanti e girate più volte attorno alla figura. L'abbigliamento, insomma, somigliava a una rivisitazione in chiave moderna della moda dell'antica Roma. I palazzi erano larghi e alti, potevano misurare anche venti piani, e di color ocra, sembravano fatti di argilla. Avevano tutti ampi balconi coperti da complicati tendaggi; le finestre erano larghe, ai primi piani fornite di grate. La mobilità stradale, come l'illuminazione pubblica, era alimentata dall'energia elettrica a sua volta prodotta dall'immaganizzamento dell'energia solare, tramite larghi pannelli installati sui tetti dei palazzi. Una cosa che la gente faceva spesso era raccogliersi in capannelli al centro delle piazze o agli angoli delle strade e discutere, imbastire veri e propri comizi. Ciabatta, tanto per fare, si fermò tra gente e ascoltò uno di questi comizi. In piedi su una cassetta di legno vide un vecchio che parlava gesticolando. - Gli Dei, questa stagione, non sono stati buoni con noi -, diceva, - e si capisce. Ai templi sono stati tributati in loro onore pochissimi sacrifici. Solo 341 vacche sono state sgozzate, lo scorso mese, sull'altare del dio Lux e voi sapete quanto è importante la sua intercessione. E' lui che parla con la grande palla di fuoco sospesa in cielo e la esorta a elargici la sua energia. Dobbiamo ritornare a un più appassionato culto per gli dei, miei cari cittadini... Tra i presenti qualcuno assentiva, qualcun altro sbadigliava, tutti, comunque, avevano un'aria rilassata. "Politeisti", si disse Ciabatta, "questa gente crede in più dei e compie sacrifici nei templi come accadeva nell'antichità o tra le popolazioni pagane, interessante, molto interessante...". Poi si allontanò. Continuò a vagare un po' qua e un po' là mano a mano che il giorno passava. Ben presto fu sera. Una densa, profumata e vellutata oscurità avvolse Jet Letho. La luce stradale illuminava in modo discreto i quartieri. Ciabatta, d'un tratto, provò una gran fame. Non mangiava da diverse ore. Aveva anche sete. Si guardò intorno. Individuò un'insegna che diceva "Locanda"; decise di entrarci. Sedette a un tavolo e fu raggiunto dall'oste, un tipo panciuto con un grembiule stretto in vita. - Salve, cosa le posso servire? Abbiamo dello stufato di fagioli, se vuole. - Lo stufato di fagioli va benissimo e... avete anche una bevanda che si chiama... birra? Il tipo panciuto sorrise. - Ma certo amico e di quella buona, anche. Ne porto subito una caraffa! Mentre Ciabatta tracannava l'ottima birra a lente sorsate, si guardò intorno. Ricordò le parole della voce, nel disco volante: "una differenza tra umani terrestri e umani goonariani c'è e si tratta di una differenza decisiva per quanto apparentemente minima, se non invisibile". Di quale differenza poteva mai trattarsi? Ciabatta non riusciva a trovarla. I goonariani erano sputati identici ai terrestri. Le differenze come l'abbigliamento e l'architettura urbana, erano dovute al semplice fatto che vivevano su un altro pianeta e avevano alle spalle un'altra storia, per il resto sembravano figli di uno stesso dio. O degli stessi dei. Forse per capire in che modo erano diversi i goonariani dagli umani, Ciabatta doveva conoscerli nel profondo, intimamente, magari giacere con una delle loro donne, perché no? L'idea delineò un bel sorriso sulle labbra del terrestre il quale, terminato di cenare, pagò e poi si avviò verso il palazzo numero 37 del sedicesimo quartiere, come gli aveva detto Klito. Camminò tra i viali larghi e gonfi di foglie e il semplice camminare gli tornò quanto mai piacevole. D'un tratto i marciapiedi furono presi dal dolce assalto di donne truccate in modo vistoso e profumate, donne che gli lanciavano risolini complici, occhiate ammiccanti mentre lui passava. Doveva trattarsi di prostitute. Dunque, quello della prostituta non era solo il mestiere più antico della Terra, ma dell'intero universo! - Ciao carino, dove vai così di fretta e vestito strano? -, disse una matrona dal seno giunoico e i capelli neri e crespi come quelli d'una medusa, e, nel parlare, sollevò la gonna fino a mostrare un pube altrettanto crespo e nero. Ciabatta sorrise e passò oltre. Arrivò al quartiere quattordicesimo e poi al quindicesimo e infine giunse al sedicesimo. Non fu difficile trovare il palazzo trentasette. Un vociare mescolato alla musica permise gli di orientarsi per le vie e infine eccolo, il palazzo della festa: il balcone del quarto piano era gremito di gente, c'era un gran divertimento lassù. Ciabatta superò il portone d'entrata e poi salì le scale - c'era sì l'ascensore, ma si trattava d'un gabbiotto così rudimentale, mosso in su e in giù da un sistema di corde e carrucole che lui non volle prenderlo - e alla fine raggiunse l'appartamento dov'era in corso la festa. Sulla soglia disse subito chi lo aveva invitato: - Klito mi ha detto di venir qui, la conoscete? Gli rispose un tipo ricciuto, dal volto glabro e un po' tronfio come un autoritratto del Caravaggio. - Klito? Ma certo che la conosciamo! Tutti la conoscono e tutti si conoscono, qui! Kliiiito! Kliiito!! C'è un tizio che chiede di te e, giuro sugli dei, indossa gli abiti più bizzarri che abbia visto in vita mia! Sgusciando tra la folla, ecco spuntare la rossa signorina che quel dì aveva raccolto Ciabatta lungo la strada. Era più graziosa che mai. - Ciaba! -, disse, spalancando le braccia, - ma vieni qui che ti stritolo tutto, gioia mia! Ciabatta si lasciò abbracciare. Sentì il seno acerbo e turgido di Klito schiaccarsi contro il suo petto, i capelli rossi solleticargli il naso, il profumo di lei inebriargli i sensi e sollevargli l'anima. Ciabatta, a quell'abbraccio, si sentì vittima d'una commozione interna, un senso di vulnerabilità stupendo che lo portò sull'orlo del pianto. Aveva abbracciato altre donne prima di Klito e alcune completamente nudo e già saldato a loro con la carne, ma nessuna gli aveva ispirato una simile arrendevolezza. - Ehi, ehi, basta strusciarvi voi due! -, intervenne il sosia di Caravaggio, - Klito, scostumata, non è così che ci si comporta con gli stranieri e lei, signore dalle scarpe assurde e la tunica non meno bizzarra, un po' di contegno, non abusi così di questa ragazza sconsiderata! Caravggio fu cordialmente mandato a quel paese da Klito che prese Ciabatta per mano e lo trascinò dentro l'appartamento. - Vieni Ciaba, sei qui giusto in tempo, tra poco iniziano i ceriminiali in onore del Dio Ebbro! - Il Dio cosa? Ebbro era un dio simile al Bacco degli antichi romani o al Dioniso dei greci. La statua, che sorgeva nella sala centrale dell'appartamento, lo rappresentava giovane alto e di bell'aspetto, di corpo atletico ma non eccessivamente muscoloso, anzi, la pancia sembrava leggermente abbondare. Il capo era cinto di chicchi d'uva e la mano reggeva una bottiglia di vino. Attorno alla statua erano stati disposti dei ceri e sull'altare una capretta giovane, di pelo biancho, che belava tutta spaventata. - Che intenzioni avete nei confronti di quella capretta? -, domando Ciabatta, in un sussurro. E Klito: - Sgozzarla, naturalmente. E poi mangiarla. Al dio il suo sangue a noi le sue carni arrostite e salate! Ciaba, possibile che tu sia così forestiero da ignorare i riti sacrificali? La vista della capretta sgozzata il cui sangue inzuppava l'altare, fu la sola spiacevolezza di quella serata. Ma Ciabatta dovette ammettere che fu anche una visione interessante ed ebbe un certo effetto su di lui. Vedere il povero e tenero animale sacrificato e poi innalzato al cielo, rese tutti più eccitati. Il sangue versato della bestia accese di bramosia quello che scorreva nelle vene degli invitati. In breve alcuni degli invitati si ritirarono nelle altre stanze, per fare cosa, non fu difficile inturlo dai gemiti di piacere. Le luci si fecero più soffuse, l'aria sembrò farsi più densa... Klito strinse la mano a Ciabatta e lo guardò con occhi luccicanti. - Ciaba, ti va di abbandonare questa cloaca di vergognosi sollazzoni e passare un po' di tempo con me? Non abito lontano da qui. Ciabatta non riusciva a credere alle proprie orecchie. La donna gli si era rivolta con una naturalezza disarmante; gli aveva proposto di passare del tempo in intimità senza vergogna o falsi pudori, ma così, spontaneamente perché era ciò che ella voleva ed era ciò che anche lui voleva. Dunque, col sorriso sulle labbra, rispose di sì. Fu una stupenda notte d'amore. I due passarono sul letto a carezzarsi, baciarsi e amarsi diverse ore finché, piacevolmente spossati, non si concessero alle braccia di Morfeo. Nel corso del sonno, Ciabatta ebbe un incubo. Sognò di camminare sotto un cielo di cenere da cui scendeva una pioggia gelida e sottile, lungo strade grigie, affollate, dove le auto si ammassavano, i clacson strepitavano, gli automobilisti bestemmiavano... I pedoni andavano di fretta e avevano un'espressione tirata come se fossero intimamente scocciati e con quella smorfia di antipatia perenne si facevano largo, camminavano inesorabili verso dio solo sa dove. Le donne erano belle ed eleganti, ma la loro bellezza aveva un che' di sofferto, tirato, come una maglia tesa, sul punto di lacerarsi, e mentre camminavano raccoglievano sguardi senza ricambiarne alcuno. Gli uomini parevano motivati unicamente dall'arroganza, dalla consapevolezza di essere superiori agli altro. Ognuno era come chiuso in una sua sfera privata, impermeabile al prossimo. Ognuno era la prigione di se stesso. Ciabatta aprì gli occhi col cuore che gli batteva a mille e si alzò di scatto sul busto. Vide davanti a sé la finestra ampia, dai tendaggi semiscostati dal vento, il davanzale affacciato su un gorgo di stelle. Guardò alla propria destra e vide il corpo morbido e candido di Klito, la sua chioma rossa che profumava di primavera e allora si chetò e tornò a dormire. Era su Gonaar. Milano era un brutto sogno, lontano milioni di galassie. I giorni seguenti furono piacevoli come il primo e pieni di sorprese. Ogni ora che passava, Ciabatta scopriva nuovi aspetti di quella civiltà aliena, per certi versi diversa dalla sua, per altri simile. Come sulla Terra le persone di giorno lavoravano e la sera tornavano a casa. Klito, di mestiere, faceva la professoressa. Insegnava una materia che sostanzialmente aveva a che fare con l'alimentazione. In pratica, spiegava ai suoi alunni cosa mangiare e come cucinare per godere del cibo e rimanere in salute. Tutti i lavori, comunque, avevano un risvolto sociale, erano mirati al bene comunitario, non solo quello individuale. Lo sport era molto importante su Gonaar, anche come intrattenimento. In una specie di grande stadio venivano svolti combattimenti simili a quelli dell'antica Roma tra gladiatori, con la differenza che qui nessuno moriva. Il culto degli dei ricorreva spesso nelle azioni che i goonariani compivano, ma mai in maniera condizionante. Quando ci si sedeva a tavola si ringraziava Ebbro e Cerveria, la dea della caccia, quando si andava alle terme si ringraziavano le melleridi, semi divinità femminili che, si diceva, soffiavano sotto la terra alimentando le sorgenti termali, quando si partecipava all'attività sportiva si ringraziava Hebert, il dio della competizione e così via. Nei pochi giorni che passarono assieme, Ciabatta e Klito apprfondirono il loro rapporto; il terrestre aveva la sensazione di conoscere quella ragazza goonariana incontrata quasi per caso da sempre e così non si stupì quando, il quarto giorno di permanenza su Gonaar la sentì dire che lo amava e sentì se stesso rispondere che il sentimento era pienamente ricambiato. Ciabatta e Klito si baciarono e rimasero abbracciati su una panchina in silenzio, osservando l'astro di fuoco calare lentamente oltre gli alberi del parco e le ombre vellutate della sera ritrovarsi come in conciliabolo e abitare la città. Quando un satellite del tutto simile alla luna fu ben visibile tra le stelle, Klito chiese: - Staremo insieme per sempre, vero Ciaba? - Sì -, rispose Ciabatta. - Non mi lascerai mai, eh? - Mai. - Non mi importa se non mi vuoi dire da dove vieni, se non hai un lavoro e ti dovrò mantenere, l'importante è che tu prometta di non andartene mai. Promettilo per una seconda volta, promettilo davanti a tutte queste stelle, allo spazio infinito che ci circonda, fallo! - Sono testimoni le stelle di quello che sto per dirti, Klito: non ti lascerò mai. La goonariana sorrise e pianse dalla contentezza. Ciabatta pensò: - Devo assolutamente parlare con gli alieni. Vero, doveva parlarci. Era negli accordi. Lo avevano portato fin lì perché lui vivesse tra i gonaariani e poi riferisse loro in che modo erano diversi dai terrestri, qual era quella piccola, ma decisiva divergenza che separava le due specie umane... Ciabatta, comunque, più che le differenze aveva intenzione di comunicare agli alieni che lui non aveva nessuna voglia di tornare sulla Terra, che su Gonaar aveva trovato l'amore e la felicità e che ci sarebbe rimasto, loro partissero pure senza di lui. Dunque, camminò fino al punto in cui il disco era atterrato, in aperta campagna, una zona dove nessuno poteva vederlo, ma non trovò nessuno. Gli alieni, evidentemente, avevano deciso di tornarsene a casa senza passare a prenderlo, tanto meglio, non avrebbe dovuto sprecare fiato dicendo che rimaneva lì. Ciabatta voltò le spalle alla campagna e stava per far ritorno a Jet Letho, quando udì una voce. - Ehi. Si voltò. Chi aveva parlato? - Terrestre, dico a te! La voce che aveva sentito cinque giorni prima nel disco volante aveva parlato, sì, Ciabatta ne era certo, anche se un disco volante, intorno, non c'era. - Dove sei, chi sei? - Aspetta, ora mi mostro. L'aria parve tremare, d'un tratto, come un orizzonte sotto l'effetto della calura, poi, gradualmente, pezzo dopo pezzo, si delineò una figura gigantesca agli occhi di Ciabatta: un disco volante. Un oggetto sferico e in acciaio, lo stesso che sulla Terra aveva risucchiato il terrestre verso l'alto. Una parete del disco si sollevò e dall'interno sbucò fuori un omino magro, sottile, grigio, col testone leggermente più grande del resto del corpo e grandi occhi neri e senza luce. - Ciao -, disse l'omino, - come va? - Bene -, disse Ciabatta preso un po' alla sprovvista, - eri tu che mi parlavi dentro al disco mentre mi trasportavate qui? L'omino annuì muovendo il testone. - Esatto, Mi chiamo Ciok. - Ciok? - Come ti dicevo durante il viaggio di andata, il mio pianeta è lontanissimo rispetto alla Terra, più di quanto lo sia Gonaar. Tuttavia, grazie a una tecnologia che permette ai miei simili di viaggiare a velocità superluuminale non ho impiegato molto a raggiungere la tua galassia e a portarti qui. Allora, che mi dici di questo pianeta e della gente che lo abita? Ti è piaciuto stare tra loro o ti sei annoiato? - Annoiato? Mi sono divertito -, sbottò Ciabatta, - ho passato i cinque più bei giorni della mia vita, è stata un'esperienza esaltante e questi goonariani sono degli autentici fenomeni! - Bene, mi fa piacere sentirtelo dire e... hai cpaito in cosa voi terrestri siete diversi rispetto ai gonaariani? Ciabatta assunse un'espressione pensierosa. - A dire la verità no? - No? - No. Non l'ho capito. Cioè, è evidente che ci siano delle differenze, ma non saprei dire quali... i gonariani mangiano e bevono come i terrestri, si coprono con i vestiti come noi, hanno città simili alle nostre, si accoppiano tra uomini e donne proprio come facciamo noi terrestri, ci assomigliano in tutto, ma sento che in qualcosa, qualcosa di estremamente importante, sono diversi. - Esatto e in che cosa secondo te? Ciabatta si grattò la nuca, provò a spremersi le meningi, ma non partorì l'ombra d'un'idea. - Non so... non saprei proprio. Forse non sono diversi in niente, forse è solo una mia impressione che ci siano delle differenze tra noi e loro. Ciok guardò il terrestre alcuni istanti poi sospirò e, con voce sconsolata, disse: - Capisco. Beh, a questo punto non rimane altro da fare che riportarti sulla Terra. - Io non voglio tornare sulla Terra -, disse secco, Ciabatta. - Cos'hai detto? -, Ciok era stupito. - Mi hai sentito. Qui mi trovo benissimo, ho incontrato una ragazza che amo e mi ama, ier sera le ho giurato che non l'avrei mai abbandonata, di conseguenza, io non tornerò mai sulla Terra. Mai e poi mai e poi mai e poi mai! Tu e il resto dell'equipaggio potete puntare diritto a casa senza passare prima dalla via Lattea perché ho deciso di piantare tende qui. Ciok parve imbarazzato da quella dichiarazione di intenti. Mi dispiace ma questo non è possibile -, disse. - Cosa non è possibile? -, domandò in tono preoccupato Ciabatta. - Che tu rimanga qui. Non era nei piani. Non è contemplato. I piani sono che tu torni sulla Terra. - Ma io non voglio tornare sulla Terra, te l'ho detto. E voi non potete costringermi. - Purtroppo temo che tu non possa opporti a un ritorno sulla Terra... mi spiace, ma l'eventuale contatto tra la specie goonariana e quella terrestre è previsti tra non meno di cinque milioni di anni... Noi non possiamo anticipare eventi di portata cosmica come i contatto tra due specie intelligenti... il nostro era un semplice esperimento che trovava oggi la sua conclusione, tu non ouoi restare qui, terrestre, toglitelo dalla testa! Ciabatta, assunse un'aria di sfida. - Ah sì? Io non poso restare qui? Voglio proprio vedere in che modo me lo impedirete -, voltò le spalle a Ciok e di buon passo s'incamminò verso la città, senza guardarsi le spalle. Aveva compiuto una cinquantina di metri, quando, improvvisamente, provò una sensazione assai spiacevol che ben conosceva: si sentì attirato verso l'alto. Diritto alla gravità, gli alieni lo stavano depredando per l'ennesima volta del suo sacrosanto diritto a poggiare su qualcosa di solido, essere attratto verso il centro del tutto che, questa, coincideva con il centro del suo cuore, Klito. Sì, sollevandolo da Terra per risucchiarlo nella pancia del disco volante, gli alieni privarono Ciabatta non solo della legge di gravità, ma della forza dell'amore. Quando il terrestre si ritrovò chiuso nell'odiosa stanza senza porte, né finestre, prese a urlare e a battere i pugni contro il muro. Poi perse i sensi. Si riprese poco dopo che il disco volante ebbe abbandonato l'atmosfera terrestre. Ciabatta sbatté gli occhi e si ritrovò su una panchina. Una pioggia gelida batteva contro il suo viso, mescolandosi alle lacrime, le auto ruggivano passando lungo la via, la gente andava di fretta, senza guardarsi, ognuno seguendo una direttrice che non poteva incrociarsi con quella degli altri. Un'auto passò rapida sfiorando il parciapiede e sollevando una pozza d'acqua che investì Ciabatta infradiciandolo dalla testa ai piedi. Due ragazzi che passavano di lì trovarono la cosa molto divertente e ridacchiarono. Un uomo attraversò la strada con un cellulare in mano. - Mi hai capito? Ti rovinerò! Te lo giuro! Dovesse essere l'ultima cosa che faccio in vita mia! -, sbraitava. D'un tratto, Ciabatta scoprì la differenza tra goonariani e terrestri, i primi pensavano ancora che vivere fosse una gran fortuna e valesse la pena farlo in amore e amicizia, i secondi lo avevano dimenticato da tempo. Si alzò e camminò inabissandosi nel grigiore generale, della sera e dell'anima.