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Estratto da
Marina Morpurgo, La scrittrice criminale
© 2011 astoria srl
via Aristide de Togni 7 – 20123 Milano
Prima edizione: luglio 2011
ISBN 978-88-96919-09-5
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
“Molto carini i tuoi racconti! E adesso quando ce
lo scrivi un bel romanzo?”
La Scrittrice Potenziale, colta a tradimento da una
vicina di casa mentre è in coda alla cassa del supermercato, sussulta. Anche fare la spesa è diventato
molto pericoloso – per questo di solito cerca di evitare
gli orari di punta. Bofonchia indistintamente qualcosa che potrebbe essere un “Molto presto”, ma anche
“Muoio presto”, tanto che la vicina si allarma (è una
prof di lingue e il Romanticismo inglese l’ha segnata, anche un po’ devastata, quindi crede che i letterati
siano molto sensibili e proclivi a gesti inconsulti).
La Scrittrice Potenziale torna a casa di corsa, rasente i muri, sperando di non incontrare nessuno, ma
proprio nessuno. Anche il cane lo porta fuori, per sicurezza, prima delle sei del mattino e dopo le undici
di sera, quando le strade sono buie e i passanti rari.
Va avanti così da mesi, per l’esattezza dal maledetto momento in cui è uscita la sua opera prima
– cioè tutti la chiamano opera prima, solo lei in cuor
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suo sa che è la prima e l’ultima – un libretto carino di
racconti carini (chi cazzo è quel cornuto che ha inventato questo aggettivo? pensa irosamente nei momenti peggiori), piccolo e smilzo, così carino e così
smilzo che si rattrappisce al cospetto dei veri romanzi
e anche se lei si ostina a metterlo sullo scaffale della
narrativa italiana lui si piglia paura – maledetto Moravia! Come faceva a riempire pagine su pagine descrivendo una stanza, tra l’altro buia? – e si butta di
sotto, nella fila dei paria e dei poveracci.
L’ultima volta lo ha recuperato tra un volumetto
(gratuito) di ricette per cucinare il tacchino e l’opuscolo (gratuito) dei cinquanta modi di usare lo zafferano. Lo ha tirato su con delicatezza e un po’ di pena
e lo ha messo tra Beppe Fenoglio e Luigi Meneghello,
che sono più magrolini e gentili.
Chiudersi in casa purtroppo non basta, perché esistono il telefono, le chat, i social network e la posta
elettronica, tutti mezzi idonei a ricordare dolorosamente che il dovere di uno scrittore è scrivere. Scrivere romanzi. Scenari. Affreschi. Opere memorabili. Cose nobili e meritorie di una rilegatura in cuoio,
magari (a essere ambiziosi, ma già del cartone rigido
non sarebbe male).
Sua madre la chiama ogni giorno, fornendole alcune specifiche per il prossimo romanzo, che non
dovrà certo essere un romanzo qualsiasi – troppo comodo, eh – ma vendere quanto quello di quella lì più
ricca della regina, quella di Harry Potter, come si chiama? La Rowling. Già la Rowling. Intanto dalle retro-
vie della telefonata si sente la voce di suo padre, che le
suggerisce di adottare uno stile efficace e incisivo alla
Oriana Fallaci. Un Harry Potter alla Fallaci, dunque.
Quando fanno così, in effetti, la Scrittrice Potenziale capisce perché Virginia Woolf si è riempita le
tasche di sassi e si è annegata in un fiume. Però almeno Virginia prima di inabissarsi aveva già avuto
dei flussi di coscienza degni di nota. I suoi, di flussi
di coscienza, finiscono immancabilmente per deviare, prendere dei percorsi collaterali e di bassissimo
profilo – “Cosa posso preparare per cena? Dove avrò
messo la patente? Eppure ci avrei giurato che era
qui” – e sono dunque inutilizzabili. In ogni caso non
le sono mai piaciuti. Ma certo non sarebbe male essere capaci di guardare fuori dalla finestra con occhio
assente e infilzare con nonchalance due o trecento
pagine di considerazioni a piacere, che poi gli altri
sono costretti a leggere tra “Oh! Uh!” di meraviglia.
Avrebbe proprio bisogno di una grande storia da
raccontare, una grande storia straziante e avventurosa ma anche un po’ ironica, con un sacco di morti, amori, viaggi, lotte sindacali, rivoluzioni, guerre.
Una storia tosta. Ma, quando ci pensa, davanti agli
occhi le si materializza un patetico rettangolo vuoto
e bianco, in A4.
Un ex collega le ha fatto notare con tono accusatorio che gli ebrei devono avere per forza delle storie da
raccontare. E di fronte allo scuotimento di testa l’ha
inchiodata: “Pigrizia”. Ah, sta a vedere che è colpa
sua se non è nata in Galizia o in Bucovina, ed è cre-
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sciuta in una famiglia assolutamente indistinguibile
dalle altre, a parte l’assenza del presepe e dell’albero di Natale e altri dettagli bagatellari. Ma sì, che famiglia del cazzo! Manco un pogrom piccolo piccolo
da rievocare. O almeno poteva morire qualcuno – si
sono salvati tutti, invece, scappando appena in tempo. Però potevano scappare da un’altra parte, un po’
meno dietro l’angolo! In Svizzera sono scappati cani
e porci, sai che roba da raccontare, c’è gente che si è
fatta tutta la Russia e il Giappone per arrivare a New
York e ti pare che una può andargli a parlare della
Milano-Como (tratta delle Ferrovie Nord)?
Ma insomma, dicono tutti, possibile che non le
venga in mente niente? Una storia d’amore? Un giallo? Un romanzo storico? Fantascienza? La Scrittrice
Potenziale si prende la testa tra le mani, incapace e disperata. Sta preparando una lista di autodifesa, i nomi
degli scrittori celebri vittime di blocchi letali, le piace
molto il caso di Henry Roth – è il suo preferito –, quarantacinque anni con tutti che gli chiedevano “Allora,
quando ci scrivi un altro romanzo?” e a lui venivano
solo dei raccontini striminziti. Quindi potrebbe temporeggiare per quarantacinque anni invocando Henry Roth (se l’ha fatto lui non si vede perché…), con un
po’ di fortuna tra quarantacinque anni sarà morta o
completamente rincoglionita o comunque farà finta
di non sentire, cosa cacchio pretendono da una povera vecchina!
Guarda con odio la grande libreria di casa. Cinque
metri per sei di larghezza. Tutta piena. Storie, storie,
storie. Maledetti. Un giorno in una scuola media un
ragazzino le ha detto che lui non leggeva perché i libri
erano tutti uguali. Lì per lì l’Esperta di Letteratura per
Ragazzi (non ancora passata al ruolo scabroso di Scrittrice Potenziale) lo aveva incenerito con uno sguardo
di riprovazione – trova un’altra scusa per rincitrullirti
alla PlayStation! –, ma vuoi vedere che quello stronzetto semianalfabeta aveva intuito qualcosa di vero?
Hanno già scritto tutto. Tutto di tutto. Non resterebbero a disposizione, ancora vergini, che poche
trame altamente improbabili. Una storia lesbica nel
periodo della guerra dei Trent’anni. Non è lesbica
e non sa niente né della guerra dei Trent’anni né di
quello che facevano i civili, prima, dopo e durante.
Una comunista rapita dai marziani. No, datato e ideologico. Una storia crepuscolare, la passione di una
donna matura (potrebbe applicarsi in modo da avere
del materiale psicologicamente valido e convincente,
basterebbe trovare un giovanotto compiacente), ma
cazzarola l’ha già fatto la Sagan. Una storia dove lei
muore. Capirai. Dove lui muore? È pieno.
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Squilla il telefono. È l’editore. Si sta facendo il programma per l’anno venturo, e il suo librino striminzito – quello carino – è andato benino, quindi è chiaro
che il pubblico la attende a braccia aperte. Non vorremo mica venire meno alle aspettative? Ad maiora.
“E allora, cara, come andiamo con il romanzo?”
“Benissimo,” mente spudoratamente. “Ne ho già
scritte cento pagine.”
“Argomento?” domanda lui.
Lei butta giù il telefono, velocissima. Queste linee
sono sempre così disturbate!
Se solo non avesse già speso l’anticipo. D’altra parte
era in un arretrato vergognoso sulle spese condominiali, e le pareva che i vicini la guardassero malissimo –
o forse era perché nel libretto smilzo si era presa qualche licenza poetica, descrivendoli come un branco di
sordidi assassini.
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