Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Fabrizio Roncone
La paura ti trova
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Rizzoli Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-08788-9
Prima edizione: maggio 2016
Realizzazione editoriale: Studio Editoriale Littera, Rescaldina (MI)
A mia madre
La paura ti trova
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Il ragno scattò fuori agile e avanzò qualche centimetro
tra i granelli di sabbia. Poi, di colpo, si fermò: era finito in una strana zona d’ombra.
Venti centimetri sopra di lui, una mano grassa e
con un anello d’oro al dito medio teneva immobile
una ciabatta di plastica.
L’istinto suggerì al ragno che sarebbe stato meglio
filarsela.
Ma è chiaro che quello era un ragno sfortunato.
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«Ahó! Se fermamo qua, a pranzo? Vado a prenota’ un
tavolo?»
Nessuna risposta.
Il rumore delle onde.
Un cane abbaiava ai gabbiani.
Giugno a Capocotta, le previsioni erano giuste. Sole
a picco, vento lieve.
Big Bubble rimise la ciabatta sotto il lettino.
Cazzo, un posto pazzesco.
C’era venuto anche il giorno della scarcerazione,
quattro anni prima. Spaccio di sostanze stupefacenti, furto con scasso, ricettazione. Quel coglione di un
rumeno aveva cantato e al gabbio le gomme da masticare, le adorate gomme che da ragazzino a Cinecittà
erano diventate il suo soprannome, le facevano pagare
pure il triplo.
Andare al cantiere dove lavorava il rumeno, appena
libero: il sogno di ogni notte. Tutto piuttosto spontaneo: un sorriso cattivo, poi gli era partito con la testa.
Gli incisivi del rumeno schizzati fuori dalla bocca
come confetti.
L’infame, in ginocchio, piagnucolava.
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Sputava sangue e saliva.
Chiedeva scusa.
Un errore.
A Big Bubble avevano raccontato dei pianti che la
madre s’era fatta, povera donna, quando aveva saputo
che il suo bambino avrebbe dormito per un bel po’ a
Rebibbia.
Così sul naso del rumeno era atterrato un piede numero quarantasei, centotrenta chili di forza.
Cric.
Un patatina fritta schiacciata.
Sistemato il rumeno, finalmente la sabbia di Capocotta.
In cella, quando gli arrivavano addosso le crisi di
panico, riusciva a dominarsi pensando al vento, al mare, al ristorante sulla spiaggia.
Ricordava alla perfezione la faccia del cameriere:
quattro porzioni di linguine con gli scampi su un unico vassoio. Due birre ghiacciate. Tre porzioni di tiramisù.
Una mangiata spettacolare che s’era goduto il tempo di un rutto.
Poi aveva vomitato.
Ci ripensava con gli occhi chiusi, a quel giorno.
Sentì che stava per commuoversi: allora prese il
crocefisso che teneva al collo e lo baciò.
Era steso sopra un lettino, la gamba destra penzoloni. Sul polpaccio, un Colosseo tatuato. Goccioline
di sudore cercavano un varco tra i peli della pancia,
bianca e flaccida.
Alzò i Dolce&Gabbana a specchio sul testone ra11
sato e osservò una coppia di froci che giocavano a racchettoni.
Big Bubble li odiava, i froci.
Gli facevano schifo.
Diceva che erano malati.
Uno dei due gli sorrise, lui ricambiò con una linguaccia e alzando il dito medio. Poi il suo sguardo
superò l’ombrellone dello stabilimento per nudisti
«Lunacalante».
Guardoni che venivano giù dalle dune, gruppi di
coatti rumorosi, notai con le amanti, due ragazze che
si baciavano, disoccupati per niente tristi, vecchie signore chicchettose, ultimi esemplari di fricchettoni
che sfoggiavano catene d’oro su petti depilati, spacciatori che volevano abbronzarsi.
Spacciatori come lui, come loro.
«A’ stronzi, magnamo qua, sì o no?», aveva una vocina sottile, inattesa.
Bilancino – età indefinita, magro, orecchino al lobo destro, fratello di Gigetto detto Biberon, il più importante usuraio del Tuscolano – finì di vuotare il secondo vodka-lemon della mattina. Sergetto sbadigliò.
«Ho capito, rega’, decido io: mo vado a prenota’.»
La sabbia era bollente.
Sghignazzava.
Saltellava.
Salì la scaletta di legno, evitò una sessantenne bionda ossigenata in bikini leopardato che leccava sfacciatamente un gelato e arrivò al bancone del bar. Appoggiata al bancone c’era Alessia: topless da concorso, seni
grandi e a mezz’aria, capelli a caschetto neri, zigomi
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alti e labbra come uno spot – riuscito – per il botulino;
e però anche le mani massicce, come i piedi, perché poi
un trans può cambiarsi tutto, tranne le mani e i piedi.
«Big Bubble, amoreeeee!», accento romano-portoghese.
«Bella Alè, come stai?»
«Amore, sto da urlo... Nun me vedi?»
«Mangi con noi? Ce stanno pure Sergetto e Bilancino...»
«Ah, ce sta Sergetto?»
«Sì, perché?»
«Perché me sa che... Lui le lavora sempre le caramelle, ve’?»
Sergetto aveva trent’anni. Bel ragazzo dai modi
educati, molto diverso dai due ceffi amici suoi. Un fighetto con i capelli castani e la frangetta, i pettorali da
ex campione italiano juniores di karate e tutto il resto
a posto: bermuda Adidas arancioni, Rolex Explorer
d’acciaio, iPhone sempre in mano.
Perfetto per spacciare in certi posti. Il Circolo Vogatori, oppure quella palestra che sta dietro via Veneto; e poi le piazze dove si ritrova la Roma elegante e
riccastra che pippa bene: piazza del Fico, Campo de’
Fiori, piazza Euclide.
Arrivava con il suo Bmw Spider, aveva i modi giusti. Sorrisi e abbracci, ciao Dado, ciao Cri, ti voglio
bene Lavi e, quasi senza accorgersene, se li ritrovava
tutti in coda a fare la spesa. Soprattutto hashish e cocaina: la roba sintetica, che costa di meno e rende il
doppio della coca, era costretto a piazzarla fuori dalle
discoteche, il sabato notte.
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