POSTFAZIONE E` probabilmente con un senso di

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POSTFAZIONE E` probabilmente con un senso di
POSTFAZIONE
E’ probabilmente con un senso di legittima curiosità che i
lettori appassionati di letteratura norvegese si accosteranno
a questo breve romanzo, scritto nel 1962 da una autrice di
grande talento quale Bergljot Hobæk Haff. L’ormai matura scrittrice, considerata in patria e nel resto della
Scandinavia tra i migliori narratori norvegesi del dopoguerra, è infatti rimasta fino a ora inspiegabilmente ignota
al pubblico italiano.
Con la pubblicaziorne de Il rogo, l’editoria italiana ha
finalmente reso giustizia a una delle più affascinanti narratrici norvegesi, che si è imposta da qualche decennio all’attenzione del pubblico e della critica in Scandinavia e, più
recentemente, in altri paesi europei e negli Stati Uniti.
Il rogo, pur non potendosi considerare una delle sue
opere maggiori, è stato tuttavia il romanzo che ha rappresentato per la scrittrice – dopo i suoi tre libri degli anni
Cinquanta, caratterizzati dall’introspezione psicologicorealistica prevalente nella statica letteratura norvegese di quell’epoca – una svolta nella ricerca di nuovi percorsi e mezzi
espressivi, destinati a contrassegnare la struttura narrativa e
la tematica di molti dei suoi romanzi successivi.
Bergljot Hobæk Haff è nata a Botne, nella Norvegia
sud orientale, nel 1925. Diplomatasi maestra, parte per la
Danimarca, dove si sposerà, avrà figli e per molti anni
insegnerà – senza entusiasmo – alle scuole elementari come
supplente. Rimarrà a Copenaghen ventiquattro anni e tornerà in Norvegia, stabilendosi a Oslo, dopo il divorzio dal
marito danese.
La sua vocazione letteraria si rivela solo verso la metà
degli anni Cinquanta. La schiva autrice, vincendo la sua
nota riservatezza, ha confessato nel corso di una recente
intervista di aver iniziato a scrivere per scandagliare e inter141
pretare ciò che di estraneo era in lei e negli altri, nonché
per sfuggire a un crescente senso di smarrimento e a un’esistenza che fino ad allora aveva sentito come vuota e mal
vissuta. Da allora, afferma, scrivere è stata la sua sola, grande
passione, lo scopo stesso della sua esistenza. Dal 1956 al
1960 pubblica, dunque, i suoi primi tre libri. La frana, che
desta notevole scalpore per la schiettezza dei mezzi espressivi e
la forza di persuasione psicologica nel rappresentare la convivenza impossibile, l’incomprensione e l’abuso di potere e le
tragedie che ne possono derivare; Liv (1958), considerato
il suo romanzo meno riuscito; Non lo troverai mai
(1960), romanzo che si può definire “di transizione” poiché già si avverte in esso che la scrittrice si sta sganciando
dal racconto realistico, per accostarsi a uno stile narrativo
più modernistico. Il rogo, romanzo simbolico-allegorico,
rappresenta, come accennato poc’anzi, una svolta decisiva
nello stile e nel filone narrativo della scrittrice. La Hobæk
Haff intraprende così un nuovo e assai personale percorso
artistico, con tematiche e fisionomia ben definite. D’ora in
poi, nei suoi romanzi le forze del bene e del male non
hanno più alcun ancoraggio psicologico, ma assumono un
ruolo dominante come i poli di un’immagine cristianomistica del mondo. L’azione sfuma nell’inidentificabile e
nell’irrealistico, il racconto assume una connotazione allegorica, la narratrice si muove in un mondo mitico, la scrittura è soprattutto immaginifica, di simboli e significati.
I romanzi dell’autrice gravitano spesso intorno al rapporto tra il divino e l’umano, e al binomio madonna-sgualdrina. Motivo conduttore, questo, che troviamo ne Il diario di una meretrice (1965), in cui la prostituta rappresenta
le forze del bene; ne Il mantello nero (1969), dove l’abbinamento madonna-sgualdrina è a tal punto marcato, che il
protagonista maschile vede nella prostituta vestita di nero
una figura innocente di suora; ne La madrina (1977),
ambientato nel degrado di una città moderna, dove la
Haff affida alla prostituta il ruolo della buona samaritana
e le fa partorire una “redentrice” la notte di Natale. Nelle
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sue storie, la scrittrice affida spesso allo donna il posto che
l’uomo detiene nei Vangeli; altre volte si avvale delle
Sacre Scritture – che considera meri miti immaginari –
come punto di avvio verso conclusioni e svolte sorprendenti. Nel romanzo Il figlio (1971) la Haff si lascia andare a
una parodia dello spirito cristiano parossistico, che induce
una madre a far rinchiudere il proprio figlio in un manicomio. Nel 1985 appare La Divina Tragedia, in cui viene
fatta allusione alla Commedia dantesca; qui, la demarcazione tra l’aldilà e il nostro mondo viene cancellata con un
umorismo dissacrante: un Dio fallito nella Sua opera viene
espulso dalle sfere celesti e gettato sulla terra.
Ma la Hobæk Haff ha molte frecce al suo arco, e non
teme di affrontare argomenti di carattere storico e politico. Nel 1983 esce il romanzo epistolare Io, Bakunin, in
cui la scrittrice si sofferma criticamente sulla vita e sull’attività del rivoluzionario nichilista dal 1869 al 1974.
Il prezzo della purezza, apparso nel 1992, ottiene in
Norvegia, Danimarca e Germania un notevole consenso
di critica e pubblico. Ambientata nella Spagna
dell’Inquisizione, la storia si snoda con toni cupi, resi da
mezzi espressivi molto efficaci, in un ambiente in cui
sono di casa assassinio, incesto, suicidio e amore proibito,
disperato e immortale.
Ma il successo più strepitoso e incondizionato la scrittrice lo ottiene nel 1996 con il suo corposo romanzo La
vergogna, per il quale le sono stati conferiti tre prestigiosi
riconoscimenti (Premio Brage, Premio dello Critica e
Premio della lingua norvegese) che vanno ad aggiungersi
a numerosi altri premi ottenuti rispettivamente nel 1962
(per Il rogo) nel 1975, 1985, 1988, 1995. Il romanzo (da
cui è stato tratto un applaudito lavoro teatrale) è una cronaca familiare che si snoda nell’arco di un secolo, dalla
fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri, passando attraverso tre generazioni e due guerre mondiali. Si tratta di una
carrellata drammatica su avvenimenti in cui si susseguono, a ritmo incalzante, tradimento collaborazionista, pic143
coli e grandi inganni, ansie, cinismo, amori e distacchi,
atti di generosità e scorci di grande umanità e coraggio.
Il romanzo più recente della Hobæk Haff, La cremazione di Sigbrit, è apparso agli inizi del 1999. In un’amalgama di storia autentica del Cinquecento e di fiction, l’autrice racconta la breve vita della giovane e bella Dyveke,
amante di re Cristiano di Danimarca, morta per mano
assassina nel 1517. Il libro, accolto con entusiasmo dalla
critica, si è finora classificato tra i dieci bestseller del mercato norvegese.
Bergljot Hobæk Haff si schiera quasi sempre dalla
parte dei disadattati, degli emarginati, dei reietti, dei perseguitati. Le sue opere, nell’insieme, gravitano attorno a temi
esistenziali senza tempo e a situazioni di conflitto tra le
forze profonde nascoste dell’animo umano. Vi si ritrova
costantemente, tra le righe, la sfida a mettere in discussione
il nostro retaggio di modelli culturali e a rovesciare le verità
convenzionali accertate come assolute e incontrovertibili.
Nella produzione letteraria della scrittrice norvegese detentrici di valori sono le esistenze socialmente fallite, quelle che
si portano appresso il fardello della degradazione sociale, o
che ne sono minacciate; valori imprescindibili legati all’onestà, socievolezza, generosità, laboriosità e senso umanistico.
Ne Il rogo, il perseguitato dalla vita è il calzolaio, mezzo
gigante e mezzo nano, che emana da tutto il suo essere l’onestà, la bontà e la sicurezza del giusto e la cui sola presenza è sufficiente a comunicare forza, calma e conforto. Il
male è incarnato nell’infido Allan, maestro nell’attivare
nel prossimo le innate forze del male; alla fine il diabolico
individuo riuscirà a suscitare tra gli innocenti e sprovveduti
valligiani, fino alle conseguenze estreme, un isterico odio
di massa. La maestra, combattuta tra la bontà del calzolaio
e il fascino sinistro del ciarlatanesco Allan, è figura umana
che, pur non volendo, cede all’ignominia e alle pulsioni
distruttive e al tempo stesso il simbolo dell’eterna lotta tra
il bene e il male. Pur se a prevalere saranno i poteri oscuri
del male, alla fine si evidenzia una giustizia che trascende
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le facoltà umane ed è pronta a ristabilire con inflessibile
rigore l’ordine delle cose.
Pierina M. Marocco
IPERBOREA
Volumi pubblicati
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